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2015 IV serie - anno V, 2015 Spedizione postale gruppo IV 70% SilvanaEditoriale 1 IV serie - anno V, 2015 IV serie - anno V, 2015 SilvanaEditoriale Arte medievale Periodico annuale IV serie - anno V, 2015 - ISNN 0393-7267 © Sapienza Università di Roma Direttore responsabile Marina Righetti Direzione, Redazione Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo Sapienza Università di Roma P.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma Tel. 0039 06 49913409-49913949 e-mail: artemedievale@uniroma1.it www.artemedievale.it I testi proposti per la pubblicazione dovranno essere redatti secondo le norme adottate nella rivista e consultabili nel suo sito. Essi dovranno essere inviati, completi di corredo illustrativo (immagini in .tif o .jpg ad alta risoluzione di 300 dpi in un formato adatto alla leggibilità) e riassunto, per essere sottoposti all’approvazione del Comitato Scientifico al seguente indirizzo: artemedievale@uniroma1.it La rivista, impegnandosi a garantire in ogni fase il principio di terzietà della valutazione, adotta le vigenti procedure internazionali di peer review, con l’invio di ciascun contributo pervenuto, in forma anonima, a due revisori anch’essi anonimi. Il collegio stabile dei revisori scientifici della rivista, che si avvale di studiosi internazionali esperti nei diversi ambiti della storia dell’arte medievale, può essere di volta in volta integrato con ulteriori valutatori qualora ciò sia ritenuto utile o necessario per la revisione di contributi di argomento o taglio particolare. La Direzione della rivista conserva, sotto garanzia di assoluta riservatezza, la documentazione relativa al processo di valutazione, e si impegna a pubblicare con cadenza regolare sulla rivista stessa l’elenco dei valutatori che hanno collaborato nel biennio precedente. Autorizzazione Tribunale di Roma n. 241/2002 del 23/05/2002 In copertina: Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 124 Inf, f. 214r, particolare. Distribuzione Silvana Editoriale Via de’ Lavoratori, 78 20092 Cinisello Balsamo, Milano Tel. 02.453951.01 Fax 02.453951.51 www.silvanaeditoriale.it Direzione editoriale Dario Cimorelli Coordinamento e grafica Piero Giussani Stampa e rilegatura Grafiche Aurora Verona Finito di stampare nel gennaio 2016 Comitato promotore F. Avril, B. Brenk, F. Bucher, A. Cadei, W. Cahn, V.H. Elbern, H. Fillitz, M.M. Gauthier, C. Gnudi, L. Grodecki, J. Hubert, E. Kitzinger, L. Pressouyre, M. Righetti, A.M. Romanini, W. Sauerländer, L. Seidel, P. Skubiszewski, H. Torp, J. White, D. Whitehouse Comitato direttivo M. Righetti, A.M. D’Achille, A. Iacobini, A. Tomei Comitato scientifico F. Aceto, M. Andaloro, F. Avril, X. Barral i Altet, M. Bonfioli, G. Bonsanti, B. Brenk, C.A. Bruzelius, S. Casartelli Novelli, M. D’Onofrio, J. Durand, V.H. Elbern, F. Gandolfo, A. Guiglia, H.L. Kessler, J. Mitchell, E. Neri, G. Orofino, A. Peroni, P.F. Pistilli, P. Piva, F. Pomarici, A.C. Quintavalle, R. Recht, S. Romano, A. Segagni, H. Torp, G. Valenzano, G. Wolf Redazione R. Cerone, A. Cosma, C. D’Alberto, B. Forti, M.T. Gigliozzi, F. Manzari, S. Moretti, M.R. Rinaldi, E. Scungio ANVUR: A SOMMARIO CRITICA 9 The Milan Five-Part Diptych as a Manifestation of Orthodoxy Zuzana Frantová MATERIALI 277 Il mosaico trasformato: un pavimento di una villa tardoantica nella Toscana costiera Elisabetta Giorgi, Enrico Zanini 27 «In summo montis cacumine»: il monastero di S. Silvestro al Soratte Elisabetta Scungio 59 Architettura dell’età ottoniana in Italia: il deambulatorio e il culto delle reliquie Carlo Tosco 87 Oxford, Magdalen College, MS. Gr. 3: Artistic Practice, Byzantine Drawings and Mobility in Mediterranean Painting around 1200 Manuel Castiñeiras 101 «Iustitia, maiestas, curialitas». Oldrado da Tresseno e il suo ritratto equestre nel broletto di Milano Saverio Lomartire 137 Un portale abruzzese dimenticato Francesco Gandolfo 153 S. Nicola di Trisulti: un insediamento certosino femminile? Valeria Danesi NOTIZIE E RECENSIONI 297 Ricordo di Italo Furlan Enrico Zanini 300 Ricordo di Enrico Castelnuovo Fabrizio Crivello 302 J.-B.-L.-G. Séroux d’Agincourt e la storia dell’arte intorno al 1800 Convegno internazionale di studi Roma, Accademia di Francia - Villa Medici, 23-24 settembre 2014 Ilaria Sgarbozza 303 Anna Delle Foglie, La cappella Caracciolo del Sole a San Giovanni a Carbonara Milano, Jaca Book, 2011 Gaetano Curzi 304 Richard Hodges, Sarah Leppard, John Mitchell, San Vincenzo Maggiore and its Workshops London, British School at Rome, 2011 165 Presenze cistercensi ad Amalfi: il caso controverso dell’abbazia di S. Pietro a Toczolo Nicola Caroppo 183 «Inexpugnabile est». Pierre D’Agincourt, il presidio di Ripa di Corno e la città di Leonessa Roberta Cerone 197 Cimabue reconsidered Joseph Polzer 225 Un’ulteriore traccia per l’attività a Brescia del Maestro di Santa Anastasia e della sua bottega: l’urna del giudice Corrado Fogolini Massimo Medica 235 Interferenze francesi nella produzione dei codici di lusso a Pavia sullo scadere del Trecento e qualche apertura sul primo Michelino da Besozzo Roberta Delmoro 261 Le affinità di Dufourny Maria Giulia Aurigemma Carmine Comunale 305 Decretales pictae. Le miniature nei manoscritti delle Decretali di Gregorio IX (Liber Extra) Atti del colloquio internazionale tenuto all’Istituto Storico Germanico, Roma 2010, Roma, Università degli Studi Roma Tre, 2012 Lola Massolo 307 Inés Monteira Arias, El enemigo imaginado. La escultura románica hispana y la lucha contra el Islam Toulouse, CNRS – Université de Toulouse-le Mirail Gaetano Curzi 308 Gaetano Curzi, Santa Maria del Casale a Brindisi. Arte, politica e culto nel Salento angioino Roma, Gangemi Editore, 2013 Simona Moretti 310 Pintar fa mil anys. Els colors i l’ofici del pintor romànic dir. M. Castiñeiras, J. Verdaguer Universitat Autònoma de Barcelona, 2014 Marco Rossi UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO Francesco Gandolfo A l mezzo della parete di fondo [1] del portico che si apre sotto la facciata della seicentesca chiesa di S. Antonio a Rapino, divenuta in tempi recenti auditorium comunale, è sistemato un portale che nulla ha a che vedere con l’edificio in quanto, come mostrano i suoi caratteri formali, risale a un’epoca decisamente più antica rispetto a quella della costruzione 1 che lo ospita. È notizia corrente che il portale provenga dalla vicina abbazia benedettina di S. Salvatore alla Maiella e che sia stato trasferito nella chiesa in tempi relativamente recenti, anche se in proposito non esistono indicazioni certe su quando l’operazione sia effettivamente avvenuta e su chi l’abbia condotta.2 Sta di fatto che la situazione appartata e decontestualizzata in cui il portale si è venuto a trovare ha fatto sì che la sua testimonianza non sia mai entrata nelle discussioni intorno alla scultura medievale in Abruzzo.3 L’abbazia di S. Salvatore alla Maiella è scomparsa da molto tempo: sul sito dove si disponevano gli ambienti conventuali si colgono oggi solo scarse tracce di murature che non permettono una ricostruzione puntuale dell’insieme originario.4 La situazione