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MODELLI PER LO STUDIO DELL’INTERAZIONE CULTURALE. CASO STUDIO: IL PICENO Francesca Pettinari 1 INDICE I. ANALISI DEI CONCETTI PRINCIPALI: ELLENIZZAZIONE, ACCULTURAZIONE, IBRIDAZIONE ................................................................................................................................ 3 II. ANALISI DEI PRINCIPALI MODELLI PER LO STUDIO DEI FENOMENI DI INTERAZIONE CULTURALE ...................................................................................................... 9 III. STORIA DEGLI STUDI RELATIVA AL CASO STUDIO SCELTO: IL PICENO .......... 12 • ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE 2 I. ANALISI DEI CONCETTI PRINCIPALI: ELLENIZZAZIONE, ACCULTURAZIONE, IBRIDAZIONE Il tema del contatto tra culture è estremamente ampio e complesso; è stato ed è tuttora oggetto di studi non concordi tra loro. Questa mancanza di unanimità si riscontra soprattutto riguardo all’analisi e alla definizione della colonizzazione greca. Da qui è nato un intenso dibattito che coinvolge principalmente due branche di studiosi: la scuola italiana1 e quella anglosassone2 . I primi, più “conservatori”, hanno la classica visione della colonizzazione vale a dire il fenomeno originatosi nell’VIII-VII sec a.C. che mise in contatto i Greci con i non-Greci con tutte le conseguenti problematiche di rapporti, scambi, influssi; i secondi hanno una visione alquanto revisionista che mette in dubbio tutto ciò che finora era stato dato per certo. Lo scontro tra questi due approcci ha dato avvio a un vivace dibattito scaturito principalmente dal fatto che la scuola anglo-americana propone una riflessione antropologica, portando alla luce tutta una serie di temi volti a mettere in dubbio e contrastare le certezze sul mondo coloniale. Queste nuove proposte interpretative hanno portato a mettere da parte quelle fedi incrollabili maturate nel corso degli anni ’70: ad esempio la convinzione che, all’arrivo dei Greci, gli indigeni si ritirarono o scomparirono o che i Greci fossero superiori ai non-Greci e quindi portatori di civiltà, acculturazione, ellenizzazione (...). Non intendo qui dare una definizione globale del concetto di colonia, si tratta infatti di un tema complesso. Mi limito a darne una veloce spiegazione e definizione: il termine “colonia”, ormai tutti gli studiosi concordano, è inadeguato a descrivere le esperienze greche di età arcaica: si tratta infatti di una parola latina oggi strettamente connessa, in quanto a significato, alle esperienze coloniali di epoca moderna e contemporanea. La parola colonia non traduce apoikìa (dal verbo apoikìzo = trasporto in altra dimora, trapianto) che significa “casa fuori” ed esclude qualsiasi intento di conquista e dipendenza diretta con la madrepatria. Il termine colonia deriva da colere (= coltivare la terra) e implicava un rapporto di dipendenza politica con la madrepatria. 1 D’Andria, Greco, Lombardo, Moggi 2 Per la scuola anglosassone: Osborne, Yntema; per quella americana: Dietler, Hall 3 A riguardo, Greco e Lombardo3 sostengono che in realtà si tratta di un “falso problema” e per superarlo basterebbe liberarsi dalle valenze linguistiche ed ideologiche di stampo romano e moderno, magari utilizzando la parola colonia tra virgolette. Studiando i contatti tra culture, il primo tema da definire è proprio quello di identità culturale. Secondo la visione classica i Greci, nel momento in cui diedero avvio alla colonizzazione (VIII-VII a.C.), avevano già una forte identità personale. Erano dei civilizzatori che, spostandosi in Occidente e fondando colonie, rendevano migliore la vita delle popolazioni (inferiori) con cui venivano a contatto. Il concetto di ”ellenizzazione” (introdotto da Adamesteanu a metà degli anni ’50 in relazione ai contesti della Sicilia) prevede infatti che i colonizzati adottino progressivamente le usanze “civilizzate” dei colonizzatori come si trattasse di una naturale e inevitabile risposta al contatto. I Greci avevano dunque una ben precisa visione di sé e dell’altro, del barbaro4 (la parola è alquanto dispregiativa, ha un significato onomatopeico che indica il modo in cui parlavano: articolavano male le parole). Alla concezione classica che ben conosciamo si contrappone quella degli studiosi anglo-americani: questi negano la colonizzazione organizzata dalla madrepatria di VIII-VII secolo a.C. ipotizzando piuttosto un’iniziativa di gruppi privati di greci. Uno di questi revisionisti è Osborne5 , egli nega l’esistenza di una colonizzazione greca in età altoarcaica: le poleis della madrepatria, a suo avviso, non promossero alcuna iniziativa ma furono invece i privati a finanziare queste spedizioni verso l’occidente. Questi gruppi, secondo lo studioso, si sarebbero integrati con le popolazioni locali e avrebbero fondato centri organizzati solo in un secondo momento (VI-V secolo a.C.). Si tratterebbe perciò di una sorta di “precolonizzazione”, la fondazione di una apoikìa non poteva avvenire in un ambiente totalmente sconosciuto. Un altro studioso, Hall, che segue il filone di Osborne, parlando di identità etnica conia il termine di “hellenicity”. Questa “identità ellenica” sarebbe nata non prima ma nell’età classica quando, nel V secolo a.C., i Greci dovettero affrontare la comune minaccia persiana. Solo in questo momento si sviluppa, secondo lo studioso, un’identità ben definita in contrasto (contrapposizione) al “barbaro”. 