Il grandevetro. Bimestrale di immagini politica e cultura. Maggio-giugno 2015
Stefano Berni
Albert Camus e l’amicizia
Albert Camus fu prima di tutto un filosofo e un attento osservatore dei fenomeni politici e
sociali. Era un intellettuale impegnato, sensibile alle problematiche del popolo. Di origine
francese ma nato in Algeria, fin da giovane Camus provò sulla propria pelle cosa fossero
la povertà e il razzismo. L’amore per la propria terra - del mare mediterraneo, dei suoi
colori, luci e odori - non abbandonò mai la sfera intellettuale arricchendola e suggerendo
pensieri filosofici estremamente importanti. Non solo il sentimento nostalgico della infanzia
e dell’adolescenza, ma anche il pensiero furono influenzati dai sensi e dall’esperienza
diretta con tali fenomeni naturali.
Materialista, inizialmente marxista poi nietzscheano e esistenzialista, collaborò con la
resistenza francese per combattere il nazismo. Tuttavia in esso non vide un male assoluto
privo di senso, per il semplice motivo che tutto per lui era privo di senso, pertanto il
nazismo come teoria filosofica gli era indifferente perché rientrava a pieno titolo nei
dettami della modernità, la quale aveva inventato ideologie assolute, di per sé infondate,
sciolte appunto da ogni vincolo logico e razionale. Solo la resistenza era considerata da
Camus come un’azione legittima, giacché il potere voleva uccidere, negare l’esistenza. La
resistenza era un semplice atto di legittima difesa. Occorreva difendere la propria dignità
di essere umani, occorreva sopravvivere, non ad ogni costo, ma per il solo fatto che gli
uomini sono liberi e possono tollerare tutto eccetto che si tolga loro la libertà. Essa è un
bene così prezioso, così necessario che non è possibile espungerla senza il rischio di
negare l’essenza stessa dell’uomo. A questo, in fin dei conti, miravano i nazisti: a
considerare i loro nemici esseri senza libertà e dunque destinati a soccombere perché
privi di umanità, animali non umani. Si è amici o nemici di qualcuno non per scelta ma
perché questo qualcuno ti espelle dalla sua concezione del mondo, come se le idee
fossero più importanti dell’amicizia. Così è successo con il nazismo: un giorno i nazisti
hanno deciso, in base a certe ideologie, in base a certi parametri filosofici, che qualcuno
non era degno di appartenere al genere umano: feticismo delle idee. Ci si innamora delle
idee, delle cose e non degli uomini, o meglio essi sono subordinati all’Idea. Questa matrice
platonica si riscontra in molte religioni e in molte ideologie totalitarie. L’idea di purezza è
prima di tutto un’idea sorretta da meri fatti empirici, basati su analogie o differenze
fenotipiche, che sono corroborati e corrispondono a certi interessi economici e/o tribali. È
considerato puro se appartiene alla comunità, è impuro, e quindi va espulso, se non segue
i canoni (etico-estetici) della norma comunitaria.
Si sbaglia dunque a considerare Camus come un semplice letterato, non perché la
professione dello scrittore non sia degna o meno importante della filosofia ma perché chi
vuol fare filosofia, ci ricorda l’autore algerino, deve scrivere romanzi: si può pensare solo
per immagini. I suoi romanzi sono appunto rappresentazioni per immagini di un pensiero
chiaro, onesto, cristallino. Solo dalle immagini, attinte dalla profondità delle emozioni e del
corpo, possono risalire alla superficie le metafore delle azioni pensanti. Il Camus scrittore
è coerente con il Camus filosofo e con il Camus uomo.
Anche a proposito del comunismo Camus si rese conto prima di molti altri della deriva
totalitaria dei regimi dell’est. Anch’essi si proponevano come ideatori di un mondo perfetto,
nuovo, in cui la libertà era subordinata al lavoro. Per Camus era chiaro che il prezzo da
pagare per avere un lavoro non poteva essere la rinuncia alla propria scelta personale di
vita. Questa critica al comunismo gli costò molte inimicizie tra le quali quella di Sartre.
