L’ESTERNALIZZAZIONE SOFT DELLE FRONTIERE
E IL NAUFRAGIO DELLA COSTITUZIONE
di Alessandra Algostino
Professore associato di Diritto costituzionale
Università degli Studi di Torino
ABSTRACT
ITA
L’hard law, statale, comunitario o internazionale, che disciplina
l’immigrazione sfuma sempre più in una nebulosa di comunicazioni,
procedure operative, circolari, partenariati, memorandum, scambi di
note. Gli accordi di riammissione si presentano come emblematici
della trasformazione delle politiche e delle norme in materia di
immigrazione, sia per la loro forma – o, meglio, non-forma – sia per il
loro contenuto.
Il contributo ricostruisce la natura soft di alcuni accordi recenti, per
approfondire quindi l’analisi dei loro punti di collisione con la
Costituzione, dalla mancanza di una legge di autorizzazione alla
ratifica alla violazione della riserva di legge in materia di
immigrazione al vulnus al principio di non-refoulement, evidenziando
come la loro evanescenza renda difficile far valere responsabilità
politiche e giudiziarie.
Diritti dimidiati e impediti, procedure decisionali opache e soft law,
Costituzione esautorata: l’immigrazione si pone quale campo di prova
e cartina di tornasole sia per l’effettività dei diritti, come diritti
universali e come diritti costituzionali, sia per l’ancoraggio dei
processi decisionali e normativi ai parametri propri di una democrazia,
sia per la tenuta della Costituzione.
Fascicolo n. 1/ 2017 ~ Saggi e articoli – Parte II
ISSN: 2036-6744
EN
Hard law concerning immigration, whether at the national,
European, or international level, fades into a nebula of
communications, operating procedures, circulars, partnerships,
memoranda and exchanges of notes. Readmission agreements are
emblematic of the transformation of the policies and norms in the area
of immigration, both for their form – or better, non-form – and their
content.
The present contribution reconstructs the soft nature of certain
recent immigration agreements in order to deepen the analysis of
where they conflict with the Italian Constitution (for example, the
absence of an authorizing ratification law, the violation of the
statutory reserve on immigration, the vulnus of the principle of nonrefoulement), highlighting how their soft nature makes enforcing
political and judicial responsibilities difficult.
With restricted and prevented rights, unclear decision-making
procedures and soft law, the Constitution becomes deprived of its
authority. Immigration becomes a litmus test, both for the
effectiveness of rights, such as universal rights and constitutional
rights, and for the anchoring of decision-making and regulatory
processes to the parameters of democracy and of upholding the
Constitution.
L’ESTERNALIZZAZIONE SOFT DELLE FRONTIERE
E IL NAUFRAGIO DELLA COSTITUZIONE
di Alessandra Algostino
SOMMARIO: 1. Il diritto dell’immigrazione: dalla Costituzione alle
lettere; 2. Il modello degli accordi di riammissione soft: la Dichiarazione Unione europea-Turchia del 18 marzo 2016; 3. Gli accordi di riammissione soft dell’Italia: questioni di forma?; 4. Democrazia e pubblicità: l’art. 1 Cost.; 5. La legge di autorizzazione alla ratifica e l’art. 80
Cost.; 6. Discorrendo di immigrazione, la riserva di legge ex art. 10, c.
2, Cost.; 7. Il diritto di asilo e il divieto di refoulement: l’art. 10, c. 3,
Cost.; 8. Esternalizzazione delle frontiere, persona umana e diritti costituzionali; 9. Osservazioni conclusive: la Costituzione e la palude.
«Les han robado su lugar en el mundo. Han sido
despojados de sus trabajos y sus tierras. Muchos
huyen de las guerras, pero muchos más huyen de los
salarios exterminados y de los suelos arrasados.
Los náufragos de la globalización peregrinan inventando caminos, queriendo casa, golpeando puertas: las puertas que se abren, mágicamente, al paso
del dinero, se cierran en sus narices. Algunos consiguen colarse. Otros son cadáveres que la mar entrega
a las orillas prohibidas, o cuerpos sin nombre que yacen bajo tierra en el otro mundo adonde querían llegar».
EDUARDO GALEANO, Los emigrantes, ahora (2005)
1
1. Il diritto dell’immigrazione: dalla Costituzione alle lettere
La Costituzione che sancisce il diritto di asilo (art. 10, c. 3), o stabilisce che la condizione giuridica dello straniero sia «regolata dalla
legge» (art. 10, c. 2), così come il diritto internazionale, con trattati
quali la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28
1
E. GALEANO, Los emigrantes, ahora, in Bocas del tiempo, Pehuén, Santiago, 2005, p.
207.
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ALESSANDRA ALGOSTINO
luglio 19512, o la Convenzione ONU per la tutela dei diritti di tutti i
lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 18 dicembre
19903, e il diritto dell’Unione europea, con gli artt. 77-80 TFUE, regolamenti e direttive4, costituiscono ormai solo uno degli elementi che
compongono il patchwork che presiede a «una migrazione ordinata»5,
ovvero alla gestione delle migrazioni. L’hard law, statale, comunitario
o internazionale, sfuma in una nebulosa di comunicazioni, procedure
operative, circolari, partenariati, memorandum, scambi di note. La governance dell’immigrazione6 – per inciso, si utilizza il termine governance non per essere à la page, ma perché restituisce bene l’immagine
della commistione liquida di attori, dotati di legittimazione democratica e/o di poteri di fatto, che agiscono senza procedure e forme predefinite7 – è sempre più fluida e informale.
In questo contesto gli accordi di riammissione più recenti si presentano come emblematici della trasformazione delle politiche e delle
norme in materia di immigrazione, sia per la loro forma – o, meglio,
non-forma – sia per il loro contenuto (paradigmatico della ratio delle
politiche europee in materia di immigrazione)8.
2 La Convenzione è autorizzata alla ratifica ed eseguita nell’ordinamento italiano con
legge 24 luglio 1954, n. 722.
3 Senza scordare che alcune norme dei trattati, fra le quali il principio di nonrefoulement (art. 33 Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati) sono ormai considerati come parte del diritto consuetudinario.
4 Per alcuni riferimenti specifici, cfr. infra; per un quadro sistematico, si vedano, sul sito www.europarl.europa.eu (voce Note sintetiche sull’Unione europea, Le politiche settoriali), Politica di immigrazione e Politica di asilo.
5
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), Missione, in
www.italy.iom.int
6 In tema, molto efficacemente, si legga I. GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni.
Sociologia dell’underworld del comando globale, Franco Angeli, Milano, 2016.
7 Per tutti, sulla governance, sulle sue opacità e sui suoi rischi, cfr. M. R. FERRARESE,
La governance tra politica e diritto, il Mulino, Bologna, 2010; P. ROSANVALLON, La contredémocratie. La politique á l’âge de la défiance, Seuil, Paris, 2006 (trad. it. La politica nell’era
della sfiducia, Città Aperta Edizioni, Troina (En), 2009), spec. p. 264; P. MEAGLIA, Governance e democrazia rappresentativa. Un confronto, in Teoria politica, n.s., Annali I, 2011, pp.
381 ss.; R. BIN, Contro la governance: la partecipazione tra fatto e diritto, in G. ARENA, F.
CORTESE (a cura di), Per governare insieme: il federalismo come metodo. Verso nuove forme di
democrazia, Cedam, Padova, 2011; A. ARIENZO, Dalla corporate governance alla categoria
politica di governance, in Governance, I, Dante&Descartes, Napoli, 2004, e ID., La governance, Ediesse, Roma, 2013.
8 «Gestire le frontiere» è uno dei quattro «livelli di azione» individuati dall’Agenda europea sulla migrazione, adottata dalla Commissione europea il 13 maggio 2015 (Commissione europea, 13.5.2015 COM(2015) 240 final, Bruxelles), ma in realtà esso attraversa an-
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Non solo: gli accordi di riammissione possono essere letti come esempio della metamorfosi che, più ampiamente, sta subendo il diritto,
con un progressivo esautoramento degli organi preposti alla produzione delle norme, e a ciò legittimati dal loro essere parte del circuito politico-rappresentativo, in favore di un mélange di soggetti pubblici
(con una prevalenza degli organi esecutivi) e privati, che agiscono al
di fuori di procedure e forme predeterminate, utilizzando strumenti
flessibili e informali. Ancora, anticipando quanto si osserverà infra,
essi rendono palesi le ambiguità della proclamazione di diritti universali che si attenuano, quando non scompaiono, se i titolari sono semplici persone umane.
La rilevanza della questione “immigrazione” emerge in Europa nelle ultime decadi del Novecento. A livello europeo, alla fine degli anni
Ottanta si registrano i primi segnali che mostrano il crescente interesse
per la materia: dalla costituzione di organismi intergovernativi ibridi
(in quanto correlati con le istituzioni comunitarie), come il Gruppo ad
hoc Immigrazione (1986), alla considerazione della circolazione degli
stranieri nella Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990
dell’Accordo di Schengen (14 giugno 1985), all’adozione della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per
l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri
delle Comunità europee del 15 giugno 1990; senza dimenticare il Trattato sull’Unione europea (Maastricht, 7 febbraio 1992), che contempla, se pur nel terzo pilastro rimesso alla cooperazione intergovernativa, le politiche in tema di asilo e immigrazione9. Si giunge così alle
soglie del nuovo millennio al primo passo nella comunitarizzazione
delle competenze relative all’immigrazione e all’asilo con il Trattato
di Amsterdam del 2 ottobre del 1997 e al Consiglio europeo di Tam-
che gli altri tre livelli, «ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare», «onorare il dovere
morale di proteggere: una politica comune europea di asilo forte», «una nuova politica di
migrazione legale».
9 In argomento, cfr. B. NASCIMBENE (a cura di, con la collaborazione di, M. PASTORE),
Da Schengen a Maastricht. Apertura delle frontiere, cooperazione giudiziaria e di polizia,
Giuffrè, Milano, 1995.
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
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pere del 15 e 16 ottobre 1999, nelle cui conclusioni il primo punto è
dedicato alla politica comune in materia di immigrazione e asilo10.
Segue quindi negli anni successivi l’adozione di una serie di direttive tendente ad elaborare un quadro giuridico compiuto, che, peraltro,
stante anche la collusione della materia con le tradizionali prerogative
statali, spesso è declinato nei termini dell’individuazione di una serie
di standard minimi11. Parallelamente, a partire dal 2005, atti di soft
law come il Global Approach to Migration and Mobility12 annunciano
non tanto un cambiamento di rotta quanto un mutamento di stile e di
intensità delle politiche europee13 che si affidano sempre più alla cooperazione con Stati terzi, a «partenariati per la mobilità», assumendo
come cardine l’assunto che «senza controlli efficaci alle frontiere,
senza una riduzione dell’immigrazione irregolare e un’ efficace politica di rimpatrio, l’UE non sarà in grado di offrire maggiori opportunità
di migrazione legale e mobilità»14.
Quanto all’ordinamento italiano, basti qui ricordare – dopo i primi
passi compiuti con la legge 30 dicembre 1986, n. 943, e la legge 28
Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, dedicato alla creazione di uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, Conclusioni della Presidenza, in
www.europarl.europa.eu
11 A mo’ di esempio, si ricordano la c.d. direttiva rimpatri (direttiva 2008/115/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare) e le direttive in materia di protezione internazionale: direttiva 2013/32/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini
del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (con la precisazione che esiste una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che
istituisce una procedura comune per la protezione internazionale nell’Unione e che abroga
la direttiva 2013/32/UE, COM(2016)0467); direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti
protezione internazionale.
12 In argomento, per un primo approccio, cfr. D. VITIELLO, L’azione esterna dell’Unione
europea in materia di immigrazione e asilo: linee di tendenza e proposte per il futuro, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, nn. 3-4/2016, pp. 9 ss.; I. GJERGJI, Sulla governance delle
migrazioni, cit., pp. 68 ss.
13 Cfr. I. GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., p. 70, che, individuata nel
Global Approach to Migration la terza fase delle politiche migratorie dell’Unione europea,
osserva come il nuovo approccio «adotta certamente nuovi strumenti, i quali però servono
soprattutto a potenziare il tradizionale approccio, ovvero le misure di riammissione, controllo e repressione dei movimenti migratori, prefigurando come unico canale d’ingresso
regolare il modello della migrazione circolare».
14 Commissione europea, L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità,
COM(2011) 743 del 18.11.2011, p. 5.
10
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
febbraio 1990, n. 39 (c.d. legge Martelli) – l’adozione, sul finire del
secolo appena trascorso, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), il cui impianto fondato sul doppio binario (integrazione e repressione), nonostante alcune
modifiche, tendenti per lo più ad inasprire il secondo binario, resta
tutt’oggi il testo di riferimento. Le “ultime volontà” del Governo italiano in materia di immigrazione sono demandate, oltre che al c.d. decreto Minniti15, ad un atto di soft law, l’Italian non-paper – Migration
Compact – Contribution to an EU strategy for external action on migration16. Nella Lettera che accompagna il paper, a firma dell’allora
Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, inviata il 15 aprile 2016 ai
presidenti della Commissione e del Consiglio dell’UE, Jean-Claude
Juncker e Donald Tusk, si legge: «il nostro non-paper è centrato
sull’idea di sviluppare un modello di offerta ai Paesi partner
all’interno del quale alle misure proposte da parte UE (supporto finanziario e operativo rafforzato) corrispondano impegni precisi in termini
di efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi di migranti,
cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni, rafforzamento del
contrasto al traffico di esseri umani»17.
Senza addentrarsi oltre nella ricostruzione delle politiche e delle
normative in tema di migranti, si può notare negli ultimissimi anni un
salto di qualità, con la propensione ad utilizzare strumenti e procedure
informali adottati nell’ambito di processi non di government bensì di
governance.
Paradigmatico è l’“hotspot approach”, che si presenta allo stesso
tempo come un luogo e una procedura18, finalizzato ad una identificazione rapida e massiccia dei migranti al loro arrivo, funzionale ad una
immediata distinzione fra migranti richiedenti protezione internazionale e c.d. migranti economici, per consentire – obviously – un veloce
Decreto legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, in legge 13 aprile 2017, n. 46.
16 Il testo compare sul sito ufficiale del Governo, in una pagina dal titolo “Immigrazione, la proposta dell’Italia alla UE”, 21 aprile 2016, in www.governo.it.
17 Consultabile sotto la voce Immigrazione, la proposta dell’Italia alla UE, sul sito
www.governo.it
18 Nelle “Procedure Operative Standard (SOP)”, pubblicate dal Ministero dell’Interno,
si dice che essi sono da intendersi in una duplice accezione, come «area designata» e «metodo di lavoro» (si veda www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it, 10 giugno
2016).