3 GRECO, LOMBARDO 2010, pp. 37-45 4 GRECO, LOMBARDO 2010, pp. 40-41 Questa separazione tra Greci e non-Greci è stata sempre segnata da valenze unilaterali per cui c’era un civilizzante (superiore) e un civilizzato (inferiore). Questa visione col tempo è stata oltrepassata , anche grazie agli stimoli venuti dalle tesi revisioniste del mondo anglo-americano, ed ora non si fa più questa distinzione, si parla di una influenza reciproca. 5 OSBORNE 1998, pp. 251-269 4 Hall riprende Osborne nel negare che la colonizzazione di VIII-VII secolo a.C. abbia potuto portare alla coscienza di una differenza tra sé (identità ellenica) e l’altro (inteso come barbaro): i gruppi di persone che, per volontà di un privato compiono un viaggio e sbarcano in Occidente, si relazionavano con i gruppi indigeni alla pari, senza percepire alcuna differenza. Un altro studioso che segue queste teorie è Yntema6 : nel suo articolo “ Mental Landscapes of Colonization: The Ancient Written Sources and the Archaeology of Early Colonial-Greek Southeastern Italy” fa una panoramica sui siti archeologici arcaici della fascia costiera ionica ed evidenzia, sulla base dell’analisi dei reperti ceramici, una scarsità di sepolture greche accanto a molte indigene. Un esempio lampante sarebbe fornito da Taranto: la città secondo le fonti venne fondata nel 705 a.C. ma i dati archeologici riportano tutt’altro; relativamente ai primi 50-60 anni di vita del centro si rintracciano solo 6 tombe greche, troppo poche per parlare di fondazione di una polis. Osborne, Hall ed Yntema sostengono dunque che non ci sarebbe stata una colonizzazione di età arcaica ma soltanto una sorta di “precolonizzazione” in seguito all’arrivo sulla coste Occidentali di spedizioni volute e finanziate da privati; a sostegno di questa tesi portano altri dati ricavati da una rilettura e un’analisi delle fonti antiche e più precisamente dei miti di fondazione (ktìseis). Osborne, prendendo ad esempio i due miti sulla fondazione di Cirene7 , arriva alla conclusione che queste storie sono frutto di un’elaborazione o riadattamento posteriore. La storiografia riguardante le storie di fondazione è tutta di V secolo a.C., sarebbe dunque questo il momento in cui le apoikiai avrebbero costruito la loro identità. Viene messa in dubbio anche la figura dell’ecista in quanto queste prime spedizioni “private enterprises” sarebbero state volte al contatto commerciale e non bisognose di una tale figura che sarebbe stata invece inventata in un momento successivo per nobilitare le origini di queste fondazioni. Le fonti storiche sarebbero perciò inaffidabili in quanto riporterebbero dati ed eventi non reali ma creati a posteriori (in un momento successivo a quello narrato), si tratterebbe di notizie modificate in modo tale da far risaltare le singole colonie. Prima del V secolo a.C. mancava quell’identità culturale che avrebbe permesso l’organizzazione di spedizioni capaci di fondare vere e proprie apoikiai. 6 7 YNTEMA 2000, pp.1-49 Erodoto riporta due versioni dello stesso mito, probabilmente elaborate in due momenti storici diversi (V a.C. e IV a.C). 5 Questa alternativa interpretazione delle fonti va a scontrarsi con quella più classica basata addirittura sui Poemi Omerici8. Questi, datati all’VIII-VII secolo a.C., costituiscono i capisaldi della grecità arcaica: secondo alcuni studiosi in questi scritti è ben visibile il concetto di grecità; le esperienze coloniali di età arcaica avevano messo in contatto i Greci con altri popoli (si era a conoscenza dell’altro). Questo concetto è ben espresso dallo scontro degli eroi greci con creature mostruose (Ciclopi, Centauri...) che rappresentano metaforicamente i barbari (i non-Greci). Il concetto di acculturazione (introdotto da Gruzinsky e Rouveret 9 alla metà degli anni ‘70) è stato in parte già trattato precedentemente. Si tratta di un termine piuttosto negativo, paragonabile ad “ellenizzazione”. Entrambi indicano che, in seguito al contatto tra due culture, quella considerata “superiore” va inevitabilmente ad influenzare quella “inferiore”. In questo modo si tende, a diversificare nettamente le due entità che entrano in contatto, identificandone una predominante totalmente immune da qualsiasi tipo di contatto/influenza da parte dell’altra (la dominata). Si tratterebbe perciò di un contatto unilaterale, in cui l’unica parte a modificarsi sarebbe quella più debole (il colonizzato insomma). Questo argomento è stato ampiamente trattato da Silliman10 che nel suo articolo sostiene che sarebbe sbagliato parlare di contatti unilaterali e propone il concetto di ibridazione (introdotto recentemente -primi anni del 2000- da Van Dommelen). I “puri” (non-ibridi) secondo Silliman non esistono, ogni cosa è ibrida. La cultura materiale ce ne offre un esempio: gli archeologi, secondo lo studioso, non dovrebbero soffermarsi unicamente sulla ricerca e lo studio di determinate categorie di oggetti importati presso una popolazione. Ma dovrebbero tener conto che questi particolari oggetti vengono usati in modo tale da diventare propri di una nuova cultura, e parte delle loro pratiche. Possono essere oggetti modificati, nati da tecniche di lavorazione importate, o inalterati, cioè oggetti importati che vengono normalmente utilizzati (fa l’esempio dell’utilizzo del vetro nelle tribù dell’East-Pequot in America). Lo stesso discorso può essere fatto per i cosiddetti “colonizzatori”: anche loro subiscono influenze di vario tipo, sia materiali che culturali; Silliman ci ricorda che se noi europei siamo consumatori di mais, patate e pomodori lo dobbiamo alle popolazioni americane. 