Credo che Camus non avrebbe scambiato un’amicizia con la difesa di una teoria. Egli non
avrebbe sacrificato un’amicizia perché il suo amico teneva una posizione contraria alla
sua. Camus avrebbe potuto anche difendere strenuamente la sua idea, così come
accadeva per Sartre, ma la rottura non poteva avvenire se qualcuno si posizionava in un
punto di vista diverso dal proprio. Egli era troppo relativista nel sottomettere un’amicizia ad
un’idea. Ciò invece non accadde per Sartre. Dopo la pubblicazione de L’uomo in rivolta, il
filosofo parigino interruppe i rapporti con Camus. Questi si difese soprattutto ponendo
l’accento sulle contraddizioni e sulla disonestà intellettuale di certi amici sartriani, che
difendevano la teoria di Sartre su una base di un’ideologia e non sul carattere logico delle
conclusioni. La coerenza è l’indice di onestà intellettuale, non si può argomentare ad
hominem. L’amicizia non è complicità, non è cameratismo, non è goliardia, non è
uniformità, non è fede comune. L’amicizia è differenza tra pari, è discussione libera tra chi
può pensare diversamente e altrimenti. La politica deve essere sorretta dal pensiero e
guidata da un rigore logico. Qui in Camus si respira, all’interno del suo pensiero meridiano
e mediterraneo, la concezione della filosofia greca. Camus è un filosofo greco, è il filosofo
della politica autentica, del dialogo democratico, del sofista che dice liberamente quello
che pensa contro i potenti, senza temere e compiacere l’avversario. Solo nella discussione
franca abbiamo l’amicizia; solo nel dichiarare punti di vista diversi è possibile il
riconoscimento e la possibilità di una scelta giusta. Non esiste l’assoluto, esiste solo la
relatività dei punti di vista, e la politica deve mediare tra questi diversi punti di vista. Così
accade in un’opera di Camus come il Caligola. Ad un certo punto Cherea, il filosofo di
corte, cerca di far ragionare l’amico Caligola ormai prossimo alla follia. Tutti compatiscono
e adulano il tiranno per paura, interesse, indifferenza. Cherea è l’unico che prova a
dialogare. È certamente in una posizione non egualitaria, di debolezza, potrebbe sviare
dal discorso, compiacerlo, ma lui ribadisce colpo su colpo all’insensatezza del
ragionamento di Caligola. È lo scontro tra l’assolutismo e il relativismo temperato: il primo
impone la sua legge su tutto e tutti, e chi non obbedisce è costretto a soccombere; il
secondo propone la sua ipotesi alla ricerca di una razionalità mediata, e se questa non
arriva a concludersi in una scelta corretta, il filosofo agirà in base alle conseguenze della
lotta contro il potere. Per Camus il relativismo non può essere assoluto, altrimenti
cadrebbe nell’indifferenziato e nell’inazione. All’assoluto, è logico anteporre, come extrema
ratio, la rivolta.
Anche l’amicizia fra i popoli fu un tema importante per Camus: madre spagnola, padre
francese, nato e vissuto in Algeria, egli si sentiva figlio del mondo, apolide. In occasione
della rivoluzione algerina Camus, coerentemente con la sua filosofia mediterranea, tentò
una difficile mediazione tra coloro i quali volevano spingere l’Algeria ad occidentalizzarsi,
con l’inevitabile assoggettamento di fatto alla madre patria, la Francia, e coloro i quali
spingevano verso una liberazione totale, coincidente con l’ideologia comunista che, come
era accaduto da altre parti, faceva leva sui sentimenti popolari arcaici, tradizionali e tribali
con il rischio di riportare l’Algeria, nell’ipotesi migliore, ad un mondo forse in parte
decolonizzato ma povero e arretrato.
Di fronte agli assolutismi delle opposte sponde, il mondo non è ancora riuscito ad
attraversare quel ponte che Camus aveva progettato.