di degrado ha del resto origini antiche se già nel 1598 un visitatore apostolico poteva descrivere l’abbazia come «fere totam ruinosam, collapsam et ferarum receptaculum».5 In quella stessa occasione però egli era ancora in grado di precisare che «sub ecclesia superiori adest altera inferior, parvis columnis marmoreis sustentata», segno che, malgrado lo stato di abbandono, le strutture restavano ancora in piedi e che era riconoscibile la presenza di una chiesa dotata di cripta che dovrebbe essere l’edificio da cui proviene il portale conservato oggi a Rapino. Della esistenza di una chiesa abbaziale, realizzata entro il 1040, si ha notizia da quella che solo impropriamente può essere definita una autobiografia del priore Giovanni che fu in carica fino a quell’anno, a partire dal 1010. Chi ha redatto il testo fa parlare il personaggio in prima persona nella didascalia che accompagna il suo ritratto all’interno del Liber instrumentorum del monastero, un codice realizzato intorno al 1220 che raccoglie prevalentemente, ma non solo, la documentazione relativa alle acquisizioni di beni operate dall’abbazia tra XI e XII secolo.6 Il passaggio significativo è là dove si fa dire al priore Giovanni che «dicti monasterii regimina suscipiens, ecclesiam parvam et obscuram, ac edificia omnia lignea et vetusta inveni: sed Domino cooperante, maiorem ecclesiam et in ea tria edificavi altaria; edificia vero cuncta lapidibus con7 struxi». Nella prima metà dell’XI secolo venne dunque costruita una chiesa a sostituzione di una precedente di modeste dimensioni, ma nulla prova che sia questo l’edificio dotato di cripta visto nel 1598 dal visitatore apostolico. In proposito occorre considerare che nella prima metà dell’XI secolo S. Salvatore alla Maiella era ancora un semplice priorato benedettino e che fu solo nel secolo successivo che, in virtù di un numero cospicuo di donazioni, il suo patrimonio fondiario e le sue dipendenze si incrementarono a un punto tale da vedersi riconosciuta la dignità abbaziale, come si evince da una bolla di Alessandro III del 1175 in cui per la prima volta Trasmondo che in quel momento reggeva l’abbazia viene individuato con il titolo di abate.8 È con la metà del Duecento che prende avvio una crisi irreversibile del monastero determinata tra l’altro dai continui attacchi alle sue proprietà da parte della nobiltà locale. Significativo di questa situazione di precarietà è un documento del 1271 da cui si evince che «Monasterium supradictum fore gravatum magne quantitatis pecunie debito sub usuris, in cujus debiti exhoneratione, et in luendis vasis sacris, et aliis bonis dicti Monasterii pignore obligati pro debito supradicto, videlicet Crucibus argenteis, Calicibus, Thuribulis argenteis, et Testu Evangelii, pro emendo frumento pro alimentis Monachorum, et familia dicti Monasterii, ne fame pereant, et reparationem domorum dicti Monasterii, que reparatione maxima indigebant».9 Per porre rimedio a questo stato di cose, nel 1291 il monastero venne aggregato al capitolo vaticano, ciò malgrado il suo declino 137 FRANCESCO GANDOLFO fu inarrestabile, fino ad arrivare alle condizioni di abbandono descritte in precedenza.10 Nella condizione attuale il portale presenta una struttura relativamente semplice. Privo di lunetta, ha un archivolto formato da tre ghiere concentriche di cui solo la più esterna presenta un ornato. Alle tre ghiere corrisponde una strombatura composta da due stipiti intervallati da una colonnina sistemata in corrispondenza dell’angolo formato dal loro incontro e legata a sua volta alla ghiera intermedia dell’archivolto. I due stipiti interni hanno l’angolo smussato dalla presenza di una semicolonnina che si conclude con un semicapitello circondato da uno sguscio, in modo tale che non vi sia continuità con la soprastante ghiera interna dell’archivolto. Questa separazione viene ribadita dallo stacco liscio che divide lo sguscio dalla cornice a palmette che segue, in maniera continua, il percorso della strombatura, prima dell’attacco dell’archivolto, a differenza di quanto avviene nelle porzioni più esterne, dove essa entra direttamente a contatto con gli abaci dei capitelli. Di contro allo stipite più esterno si imposta una seconda colonna, sormontata da un capitello, che visivamente corrisponde, come posizione, alla ghiera più esterna dell’archivolto, quella arricchita da una fitta decorazione. Valutata in questi termini la struttura del portale trova una ragionevole collocazione in linea con la ragione strombata entrata in auge in Abruzzo con l’intervento promosso a S. Clemente a Casauria [2] 11 dall’abate Leonate a partire dal 1176, espressa tuttavia secondo una logica compositiva che fa pensare a un momento decisamente posteriore, ormai duecentesco. Prima però di arrivare a conclusioni di questo genere è bene chiedersi se il portale che vediamo oggi a Rapino sia o meno nella condizione originaria. Malgrado l’apparente organicità, la struttura presenta una serie cospicua di anomalie di cui dovette essere stata responsabile la ricostruzione. La politezza del materiale e la qualità del taglio rendono assai verosimile che siano frutto di restauro non solo le imposte ma anche le colonnine libere che le sormontano, insolitamente prive di ogni forma di base, un dato formale la cui presenza consente invece di far ritenere originaria la semicolonnina corrispondente allo stipite interno. Questo trasmette il crisma della organicità all’intera struttura muraria, aspetto che è confermato anche dalla qualità della tessitura che la compone. A garantire della originarietà nell’andamento della strombatura stanno 138 UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO comunque le due cornici a palmette [3-4] che corrono continue al di sopra dei capitelli, tanto più che la porzione sulla destra presenta anche una compiuta organicità nel rapporto con la struttura sottostante. L’unica sbavatura nel percorso la si coglie sulla sinistra, nel capitello corrispondente alla colonnina più esterna [3], in quanto per un buon tratto non si lega alla cornice soprastante ed è concluso da un abaco vistosamente più alto, rispetto a quello del capitello contiguo, realizzato però eliminando una parte della porzione superiore dell’ornato e andando ad intaccare la soprastante cornice a palmette. Il capitello appare poi vistosamente scalpellato sul lato verso l’esterno, tuttavia non vi sono elementi per ritenere che non facesse parte della struttura, nel senso che deve essere intervenuta nel corso del tempo una sua radicale trasformazione quando era ancora montato nel contesto originario. Situazione che non ha invece coinvolto il capitello corrispondente dalla parte opposta [4] che appare ancora integro, con la decorazione laterale che si lega organicamente alla fronte dello stipite. In questo caso semmai è stata scalpellata la cornice a palmette sovrastante il fianco del capitello che invece, dalla parte opposta, rimane ancora integra. Per quanto doverose sul piano del rilevamento della situazione conservativa, queste osservazioni confermano come ancora sostanzialmente integro, nelle sue linee generali, il sistema compositivo del