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Archeologia Barbarica 1 Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell'Arte Scuola di Specializzazione in Beni archeologici in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi I Incontro per l’Archeologia barbarica Milano, 2 maggio 2016 a cura di Caterina Giostra SAP Società Archeologica s.r.l. Mantova, aprile 2017 Collana: Archeologia Barbarica Responsabile scientifico: Caterina Giostra, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Membri del Comitato scientifico: Ermanno A. Arslan, Accademia Nazionale dei Lincei - Roma; Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo - Spoleto Angela Borzacconi, Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli Gian Pietro Brogiolo, già Università degli Studi di Padova Vincenzo Gheroldi, Storico dell’Arte Silvia Lusuardi Siena, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Egle Micheletto, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo Elisa Possenti, Università degli Studi di Trento Dieter Quast, Römisch-Germanisches Zentralmuseum - Mainz Marco Sannazaro, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, Brescia Tivadar Vida, Eőtvős Loránd University - Budapest Luca Villa, Archeologo Daniel Winger (nato Peters), Universität Rostock La collana viene sottoposta a peer review. La pubblicazione del presente volume è stata resa possibile grazie al contributo finanziario dell’Università Cattolica sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in essa espressa (linea D.3.1, 2017). Ci si è avvalsi anche del sostegno finanziario offerto dal Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli. Composizione e impaginazione: Francesca Benetti, SAP Società Archeologica s.r.l. 2017, © SAP Società Archeologica s.r.l. Strada Fienili 39a - 46020 Quingentole (Mn) Tel. 0386 42591 www.archeologica.it ISSN 2532-3202 ISBN 978-88-99547-12-7 Sommario 7 Presentazioni Silvia Lusuardi Siena Angela Borzacconi, Luca Caburlotto 11 Introduzione. Incontri per l’archeologia barbarica Caterina Giostra Necropoli e abitati rurali 15 Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia Caterina Giostra 43 Recenti scoperte e ricerca interdisciplinare in Ungheria: la necropoli longobarda di Szólád Tivadar Vida 59 La deposizione del cavallo nei cimiteri longobardi: dati e prime osservazioni Annamaria Fedele 83 La struttura sociale nelle necropoli longobarde italiane: una lettura archeologica Caterina Giostra 113 L’insediamento di Curtatone, loc. Buscoldo: strutture e organizzazione di un abitato di V-VII secolo nel territorio mantovano Chiara Marastoni Castra, città, luoghi di culto 145 Il Castrum Artenia nel quadro del popolamento altomedievale del ducato di Forum Iulii Luca Villa 163 Il castello di Lomello. Aggiornamenti Gian Pietro Brogiolo 177 Pavia capitale del Regno dei Longobardi: un’iniziativa di studio e valorizzazione Andrea Arrighetti, Alessio Cardaci, Dario Gallina, Rosanina Invernizzi, Francesco Lo Monaco, Riccardo Rao Appendice. Santa Maria ad Perticas Simone Caldano, Francesco Lo Conte, Laura Cajo, Luca Somaini, Mauro Vassena, Chiara Carloni, Maria Chiara Sucurro, Saverio Lomartire, Serena Scansetti, Alessandro Bona 207 Tecniche di pittura murale tra VIII e IX secolo: metodi di indagine e nuove acquisizioni Vincenzo Gheroldi, Sara Marazzani Materiali 223 Le fibule a staffa di Cividale del Friuli: dati e riflessioni Michela Bertolini Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia Caterina Giostra* I ritrovamenti di natura funeraria meglio attribuibili alla presenza longobarda in Italia costituiscono un ambito che resta a tutt’oggi una fonte materiale privilegiata per lo studio di questi gruppi e del loro stadio culturale, soprattutto durante le prime generazioni di stanziamento nella penisola1; questo, nonostante l’attribuzione etnico-culturale di manufatti e rituali sia da tempo oggetto di un acceso dibattito internazionale. I contesti si presentano articolati nella tipologia: dalle grandi necropoli in area aperta, ai piccoli nuclei nobiliari e alle tombe isolate, anche all’interno degli insediamenti, alle sepolture in chiesa. Soprattutto, disponiamo di un’archeologia barbarica che negli ultimi vent’anni anche in Italia ha compiuto un decisivo salto di qualità, scavando varie necropoli in maniera estensiva e con pratiche più rigorose sotto il profilo del metodo, tanto da offrire ormai un ampio e rinnovato quadro di dati (figg. 1-2)2. Inoltre, le sepolture cominciano ad essere affiancate dal rinvenimento di porzioni dei relativi abitati, sia in ambito urbano che rurale: disponiamo quindi – sep- pure in termini ancora parziali – di altri preziosi dati per comprendere le strutture sociali, oltre che l’organizzazione territoriale del regnum. Sempre di più, i resti vengono studiati con interdisciplinarietà dei metodi, anche archeometrici, per verificare e sostanziare il dato storico-archeologico (peraltro diffusamente ritenuto di controversa lettura, se non di dubbia validità interpretativa) e per una più approfondita e ‘oggettiva’ conoscenza della fisionomia sociale e culturale longobarda. Questo, pur nella complessità di continue commistioni e recezioni di differenti apporti commerciali e culturali, che diverranno manifeste nelle espressioni artistiche e architettoniche più tarde, come i ben noti monumenti ecclesiastici dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità nel sito seriale dell’Italia Langobardorum3. Il contributo si propone di presentare alcuni dati e spunti di riflessione, tra i molti ormai possibili, con l’obiettivo di tratteggiare un quadro delle attuali molteplici risorse della ricerca in questo ambito e di esemplificarne la qualità e le potenzialità dell’informazione disponibile, pur non esente da problematicità interpretative. * Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano; caterina.giostra@ unicatt.it. tuttavia, se ne prevede a breve l’edizione completa. Per i contesti più contenuti invece si dispone già di varie pubblicazioni monografiche (per tutte si veda infra). 1 Il presente contributo riprende spunti esposti nell’intervento intro- duttivo tenuto dalla scrivente in occasione della Giornata di Studi Al tempo dei Longobardi in Piemonte: nuove scoperte archeologiche, organizzato ad Asti nel 2013 dalla allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte; richiama dunque, in primo luogo, i siti piemontesi di più recente rinvenimento, pur inseriti nel panorama nazionale. 