2015
IV serie - anno V, 2015
Spedizione postale gruppo IV 70%
SilvanaEditoriale
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IV serie - anno V, 2015
IV serie - anno V, 2015
SilvanaEditoriale
Arte medievale
Periodico annuale
IV serie - anno V, 2015 - ISNN 0393-7267
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Redazione
R. Cerone, A. Cosma, C. D’Alberto, B. Forti, M.T. Gigliozzi, F. Manzari,
S. Moretti, M.R. Rinaldi, E. Scungio
ANVUR: A
SOMMARIO
CRITICA
9 The Milan Five-Part Diptych as a Manifestation
of Orthodoxy
Zuzana Frantová
MATERIALI
277 Il mosaico trasformato: un pavimento di una villa tardoantica
nella Toscana costiera
Elisabetta Giorgi, Enrico Zanini
27 «In summo montis cacumine»: il monastero di S. Silvestro
al Soratte
Elisabetta Scungio
59 Architettura dell’età ottoniana in Italia: il deambulatorio
e il culto delle reliquie
Carlo Tosco
87 Oxford, Magdalen College, MS. Gr. 3: Artistic Practice,
Byzantine Drawings and Mobility in Mediterranean Painting
around 1200
Manuel Castiñeiras
101 «Iustitia, maiestas, curialitas». Oldrado da Tresseno
e il suo ritratto equestre nel broletto di Milano
Saverio Lomartire
137 Un portale abruzzese dimenticato
Francesco Gandolfo
153 S. Nicola di Trisulti: un insediamento certosino femminile?
Valeria Danesi
NOTIZIE E RECENSIONI
297 Ricordo di Italo Furlan
Enrico Zanini
300
Ricordo di Enrico Castelnuovo
Fabrizio Crivello
302 J.-B.-L.-G. Séroux d’Agincourt e la storia dell’arte intorno
al 1800
Convegno internazionale di studi
Roma, Accademia di Francia - Villa Medici,
23-24 settembre 2014
Ilaria Sgarbozza
303 Anna Delle Foglie, La cappella Caracciolo del Sole
a San Giovanni a Carbonara
Milano, Jaca Book, 2011
Gaetano Curzi
304 Richard Hodges, Sarah Leppard, John Mitchell, San Vincenzo
Maggiore and its Workshops
London, British School at Rome, 2011
165 Presenze cistercensi ad Amalfi: il caso controverso
dell’abbazia di S. Pietro a Toczolo
Nicola Caroppo
183 «Inexpugnabile est». Pierre D’Agincourt, il presidio
di Ripa di Corno e la città di Leonessa
Roberta Cerone
197
Cimabue reconsidered
Joseph Polzer
225 Un’ulteriore traccia per l’attività a Brescia del Maestro
di Santa Anastasia e della sua bottega: l’urna del giudice
Corrado Fogolini
Massimo Medica
235 Interferenze francesi nella produzione dei codici di lusso
a Pavia sullo scadere del Trecento e qualche apertura
sul primo Michelino da Besozzo
Roberta Delmoro
261
Le affinità di Dufourny
Maria Giulia Aurigemma
Carmine Comunale
305 Decretales pictae. Le miniature nei manoscritti delle Decretali
di Gregorio IX (Liber Extra)
Atti del colloquio internazionale tenuto all’Istituto Storico
Germanico, Roma 2010,
Roma, Università degli Studi Roma Tre, 2012
Lola Massolo
307 Inés Monteira Arias, El enemigo imaginado. La escultura
románica hispana y la lucha contra el Islam
Toulouse, CNRS – Université de Toulouse-le Mirail
Gaetano Curzi
308 Gaetano Curzi, Santa Maria del Casale a Brindisi. Arte,
politica e culto nel Salento angioino
Roma, Gangemi Editore, 2013
Simona Moretti
310 Pintar fa mil anys. Els colors i l’ofici del pintor romànic
dir. M. Castiñeiras, J. Verdaguer
Universitat Autònoma de Barcelona, 2014
Marco Rossi
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
Francesco Gandolfo
A
l mezzo della parete di fondo [1] del portico che si apre sotto la facciata della seicentesca chiesa di S. Antonio a Rapino,
divenuta in tempi recenti auditorium comunale,
è sistemato un portale che nulla ha a che vedere
con l’edificio in quanto, come mostrano i suoi
caratteri formali, risale a un’epoca decisamente più antica rispetto a quella della costruzione
1
che lo ospita. È notizia corrente che il portale
provenga dalla vicina abbazia benedettina di
S. Salvatore alla Maiella e che sia stato trasferito nella chiesa in tempi relativamente recenti,
anche se in proposito non esistono indicazioni
certe su quando l’operazione sia effettivamente
avvenuta e su chi l’abbia condotta.2 Sta di fatto
che la situazione appartata e decontestualizzata
in cui il portale si è venuto a trovare ha fatto
sì che la sua testimonianza non sia mai entrata
nelle discussioni intorno alla scultura medievale
in Abruzzo.3
L’abbazia di S. Salvatore alla Maiella è scomparsa da molto tempo: sul sito dove si disponevano
gli ambienti conventuali si colgono oggi solo
scarse tracce di murature che non permettono
una ricostruzione puntuale dell’insieme originario.4 La situazione di degrado ha del resto origini antiche se già nel 1598 un visitatore apostolico poteva descrivere l’abbazia come «fere totam
ruinosam, collapsam et ferarum receptaculum».5
In quella stessa occasione però egli era ancora
in grado di precisare che «sub ecclesia superiori
adest altera inferior, parvis columnis marmoreis
sustentata», segno che, malgrado lo stato di abbandono, le strutture restavano ancora in piedi
e che era riconoscibile la presenza di una chiesa
dotata di cripta che dovrebbe essere l’edificio
da cui proviene il portale conservato oggi a Rapino. Della esistenza di una chiesa abbaziale, realizzata entro il 1040, si ha notizia da quella che
solo impropriamente può essere definita una
autobiografia del priore Giovanni che fu in carica fino a quell’anno, a partire dal 1010. Chi ha
redatto il testo fa parlare il personaggio in prima
persona nella didascalia che accompagna il suo
ritratto all’interno del Liber instrumentorum del
monastero, un codice realizzato intorno al 1220
che raccoglie prevalentemente, ma non solo,
la documentazione relativa alle acquisizioni di
beni operate dall’abbazia tra XI e XII secolo.6
Il passaggio significativo è là dove si fa dire al
priore Giovanni che «dicti monasterii regimina
suscipiens, ecclesiam parvam et obscuram, ac edificia omnia lignea et vetusta inveni: sed Domino
cooperante, maiorem ecclesiam et in ea tria edificavi altaria; edificia vero cuncta lapidibus con7
struxi».