portale e dunque come originaria la sua tipologia complessiva. Più complicata è la situazione proposta dalla ghiera più esterna dell’archivolto [5]. Intanto sono certamente da espungere dalla situazione antica le due sgarbate mensole laterali, dal secco taglio lineare, sulle quali oggi appoggia, in quanto hanno tutta l’aria di essere inserti dovuti al rimontaggio, funzionali a colmare il percorso del semicerchio che, senza la loro presenza, sarebbe rimasto zoppicante e non avrebbe trovato ragione di accordo con le ghiere più interne e con i sottostanti capitelli delle colonnine più esterne. La situazione è determinata dal fatto che, malgrado l’apparente organicità, la ghiera è in realtà il risultato del montaggio di frammenti disparati e discordanti tra loro. Per cogliere lo stato di fatto si può partire dall’attaco sulla destra [6], caratterizzato dalla presenza di un rovinatissimo telamone nudo di cui si vedono ancora il ventre prominente, vistosamente segnato dall’ombelico, e la tormentata struttura del costato. La figuretta siede con le gambe scompostamente diva- ricate e si regge con le mani ai bordi, sollevando i gomiti verso l’alto. La condizione conservativa assai precaria impedisce di rilevare dettagli che permettano di definire meglio il tipo, anche se tutto lascia pensare che in basso la provvidenziale presenza di una struttura vegetale dall’andamento palmato ne coprisse le pudenda e che in alto il volto, dai lineamenti marcati, provvedesse a far uscire dalla bocca gli attacchi del tralcio che, subito sopra, dà inizio al suo percorso, incrociando le due bande da cui è composto. Poco dopo però il percorso si interrompe perché viene improvvisamente a mancare il coordinamento con il tratto successivo del tralcio, tanto è vero che chi ha provveduto alla ricomposizione dell’insieme, forse per attenuare il senso dello stacco, ha inserito in questo punto una sorta di tavoletta di separazione. Al di là di questa porzione iniziale segue un tratto 3. Rapino, S. Antonio, portale, capitelli di sinistra. 4. Rapino, S. Antonio, portale, capitelli di destra. Pagina a fronte: 1. Rapino, S. Antonio, portale. 2. Casauria, S. Clemente, portale centrale. 139 FRANCESCO GANDOLFO 5. Rapino, S. Antonio, portale, ghiere dell’archivolto. 6. Rapino, S. Antonio, portale, ghiera esterna dell’archivolto, particolare. 7. Rapino, S. Antonio, portale, ghiera esterna dell’archivolto, particolare. 8. Rapino S. Antonio, portale, ghiera esterna dell’archivolto, particolare. 140 UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO 9. Rapino, S. Antonio, portale, ghiera esterna dell’archivolto, particolare. 10. Rapino, S. Antonio, portale, ghiera esterna dell’archivolto, particolare. abbastanza lungo di cornice [7] che arriva fin quasi al culmine dell’arcata e che, a prima vista, sembra regolare ed omogeneo, in quanto caratterizzato dallo stesso tipo di decoro, un doppio tralcio che sale, intrecciandosi in ampie e cadenzate volute, accompagnate da fogliette palmate, poste ai lati dei punti di incrocio, e da ampie foglie a ventaglio che, allacciandosi anch’esse l’una con l’altra, vanno ad occupare lo spazio interno delle volute. In realtà se si segue il percorso segnato dal doppio tralcio si scopre che la sequenza è formata da quattro frammenti, fisicamente separati l’uno dall’altro e disposti in maniera alternata, come rivela l’andamento volta a volta invertito delle foglie. Tra l’altro, se tre frammenti sono omogenei tra loro, uno, quello disposto in seconda posizione a partire dal basso, ha tipo, forma e dimensioni, sia delle fogliette palmate sia delle grandi foglie all’interno della voluta, completamente diverse rispetto agli altri. Subito dopo è stato inserito un breve frammento [8] con la figuretta di un uomo nudo, seduto su un tralcio di vite al quale si tiene abbarbicato con entrambe le mani, stando a braccia spalancate. Gli aspetti singolari dettati dalla situazione sono diversi. Intanto l’omino si mostra capovolto rispetto a quello che è l’attuale obbligato punto di osservazione della ghiera. La qualità formale degli elementi vegetali che lo accolgono è completamente diversa, più morbida, carnosa e naturalistica, rispetto al secco intreccio lineare che segna di sé i frammenti precedenti. Infine subito dopo questo frammento è stato inserito un brevissimo tratto del tralcio della porzione precedente, niente più di un punto di incrocio delle volute, accompagnato dalle palmette laterali, con l’evidente funzione di zeppa che consentisse la prosecuzione della circonferenza. Malgrado che negli ornati non vi sia nessuna continuità, chi ha provveduto al montaggio ha cercato di mascherare al massimo la mancanza di coordinamento tra un frammento e l’altro. Questo stato di cose lo si coglie bene nella sequenza successiva formata da cinque frammenti. Il primo [8] presenta il breve tratto di un tralcio di vite il quale circonda una foglia dall’andamento slargato a ventaglio e, a sua volta, viene chiuso all’interno di una ininterrotta sequenza 141 FRANCESCO GANDOLFO 11. Rapino, S. Antonio, portale, capitello interno sulla sinistra. 12. Rapino, S. Antonio, portale, capitello esterno sulla sinistra. 13. Corfinio, S. Pelino, pulpito, capitello. di foglie più piccole che gli si avvolgono intorno alla canna: la qualità formale degli elementi vegetali torna ad essere quella morbida e carnosa del frammento precedente con l’omino nudo. Subito dopo, senza che vi sia un collegamento organico tra le due parti, è inserito un brevissimo frammento con la figuretta di un uomo che coglie dei frutti da un albero, questa volta disposto correttamente rispetto al punto di visione della ghiera, situazione che invece si capovolge immediatamente dopo [9], là dove viene collocato un ulteriore brevissimo frammento di cornice con un uccello che becca i frutti di una pianta. Tutti e tre questi frammenti sono omo142 genei tra loro come qualità formale e si legano al frammento visto in precedenza con l’omino nudo. A questo punto del percorso, come era già accaduto prima, è stato disposto un brevissimo frammento del tralcio secco e lineare, l’intrecciarsi di due foglie palmate interne alle volute, prima di inserire l’ultimo frammento figurato, ancora una volta il breve tratto di un tralcio di vite con un uccello e un piccolo serpe che addentano avidamente un grappolo, il tutto nuovamente capovolto rispetto alla logica di visione della ghiera. Si arriva così al tratto conclusivo [10], con la ripresa dello stilizzato intreccio vegetale in simmetria con quanto avviene dalla parte opposta del percorso. Anche in questo caso si è giunti al risultato finale montando in sequenza quattro frammenti i cui ornati, solo in apparenza, hanno una continuità diretta. Anche nella ragione distributiva delle diverse componenti si ripetono le stesse situazioni, quasi che si fosse cercata una voluta simmetria con la parte opposta, nel senso che, percorrendo la sequenza a scendere, il secondo frammento, pur argomentandosi nei termini generali secondo lo stesso disegno di quello che lo precede, presenta una resa dell’ornato più morbida e dettata da tipologie di foglie diverse, simili però a quelle