15
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rimpatrio dei secondi. La fonte è l’Agenda europea sulla migrazione,
adottata dalla Commissione europea il 13 maggio 2015 attraverso una
comunicazione19; nell’ordinamento italiano, la relativa disciplina è introdotta con una circolare20 e alcune disposizioni amministrative, denominate “Procedure Operative Standard (SOP)”, pubblicate dal Ministero dell’Interno21. Un regime giuridico, dunque, quello degli hotspot, giocato a livello di soft law22: eppure si incide, anche a tacere
della riserva di legge prevista in materia di condizione giuridica dello
straniero dall’art. 10, c. 2, Cost., sull’esercizio di diritti fondamentali
della persona (in primis, sulla libertà personale e sul diritto di asilo)23.
Dal punto di vista del contenuto si assiste ad una crescente insistenza sul contrasto all’immigrazione irregolare24, nell’ambito del
quale diviene sempre più rilevante la cooperazione con gli Stati terzi.
Esplicita in tal senso, oltre i documenti già citati, è una comunicazione
Commissione europea, 13.5.2015 COM (2015) 240 final, Bruxelles.
Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Protocollo
0014106 del 6 ottobre 2015 (testo reperibile sul sito www.asgi.it).
21
Il
documento
è
reperibile
sul
sito
www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/hotspot; sul carattere soft anche delle
decisioni del Consiglio europeo 1523 del 14 settembre 2015 e 1601 del 22 settembre 2015,
richiamate nelle “Procedure Operative Standard (SOP)”, cfr. I. GJERGJI, Sulla governance
delle migrazioni, cit., pp. 75-76.
22 La situazione non è sanata dall’art. 17 del D. L. n. 13 del 2017, convertito in L. n. 46
del 2017 (il c.d. decreto Minniti, già ricordato ante), stante la sua lacunosità, sulla quale si
rinvia in specie a L. MASERA, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del decreto Minniti, in Diritto penale contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it), 10 marzo
2017; C. LEONE, La disciplina degli hotspot nel nuovo art. 10 ter del D. lgs. 286/98:
un’occasione mancata, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2017.
23 Per prime osservazioni, si vedano R. CHERCHI, I diritti dello straniero e la democrazia,
in Associazione “Gruppo di Pisa”, Convegno annuale “Cos’è un diritto fondamentale?”,
Cassino, 10-11 giugno 2016, www.gruppodipisa.it, p. 48; gli interventi di F. VASSALLO PALEOLOGO, in Associazione Diritti e Frontiere, www.a-dif.org; il Documento ASGI 21-102015, Garantire i diritti degli stranieri soccorsi in mare e sbarcati, in www.asgi.it; A. CIERVO,
Ai confini di Schengen. La crisi dell’Unione Europea tra “sistema hotspot” e Brexit, in Costituzionalismo.it, n. 3/2016, parte I, spec. pp. 85 ss.; S. PENASA, L’approccio “hotspot”
nella gestione delle migrazioni: quando la forma (delle fonti) diviene sostanza (delle garanzie). Efficientismo e garantismo delle recenti politiche migratorie in prospettiva multilivello, in
Rivista AIC, n. 2/2017; L. MASERA, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed
aumentano di numero, cit.; C. LEONE, La disciplina degli hotspot nel nuovo art. 10 ter del D.
lgs. 286/98, cit.
24 Il tema del controllo delle frontiere è ricorrente, da ultimo, nei vari scenari prospettati in Commissione europea, Libro bianco sul futuro dell’Europa, COM2017(2025) del 1
marzo 2017.
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della Commissione europea del 2016, recante Creazione di un nuovo
quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione, dove, con la scontata precisazione che ciò dovrà avvenire nel pieno rispetto dei diritti umani, si ribadisce la centralità di «una politica coerente, credibile ed efficace relativa al rimpatrio», e come fondamentale nei patti con i Paesi terzi sia il funzionamento del sistema di rimpatrio e riammissione, nell’intento di «aumentare in modo specifico e misurabile il numero dei rimpatri e delle
riammissioni»25.
Gli ultimi documenti adottati nel marzo 2017 dalla Commissione
europea confermano la linea di tendenza che vede nel rimpatrio il perno della politica europea in materia di immigrazione; i titoli sono evocativi: Communication on a more effective return policy in the Europea Union – A renewed action plan26 e Recommendation on making
returns more effective when implementig the Directive 2008/115/EC
of the European Parliament and of the Council27.
Si palesa dunque, come anticipato, il carattere iconico degli accordi
di riammissione, imprescindibili per politiche focalizzate sull’idea della migrazione circolare28, mentre la loro evoluzione costituisce un
chiaro esempio del passaggio dal government alla governance e
dall’hard law alla soft law29.
Nel primo decennio del secolo in corso (per la precisione, dal 2004
al 2014) risultano adottati 17 accordi di riammissione tra Unione europea e Paesi terzi30, in base alla competenza che l’art. 79, par. 3,
TFUE conferisce: «l’Unione può concludere con i paesi terzi accordi
ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di citCOM (2016) 385 del 7.6.2016.
Communication from the Commission to the European Parliament and the Council,
COM (2017) 200 final, 2.3.2017.
27 Commission Recommendation, C (2017) 1600 final, 7.3.2017.
28 In argomento, cfr. I. GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., spec. pp. 68-70.
29 Un riferimento ampio al ruolo della soft law in relazione alle migrazioni, è in I.
GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., p. 24, che ragiona della «proliferazione di
una moltitudine di norme “morbide” (soft law) e flessibili nel settore delle migrazioni».
30 Per l’elenco, nonché il testo degli accordi, si veda la scheda on line
Return&readmission,
sul
sito
ufficiale
della
Commissione
europea
(www.ec.europa.eu/home-affairs), nonché, in lingua italiana, Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1-2/2016, pp. 119 ss.
Quanto agli accordi conclusi fra Stati membri dell’UE e Stati terzi, essi ormai superano
i trecento (cfr. J.-P. CASSARINO, A Reappraisal of the EU’s Expanding Readmission System,
in The International Spectator, Routledge, 2014, 49 (4), p. 132).
25
26
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ALESSANDRA ALGOSTINO
tadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l’ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri».
Quanto all’Italia, nell’Archivio dei Trattati internazionali Online
del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale31, cercando con la voce “riammissione” compaiono più di 30 testi,
fra accordi, protocolli e intese di attuazione, conclusi dal 1990 al
2014. La forma prevalente pare essere quella semplificata32, con notifica e comunicazione in Gazzetta ufficiale33, senza legge di autorizzazione alla ratifica34.
Un quadro completo delle ipotesi di riammissione peraltro deve tener conto anche delle clausole inserite in accordi di associazione e di
cooperazione35, sulla falsariga dell’art. 13 del c.d. Accordo di Cotonou
(Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati
dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato il 23 giugno 2000)36.
Tali accordi, ma anche i benefit contemplati nei patti aventi come
oggetto principale la riammissione, rendono esplicita la natura dello
Consultabile sul sito itra.esteri.it.
Segnala una «crescente tendenza ad instaurare forme di cooperazione finalizzate al
contrasto all’immigrazione irregolare, che non assumono la veste formale di veri e propri
accordi internazionali, ma che sono caratterizzati da un significativo grado di “informalità”», M. MARCHEGIANI, L’accordo di riammissione quale strumento integrato di cooperazione
tra Stati per il contrasto all’immigrazione irregolare, in G. PALMISANO (a cura di), Il contrasto
al traffico di migranti nel diritto internazionale, comunitario e interno, Giuffrè, Milano, 2008,
p. 144.
33 A mo’ di esempio, si vedano l’accordo fra Italia e Nigeria, Accordo in materia migratoria (riammissione), Roma, 12 settembre 2000, notificato il 24.04.2006 - 20.02.2007, comunicato in Gazz. Uff., n. 180 SO del 04.08.2011; l’accordo fra Italia ed Egitto, Accordo di
cooperazione in materia di riammissione, con protocollo esecutivo e allegati, Roma, 9 gennaio
2007, notificato il 24.03.2008 - 26.03.2008, comunicato in Gazz. Uff., n. 242 SO del
15.10.2008.
34 Vi sono peraltro accordi per cui figura unicamente una nota verbale (è il caso ad esempio dell’Accordo sulla riammissione delle persone che soggiornano senza autorizzazione,
Roma, 15 aprile 2014, concluso con il Kosovo), mentre in relazione ad alcuni, come quello
di cui si dirà infra con la Tunisia del 2011, non si è trovata notizia (cercando con le voci
“riammissione” e “Tunisia”).
35 D. VITIELLO, L’azione esterna dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo,
cit., pp. 13 ss.; per un riferimento specifico ai c.d. accordi di amicizia e cooperazione, si veda M. BORRACCETTI, L’Italia e i rimpatri: breve ricognizione degli accordi di riammissione, in
Diritto, immigrazione e cittadinanza, nn. 1-2/2016, spec. pp. 40 ss.
36 2000/483/CE; primi riferimenti in J.-P. CASSARINO, La centralità periferica dell’art. 13
dell’accordo di Cotonou, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, nn. 1-2/2016, pp. 21 ss.
31
32
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L’esternalizzazione soft delle frontiere
scambio “denaro per persone”; uno scambio, invero, spesso doppiamente vincente per i Paesi che cooperano e che quindi godono dei
vantaggi che la cooperazione reca (anche) allo Stato che “fornisce”
cooperazione, con il surplus di un controllo dei flussi migratori semplificato ed esternalizzato. Certo, c’è un prezzo: il naufragio dei diritti
e della democrazia, ma per la global economic governance, siamo sicuri sia da ascrivere fra i costi?
Negli ultimi anni – ovvero dal biennio 2015-201637 –, gli accordi (o
le clausole) di riammissione sono sempre più spesso conclusi in sedi
para-istituzionali – con interpretazioni finanche paradossali come si
vedrà in relazione all’”accordo UE-Turchia” – e attraverso forme ipersemplificate, ovvero soft: agende, partenariati, dichiarazioni, scambi
di note, …38.
Oggetto del presente intervento sono proprio gli accordi-non accordi, specificamente finalizzati alla riammissione, degli ultimi anni,
nell’intento di analizzare il loro rapporto con il quadro costituzionale e
individuare eventuali vulnera – di non facile, si anticipa, sanzionabilità – di norme e principi costituzionali. Sotto il profilo procedurale, tali
accordi possono qualificarsi come soft, con esplicito richiamo alla soft
law, quale insieme eterogeneo di «rules of conduct which, in principle, have no legally binding force but which nevertheless may have
practical effects»39. La qualificazione “soft” indica la presenza di una
forma iper-semplificata ed evoca il mancato rispetto delle procedure
atte ad assicurare all’atto efficacia giuridica vincolante (un mancato
rispetto che, come si vedrà, a prescindere da ogni discussione inerente
37 Il biennio 2015-2016 segna una nuova fase delle politiche migratorie dell’Unione europea, non, come già accennato, per un cambio di rotta nel contenuto, quanto per una accelerazione e una de-formalizzazione delle stesse.
38 Un esame dettagliato e critico dei partenariati per la mobilità e la migrazione è in I.
GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., pp. 79 ss.; sulle ragioni per l’opzione in favore di accordi di riammissione informali, cfr. J.-P. CASSARINO, Informalising Readmission
Agremeents in the EU Neighbourhood, in The International Spectator, Routledge, 2007, 42
(2), pp. 179 ss.
39 La definizione – ricorrente nei contributi dedicati alla soft law – si deve a F. SNYDER,
The Effectiveness of European Community Law: Institutions, Processes, Tools and Techniques, in The Modern Law Review, 1993, vol. 56, n. 1, p. 32; per una prima ricostruzione del
concetto, sia consentito rinviare a A. ALGOSTINO, La soft law comunitaria e il diritto statale:
conflitto fra ordinamenti o fine del conflitto democratico?, in Costituzionalismo.it, n.
3/2016, parte I, pp. 255 ss.
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
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ALESSANDRA ALGOSTINO
gli accordi in forma semplificata40, è strettamente collegato
all’osservanza dell’art. 80 Cost.).
2. Il modello degli accordi di riammissione soft: la Dichiarazione
Unione europea-Turchia del 18 marzo 2016
Pur volendo focalizzare l’analisi sugli accordi conclusi direttamente dall’Italia, non si può non dedicare alcuni brevi cenni al c.d. accordo fra Unione europea e Turchia41, che è assunto quale modello degli
accordi di riammissione soft, come esplicitato anche nei vertici politici
e nelle comunicazioni della Commissione europea42.
La natura soft è evidente se si considera come l’”accordo” consista
nella Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, che compare sotto
la forma di comunicato stampa sul sito istituzionale del Consiglio europeo43.
Invero la forma è così “informale” da porre dubbi sulla natura di
accordo internazionale. In tal senso però depongono il criterio sostanzialista seguito in ambito UE in materia di fonti44 e il contenuto
dell’accordo, che comporta obblighi giuridici (non riconducibili ad altri atti). Un tipico atto, dunque, di soft law: non ha efficacia giuridica
vincolante per la sua forma ma ha effetti giuridici pratici.
Accertata la natura informale dell’accordo, occorre quindi domandarsi se essa rispetta il diritto europeo.
40 Nell’ampia dottrina sul tema, ci si limita qui a richiamare A. BARBERA, Gli accordi
internazionali: tra Governo, Parlamento e corpo elettorale, in Quad. cost., 1984, pp. 439 ss.
41 Per un approccio ampio, cfr. C. FAVILLI, La cooperazione UE-Turchia per contenere il
flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 2/2016, pp. 405 ss.
42 Per tutti, cfr. Commissione europea, Creazione di un nuovo quadro di partenariato con
i paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2016) 385 del 7 giugno
2016, laddove, a proposito della Dichiarazione UE-Turchia, si afferma: «i suoi elementi
possono ispirare la cooperazione con gli altri paesi terzi strategici e indicare le principali
leve da attivare».
43 Consultabile al sito www.consilium.europa.eu.
44 Per un approfondimento, cfr. O. CORTEN, Accord politique ou juridique: quelle est la
nature du “machin” conclu entre l’UE et la Turquie en matière d’asile?, in EU Immigration
and Asylum Law and Policy, in eumigrationlawblog.eu, 10 giugno 2016; M. DEN HEIJER, T.