8 MOGGI 2008, pp. 54-72 9 GRUZINSKY, ROUVERET 1976, pp. 159-219 10 SILLIMAN 2015, pp. 1-22 6 Nessuno, dunque, può sottrarsi all’ibridazione. Chi entra in contatto con nuove popolazioni viene inevitabilmente influenzato, c’è uno scambio reciproco: sarebbe alquanto riduttivo applicare il concetto di ibridazione unicamente al colonizzato e non al colonizzatore. L’ibridazione è un concetto positivo che sottolinea il contatto culturale, lo scambio, la sperimentazione, la creatività e la fusione. La coabitazione è un altro tema chiave del contatto tra culture; questo viene trattato ampiamente all’interno di un volume intitolato “L'oiseau et le poisson. Cohabitations religieuses dans les mondes grec et romain”11 . Nel testo si parla principalmente della convivenza religiosa e della capacità dell’uomo di “vivere insieme” nonostante le differenze e le difficoltà. Uno degli articoli posti all’interno del testo, quello della Van Haeperen12, analizza la coabitazione religiosa ad Ostia tra il II e il IV secolo d.C. dal punto di vista sociale e urbanistico / topografico. Si mostra come siano possibili i rapporti tra culti diversi all’interno della stessa città. Un interessante concetto che mette in evidenza la studiosa è quello dell’interscambio: l’apertura culturale dei Romani, la loro tolleranza, permette sia una convivenza pacifica con i devoti di divinità estranee al pantheon romano sia una totale assimilazione dei loro culti ed usanze. Quest’ultima osservazione ci riporta ancora una volta al concetto di ibridazione e ci mostra come sia fondamentale e pervasivo: nessuno può sfuggirne, coinvolge tutti gli ambiti (da quello culturale, materiale, a quello religioso). La coabitazione è rappresentata da una co-gestione dello spazio da parte di due culture diverse (Greci / indigeni, colonizzati / colonizzatori, Romani / non-Romani ...). La cultura indigena, dunque, non scompare ma continua ad essere ben presente accanto a quella straniera. Addirittura, ipotizza Greco13, si potrebbe giungere alla conclusione che la colonizzazione non abbia mai avuto luogo e che si tratti piuttosto di una convivenza pacifica tra due gruppi diversi. Il contatto tra culture e tutto quello che ne deriva è quindi un tema estremamente vasto e complesso, difficile da trattare in maniera completamente esaustiva e puntuale. Dal quadro che emerge si comprende come la visione revisionista della scuola anglo-americana sia stata fondamentale per dare un forte scossone agli studi su questo tema. Il dibattito che ne è scaturito è pieno di nuovi 11 BELAYCHE, DUBOIS 2011 12 VAN HAEPEREN 2011, pp. 107-126 13 GRECO, LOMBARDO 2010, p. 52 7 interessanti spunti di riflessione e studio che consentono di vedere con occhi nuovi alcuni concetti che ormai erano dati per certi e consolidati da molto tempo. Quello che è certo è che non bisogna utilizzare un modello unico, ma vedere la colonizzazione come un’esperienza complessa e variegata, diversa da zona a zona, da centro a centro. 8 II. ANALISI DEI PRINCIPALI MODELLI PER LO STUDIO DEI FENOMENI DI INTERAZIONE CULTURALE Per quanto riguarda lo studio dei fenomeni di interazione culturale ci sono due modelli principali che possono essere presi in considerazione, entrambi hanno uno stampo antropologico: quello proposto da Renfrew della “peer polity interaction” e quello derivante dagli studi condotti da Dietler nella bassa valle del Rodano per la prima età del ferro. Renfrew 14 analizzando le civiltà del passato presta molta attenzione a quelli che erano i meccanismi e i modelli dello scambio. Egli sottolinea come i grandi progressi delle scienze applicate all’archeologia consentono ora di comprendere e determinare le aree di produzione dei manufatti o perlomeno i luoghi di origine della materia prima utilizzata. Questa “determinazione scientifica” risulta infatti essere molto più precisa rispetto all’analisi dello stile. In base al riconoscimento dell’area di approvvigionamento è possibile ricostruire gli spostamenti delle merci e quindi, di conseguenza, gli itinerari e le rotte dei traffici antichi. Il contatto tra popoli e culture diverse è testimoniato in molti casi unicamente dai materiali: lo scambio di oggetti consente agli studiosi di mettere in relazione società diverse e magari di comprendere anche la loro strutturazione interna15. Renfrew sottolinea l’importanza, in archeologia, dello scambio che può essere inteso come “commercio” o come “contatto interpersonale”; in entrambi i casi c’è un confronto tra due parti e un contatto che può portare nuovi oggetti o informazioni. Egli propone un’analisi dei dati archeologici per definire il tema dello scambio16 e dell’interazione tra popolazioni diverse: raramente il materiale archeologico è sufficiente di per sé a stabilire la tipologia e la quantità dei contatti (andrebbe affiancato dalle fonti) anche se il rinvenimento in un determinato luogo di un manufatto proveniente da un altro posto può essere considerato un indicatore sufficiente di un contatto. 14 RENFREW, BAHN 2006, pp. 349-384 15 RENFREW, BAHN 2006, pp. 165-218 Renfrew studia i diversi tipi di società e la loro organizzazione interna dividendole in: gruppi mobili di cacciatori-raccoglitori/ società segmentate/ chiefdom/ stato. 