Sternulegio *
La parola sternulegio compare in un’unica occorrenza nel Commento alla Commedia del pisano
Francesco da Buti (1385-1396). 1 Nella chiosa a Inf. 20.1-6, 2 il commentatore spiega la natura e le
spetie del peccato dell’affacturatione, che egli definisce «furamento del culto che si dé dare ad Dio
ad darlo ai dimonii et all’iduli», e dichiara che tale peccato «ae principalmente sotto sé IIII° spetie,
cioè divinatione, maleficio, superstitione et stregoneccio». Aggiunge inoltre che la pratica della
divinatione, prima sottocategoria del peccato dell’affacturatione, può esercitarsi in molti modi, ma
«vasti ad contarne XIIII°, cioè:
piromantia, aermantia, idromantia, geomantia, phitonitia, nigromantia, augurio, sortilegio,
haruspitio, ariolatio, magicatio, sonnilegio, ‹sternulegio›, psalterilegio». 3
Di sternulegio, che qui interessa, non ci sono altre attestazioni, né lo si trova nei repertori
lessicografici di riferimento dei volgari italiani. La ragione andrà individuata nel fatto che il testo
del Commento del Buti tuttora in uso è quello stabilito dall’edizione ottocentesca a cura di
Crescentino Giannini. 4 Nel luogo che interessa, 5 il testo di Giannini, accolto nella banca dati
dell’OVI, riporta stenuilegio, forma di cui a quanto pare la tradizione manoscritta non reca traccia.
Giannini trae il testo del Commento dal ms. Riccardiano 1006, nel quale si legge però steniulegio,
in accordo con il dettato del Palatino latino 1728, del quale il Riccardiano è un descriptus.
Steniulegio trasmette senz’altro anche il ms. Laur. Pluteo 42.14 mentre il Pluteo 42.13 tramanda
stemulegio. In ognuno dei casi, segni diversi di foggia simile hanno prodotto le varie letture erronee
secondo la fenomenologia tipica della cosiddetta diffrazione in presenza, che si produce al cospetto
di parole rare, neoconiazioni o crudi latinismi. D’altra parte, i mss. più autorevoli del Commento
all’Inferno, ossia il Conventi Soppressi 204, il Banco Rari 39, il Palatino 328 e il Corsiniano 1368
leggono sternulegio. 6 Il vocabolo, che è omesso nel ms. su cui ho fondato la mia nuova edizione, 7
deve essere integrato ope codicum per non guastare l’accordo con il numero XIIII° relativo alle
pratiche divinatorie che l’autore sta per elencare, e che risulterebbero altrimenti soltanto tredici.
1
Sulla figura di Francesco da Buti interprete di Dante, si veda F. Franceschini, Francesco da Buti, in Censimento dei
commenti danteschi. 1. I commenti di tradizione manoscritta (fino al 1480), a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma,
Salerno Editrice, 2011, t. I, pp. 192-218.
2
Il testo del commento all’Inferno si cita da: C. Tardelli, Il ‘Commento’ di Francesco da Buti alla ‘Commedia’.
‘Inferno’. Nuova edizione, Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere, Tesi di Perfezionamento in Filologia
Italiana, a.a. 2010-2011, vol. I, p. 465.
3
La questione relativa all’elenco butiano di pratiche divinatorie, anche in rapporto alle fonti pregresse e coeve, è
discussa in C. Tardelli, Tipologie compositive e hapax nel Commento alla ‘Commedia’ di Francesco da Buti (con una
nota sulla cultura grammaticale e lessicografica dell’autore), in Interpreting Dante: Essays on the Tradition of Dante
Commentary. Edited by P. Nasti and C. Rossignoli, IN, University of Notre Dame Press, 2013, c.d.s.
4
Commento di Francesco da Buti sopra la ‘Divina Commedia’ di Dante Allighieri, a cura di C. Giannini, Pisa, Nistri,
1858-1862, (rist. anastatica, con premessa di F. Mazzoni, ivi, 1989), d’ora innanzi Giannini.
5
Giannini, vol. I, p. 519.