Nella prima metà dell’XI secolo venne dunque
costruita una chiesa a sostituzione di una precedente di modeste dimensioni, ma nulla prova
che sia questo l’edificio dotato di cripta visto nel
1598 dal visitatore apostolico. In proposito occorre considerare che nella prima metà dell’XI
secolo S. Salvatore alla Maiella era ancora un
semplice priorato benedettino e che fu solo nel
secolo successivo che, in virtù di un numero
cospicuo di donazioni, il suo patrimonio fondiario e le sue dipendenze si incrementarono a
un punto tale da vedersi riconosciuta la dignità
abbaziale, come si evince da una bolla di Alessandro III del 1175 in cui per la prima volta Trasmondo che in quel momento reggeva l’abbazia
viene individuato con il titolo di abate.8 È con la
metà del Duecento che prende avvio una crisi
irreversibile del monastero determinata tra l’altro dai continui attacchi alle sue proprietà da
parte della nobiltà locale. Significativo di questa situazione di precarietà è un documento del
1271 da cui si evince che «Monasterium supradictum fore gravatum magne quantitatis pecunie
debito sub usuris, in cujus debiti exhoneratione,
et in luendis vasis sacris, et aliis bonis dicti Monasterii pignore obligati pro debito supradicto, videlicet Crucibus argenteis, Calicibus, Thuribulis argenteis, et Testu Evangelii, pro emendo frumento
pro alimentis Monachorum, et familia dicti Monasterii, ne fame pereant, et reparationem domorum dicti Monasterii, que reparatione maxima
indigebant».9 Per porre rimedio a questo stato
di cose, nel 1291 il monastero venne aggregato
al capitolo vaticano, ciò malgrado il suo declino
137
FRANCESCO GANDOLFO
fu inarrestabile, fino ad arrivare alle condizioni
di abbandono descritte in precedenza.10
Nella condizione attuale il portale presenta
una struttura relativamente semplice. Privo di
lunetta, ha un archivolto formato da tre ghiere
concentriche di cui solo la più esterna presenta un ornato. Alle tre ghiere corrisponde una
strombatura composta da due stipiti intervallati
da una colonnina sistemata in corrispondenza
dell’angolo formato dal loro incontro e legata
a sua volta alla ghiera intermedia dell’archivolto. I due stipiti interni hanno l’angolo smussato
dalla presenza di una semicolonnina che si conclude con un semicapitello circondato da uno
sguscio, in modo tale che non vi sia continuità con la soprastante ghiera interna dell’archivolto. Questa separazione viene ribadita dallo
stacco liscio che divide lo sguscio dalla cornice
a palmette che segue, in maniera continua, il
percorso della strombatura, prima dell’attacco
dell’archivolto, a differenza di quanto avviene
nelle porzioni più esterne, dove essa entra direttamente a contatto con gli abaci dei capitelli.
Di contro allo stipite più esterno si imposta una
seconda colonna, sormontata da un capitello,
che visivamente corrisponde, come posizione,
alla ghiera più esterna dell’archivolto, quella
arricchita da una fitta decorazione. Valutata in
questi termini la struttura del portale trova una
ragionevole collocazione in linea con la ragione
strombata entrata in auge in Abruzzo con l’intervento promosso a S. Clemente a Casauria [2]
11
dall’abate Leonate a partire dal 1176, espressa
tuttavia secondo una logica compositiva che fa
pensare a un momento decisamente posteriore,
ormai duecentesco. Prima però di arrivare a
conclusioni di questo genere è bene chiedersi se
il portale che vediamo oggi a Rapino sia o meno
nella condizione originaria.
Malgrado l’apparente organicità, la struttura
presenta una serie cospicua di anomalie di cui
dovette essere stata responsabile la ricostruzione. La politezza del materiale e la qualità del
taglio rendono assai verosimile che siano frutto
di restauro non solo le imposte ma anche le colonnine libere che le sormontano, insolitamente prive di ogni forma di base, un dato formale
la cui presenza consente invece di far ritenere
originaria la semicolonnina corrispondente allo
stipite interno. Questo trasmette il crisma della
organicità all’intera struttura muraria, aspetto
che è confermato anche dalla qualità della tessitura che la compone. A garantire della originarietà nell’andamento della strombatura stanno
138
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
comunque le due cornici a palmette [3-4] che
corrono continue al di sopra dei capitelli, tanto più che la porzione sulla destra presenta anche una compiuta organicità nel rapporto con
la struttura sottostante. L’unica sbavatura nel
percorso la si coglie sulla sinistra, nel capitello
corrispondente alla colonnina più esterna [3],
in quanto per un buon tratto non si lega alla
cornice soprastante ed è concluso da un abaco vistosamente più alto, rispetto a quello del
capitello contiguo, realizzato però eliminando
una parte della porzione superiore dell’ornato
e andando ad intaccare la soprastante cornice
a palmette. Il capitello appare poi vistosamente
scalpellato sul lato verso l’esterno, tuttavia non
vi sono elementi per ritenere che non facesse
parte della struttura, nel senso che deve essere
intervenuta nel corso del tempo una sua radicale trasformazione quando era ancora montato
nel contesto originario. Situazione che non ha
invece coinvolto il capitello corrispondente dalla parte opposta [4] che appare ancora integro,
con la decorazione laterale che si lega organicamente alla fronte dello stipite. In questo caso
semmai è stata scalpellata la cornice a palmette
sovrastante il fianco del capitello che invece,
dalla parte opposta, rimane ancora integra. Per
quanto doverose sul piano del rilevamento della situazione conservativa, queste osservazioni
confermano come ancora sostanzialmente integro, nelle sue linee generali, il sistema compositivo del portale e dunque come originaria la sua
tipologia complessiva.
Più complicata è la situazione proposta dalla
ghiera più esterna dell’archivolto [5]. Intanto
sono certamente da espungere dalla situazione
antica le due sgarbate mensole laterali, dal secco
taglio lineare, sulle quali oggi appoggia, in quanto hanno tutta l’aria di essere inserti dovuti al
rimontaggio, funzionali a colmare il percorso del
semicerchio che, senza la loro presenza, sarebbe
rimasto zoppicante e non avrebbe trovato ragione di accordo con le ghiere più interne e con i
sottostanti capitelli delle colonnine più esterne.
La situazione è determinata dal fatto che, malgrado l’apparente organicità, la ghiera è in realtà
il risultato del montaggio di frammenti disparati e discordanti tra loro. Per cogliere lo stato di
fatto si può partire dall’attaco sulla destra [6],
caratterizzato dalla presenza di un rovinatissimo
telamone nudo di cui si vedono ancora il ventre
prominente, vistosamente segnato dall’ombelico, e la tormentata struttura del costato. La figuretta siede con le gambe scompostamente diva-
ricate e si regge con le mani ai bordi, sollevando
i gomiti verso l’alto. La condizione conservativa
assai precaria impedisce di rilevare dettagli che
permettano di definire meglio il tipo, anche se
tutto lascia pensare che in basso la provvidenziale presenza di una struttura vegetale dall’andamento palmato ne coprisse le pudenda e che in
alto il volto, dai lineamenti marcati, provvedesse
a far uscire dalla bocca gli attacchi del tralcio
che, subito sopra, dà inizio al suo percorso, incrociando le due bande da cui è composto. Poco
dopo però il percorso si interrompe perché
viene improvvisamente a mancare il coordinamento con il tratto successivo del tralcio, tanto è
vero che chi ha provveduto alla ricomposizione
dell’insieme, forse per attenuare il senso dello
stacco, ha inserito in questo punto una sorta di
tavoletta di separazione.