16 Per lo studio degli scambi commerciali è necessaria un’analisi e uno studio approfondito delle merci. Il fossile guida in questi casi è la ceramica. Bisogna determinare l’origine della materia prima e quindi identificare l’esatto luogo di produzione. Solo dopo aver determinato questo si può procedere allo studio della distribuzione. 9 Renfrew, riprendendo la teoria dell’antropologo americano Karl Polanyi17 , propone tre tipologie di scambio: • reciprocità: che avviene tra individui posti sullo stesso piano (parità), nessuno ha una posizione dominante; • ridistribuzione: presuppone l’attività di qualche organizzazione centrale che si appropria del bene e lo ridistribuisce; • scambio di mercato: esistenza di un luogo specifico dove possano avvenire gli scambi (il mercato appunto). Vengono perciò messi in evidenza i tre diversi tipi di scambi possibili (reciproco, ridistribuzione e mercato) sottolineando la complessità dei contatti tra culture: l’interazione non riguarda solo influenze materiali ma anche culturali (idee, invenzioni, informazioni...). Renfrew sottolinea l’importanza di scoprire i luoghi di origine delle merci e su questo punto ritorna più volte. La ceramica è il fossile guida maggiormente utilizzato e studiato dagli archeologi e per fortuna su di essa possono essere condotte le analisi di laboratorio che consentono di individuarne facilmente la composizione e quindi l’area di approvvigionamento. Il concetto di peer polity interaction viene creato in opposizione a quanto viene normalmente affermato in merito ai contatti tra culture, cioè il dominio di un’area (o società) su un’altra. Renfrew propone modi di analisi delle interazioni che non presuppongano dominazione e subordinazione ma che considerino aree diverse poste ad uno stesso livello. L’interazione tra queste società paritarie assume molte forme: la competizione, l’emulazione competitiva, la guerra, la trasmissione dell’innovazione, lo scambio di oggetti di valore, il flusso di beni ordinari, la lingua e l’etnicità. La stessa attenzione al commercio e al contatto culturale è utilizzata da Dietler18, egli analizza i rapporti tra le popolazioni etrusche e greche e quelle indigene della bassa valle del Rodano. In base allo studio delle forme ceramiche connesse al consumo del vino e di sostanze alcoliche rinvenute nei contesti archeologici, stabilisce che la situazione francese è il risultato di una richiesta per il consumo piuttosto che una normale offerta dei commerci. Non si tratta dunque di “ellenizzazione”: cioè di una progressiva e generale emulazione di usanze “civilizzate” da parte dei barbari come naturale risposta al contatto. 17 RENFREW, BAHN 2006, p. 352 18 DIETLER 1990, pp. 352-406 10 Dietler, prendendo spunto dal suo caso studio, sottolinea inoltre come i modelli di consumo di bevande alcoliche possano avere un forte impatto nelle relazioni sociali in quanto fanno parte del rituale dell’ospitalità e delle funzioni religiose (feste e riti di passaggio). Il bere ha un ruolo sociale e questo è stato messo in evidenza da studi etnografici che hanno evidenziato la presenza di questa pratica all’interno di contesti di interazione: bere alcool non fa parte delle naturali attività fisiologiche dell’uomo e molto frequentemente viene utilizzato come un rituale. L’antropologo elenca poi le regole che regolamentano il bere: • il tipo e la qualità della bevanda • il tempo e il luogo del bere • il rituale che accompagna il bere • il sesso e l’età dei bevitori Dietler afferma che il bere svolge anche una funzione economica e politica: è uno strumento utilizzato dai politici per affermare ulteriormente il loro ruolo egemonico. Nelle società più piccole i cittadini più ricchi organizzano le “work-party feast” alla fine di lavori specializzati in cui coinvolgevano la parte più povera della popolazione per ricompensarli del lavoro svolto. Le generose offerte di libagioni erano ben viste dai partecipanti e in questo modo ci si garantiva il loro appoggio futuro sia nella sfera lavorativa che in quella politica. Nelle società con ruoli politici specializzati e strutture politiche centralizzate l’alcool aveva un ruolo centrale nel mantenimento dell’autorità politica. In quelle società, invece, senza istituzioni politiche definite il bere è importante per la definizione di una leadership o di un potere personale. Dietler distingue tre possibilità diverse di consumo di bevande alcoliche e approfondisce il diverso tipo di impatto che questa assimilazione può avere: • in società che non consumano alcolici • in società che hanno già bevande alcoliche proprie (commistione) • in società che adottano bevande “esotiche” insieme alle pratiche culturali e religiose connesse Adottare modelli connessi al consumo di bevande “estranee” potrebbe essere molto più di un semplice prendere in prestito o di un qualcosa connesso a cambiamenti sociali: potrebbe essere un catalizzatore per il cambiamento sociale. 