SPIJKERBOER, Is the EU-Turkey refugee and migration deal a treaty?, in EU Law Analysis,
eulawanalysis.blogspot.it, 7 aprile 2016; S. PEERS, The draft EU/Turkey deal on migration
and refugees: is it legal?, in EU Law Analysis, eulawanalysis.blogspot.it, 16 marzo 2016
148
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Si può obiettare infatti che la forma semplificata contrasta con il diritto comunitario, il quale nelle materie oggetto dell’accordo richiede,
ai sensi degli artt. 77-78 TFUE, la procedura legislativa ordinaria, ovvero, per la conclusione di un accordo internazionale, di seguire il
procedimento di cui all’art. 218 TFUE, con la partecipazione, stante la
materia, del Parlamento europeo.
Per inciso, compare qui un must degli accordi soft: il ruolo, sostanzialmente esclusivo, degli organi esecutivi nella loro stipulazione. Ora, nella consapevolezza che le relazioni internazionali sono tradizionalmente terreno dell’esecutivo, l’estromissione pressoché totale del
legislativo segna un passo oltre; un passo coerente, peraltro, con la
crescente concentrazione di potere negli esecutivi, sia che agiscano
nell’ambito del government sia in quanto operino nello spazio duttile e
promiscuo della governance.
Quanto al contenuto della Dichiarazione, esso è tipico degli accordi
di riammissione: rendere più easy il rimpatrio45, con tutto ciò che ne
consegue in termini di impatto – come si specificherà in relazione
all’Italia – sul diritto di asilo e sul rispetto dei diritti umani.
La scelta poi senza alcuna remora della Turchia come partner e
come Stato sicuro46 esemplifica come sia irrilevante la natura democratica o meno del Paese con il quale si conclude l’accordo, ovvero
verso il quale si rimpatriano migranti e profughi.
Sulla Dichiarazione/accordo si è pronunciato il Tribunale
dell’Unione europea e la sua risposta è quanto meno sorprendente:
non è un atto dell’Unione europea. Il Tribunale era stato adito, a norma dell’art. 263 TFUE, da due cittadini pakistani e un cittadino afgano, richiedenti asilo in Grecia, che temevano, in ragione dell’accordo,
45 «La Turchia ha convenuto di accettare il rapido rimpatrio di tutti i migranti non bisognosi di protezione internazionale che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla
Grecia e di riaccogliere tutti i migranti irregolari intercettati nelle acque turche»; «Tutti i
nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche
a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, nel pieno rispetto del diritto
dell’UE e internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva»
(Dichiarazione Unione europea-Turchia del 18 marzo 2016, cit.).
46 Per un’analisi della situazione turca, al di là dei rapporti sui diritti umani, si segnala,
dal punto di vista del costituzionalista, T. GROPPI, Turchia 2017: l’attacco allo stato di diritto e il fallimento della condizionalità europea, in Osservatorio costituzionale, n. 1/2017; in specifico, sull’applicazione dell’accordo UE-Grecia, cfr. AMNESTY INTERNATIONAL, A blueprint for despair. Human rights impact of the EU-Turkey deal, London, 2017.
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
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ALESSANDRA ALGOSTINO
di essere rinviati in Turchia47. I ricorsi sono rigettati per incompetenza. Nel comunicato stampa del 18 marzo 2016 il quale annuncia
l’accordo – si legge nell’ordinanza del Tribunale – sono utilizzate in
maniera inappropriata le espressioni «membri del Consiglio europeo»
e «Unione europea». Il 17 e il 18 marzo 2016 si sono tenuti in parallelo due incontri distinti: la sessione del Consiglio europeo e un vertice
internazionale, ed è nell’ambito di quest’ultimo che i capi di Stato e di
Governo, in quanto tali e non in quanto membri del Consiglio europeo, hanno adottato, con i loro omologhi turchi, la Dichiarazione48.
Dunque, «indépendamment du point de savoir si elle constitue,
comme le soutiennent le Conseil européen, le Conseil et la Commission, une déclaration de nature politique ou, au contraire, comme le
soutient le requérant, un acte susceptible de produire des effets juridiques obligatoires, la déclaration UE-Turquie, telle que diffusée au
moyen du communiqué de presse n. 144/16, ne peut pas être considérée comme un acte adopté par le Conseil européen, ni d’ailleurs par
une autre institution, un organe ou un organisme de l’Union, ou
comme révélant l’existence d’un tel acte et qui correspondrait à l’acte
attaqué», donde la dichiarazione di incompetenza49.
Nessun accordo, nessun atto, quindi nessuna violazione del diritto
comunitario, né sotto il profilo della procedura, né sotto quello
dell’eventuale segretezza50, né sotto quello del rispetto del diritto in
materia di diritti umani e di protezione internazionale. E – si può aggiungere – riconoscimento di un estremo margine di manovra agli esecutivi, che assumono in parallelo diverse vesti giuridiche, passando
senza soluzione di continuità dall’abito comunitario a quello di negoziatori internazionali a quello di membri di un vertice politico, come si
Cause NF, NG e NM/Consiglio europeo (T-192/16, T-193/16 e T-257/16).
Tribunale dell’Unione europea, NF vs European Council, causa T-192/16, ordinanza
del 28 febbraio 2017, ma di identico tenore sono le ordinanze adottate in relazione agli altri
due casi.
49 Tribunale UE, ordinanza del 28 febbraio 2017, cit., par. 71.
50 La negoziazione a livello esecutivo spesso trascina con sé anche la segretezza
dell’accordo, un’altra costante delle riammissioni in forma iper-semplificata, che si scontra
con i canoni di accesso e trasparenza che pure il diritto primario dell’UE sancisce (si vedano, in specie, l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sancisce
il diritto, in capo a «qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica
che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro», «di accedere ai documenti del
Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione», e l’art. 15 del TFUE in tema di
trasparenza).
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48
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
addice all’habitat della governance, “libera” da procedure e forme (…
e dalle ristrettezze imposte dai parametri democratici).
Ora, anche ammettendo e non concedendo che la Dichiarazione del
18 marzo 2016 non sia, grazie al rocambolesco sdoppiamento di ruolo
dei vertici degli esecutivi, un atto dell’Unione europea, si può ancora
osservare, da un lato, come, se si ritiene essa non sia che una mera dichiarazione politica, i respingimenti effettuati in suo nome sono tout
court illegittimi. Mentre, dall’altro lato, se la si configura come un accordo internazionale, se pur concluso informalmente, resta che essa
dovrebbe comunque rispettare – a prescindere dal diritto nazionale di
ciascuno Stato – lo ius cogens51, cui è ascrivibile il principio di nonrefoulement52. Ciò, senza nascondersi, peraltro, che l’ambiguità connessa a forme soft fra i suoi vantaggi annovera proprio quello di evitare «tutte le conseguenze che implica un trattato»53.
Ma, fermo restando che tutti gli accordi stipulati fra l’Unione europea (o i suoi Paesi membri) e Paesi terzi coinvolgono ovviamente anche l’Italia, approfondiamo ora il discorso sulle intese soft relative alle
riammissioni concluse in prima persona dallo Stato italiano.
3. Gli accordi di riammissione soft dell’Italia: questioni di forma?
Senza alcuna pretesa di completezza, ma a titolo di esempio, dato il
loro carattere emblematico sia per la (non)-forma sia per il contenuto,
si ricostruiscono di seguito i contorni relativi ad accordi soft conclusi
dall’Italia, rispettivamente, con la Tunisia nel 2011, con il Sudan nel
2016 e con la Libia nel 2017, per poi valutarne, nei paragrafi successivi, la coerenza con la Costituzione.
Dell’accordo con la Tunisia del 5 aprile 201154 si legge nella sentenza del 15 dicembre 2016 della Grande camera della Corte europea
dei diritti dell’uomo (CEDU), caso Khlaifia e altri c. Italia. Rico51 «Si tratta di norme proibitive alle quali è vietato derogare… Gli Stati perdono la libertà di contrarre sulla totalità della materia di interesse internazionale a proprio piacimento» (così, ex multis, D. CARREAU, F. MARRELLA, Diritto internazionale, Giuffrè, Milano,
2016, p. 65).
52 Per un riferimento all’attuazione da parte della Grecia della Dichiarazione, cfr. C.
FAVILLI, La cooperazione UE-Turchia, cit., pp. 11 ss.
53 D. CARREAU, F. MARRELLA, Diritto internazionale, cit., p. 184.
54 L’accordo di seguito è citato come Accordo Italia-Tunisia del 2011.
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
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ALESSANDRA ALGOSTINO
struendo la normativa relativa alla causa, nell’ambito dei rapporti bilaterali Italia-Tunisia, la Corte cita per l’appunto un accordo concluso il
5 aprile 2011 dal Governo italiano con la Tunisia «in materia di controllo dell’ondata di immigrazione irregolare proveniente da tale paese», il cui testo «non era stato reso pubblico», ma di cui alcuni estratti
del verbale della riunione nella quale era stato “stipulato” erano stati
allegati dal Governo italiano nella domanda di rinvio dinanzi alla
Grande camera55. La “fonte” dell’accordo si evince dal passaggio nel
quale la Corte EDU specifica: «il Governo ha prodotto alcuni estratti
del verbale di una riunione svoltasi a Tunisi il 4 e il 5 aprile 2011 tra i
Ministri dell’Interno tunisino e italiano. Secondo un comunicato
stampa pubblicato sul sito internet del Ministero dell’Interno italiano
il 6 aprile 2011…»56.
Nell’Archivio dei Trattati internazionali Online del Ministero degli
Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale non si trova traccia
dell’accordo del 201157, ma compare un precedente scambio di note,
sempre in tema di riammissione tra i due Paesi, datato 6 agosto
199858. Ciò, fra l’altro, consente di precisare, da un lato, come nei
rapporti internazionali la prassi di accordi in forma semplificata sia
costante nel tempo; dall’altro, come, negli ultimi anni, tale prassi abbia subito una dilatazione e una iper-semplificazione (nell’ipotesi dello scambio di note del 1998, il testo, oltre che disponibile, risulta
quantomeno comunicato in Gazzetta Ufficiale).
La Corte europea invero cita anche l’accordo del 1998, in quanto
sempre richiamato dal Governo italiano, ma osserva come esso «non
sembra essere quello applicato ai ricorrenti»59: difficile non rilevare,
oltre il carattere comunque informale di entrambi gli accordi, come
l’incertezza del diritto regni sovrana.
Quanto al comunicato stampa del 6 aprile 2011 del Ministero
dell’Interno italiano, non è dato reperirlo fra i comunicati stampa sul
sito del suddetto Ministero, dove esiste l’Archivio storico dei comuni55 Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia,
ricorso n. 16483/12, sentenza 15 dicembre 2016, par. 37.
56 Ibidem.
57 Ricerca effettuata il 30 aprile 2017, con la voce “riammissione” su www.itra.esteri.it.
58 Scambio di note concernente l’ingresso e la riammissione delle persone in posizione
irregolare, Roma, 6 agosto 1998, notificato il 25.02.1999 -24.08.1999, comunicato in Gazz.
Uff., n. 11 SO del 15.01.2000.
59 CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., parr. 40 e 103.
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
cati stampa, suddiviso per anno e mese60. Solo attraverso un generico
motore di ricerca su internet, si trova, non fra i comunicati stampa,
bensì fra le “Notizie”, l’annuncio che il 6 aprile 2011 è stato «siglato
l’accordo fra Italia e Tunisia», «che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli sulle partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi in Italia»61. Non è riportato il testo integrale dell’accordo, ma un semplice riferimento ai punti ritenuti salienti
(dall’ufficio stampa, si presume) corredati da un commento dell’allora
responsabile del Viminale, Roberto Maroni. Semplice notizia di un
accordo Italia-Tunisia senza ulteriori specificazioni si legge anche nel
resoconto dell’audizione del 12 aprile 2011 alla Camera dei deputati
del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, «sui recenti sviluppi degli
eccezionali flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia e sulle iniziative che il Governo intende assumere in materia di immigrazione»62.
Quanto alla cooperazione fra Italia e Sudan, si esamina qui il
«Memorandum d’intesa tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza
del Ministero dell’Interno italiano e la Polizia Nazionale del Ministero
dell’Interno sudanese per la lotta alla criminalità, gestione delle frontiere e dei flussi migratori ed in materia di rimpatrio», firmato a Roma
il 3 agosto 201663.
L’accordo non figura nell’Archivio dei Trattati internazionali Online del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; ugualmente non si trova menzione dello stesso sul sito
dell’Ambasciata d’Italia a Khartoum, dove pure vi sono pagine dedicate ai rapporti bilaterali e alle varie forme di cooperazione (politica,
economica, culturale, allo sviluppo)64.
Ministero dell’Interno, Archivio storico, Comunicati stampa, www1.interno.gov.it,
consultato il 2 maggio 2017.
61 Ministero dell’Interno, Archivio storico, Sala stampa, Notizie, www1.interno.gov.it,
consultato il 2 maggio 2017; analoga notizia compare sul sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Archivio comunicati e notizie).
62 Camera dei deputati, Commissioni riunite I (Affari costituzionali, della presidenza
del consiglio e interni) e III (Affari esteri e comunitari), seduta di martedì 12 aprile 2011,
Audizione, Resoconto stenografico (www.camera.it), p. 7.
60
Di seguito citato come Memorandum d’intesa Italia-Sudan del 2016.
Cfr. il sito www.ambkhartoum.esteri.it. Invero in alcuni siti (nella specie,
www.stranieriinitalia.it e www.onuitalia.it) si cita una nota diffusa dall’Ambasciata italiana in Sudan, ma non risulta reperibile.
63
64
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ALESSANDRA ALGOSTINO
Il testo può essere reperito sul sito dell’Associazione per gli Studi
Giuridici sull’Immigrazione, in quanto, a differenza delle decine di
accordi gemelli con altri Paesi, è sfuggito alla segretezza65. La vicenda
di una quarantina di profughi sudanesi rimpatriati il 24 agosto 201666
rende pubblica l’esistenza di un accordo fra Italia e Sudan. A fronte
delle critiche da parte di alcune associazioni, come il Tavolo nazionale
asilo, a quanto si apprende da una intervista, il capo della Polizia,
Franco Gabrielli, rende noto di aver consegnato, su richiesta del Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione
dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, il testo67.
In questo caso dunque l’esistenza e il contenuto dell’accordo sono
resi pubblici – si può dire – per un accadimento fortuito, senza alcuna
forma di ufficialità precostituita. Sempre dalle parole del capo della
Polizia si viene a conoscenza del fatto che il memorandum con il Sudan «è stato scritto nell’ambito delle relazioni internazionali del nostro
Paese e certificato dal ministero degli Esteri», «non ha nulla di segreto» e «come tutti gli altri 267 che l’Italia ha firmato con altri paesi, è
uno strumento di cooperazione di polizia e non necessita di un passaggio in Parlamento»68. Esso, come si legge al suo art. 20, c. 1, «diviene efficace all’atto della firma ed ha una durata illimitata»69.