esistenti nel frammento in analoga situazione dalla parte opposta [7], mentre il terzo frammento, pur essendo to- UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO talmente identico al primo, inverte l’andamento dell’ornato. Si arriva così all’ultimo frammento, malamente congiunto al precedente per via della inversione nell’andamento dell’ornato. Già in origine questo frammento doveva svolgere la funzione di fattore conclusivo del percorso perché vede il doppio tralcio innestarsi in qualcosa che ha ormai perduto buona parte della sua forma, anche se ciò che resta suggerisce una soluzione vegetale simile a quella che, dalla parte opposta, si dispone tra le gambe del telamone, confermando la presenza solo in quel caso di tale figura grottesca, ma impedendo di valutare se anche qui vi fosse una più articolata argomentazione formale ad accompagnare la nascita o la conclusione del percorso decorativo. Con però una differenza che vale la pena di notare: mentre sulla destra [6] la figuretta del telamone è accompagnata da una cornice che si curva al di sotto del suo piede sinistro e che riprende la soluzione [4] presente intorno al capitello della semicolonnina incassata nel sottostante stipite interno, dalla parte opposta il percorso è concluso da un secco taglio in sbieco della pietra, situazione che ritorna anche nel sottostante capitello [11], con una mutazione della forma primitiva che si accompagna a quella già rilevata nel capitello all’esterno del gruppo, alterazioni in entrambi i casi subite dal portale o già in antico o all’atto del rimontaggio. 14. Casauria, S. Clemente, portico, capitelli. 15. Atri, cattedrale, capitello. Al termine di questa ricognizione è inevitabile formulare una prima valutazione: se per quel che riguarda gli stipiti con i relativi capitelli, al di là delle verosimili integrazioni, il portale sembra avere conservato una sostanziale organicità, altrettanto non si può dire per l’archivolto. L’impressione che si trae dalla sua analisi è che sia stato realizzato montando insieme, con notevole abilità, frammenti incoerenti tra loro e verosimilmente provenienti da membrature diverse, quanto meno per forme e per andamento dell’ornato. Si tratta ora di vedere quali considerazioni si possono ricavare dalla valutazione delle loro ragioni stilistiche. I sei capitelli legati 143 FRANCESCO GANDOLFO 16. Caramanico, S. Tommaso, facciata, finestrone. 144 al sistema di strombatura del portale [3-4] si propongono come un insieme omogeneo, impegnato a reinterpretare il tipo del corinzio. I modi e gli esiti sono volta a volta diversi, ma la logica che li governa è sempre la stessa. In genere si parte da una corona di foglie di acanto di base, dalle forme seccamente ritagliate e aperte verso l’esterno, per poi innestare al centro delle facce, tra una foglia e l’altra, un caulicolo, spesso connotato da una forma a tortiglione, dal quale far uscire due foglie dall’andamento divaricato che prendono il posto delle volute presenti nel modello antico. Se questo può essere colto come lo schema base, occorre subito notare come vi sia, nella sua applicazione, un ricco variare di soluzioni. Nel capitellino più interno sulla sinistra [11], su entrambi i lati, a una stesura abbastanza rigorosa dello schema provvede a dare vitalità la presenza di un uccello che becca la pigna che esce dal punto di divaricazione delle foglie, al di sopra del caulicolo, ed è significativa la disinvolta capacità di improvvisazione del lapicida che, non avendo spazio a sufficienza per interpretare la forma nella sua compiutezza, la dimezza e riduce la voluta esterna a una foglia piegata su se stessa. Interprete pienamente convinto del motivo è il capitello intermedio [3], mentre il più esterno [12] lo sviluppa raddoppiandolo e intensificandone al massimo l’enfasi grafica e lo stacco delle forme rispetto alla campana interna. Le foglie con funzione di voluta scendono verso il basso accompagnando, con un andamento a ventaglio, la forma allungata del caulicolo a tortiglione, mentre una pigna, ripetuta anche al mezzo, segna i punti di divaricazione. Ci si trova in questo caso davanti a una soluzione che ha un marcato retroterra visto che fa la sua prima comparsa in un capitello [13] del pulpito della cattedrale di San Pelino a Corfinio, dove si 12 propone in forme di ancora carnosa vitalità. Il passaggio successivo lo si ha nel portico [14] della abbazia di S. Clemente a Casauria dove la sodezza delle forme non riesce a frenare la sostanziale linearità delle scelte, dopo di che la progressiva schematizzazione della soluzione appare decisamente compiuta nei due capitelli [15] che, nella cattedrale di Atri, si dispongono nei semipilastri all’attacco del partito absidale e che devono appartenere a una fase edilizia antecedente rispetto a quella che caratterizza l’edificio attuale.13 Una versione estremamente semplificata e impoverita del tipo la si trova infine variamente utilizzata nei portali e nel finestrone di facciata [16] della chiesa di S. Tommaso a Caramanico dove ogni sua componente viene ridotta all’essenziale da una sobria e insistita linearità.14 Tuttavia, con la sua doppia ghiera retta da colonnine a inquadrare l’archivolto collegato a un sistema architravato, il finestrone mostra come l’idea organizzativa lanciata dal portale della abbazia di S. Clemente a Casauria si vada affermando. Il pregio del monumento è infatti quello di avere una data, il 1202, scritta sull’architrave del portale laterale di destra, che è un termine di riferimento utile proprio al fine di inquadrare nel tempo la diffusione di quel tipo di soluzione, sia per quanto riguarda i capitelli sia per il portale di Rapino nel suo insieme, tenuto conto che gli esempi citati in precedenza rientrano tutti nell’arco dell’ultimo ventennio del XII secolo. Altrettanto significativo è il blocco dei capitelli sulla destra [4], a partire da quello interno [17], che ancora una volta mette in mostra una sciolta disinvoltura esecutiva. La soluzione decorativa è la stessa presente nell’omologo [11] dalla parte opposta, con però alcune vistose varianti. Sul lato frontale dal caulicolo escono ben quattro diversi tipi di foglia: quella sulla destra aperta a ventaglio, le due al centro lanciate verso l’alto e ripiegate all’interno con due UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO 17. Rapino, S. Antonio, portale, capitello interno sulla destra. 18. Rapino, S. Antonio, portale, capitello intermedio sulla destra. 19. Penne, cattedrale, paliotto dell’altare maggiore. riccioli convergenti, quella sulla sinistra distesa verso il centro. Con una disinvoltura grafica di insolito prestigio, lo scultore ha infatti immaginato che questa foglia vada a intrecciarsi sull’angolo con la sua omologa della faccia contigua, grazie a un peduncolo che, nascendo dai rispettivi caulicoli, fa loro da generatore in corrispondenza dell’angolo, dove entrambe, con un guizzo repentino, si rivoltano verso il centro delle rispettive facce, dopo essersi allacciate l’una con l’altra. A questa complessa argomentazione corrisponde sulla fronte interna una soluzione altrettanto significativa perché dal caulicolo salgono verso l’alto due foglie accartocciate del tipo presente nel capitello del pulpito di S. Pelino a Corfinio [13] e poi nel portico di S. Clemente a Casauria [14], a conferma di una remota filiazione da quel contesto, mentre subito a sinistra, a testimonianza della notevole disinvoltura compositiva, una larga foglia disposta a ventaglio va a occupare lo spazio restante fino al bordo. Il capitello successivo [18] non rompe lo schema ma lo ripropone sulla base di un lessico 145 FRANCESCO GANDOLFO 20. Pianella, S. Maria Maggiore, facciata, rosone. 