2 Soprattutto in merito ai siti più estesi, che richiedono tempi più lun- ghi per le attività di restauro, documentazione e studio, in genere sono state prodotte al momento pubblicazioni preliminari o parziali; 3 Sono gli edifici di culto cristiani di Cividale - Santa Maria in Valle, Brescia - San Salvatore, Castelseprio - Santa Maria foris Portas e il monastero di Torba, Spoleto - San Salvatore e il vicino il tempietto a Campello sul Clitunno, Benevento - Santa Sofia e il santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Oltre a queste chiese, vanno ricordate almeno la chiesa palatina di San Pietro a Corte a Salerno, pur conservata meno integralmente, e la chiesa di San Felice e le cripte pavesi (per i rimandi bibliografici sui siti urbani si rinvia per brevità a: GIOSTRA 2014a). 16 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi Pochi temi nella storia medievale europea sono passati attraverso il vaglio (o ‘travaglio’) critico a cui è stato sottoposto da tempo lo studio delle culture barbariche e delle Grandi Migrazioni, fino alla formazione dei regni romano-barbarici. Hanno visto una serrata revisione: la natura stessa e l’origine e formazione (etnogenesi) di questi popoli, che si preferisce chiamare gentes; le modalità degli spostamenti e la loro portata; i tratti culturali più propri e il senso di appartenenza a un insieme di tradizioni; il concetto stesso di etnicità. Tale processo ha raggiunto esiti talvolta radicali nella direzione del negazionismo; ciò ha portato a dubitare che la cultura materiale e le pratiche rituali che l’archeologia restituisce possano essere espressione di identità etnico-culturale, utili all’identificazione e quindi alla conoscenza di tali gruppi. In questa sede è parso dunque un passaggio obbligato riprendere in sintesi i termini del dibattito e le posizioni che ne sono scaturite, prima di considerare le potenzialità dei recenti rinvenimenti, che ritengo invece particolarmente significativi e promettenti per un avanzamento delle nostre conoscenze sulla presenza barbarica nel nostro paese, se adeguatamente valorizzati. Fin dagli studi di Reinhard Wenskus degli anni Sessanta del Novecento è stato rimarcato come, durante i loro spostamenti, i gruppi migranti fossero soggetti a fenomeni di disgregazione, perdendo nuclei che rimanevano nelle vecchie sedi, e di aggregazione, annettendo frazioni di altri popoli già presenti nei territori di nuovo stanziamento, soprattutto guerrieri di provenienza eterogenea attratti dai successi militari e dal conseguente arricchimento4. Il fenomeno è raccontato a più riprese anche dalle fonti scritte5. Ne dovette deri- vare un carattere composito del gruppo sotto il profilo biologico e socio-culturale: quest’ultimo forse in minor misura, almeno quando le componenti avevano analogo stadio tribale, erano comunità di lingua germanica, con culto di divinità pagane e affinità dei costumi. Le gentes dovettero comunque modificarsi a più riprese, mantenendo una fisionomia aperta e fluida; inoltre, sicuramente recepivano influenze culturali e commerciali di più ampio raggio, provenienti da tradizioni nomadiche e mediterranee. La loro coesione sarebbe derivata soprattutto dal credere in un’ascendenza comune: l’identità dovette essere veicolata da un nucleo di storie e tradizioni (in primo luogo i miti delle origini), nelle quali la comunità si riconosceva. A lungo tramandate oralmente attraverso i carmina antiqua, furono poi fissate con la scrittura, per i Longobardi in primo luogo nell’Origo gentis Langobardorum (VII secolo)6. Soprattutto i lignaggi familiari – verosimilmente attraverso gli ‘uomini della memoria’ o ‘nuclei di tradizione’ – dovettero trasmettere la ricostruzione storico-mitica della stirpe, ritenendosi i depositari di un passato che avvalorava il predominio sociale sugli altri gruppi aggregati o sottomessi; essi dovettero perpetuare a lungo anche altri aspetti della ‘cultura tradizionale’, cioè di quel complesso intreccio che legava istituzioni politiche e militari, struttura sociale tribale, norme di convivenza, lingua e religiosità pagana7. Partendo dall’ammonimento – senz’altro opportuno – circa una fisionomia aperta, fluida e composita dei popoli barbarici, nonché sulla complessità delle interazioni culturali e sulla mutevolezza dei comportamenti umani sul lungo periodo, alcuni orientamenti storiografici (in Europa e ancor più in ambito nord-americano) sono arrivati a negare l’esistenza di una coscienza identitaria collettiva delle gentes e di una loro coesione etnico-culturale, in favore di una rapida acculturazione e integrazione nel mondo romano. Anzi, l’aggrega- 4 WENSKUS 1961; WOLFRAM 1990; POHL 2000; JARNUT 2002. 7 In GASPARRI 1992 si ritiene che, nella cultura arcaica dei Longobardi, 5 Fra gli altri, Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 26) narra che, dopo la gli antiqui homines (citati nell’editto di Rotari per il recupero della memoria collettiva) avessero la funzione di ‘uomini della memoria’, custodi non solo della tradizione giuridica della comunità tribale, ma anche di quella mitologica e storica e possedessero la capacità comunicativa della recitazione. Sulla persistenza della cultura tradizionale longobarda in Italia: GASPARRI 1983; sulla rintracciabilità di vari aspetti della cultura tradizionale (lingua, credenze e altro) presso le élites longobarde ancora nell’VIII secolo: DELOGU 2015. Più in generale sul concetto di cultura in senso antropologico ed etnografico quale ”insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il costume acquisite dall’uomo come membro di una società”, pur in una più ampia dimensione dinamica, comunicativa e negoziale: FABIETTI 1998, pp. 51-55. Una chiara sintesi di aspetti legati a etnogenesi, migrazioni, integrazioni e nuove identità culturali e politiche nei regni romano-germanici è in: ROTILI 2010; ROTILI 2012. 1. Un lungo dibattito teorico 1.a. Sul fronte degli storici decisiva vittoria sui Gepidi in Pannonia, i Longobardi mossero verso l’Italia seguiti da gruppi pur minoritari di Gepidi, Unni, Sarmati, Svevi, Sassoni e alcuni Romani provinciali. Tuttavia, nel 573 i Sassoni lasciarono l’Italia: secondo Paolo Diacono la causa fu che i Longobardi non permisero ai Sassoni di mantenere le loro leggi, evidentemente ritenute garanzia dell’identità tribale. Ciò ha fatto ritenere che, mentre l’assimilazione di singoli individui poteva essere accettata, doveva essere più difficoltosa l’assimilazione forzata di un popolo, soprattutto quando non sottomesso (MODZELEWSKI 2008, p. 72). 