Al di là di questa porzione iniziale segue un tratto
3. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitelli di sinistra.
4. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitelli di destra.
Pagina a fronte:
1. Rapino,
S. Antonio, portale.
2. Casauria,
S. Clemente,
portale centrale.
139
FRANCESCO GANDOLFO
5. Rapino,
S. Antonio, portale,
ghiere dell’archivolto.
6. Rapino,
S. Antonio, portale,
ghiera esterna
dell’archivolto,
particolare.
7. Rapino,
S. Antonio, portale,
ghiera esterna
dell’archivolto,
particolare.
8. Rapino
S. Antonio, portale,
ghiera esterna
dell’archivolto,
particolare.
140
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
9. Rapino,
S. Antonio, portale,
ghiera esterna
dell’archivolto,
particolare.
10. Rapino,
S. Antonio, portale,
ghiera esterna
dell’archivolto,
particolare.
abbastanza lungo di cornice [7] che arriva fin
quasi al culmine dell’arcata e che, a prima vista,
sembra regolare ed omogeneo, in quanto caratterizzato dallo stesso tipo di decoro, un doppio
tralcio che sale, intrecciandosi in ampie e cadenzate volute, accompagnate da fogliette palmate,
poste ai lati dei punti di incrocio, e da ampie foglie a ventaglio che, allacciandosi anch’esse l’una
con l’altra, vanno ad occupare lo spazio interno
delle volute. In realtà se si segue il percorso segnato dal doppio tralcio si scopre che la sequenza è formata da quattro frammenti, fisicamente
separati l’uno dall’altro e disposti in maniera
alternata, come rivela l’andamento volta a volta
invertito delle foglie. Tra l’altro, se tre frammenti
sono omogenei tra loro, uno, quello disposto in
seconda posizione a partire dal basso, ha tipo,
forma e dimensioni, sia delle fogliette palmate
sia delle grandi foglie all’interno della voluta,
completamente diverse rispetto agli altri. Subito dopo è stato inserito un breve frammento [8]
con la figuretta di un uomo nudo, seduto su un
tralcio di vite al quale si tiene abbarbicato con
entrambe le mani, stando a braccia spalancate.
Gli aspetti singolari dettati dalla situazione sono
diversi. Intanto l’omino si mostra capovolto rispetto a quello che è l’attuale obbligato punto
di osservazione della ghiera. La qualità formale
degli elementi vegetali che lo accolgono è completamente diversa, più morbida, carnosa e naturalistica, rispetto al secco intreccio lineare che
segna di sé i frammenti precedenti. Infine subito
dopo questo frammento è stato inserito un brevissimo tratto del tralcio della porzione precedente, niente più di un punto di incrocio delle
volute, accompagnato dalle palmette laterali,
con l’evidente funzione di zeppa che consentisse
la prosecuzione della circonferenza. Malgrado
che negli ornati non vi sia nessuna continuità,
chi ha provveduto al montaggio ha cercato di
mascherare al massimo la mancanza di coordinamento tra un frammento e l’altro.
Questo stato di cose lo si coglie bene nella sequenza successiva formata da cinque frammenti. Il primo [8] presenta il breve tratto di un tralcio di vite il quale circonda una foglia dall’andamento slargato a ventaglio e, a sua volta, viene
chiuso all’interno di una ininterrotta sequenza
141
FRANCESCO GANDOLFO
11. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitello interno
sulla sinistra.
12. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitello esterno
sulla sinistra.
13. Corfinio,
S. Pelino, pulpito,
capitello.
di foglie più piccole che gli si avvolgono intorno
alla canna: la qualità formale degli elementi vegetali torna ad essere quella morbida e carnosa
del frammento precedente con l’omino nudo.
Subito dopo, senza che vi sia un collegamento
organico tra le due parti, è inserito un brevissimo frammento con la figuretta di un uomo
che coglie dei frutti da un albero, questa volta
disposto correttamente rispetto al punto di visione della ghiera, situazione che invece si capovolge immediatamente dopo [9], là dove viene
collocato un ulteriore brevissimo frammento di
cornice con un uccello che becca i frutti di una
pianta. Tutti e tre questi frammenti sono omo142
genei tra loro come qualità formale e si legano
al frammento visto in precedenza con l’omino
nudo. A questo punto del percorso, come era
già accaduto prima, è stato disposto un brevissimo frammento del tralcio secco e lineare,
l’intrecciarsi di due foglie palmate interne alle
volute, prima di inserire l’ultimo frammento
figurato, ancora una volta il breve tratto di un
tralcio di vite con un uccello e un piccolo serpe
che addentano avidamente un grappolo, il tutto
nuovamente capovolto rispetto alla logica di visione della ghiera.
Si arriva così al tratto conclusivo [10], con la
ripresa dello stilizzato intreccio vegetale in simmetria con quanto avviene dalla parte opposta
del percorso. Anche in questo caso si è giunti
al risultato finale montando in sequenza quattro
frammenti i cui ornati, solo in apparenza, hanno una continuità diretta. Anche nella ragione
distributiva delle diverse componenti si ripetono le stesse situazioni, quasi che si fosse cercata
una voluta simmetria con la parte opposta, nel
senso che, percorrendo la sequenza a scendere,
il secondo frammento, pur argomentandosi nei
termini generali secondo lo stesso disegno di
quello che lo precede, presenta una resa dell’ornato più morbida e dettata da tipologie di foglie
diverse, simili però a quelle esistenti nel frammento in analoga situazione dalla parte opposta
[7], mentre il terzo frammento, pur essendo to-
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
talmente identico al primo, inverte l’andamento
dell’ornato. Si arriva così all’ultimo frammento,
malamente congiunto al precedente per via della inversione nell’andamento dell’ornato. Già
in origine questo frammento doveva svolgere la
funzione di fattore conclusivo del percorso perché vede il doppio tralcio innestarsi in qualcosa che ha ormai perduto buona parte della sua
forma, anche se ciò che resta suggerisce una soluzione vegetale simile a quella che, dalla parte
opposta, si dispone tra le gambe del telamone,
confermando la presenza solo in quel caso di
tale figura grottesca, ma impedendo di valutare se anche qui vi fosse una più articolata argomentazione formale ad accompagnare la nascita
o la conclusione del percorso decorativo. Con
però una differenza che vale la pena di notare:
mentre sulla destra [6] la figuretta del telamone
è accompagnata da una cornice che si curva al
di sotto del suo piede sinistro e che riprende la
soluzione [4] presente intorno al capitello della
semicolonnina incassata nel sottostante stipite
interno, dalla parte opposta il percorso è concluso da un secco taglio in sbieco della pietra,
situazione che ritorna anche nel sottostante
capitello [11], con una mutazione della forma
primitiva che si accompagna a quella già rilevata
nel capitello all’esterno del gruppo, alterazioni
in entrambi i casi subite dal portale o già in antico o all’atto del rimontaggio.
14. Casauria,
S. Clemente, portico,
capitelli.