6
Sulla storia della tradizione del testo del Commento del Buti si vedano F. Franceschini, Il commento dantesco del Buti
nel tardo Trecento e nel Quattrocento: tradizione del testo, lingua, società, in Bollettino Storico Pisano, LXIV, 1995,
pp. 45-114; Id., La prima stesura del commento del Buti al «Paradiso» in un codice appartenuto agli Appiani (Well
1036-Piac 544), in Nuova Rivista di Letteratura Italiana, I, fasc. 1, 1998, pp. 209-244; Id., Dante, il Buti e gli Appiani.
Un codice tra Piombino, Piacenza e il Massachussets, Pisa, ETS, 1998; C. Tardelli, Per una nuova edizione del
commento di Francesco da Buti all’ ‘Inferno’: note sulla lezione del MS Napoletano XIII C 1 e su alcune
interpretazioni di passi danteschi nella tradizione manoscritta, in The Italianist, 30.i, 2010, pp. 18-37; Ead.,
Prolegomena all’edizione del commento alla ‘Commedia’ di Francesco da Buti. ‘Inferno’, in Le Tre Corone, 1, 2014,
c.d.s.
7
Ms. Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, XIII C 1. Sulla bontà del ms. si veda Tardelli, Per una
nuova edizione del ‘Commento’ di Francesco da Buti, cit., passim; Ead., Prolegomena all’edizione del commento, cit.,
c.d.s.
1
A prima vista, il sostantivo potrebbe far pensare alla lettura dello sterno. I greci conoscevano
senz’altro lo sternòmantis, ossia l’indovino ventriloquo, e sternomantia, 8 oltre che nel latino
umanistico, 9 ha qualche attestazione anche in italiano. 10 Tuttavia, nella lista stilata dal Buti, alla
pratica magica dell’indovino ventriloquo già si accenna con il termine phitonitia, 11 la cui
descrizione si trova, tra l’altro, in un testo molto vicino al Buti, 12 ossia nelle Expositiones et glose di
Guido da Pisa (1333-1340):
Quarta pars dicitur Maleficium, quando demones coacti per coniurationes dant responsa, vel
futura predicunt. Et isti tales in quibus spiritus maligni loquuntur dicuntur Phytones, qui alio
nomine, ut ait Haymo Super Ysaiam, ventriloqui appellantur, eo quod habent malignum
spiritum, cuius inspiratione plerunque vera plerunque falsa Deo permittente loquuntur. Artem
vero phytonicam Phyton, qui et Apollo dicitur invenisse. Et sic patet de quarta parte que dicitur
Maleficium. 13
L’origine del composto sternulegio può dunque forse risalire al verbo latino sternŭo › STERNUO +
ossia ‘starnutire’, ‘scoppiettare’ detto della fiamma di un lume, ma anche ‘dare starnutendo
un buon augurio’, in analogia con spīcĭlĕgĭum › SPICA + LEGO, dove lego vale ‘raccolgo’. La parola
descriverebbe dunque l’atto di ‘raccogliere’ starnuti per interpretarne il significato augurale, così
come sortilegio designa la raccolta delle sorti per ricavarne auspici e presagi. D’altra parte, il topos
dello starnuto come manifestazione della divinità e segnale di favorevole auspicio, specialmente in
amore, è ampiamente attestato nella letteratura greca e latina. Lo si trova, ad esempio, in Omero,
Od. 17.511, in Senofonte, Anab. 3.2.9, in Teocrito, 7.96, in Catullo, carme XLV: «[…] Amor
sinistra ut ante | dextra sternuit approbationem. | Nunc ab auspicio bono profecti | mutuis animis
amant amantur», in Properzio 2.3.24: «candidus argutum sternuit omen Amor», in Ovidio Her.