6 Scriveva già Tacito (Germania, cap. 2): “I Germani celebrano in canti di antichissima origine, che presso di loro sono l’unico genere di registrazione della tradizione e della storia”, quindi il veicolo per la trasmissione di generazione in generazione della memoria collettiva. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 17 zione e la denominazione di questi gruppi sarebbero dipese proprio dai contatti con l’impero alla fine del IV secolo: questi avrebbero comportato – per quelle che erano caotiche bande di guerrieri – l’esigenza di meglio organizzarsi militarmente e di compattarsi socialmente sotto la guida di capi carismatici. La coesione di una determinata etnia sarebbe dunque contingente e consisterebbe in un esercito solidale a un capo; gli scontri sarebbero determinati da interessi ed equilibri politici prodottisi di volta in volta e non da alterità e contrapposizioni più pronunciate8. La storiografia latina avrebbe definito le identità dei popoli, formulandone una rappresentazione come entità coerenti secondo una propria tendenza a categorizzare il magmatico e indistinto Barbaricum9; la storiografia nazionale poi (Paolo Diacono per i Longobardi) avrebbe contribuito in modo determinante a costruire tradizioni a posteriori, in un momento in cui si andava perdendo la rilevanza politica e sociale del gruppo stesso10. Inoltre, gli antichi contatti tra Barbari e Romani e gli scambi commerciali lungo il limes sono stati rimarcati a tal punto che si è delineata una ricostruzione storica della tarda antichità e dell’alto medioevo (fine dell’impero romano e regni barbarici) improntata al continuismo e caratterizzata da trasformazioni assai lente e graduali e di matrice solo economica11. Anche il fenomeno storico delle migrazioni ha visto un drastico ridimensionamento nell’entità e nelle distanze: non sarebbe mai stato di massa, bensì a ondate differenti; inoltre, viene spesso accomunato ad altre forme di mobilità individuale o in piccoli gruppi e temporanea, come pellegrinaggi, ambascerie o spostamenti per lavori stagionali con sistematico ritorno alla terra d’origine, attività in realtà di tutt’altra natura e certo non specifiche dell’ ‘età delle migrazioni’12. Quando non negate, esse vengono relativizzate – in termini a dir poco generalizzanti – in un flusso continuo, dal momento che le migrazioni non si sono mai interrotte nella storia, non solo europea ma anche mondiale. Persino le correlazioni – e le reciproche conferme – fra le citazioni dei nomi di popoli nelle fonti scritte e le differenti culture materiali riconosciute dagli archeologi, che sembrano percorrere in parallelo i tracciati delle grandi migrazioni e che permettono di identificare (e conoscere) i vari gruppi, vengono ritenute dei pericolosi circoli viziosi che creano realtà inesistenti. Tuttavia, il confronto fra testi scritti e contesti archeologici (corroborati da altre serie documentarie e tipologie di analisi, ad attenuarne lacune e ambiguità) non costituisce – sotto il profilo del metodo – una integrazione di fonti di differente natura, che concorrono utilmente alla ricostruzione storica? In merito a una formazione contingente e ‘fittizia’ dei popoli germanici alla fine del IV secolo e in particolare circa i Longobardi, vi è da ricordare che essi vengono nominati già da autori antichi come Tacito, a dimostrazione della loro precedente esistenza, per poi riemergere nei testi di VI secolo con lo stesso nome, pur dopo scontri e incontri con altri gruppi. La circostanza sembra indicare che l’identità dei Longobardi si sia protratta a prescindere dalla visione che ne ebbero gli osservatori romani e che neppure si può sminuire del tutto la continuità delle tradizioni. In generale, non pare convincente ridurre a meri fattori contingenti o di calcolo politico gli scontri fra Romani e Barbari o anche fra 8 AMORY1997; GEARY 2002; GOFFART 2006; HALSALL 2007. W ICKHAM 1993; M ODZELEWSKI 2008; di recente, anche in chiave archeologica: BROGIOLO 2011). 9 Da qui la nota espressione di Patrick Geary secondo cui i Germani sarebbero “la più grande e duratura creazione del genio politico e militare di Roma”. 10 GOFFART1988, che ritiene i testi storiografici altomedievali delle fin- zioni letterarie. I giudizi ipercritici tendono in genere a screditare le testimonianze sui Barbari in quanto contaminate da stereotipi indotti dalla civiltà mediterranea; tuttavia, la comparazione fra fonti distanti per cronologia o ambito geografico evidenzia la frequente convergenza dei contenuti, provandone la credibilità (MODZELEWSKI 2008). 11 Indicativamente: Kingdoms of the Empire 1997, nell’ambito del progetto The Transformation of the Roman World 1997, che significativamente comprende il periodo dal 400 al 900. Di contro, a cogliere e interpretare i segni del forte cambiamento: WARD-PERKINS 2005, accolto “con senso di liberazione” da chi ormai avverte tutto il peso di correnti storiografiche estremiste e dai toni spesso perentori e totalizzanti (VALENTI 2009, p. 29). Inoltre, la teoria circa la persistenza del sistema fiscale romano su tutta l’area dell’impero d’Occidente fino all’età carolingia e la continuità istituzionale, per cui i regni barbarici (anche quello dei Longobardi) sarebbero stati il principale elemento dell’ordine pubblico romano che rimase in vita senza grandi cambiamenti, ha suscitato da tempo severe critiche (BARNISH 1986; 12 Anche la notizia dello spostamento dei Longobardi dalla Pannonia all’Italia, riferito da Paolo Diacono come un evento che avrebbe interessato tutto il popolo e comportato l’abbandono dei precedenti insediamenti, è oggi soggetta a un tentativo di discredito mediante la ricerca di elementi datanti (tipologie dei reperti e analisi al radiocarbonio dei resti ossei, che peraltro offrono ampi ranges cronologici) che possano comprovare la permanenza in Pannonia di qualche individuo longobardo e la continuità almeno parziale delle necropoli dopo il 568. A tal proposito, pur non escludendo una maggiore e ben comprensibile complessità dell’evento migratorio rispetto a quanto riferito dalla fonte, si segnala che una recente ricerca sulla necropoli longobarda di Szólád, nei pressi del lago Balaton, che ha correlato analisi archeologiche, antropologiche, paleogenetiche e isotopiche, ha riscontrato che tutto il campione analizzato apparteneva a individui nati