11 III. STORIA DEGLI STUDI RELATIVA AL CASO STUDIO SCELTO: IL PICENO Si cercherà ora di vedere se e come i modelli sopra descritti siano stati applicati o risultino applicabili al caso studio: il Piceno. Ripercorrendone la storia degli studi si può notare come questa regione rappresenti un mondo a sé, in cui un serio interesse per l’analisi del rapporto tra Piceni e Greci è mancato almeno fino alla metà degli anni ‘70. • Negli anni ’50 iniziano i primi scavi archeologici regolari (la civiltà picena aveva cominciato a caratterizzarsi a partire dal ‘600 -’700 sulla base di ritrovamenti di antichi materiali risalenti all’età del ferro. Il materiale proveniente da questi primi scavi talvolta è confluito al di fuori della regione o addirittura all’estero). Da una parte ci sono gli scavi condotti ad Ancona sul colle dei Cappuccini19 che permisero di identificare i resti di un abitato (VII-V a.C.) in cui sono stati recuperati frammenti di ceramica attica; dall’altra gli scavi nell’abitato piceno di Osimo20 (IX-VI a.C.), venuto alla luce casualmente durante dei lavori di ristrutturazione del mercato coperto. La documentazione archeologica di questi scavi si limita alla semplice descrizione di quanto è stato messo in luce; non viene infatti data alcuna interpretazione del contesto in cui è stata rinvenuta ceramica attica. • Nella seconda metà degli anni ’60, più precisamente nel 1968 abbiamo gli studi di Piangatelli 21, grazie ai quali abbiamo nuove ipotesi sui Piceni: si credeva infatti che si trattasse di un popolo bellicoso e chiuso ai contatti con il mondo, un popolo ostile persino al suo interno, caratterizzato da una mentalità chiusa e che conduceva una vita ritirata. Questa convinzione, diffusa fin dall’inizio degli studi sui Piceni, viene dunque superata e si accetta una visione più ampia di questa popolazione: “ebbero contatti con le altre popolazioni italiche ma (e qui, secondo Persichetti nascevano le interpretazioni inesatte) mantennero invariati i caratteri culturali e materiali della loro civiltà: i riti, le armi, la ceramica”. 19 AA. VV. 2002, pp. 34-35 20 AA. VV. 2002, p. 39 21 PIANGATELLI 1968, pp. 27-50 12 • Negli anni ’70, grazie all’input che viene dato dallo storico Braccesi 22, si avvia un nuovo modo di lettura e interpretazione dei dati archeologici che, per la prima volta, comincia a prendere in considerazione i rapporti con le altre popolazioni. Braccesi dimostra quanto sia relativo l’aspetto di perifericità attribuito alla costa adriatica: sin dall’epoca arcaica l’Adriatico è interessato da una frequentazione greca che si incanala verso il delta del Po. I centri di Adria e Spina (fondati nel VI a.C.) sono i due grandi emporia posti nel delta padano che fanno capo alla rotta adriatica del commercio greco occidentale. I Greci, per raggiungere questi due punti nevralgici dei loro scambi, seguivano una rotta ben definita (“rotta padana”) che prevedeva una navigazione di cabotaggio lungo la costa illirico-dalmata (ricca di porti e insenature), l’attraversamento nel tratto Iader-Ancona (dove la traversata in mare aperto era più breve) e di nuovo una navigazione costiera fino al delta del Po. • Nel 1976 la Lollini 23 parla dei contatti con le popolazioni trans-adriatiche, con la civiltà villanoviana (della quale mette in evidenza che questi rapporti non erano esclusivamente commerciali ma anche culturali come dimostrerebbe l’adozione del rito dell’incinerazione in alcune sepolture a Novilara, Numana e Fermo), dei rapporti con gli Etruschi e di quelli con i Greci. Riguardo al rapporto con la Grecia l’archeologa ci tiene a smentire quanto affermato da Breccesi “non disponiamo di alcun dato archeologico che ci documenti rapporti diretti con la civiltà greca prima del VI secolo a.C. Più probabilmente c’era una presenza stessa sul suolo Piceno di Greci in persona: artisti greci lavoranti in loco. Ancona non sarebbe un emporio greco, questa affermazione non è avvalorata da nessun elemento archeologico”. • Nel 1988 Landolfi24, parlando del Piceno dice che la regione, per la sua posizione e per la sua caratteristica conformazione geografica dei suoi territori, è sempre stata adatta a favorire scambi e contatti commerciali. Contatto con i Greci, gli Etruschi. • Nel 1992 viene fatto un importante convegno ad Ancona che ha come titolo “La civiltà Picena nelle Marche”25. 22 BRACCESI 1971; BRACCESI 1977 23 LOLLINI 1976, pp.109-195 24 LANDOLFI 1988, pp. 313-371 25 AA. VV. 1992 13 • Nel 1992 Paribeni 26, facendo un’accurata descrizione del materiale vascolare rinvenuto nello scavo delle necropoli, fa notare come nei primi acquisti di Numana “sembra di vedere la diffidenza di persone che acquistano per la prima volta e quindi acquistano gli oggetti più poveri e più a buon prezzo e solo a poco a poco si lanciano per raggiungere una frenesia di splendori, di vasi colossali come non si trovano che presso le clientele più fastose, quasi tutti segnati da questa impronta del banchetto”. • Sempre nello stesso anno, Landolfi 27, descrivendo il corredo della tomba 407 di Sirolo, parla della ricca suppellettile domestica “con vasi di ceramica e utensili metallici (spiedo, grappe e ansetta) e con pregevole servizio simposiaco composto da ceramiche d’importazione greca”. La spiegazione che viene data alla presenza di ceramica attica in corredi funerari piceni è quella di una diffusione consistente, nel corso del V secolo a.C, all’interno dell’emporio del Conero di “usanze e modi di vita ellenica”. • Luni28 fa uno studio sui rinvenimenti di ceramica attica nelle Marche settentrionali; per quanto riguarda i materiali presenti nei siti costieri mette in relazione la presenza di questo tipo di materiale a scali portuali o insenature adatte per il ricovero delle navi ( Pesaro, Fano, San Costanzo). La spiegazione che Luni da alla presenza di ceramica attica è connessa a semplici motivazioni commerciali. Prende poi in esame i rinvenimenti lungo le vallate fluviali interne ( fiumi: Foglia, Metauro, Esino, Chienti) e anche in questo caso parla di “vie commerciali verso l’Etruria”. • Nel 1995, Guzzo29, analizzando i materiali archeologici provenienti dai centri della costa adriatica occidentale, parla delle prime rotte adriatiche: in primis gli ateniesi si rivolsero alla Puglia, in particolare la Messapia; probabilmente per motivazioni connesse a scopi economici (l’abbondanza di grano). Le stesse spinte economiche favorirono l’arrivo dei Greci nel delta padano. La Puglia settentrionale e l’Abruzzo non restituiscono grandi testimonianze di ceramiche 26 PARIBENI 1992, pp. 284-301 27 LANDOLFI 1992, pp. 302-330 3 LUNI 1992, pp. 331-363 29 GUZZO 1995, pp. 371-389 14 attiche, questo perché (in particolare in Abruzzo) gli insediamenti erano posti principalmente nell’interno e quindi i contatti costieri non erano così semplici. • Sempre nel 1995 Luni30 ha a disposizione nuova documentazione sia in relazione alla frequentazione commerciale greca, sia per quanto riguarda il sorgere di abitati stabili sulle aree di approdo e scambio delle merci. L’indagine sugli abitati piceni, afferma Luni, è solo agli inizi in quanto l’esplorazione archeologica in passato ha privilegiato le aree di necropoli. Fa poi un breve excursus su quanto viene detto negli anni passati: nelle opere di sintesi degli anni ’60 (Lollini 1976) vengono presentati solo scarsi resti di abitati (Osimo e Ancona): si afferma che queste popolazioni vivevano in villaggi di capanne in materiale deperibile, avevano un carattere tribale e che mancava ogni traccia di città. Fino agli anni ’80 continua questa visione del Piceno: l’unica fonte di conoscenza è rappresentata dalle tombe tranne qualche sporadica eccezione (Pesaro, Ancona, Osimo, Cupramarittima, Numana.). “I dati scaturiti dalla ricerca sono”, dice Luni, “ancora oggi frammentari frutto di rinvenimenti episodici piuttosto che di una sistematica esplorazione”. Apre poi una breve parentesi sui fervidi contatti commerciali, avviati a partire dal VI a.C., con il mondo greco e dell’inserimento del Piceno all’interno di mercati greci ed etruschi. • Nel 1999 viene effettuata la mostra Piceni popolo d’Europa31, vengono esposti e mostrati i risultati delle ultime ricerche; si parla anche, nel catalogo, del contatto prolungato tra Piceni e Greci, ma manca una visione storica retrospettiva sugli studi sui Piceni avviati a partire dal ‘700. • Sempre nel 1999 Luni 32, sulla base del rinvenimento di ceramica attica ad Ancona e dell’attestazione di consistenti flussi commerciali di ceramica di importazione che raggiungono numerosi centri all’interno (valli del Chienti e del Potenza), ipotizza che ogni centro di foce potesse svolgere un certo ruolo negli scambi di merci con naviganti greci e non solo come scalo occasionale. Si tratterebbe di una serie ravvicinata di emporia dai quali la ceramica d’importazione da banchetto veniva poi smistata verso le comunità indigene dell’interno risalendo ciascuna vallata. Questi erano approdi di carattere stabile; “gli abitanti hanno subito un forte influsso del contatto con commercianti portatori di una cultura più evoluta che ha determinato 30 LUNI 1995, pp. 183-225 31 AA.VV. 32 1999 LUNI 1999, pp. 13-40 15 l’inevitabile innescarsi di un processo di acculturazione con la mediazione di modelli comportamentali derivati dalla civiltà greca ed etrusca”. • Nel 2000 viene fatto il “ I Piceni e l’Italia medio-adriatica. Atti del XXII Convegno di studi etruschi ed italici”33 . • Nel 2000 C.M. Drager34, ipotizza che il motivo per cui i vasi attici vengono deposti nelle tombe è connesso all’intento di mostrare il ruolo sociale ricoperto in vita dal defunto. Ad esempio i corredi maschili rispecchiano la necessità della classe dominante di esternare la sua ricchezza mediante il rito conviviale del simposio (connessione con il consumo di vino). • Ancora Luni 35, sempre nel 2000 parla di “penetrazione commerciale greca in Adriatico” basandosi sull’abbondanza di materiale ceramico attico rinvenuto. Questo rappresenta infatti l’indicatore archeologico meglio riconoscibile (che va però usato con cautela in quanto noto in maniera difforme nelle diverse località e dovuto spesso a rinvenimenti casuali). Non c’è stato un grande interesse verso questi rinvenimenti fino alla fine degli anni ’80 quando, nei sepolcreti di Numana, si è cominciato a trovare vasellame figurato attico integro. Questa crescita di interesse va connessa anche all’aumentato spessore del dibattito sulla rotta adriatica: ne è conseguita una maggiore attenzione ad ogni tipo di traccia antica presente negli approdi costieri. “Un contatto consistente e prolungato tra la evoluta cultura greca e magnogreca con le comunità medioadriatiche tramite gli scali costieri è avvenuto almeno dalla metà del VI sec. a.C. e nei due secoli successivi. Un fervido rapporto di scambi commerciali è emerso in modo sempre più evidente negli ultimi decenni attraverso segnalazioni di numerosi ritrovamenti di materiali di importazione nello scavo di necropoli e da ultimo di abitati. Le genti indigene medioadriatiche si sono mostrate assai ricettive alla utilizzazione di vasellame di pregio da mensa proveniente dalla Grecia e dall’Italia meridionale; esse si sono progressivamente adeguate ad un modello e ad un comportamento ritenuto capace di accrescere i segnali di elevato ruolo economico e sociale”. Luni evidenzia come gli scali costieri e le direttrici