15. Atri, cattedrale,
capitello.
Al termine di questa ricognizione è inevitabile
formulare una prima valutazione: se per quel
che riguarda gli stipiti con i relativi capitelli,
al di là delle verosimili integrazioni, il portale
sembra avere conservato una sostanziale organicità, altrettanto non si può dire per l’archivolto. L’impressione che si trae dalla sua analisi è
che sia stato realizzato montando insieme, con
notevole abilità, frammenti incoerenti tra loro e
verosimilmente provenienti da membrature diverse, quanto meno per forme e per andamento
dell’ornato. Si tratta ora di vedere quali considerazioni si possono ricavare dalla valutazione
delle loro ragioni stilistiche. I sei capitelli legati
143
FRANCESCO GANDOLFO
16. Caramanico,
S. Tommaso, facciata,
finestrone.
144
al sistema di strombatura del portale [3-4] si
propongono come un insieme omogeneo, impegnato a reinterpretare il tipo del corinzio. I modi
e gli esiti sono volta a volta diversi, ma la logica
che li governa è sempre la stessa. In genere si
parte da una corona di foglie di acanto di base,
dalle forme seccamente ritagliate e aperte verso
l’esterno, per poi innestare al centro delle facce,
tra una foglia e l’altra, un caulicolo, spesso connotato da una forma a tortiglione, dal quale far
uscire due foglie dall’andamento divaricato che
prendono il posto delle volute presenti nel modello antico. Se questo può essere colto come lo
schema base, occorre subito notare come vi sia,
nella sua applicazione, un ricco variare di soluzioni. Nel capitellino più interno sulla sinistra
[11], su entrambi i lati, a una stesura abbastanza
rigorosa dello schema provvede a dare vitalità la
presenza di un uccello che becca la pigna che
esce dal punto di divaricazione delle foglie, al di
sopra del caulicolo, ed è significativa la disinvolta capacità di improvvisazione del lapicida che,
non avendo spazio a sufficienza per interpretare la forma nella sua compiutezza, la dimezza e
riduce la voluta esterna a una foglia piegata su
se stessa.
Interprete pienamente convinto del motivo è il
capitello intermedio [3], mentre il più esterno
[12] lo sviluppa raddoppiandolo e intensificandone al massimo l’enfasi grafica e lo stacco
delle forme rispetto alla campana interna. Le
foglie con funzione di voluta scendono verso
il basso accompagnando, con un andamento
a ventaglio, la forma allungata del caulicolo a
tortiglione, mentre una pigna, ripetuta anche al
mezzo, segna i punti di divaricazione. Ci si trova
in questo caso davanti a una soluzione che ha
un marcato retroterra visto che fa la sua prima
comparsa in un capitello [13] del pulpito della cattedrale di San Pelino a Corfinio, dove si
12
propone in forme di ancora carnosa vitalità.
Il passaggio successivo lo si ha nel portico [14]
della abbazia di S. Clemente a Casauria dove
la sodezza delle forme non riesce a frenare la
sostanziale linearità delle scelte, dopo di che la
progressiva schematizzazione della soluzione
appare decisamente compiuta nei due capitelli
[15] che, nella cattedrale di Atri, si dispongono
nei semipilastri all’attacco del partito absidale e
che devono appartenere a una fase edilizia antecedente rispetto a quella che caratterizza l’edificio attuale.13 Una versione estremamente semplificata e impoverita del tipo la si trova infine
variamente utilizzata nei portali e nel finestrone
di facciata [16] della chiesa di S. Tommaso a
Caramanico dove ogni sua componente viene
ridotta all’essenziale da una sobria e insistita linearità.14 Tuttavia, con la sua doppia ghiera retta
da colonnine a inquadrare l’archivolto collegato
a un sistema architravato, il finestrone mostra
come l’idea organizzativa lanciata dal portale
della abbazia di S. Clemente a Casauria si vada
affermando. Il pregio del monumento è infatti
quello di avere una data, il 1202, scritta sull’architrave del portale laterale di destra, che è un
termine di riferimento utile proprio al fine di
inquadrare nel tempo la diffusione di quel tipo
di soluzione, sia per quanto riguarda i capitelli
sia per il portale di Rapino nel suo insieme, tenuto conto che gli esempi citati in precedenza
rientrano tutti nell’arco dell’ultimo ventennio
del XII secolo.
Altrettanto significativo è il blocco dei capitelli sulla destra [4], a partire da quello interno
[17], che ancora una volta mette in mostra una
sciolta disinvoltura esecutiva. La soluzione decorativa è la stessa presente nell’omologo [11]
dalla parte opposta, con però alcune vistose
varianti. Sul lato frontale dal caulicolo escono
ben quattro diversi tipi di foglia: quella sulla
destra aperta a ventaglio, le due al centro lanciate verso l’alto e ripiegate all’interno con due
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
17. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitello interno
sulla destra.
18. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitello intermedio
sulla destra.
19. Penne,
cattedrale, paliotto
dell’altare maggiore.
riccioli convergenti, quella sulla sinistra distesa verso il centro. Con una disinvoltura grafica
di insolito prestigio, lo scultore ha infatti immaginato che questa foglia vada a intrecciarsi sull’angolo con la sua omologa della faccia
contigua, grazie a un peduncolo che, nascendo
dai rispettivi caulicoli, fa loro da generatore in
corrispondenza dell’angolo, dove entrambe,
con un guizzo repentino, si rivoltano verso il
centro delle rispettive facce, dopo essersi allacciate l’una con l’altra. A questa complessa argomentazione corrisponde sulla fronte interna
una soluzione altrettanto significativa perché
dal caulicolo salgono verso l’alto due foglie
accartocciate del tipo presente nel capitello
del pulpito di S. Pelino a Corfinio [13] e poi
nel portico di S. Clemente a Casauria [14], a
conferma di una remota filiazione da quel contesto, mentre subito a sinistra, a testimonianza
della notevole disinvoltura compositiva, una
larga foglia disposta a ventaglio va a occupare
lo spazio restante fino al bordo.
Il capitello successivo [18] non rompe lo schema ma lo ripropone sulla base di un lessico
145
FRANCESCO GANDOLFO
20. Pianella,
S. Maria Maggiore,
facciata, rosone.
21. Casauria,
S. Clemente, interno,
capitello di un
pilastro.