Rinviando infra per obiezioni sul punto della non necessità di un
intervento del Parlamento e per altre considerazioni in ordine ai profili
di incostituzionalità, limitandosi per ora a ricostruire la forma
dell’accordo, colpisce come esso sia concluso da organi amministrativi, quali le rispettive forze di polizia70: a quali condizioni la cooperazione internazionale può essere regolata da un atto meramente amministrativo? Per rispondere occorrerà valutare il contenuto dell’accordo,
www.asgi.it.
Il 16 febbraio 2017 varie associazioni parte del Tavolo nazionale asilo annunciano
nel corso di una conferenza stampa la presentazione di un ricorso alla Corte europea dei
diritti dell’uomo da parte di cinque cittadini sudanesi vittime del rimpatrio del 24 agosto
2016.
67 Migranti rimpatriati in Sudan, “tutto regolare”, in Avvenire.it, mercoledì 28 settembre
2016.
68 Migranti rimpatriati in Sudan, “tutto regolare”, cit.
69 Ferma restando la possibilità che una Parte intenda risolverlo: in tal caso, previa
comunicazione scritta, «il Memorandum cessa di avere effetto dopo sei mesi dalla data di
ricezione della notifica di risoluzione» (art. 20, c. 3, Memorandum).
70 Sugli accordi di riammissione conclusi sotto la forma di accordi di polizia, cfr. I.
GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., pp. 106 ss.
65
66
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
ma si possono sin d’ora sollevare alcuni interrogativi: quale che sia il
contenuto – elemento quest’ultimo certo non indifferente – chi valuta
la natura amministrativa o meno, tenendo anche presente la mancanza
di trasparenza (per usare un eufemismo) che circonda tali accordi?
Non pare privo di fondamento il rischio che la sottoscrizione da parte
di organi amministrativi, e, quindi, l’inclusione dell’atto fra quelli
amministrativi, abbia come obiettivi non dichiarati o, quantomeno,
come effetti collaterali ben accetti, quelli di evitare a priori il coinvolgimento del Parlamento e rendere molto difficile il controllo, politico
e giurisdizionale, a posteriori.
Venendo alle relazioni italo-libiche, in questa sede si prende in
considerazione il «Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico
di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza
delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana»71, sottoscritto dal Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia
e il Governo della Repubblica italiana il 2 febbraio 2017.
Il Governo italiano non reputa rilevante il fatto che la controparte
non abbia giurisdizione sull’intero Stato libico. Il Memorandum, infatti, è stato siglato per la Libia dal Governo di unità nazionale libico
guidato da Al Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma che possiede il controllo solo di una parte del territorio, conteso dal Parlamento
di Tobruk e dall’esercito del generale Haftar, oltre che occupato da
decine di gruppi armati. Quanto si legge sul sito “Viaggiare sicuri”
della Farnesina, che scrive di una «situazione di instabilità e di frammentazione politico-istituzionale che si registra ormai da tempo nel
Paese»72, non sembra preoccupare il Governo italiano quando conclude l’accordo.
Il testo del Memorandum in questo caso è presente nell’Archivio
dei Trattati internazionali Online del Ministero degli Affari Esteri e
della Cooperazione Internazionale73, dove non risulta alcuno specifico
passaggio formale, se non la precisazione che «il Memorandum
d’Intesa entra in vigore alla data della firma» (ai sensi dell’art. 8 dello
Di seguito indicato come Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017.
Si veda www.viaggiaresicuri.it (valido al 04.05.2017, pubblicato il 11.01.2017).
73 Il Memorandum compare con una ricerca semplice effettuata con la voce “Libia” ma
non con altri parametri come il titolo (www.itra.esteri.it).
71
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ALESSANDRA ALGOSTINO
stesso), ha durata triennale ed è rinnovabile tacitamente. Esso risulta
dunque concluso in forma semplificata, ovvero iper-semplificata.
Alla data in cui si scrive l’accordo risulta sospeso, a partire dal 22
marzo 2017 e sino al pieno svolgimento del processo, dalla Corte di
appello di Tripoli74, a seguito di un ricorso che, oltre a profili di merito, coinvolge in primo luogo questioni procedurali di livello costituzionale (strettamente connesse con la mancanza di una sovranità unica, condivisa ed effettiva sull’intero territorio) e in specifico relative al
mancato rispetto della prevista unanimità nel processo decisionale75.
Il Memorandum del 2017, peraltro, non rappresenta che l’ultimo
tassello della storia della collaborazione italo-libica in materia di immigrazione, una storia costellata da accordi (quale l’Accordo del 13
dicembre del 2000, il Protocollo del 29 dicembre 2007, il Protocollo
del 4 febbraio 2009), per lo più – il Trattato c.d. di Bengasi del 30 agosto 2008, autorizzato con la legge 6 febbraio 2009, n. 7, rappresenta
un’eccezione – connotati da una segretezza rotta solo da qualche notizia giornalistica e la cui adozione degrada progressivamente in forme
sempre più soft76.
Gli accordi-non accordi citati, al di là di assumere come oggetto
chiave la “riammissione”, con i possibili conflitti con la Costituzione
di cui si dirà infra, condividono – per restare per ora alla forma – una
disomogenea informalità.
Troviamo, infatti, negli esempi riportati, comunicati stampa, memorandum d’intesa di carattere amministrativo e memorandum
d’intesa di carattere politico, ma non mancano accordi conclusi con
note verbali, protocolli o scambi di lettere.
La mancanza di omogeneità non inficia l’ascrizione ad un unico insieme degli accordi soft; è intrinseca, infatti, nell’informalità l’essere
dispersa in mille rivoli diversi, mancando per l’appunto una forma
predefinita. Si possono dunque individuare dei potenziali vulnera alla
74 A. ASSAD, Court ruling blocks Lybia-Italy MoU on stemming illegal immigration, in
The Lybia Observer, March 22, 2017.
75 A. CAMILLI, L’avvocata libica che ha portato in tribunale l’accordo con l’Italia sui migranti, in www.internazionale.it, 30 marzo 2017.
76 Per una ricostruzione e un commento agli accordi bilaterali Italia-Libia in tema di
immigrazione, cfr. G. BATTISTA, La collaborazione italo-libica nel contrasto all’immigrazione
irregolare e la politica italiana dei respingimenti in mare, in Rivista AIC, n. 3/2011; I. GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., pp. 114 ss.; N. RONZITTI, Il futuro dei trattati tra
Italia e Libia, in Affari internazionali, 2 febbraio 2012.
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Costituzione comuni agli accordi di riammissione soft, in quanto strettamente connessi all’informalità e in specie, come si vedrà, al mancato
intervento della legge ordinaria77. Compare, come tratto costante, il
pressoché assoluto dominio degli esecutivi.
La molteplicità dell’evanescenza delle forme può quindi condurre a
rilevare ulteriori e specifici profili di collisione con l’orizzonte costituzionale, quali la mancanza di trasparenza e/o di conoscibilità e/o di
pubblicità, con ciò che ne consegue in termini di impatto sulla democraticità dell’ordinamento.
4. Democrazia e pubblicità: l’art. 1 Cost.
La democrazia implica la pubblicità dei procedimenti e delle decisioni quale precondizione per l’esercizio della partecipazione dei cittadini, attraverso la discussione, il dissenso, il controllo; essa è strutturalmente contraria al «potere invisibile»78.
La connessione fra democrazia e pubblicità è tale che il fondamento costituzionale di quest’ultima si può rintracciare direttamente
nell’art. 1 della Costituzione, laddove proclama che «l’Italia è una Repubblica democratica…» e «la sovranità appartiene al popolo»79.
Nei primi due casi approfonditi in quest’intervento – rappresentanti, come si è detto, semplicemente un esempio di una prassi diffusa –
si registra, invece, una estrema difficoltà nel reperire non solo una
pubblicazione ufficiale ma finanche fonti istituzionali (e in taluni casi
anche informali), con un evidente vulnus della pubblicità e della conoscibilità.
C. FAVILLI, Quali modalità di conclusione degli accordi internazionali in materia di
immigrazione?, in Riv. Dir. Internaz., 2005, p. 157, sottolinea come «le modalità di conclusione particolari» degli accordi in materia di immigrazione suscitano «dubbi di compatibilità con la Costituzione per almeno due profili: da una parte in relazione agli articoli 80 e
87, 8^ comma e, dall’altra, in relazione all’art. 10, 2^ comma…».
78 N. BOBBIO, La democrazia e il potere invisibile, 1980, in ID., Il futuro della democrazia,
Einaudi, Torino, ed. 1991, pp. 85 ss.
79 In questo senso, fra gli altri, M. AINIS, Sulla comunicazione delle regole giuridiche (e
su un vuoto di comunicazione nella letteratura giuridica), in Quad. cost., n. 3/2002, p. 632;
dell’Autore si segnala anche il passaggio in cui sostiene che «la pubblicità non basta a soddisfare quest’aspettativa di effettiva conoscenza del diritto, cui si lega l’idea di certezza…
c’è bisogno di un passaggio ulteriore, spostando il tiro dalla pubblicazione alla comunicazione delle regole giuridiche» (ibidem).
77
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ALESSANDRA ALGOSTINO
È una violazione, per così dire, dei principi fondamentali della democrazia, suscettibile di revocarla in dubbio, e che richiede una discussione e una risposta a livello politico, ma può avere un seguito anche, per così dire, “pratico”, in quanto coinvolge la trasparenza
dell’attività amministrativa e il diritto di accesso agli atti amministrativi.
Non solo: esiste una norma specifica, contenuta nella legge 11 dicembre 1984, n. 839, che dispone l’inserimento nella “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana” e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale degli accordi «ai quali la Repubblica si
obbliga nelle relazioni internazionali, ivi compresi quelli in forma
semplificata» e che non comportano pubblicazione ad altro titolo (art.
1, lett. f), nonché la pubblicazione trimestrale in apposito supplemento
della Gazzetta Ufficiale, di «tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi
di note, accordi ed altri atti comunque denominati» (art. 4). La violazione di tale legge potrebbe dar luogo a responsabilità specifiche, non
solo politiche, dei soggetti ai quali compete la pubblicazione.
Ancora: come afferma la Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’accordo Italia-Tunisia del 2011, la considerazione «che il
testo integrale di tale accordo non era stato reso pubblico» comporta
che esso «non era dunque accessibile agli interessati, che non potevano pertanto prevedere le conseguenze della sua applicazione»80. La
mancanza di pubblicità si riverbera cioè sul principio di certezza del
diritto e sulla possibilità del cittadino di prevedere le conseguenze che
possono derivare da un determinato atto81.
Eventuali ricorsi, peraltro, scontano la presenza di barriere pressoché insormontabili, a partire dalla stessa conoscenza dell’esistenza di
un accordo e dal fatto che la sua volatilità rende molto difficile individuare la sede cui rivolgersi (per tacere di questioni come, inter alia,
l’interesse ad agire).
Il primo profilo di incostituzionalità, dunque, chiama in causa direttamente l’essenza della democrazia, l’esercizio della sovranità popolare, la certezza del diritto e si presenta come di difficile giustiziabilità.
La vicenda dell’accordo Italia-Tunisia del 5 aprile 2011, invero, indica un possibile percorso indiretto: muovendo dalla supposta viola80
81
158
CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 102.
Cfr. CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 92.
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
zione di diritti, il ricorso ad un giudice – ordinario e/o sovranazionale,
come la Corte EDU – potrebbe contribuire a portare alla luce
l’esistenza di accordi informali, compatibilmente con i poteri
dell’autorità giudiziaria. A questo punto, tuttavia, quid iuris? Si potrebbe immaginare un annullamento di un accordo in quanto atto amministrativo per eccesso di potere e/o violazione di legge, oppure la
sua disapplicazione da parte del giudice ordinario?
Emerge come gli accordi in forma semplificata o soft tendano a
sfuggire a qualsivoglia controllo e intervento giudiziario sia in sede
nazionale sia presso le corti sovranazionali (che però, come si vedrà,
possono “colpire” l’atto nella loro funzione di garanzia dei diritti).
5. La legge di autorizzazione alla ratifica e l’art. 80 Cost.
La mancanza di pubblicità non è l’unico profilo a chiamare in causa la sovranità popolare: essa è coinvolta, insieme ad un altro cardine
della democrazia, la separazione dei poteri, anche quando manca il ricorso alla legge di autorizzazione alla ratifica.
Come è noto, la Costituzione richiede, ex art. 80, che le Camere autorizzino con legge «la ratifica dei trattati internazionali che sono di
natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni
di leggi».
Sia che si reputi la necessaria partecipazione del Parlamento attraverso legge ordinaria espressione di una funzione di controllo
sull’operato del Governo sia che la si consideri un vero e proprio atto
di compartecipazione alla stipulazione dell’accordo82, resta che la
82 Parte della dottrina considera la legge di autorizzazione alla ratifica
un’autorizzazione in “senso tecnico”, «cioè nel senso di atto col quale un organo esprime il
suo apprezzamento su un atto da compiersi da un altro organo come condizione
dell’esercizio da parte di quest’ultimo della sua competenza a compierlo» (così T. PERASSI,
La Costituzione e l’ordinamento internazionale, Giuffré, Milano, 1952, p. 14; nello stesso senso, ex multis, A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto
internazionale, Giuffré, Milano, 1961, p. 151; S. LABRIOLA, Principi costituzionali, ordinamento e prassi nella disciplina dell’autorizzazione legislativa alla ratifica dei trattati internazionali, in Il Governo e alcune sue funzioni, II, Cedam, Padova, 1984, p. 321); mentre altra
dottrina la ritiene un atto di “compartecipazione” (a favore di questa tesi, fra gli altri, C.
MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Cedam, Padova, 1976; A. CASSESE, Art. 80, in
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
159
ALESSANDRA ALGOSTINO
ratio della norma è garantire che in materie ritenute particolarmente
rilevanti l’organo rappresentativo affianchi l’esecutivo. L’intervento
delle Camere, da un lato, evoca la sovranità popolare (art. 1 Cost.) esercitata attraverso la mediazione della rappresentanza; dall’altro, un
principio fondamentale del costituzionalismo, quale la separazione dei
poteri.
Se si dovesse rilevare, dunque, un mancato rispetto delle prescrizioni dell’art. 80 Cost., si profilerebbe una sua violazione esplicita e
diretta, che si riverbera sull’art. 1 Cost.