18.152: «sternuit et nobis prospera signa dedit» e in Cicerone de Div. 2.39. 14 Oltre che nella
letteratura classica greca e latina, lo starnuto come manifestazione profetica ha attestazioni anche in
LEGO,
8
Sulla pratica della sternomanzia e dell’indovino ventriloquo, si può vedere il capitolo IV Divination in Arcana Mundi,
Magic and the occult in the Greek and Roman Worlds. A collection of Ancient Texts. Translated, Annotated, and
Introduced by G. Luck, Baltimore, The John Hopkins University Press, 20062, p. 259 e p. 313 (trad. italiana Arcana
Mundi, Volume I. Magia, Miracoli, Demonologia. Volume II. Divinazione, Astrologia, Alchimia, a cura di G. Luck,
Milano, Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, 1997-1999).
9
Cfr. il lessico della prosa latina rinascimentale di René Hoven, Lexique de la Prose Latine de la Renaissance, LeidenNew York-Köln, E.J. Brill, 1994, p. 342: «sternomantia, -ae art de devin ventriloque […]».
10
Cfr. la voce Sternomante nel GDLI: «Sternomante, sm. Indovino ventriloquo», cui segue un esempio secentesco e
uno dal Tramater. Cfr. anche il Dizionario Tecnico-Etimologico-Filologico, compilato da M. A. Marchi, Milano, dalla
Tipografia di Giacomo Pirola, 1829, t. II, p. 235: «STERNOMÁNTE, sternomantis, engastrimande […]. Davasi questo
nome a coloro, i quali credevasi che predicessero il futuro, o indovinassero le cose nascoste per opera di un Demone da
cui fossero invasati. Alcuni lo fanno quindi sinonimo di Energumeno, ed anche di Engastrimito; sebbene quest’ultimo
nome significhi più propriamente Ventriloquo».
11
Cfr. la voce python di Luck nell’Appendice Vocabula Magica in Anima Mundi, cit., pp. 493-518, p. 506: «python
‘prophetic spirit [inside a person], gift of ventriloquism’», che rimanda alla voce «engastrimantis, engastrimythos or
engastrites ’one who speaks [divines] through the belly; [prophetic] ventriloquist’. Cf. python, sternomantis» p. 497;
«sternomantis ‘ventriloquist’. The voice seems to come from the breast, not from the belly» p. 507.
12
Sui rapporti tra il Buti e Guido da Pisa si vedano la voce Francesco da Buti di F. Mazzoni, in Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, vol. 2, pp. 23-27; F. Sassetto, La Biblioteca di Francesco da Buti
interprete di Dante. Modelli critici di un lettore della “Commedia” dell’ultimo Trecento, Venezia, Il Cardo, 1993, pp.
82-84, 88, 94, 145 e ss. (con la Recensione di L. C. Rossi, in Medioevo Romanzo, XVIII, 1993, pp. 447-457).
13
Il testo è tratto da Guido da Pisa’s Expositiones et Glose super Comediam Dantis or Commentary on Dante’s
Inferno. Edited with Notes and an Introduction by V. Cioffari. Albany, N.Y., State University of New York Press, 1974,
p. 380.
14
Sulla questione si veda in part. Catullus, a commentary by C. J. Fordyce, Oxford, Clarendon Press, 1961, pp. 205206; per un elenco completo delle attestazioni classiche si veda A. S. Pease, The omen of sneezing, in Classical
Philology, VI, 1911, pp. 429-443. Lo starnuto come manifestazione profetica è anche ricordato da Georg Luck nel
capitolo sulla divinazione in Luck, Divination in Arcana Mundi, cit., p. 311: «The body movements of human beings,
especially their involuntary behavior (twitching, sneezing, etc.), provided omens. A visible part of someone’s body
might suddenly move spasmodically and give, to the observer, some indication of the future».
2
italiano. Il GDLI, alla voce Starnuto, riporta, tra l’altro, una testimonianza dall’Acerba di Cecco
d’Ascoli (1269-1327): «D’aruspici, sternuti ed altri effetti | ciascuno ha qualche vero ma non
sempre | in quanto noi di ciò siamo sospetti» ed una citazione da Leopardi in cui si richiama la
divinazione per starnuti: «Se la superstizione avesse dei limiti, potrebbe far meraviglia che lo
sternuto abbia riscossi dagli antichi omaggi ed applausi, abbia deciso del buon esito di qualche
grande intrapresa e sia stato in procinto di farne svanire qualche altra».