21. Casauria, S. Clemente, interno, capitello di un pilastro. 22. Rapino, S. Antonio, portale, capitello esterno sulla destra. totalmente nuovo. Il tratto marcante è rappresentato dalla sostituzione della corona di base di foglie di acanto con due ampie e rigonfie foglie palmate che, muovendo dal punto dove, sull’angolo, vanno a lambirsi le foglie che svolgono la funzione di volute, scendono verso il basso, allargandosi progressivamente e affermando visivamente un senso di distacco e di autonomia rispetto alla campana interna di cui annullano la presenza. A separarle tra loro e rispetto agli angoli provvedono delle foglie paripennate lunghe e strette che vanno a generare il caulicolo da cui poi partono le foglie che, con le sole penne inferiori, formano le volute d’angolo. Nel suo insieme la soluzione rientra nel quadro generale proposto dal tipo analizzato in precedenza, con in più la considerazione che la foglia allungata e rigonfia verso l’esterno non è altro che una estrapolazione da una scelta decorativa che si era affermata in Abruzzo sul finire del XII secolo sulla scorta dei modelli arrivati dalla Terra Santa. In ambito locale la testimonianza più antica, entro il 1190, dell’uso di questo tipo di foglia la si ha nel paliotto [19] dell’altare maggiore della cattedrale di S. Massimo a Penne, dove viene proposta nella sua versione originaria di tralcio ondulante in cui, in virtù del separarsi in direzioni opposte di due foglie nascenti da un comune bocciolo, si crea, con il rincorrersi delle componenti, un meccanismo rotante di vistoso dinamismo.15 La soluzione gode negli anni 146 UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO 23. Bominaco, S. Maria, pulpito, capitello. 24. Manoppello, S. Maria d’Arabona, capitello. 25. Pianella, S. Maria Maggiore, Acuto, pulpito, pilastrino d’angolo. 26. Manoppello, S. Maria d’Arabona, capitello. successivi di notevole fortuna: in forme ancora ariose e movimentate impronta di sé lo stipite sinistro del portale e il rosone [20] di S. Maria Maggiore a Pianella,16 ricompare nell’architrave della chiesa di S. Maria di Costantinopoli a Corvara17 e segna infine due capitelli [21] dei pilastri della navata di S. Clemente a Casauria18 in una versione più rigida, sintetica e lineare rispetto alle precedenti, assai utile e significativa nel fare riconoscere il percorso attraverso il quale si arriva a Rapino a estrapolare la singola foglia rigonfia e staccata dal fondo come fattore costruttivo del capitello. Si giunge così all’ultimo capitello [22], quello esterno sulla destra, il quale costruisce il suo apparato compositivo attraverso una trama complessa, simile e insieme diversa rispetto a quella dei precedenti. Intanto reintroduce la corona di foglie di acanto e la arricchisce alla base, solo però sulla parte frontale, con il motivo di due uccelli che beccano da un vaso, un tema che non è estraneo alla tradizione locale visto che compare in un capitello [23] del pulpito di S. Maria di Bominaco, datato epigraficamente al 1180.19 Al centro di ogni faccia è impostato il solito caulicolo a tortiglione che questa 147 FRANCESCO GANDOLFO 27. Giulianova, S. Maria a Mare, portale. 148 volta genera due grandi foglie dall’andamento complesso e movimentato. Nel senso che una porzione delle penne, lunghe e parallele, sale diritta fino all’angolo dell’abaco dove si piega su se stessa, in maniera secca e tagliente, rivoluzionando il sistema di creazione della voluta che si è affermato negli altri capitelli, visto che le membrature solitamente chiamate a svolgere questo compito vengono impiegate al di sotto in una funzione squisitamente decorativa. L’insieme dei capitelli del portale mostra dunque una compiuta e organica coerenza di progettazione, muovendosi sulla scorta di soluzioni ampiamente sperimentate in alcuni dei cantieri più significativi della fine del XII secolo, tra l’altro presenti, nella maggior parte dei casi, nell’area territoriale di interesse del monastero o legati ad esso da ragioni di rivalità, in relazio- ne alla possibile acquisizione delle donazioni, come S. Clemente a Casauria.20 Il confronto con le sculture presenti in S. Tommaso a Caramanico è anch’esso significativo perché, oltre a fornire un termine cronologico per la evoluzione in chiave di secca grafia lineare di quei motivi, si propone come una buona ragione di riferimento per valutare come, sul cantiere di S. Salvatore alla Maiella, ci si muovesse certo nella stessa direzione, ma lo si facesse con una capacità di elaborazione delle forme e con una fantasia organizzativa totalmente nuove e diverse che portavano a risultati qualitativamente molto più alti. Lo suggerisce il fatto che alcune delle soluzioni presenti nel portale trovano un termine di confronto in scelte decorative operate, sia pure in un contesto grafico e formale qualitativamente diverso, nei capitelli della vicina abbazia cistercense di S. Maria d’Arabona, in piena vicenda costruttiva tra secondo e terzo 21 decennio del Duecento. Rientra in questo ordine di cose il tema della foglia gonfia, staccata dal fondo e piegata su se stessa verso l’esterno che è motivo ricorrente nel monumento cistercense [24] dove lapicidi locali dovettero operare sotto la tradizionale guida monastica, arrivando a una sintesi formale di straordinaria originalità inventiva che, tra suggestioni francesizzanti ed echi della tradizione locale, compone quella che si potrebbe definire una versione in dialetto abruzzese del capitello a crochet. Dal confronto ovviamente non scaturisce nessun legame diretto tra i due cantieri ma piuttosto la constatazione di un comune sentire nelle ragioni decorative della scultura architettonica che mette in risalto la capacità innovativa degli scultori del portale di S. Salvatore, anche rispetto alla tradizione nella quale si dovevano essere formati. Le caratteristiche che segnano di sé i capitelli ritornano nelle porzioni della ghiera dell’archivolto [7, 10] decorate con il motivo del doppio tralcio che, intrecciandosi con regolarità in una serie progressiva di passaggi, vede due foglie aprirsi a ventaglio ai lati del nodo di base e altre due, lunghe e simmetriche, con le penne separate da una pigna, disporsi allacciate all’interno del tondo che in questo modo si crea nel percorso. Ancora una volta, sul piano squisitamente grafico, la soluzione trova un termine puntuale di confronto nella produzione sul finire del XII secolo: anzitutto, per quanto riguarda i contenuti formali della voluta, in un capitello [14] del portico di S. Clemente a Casauria, poi, per il UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO criterio complessivo del dispiegamento formale, in un pilastrino d’angolo [25] del pulpito di S. Maria Maggiore a Pianella, realizzato in quello stesso momento da maestro Acuto.22 I termini compositivi sono assolutamente gli stessi, ciò che fa la differenza tra i due casi è la ragione esecutiva. A Pianella il motivo è improntato a una carnosa sostanza delle forme che è invece l’aspetto che viene volutamente lasciato decantare nel portale di Rapino, per dare spazio a una resa secca e lineare che rivela bene le sue intenzioni grazie al solco che percorre, con convinta continuità, il corpo del tralcio, appiattendolo e ricomponendolo in due bande, quasi a evocare soluzioni tipiche di tempi più antichi. L’operazione ancora una volta ha come risultato la separazione quasi violenta del tralcio rispetto al fondo e il suo abbandonarsi a una vita autonoma e tridimensionale che, anche sotto questo aspetto, trova effetti che ritornano nella scultura dei capitelli di S. Maria d’Arabona [26], a conferma della modernità degli esiti e della sintonia esistente, nel cantiere cistercense, con lo spirito decorativo dei lapicidi attivi nella zona. Già si è visto in precedenza come nel montaggio attuale dei frammenti caratterizzati dalla presenza di questo motivo decorativo esistano due anomalie. I pezzi non sono tutti omogenei, nel senso che in due, pur essendo il motivo lo stesso, la ragione formale della sua resa è diversa, soprattutto per quanto riguarda le foglie chiuse all’interno delle volute, che si mostrano con cinque penne aperte a ventaglio, mentre negli altri casi sono formate da una fitta sequenza di penne accostate le une alle altre, così da creare un insieme compatto che si movimenta piegando su se stesso il bordo esterno. L’altra anomalia è l’andamento inverso nello svilupparsi del motivo del tralcio che alcuni frammenti mostrano rispetto ad altri. In proposito però è possibile solo avanzare delle ipotesi. È evidente che chi ha rimontato il portale, per la parte relativa all’archivolto, si è trovato davanti a una pesante carenza di materiale antico e ha cercato di supplirvi legando insieme elementi provenienti da partiti differenti. Allo stato attuale abbiamo a disposizione due attacchi di ghiera, quello sulla destra con il telamone [6-7] e quello sulla sinistra [10] con solo l’elemento vegetale, e sette frammenti di decoro a intreccio, cinque di un tipo e due di un altro, più due piccoli frammenti intervallati nella parte sommitale della curva ad altri di ragione formale totalmente diversa. Nulla osta che tutti questi elementi, caratterizzati dal lineare intreccio del tralcio, fossero montati in un percorso unico, ovviamente con l’aggiunta di altri andati perduti, immaginando che in virtù di opportuni spostamenti tutte le membrature si muovessero nella stessa direzione e che la diversità nel tipo delle foglie fosse frutto di una voluta alternanza. Ovviamente si tratta di una ipotesi per la quale manca qualunque possibilità di conferma e come tale al momento occorre lasciarla, perché non vi è alcuna possibilità di escludere che al contrario esistessero nel portale due ghiere con lo stesso motivo decorativo realizzato in due modi differenti. Un’altra considerazione da fare, in attesa che emerga qualche documento relativo ai tempi e ai modi della ricostruzione attuale del portale, è che non possiamo essere affatto sicuri che la forma con la quale si presenta oggi sia quella 28. Atri, cattedrale, Raimondo di Podio, portale. 149 FRANCESCO GANDOLFO originaria. Se per la strombatura esistono delle ragioni sostanziali a confermarne l’antichità della conformazione, prima tra tutte il fatto che i capitelli sono stati ricavati direttamente dai conci che vanno poi a comporre la retrostante muratura, analoghe valutazioni non sono possibili per l’archivolto. Nulla assicura che il portale fin dall’origine fosse privo di architrave e di lunetta: la loro assenza, nella condizione attuale, potrebbe essere stata imposta, a chi lo ha ricostruito, dalla necessità di adattarlo all’andamento delle volte del portico nel quale veniva ad essere collocato, come mostra il fatto che per poterlo montare [1] si sono dovute scalfire le nervature della soprastante crociera e incidere i punti di ricaduta delle arcate trasverse che la contengono. L’ipotesi della presenza di un architrave e di una lunetta è da tenere in conto proprio a fronte della realtà attuale del materiale. Già si è visto che chi ha montato il portale ha creato la ghiera decorata ponendo in sequenza materiali non coerenti tra loro e compensando le carenze, nei due punti di ricaduta, con pezzi in neutro realizzati allo scopo. Nulla dunque esclude che le due ghiere interne non decorate [5] siano frutto anch’esse della ricomposizione e non abbiano nulla a che vedere con la struttura originaria del portale. Se, come si è visto poc’anzi, per le parti della ghiera attuale segnate dalla nodosa presenza del tralcio è anche possibile arrivare a pensare a una collocazione unitaria, in quel contesto non possono certamente trovare posto le porzioni caratterizzate da un decoro figurato. Le ragioni quasi ovvie che impongono questa considerazione derivano anzitutto dal fatto che in due casi le immagini hanno un improbabile andamento capovolto [8-9]. Pesa poi sulla questione la marcata differenza, rispetto all’altro, delle ragioni compositive del tralcio all’interno del quale le figurette che lo abitano sono collocate. Per quello che sembra possibile capire dai pochi resti, il tralcio in questo caso era unico, del tipo vitineo fasciato da foglie che si avvolgono intorno alla canna e sviluppato secondo un percorso ondulatorio con, al fondo, un sapore naturalistico assente nell’altro, anche se non gli è estraneo come qualità di fattura: lo dimostra il fatto che là dove, nelle anse, si dispongono delle foglie aperte queste non sono diverse da quelle presenti nelle altre zone, specialmente da quelle dei due tratti con le foglie palmate all’interno delle anse. Quanto poi agli uccellini che beccano i grappoli sono parenti di quelli presenti nei capitelli e dunque non vi sono ragioni 150 per pensare che questo piccolo gruppo di frammenti non provenga dallo stesso portale di cui facevano parte gli altri. Con l’inevitabile pregiudiziale che dovessero certamente appartenere a un’altra ghiera. Ovviamente, per poterla portare avanti, occorre conciliare questa ipotesi con il fatto che oggi alcuni frammenti si mostrano capovolti. Anche questo gruppo di frammenti ha dalla parte esterna il largo bordo conclusivo che li accomuna a tutti gli altri e che, in virtù della medesima altezza, ha permesso il loro sia pur disordinato montaggio in un’unica ghiera. Questo conferma che dovevano comunque fare parte dello stesso portale degli altri e soprattutto che, rispetto all’andamento dell’arcata dovevano essere disposti nello stesso verso con il quale appaiono oggi. Non è però credibile che i frammenti che mostrano il loro soggetto capovolto lo facessero già in origine, tanto più che almeno in una occasione [9], quella dell’omino seduto e colto mentre afferra un grappolo, il verso è corretto. L’unica