altrove, dunque verosimilmente una comunità integralmente migrata; la stessa sarebbe rimasta sul posto non più di venti anni e poi si sarebbe spostata interamente, avvalorando l’ipotesi di una nuova migrazione (ALT ET AL. 2014). Cfr. infra e contributo di Tivadar Vida in questa sede. 18 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi gruppi germanici diversi: essi dovettero essere causati anche “dal riconoscersi reciprocamente diversi (e quindi molto spesso ostili) e ciò in base all’esistenza di un’autocoscienza collettiva e condivisa, che non poteva derivare esclusivamente da elaborazioni costruite dalle élites”13. Le gesta dei Longobardi riportate da Paolo Diacono, peraltro, dovevano essere già consolidate e condivise almeno ai tempi di Teodolinda, se la regina volle che fossero riprodotte nei dipinti del suo palazzo a Monza, insieme all’aspetto, al modo di vestire e di sistemare la capigliatura del suo popolo, ergendosi a custode delle memorie nazionali, pur nel cambiamento dettato dalla conversione religiosa (Hist. Lang., IV, 22). Soprattutto, è stata contestata l’idea della fine dell’impero romano in Occidente come una “lunga trasformazione”, minimizzando sia gli shock culturali che le pesanti ricadute sugli standard dell’economia e delle attività artigianali e artistiche, della demografia e dell’organizzazione sociale e insediativa rilevate chiaramente dall’indagine archeologica14. Nella costruzione del regno in Italia i Longobardi non poterono contare su entrate fiscali; basarono l’organizzazione delle forze armate sulla mobilitazione generale di tutti gli uomini liberi, sui valori tradizionali che assicuravano la coesione del gruppo dominante (e il predominio sociale) e su un popolo-esercito che teneva unita la comunità al suo re e ai suoi comandanti. In ambito legislativo si registra una lunga vita delle categorie concettuali e delle norme che identificavano il popolo con l’esercito e l’uomo libero con il guerriero, con un riferimento militare nella classificazione sociale. La tradizione giuridica offriva il fondamento ideologico e politico della monarchia: le codificazioni regie delle leggi rimasero legate all’archetipo tribale, seppure influenzate dalla Chiesa e dai modelli classici15. Su tutti questi aspetti (istituzionali, economici, giuridici e altro) non mancano – e paiono le pagine più convin- 13 MARAZZI 2014, p. 65, dove si legge: “in tal senso, si è sottolineato il fatto che di molte gentes barbariche (inclusi i Longobardi) la storiografia romana ha tracciato l’esistenza per tempi e spazi troppo estesi perché si possa accettare senza riserve il modello di una continua decostruzione e ricostruzione dell’identità dei singoli popoli. Sono stati mossi rilievi a una ricostruzione dell’impatto dei popoli entrati nell’impero troppo sbilanciata su concetti di ‘mediazione’ e ‘accoglienza’, sottovalutando i traumi e le cesure nelle condizioni di vita degli ‘invasori’ e degli ‘invasi’ (fine della citazione). 14 MARAZZI 2014, con riferimenti precedenti. 15 Sulla radicale differenza fra i sistemi normativi longobardo e visigoto, nonché sulla sostanziale discontinuità fra società tardoantica in Italia e cultura giuridica e organizzazione sociale nel regno longobardo: DELOGU 2001. 16 Tra gli altri: HEATHER 2005; MODZELEWSKI 2008. 17 Si pensi alla penisola italiana, dal profilo biologico e culturale piut- centi e affascinanti – orientamenti storiografici che analizzano gli spostamenti migratori in tutta la loro portata e che vedono l’Europa tardoantica e altomedievale innanzitutto come luogo di differenze, prima che di identità comuni, e di complicati processi di influenza reciproca, che sono all’origine della varietà culturale dell’Europa attuale16. 1.b. Sul fronte degli archeologi Le obiezioni sul piano storico precedentemente illustrate hanno portato, come conseguenza induttiva pressante (e forse anche ‘invadente’), a escludere che le evidenze archeologiche – in particolare gli oggetti di corredo e i rituali funerari – possano essere il prodotto di specificità culturali, utilizzabili oggi quali indicatori etnici almeno negli ambiti territoriali a maggiore discontinuità culturale17. Tale posizione ha ancorato il suo fondamento teorico nella corrente post-processualista; ma ripercorriamo con ordine i passaggi essenziali. Il cosiddetto paradigma storico-culturale era il metodo di studio e di interpretazione dei manufatti che in passato operava strette connessioni fra le diverse culture archeologiche e i vari popoli, poi identificati con l’aiuto delle fonti scritte. Rispetto a questa corrente, già il processualismo aveva utilmente affiancato alla dimensione etnico-culturale quella sociale, economica e ambientale, quale possibile fattore di trasformazione della cultura materiale e di definizione del rituale funerario; inoltre invitava ad articolare maggiormente il sistema simbolico come riflesso anche della complessità sociale della comunità, includendo variabili dettate da sesso, età, rango, clan familiare, credo religioso, professione e altro18. Negli ultimi decenni il post-processualismo, mutuando le categorie di analisi dall’antropologia culturale e dalla sociologia, ha privilegiato ed enfatizzato il ruolo ideolo- tosto composito già in età tardo imperiale, ma che con l’arrivo dei Goti prima e dei Longobardi poi è indubbiamente interessata da fenomeni nuovi e di portata rilevante sul piano socio-politico, economico e culturale. In concomitanza con queste nuove presenze, l’archeologia registra chiari, improvvisi e coerenti segni di novità nei materiali, nelle forme insediative e nei riti della morte rispetto ai coevi contesti circostanti (DELOGU 2007; BROGIOLO - CHAVARRÍA ARNAU 2008, pp. 273-275; GIOSTRA 2011c). Tutto questo, senza che l’attitudine ‘classificatoria’ – utile nel percorso di conoscenza di strutture umane e di dinamiche dialettiche così complesse – arrivi a produrre segmenti isolati; tanto meno sono concepibili nelle dinamiche storiche concetti quali fissità, primordialità e definitività. 18 BINFORD 1971; CHAPMAN - RANDSBORG 1981; BINFORD 1983. È già presente l’apporto dell’antropologia culturale e dell’etnoarcheologia, pur da usare con cautela per evitare meccanici parallelismi impropri e fuorvianti (soprattutto in ambito culturale e simbolico). Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 19 gico e metaforico della cultura materiale, usata consapevolmente al fine di strutturare i rapporti umani; ha sottolineato che essa può assumere un diverso significato e simboleggiare diverse identità a seconda del contesto socio-politico. La cultura materiale non sarebbe dunque un riflesso diretto dell’identità socioculturale e ideologica del defunto, un indicatore passivo di sesso, età, etnicità, rango, cultura e religione, ma il prodotto di mediazioni sociali condotte localmente, un’entità attiva utile alla costruzione e negoziazione del predominio, manipolabile a seconda delle strategie di distinzione, in un significato fortemente contestuale19. Ne scaturirebbe con forza la funzione ‘performativa’ dei simboli: il funerale sarebbe fondamentalmente il momento della costruzione della memoria, per rafforzare, affermare o creare relazioni e ruoli sociali. Sarebbe una sorta di rappresentazione teatrale, nella quale interagiscono: il soggetto, che è il defunto; gli attori, ovvero i familiari che si fanno carico del funerale; il pubblico, cioè la comunità che assiste alla cerimonia e recepisce i messaggi codificati. La selezione di oggetti e pratiche comunicherebbe quelle identità del defunto (e del gruppo parentale) che si sceglie di enfatizzare o anche inventare, aggiungendo attributi concepiti ex-novo; essa trasmetterebbe una realtà filtrata, o anche alterata o costruita20. Le dinamiche sociali e politiche alla base di tali comportamenti sarebbero da leggere in relazione al contesto storico. Eppure la comunità che assiste alla cerimonia conosceva il defunto e la sua vicenda umana, con ruoli e poteri forse difficili da accettare se non reali. Nell’ambito di tale orientamento teorico, dunque, si enfatizza la competizione sociale, utile alla trasmissione del predominio, in un contesto effettivamente improntato al dinamismo sociale e alle incertezze: la negoziazione costituirebbe la chiave di lettura sulla quale spostare l’attenzione nel- l’interpretazione dei corredi e dei rituali funerari. Anche l’archeologia ‘di genere’, che pure ha introdotto interessanti stimoli, connette la selezione degli oggetti di corredo unicamente alla rappresentazione dei ruoli femminili e maschili con riferimento all’età21. Rispetto al primato attribuito all’ideologia nell’elaborazione dei rituali funerari, vengono invece tralasciati gli aspetti di natura religiosa e culturale, oltre che artistica, economica e tecnologica22. La stessa identità etnica dovette essere impiegata come strategia di auto-definizione e di identificazione, nonché di distinzione al fine del predominio sociale; criticata e negata come entità naturale innata – ma anche come facies culturale organica, seppure dinamica e complessa –, sarebbe una costruzione contingente e fluida, solo in rapporto a una alterità alla quale ci si contrappone23. Le espressioni cultuali e rituali non sarebbero frutto di tradizioni radicate, bensì di scelte individuali e di consuetudini locali dettate da fattori storico-economici e ambientali contingenti; il linguaggio figurativo e formale sarebbe invece diffuso indistintamente ad ampio raggio. Tuttavia l’antropologia culturale, che ammette e discute concetti quali le distinzioni etniche e le differenze culturali, l’organizzazione tribale e il mito come racconto delle origini e fondamento della memoria collettiva, chiama “contenuto culturale delle distinzioni etniche” i “segni espliciti” e gli “orientamenti valoriali” posseduti ed esibiti dai membri di un determinato gruppo, utili a segnalare appartenenza ed esclusione e quindi a designare l’identità in maniera costruttiva: i segni espliciti sono per esempio il modo di vestire, la lingua, il tipo di abitazione; gli orientamenti di valore sono i criteri che guidano il comportamento, i metri di giudizio, ecc…; la memoria culturale invece è un’attribuzione di senso che si realizza mediante l’esplicito riferimento a simboli, riti e miti24. 19 HODDER 1986; TILLEY (a cura di) 1990; MORELAND 1991; THOMAS etnica non è il frutto della pura immaginazione. Essa ha una sua ontologia, una consistenza molto concreta per coloro che vi si riconoscono” (p. 22); “il sentimento di appartenenza comune a una tradizione nasce da una serie di pratiche e di codici condivisi, pur sottoposti a continua riformulazione” (p. 64). “I confini fra i gruppi persistono nonostante vi sia un passaggio di individui da un gruppo a un altro, di modo che le distinzioni etniche non sono una conseguenza dell’assenza di contatti. Le distinzioni etniche non dipendono dall’isolamento; il contatto interetnico non si risolve necessariamente nell’assimilazione di un’etnia da parte di un’altra; le differenze possono persistere nonostante l’interazione” (p. 96); “le etnie non si costituiscono dall’oggi al domani, ma sono il risultato di stratificazioni temporali lunghe; d’altra parte, tutte le comunità, per essere tali, devono elaborare una struttura connettiva che leghi gli individui mettendoli in grado di pensarsi nella forma di un ‘noi’ ” (p. 146). Si veda anche: BARTH 1969. 1998; Reader in Archaeological Theory 1998; HODDER 2012; NIZZO 2015. 20 PEARSON 1998; BRATHER 2007. 21 In Italia, una sintesi in: LA ROCCA 2007. Inoltre, indicativamente: LUCY 1997; GILCHRIST 1999; Gendering the Middle Age 2001; Gender in the Early Medieval World 2004; DÍAZ-ANDREU 2005; BARBIERA 2008. Tuttavia, marginale nella discussione sull’etnicità è parso il genere introdotto per spiegare la funzione delle sepolture abbigliate (DELOGU 2007, p. 404). 22 Su questi ultimi: LA SALVIA 2009; BROGIOLO 2011, p. 105. 23 Per l’antropologia culturale, l’identità etnica e l’etnicità, cioè il sen- timento di appartenere a un gruppo etnico, sono definizioni del sé e/o dell’altro collettivi che hanno quasi sempre le proprie radici in rapporti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi specifici, “costruzioni culturali simboliche, il prodotto di circostanze storiche, sociali e politiche” (FABIETTI 1998, pp. 14 e 21). Tuttavia “l’identità 24 FABIETTI 1998, pp. 95-100 e 146. 