È utile notare che, rispetto agli altri composti con -legio (come, ad es., florilegio, spicilegio,
sacrilegio, sortilegio, ecc.) sternulegio presenta come primo elemento un verbo, anziché, come ci
aspetteremmo, un sostantivo. Può darsi che il Buti abbia coniato la parola per analogia con le altre
(forse anche influenzato da sonnilegio e psalterilegio che, nella sua lista, precedono e seguono
sternulegio) sebbene in maniera poco “conforme”, partendo da un verbo piuttosto che da un
sostantivo, ma avendo senz’altro in mente lo starnuto piuttosto che lo sterno, come sembra
confermare, ad esempio, la chiosa al medesimo passo di Dante che si legge nella cosiddetta «ultima
forma» 15 dell’Ottimo commento (ca. 1334):
Di nova pena mi convien far versi, et cetera. […] Tracta in questo canto della pena di coloro
che si fanno indovini. Et con questo ingannano molte genti. E a questo inganno si procede per
diverse vie, però che alcuni procedono per via d’astrologia, […] alcuni per sternuti […]. 16
Anche Guido da Pisa, nella glossa a Inferno 20, richiama la pratica divinatoria degli starnuti:
Horoscopium dicitur ab horis, nam in horis et gradibus dierum atque signorum celestium,
necnon in numero oscitationum atque sternutationum futura predicit. Et sic patet de secunda
parte que dicitur Mathematica. 17
Inoltre, tra i commenti danteschi prossimi al Buti, pure in quello di Benvenuto da Imola (13751383) si accenna al costume degli indovini di predire il futuro attraverso l’esame degli starnuti:
Nota etiam quod comparatio paralytici est propriissima: sicut enim paralyticus totus tremit, et
numquam tenet membra firma, ita recte divinator semper nutat et vacillat, quia stat semper cum
timore et suspicione considerans puncta, momenta, minuta; imo, quod est peius, pennas avium,
imo puncta facta in terra; imo, quod est ridiculosius, aliquando sternuta, imo quod est peius
stat in tremore quod non inveniatur dixisse mendacium, ex quo recipiat damnum vel dedecus;
ergo bene maledicta talis vita. 18
15
Sull’ipotesi di una proliferazione di revisioni d’autore, avanzata per primo da G. Vandelli, Una nuova redazione
dell’‘Ottimo’, in Studi Danteschi, vol. XIV, 1930, pp. 92-174, in part. pp. 96 e 172, e smentita da numerosi studi più
recenti, si veda ora M. Corrado, Ottimo Commento, in Censimento dei commenti danteschi, cit., t. I, pp. 371-406.
16
Il testo è tratto da L’ultima forma dell’«Ottimo commento». Chiose sopra la Comedia di Dante Allegieri fiorentino
tracte da diversi ghiosatori. Edizione critica a cura di C. Di Fonzo, Inferno, Ravenna, Longo, 2008, p. 190, con la
recensione di C. Perna, in Rivista di Studi Danteschi, a. IX, 2009, pp. 171-176. Cenni al rapporto tra il Buti e l’Ottimo
commento in Sassetto, La Biblioteca di Francesco da Buti, cit., pp.154-156 e in S. Bellomo, Dizionario dei
commentatori danteschi. L’esegesi della ‘Commedia’ da Iacopo Alighieri a Nidobeato, Firenze, Olschki, 2004, p. 249.
17
Guido da Pisa’s Expositiones et Glose, cit., p. 380.
18
Il testo è tratto da Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldighierij Comoediam, nunc primum
integre in lucem editum, sumptibus Guilielmi Warren Vernon, curante Jacopo Philippo Lacaita, Firenze, Barbèra, 1887,
t. II, p. 67. Sul rapporto tra Buti e Benvenuto, che attende ancora di essere compiutamente verificato, si vedano: Rossi,
Recensione a Sassetto, cit.; S. Costamagna, Le osservazioni retoriche nel Commento di Francesco da Buti alla
«Commedia»: terminologia tecnica e fonti, in Studi di Lessicografia Italiana, vol. XX, 2003, pp. 35-61; A. Mazzucchi,
La discussione della ‘varia lectio’ nel commento di Benvenuto da Imola e nell’antica esegesi dantesca, in Per correr
miglior acque... Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del Convegno VeronaRavenna, 25-29 ottobre 1999, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 955-976, ora in Id., Tra Convivio e
Commedia: sondaggi di filologia e critica dantesca, Roma, Salerno Editrice, 2004, pp. 176-202. Ulteriori elementi in
Tardelli, Per una nuova edizione del commento di Francesco da Buti, cit., pp. 25-27.