ipotesi proponibile, in vista di una possibile soluzione del problema, è che i frammenti attualmente capovolti fossero posti nelle zone laterali della ghiera, poco sopra gli attacchi, in modo tale che i loro contenuti assumessero un andamento trasversale, compatibile con le dinamiche dei soggetti rappresentati e con il loro punto di visione. Questo si concilia anche con il fatto che la situazione descritta dai frammenti superstiti lascia intendere che, al momento del recupero, mentre gli stipiti del portale dovevano essere ancora in piedi, il sistema soprastante doveva essere ormai andato completamente perduto, ridotto a pochi e sparsi frammenti, probabilmente in condizione erratica. Solo ragionando in questi termini si può ammettere l’esistenza nel portale di una seconda ghiera decorata. Nulla ci può confermare se nel portale ve ne fosse una terza, anche se la cosa come si è visto allo stato attuale dei resti sarebbe possibile, e se vi fossero un architrave e una lunetta con una eventuale decorazione. Resta in ogni caso il fatto che l’insieme dei confronti suggeriti da ciò che resta porta a ipotizzare una realizzazione del portale tra il terzo e il quarto decennio del Duecento, in un momento in cui l’abbazia aveva ancora le disponibilità economiche necessarie per sostituire la chiesa di XI secolo del priore Giovanni con l’edificio dotato di cripta visto dal visitatore apostolico nel 1598, anche se in condizioni ormai fatiscenti. Di questo edificio il portale [1] doveva presentarsi UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO come una delle componenti più significative. Se le ragioni formali, per certi versi, lo mettono in sintonia con i modi espressi dal concomitante cantiere cistercense di S. Maria d’Arabona, è sul piano strutturale che esso mostra le più marcate ragioni di novità, recuperando ed elaborando il sistema della strombatura, così come era stato inventato in S. Clemente a Casauria [2], attraverso il progressivo articolarsi degli stipiti e delle colonnine, e legandolo alla soprastante movimentata successione delle ghiere. Visto in questi termini formali e in questa dimensione cronologica, il dimenticato portale della abbazia di S. Salvatore a Maiella diventa un presupposto fondamentale nella vicenda formale e compositiva del portale abruzzese duecentesco. Le sue forme preludono a soluzioni profondamente innovative, anche sul piano dei contenuti, come quelle messe in opera, sul finire del secolo, nella chiesa di S. Maria a Mare a Giulianova23 [27] e da qui riprese subito dopo in quella di S. Maria in Colleromano a Penne,24 edifici che, in sequenza, portano direttamente ai portali laterali della cattedrale di Atri,25 dove gli scultori Raimondo di Podio [28] e Rainaldo, mostrano, ormai nei primi anni del Trecento, di essere ancora partecipi delle soluzioni che erano state elaborate in quella remota occasione, declinandole in una dimensione stilistica che rincara ulteriormente gli aspetti di astratta geometria del decoro vegetale e che resterà normativa per lungo tempo nella realtà abruzzese. NOTE monachesimo benedettino nell’Abruzzo e nel Molise («Documenti e Storia, 5»), Lanciano 1988, pp. 265-267 con una ampia indicazione delle fonti e L. TARABORELLI, San Salvatore a Majella, in Rapino. Guida storico-artistica alla città, Pescara 2003, pp. 115-120. 11 É. BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale. De la fin de l’Empire Romain à la Conquête de Charles d’Anjou, II, Paris 1903, pp. 584-589; I.C. GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, edizione riveduta e corretta, Pescara 1980, I, pp. 289-332; M. MORETTI, Architettura medioevale in Abruzzo, Roma [s.a.], pp. 198-213; H. BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik im Königreich Jerusalem («Österreichische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Historische Klasse. Denkschriften», 108), Wien 1978, pp. 356-367; A. GHISETTI GIAVARINA, San Clemente a Casauria. L’antica abbazia e il territorio di Torre de’ Passeri, Pescara 2001, pp. 38-61; F. GANDOLFO, San Clemente a Casauria. I portali e gli arredi interni, in Dalla valle del Fino alla valle del medio e alto Pescara («Documenti dell’Abruzzo teramano», 6, 1), Teramo 2003, pp. 272-297; F. GANDOLFO, Scultura medievale in Abruzzo. L’età normanno-sveva, Pescara 2004, pp. 116-123. 12 BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 568-570; GAVINI, Storia, I, pp. 332-337; O. LEHMANN-BROCKHAUS, Die Kanzeln der Abruzzen im 12. und 13. Jahrhundert, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», VI (1942-1943), pp. 257-428: 330-336; MORETTI, Architettura, pp. 67-85; O. LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise. Kunst und Geschichte («Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana», 23), München 1983, p. 159; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 105-107. 13 Risale a GAVINI, Storia, I, pp. 350-352 l’indicazione di questi due capitelli come appartenenti a una fase costruttiva di tardo XII secolo, una indicazione temporale però che, in relazione alle caratteristiche formali, si potrebbe estendere ai primi decenni del secolo successivo. Sul monumento vedi anche G. MATTHIAE, La cattedrale di Atri, «Bullettino della Regia Deputazione abruzzese di Storia Patria», XXIIXXIII (1931-1932), pp. 7-88; ID., “Sancta Maria de Hatria”, «Palladio», XI (1961), pp. 93-102; MORETTI, Architettura, pp. 506-517; C. BOZZONI, Saggi di architettura medievale. La Trinità di Venosa. Il duomo di Atri, Roma 1979, pp. 101136; F. ACETO, La cattedrale di Atri, in Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara («Documenti dell’Abruzzo teramano», 5, 1), Teramo 2001, pp. 187-206; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 130-133. 14 BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 539-540; 1 F. SALVATORE, La chiesa di Sant’Antonio, in Rapino. Guida storico-artistica alla città e alle sue tradizioni, Pescara 2003, pp. 23-27. 2 G. SABATINI, La «monda della Maiella già proprietà di benedettini e cistercensi», «Bullettino della Regia deputazione abruzzese di Storia Patria», XX-XXI (1929-1930), pp. 25164: 65. 3 Solo di recente è stata proposta una descrizione più puntuale dei dettagli decorativi del portale da parte di B. Del Romano, S. Salvatore a Majella. Nella dinamica socio-religiosa del territorio («Documenti e Studi, 3»), L’Aquila 2014, pp. 179-180, finalizzata però a una interpretazione di tipo esclusivamente simbolico. 4 I. DELLA MORGIA, Il monastero di S. Salvatore alla Maiella a Rapino (CH): strutture insediative ed evidenze architettoniche, in Cantieri e maestranze nell’Italia medievale, «Atti del Convegno di studio, Chieti–San Salvo, 16-18 maggio 2008», a cura di M.C. Somma, Spoleto 2010, pp. 575-593. 5 Il passaggio della visita è pubblicato in DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, p. 266. 6 L. IANNACCI, Il Liber instrumentorum del monastero di San Salvatore a Maiella, «Studi medievali», s. III, LIII (2012), pp. 717-769. 