20 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi In termini archeologici, i complementi dell’abbigliamento, riti come il sacrificio del cavallo, specifiche tipologie di capanne, particolari manufatti e stili decorativi si presterebbero – attraverso una lettura pur cauta e consapevole – a far rivivere il bagaglio culturale più originale del Barbaricum25. Tuttavia, l’interpretazione in chiave etnica della cultura materiale ha rimandato gli studiosi dell’orientamento ‘negazionista’ al cosiddetto paradigma storico-culturale e soprattutto all’uso che ne fece l’ideologia nazionalista della fine dell’Ottocento e della prima metà del Novecento: la strumentalizzazione in chiave politica della storia per legittimare regimi autoritari, l’autoidentificazione con i popoli antichi e la proiezione nel passato di conflitti dell’età contemporanea26. Tale insistente richiamo ha attribuito una connotazione fortemente negativa all’interesse per le specificità etnico-culturali del Barbaricum rispetto al mondo mediterraneo; la sua estremizzazione ha prodotto il costante sforzo di negare qualunque tentativo di attribuzione etnica, costringendo anche i riti più estranei alle pratiche mediterranee in un quadro evoluzionistico locale27; la convinzione di compiere studi innovativi destinati a riscrivere la storia dell’Occidente romano-barbarico (e quindi dell’Europa) ha in realtà fatto tabula rasa di decenni di rigorosi studi filologici28. Se ripercorrere la storia degli studi e le relative ‘devianze’ dettate dai condizionamenti ideologici è fare utilmente storia della storiografia, anche oggi lo studioso può non essere esente dalle criticità del suo tempo. In questo senso, credo che il tema (l’identità etnico-culturale) venga studiato da una contemporaneità divisa fra il bisogno di identità a vari livelli (nazio- nale, regionale, religiosa, linguistica, culturale, di sesso e altro) e la paura dell’alterità e del conflitto interculturale. È stato notato infatti come l’affermazione dell’irrilevanza etnica delle sepolture con corredo e il tentativo di sfumare fino a negare la contrapposizione dei gruppi durante le migrazioni barbariche sembri dettato da precise preoccupazioni ideologiche, che fanno emergere tutta l’attualità del tema: l’esorcizzazione del conflitto interculturale contemporaneo, che ha portato a relativizzare il peso dell’etnicità anche in passato, e la paura di una nuova strumentalizzazione in chiave razzista di questi temi storici29. Il risultato è che appare ignorata la portata dei nuovi dati archeologici. Pur mettendo in conto fenomeni di imitazione da parte delle comunità locali, ovvero la più estesa assunzione dei segni di distinzione propri del gruppo dominante, oltre all’interazione interculturale, pare utile cercare di definire in primo luogo il ‘modello’, soprattutto in riferimento alle prime generazioni di stanziamento in Italia e ai contesti caratterizzati dalla compresenza di più indicatori ‘forti’, anche di differente natura, partendo dalla più approfondita analisi del dato materiale (e non dai concetti nei quali incastrarlo), anche a rischio di qualche schematismo30. Vi è infatti la convinzione delle ampie nuove potenzialità per una migliore comprensione della presenza longobarda in Italia date da un’archeologia barbarica sempre più estesa e attenta sotto il profilo multidisciplinare, ormai ben più articolata nelle prospettive teoriche e nei metodi di analisi rispetto al cosiddetto paradigma storico-culturale e che non trascura la dimensione simbolica e sociale, pur integrandola con altre. 25 Alcuni spunti in GIOSTRA c.s. data una spiegazione improbabile e forzata, quando non contraddittoria: se ne discuteranno chiari esempi in altra sede. 26 Per una sintesi delle critiche mosse all’approccio “etnico-cultu- rale” (che in Italia deriverebbe direttamente e univocamente dalle pratiche e dalle ideologie ottocentesche) nell’ambito degli orientamenti teorici sviluppatisi nell’archeologia funeraria in Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania si veda, tra i molti contributi, BRATHER 2000, LA ROCCA 2004 e GASPARRI 2005, con bibliografia europea di riferimento. A titolo esemplificativo, nel ripercorre il tema dell’identità delle popolazioni barbariche negando che sia esistito un sentimento di identità collettiva, Patrick J. Geary dichiara di voler “bonificare quella discarica intrisa dei miasmi del nazionalismo etnico che la storia dei “popoli” nel Medioevo è stata e continua a essere per intellettuali e politici ideologicamente spregiudicati, almeno a partire dagli inizi dell’Ottocento” (GEARY 2009). Mi auguro che lo studioso contemporaneo – ormai estraneo alle ragioni del Risorgimento italiano o del Nazismo tedesco – torni a studiare (con strumenti metodologici e concettuali sempre più affinati) anche l’identità culturale (insieme a quella individuale, familiare, sociale, religiosa, professionale e altro, che pure possono essere espresse durante il funerale) partendo dalla cultura materiale, che è alla base dell’epistemologia archeologica. 27 Si registra l’ostinata ricerca dell’eccezione, estrapolata dal suo contesto e slegata dal fenomeno generale, alla quale viene spesso 28 VALENTI 2009. 29 DELOGU 2007, pp. 401-402. Tra gli altri, anche Wolf Liebeschuetz (2011) e, in modo più radicale, Bryan Ward Perkins (2005) ritengono che, nell’attuale fase storica connotata dallo spostamento di nutriti gruppi umani dal terzo mondo, molti studi che ricostruiscono un periodo anch’esso di marcata sovrapposizione di etnie e culture, abbiano ritenuto politicamente più corretto e più sicuro rispetto a possibili strumentazioni sminuire identità non solo etniche ma anche culturali, rimarcando l’integrazione a scapito della diversità e della destrutturazione. 30 In BROGIOLO 2011, p. 94, si legge: “Per dare un’esauriente interpretazione delle evidenze della prima età longobarda (tipi diversi di sepolture, di corredi e di abitazioni) serviranno altri dati, ricerche mirate, ma soprattutto maggior indipendenza dalle posizioni decostruzioniste della storiografia degli ultimi vent’anni, che ha portato alcuni storici a negare qualsiasi distinzione, non solo etnica ma anche giuridica e culturale, dei Longobardi rispetto alla popolazione romana”. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 21 Fig. 1. Carta di distribuzione delle grandi necropoli in campo aperto: in grigio i vecchi ritrovamenti; in rosso le scoperte degli ultimi vent’anni; in maiuscolo le sedi di ducato. 