3
Commenti danteschi a parte, l’indovinare per starnuti è menzionato anche nello Specchio della
vera penitenza del frate domenicano Iacopo Passavanti (ca. 1300-1357):
Questa arte magica, e superstiziosa e diabolica scienzia, s’adopera in molti modi e a molti
effetti, secondo i quali trae diversi nomi. […] È un’altra maniera d’indovinare che si fa sanza
spressa invocazione del diavolo: e questa è in due modi. L’uno si è quand’altri vuole sapere le
cose che sono a venire, per la disposizione di certe altre cose: come per la considerazione del
sito e del movimento delle stelle […] o per lo starnutire degli uomini […] . 19
Ma è nell’Esposizione del simbolo degli apostoli del pisano Domenico Cavalca (1270?-1342)
che si trova la conferma che il Buti aveva senz’altro in mente lo starnuto quando ha coniato il
vocabolo sternulegio. Nel capitolo XX Dello errore, e della mala Fede, che ha l’uomo alli
incantatori e indivini, il frate domenicano redige una tassonomia sulle tipologie di
indovinamenti tale e quale a quella che si legge nel passo del Buti. L’ottava tra le quattordici
specie descritte da Cavalca sta proprio «in osservare le starnutazioni»:
Quanto al primo, cioè delle indovinazioni, dico, che ne sono molte specie: e fassi questo
indovinare in molti modi, de’ quali pognamo ora qui pur quattordici, poniamo che sian molto
di più. Il primo si fa per fuoco: il secondo per acqua: il terzo in aere: il quarto si fa in terra, cioè
per certi segni considerati nelle dette cose, e nelli detti elementi. La quinta specie si fa per
Fitoni, cioè per uomini, o per femmine, ne’ quali il diavolo parla, e li quali a lui si sono dati.
La sesta si chiama negromanzia, per la quale certe incantazioni si fanno apparir gli morti. La
settima specie di questi maladetti indovinamenti si chiama augurio, e sta propriamente in
osservare il canto, ed il volato, e li movimenti di certi uccelli. L’ottava specie sta in osservare
le starnutazioni. La nona in osservare li sogni. La decima in gettar le sorti. La undecima in
vani miramenti, ed aprimenti di Salterio, o di Evangelj, o d’altre scritture. La duodecima sta in
considerare li punti, e li corsi delle stelle e delle pianete; e questi tali propriamente sono
chiamati mattematici e maghi. La terzadecima è di quelli, che fanno certi sacrificj agl’idoli, o
alle demonia, per aver risposta da loro. La quartadecima è di quelli, li quali osservano il dì e
l’ore in quel che hanno a fare. 20
La scoperta di questa piena corrispondenza tra la lista di pratiche divinatorie stilata dal Buti
ed il passo sopra citato del Cavalca si carica di valenze significative, non soltanto in relazione
all’eziologia e al significato del termine sternulegio, di cui si tratta in questo contributo.
Un’interessante prospettiva di studio potrebbe essere quella di stabilire anzitutto il tipo di
relazione esistita tra l’esegesi butiana e l’opera (le opere?) del suo concittadino; in secondo
luogo, verificare se, e in che misura, gli eventuali riscontri siano piuttosto da attribuire a una
fonte comune, e mi riferisco in particolare all’opera del frate domenicano Guglielmo Peraldo,
vissuto in Francia nel XIII secolo, 21 che gli studiosi identificano quale fonte principale dei
lavori del Cavalca. 22 Lo studio degli autori noti al Buti e dei suoi rapporti con le fonti al fine di
ricostruire la sua “biblioteca”, e dunque i suoi orizzonti culturali ed ideologici, permetterebbe
19
I. Passavanti, Lo specchio della vera penitenza, novamente collazionato sopra testi manoscritti ed a stampa da F.-L.
Polidori, Firenze, Felice Le Monnier, 1856, pp. 309-311. Il passo non è riportato nella moderna edizione dello Specchio,
per le cure di G. Varanini e G. Baldassari, in Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento, Roma, Salerno
Editrice, 1993, t. 2, pp. 531-626.