Ora, venendo alle categorie di trattati contemplati nell’art. 80 Cost.,
giova soffermarsi, pensando agli accordi citati, sui «trattati di natura
politica». La locuzione è indubbiamente ampia e la sua indeterminatezza si presta ad interpretazioni divergenti83, che possono consentire
al Governo di appropriarsi di un notevole margine di discrezionalità.
Un’interpretazione restrittiva della locuzione (con il conseguente
ampliamento degli spazi di autonomia del Governo) si scontra, peraltro, con l’interpretazione della norma quale “clausola di chiusura”, da
leggere alla luce delle intenzioni dei costituenti che inizialmente avevano previsto la necessità di un intervento parlamentare per ogni accordo internazionale84, approvando altresì un emendamento che includeva «qualsiasi atto stipulato con altri Stati»85.
G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, La formazione delle leggi, II, Bologna-Roma, 1979, p. 155; A. BARBERA, Gli accordi internazionali, cit., p. 448).
Alla qualificazione della legge ex art. 80 Cost. come autorizzazione in “senso tecnico”
«appare», poi, «collegato l’inserimento» della legge in questione «nella categoria dei controlli parlamentari sull’attività di Governo, nonché la qualificazione della legge di autorizzazione come legge in senso formale», mentre, nel secondo caso (legge ex art. 80 come atto
di compartecipazione), si parla di atto (complesso) di indirizzo politico e di legge in senso
sostanziale (per questa ricostruzione e per ogni ulteriore rinvio ai sostenitori delle varie
tesi, cfr. V. LIPPOLIS, La Costituzione italiana e la formazione dei trattati internazionali, Rimini, Maggioli, 1989, pp. 45 ss.; più recentemente per una sintesi sul punto, si veda anche
F. GHERA, Art. 80, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla
Costituzione, v. II, Artt. 55-100, Utet, Torino, 2006, spec. pp. 1562-1563).
83 In tema, A. CASSESE, Art. 80, cit., p. 161.
84 La soluzione prescelta in sede di Commissione dei 75 (Seconda Sottocommissione) recitava: «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati ed accordi internazionali
ed in generale di qualsiasi atto stipulato con altri Stati» (Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda Sottocommissione, seduta del 21 dicembre 1946, Resoconto sommario, p. 802, in www.legislature.camera.it); come annota F. GHERA, Art. 80, cit.,
p. 1562, la successiva scelta di sottoporre all’autorizzazione delle Camere solo alcune cate-
160
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Ferme restando le ragioni a supporto di un’interpretazione estensiva dell’espressione «trattati di natura politica», nel caso specifico degli accordi di riammissione86, che hanno per oggetto materie come il
controllo delle frontiere, l’ingresso nel territorio, il diritto di asilo, la
cooperazione con altri Stati, pare difficilmente confutabile la loro «natura politica»87.
Le obiezioni all’inclusione delle intese in tema di riammissione
nella categoria in questione fanno leva sul loro supposto carattere meramente applicativo. In argomento, pur concordando con il plausibile
rilievo che gli accordi in questione si inseriscono in un unico filone88,
è agevole controbattere come l’essere parte di una identica prospettiva
politica non esclude che ciascuno di essi possieda (anche) una propria
specifica «natura politica», venendo ad essere fonte di obblighi autonomi.
Anzi, prendendo ad esempio il Memorandum d’intesa con il Sudan,
la considerazione che esso «si iscrive nel più ampio quadro di cooperazione tra Sudan e Unione Europea sui temi migratori, con particolare riferimento al Processo di Khartoum (lanciato in Italia nell’autunno
del 2014) e al Fondo fiduciario d’emergenza dell’Unione Europea per
la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa (lanciato nel novembre
gorie di trattati avvenne «in una sede impropria, e cioè all’interno del Comitato di redazione», ma venne approvata «pressoché senza obiezioni da parte dell’assemblea plenaria».
85 Emendamento presentato dall’onorevole Nobile, approvato nella seduta del 21 dicembre 1946 (cfr. supra).
86 Solleva dubbi sulla possibilità di concludere in forma semplificata gli accordi di riammissione stante la loro politicità, P. BONETTI, Ingresso, soggiorno e allontanamento, Profili generali e costituzionali, in B. NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Cedam,
Padova, 2004, p. 324.
87 Come è stato osservato a proposito del Memorandum Italia-Sudan del 2016: «la natura di atto meramente interno e amministrativo dell’accordo, volto a dettare norme attuative di dettaglio, è smentita sin dal preambolo, dove si intende chiaramente che le parti
intendono rafforzare la cooperazione di polizia nella lotta contro la criminalità organizzata, il traffico di migranti e l’immigrazione irregolare, la tratta di esseri umani, il traffico di
droga e il terrorismo» (ASGI, Memorandum d’intesa tra il Dipartimento della pubblica sicurezza italiano e la polizia nazionale sudanese, Guida alla lettura, in www.asgi.it, 3 ottobre
2016).
88 … un filone, peraltro, costruito sulla soft law, a partire dall’Agenda europea sulla
migrazione del 2015 (cit. retro).
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ALESSANDRA ALGOSTINO
2015 al Summit di La Valletta, Malta)»89, palesa senza ombra di dubbio il carattere politico dell’accordo, senza che i processi e documenti
citati possano costituire, stante il loro carattere, una base sufficiente
per qualificare lo stesso come un semplice dettaglio operativo.
Un discorso analogo può farsi per la cooperazione Italia-Libia, anche se il Memorandum d’intesa del 2017 si premura di porsi come attuativo degli accordi preesistenti90.
L’ascrivibilità degli accordi di riammissione nella procedura ex art.
80 Cost. è poi avvalorata dalle precisazioni elaborate dal Ministero
della Difesa, le Linee guida relative agli aspetti amministrativi/negoziali in materia di accordi intergovernativi e di intese non governative, approvate il 15 febbraio 2008, che, in relazione alla natura
politica del trattato, recitano: «nel determinare, la sussistenza o meno
di tale requisito il Governo dovrà valutare la presenza di un impatto
generalizzato nei confronti della comunità statuale, o nei confronti
dello Stato Amministrazione, o la valenza in termini di politica estera»91. Le tre ipotesi di impatto sono date come alternative, ma gli oggetti degli accordi di riammissione sono tali da richiamare
l’operatività di tutte.
Continuando nella disamina delle possibili obiezioni, sicuramente
non ostativo pare il nomen assegnato agli accordi; se si guarda alla
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, risulta chiaro come non
sia preclusiva la denominazione e come siano eterogenee le modalità
di conclusione dell’accordo92.
Così come non rileva il fatto che l’accordo rechi la firma di organi
amministrativi, il che integra, se trattasi di un accordo di natura politica, non certo una clausola di esclusione dall’applicazione dell’art. 80
89 Così si legge su Firma di un accordo tra Italia e Sudan sul tema migrazione – Comunicato stampa, in www.onuitalia.it.
90 Nel Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017 è scritto, nel preambolo, «al fine di
attuare gli accordi sottoscritti tra le Parti in merito…» e, nel testo, è richiamato l’art. 19
del c.d. Trattato di Bengasi del 2008.
91 Ministero della Difesa, Segretariato Generale e Direzione Nazionale degli Armamenti, Linee guida relative agli aspetti amministrativi/negoziali in materia di accordi intergovernativi e di intese non governative, Roma, 15 febbraio 2008, SGD-G-015, reperibile in
www.difesa.it, p. 13.
92 Convenzione sul diritto dei trattati, Vienna, 23 maggio 1969, autorizzata alla ratifica
ed eseguita in Italia con legge 12 febbraio 1974, n. 112 (cfr., rispettivamente, spec., art. 2,
lett. a), e artt. 11 ss.).
162
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Cost., bensì, in caso di mancanza della legge di autorizzazione, una
sua violazione.
La considerazione dell’oggetto, cui la Costituzione lega la necessità
dell’intervento della legge, vale proprio ad evitare che in determinate
materie vi siano accordi conclusi in forma semplificata; a maiori ad
minus, se, pur essendo di «natura politica», non sono conclusi nemmeno dal Governo, ma da rami dell’amministrazione.
I sostenitori della stipulazione delle intese di riammissione in forma
soft potrebbero ancora argomentare che esse non necessitano di legge
di autorizzazione alla ratifica, proprio in quanto appartengono alla sfera della soft law, e, dunque, non pretendono di essere giuridicamente
vincolanti e di creare dei vincoli a livello internazionale. Quella che
sembrerebbe una double win solution – la soft law non ha bisogno di
forme e procedure particolari e tale sua informalità la sottrae ai vincoli
ai quali sono soggetti gli atti formali – svela peraltro la propria inconsistenza non appena si considerino gli atti compiuti in ragione di tali
accordi: effetti pratici, sì, ma giuridicamente fondati proprio sull’atto
che non avrebbe il potere di produrre effetti giuridicamente vincolanti.
I sudanesi che hanno presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati, per intenderci, rimpatriati in ottemperanza
all’intesa Italia-Sudan del 2016.
Ad adiuvandum, può inoltre aggiungersi che anche in sede di Unione europea le misure relative all’«immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare» sono demandate alla procedura legislativa ordinaria (art. 79, par. 2, lett. c), TFUE).
Infine, è ipotizzabile l’ascrizione dei trattati di riammissione anche
fra quelli che comportano «modificazioni di leggi» e «oneri alle finanze».
L’incidenza sulle leggi esistenti può verificarsi in relazione alla disciplina dell’ingresso e dei rimpatri degli stranieri, modificandola, se
pur in riferimento a situazioni particolari93.
Quanto alla riconduzione ai trattati che importano «oneri alle finanze», si consideri come il Memorandum con il Sudan, ad esempio,
prevede «la possibilità di offrire alla Parte sudanese, su base annuale,
supporto e assistenza tecnica in termini di formazione e di fornitura di
mezzi di equipaggiamento, compatibilmente ed entro i limiti della sua
93
… con una possibile lesione del principio di eguaglianza.
Costituzionalismo.it ~ Fascicolo n. 1/2017
163
ALESSANDRA ALGOSTINO
effettiva disponibilità finanziaria» (art. 8, par. 2), nonché che «la Parte
italiana si fa carico delle spese derivanti dalle attività svolte dalle autorità diplomatiche/consolari sudanesi in relazione alle interviste alle
persone da rimpatriare e al rilascio dei documenti di viaggio
d’emergenza sudanesi…».
L’eventuale replica potrebbe avvalersi della specificazione – peraltro frutto di interpretazione – della locuzione «oneri alle finanze» come oneri aggiuntivi rispetto al bilancio dello Stato94; potrebbe infatti
essere non troppo difficile escludere la necessità della legge di autorizzazione trovando una voce già esistente nel bilancio dello Stato cui
imputare le spese.
Nell’ipotesi del Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017, ad esempio, è lo stesso testo a specificare che «la parte italiana provvede
al finanziamento delle iniziative menzionate… senza oneri aggiuntivi
per il bilancio dello Stato italiano…»95.
Resta che, anche in relazione alla categoria dei trattati che comportano «oneri alle finanze», sono necessari due passaggi per evitare di
ottemperare all’art. 80 Cost.: una interpretazione restrittiva
dell’espressione «oneri alle finanze» ed una estensiva in merito
all’ascrizione di nuove spese nel bilancio.
Concludendo sul punto, una volta argomentata l’elusione, ovvero la
violazione, dell’art. 80 Cost.96, è necessario interrogarsi sulle azioni
configurabili.
Invero, prima facie, ciò che emerge è la difficile giustiziabilità di
tale violazione. Non volendo arrendersi, setacciando nelle maglie
dell’ordinamento si possono ipotizzare alcune soluzioni.
Il percorso dotato di un più sicuro fondamento giuridico, quanto a
legittimazione del ricorrente e potere di intervento dell’organo adito, è
quello che chiama in causa la Corte costituzionale attraverso un conflitto di attribuzione97, sollevato dalle Camere (o da una Camera)98 nei
In questo senso, la Circolare del Ministero Affari Esteri, 19 aprile 1995, n. 5, richiamata nelle Linee guida relative agli aspetti amministrativi/negoziali in materia di accordi intergovernativi, cit., p. 13.
95 Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017, art. 4.
96 Per inciso, non si approfondisce in questa sede il punto, ma la conclusione informale
dell’accordo è suscettibile di violare anche l’art. 87, c. 8, Cost., laddove si prevede che il
Presidente della Repubblica «ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra,
l’autorizzazione delle Camere».
97 Si “sente” qui la mancanza di un ricorso diretto, sul modello ad esempio del tedesco
Verfassungsbeschwerde, alla Corte costituzionale.
94
164
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
confronti del Governo, nella classica forma della vindicatio potestatis.
Se tale percorso è inoppugnabile dal punto di vista giuridico, la prassi
mostra però un Parlamento che non reagisce a fronte del suo esautoramento da parte del Governo99.
Altra via, alla quale si è già accennato retro, potrebbe essere un ricorso contro l’atto amministrativo, sempre che sia dato conoscerlo,
per eccesso di potere e/o violazione di legge: un’ipotesi tuttavia piuttosto azzardata che si scontra contro le rigidità e le ristrettezze del
processo amministrativo; così come di non facile praticabilità pare la
possibilità di far valere la responsabilità civile e penale dei ministri
che abbiano stipulato illegittimamente il trattato100.
La quarta soluzione è esterna all’ordinamento e comporta un ricorso alle corti sovranazionali, in primis alla Corte europea dei diritti
dell’uomo, nella loro funzione di garanzia dei diritti, scontando però la
limitazione del loro intervento al caso de quo e la loro difficoltà ad incidere direttamente sull’atto.
Infine potrebbe immaginarsi una nullità, e dunque, una non esecuzione, in quanto ab origine illegittimi, dei trattati stipulati in violazione dell’art. 80 Cost., ma chi la può dichiarare?
Si aprono qui anche problematiche connesse al rispetto degli obblighi internazionali (art. 117, c. 1, Cost.) e all’interpretazione dell’art.
46 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati101.
Continuiamo però ora con l’enucleazione dei profili di illegittimità
costituzionale, sempre in materia di forma dell’atto: la Costituzione
98 L’esercizio del potere legislativo «è collettivo, ma la titolarità è di ciascuna di esse»
(G. ZAGREBELSKY, V. MARCENÒ, Giustizia costituzionale, il Mulino, Bologna, 2012, p. 443).
99 Cfr. F. GHERA, Art. 80, cit., p. 1571; con specifico riferimento agli accordi di riammissione, C. FAVILLI, Quali modalità di conclusione, cit., p. 158.