2. Le recenti scoperte I contesti archeologici riportati alla luce negli ultimi vent’anni in Italia restituiscono un quadro decisamente articolato e significativo circa la presenza longobarda, che offre una rinnovata base di dati utili nella prospettiva della comprensione delle logiche insediative e di interazione interculturale del Regnum. Credo che si possa riflettere più concretamente, per esempio, sulla distribuzione degli abitati e sull’entità delle comunità, sulla struttura sociale di questi gruppi, sul loro stadio culturale e sui relativi cambiamenti, sulla natura dei loro insediamenti in ambito rurale e sulle caratteristiche più peculiari di quelli nelle città sedi di ducato. Sarà utile considerare in prima battuta i contesti meglio attribuibili ai Longobardi sulla base di markers archeologici: non solo armi e fibule, ma anche il sacrificio del cavallo, le camere lignee, le offerte alimentari, la composizione complessiva della deposizione, possibili capanne seminterrate con ceramica stampigliata; anche alcuni dati antropologici (metrici e morfometrici) potrebbero rivelarsi coerenti. Si tratta di più indicatori di differente natura, in genere compresenti nella stessa località e totalmente 31 Su Cividale del Friuli (Udine), San Mauro: AHUMADA SILVA (a cura di), 2010. Su Cividale, ferrovia: BORZACCONI 2013 (con catalogo di I. Ahumada Silva). Su Romans d’Isonzo (Gorizia), si veda, da ultimo: VITRI ET AL. 2014, con bibliografia precedente. Sui Longobardi a Povegliano Veronese (Verona): BRUNO - GIOSTRA 2012; GIOSTRA 2014b. Su Goito: assenti negli altri siti della zona, già diffusi nelle sedi di stanziamento pre-italico e comparsi nella penisola in concomitanza con l’arrivo dei Longobardi narrato dalle fonti scritte. Primi risultati di analisi paleogenetiche e isotopiche sui resti ossei, come anche indagini archeometriche sui manufatti, sembrano supportare l’interesse e la coerenza di tali indicatori (pur senza approdare a rigidi assiomi), in attea di un quadro multidisciplinare più articolato e dirimente, che comunque non può prescindere dall’analisi storico-archeologica. 2.a. Gli spazi funerari: le grandi necropoli in campo aperto Con particolare riferimento all’Italia settentrionale (fig. 1), varie sono le estese necropoli in campo aperto di recente indagate interamente o in gran parte: si pensi a quelle di Cividale del Friuli, in località San Mauro e presso la ferrovia, Romans d’Isonzo, Povegliano Veronese, Goito, Leno, Fara Olivana, Momo, Collegno, Rivoli e Sant’Albano Stura31. Nell’Italia centro-meridionale oltre alle due grandi necropoli del ducato di Spoleto, Nocera Umbra e Castel Trosino, scavate alla fine del- MENOTTI 2014. Sui sepolcreti di Leno: GIOSTRA 2011a; EADEM 2015. Su Fara Olivana (Bergamo) anticipazioni in FORTUNATI ET AL. 2014. Su Momo (Novara): MICHELETTO ET AL. 2014; sul sito di Collegno (Torino): PEJRANI BARICCO (a cura di) 2004; EADEM 2007a; EADEM 2007b. Su Rivoli (Torino): PEJRANI BARICCO 2007a; su Sant’Albano Stura (Cuneo): cfr. nota 36. 22 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi Fig. 2. Carta di distribuzione di piccoli nuclei funerari, tombe fra capanne e sepolture in chiesa: in grigio i principali vecchi ritrovamenti; in blu le scoperte degli ultimi vent’anni; in maiuscolo le sedi di ducato. l’Ottocento in maniera ammirevole per l’epoca, sono noti i cimiteri di Campochiaro, loc. Vicenne e Morrione, nel ducato di Benevento32. Anche integrando il quadro settentrionale con i vecchi ritrovamenti di grandi necropoli, si segue una distribuzione coerente lungo la fascia pedemontana e della fertile pianura più prossima: i siti si trovano spesso in relazione a corsi d’acqua o lungo la fascia delle risorgive (da Vigasio e Povegliano a Calvisano, Leno, Fornovo S. Giovanni e Fara Olivana e oltre), con aree boschive e superfici fertili adatte al pascolo e alla coltivazione. Sono prevalenti in ambito rurale, con l’eccezione di Cividale e della corona intorno a Torino33: coincidono con i territori interessati dal primo stanziamento longobardo; lungo la via Emilia, gli incerti destini dell’avanzata longobarda sembrano riflessi nella breve durata della necropoli di Spilamberto34. La distribuzione geografica dei ritrovamenti si dilata in maniera non sostanziale considerando i piccoli nuclei funerari, le ricche tombe isolate, le sepolture presso case e capanne e le deposizioni in chiesa (fig. 2); si trovano anche nelle città e nei castra, presso ville e vici. I contesti più chiaramente connotati in senso germanico sembrano invece 32 Su Nocera Umbra (Perugia): RUPP 1996; RUPP 2005. Su Castel Tro- sino (Ascoli Piceno): PAROLI (a cura di) 1995; PAROLI - RICCI 2005. Sui ritrovamenti di Campochiaro (Campobasso), diretti dalla dott.ssa Valeria Ceglia, si veda da ultimo la sintesi in EBANISTA 2014. 33 Fra i nuclei di sepolture più prossimi alla città di Torino, come Fig. 3. Entità delle comunità che usarono alcune delle principali necropoli italiane. scarsi nei territori annessi al regnum solo in un secondo momento (e forse con presenze alloctone più esigue) e assenti nelle regioni rimaste sotto il controllo bizantino. accade anche per altri capoluoghi amministrativi, vi era una delle sepolture più ricche del Piemonte, quella della dama del Lingotto, mentre da Beinasco proviene la crocetta con iscrizione suggestivamente collegata ad Agilulfo, duca di Torino e poi re dei Longobardi (GIOSTRA 2014a). 34 Sulla necropoli di Spilamberto (Modena): BREDA (a cura di) 2010. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 23 Fig. 4. La grande necropoli di Sant’Albano Stura (Cuneo), dettaglio delle righe di tombe, da est (da MICHELETTO ET AL. 2014). Per valutare l’entità delle comunità stanziate sul territorio, relazionando più correttamente tra di loro sepolcreti che hanno differente estensione o durata, pare utile rapportare il numero degli inumati al numero delle generazioni che hanno utilizzato i più grandi sepolcreti, così da stabilire l’entità della comunità in ciascun periodo, stimando questo di 40 anni in linea con l’aspettativa di vita media di queste popolazioni (fig. 3). In questi termini, il gruppo che usò la necropoli di Collegno, di 157 tombe per quasi 2 secoli di durata, appare comparabile con quello del nucleo di Spilamberto, di 30 inumati ma che non esauriscono la prima generazione di stanziamento in Italia: rispettivamente 35 e 40 individui circa ogni 40 anni. In entrambi i casi, come anche a Povegliano (180 individui circa in poco più di 120 anni, quindi 60 individui ogni 40 anni), si tratta di fatto di pochi gruppi familiari allargati, da 3 a 5 nuclei composti ciascuno da 10-12 persone. Più consistente doveva essere la comunità stanziata a Leno (247 tombe per 120 anni di uso o poco più, circa 70-80 persone a generazione), anche perché oltre alla grande necropoli considerata nel computo, scavata forse per poco più di metà dell’intera estensione, nel territorio sono stati rinvenuti altri piccoli nuclei