20
D. Cavalca, Esposizione del simbolo degli apostoli, compilata dal fr. Domenico Cavalca Dell’Ordine de’ Predicatori,
ridotto alla sua vera lezione da G.G. Bottari, Roma, Stamperia di M. Pagliarini, 1763, pp. 91-92.
21
Sulla vita e le opere del Peraldo si veda A. Dondaine, Guillame Peyraut: vie et œuvres, in Archivum fratrum
praedicatorum, XVIII, 1948, pp. 162-236.
22
Sul Peraldo come fonte delle opere di Cavalca, si vedano A. Zacchi, Di Fra Domenico Cavalca e delle sue opere,
Firenze, Tip. domenicana, 1920, passim; C. Naselli, Domenico Cavalca, Città di Castello, Il Solco, 1925, passim; S.
Bastianetto, s.v. Cavalca, Domenico, in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, con la
collaborazione di A. Balduino, M. Pastore Stocchi, M. Pecoraro, seconda edizione, Torino, Unione tipografico-editrice
torinese, 1986, vol. I, pp. 561-563; R. Lotti, Contributi su Domenico Cavalca (c. 1270-1342), Amsterdam, Kaal Boek,
1987, in part. cap. III, I trattati cavalchiani e la “Summa” del Peraldo, pp. 43-55. Sul De Fide in particolare come fonte
dell’Esposizione del simbolo degli apostoli si veda C. Delcorno, s.v. Cavalca, Domenico, in DBI.
4
una migliore comprensione dell’attività interpretativa di uno dei più importanti lettori
trecenteschi di Dante. 23
*
Desidero ringraziare Claudio Ciociola, Pär Larson e, soprattutto, Luca D’Onghia per aver letto diverse stesure di
questo lavoro e fornito validi suggerimenti. Ringrazio infine Andrea Dardi per gli utili consigli e per la disponibilità ad
accogliere questo contributo nella rivista da lui condiretta.
23
Nel panorama dei commenti danteschi, sia l’Ottimo che Guido da Pisa hanno senz’altro utilizzato come fonte l’opera
del Peraldo. Al proposito, si vedano G. De’ Medici, Le fonti dell’‘Ottimo commento’ alla ‘Divina Commedia’, in Italia
Medievale e Umanistica, XXVI, 1983, pp. 71-123, in part. pp. 88-92; L. Azzetta, Vizi e virtù nella Firenze del Trecento
(con un nuovo autografo del Lancia e una postilla sull’‘Ottimo’ commento), in Rivista di Studi Danteschi, VIII, fasc. 1,
2008, pp. 101-142, in part. pp. 136-142; G.B. Boccardo, L’’Ottimo’ commento alla ‘Commedia’. ‘Inferno’. Saggio di
edizione critica, Dottorato di ricerca in Filologia Moderna, XXI ciclo, Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Lettere
e Filosofia, a.a. 2007-2008, passim; A. M. Caglio, Materiali enciclopedici nelle «Expositiones» di Guido da Pisa, in
Italia Medioevale e Umanistica, 24, 1981, pp. 213-256, in part. pp. 228-236. Più di recente, è stato messo in luce anche
il rapporto tra la Summa vitiorum del Peraldo ed alcune chiose del notaio fiorentino Andrea Lancia, da Azzetta, Vizi e
virtù nella Firenze del Trecento, cit., pp. 116-136; Id., Andrea Lancia, in Censimento dei commenti danteschi, cit., t. I,
pp. 19-35, in part. pp. 24-25.
5