100 In tema, cfr. F. GHERA, Art. 80, cit., p. 1571.
101 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), art. 46: «Il fatto che il consenso di uno Stato a vincolarsi a un trattato sia stato espresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno riguardante la competenza a concludere trattati non può essere
invocato dallo Stato in questione come viziante il suo consenso, a meno che questa violazione non sia stata manifesta e non riguardi una norma del suo diritto interno di importanza fondamentale». Senza approfondire oltre la questione, ci si limita ad osservare, da
un lato, come senza dubbio l’art. 80 Cost. possa rientrare fra le norme di diritto interno «di
importanza fondamentale»; dall’altro, come nell’interpretazione dell’art. 46 della Convenzione di Vienna si tenga conto del dato reale relativo alla volontà dell’ordinamento di eseguire il trattato (nel caso di specie degli accordi di riammissione, certo non assente, come
prova il rimpatrio dei cittadini sudanesi).
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165
ALESSANDRA ALGOSTINO
risulta violata, infatti, non solo in relazione all’art. 80, ma anche laddove stabilisce, in materia di condizione giuridica dello straniero, una
riserva di legge.
6. Discorrendo di immigrazione, la riserva di legge ex art. 10, c. 2,
Cost.
Come è noto, l’art. 10, c. 2, Cost., dispone che «la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme
e dei trattati internazionali», prevedendo una riserva di legge rinforzata.
Leggiamo alcuni passi dagli accordi citati.
Accordo Italia-Tunisia del 2011: «la Tunisia si impegnava ad accettare il ritorno immediato dei Tunisini giunti irregolarmente in Italia
dopo la conclusione dell’accordo. I cittadini tunisini potevano essere
rimpatriati attraverso procedure semplificate, che prevedono la semplice identificazione della persona interessata da parte delle autorità
consolari tunisine»102.
Memorandum d’intesa Italia-Sudan del 2016: «Le Parti… promuovono e sviluppano la cooperazione con le seguenti modalità: … identificazione e rimpatrio dei propri cittadini presenti nel territorio
dell’altra Parte in posizione irregolare rispetto alla normativa
sull’immigrazione» (art. 4, par. 1, lett. k); «Le competenti autorità sudanesi forniscono assistenza e supporto nell’accertamento della nazionalità dei migranti irregolari, procedendo alla loro identificazione, al
fine di consentire alle competenti autorità italiane di eseguire le misure di rimpatrio…»; «per le finalità indicate…, le competenti autorità
diplomatiche/consolari del Sudan, su richiesta delle competenti autorità italiane, procedono senza indugio alle interviste delle persone da
rimpatriare, al fine di stabilire la loro nazionalità e, sulla base dei risultati del colloquio, senza svolgere ulteriori indagini sulla loro identità, emettono, il prima possibile, documenti di viaggio sudanesi
d’emergenza (lasciapassare), consentendo in tal modo alle competenti
autorità italiane di organizzare ed eseguire operazioni di rimpatrio…»
(art. 9, c. 1 e 2).
102
166
CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 38.
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017: «Riaffermando la
ferma determinazione di cooperare per individuare soluzioni urgenti
alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare, attraverso la predisposizione dei campi di
accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario
nei paesi di origine…».
È evidente che gli accordi in questione riguardano la condizione
giuridica dello straniero103. Coerentemente, del resto, la disciplina relativa al controllo delle frontiere e al respingimento è contenuta nel
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D. lgs. 25
luglio 1998, n. 286, capo II, artt. 10 ss.).
Non pare necessario argomentare ulteriormente sul punto; si può
tuttavia ricordare come violando la riserva di legge gli effetti collaterali si estendono alla sua ratio: assicurare la presenza di una discussione politica che esprima la dialettica maggioranza-opposizioni e la
partecipazione, se pur indiretta, dei cittadini attraverso i propri rappresentanti; esercitare una funzione di garanzia, in primis a tutela dei diritti, contro possibili abusi perpetrati dal potere esecutivo e contro la
discrezionalità della pubblica amministrazione104.
Il carattere rinforzato della riserva di legge comporta poi anche la
possibilità di sindacare il rispetto di quest’ultima sotto il profilo del
contenuto, che deve essere conforme alle norme e ai trattati internazionali che riguardano la condizione giuridica dello straniero, i quali,
come sostiene la prevalente dottrina, comprendono il diritto internazionale dei diritti umani, essendo lo straniero in primo luogo una persona umana.
Come si vedrà, vi sono sia diritti specifici degli stranieri, come il
diritto di asilo, sia classici diritti della persona umana, quale la libertà
personale, che possono essere lesi dagli accordi di riammissione.
103 Reputa violata la riserva di legge di cui all’art. 10, c. 2, Cost., da parte del Memorandum Italia-Sudan del 2016, ad esempio, ASGI, Memorandum d’intesa…, Guida alla lettura, cit.; in senso ampio, sulla necessità che gli accordi internazionali in materia di immigrazione rispettino la riserva di legge, C. FAVILLI, Presentazione, in Diritto, immigrazione e
cittadinanza, nn. 1-2/2016, p. 14.
104 In tema, per tutti, cfr. G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Il
sistema delle fonti del diritto, Utet, Torino, 1988, p. 54.
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Muovendo dal diritto internazionale dei diritti umani, può profilarsi
altresì una violazione dell’art. 10, c. 1, Cost.105, laddove le norme che
sanciscono diritti sono ascrivibili anche al diritto internazionale consuetudinario106.
Restano, come osservato a proposito dell’art. 80 Cost., le difficoltà
in ordine ad eventuali interventi contro il mancato rispetto della riserva di legge, quali conflitto di attribuzione, azioni di fronte ai tribunali
amministrativi e ordinari, ricorsi alle corti sovranazionali a garanzia
dei diritti.
7. Il diritto di asilo e il divieto di refoulement: l’art. 10, c. 3, Cost.
Gli accordi di riammissione sono suscettibili di incidere anche su
un’altra norma costituzionale, che, fra l’altro, stabilisce una riserva di
legge, l’art. 10, c. 3, Cost., che sancisce il diritto di asilo. Invero, conviene soffermarsi in questo caso non tanto sul dato della riserva di
legge107, quanto sul dato sostanziale.
Non mancano negli accordi in questione formule a salvaguardia dei
diritti umani e, in specifico, del diritto di asilo, quali le seguenti: «pienamente impegnati a promuovere e rispettare i diritti umani…, in conformità al diritto internazionale pertinente e alla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951»108; «le Parti si impegnano ad
interpretare ed applicare il presente Memorandum nel rispetto degli
obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte»109.
Il tenore e il contesto spingono peraltro a chiedersi se espressioni
quale quelle citate non siano mere interlocuzioni di rito. In tal senso
depone sia la mancanza nel testo di ulteriori esplicitazioni atte a con105 «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute».
106 Fermo restando, come si vedrà infra, che in tal modo ad essere violate possono essere anche le norme costituzionali che riconoscono i vari diritti della persona umana.
107 Sulla violazione della riserva di legge, si rinvia alle osservazioni svolte retro (par. 6).
108 Memorandum Italia-Sudan del 2016, preambolo; similmente in art. 1: «le Parti concordano che l’obiettivo del presente Memorandum è quello di promuovere e sviluppare la
cooperazione di polizia per la prevenzione e il contrasto alla criminalità nelle sue varie
forme. Nell’attuazione della cooperazione, le Parti assicurano e promuovono il pieno rispetto dei diritti umani».
109 Memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017, art. 5.
168
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
cretizzare i diritti sia la considerazione dell’obiettivo che costituisce
l’essenza degli accordi di riammissione: favorire i rimpatri ed esternalizzare le frontiere.
L’intento è perseguito sia velocizzando le operazioni di identificazione e di rimpatrio sia tentando di delocalizzare i controlli nei Paesi
di origine e/o di transito, intervenendo a monte delle migrazioni.
Emblematica è l’insistenza sulla rapidità nel Memorandum d’intesa
Italia-Sudan del 2016. Riprendendo un passo citato retro: «le competenti autorità diplomatiche/consolari del Sudan… procedono senza indugio alle interviste delle persone da rimpatriare, al fine di stabilire la
loro nazionalità e, sulla base dei risultati del colloquio, senza svolgere
ulteriori indagini sulla loro identità, emettono, il prima possibile, documenti di viaggio sudanesi d’emergenza» (corsivo mio).
A rendere più spedito il procedimento mira anche, per quanto è dato conoscere, l’Accordo Italia-Tunisia del 2011, che prevede un «ritorno immediato» dei cittadini tunisini giunti irregolarmente in Italia
«attraverso procedure semplificate» («la semplice identificazione della
persona interessata da parte delle autorità consolari tunisine»)110.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda sezione, si è pronunciata sul punto, su ricorso di tre cittadini tunisini, in relazione al
divieto di espulsioni collettive ai sensi dell’art. 4 del Protocollo n. 4
alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo111, che recita: «le espulsioni collettive di stranieri sono vietate».
La Seconda sezione della CEDU, che rileva diverse violazioni alla
Convenzione112, quanto al profilo che qui interessa, osserva come «la
semplice messa in atto di una procedura di identificazione non è sufficiente per escludere l’esistenza di una espulsione collettiva»113. Fra gli
elementi considerati, la Corte cita il fatto che «i decreti di respingimento non contengono alcun riferimento alla situazione personale degli interessati; il Governo non ha prodotto alcun documento che possa
CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 38.
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita in Italia con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
112 Una efficace sintesi della sentenza è in Diritto penale contemporaneo (A. GILIBERTO,
Lampedusa: la Corte Edu condanna l’Italia per la gestione dell’emergenza sbarchi nel 2011, 16
ottobre 2015, in www.penalecontemporaneo.it).
113 CEDU, Seconda sezione, Khlaifia e altri c. Italia, ricorso n. 16483/12, sentenza 1
settembre 2015, par. 156.
110
111
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ALESSANDRA ALGOSTINO
provare che i colloqui individuali che vertevano sulla situazione specifica di ogni ricorrente si sarebbero svolti prima dell’adozione di questi
decreti; numerose persone aventi la stessa origine hanno conosciuto,
all’epoca dei fatti contestati, la stessa sorte dei ricorrenti»114, considerando altresì in maniera specifica come gli accordi bilaterali con la
Tunisia «non sono stati resi pubblici e prevedevano il rimpatrio dei
migranti irregolari tunisini tramite procedure semplificate, sulla base
della semplice identificazione della persona interessata da parte delle
autorità consolari tunisine»115. Il giudice conclude quindi «che
l’allontanamento dei ricorrenti ha avuto un carattere collettivo contrario all’articolo 4 del Protocollo n. 4. Pertanto, vi è stata violazione di
questa disposizione»116.
La Grande camera, invero, ribalta sul punto la decisione di primo
grado, ritenendo che «in definitiva, nella presente causa i ricorrenti
sono stati identificati in due riprese, è stata stabilita la loro cittadinanza, e hanno avuto una possibilità reale ed effettiva di invocare gli argomenti che si opponevano alla loro espulsione. Pertanto non vi è stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4»117. Tale conclusione
consente anche alla Corte di non pronunciarsi sull’accordo italotunisino e, in specie, come specifica lo stesso giudice, sulla possibilità
di considerare tale accordo, «che non è stato reso pubblico», «un accordo “di riammissione” nel senso della “direttiva rimpatri”»118.
Non vi sono dubbi, peraltro, sul fatto che dal diritto di asilo discenda in primis – prescindendo qui dalla considerazione che la disciplina
in tema di protezione internazionale non può ritenersi esaustiva rispetto all’art. 10, c. 3, Cost.119 – il diritto effettivo a chiedere la protezione
114 La Corte (Seconda sezione, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 53) ricorda come, pur
non essendo l’accordo stato reso pubblico, vi sono stati «rimpatri quotidiani dei migranti
tunisini» arrivati in Italia dopo la conclusione dell’accordo, con «cifre comprese tra 30 e 60
rimpatri al giorno».
115 CEDU, Seconda sezione, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 156.
116 CEDU, Seconda sezione, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 158.
117 CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 254.
118 CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 255.
119 Nonostante nella prassi e in parte della dottrina vi sia una sovrapposizione fra status di rifugiato e asilo costituzionale, è palese la differenza di presupposti, quale, per citare
il più macroscopico, la non richiesta dell’elemento della “persecuzione” da parte dell’art.
10, c. 3, Cost. (con la maggior ampiezza che ne consegue); in tema, ex plurimis, G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale
e prospettive europee, Jovene, Napoli, 2007 (spec. pp. 176-177); M. BENVENUTI, Il diritto di
asilo nell’ordinamento costituzionale italiano, Cedam. Padova, 2007.
170
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
internazionale e a permanere sul territorio sino alla pronuncia sulla relativa domanda.
Come è stato osservato in relazione alla c.d. “politica dei respingimenti” in alto mare, nella fattispecie legata agli accordi Italia-Libia,
ciascun migrante «avrebbe dovuto essere oggetto di specifica verifica
circa la sua posizione giuridica individuale, avrebbe dovuto essere informato, in una lingua a lui comprensibile, del suo diritto a presentare
una domanda di asilo o di protezione internazionale ai sensi dei d.lgs.
n. 251/2007 e 25/2008, e del suo diritto a restare in Italia fino alla definizione della sua domanda»120.
L’ultimo capitolo delle relazioni con la Libia, il Memorandum
d’intesa Italia-Libia del 2017 rappresenta, invece, un esempio perfetto
di esternalizzazione laddove ragiona di «predisposizione dei campi di
accoglienza temporanei in Libia» quale soluzione per i migranti che
attraversano la Libia con il progetto di recarsi via mare in Europa.
L’accordo Italia-Tunisia del 2011, dal canto suo, contiene l’impegno
per la Tunisia di «rafforzare il controllo delle sue frontiere allo scopo
di evitare nuove partenze di clandestini, con l’aiuto di mezzi logistici
messi a sua disposizione dalle autorità italiane»121.
Ora, è difficile negare che identificazioni celeri e/o appaltate a Paesi terzi possano incidere sulla possibilità – effettiva – di chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato122.
Senza alcun dubbio, poi, si registra una violazione del diritto di asilo nell’ipotesi nella quale lo Stato parte dell’accordo non abbia nemmeno sottoscritto la Convenzione di Ginevra e/o non garantisca, al di
là della ratifica, il rispetto dei diritti.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, adita da undici cittadini somali e tredici cittadini eritrei intercettati in alto mare e, in ragione degli accordi bilaterali con la Libia, trasferiti direttamente in tale Stato123, è netta nel rammentare «che l’esistenza di testi interni e la ratifi120 Così E. GROSSO, I respingimenti in mare: quando i Governi tentano di sottrarsi alla fatica di prendere i diritti sul serio, in Dir. Pubbl. Comp. ed Europeo, n. III/2009, p. XXII.