22. Rapino,
S. Antonio, portale,
capitello esterno
sulla destra.
totalmente nuovo. Il tratto marcante è rappresentato dalla sostituzione della corona di base di
foglie di acanto con due ampie e rigonfie foglie
palmate che, muovendo dal punto dove, sull’angolo, vanno a lambirsi le foglie che svolgono la
funzione di volute, scendono verso il basso, allargandosi progressivamente e affermando visivamente un senso di distacco e di autonomia
rispetto alla campana interna di cui annullano
la presenza. A separarle tra loro e rispetto agli
angoli provvedono delle foglie paripennate lunghe e strette che vanno a generare il caulicolo da
cui poi partono le foglie che, con le sole penne
inferiori, formano le volute d’angolo. Nel suo
insieme la soluzione rientra nel quadro generale
proposto dal tipo analizzato in precedenza, con
in più la considerazione che la foglia allungata e rigonfia verso l’esterno non è altro che una
estrapolazione da una scelta decorativa che si
era affermata in Abruzzo sul finire del XII secolo sulla scorta dei modelli arrivati dalla Terra
Santa. In ambito locale la testimonianza più antica, entro il 1190, dell’uso di questo tipo di foglia la si ha nel paliotto [19] dell’altare maggiore della cattedrale di S. Massimo a Penne, dove
viene proposta nella sua versione originaria di
tralcio ondulante in cui, in virtù del separarsi
in direzioni opposte di due foglie nascenti da
un comune bocciolo, si crea, con il rincorrersi
delle componenti, un meccanismo rotante di vistoso dinamismo.15 La soluzione gode negli anni
146
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
23. Bominaco,
S. Maria, pulpito,
capitello.
24. Manoppello,
S. Maria d’Arabona,
capitello.
25. Pianella,
S. Maria Maggiore,
Acuto, pulpito,
pilastrino d’angolo.
26. Manoppello,
S. Maria d’Arabona,
capitello.
successivi di notevole fortuna: in forme ancora
ariose e movimentate impronta di sé lo stipite
sinistro del portale e il rosone [20] di S. Maria
Maggiore a Pianella,16 ricompare nell’architrave della chiesa di S. Maria di Costantinopoli a
Corvara17 e segna infine due capitelli [21] dei
pilastri della navata di S. Clemente a Casauria18
in una versione più rigida, sintetica e lineare
rispetto alle precedenti, assai utile e significativa nel fare riconoscere il percorso attraverso il
quale si arriva a Rapino a estrapolare la singola
foglia rigonfia e staccata dal fondo come fattore
costruttivo del capitello.
Si giunge così all’ultimo capitello [22], quello
esterno sulla destra, il quale costruisce il suo apparato compositivo attraverso una trama complessa, simile e insieme diversa rispetto a quella
dei precedenti. Intanto reintroduce la corona di
foglie di acanto e la arricchisce alla base, solo
però sulla parte frontale, con il motivo di due
uccelli che beccano da un vaso, un tema che
non è estraneo alla tradizione locale visto che
compare in un capitello [23] del pulpito di S.
Maria di Bominaco, datato epigraficamente
al 1180.19 Al centro di ogni faccia è impostato il solito caulicolo a tortiglione che questa
147
FRANCESCO GANDOLFO
27. Giulianova,
S. Maria a Mare,
portale.
148
volta genera due grandi foglie dall’andamento
complesso e movimentato. Nel senso che una
porzione delle penne, lunghe e parallele, sale
diritta fino all’angolo dell’abaco dove si piega
su se stessa, in maniera secca e tagliente, rivoluzionando il sistema di creazione della voluta
che si è affermato negli altri capitelli, visto che
le membrature solitamente chiamate a svolgere
questo compito vengono impiegate al di sotto in
una funzione squisitamente decorativa.
L’insieme dei capitelli del portale mostra dunque una compiuta e organica coerenza di progettazione, muovendosi sulla scorta di soluzioni ampiamente sperimentate in alcuni dei cantieri più significativi della fine del XII secolo,
tra l’altro presenti, nella maggior parte dei casi,
nell’area territoriale di interesse del monastero
o legati ad esso da ragioni di rivalità, in relazio-
ne alla possibile acquisizione delle donazioni,
come S. Clemente a Casauria.20 Il confronto
con le sculture presenti in S. Tommaso a Caramanico è anch’esso significativo perché, oltre
a fornire un termine cronologico per la evoluzione in chiave di secca grafia lineare di quei
motivi, si propone come una buona ragione di
riferimento per valutare come, sul cantiere di
S. Salvatore alla Maiella, ci si muovesse certo
nella stessa direzione, ma lo si facesse con una
capacità di elaborazione delle forme e con una
fantasia organizzativa totalmente nuove e diverse che portavano a risultati qualitativamente
molto più alti. Lo suggerisce il fatto che alcune
delle soluzioni presenti nel portale trovano un
termine di confronto in scelte decorative operate, sia pure in un contesto grafico e formale
qualitativamente diverso, nei capitelli della vicina abbazia cistercense di S. Maria d’Arabona,
in piena vicenda costruttiva tra secondo e terzo
21
decennio del Duecento. Rientra in questo ordine di cose il tema della foglia gonfia, staccata
dal fondo e piegata su se stessa verso l’esterno che è motivo ricorrente nel monumento
cistercense [24] dove lapicidi locali dovettero
operare sotto la tradizionale guida monastica,
arrivando a una sintesi formale di straordinaria
originalità inventiva che, tra suggestioni francesizzanti ed echi della tradizione locale, compone quella che si potrebbe definire una versione
in dialetto abruzzese del capitello a crochet. Dal
confronto ovviamente non scaturisce nessun
legame diretto tra i due cantieri ma piuttosto
la constatazione di un comune sentire nelle ragioni decorative della scultura architettonica
che mette in risalto la capacità innovativa degli scultori del portale di S. Salvatore, anche
rispetto alla tradizione nella quale si dovevano
essere formati.
Le caratteristiche che segnano di sé i capitelli
ritornano nelle porzioni della ghiera dell’archivolto [7, 10] decorate con il motivo del doppio
tralcio che, intrecciandosi con regolarità in una
serie progressiva di passaggi, vede due foglie
aprirsi a ventaglio ai lati del nodo di base e altre
due, lunghe e simmetriche, con le penne separate da una pigna, disporsi allacciate all’interno
del tondo che in questo modo si crea nel percorso. Ancora una volta, sul piano squisitamente
grafico, la soluzione trova un termine puntuale
di confronto nella produzione sul finire del XII
secolo: anzitutto, per quanto riguarda i contenuti formali della voluta, in un capitello [14]
del portico di S. Clemente a Casauria, poi, per il
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
criterio complessivo del dispiegamento formale,
in un pilastrino d’angolo [25] del pulpito di S.
Maria Maggiore a Pianella, realizzato in quello
stesso momento da maestro Acuto.22 I termini
compositivi sono assolutamente gli stessi, ciò
che fa la differenza tra i due casi è la ragione
esecutiva. A Pianella il motivo è improntato a
una carnosa sostanza delle forme che è invece
l’aspetto che viene volutamente lasciato decantare nel portale di Rapino, per dare spazio a
una resa secca e lineare che rivela bene le sue
intenzioni grazie al solco che percorre, con convinta continuità, il corpo del tralcio, appiattendolo e ricomponendolo in due bande, quasi a
evocare soluzioni tipiche di tempi più antichi.
L’operazione ancora una volta ha come risultato
la separazione quasi violenta del tralcio rispetto
al fondo e il suo abbandonarsi a una vita autonoma e tridimensionale che, anche sotto questo
aspetto, trova effetti che ritornano nella scultura
dei capitelli di S. Maria d’Arabona [26], a conferma della modernità degli esiti e della sintonia
esistente, nel cantiere cistercense, con lo spirito
decorativo dei lapicidi attivi nella zona.