7 Il testo del Liber Instrumentorum è stato edito da G. MARTINETTI, Dissertatio de antiquitate, ditione, juribus, variaque fortuna Abbatiae S. Salvatoris ad montem Magellae, in appendice a Collectionis bullarum sacrosanctae basilicae vaticanae, tomus primus, Roma 1747: il passo relativo al priore Giovanni è a pp. IV-V ed è stato ripubblicato in DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 218-220. 8 Il testo della bolla è stato edito da MARTINETTI, Collectionis bullarum, pp. 62-64 e riedito da DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 214-217. La vicenda economica della abbazia è stata puntualmente ricostruita da L. FELLER, Casaux et castra dans les Abruzzes: San Salvatore a Maiella e e et San Clemente a Casauria (XI -XIII siécle), «Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes», XCVII (1985), 1, pp. 145-182 e di recente è stata ripercorsa anche da DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 85-135. 9 Il documento è pubblicato da MARTINETTI, Dissertatio, pp. XXXVI-XL, in particolare per il passo in questione p. XXXIX. 10 DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 172-174. Sulle vicende del monastero vedi anche U. PIETRANTONIO, Il 151 FRANCESCO GANDOLFO GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 366-378; MORETTI, Architettura, pp. 232-241; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 163-167. 15 MORETTI, Architettura, p. 467; H. BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik, pp. 367-370; F. BOLOGNA, Altar maggiore. Cattedrale di San Massimo. Penne, in Dalla valle del Fino, pp. 406-418; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148. 16 GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 339-346; MORETTI, Architettura, pp. 156-163; BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik, pp. 370-371; F. ACETO, Chiesa di Santa Maria Maggiore. Pianella, in Dalla valle del Fino, pp. 306-312; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148. 17 F. ACETO, Chiesa di Santa Maria in Blesiano e chiesa di San Nicola. Pescosansonesco. Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Corvara, in Dalla valle del Fino, pp. 372-374; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148. 18 BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik, pp. 356367; F. ACETO, San Clemente a Casauria. Le vicende architettoniche, in Dalla valle del Fino, pp. 243-271; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148. 19 BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 567-568; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 208-212; LEHMANN-BROCKHAUS, Die Kanzeln der Abruzzen, pp. 358-366; MORETTI, Architettura, pp. 42-53; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise, pp. 158-160; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 109-111. 20 Chiarisce i termini della rivalità tra le due abbazie FELLER, Casaux et castra, pp. 145-147. 21 C. ENLART, Origines françaises de l’architecture gothique en Italie («Bibliotheque des écoles françaises d’Athènes et de Rome», 66), Paris 1894, pp. 45-48; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 113-117; U. CHIERICI, Manoppello, chiesa di S. Maria Arabona, «Palladio», n.s., I (1951), 2/3, pp. 127-129; R. WAGNER-RIEGER, Die italienische Baukunst zu Begin der Gotik, II. Süd- und Mittelitalien, Graz-Köln 1957, pp. 52-54; L. FRACCARO DE LONGHI, L’architettura delle chiese cistercensi italiane, Milano 1958, pp. 256-260; U. CHERICI, La chiesa di S. Maria Arabona presso Chieti, «Napoli nobilissima», s. III, II (1962-1963), pp. 83102; MORETTI, Architettura, pp. 360-375; L. BARTOLINI SALIMBENI, A. DI MATTEO, Santa Maria d’Arabona. Un’abbazia cistercense in Abruzzo, Pescara 1999, pp. 72-76; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 176-179. 22 BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 566-567; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 340-342; LEHMANN-BROCKHAUS, Die Kanzeln der Abruzzen, pp. 336-342; ID., Abruzzen und Molise, pp. 152-153; F. BOLOGNA, Ambone. Santa Maria Maggiore. Pianella, in Dalla valle del Fino, pp. 313-318; Gandolfo, Scultura medievale, pp. 150-155. 23 V. BINDI, Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, Napoli 1889, pp. 73-104; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 262-263; MORETTI, Architettura, pp. 524527; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise, p. 314; F. GANDOLFO, Chiesa di Santa Maria a Mare. Giulianova, in Teramo e la valle del Tordino («Documenti dell’Abruzzo teramano», 7, 1), Teramo 2006, pp. 349-357; F. GANDOLFO, Il senso del decoro. La scultura in pietra nell’Abruzzo Angioino e Aragonese (1274-1496), Roma 2014, pp. 51-61: rimando a questi ultimi due lavori per le argomentazioni a favore di una precedenza del portale di S. Maria a Mare rispetto a quello di Raimondo di Podio del 1302 nel duomo di Atri. 24 BINDI, Monumenti, pp. 581-584; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 260-262; R. CIGLIA, L’arte benedettina nel Pescarese, Pescara 1964, pp. 195-203; MORETTI, Architettura, pp. 522-523; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise, p. 314; F. ACETO, Chiesa di Santa Maria in Colleromano, in Dalla Valle del Fino, 378-382; F. GANDOLFO, Madonna con il Bambino. Chiesa di Santa Maria in Colleromano. Penne, ibid., pp. 431-433; ID., Il senso del decoro, pp. 54-61. 25 GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 241-253; MORETTI, Architettura, pp. 506-513; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise, p. 313; F. ACETO, Santa Maria di Propezzano. L’architettura e la decorazione scultorea, in La Valle del medio e basso Vomano («Documenti dell’Abruzzo teramano», II, 1), Roma 1986, pp. 353-400: 384-396; GANDOLFO, Il senso del decoro, pp. 33-40. REFERENZE FOTOGRAFICHE 1, 2, 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27, 28 (foto Autore); 5, 7, 10, 26 (foto Walter Angelelli). A FORGOTTEN PORTAL IN ABRUZZO Francesco Gandolfo In relatively recent times a medieval portal, which, according to the local tradition, originates from the Benedictine abbey of S. Salth vatore a Maiella, was remounted in the 17 century church of S. Antonio at Rapino. The abbey went through a period of great prosperity between the 11th and 13th century; afterwards it declined quite rapidly, so as to already be in ruins at the end of the 16th century. The portal, as it has been rediscovered, is not in its original form, because, in recomposing the decoration of the archivolt, fragments deriving from different parts were joined together. The stylistic motives shown in these fragments and in the capitals of the jambs allow dating the portal 152 in a historical moment subsequent to reconstruction of the nearby abbey of S. Clemente at Casauria, from which a few decorations are taken. The motive that regulates the forms approaches however to that on the construction site of the equally nearby Cistercian abbey of S. Maria d’Arabona, which leads to dating the portal to the third or fourth decade of the 13th century. Although the reconstruction of its forms remains in some aspects hypothetical, its evidence stands as a significant moment of transition in the direction that leads to the typical forms of the portal in Abruzzo in the 14th century, as they will be defined in the construction of the cathedral of Atri.