121 CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 37.
122 In questo senso cfr. F. LENZERINI, Asilo e diritti umani. L’evoluzione del diritto
d’asilo nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 2009, p. 569, che considera, a proposito
degli accordi conclusi con i Paesi di provenienza e/o di transito dei flussi migratori, come
essi non violano il diritto di asilo «a patto però che, naturalmente, essi non si risolvano nel
respingimento sommario…».
123 È l’anno, il 2009, nel quale è inaugurata la c.d. “politica dei respingimenti”.
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ALESSANDRA ALGOSTINO
ca di trattati internazionali che sanciscono il rispetto dei diritti fondamentali non sono sufficienti, da soli, a garantire un’adeguata tutela dal
rischio di maltrattamenti»124. Nella fattispecie il giudice di Strasburgo
ravvisa la presenza di «fonti affidabili» che rappresentano «prassi delle autorità – o da queste tollerate – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione»: diversi rapporti mostrano come «durante il periodo in questione in Libia non veniva rispettata nessuna norma di tutela dei rifugiati; tutte le persone entrate nel paese con mezzi irregolari
erano considerate clandestine, senza alcuna distinzione tra i migranti
irregolari e i richiedenti asilo» ed «erano sistematicamente arrestate e
detenute in condizioni… inumane»125. Gli stessi rapporti – prosegue la
Grande camera – provano come «i migranti clandestini sbarcati in Libia dopo l’intercettazione in alto mare da parte dell’Italia, quali i ricorrenti, non sfuggivano a questi rischi», donde la violazione dell’art. 3
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo126: con il trasferimento in Libia le autorità italiane hanno esposto i ricorrenti «con piena
cognizione di causa a trattamenti contrari alla Convenzione»127.
Nella sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia è richiamato il divieto
di refoulement, principio che nasce in simbiosi con la proclamazione
del diritto di asilo, ma – come evidenzia la correlazione che il giudice
di Strasburgo stabilisce con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo128 – tutela qualsiasi persona umana, a prescindere dal
fatto che sia rifugiato o intenda ottenerne lo status.
124 CEDU, Grande camera, Hirsi Jamaa e altri v. Italia, ricorso n. 27765/09, sentenza
23 febbraio 2012, par. 128; per una sintesi e una prima analisi della sentenza, cfr. V. MACCIONI, Respingimenti in mare e diritti umani dei migranti, in Dir. Pubbl. Comp. ed Europeo,
n. II/2012, pp. 740 ss.
125 CEDU, Grande camera, Hirsi Jamaa e altri v. Italia, cit., parr. 128 e 125.
126 «Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti».
127 CEDU, Grande camera, Hirsi Jamaa e altri v. Italia, cit., parr. 126 e 137.
128 La Corte europea applica in proposito la c.d. dottrina “par ricochet”, valorizzando le
implicazioni indirette presenti nelle norme convenzionali; nel caso di specie, per l’appunto,
deducendo dal divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 Conv.), il principio di non-refoulement. La giurisprudenza sul punto è consolidata; ex multis, cfr. Soering
c. Regno Unito, sentenza 7 luglio 1989, ricorso n. 14038/88; Vilvarajah e altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991, ricorsi nn. 13163/87; 13164/87; 13165/87; 13447/87; 13448/87; Chahal c.
Regno Unito, sentenza 15 novembre 1996, ricorso n. 22414/93; H.L.R. c. Francia, sentenza
29 aprile 1997, ricorso n. 4573/94; Ahmed c. Austria, sentenza 17 dicembre 1996, ricorso n.
25964/94; Salah Sheekh c. Paesi Bassi, sentenza 11 gennaio 2007, ricorso n. 1948/04.
172
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
La natura degli accordi di riammissione li rende quasi intrinsecamente suscettibili di entrare in collisione con tale principio, che, come
è noto, risulta sancito in numerosi trattati internazionali129 e regionali130 e parte del diritto internazionale consuetudinario, anche nella sua
accezione di ius cogens131 (con la conseguente violazione, in caso di
mancato rispetto del principio, anche dell’art. 10, c. 1, Cost.).
La formulazione capostipite è quella di cui all’art. 33, par. 1, della
Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951:
«nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo,
un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà
sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle
sue opinioni politiche».
Nell’ordinamento italiano, il Testo unico sull’immigrazione del
1998 stabilisce che «in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di
persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non
sia protetto dalla persecuzione»132. Il principio di non-refoulement, peraltro, gode altresì di una copertura costituzionale, configurandosi come una estrinsecazione del diritto di asilo. Esso «ha carattere assoluto
ed inderogabile» e senza dubbio la sua operatività non può essere limitata attraverso accordi internazionali bilaterali con Paesi terzi, quali
quelli di riammissione133.
L’inderogabilità e l’assolutezza – in perfetta coerenza con una
norma costituzionale sul diritto d’asilo che ragiona di «effettivo impe-
129 Ex multis, Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti, crudeli, inumani o degradanti, New York, 10 dicembre 1984, art. 3.
130 Si veda, ad esempio, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 19; in
argomento, cfr., recentemente, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, A. LANG, Il
divieto di refoulement tra CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in S.
AMADEO, F. SPITALERI (a cura di), Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa,
Giappichelli, Torino, 2015.
131 Sull’ascrizione del principio di non-refoulement fra le norme di ius cogens, cfr. J. ALLAIN, The jus cogens nature of non-refoulement, International Journal of Refugee Law, n.
4/2001, pp. 533 ss.; F. LENZERINI, Asilo e diritti umani, cit., spec. pp. 378 ss.
132 D. lgs. n. 286 del 1998, art. 19, c. 1.
133 E. GROSSO, I respingimenti in mare, cit., p. XVII.
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ALESSANDRA ALGOSTINO
dimento»134 – operano non solo in relazione al dato formale, ma guardando all’effettività: uno Stato è sicuro quando garantisce effettivamente una tutela al richiedente asilo o al rifugiato. Un approccio –
quello fondato sulla garanzia concreta – che è una costante nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo135.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, così come la Corte di giustizia UE, hanno precisato, ad esempio, che non esiste una presunzione
assoluta di sicurezza nemmeno per gli Stati membri dell’Unione europea136.
Il principio di non-refoulement, sempre nella prospettiva di una tutela effettiva, estende poi la sua copertura al caso del rimpatrio indiretto. Lo Stato di (primo) rinvio, cioè, deve fornire sufficiente garanzia in
ordine al fatto che non respingerà i migranti verso Paesi nei quali sussista il rischio che siano soggetti a trattamenti vietati dall’art. 3 Conv.:
«è lo Stato che procede al respingimento a doversi assicurare che il
Paese intermedio offra garanzie sufficienti che permettano di evitare
che la persona interessata venga espulsa verso il suo Paese di origine
senza valutare il rischio cui va incontro»137. Un altro profilo, quello
del rimpatrio indiretto, per il quale il giudice di Strasburgo, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri v. Italia, ha ritenuto l’Italia colpevole di violazione dell’art. 3 Conv.: «la Corte ritiene che, al momento di trasferire i ricorrenti verso la Libia, le autorità italiane sapevano o dovevano
sapere che non esistevano garanzie sufficienti a tutelare gli interessati
134 …in un edificio, quello della Costituzione del 1948, che della tutela effettiva
dell’eguaglianza, della partecipazione e dei diritti, fa le sue fondamenta.
135 Oltre la sentenza Hirsi Jamaa e altri v. Italia citata ante, per limitarsi ad un altro
esempio riguardante l’Italia, si veda, ex plurimis, CEDU, Seconda sezione, Saadi c. Italia,
sentenza del 28 febbraio 2008, ricorso n. 37201/06.
136 In questo senso, per la giurisprudenza CEDU, cfr., fra le altre, Grande camera,
M.S.S. v. Belgio e Grecia, sentenza del 21 gennaio 2011, ricorso n. 30696/09; per la giurisprudenza comunitaria, Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione), cause riunite C-411/10, N.S. v. Secretary of State for the Home Department, e C-493/10, M.E. e altri.
v. Refugee Applications Commissioner Minister for Justice, Equality and Law Reforme, sentenza del 21 dicembre 2011. Non mancano anche pronunciamenti della giurisprudenza ordinaria sul non rinvio, in ottemperanza al principio di non-refoulement, in un altro Paese
UE (per alcuni esempi, cfr. N. PARISI, D. RINOLDI, La protezione dello straniero nello spazio
giuridico europeo: il contributo della giurisprudenza internazionale e nazionale. Un nuovo approccio nel “vecchio continente?”, in Questione Giustizia, Seminario nazionale, Catania, 2021 febbraio 2015, in www.questionegiustizia.it).
137 Così, CEDU, Grande camera, Hirsi Jamaa e altri v. Italia, cit., par. 147, che riprende una giurisprudenza consolidata.
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
dal rischio di essere rinviati arbitrariamente nei loro Paesi di origine»138.
Senza approfondire qui oltre il tema, si può infine osservare come,
fatte salve alcune eccezioni, come motivi attinenti alla sicurezza pubblica139, il divieto di refoulement tutela – come si è anticipato – non
solo chi è stato riconosciuto come rifugiato ma anche la persona che
chiede o intende chiedere il riconoscimento dello stato di rifugiato o
potrebbe invocarlo in futuro140, ovvero in senso ampio la persona umana.
La ratio della norma, infatti, è, come traspare chiaramente dalla
giurisprudenza della CEDU che collega il principio di nonrefoulement all’art. 3 Conv., tutelare la vita e la libertà di ciascuna
persona, il che comporta che titolare ne è qualsiasi persona umana, a
prescindere dal possesso o dalla volontà di ottenere lo status di rifugiato.
Concludendo sul rapporto fra accordi di riammissione soft e diritto
di asilo, si può notare come, in presenza di violazioni del secondo da
parte dei primi, siano configurabili diversi rimedi.
Da un lato, possono ipotizzarsi ricorsi a tutela del diritto di asilo sia
come diritto a richiedere la protezione internazionale sia come divieto
di refoulement; ricorsi da proporre al giudice ordinario, così come alla
Corte europea dei diritti dell’uomo. Invero, non si tratta in tali casi solo di ipotesi, stante il peso e la numerosità delle pronunce del giudice
di Strasburgo sul punto.
Dall’altro, pur non addentrandosi nella descrizione del diritto comunitario sulla protezione internazionale, si può configurare, alla luce
di norme come gli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali,
gli articoli 67, par. 2, e 78 TFUE, nonché regolamenti e direttive, quali
il c.d. regolamento Dublino III141 e la direttiva 2013/32/UE142,
CEDU, Grande camera, Hirsi Jamaa e altri v. Italia, cit., par. 156.
Cfr. Convenzione relativa allo status di rifugiato, cit., art. 33, par. 2.
140 Così, ex multis, F. RESCIGNO, Il diritto di asilo, Carocci, Roma, 2011, p. 92.
141 Regolamento n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013
che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente
per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (GUUE 29.06.2013, L
180/31).
142 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013,
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
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l’apertura di una procedura di infrazione in sede UE ex art. 258 ss.
TFUE, con la relativa possibilità di una pronuncia della Corte di giustizia UE, nonché l’intervento di quest’ultima sulla base di un rinvio
pregiudiziale143.
Sempre mantenendo come parametro il diritto comunitario, si potrebbe infine anche ragionare intorno alla possibilità – e qui
l’attenzione si appunta non tanto, o non solo, sulla violazione del diritto del singolo, quanto sulla legittimità dell’atto – che il giudice (italiano) non applichi le norme di cui all’accordo di riammissione soft in
ipotesi contrastanti con le norme comunitarie in materia di protezione
internazionale, disapplicandole in virtù del primato del diritto comunitario.
Dal punto di vista dell’ordinamento interno, sull’atto (amministrativo), potrebbe immaginarsi un intervento del giudice ordinario o amministrativo, con una pronuncia in relazione all’art. 10, c. 3, Cost.,
mentre la natura del giudizio costituzionale non consente di prefigurare una pronuncia della Corte costituzionale che, assumendo come parametro l’art. 10, c. 3, Cost., colpisca l’accordo di riammissione, stante la sua natura non legislativa. L’impossibilità di intervento del giudice costituzionale, invero, presenta caratteri paradossali: la violazione
inerente la forma dell’atto rende impermeabile l’atto anche rispetto alle violazioni che lo stesso può compiere in relazione al suo contenuto.
8. Esternalizzazione delle frontiere, persona umana e diritti costituzionali
Gli accordi di riammissione mettono a rischio – si è detto – il principio di non-refoulement e ciò può comportare il mancato rispetto non
solo del diritto di asilo, bensì anche della dignità umana e dei diritti
inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost)144, esponendo la persona a rischi per
143 Le cause citate ante, C-411/10 e C-493/10, vertevano proprio su due domande di
pronuncia pregiudiziale sollevate nell’ambito di una serie di controversie tra richiedenti
asilo da rinviare in Grecia in applicazione del regolamento (CE) del Consiglio del 18 febbraio 2003, n. 343, e le autorità, rispettivamente, di Regno Unito e Irlanda.
Si veda, ad esempio, in relazione al Memorandum d’intesa Italia-Libia, F. SCUTO,
Immigrazione: l’accordo Italia-Libia e la Dichiarazione del Consiglio europeo di Malta, in
Centro Studi sul federalismo, Commenti, n. 101 – 13 febbraio 2017: «il tema del rispetto dei
144
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
la vita, a tortura e/o trattamenti inumani e degradanti, così come a violazioni della libertà personale, della libertà di manifestazione del pensiero, o di religione, etc.
Può profilarsi ovviamente anche una violazione della libertà di circolazione transnazionale, la quale par excellence costituisce terreno di
scontro diretto fra soggettività internazionale dell’individuo e soggettività/sovranità dello Stato. In proposito, senza entrare in un tema che
richiederebbe un altro intervento, basti ricordare come il carattere impari dello scontro si rifletta nell’asimmetria che sin dai tempi di Francisco Vitoria ha accompagnato lo ius migrandi e nel potere discrezionale dello Stato di controllare i propri confini, relegando opzioni come
l’apertura delle frontiere tra le utopie (se pur con – almeno sino ad oggi – due eccezioni: il diritto di asilo e il divieto di refoulement).
In secondo luogo, una violazione dei diritti quali la vita, il divieto
di tortura, la libertà personale, etc., può realizzarsi con
l’esternalizzazione delle frontiere, ovvero demandando a Stati terzi
controlli, identificazioni, eventuale tutela dei rifugiati, i quali possono
avvenire senza il rispetto dei diritti umani.
Quando gli accordi sono conclusi con Stati non democratici o dittature, è (quasi) una certezza la violazione dei diritti: sono accordi che
non dovrebbero esistere, icto oculi illegittimi.