Già si è visto in precedenza come nel montaggio
attuale dei frammenti caratterizzati dalla presenza di questo motivo decorativo esistano due
anomalie. I pezzi non sono tutti omogenei, nel
senso che in due, pur essendo il motivo lo stesso, la ragione formale della sua resa è diversa,
soprattutto per quanto riguarda le foglie chiuse all’interno delle volute, che si mostrano con
cinque penne aperte a ventaglio, mentre negli
altri casi sono formate da una fitta sequenza di
penne accostate le une alle altre, così da creare
un insieme compatto che si movimenta piegando su se stesso il bordo esterno. L’altra anomalia
è l’andamento inverso nello svilupparsi del motivo del tralcio che alcuni frammenti mostrano
rispetto ad altri. In proposito però è possibile
solo avanzare delle ipotesi. È evidente che chi
ha rimontato il portale, per la parte relativa
all’archivolto, si è trovato davanti a una pesante
carenza di materiale antico e ha cercato di supplirvi legando insieme elementi provenienti da
partiti differenti. Allo stato attuale abbiamo a
disposizione due attacchi di ghiera, quello sulla
destra con il telamone [6-7] e quello sulla sinistra [10] con solo l’elemento vegetale, e sette
frammenti di decoro a intreccio, cinque di un
tipo e due di un altro, più due piccoli frammenti
intervallati nella parte sommitale della curva ad
altri di ragione formale totalmente diversa. Nulla osta che tutti questi elementi, caratterizzati
dal lineare intreccio del tralcio, fossero montati
in un percorso unico, ovviamente con l’aggiunta
di altri andati perduti, immaginando che in virtù di opportuni spostamenti tutte le membrature si muovessero nella stessa direzione e che la
diversità nel tipo delle foglie fosse frutto di una
voluta alternanza. Ovviamente si tratta di una
ipotesi per la quale manca qualunque possibilità di conferma e come tale al momento occorre
lasciarla, perché non vi è alcuna possibilità di
escludere che al contrario esistessero nel portale
due ghiere con lo stesso motivo decorativo realizzato in due modi differenti.
Un’altra considerazione da fare, in attesa che
emerga qualche documento relativo ai tempi
e ai modi della ricostruzione attuale del portale, è che non possiamo essere affatto sicuri che
la forma con la quale si presenta oggi sia quella
28. Atri, cattedrale,
Raimondo di Podio,
portale.
149
FRANCESCO GANDOLFO
originaria. Se per la strombatura esistono delle
ragioni sostanziali a confermarne l’antichità della
conformazione, prima tra tutte il fatto che i capitelli sono stati ricavati direttamente dai conci
che vanno poi a comporre la retrostante muratura, analoghe valutazioni non sono possibili
per l’archivolto. Nulla assicura che il portale fin
dall’origine fosse privo di architrave e di lunetta:
la loro assenza, nella condizione attuale, potrebbe essere stata imposta, a chi lo ha ricostruito,
dalla necessità di adattarlo all’andamento delle volte del portico nel quale veniva ad essere
collocato, come mostra il fatto che per poterlo
montare [1] si sono dovute scalfire le nervature
della soprastante crociera e incidere i punti di ricaduta delle arcate trasverse che la contengono.
L’ipotesi della presenza di un architrave e di una
lunetta è da tenere in conto proprio a fronte della
realtà attuale del materiale. Già si è visto che chi
ha montato il portale ha creato la ghiera decorata
ponendo in sequenza materiali non coerenti tra
loro e compensando le carenze, nei due punti di
ricaduta, con pezzi in neutro realizzati allo scopo. Nulla dunque esclude che le due ghiere interne non decorate [5] siano frutto anch’esse della
ricomposizione e non abbiano nulla a che vedere
con la struttura originaria del portale.
Se, come si è visto poc’anzi, per le parti della
ghiera attuale segnate dalla nodosa presenza
del tralcio è anche possibile arrivare a pensare a una collocazione unitaria, in quel contesto non possono certamente trovare posto le
porzioni caratterizzate da un decoro figurato.
Le ragioni quasi ovvie che impongono questa
considerazione derivano anzitutto dal fatto che
in due casi le immagini hanno un improbabile
andamento capovolto [8-9]. Pesa poi sulla questione la marcata differenza, rispetto all’altro,
delle ragioni compositive del tralcio all’interno
del quale le figurette che lo abitano sono collocate. Per quello che sembra possibile capire dai
pochi resti, il tralcio in questo caso era unico,
del tipo vitineo fasciato da foglie che si avvolgono intorno alla canna e sviluppato secondo un
percorso ondulatorio con, al fondo, un sapore
naturalistico assente nell’altro, anche se non gli
è estraneo come qualità di fattura: lo dimostra
il fatto che là dove, nelle anse, si dispongono
delle foglie aperte queste non sono diverse da
quelle presenti nelle altre zone, specialmente da
quelle dei due tratti con le foglie palmate all’interno delle anse. Quanto poi agli uccellini che
beccano i grappoli sono parenti di quelli presenti nei capitelli e dunque non vi sono ragioni
150
per pensare che questo piccolo gruppo di frammenti non provenga dallo stesso portale di cui
facevano parte gli altri. Con l’inevitabile pregiudiziale che dovessero certamente appartenere a
un’altra ghiera.
Ovviamente, per poterla portare avanti, occorre conciliare questa ipotesi con il fatto che oggi
alcuni frammenti si mostrano capovolti. Anche questo gruppo di frammenti ha dalla parte
esterna il largo bordo conclusivo che li accomuna a tutti gli altri e che, in virtù della medesima
altezza, ha permesso il loro sia pur disordinato
montaggio in un’unica ghiera. Questo conferma
che dovevano comunque fare parte dello stesso portale degli altri e soprattutto che, rispetto
all’andamento dell’arcata dovevano essere disposti nello stesso verso con il quale appaiono
oggi. Non è però credibile che i frammenti che
mostrano il loro soggetto capovolto lo facessero già in origine, tanto più che almeno in una
occasione [9], quella dell’omino seduto e colto
mentre afferra un grappolo, il verso è corretto.
L’unica ipotesi proponibile, in vista di una possibile soluzione del problema, è che i frammenti
attualmente capovolti fossero posti nelle zone
laterali della ghiera, poco sopra gli attacchi, in
modo tale che i loro contenuti assumessero un
andamento trasversale, compatibile con le dinamiche dei soggetti rappresentati e con il loro
punto di visione. Questo si concilia anche con
il fatto che la situazione descritta dai frammenti
superstiti lascia intendere che, al momento del
recupero, mentre gli stipiti del portale dovevano essere ancora in piedi, il sistema soprastante doveva essere ormai andato completamente
perduto, ridotto a pochi e sparsi frammenti,
probabilmente in condizione erratica.