commerciali lungo le vallate fluviali hanno favorito la diffusione di prodotti attici nell’entroterra, si comincia a delineare un’espansione 33 AA. VV. 2000 34 DRAGER 2000, pp. 105-109 35 LUNI 2000, pp. 151-186 16 commerciale a macchia d’olio, determinata da un’adesione culturale o imitativa da parte di genti che hanno apprezzato un prodotto di pregio. La diffusione della ceramica attica da banchetto attesta una particolare predisposizione per oggetti capaci di dimostrare la superiorità sociale ed economica dei proprietari. Era considerata un bene suntuario, di un certo costo, con funzionalità prevalentemente pratica connessa in genere al simposio. La ceramica attica è stata accolta in un contesto non solo commerciale ma anche culturale, come le scene figurate sui vasi: le tematiche si riferiscono a scene di simposio e al mondo dionisiaco; combattimenti e temi mitici. Le comunità locali, in genere abbastanza chiuse in un sistema di tipo agricolo e pastorale, si sono gradualmente aperte ad un sistema di mercato di scambio con mercanti greci, con conseguente avvio del processo di acculturazione. • Landolfi 36 (nel 2000) lamenta che, ad eccezione dello studio delle fonti letterarie antiche, mancano considerazioni più approfondite sulla presenza greca nell’Italia centrale adriatica in età arcaica. I lavori sono costituiti principalmente da sintesi in cui mancano elenchi completi e ragionati dei prodotti greci rinvenuti nel Piceno. Vengono fatte considerazioni generali con isolati e singoli approfondimenti su alcune classi di materiali. Continua Landolfi che ancora oggi manca un quadro completo e ragionato delle importazioni greche rinvenute nelle Marche: alcune recenti scoperte a Numana, e gli studi ancora agli inizi su di esse, permettono di individuare segni di presenze greche in età arcaica. Si ripropone la questione dei primi contatti tra Greci e Piceni che alcuni studiosi hanno ipotizzato essere avvenuti in età arcaica e secondo modi che ancora oggi risulta difficile precisare. L’archeologo riporta poi la notizia che già Paolo Orsi, all’ inizio del ‘900 (1910-1912), dopo aver visitato il museo archeologico di Ancona notò che le necropoli picene contenevano numerosi materiali di origine greca. Ipotizzò dunque una presenza fisica di individui greci a cui riferire gli elementi di origine ellenica riscontrabili nelle produzioni locali. A suo giudizio questo contatto tra greci e piceni, avvenuto in età piuttosto arcaica, non si sarebbe verificato attraverso l’importazione di oggetti ma mediante la presenza di individui. Non si elencano infatti materiali di importazione ma si parla di elementi di origine greca che figurano all’interno della cultura materiale locale. “Le recenti scoperte archeologiche di Sirolo”, scrive Landolfi, “relative ad una sepoltura picena gentilizia di VI secolo a.C., riportano a galla queste problematiche connesse al rapporto tra le due popolazioni”. Oltre a confermare l’esistenza effettiva della cosiddetta “via adriatica”, questa tomba (Tomba “Giulietti-Marinelli”) fornisce una serie di nuovi dati e informazioni in grado di risolvere il complesso sistema di rapporti tra Piceno 36 LANDOLFI 2000, pp.125-148 17 e Grecia; in particolar modo per quanto riguarda la loro consistenza, il modo in cui sono avvenuti, la cronologia. Landolfi contesta poi Paribeni (PARIBENI 1992): le ceramiche attiche a figure nere restituite dalla tomba di Sirolo non sono di così modesta qualità e non si riducono a forme di piccole dimensioni (comprendono anche crateri). Tali ceramiche permettono di collocare l’inizio del commercio attico nel Piceno tra il 520-510 a.C. La prosperità economica raggiunta dal Piceno in età arcaica è attestata dalle numerose e ricche necropoli in cui, attraverso la realizzazione di sepolture gentilizie monumentali, come le tombe a circolo nell’area del Conero, è possibile cogliere i segni del costituirsi all’interno delle comunità di una società aristocratica che godeva di ampi poteri di controllo delle attività commerciali. In questa fase il Piceno si colloca come un intermediario tra la grecità e i mercati d’oltralpe, per non parlare dei contatti con gli Etruschi. “Il Piceno è stato in grado di inserirsi nell’ampia rete di scambi commerciali che vedeva coinvolti Greci, Etruschi e comunità celtiche transalpine, conquistando una posizione di tutto rispetto. Il Piceno svolge un ruolo attivo in questa rete di scambi di ampio respiro”. Landolfi, infine, connette con questo sviluppo dei commerci, la formazione della classe ricca picena. • Nel 2007 Di Filippo Balestrazzi 37 pone il seguente problema: si può parlare di ellenizzazione del Piceno (connessa al concetto di acculturazione) nei termini in cui se ne è parlato in altre aree? • Luni e Sconocchia38, nel 2008, lamentano la mancanza di una visione storica retrospettiva degli studi sui Piceni su oltre 200 anni di ricerche avviate già nel ‘700. Bisognerebbe sviluppare una visione critica degli studi antichi per analizzare in maniera più approfondita l’approccio allo studio della civiltà picena. 