Si può sostenere che lo Stato italiano nel momento in cui stringe
accordi con Paesi autoritari, che non rispettano i diritti umani, ed espone, in conseguenza di tali accordi, dei migranti a violazioni dei loro diritti, si rende responsabile in via indiretta.
In questo senso intese come quelle con il Sudan non dovrebbero ab
origine essere negoziate; oltre i rapporti delle ONG che si occupano di
diritti umani145, sul carattere autoritario del Sudan, netto è ad esempio
The Economist (Intelligence Unit), che nel Democracy Index 2016146
diritti umani è del tutto marginale nel memorandum d’intesa», «è uno dei punti critici
dell’accordo». I. GJERGJI, Sulla governance delle migrazioni, cit., p. 106, ragiona di negazione della soggettività giuridica degli immigrati «gestiti – respinti, espulsi, trattenuti o
accolti – sulla base di intese riservate e informali, adottate just in time, nelle stanze chiuse
di polizie e ministeri».
145 Per tutte, cfr. Amnesty International, sezione Countries – Sudan, sul sito
www.amnesty.org.
146 Consultabile sul sito www.eiu.com.
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ALESSANDRA ALGOSTINO
colloca il Sudan fra i regimi (stabilmente) autoritari, con un indice, nel
2016, di 2.37 su 10147.
In terzo luogo, gli accordi di riammissione possono introdurre – in
quanto in forma soft senza nemmeno la necessaria base legale – modalità di identificazione e di rimpatrio che violano diritti costituzionali.
Si pensi ad esempio a forme di trattenimento e/o di accompagnamento, quali quelle connesse con il rimpatrio, che incidono sulla libertà
personale, che può essere limitata solo nei limiti e con le garanzie di
cui all’art. 13 Cost.
La Corte europea, a proposito dell’accordo Italia-Tunisia del 2011,
afferma, nella sentenza Khlaifia e altri c. Italia, che nel caso di specie
«il trattenimento dei ricorrenti era privo di base giuridica nel diritto
italiano», «la privazione della libertà dei ricorrenti non soddisfaceva il
principio generale della certezza del diritto e contrastava con lo scopo
di proteggere l’individuo dall’arbitrarietà», concludendo che «pertanto
tale privazione della libertà non può essere considerata “regolare” ai
sensi dell’articolo 5 § 1 della Convenzione», la cui violazione risulta
dunque acclarata148.
Elemento cardine del percorso argomentativo della Corte è proprio
la forma soft degli accordi149: «nella misura in cui il Governo considera che la base giuridica per il soggiorno dei ricorrenti sull’isola di
Lampedusa fosse l’accordo bilaterale concluso con la Tunisia
nell’aprile 2011 (…), la Corte osserva anzitutto che il testo integrale di
tale accordo non era stato reso pubblico. Esso non era dunque accessibile agli interessati, che non potevano pertanto prevedere le conseguenze della sua applicazione (…). Inoltre, il comunicato stampa pubblicato sul sito internet del Ministero dell’Interno italiano il 6 aprile
2011 si limitava a menzionare un potenziamento del controllo delle
frontiere e la possibilità di un rinvio immediato dei cittadini tunisini
147 Come risulta dal sito www.infographics.economist.com/2017/DemocracyIndex. Per
inciso, non migliore è il risultato della Libia, che si attesta nel 2016 su un 2.25 (sono numeri che, ferme restando perplessità sulla veridicità di tali rapporti, non lasciano adito a molti dubbi sul carattere autoritario degli Stati considerati).
148 CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., parr. 104, 107 e 108.
149 Contra, peraltro, in questo caso, la giurisprudenza CEDU che tende ad interpretare
in maniera estensiva (per non dire, magnanima), il riferimento alla base legale, utilizzando
un approccio sostanziale e non formale, ricomprendendovi dunque anche atti come circolari, regolamenti, etc., il che, invero, solleva più di un dubbio stante la ratio del riferimento
alla legge in tema di limitazioni di diritti (ex multis, cfr. CEDU, Grande camera, Leyla Sahin c. Turchia, sentenza 10 novembre 2005, ricorso n. 44774/98, par. 88).
178
Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
mediante procedure semplificate (…). Esso non conteneva invece alcun riferimento alla possibilità di un trattenimento amministrativo e
alle relative procedure»150. Prosegue quindi il giudice, rilevando come
«in queste circostanze, è difficile comprendere come le poche informazioni disponibili per quanto riguarda gli accordi conclusi in vari
momenti tra l’Italia e la Tunisia avrebbero potuto costituire una base
giuridica chiara e prevedibile per il trattenimento dei ricorrenti», per
cui denuncia una «ambiguità legislativa» che «ha dato luogo a numerose situazioni di privazione della libertà de facto, in quanto il trattenimento in un CSPA sfugge al controllo dell’autorità giudiziaria, il
che, anche nell’ambito di una crisi migratoria, non può conciliarsi con
lo scopo dell’articolo 5 della Convenzione: assicurare che nessuno sia
privato della sua libertà in maniera arbitraria»151.
Attraverso la tutela dei diritti, la Corte di Strasburgo “condanna” la
forma soft di conclusione degli accordi.
Sul trattenimento dei richiedenti asilo152 si pronuncia anche la Corte di giustizia, su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla
Corte suprema amministrativa della Repubblica ceca, interpretando il
regolamento Dublino III153, in relazione agli artt. 2, lett. n), e 28, par.
2154. Nella sentenza il giudice comunitario chiarisce che «il trattenimento dei richiedenti, costituendo un’ingerenza grave nel loro diritto
alla libertà, è soggetto al rispetto di garanzie rigorose, vale a dire, la
sussistenza di un fondamento normativo, la chiarezza, la prevedibilità,
CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., par. 102.
CEDU, Grande camera, Khlaifia e altri c. Italia, cit., parr. 103 e 106; sulla privazione della libertà de facto, cfr. ivi, par. 67, dove la Corte riporta le risultanze delle indagini
compiute dalla commissione straordinaria per i diritti umani del Senato italiano, che il 6
marzo 2012 ha approvato un rapporto “sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per i migranti in Italia”, constatando, a
proposito del CSPA di Lampedusa dove erano stati trattenuti i ricorrenti, il «trattenimento prolungato», l’«impossibilità di comunicare con l’esterno» e la «mancanza di libertà di
movimento».
152 Nel caso di specie, il trattenimento è disposto, dalla legislazione nazionale,
nell’ipotesi di un «rischio notevole di fuga» (sulla base di criteri obiettivi stabiliti dalla legge) del richiedente asilo oggetto di una procedura di trasferimento, previa valutazione caso
per caso e solo se il trattenimento sia proporzionale e non possano essere efficacemente applicate altre misure alternative meno coercitive (art. 28, c. 2, e art. 2, lett. n), reg. n.
604/2013, cit.).
153 Regolamento (UE) n. 604/2013, cit.
154 Corte di giustizia, Seconda sezione, sentenza del 15 marzo 2017, Policie ČR, Krajské
ředitelství policie Ústeckého kraje, odbor cizinecké policie contro Salah Al Chodor e a., causa
C-528/15.
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l’accessibilità e la protezione contro l’arbitrarietà», requisiti che possono essere soddisfatti solo da «una norma di portata generale», «un
atto cogente e prevedibile nella sua applicazione»155.
Un accordo di riammissione concluso in forme soft, e spesso segreto, – si può annotare – certo non costituisce né «un atto cogente» né
una norma «prevedibile nella sua applicazione» e, dunque, ogni forma
di trattenimento disposta sulla sua base è illegittima.
I due esempi citati mostrano come, al di là della possibilità di ricorsi interni al singolo ordinamento, assumano un rilievo crescente nel
delineare uno standard minimo di tutela dei diritti umani (dei migranti) le corti sovranazionali156.
In ipotesi, poi, quanto accade lungo le rotte dei migranti, con migliaia di persone scomparse nel Mediterraneo o respinte verso Paesi
che definire “insicuri” è eufemistico, potrebbe legittimare un intervento, oltre che delle corti nazionali ed europee, anche della Corte penale
internazionale: in quanto le politiche di respingimento e riammissione
possono integrare dei crimini contro l’umanità157, i responsabili di tali
politiche potrebbero essere deferiti alla Corte.
Occorre peraltro interrogarsi sul senso di demandare alle corti la
costruzione del muro, questa volta dei diritti, quale confine invalicabile di politiche, delle quali gli accordi di riammissione rappresentano
l’emblema, che leggono le persone in movimento come flusso da controllare, alias respingere.
9. Osservazioni conclusive: la Costituzione e la palude
Invero, si può osservare come la Costituzione, sia in quanto pone le
fondamenta di un edificio giuridico democratico sia in quanto garantisce a ciascuna persona i «diritti inviolabili», fornisce gli anticorpi neCorte di giustizia, Seconda sezione, sentenza del 15 marzo 2017, cit., parr. 40-43.
Ciò vale non solo per il continente europeo, ma, ad esempio, anche per il ruolo svolto nell’America Latina dalla Corte interamericana dei diritti umani (di questa Corte, sulla
detenzione dei migranti e le garanzie da riconoscere ai rifugiati, cfr. caso Vélez Loor vs. Panamá, sentenza 23 novembre 2010; caso Familia Pacheco Tineo vs. Estado Plurinacional de
Bolivia, sentenza 25 novembre 2013, reperibili in www.corteidh.or.cr).
157 Cfr. Statuto della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998 (in
vigore dal 1 luglio 2002), art. 7 (autorizzato alla ratifica ed eseguito in Italia con legge 12
luglio 1999, n. 232).
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Saggi e articoli – Parte II
L’esternalizzazione soft delle frontiere
cessari a smantellare la politica delle esternalizzazioni e dei rimpatri
rapidi.
Accanto alla casa della Costituzione, con il suo diritto democratico
e la sua eguaglianza nei diritti, dilaga però una zona paludosa di soft
law dove i diritti sprofondano e le persone annegano.
L’estendersi della palude rende sempre più inaccessibile l’ingresso
al territorio della Costituzione e ne mina le fondamenta, indebolendo
la solidità democratica.
I giudici, nel loro ruolo di garanti del diritto e dei diritti, quando ciò
non è inibito dalla mancanza di pubblicità e dalla evanescenza delle
forme, gettano qualche ponte, ma è lo spazio della politica che deve
bonificare la palude, mostrando (o meno) che la Costituzione, così
come il fragile edificio dei diritti umani, europeo e mondiale, resistono.
L’azione dei giudici, in altri termini, può avvalorare il principio
della limitazione del potere attraverso la separazione, dimostrando
come esso consenta all’edificio democratico di fronteggiare alcuni
smottamenti, palesando anzi per tale via la solidità della sua costruzione, ma se la frana è estesa solo un’attività di consolidamento da
parte delle forze politiche, e della società, può mantenerlo in piedi.
La volatilità di un (non)-diritto soft aggira, più che aggredire frontalmente; crea spazi e procedure altri, che, nella nebulosità dei nonluoghi e nell’inconsistenza delle forme, sfuggono a responsabilità politiche e giudiziarie.
L’immigrazione, dunque, si pone quale campo di prova e cartina di
tornasole sia per l’effettività dei diritti, come diritti universali e come
diritti costituzionali158, sia per l’ancoraggio dei processi decisionali e
normativi ai parametri propri di una democrazia, sia per la tenuta della
Costituzione.
Diritti dimidiati e impediti, procedure decisionali opache e soft law,
Costituzione fondata sull’inclusione e sull’emancipazione sociale ma
per pochi, confini presidiati e delocalizzati per negare diritti: una de158 Tornano attuali – anche perché le tragedie dell’Africa di oggi molto devono
all’opera dei Paesi europei di ieri – le parole di Frantz Fanon: «Lasciamo quest’Europa che
non la finisce più di parlare dell’uomo pur massacrandolo dovunque lo incontra, a tutti gli
angoli delle stesse sue strade, a tutti gli angoli del mondo. Sono secoli che l’Europa ha arrestato la progressione degli altri uomini e li ha asserviti ai suoi disegni e alla sua gloria;
secoli che in nome d’una pretesa “avventura spirituale”, soffoca la quasi totalità
dell’umanità…» (F. FANON, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 1962, p. 240).
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mocrazia sempre più escludente all’esterno e all’interno, ovvero un
ossimoro, una «promessa non mantenuta»159, una maschera per
l’oligarchia (del finanzcapitalismo160, ça va sans dire).
Gli accordi di riammissione soft con il loro do ut des che assegna
un prezzo ai diritti e alle persone161 si inseriscono in modo coerente in
un paradigma postdemocratico162, nella tensione al profitto e nella
flessibilità della global economic governance: una struttura spesso
impalpabile ma dalle maglie di acciaio che nella tensione a produrre
profitto e potere, stritola con una morbidezza da boa constrictor democrazie, diritti, persone.
L’«amaro del partire»163 alle spalle e la «terrachiusa»164 di fronte:
«sulle rive di Lampedusa Un’umanità annega»165.
N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, 1984, in ID., Il futuro della democrazia, cit.,
pp. 3 ss.
160 L. GALLINO, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011.
161 Cfr. la creazione (nel vertice euro-africano del novembre 2015 a La Valletta) di un
fondo apposito, il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, anche chiamato “Trust Fund”,
gestito dalla Commissione europea, verso il quale sono stati dirottati fondi destinati alla
cooperazione e agli aiuti umanitari; si veda Parlamento europeo, Risoluzione sul Fondo
fiduciario dell’UE per l’Africa: le implicazioni per lo sviluppo e gli aiuti umanitari, 13 settembre 2016, P8_TA(2016)0337 (per una sintesi della vicenda, cfr. L. JONA, I fondi destinati a combattere la povertà usati in Africa per controllare i migranti, in La Stampa, 24 maggio 2017).
162 C. CROUCH, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003 (in precedenza, il neologismo
«postdemocrazia» era già stato utilizzato da A. MASTROPAOLO, Democrazia, neodemocrazia,
postdemocrazia: tre paradigmi a confronto, in Dir. Pubbl. Comp. ed Europeo, n. IV/2001).
163 G. M. TESTA, Ritals, in Da questa parte del mare, Produzioni Fuorivia / RadioFandango / Harmonia Mundi, 2006.
164 E. DE LUCA, Naufragi.
165 MOHAMMED GASSID, Sulle rive di Lampedusa, in 100Thousandpoets for ChangeBologna in collaborazione con GLOB011 (a cura di), Poesie per i morti di Lampedusa annegati da respingimento, in www.glob011.com/lampedusa, 10 ottobre 2013.
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Saggi e articoli – Parte II