Solo ragionando in questi termini si può ammettere l’esistenza nel portale di una seconda
ghiera decorata. Nulla ci può confermare se nel
portale ve ne fosse una terza, anche se la cosa
come si è visto allo stato attuale dei resti sarebbe possibile, e se vi fossero un architrave e una
lunetta con una eventuale decorazione. Resta
in ogni caso il fatto che l’insieme dei confronti
suggeriti da ciò che resta porta a ipotizzare una
realizzazione del portale tra il terzo e il quarto
decennio del Duecento, in un momento in cui
l’abbazia aveva ancora le disponibilità economiche necessarie per sostituire la chiesa di XI
secolo del priore Giovanni con l’edificio dotato
di cripta visto dal visitatore apostolico nel 1598,
anche se in condizioni ormai fatiscenti. Di questo edificio il portale [1] doveva presentarsi
UN PORTALE ABRUZZESE DIMENTICATO
come una delle componenti più significative. Se
le ragioni formali, per certi versi, lo mettono in
sintonia con i modi espressi dal concomitante
cantiere cistercense di S. Maria d’Arabona, è sul
piano strutturale che esso mostra le più marcate ragioni di novità, recuperando ed elaborando il sistema della strombatura, così come era
stato inventato in S. Clemente a Casauria [2],
attraverso il progressivo articolarsi degli stipiti
e delle colonnine, e legandolo alla soprastante
movimentata successione delle ghiere. Visto in
questi termini formali e in questa dimensione
cronologica, il dimenticato portale della abbazia
di S. Salvatore a Maiella diventa un presupposto
fondamentale nella vicenda formale e compositiva del portale abruzzese duecentesco. Le sue
forme preludono a soluzioni profondamente
innovative, anche sul piano dei contenuti, come
quelle messe in opera, sul finire del secolo, nella
chiesa di S. Maria a Mare a Giulianova23 [27] e
da qui riprese subito dopo in quella di S. Maria
in Colleromano a Penne,24 edifici che, in sequenza, portano direttamente ai portali laterali della
cattedrale di Atri,25 dove gli scultori Raimondo
di Podio [28] e Rainaldo, mostrano, ormai nei
primi anni del Trecento, di essere ancora partecipi delle soluzioni che erano state elaborate
in quella remota occasione, declinandole in una
dimensione stilistica che rincara ulteriormente
gli aspetti di astratta geometria del decoro vegetale e che resterà normativa per lungo tempo
nella realtà abruzzese.
NOTE
monachesimo benedettino nell’Abruzzo e nel Molise («Documenti e Storia, 5»), Lanciano 1988, pp. 265-267 con una
ampia indicazione delle fonti e L. TARABORELLI, San Salvatore a Majella, in Rapino. Guida storico-artistica alla città,
Pescara 2003, pp. 115-120.
11
É. BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale. De la fin de
l’Empire Romain à la Conquête de Charles d’Anjou, II, Paris 1903, pp. 584-589; I.C. GAVINI, Storia dell’architettura in
Abruzzo, edizione riveduta e corretta, Pescara 1980, I, pp.
289-332; M. MORETTI, Architettura medioevale in Abruzzo,
Roma [s.a.], pp. 198-213; H. BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik im Königreich Jerusalem («Österreichische
Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Historische
Klasse. Denkschriften», 108), Wien 1978, pp. 356-367; A.
GHISETTI GIAVARINA, San Clemente a Casauria. L’antica abbazia e il territorio di Torre de’ Passeri, Pescara 2001, pp.
38-61; F. GANDOLFO, San Clemente a Casauria. I portali e gli
arredi interni, in Dalla valle del Fino alla valle del medio e
alto Pescara («Documenti dell’Abruzzo teramano», 6, 1), Teramo 2003, pp. 272-297; F. GANDOLFO, Scultura medievale in
Abruzzo. L’età normanno-sveva, Pescara 2004, pp. 116-123.
12
BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 568-570; GAVINI, Storia, I, pp. 332-337; O. LEHMANN-BROCKHAUS, Die
Kanzeln der Abruzzen im 12. und 13. Jahrhundert, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», VI (1942-1943),
pp. 257-428: 330-336; MORETTI, Architettura, pp. 67-85;
O. LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise. Kunst und
Geschichte («Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana», 23), München 1983, p. 159; GANDOLFO, Scultura
medievale, pp. 105-107.
13
Risale a GAVINI, Storia, I, pp. 350-352 l’indicazione di questi due capitelli come appartenenti a una fase costruttiva di
tardo XII secolo, una indicazione temporale però che, in
relazione alle caratteristiche formali, si potrebbe estendere ai primi decenni del secolo successivo. Sul monumento
vedi anche G. MATTHIAE, La cattedrale di Atri, «Bullettino
della Regia Deputazione abruzzese di Storia Patria», XXIIXXIII (1931-1932), pp. 7-88; ID., “Sancta Maria de Hatria”,
«Palladio», XI (1961), pp. 93-102; MORETTI, Architettura,
pp. 506-517; C. BOZZONI, Saggi di architettura medievale.
La Trinità di Venosa. Il duomo di Atri, Roma 1979, pp. 101136; F. ACETO, La cattedrale di Atri, in Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara («Documenti dell’Abruzzo
teramano», 5, 1), Teramo 2001, pp. 187-206; GANDOLFO,
Scultura medievale, pp. 130-133.
14
BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 539-540;
1
F. SALVATORE, La chiesa di Sant’Antonio, in Rapino. Guida
storico-artistica alla città e alle sue tradizioni, Pescara 2003,
pp. 23-27.
2
G. SABATINI, La «monda della Maiella già proprietà di benedettini e cistercensi», «Bullettino della Regia deputazione
abruzzese di Storia Patria», XX-XXI (1929-1930), pp. 25164: 65.
3
Solo di recente è stata proposta una descrizione più puntuale dei dettagli decorativi del portale da parte di B. Del
Romano, S. Salvatore a Majella. Nella dinamica socio-religiosa del territorio («Documenti e Studi, 3»), L’Aquila
2014, pp. 179-180, finalizzata però a una interpretazione di
tipo esclusivamente simbolico.
4
I. DELLA MORGIA, Il monastero di S. Salvatore alla Maiella
a Rapino (CH): strutture insediative ed evidenze architettoniche, in Cantieri e maestranze nell’Italia medievale, «Atti
del Convegno di studio, Chieti–San Salvo, 16-18 maggio
2008», a cura di M.C. Somma, Spoleto 2010, pp. 575-593.
5
Il passaggio della visita è pubblicato in DEL ROMANO, San
Salvatore a Majella, p. 266.
6
L. IANNACCI, Il Liber instrumentorum del monastero di San
Salvatore a Maiella, «Studi medievali», s. III, LIII (2012),
pp. 717-769.
7
Il testo del Liber Instrumentorum è stato edito da G.
MARTINETTI, Dissertatio de antiquitate, ditione, juribus, variaque fortuna Abbatiae S. Salvatoris ad montem Magellae,
in appendice a Collectionis bullarum sacrosanctae basilicae
vaticanae, tomus primus, Roma 1747: il passo relativo al priore Giovanni è a pp. IV-V ed è stato ripubblicato in DEL
ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 218-220.
8
Il testo della bolla è stato edito da MARTINETTI, Collectionis bullarum, pp. 62-64 e riedito da DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 214-217. La vicenda economica della abbazia è stata puntualmente ricostruita da L. FELLER,
Casaux et castra dans les Abruzzes: San Salvatore a Maiella
e
e
et San Clemente a Casauria (XI -XIII siécle), «Mélanges de
l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes»,
XCVII (1985), 1, pp. 145-182 e di recente è stata ripercorsa
anche da DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 85-135.