37 DI FILIPPO BALESTRAZZI 2007, pp. 73-102 38 LUNI, SCONOCCHIA 2008, pp. 21-47 18 • OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Sulla base di una lettura critica della storia degli studi mi è stato possibile comprendere come, per quanto riguarda il Piceno, i modelli per la comprensione dell’interazione culturale non siano stati finora utilizzati. Gli studi sul Piceno e sui rapporti della regione con le altre popolazioni (Greci ed Etruschi) sono infatti piuttosto recenti (finora è prevalso il filone connesso alla romanizzazione); un grande sviluppo c’è stato a partire dagli ultimi anni. Si è infatti visto come, già a partire dagli anni ’70, basandosi sugli studi di Braccesi e sull’abbondante quantità di materiale rinvenuto, gli archeologi abbiano cominciato a parlare di questi contatti ma tutto è sempre stato semplicisticamente ridotto alla sfera commerciale. La presenza di naviganti greci in Adriatico non poteva essere negata (data l’abbondanza di rinvenimenti archeologici) ma nessuno si è posto mai il problema di indagarla e comprenderla a fondo. Riguardo agli studi condotti sui Piceni domina una visione “picenocentrica” che pone esclusivamente l’interesse sugli autoctoni e mai sulle popolazioni che con loro vengono in contatto: secondo questi studi nessuna prevale sull’altra; si tratta di semplici rapporti commerciali e quindi non c’è nessun tipo di riflessione più profonda riguardo alle modalità di contatto. Involontariamente viene applicato il modello della “peer polity interaction”: Piceni e Greci / Piceni ed Etruschi vengono posti sullo stesso piano, si tratta in entrambi i casi di civiltà “complesse” (in cui nessuno è superiore all’altro) che vengono in contatto ma che mantengono la loro individualità. Soltanto nel 2000 gli studi sui Piceni cominciano a prendere in considerazione e rivalutare il concetto del contatto tra culture diverse: Mario Luni è forse colui che coglie al meglio questa problematica. Nei suoi articoli abbandona la visione “picenocentrica” che c’era stata fino a quel momento e, per la prima volta nella storia degli studi del Piceno, parla di “contatto tra culture” facendo riferimento al rapporto tra “l’evoluta cultura greca” e le comunità medioadriatiche. Luni è il primo ad utilizzare i termini di “adesione culturale”, “imitazione” ed “acculturazione” in relazione ai contatti commerciali tra Piceni e Greci. L’archeologo, nonostante parli di “evoluta cultura greca”, riconosce il grado avanzato della cultura medioadriatica: caratterizzata da una società stratificata e da una classe dirigente capace di accumulare ricchezze e acquistare oggetti di pregio39. 39 NASO 2000, pp. 100-122 19 Dagli oggetti rinvenuti si può facilmente capire che questa classe dominante è estremamente ricettiva per quanto riguarda l’acquisizione di “mode culturali” attraverso il contatto con gli Etruschi e i Greci. Un esempio è quello del banchetto40: questa nuova pratica si diffuse portando con sé i recipienti e lo strumentario necessario (oggetti che venivano anche deposti nelle sepolture). Queste nuove usanze vennero modificate e adattate a quelle locali, in particolare alla sfera funeraria e al culto dei morti. Nonostante questi enormi passi avanti non è ancora possibile capire, come evidenzia De Filippo Balestrazzi41, se si possa parlare di “ellenizzazione del Piceno”: l’assenza di studi specifici e mirati non consente di comprendere se si può introdurre anche qui, come è avvenuto in altre aree, l’idea che fossero stati accolti modelli responsabili dell’ “acculturazione” sociale e materiale. Continua a prevalere la visone secondo cui i Piceni mantennero sempre la loro identità culturale (a prima vista sembra che i contatti con le altre popolazioni non li influenzino particolarmente): continuano a mantenere la loro forma di insediamento sparso (per piccoli villaggi), ad utilizzare la loro ceramica e conservano le loro usanze (sepolture a fossa). I membri delle aristocrazie possono acquistare beni di importazione (ceramica, ambra, statue42, armi, oggetti d’arredo) ma lo fanno, secondo l’interpretazione finora in uso, unicamente per dimostrare la loro ricchezza. Quello che dunque oggi manca è uno studio approfondito sulle complesse e profonde relazioni tra Piceni e Greci; le premesse per avviarlo ci sono tutte, viste anche le ultime considerazioni fatte dagli archeologi, basterebbe soltanto applicare allo studio del contatto con i Greci tutti gli “sforzi” fatti finora per comprendere e spiegare la romanizzazione. 40 È più corretto parlare di banchetto piuttosto che di simposio. Il “simposio” viene spesso erroneamente citato dagli autori moderni per spiegare determinati contesti archeologici in cui si rinvengono materiali connessi al consumo di bevande alcoliche e cibi. Si tratta dunque di un utilizzo errato del termine: il simposio in Grecia non era un semplice banchetto, era una pratica conviviale che avveniva a fine pasto in cui i commensali bevevano, intonavano canti, discutevano, si scambiavano opinioni su vari argomenti e si dedicavano ad intrattenimenti di vario genere. 41 42 DI FILIPPO BALESTRAZZI 2007, pp.73-102 Per quanto riguarda i “kouroi Milani”: NASO 2000, p. 249; DI FILIPPO BALESTRAZZI 2007, pp. 73-102; LUNI 2007, pp. 15-64; per il Kouros di Pioraco: BRACCESI, LUNI 2004, pp. 18-19; LUNI 2007, pp. 15-64; per i kouroi e le korai miniaturistici in osso: LUNI 2007, pp. 15-64 20 ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE • AA. VV. 1992 = AA. VV., “La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi. Ancona 10/13 luglio 1988”, Ripatransone 1992 • AA. VV. 1999 = Piceni popolo d’Europa. Catalogo della mostra di Francoforte, Ascoli Piceno, Teramo, Roma 1999 • AA. VV. 2000 = AA. VV., I Piceni e l’Italia medio-adriatica. 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