9
Il documento è pubblicato da MARTINETTI, Dissertatio,
pp. XXXVI-XL, in particolare per il passo in questione p.
XXXIX.
10
DEL ROMANO, San Salvatore a Majella, pp. 172-174. Sulle vicende del monastero vedi anche U. PIETRANTONIO, Il
151
FRANCESCO GANDOLFO
GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 366-378;
MORETTI, Architettura, pp. 232-241; GANDOLFO, Scultura
medievale, pp. 163-167.
15
MORETTI, Architettura, p. 467; H. BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik, pp. 367-370; F. BOLOGNA, Altar maggiore.
Cattedrale di San Massimo. Penne, in Dalla valle del Fino, pp.
406-418; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148.
16
GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 339-346;
MORETTI, Architettura, pp. 156-163; BUSCHHAUSEN, Die
süditalienische Bauplastik, pp. 370-371; F. ACETO, Chiesa di
Santa Maria Maggiore. Pianella, in Dalla valle del Fino, pp.
306-312; GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148.
17
F. ACETO, Chiesa di Santa Maria in Blesiano e chiesa di
San Nicola. Pescosansonesco. Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Corvara, in Dalla valle del Fino, pp. 372-374;
GANDOLFO, Scultura medievale, pp. 142-148.
18
BUSCHHAUSEN, Die süditalienische Bauplastik, pp. 356367; F. ACETO, San Clemente a Casauria. Le vicende architettoniche, in Dalla valle del Fino, pp. 243-271; GANDOLFO,
Scultura medievale, pp. 142-148.
19
BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 567-568; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 208-212; LEHMANN-BROCKHAUS, Die Kanzeln der Abruzzen, pp. 358-366;
MORETTI, Architettura, pp. 42-53; LEHMANN-BROCKHAUS,
Abruzzen und Molise, pp. 158-160; GANDOLFO, Scultura
medievale, pp. 109-111.
20
Chiarisce i termini della rivalità tra le due abbazie FELLER,
Casaux et castra, pp. 145-147.
21
C. ENLART, Origines françaises de l’architecture gothique
en Italie («Bibliotheque des écoles françaises d’Athènes
et de Rome», 66), Paris 1894, pp. 45-48; GAVINI, Storia
dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 113-117; U. CHIERICI,
Manoppello, chiesa di S. Maria Arabona, «Palladio», n.s., I
(1951), 2/3, pp. 127-129; R. WAGNER-RIEGER, Die italienische Baukunst zu Begin der Gotik, II. Süd- und Mittelitalien,
Graz-Köln 1957, pp. 52-54; L. FRACCARO DE LONGHI, L’architettura delle chiese cistercensi italiane, Milano 1958, pp.
256-260; U. CHERICI, La chiesa di S. Maria Arabona presso
Chieti, «Napoli nobilissima», s. III, II (1962-1963), pp. 83102; MORETTI, Architettura, pp. 360-375; L. BARTOLINI SALIMBENI, A. DI MATTEO, Santa Maria d’Arabona. Un’abbazia
cistercense in Abruzzo, Pescara 1999, pp. 72-76; GANDOLFO,
Scultura medievale, pp. 176-179.
22
BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, pp. 566-567; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, I, pp. 340-342; LEHMANN-BROCKHAUS, Die Kanzeln der Abruzzen, pp. 336-342;
ID., Abruzzen und Molise, pp. 152-153; F. BOLOGNA, Ambone. Santa Maria Maggiore. Pianella, in Dalla valle del Fino,
pp. 313-318; Gandolfo, Scultura medievale, pp. 150-155.
23
V. BINDI, Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi,
Napoli 1889, pp. 73-104; GAVINI, Storia dell’architettura in
Abruzzo, II, pp. 262-263; MORETTI, Architettura, pp. 524527; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen und Molise, p. 314;
F. GANDOLFO, Chiesa di Santa Maria a Mare. Giulianova, in
Teramo e la valle del Tordino («Documenti dell’Abruzzo teramano», 7, 1), Teramo 2006, pp. 349-357; F. GANDOLFO, Il
senso del decoro. La scultura in pietra nell’Abruzzo Angioino
e Aragonese (1274-1496), Roma 2014, pp. 51-61: rimando
a questi ultimi due lavori per le argomentazioni a favore di
una precedenza del portale di S. Maria a Mare rispetto a
quello di Raimondo di Podio del 1302 nel duomo di Atri.
24
BINDI, Monumenti, pp. 581-584; GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 260-262; R. CIGLIA, L’arte benedettina nel Pescarese, Pescara 1964, pp. 195-203; MORETTI,
Architettura, pp. 522-523; LEHMANN-BROCKHAUS, Abruzzen
und Molise, p. 314; F. ACETO, Chiesa di Santa Maria in Colleromano, in Dalla Valle del Fino, 378-382; F. GANDOLFO, Madonna con il Bambino. Chiesa di Santa Maria in Colleromano.
Penne, ibid., pp. 431-433; ID., Il senso del decoro, pp. 54-61.
25
GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, II, pp. 241-253;
MORETTI, Architettura, pp. 506-513; LEHMANN-BROCKHAUS,
Abruzzen und Molise, p. 313; F. ACETO, Santa Maria di Propezzano. L’architettura e la decorazione scultorea, in La Valle
del medio e basso Vomano («Documenti dell’Abruzzo teramano», II, 1), Roma 1986, pp. 353-400: 384-396; GANDOLFO, Il senso del decoro, pp. 33-40.
REFERENZE FOTOGRAFICHE
1, 2, 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21,
22, 23, 24, 25, 27, 28 (foto Autore); 5, 7, 10, 26 (foto Walter
Angelelli).
A FORGOTTEN PORTAL IN ABRUZZO
Francesco Gandolfo
In relatively recent times a medieval portal,
which, according to the local tradition, originates from the Benedictine abbey of S. Salth
vatore a Maiella, was remounted in the 17
century church of S. Antonio at Rapino. The
abbey went through a period of great prosperity between the 11th and 13th century; afterwards
it declined quite rapidly, so as to already be in
ruins at the end of the 16th century. The portal,
as it has been rediscovered, is not in its original
form, because, in recomposing the decoration
of the archivolt, fragments deriving from different parts were joined together. The stylistic
motives shown in these fragments and in the
capitals of the jambs allow dating the portal
152
in a historical moment subsequent to reconstruction of the nearby abbey of S. Clemente
at Casauria, from which a few decorations are
taken. The motive that regulates the forms approaches however to that on the construction
site of the equally nearby Cistercian abbey of
S. Maria d’Arabona, which leads to dating the
portal to the third or fourth decade of the 13th
century. Although the reconstruction of its
forms remains in some aspects hypothetical,
its evidence stands as a significant moment
of transition in the direction that leads to the
typical forms of the portal in Abruzzo in the
14th century, as they will be defined in the construction of the cathedral of Atri.