funerari longobardi. Anche a Nocera Umbra, località lungo la via Flaminia, le 165 sepolture si sviluppano nell’arco di circa 60-70 anni, contemplando quindi circa 100 persone ogni 40 anni, tra padri e figli che dovettero convivere in ciascun periodo. Si tratta, verosimilmente, delle ‘fare’ stanziate sul territorio. Nelle estese necropoli attualmente note si contano in genere fra le 100 e le 350 sepolture al massimo 35. Acquista quindi un carattere di eccezionalità la recente scoperta della necropoli di Sant’Albano Stura, nel Cuneese, pertinente ad almeno 320 individui per generazione, dal momento che sono state riportate alla luce dall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte 776 sepolture (ma nel complesso dovevano superare le 800 unità), per la durata di circa un secolo36 (fig. 4). In questo sito le fosse terragne, orientate ovest-est, si dispongono su righe con sviluppo nord-sud che si seguono anche per trenta tombe: lo studio della necropoli, attualmente in corso, permetterà non solo di capire se in un sepolcreto così esteso potessero confluire i membri di più comunità, ma anche di ricostruire le dinamiche di formazione delle righe e la loro composizione sociale. E che lo sviluppo delle aree funerarie e delle righe non fosse necessariamente dato dal progressivo e sistematico accosta- 35 Si ha notizia di rinvenimenti avvenuti in passato che dovevano visano: DE MARCHI 1997; GIOSTRA 2015). comprendere, secondo stime sempre approssimative, fino a 500 tombe: è il caso di Calvisano, nella bassa pianura bresciana, dove peraltro sono noti più nuclei funerari (per una sintesi dei dati su Cal- 36 Sulla grande necropoli di Sant’Albano Stura (Cuneo): GIOSTRA 2011b; MICHELETTO - UGGÈ - GIOSTRA 2011; MICHELETTO ET AL. 2014. 24 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi Fig. 5. Il sepolcreto longobardo di Spilamberto (da BREDA, a cura di, 2010). mento di tombe, ma da uno sfruttamento differente dello spazio del quale la riga è l’esito finale, sembra dimostrato da necropoli di breve durata (20-30 anni) e di probabile abbandono improvviso, quindi verosimilmente impostate in vista di un uso più prolungato e poi precocemente interrotte. Nel sepolcreto di Spilamberto (fig. 5) le sepolture sono distanziate fra di loro in un’area estesa, forse proprio a causa della durata del sepolcreto (20-30 anni) più breve di quanto preventivato fin dall’inizio37; la stessa circostanza è stata ipotizzata per la necropoli ungherese di Tamási38. In questi cimiteri le tombe appaiono appunto distribuite all’interno di un’area più ampia, senza che ci sia stato il tempo di occupare gli spazi intermedi: i settori erano 37 La necropoli di Spilamberto (28 tombe) si estende su una superfi- lamberto, senza che si sia arrivati ad assistere a un analogo sviluppo. cie non inferiore a quella del sepolcreto di Povegliano Veronese (145 tombe nel nucleo principale, con una durata di più di un secolo). Per l’area funeraria di Povegliano si ritiene che i gruppi familiari abbiano insistito negli stessi settori per l’intera durata della necropoli (GIOSTRA, La struttura sociale…, in questa sede): la stessa modalità di utilizzo potrebbe essere stata programmata preventivamente per Spi- 38 In BÓNA 1974 si legge che il cimitero di Tamási dovette essere in uso per un periodo più breve degli altri sepolcreti longobardi ungheresi: secondo lo studioso, fu avviato dopo Szentendre e abbandonato intorno al 568 per lo spostamento del gruppo in Italia e a causa di questa breve durata alcuni spazi che erano stati riservati alle generazioni successive rimasero vuoti. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia probabilmente riservati ad alcuni gruppi (familiari?) per più generazioni, secondo un’organizzazione per nuclei, con tombe a loro volta disposte a creare progressivamente le righe, forse sulla base di precise relazioni di familiarità fra gli individui. Il ritrovamento di necropoli estese e di almeno un secolo di durata permette ora anche in Italia di sottoporne ad analisi lo schema planimetrico e di studiarne lo sviluppo complessivo (la stratigrafia orizzontale) e la struttura sociale, cercando di decodificare le logiche che potevano presiedere alla ‘costruzione’ (sociale e/o ideologica) dello spazio funerario. A seguito di una rigorosa periodizzazione in fasi di circa 40 anni ciascuna, si assiste alla compresenza di modelli differenti: la progressiva espansione dell’area utilizzata per giustapposizione di nuclei verosimilmente familiari, avviati dopo l’esaurimento del settore iniziale e la successiva occupazione di aree sempre più marginali; una più lineare progressione delle righe in senso unidirezionale, forse in casi di comunità più consistenti e coese; la persistenza dei gruppi negli stessi settori per l’intera durata del sepolcreto, che avrebbe potuto esprimere un più forte legame familiare e un’identità parentale, utile anche nella comunità dei vivi. Alla luce della distribuzione di sesso ed età di morte, sembra trattarsi di clan composti da alcuni gruppi familiari allargati, ognuno di 10-12 individui, ai quali poteva aggiungersi qualche soggetto subalterno. Valutando l’impegno nella realizzazione delle strutture tombali e la composizione e disparità di ricchezza dei corredi all’interno di ciascun nucleo di tombe, a volte è possibile riconoscere una coppia di inumazioni (una sepoltura femminile e una maschile, spesso vicine) più prestigiosa delle altre, a designare forse il capofamiglia e la consorte; è circondata da armati e donne con offerte significative, verosimilmente altri membri liberi del gruppo parentale, mentre i bambini presentano spesso corredi ridotti, anche se non necessariamente privi di offerte di pregio; queste mancano ad altri inumati, probabilmente di grado semilibero o servile39. La più attenta pratica stratigrafica ha permesso ormai da tempo di documentare dettagliatamente le diverse tipologie tombali, a cominciare dalle più labili tracce delle camere lignee: esse dovevano essere foderate al loro interno di assi e chiuse da un tavolato, mentre i pali angolari proseguivano sopra terra e verosimilmente sostenevano una struttura che segnalava e valorizzava 25 Fig. 6. Sepolture con quattro buche di palo. A: tomba di Sant’Albano Stura con buche esterne (da MICHELETTO ET AL. 2014). B: tomba di Povegliano Veronese con buche lungo il profilo (da GIOSTRA 2014). la deposizione, forse configurata a capanna (la ‘casa della morte’). Non solo sono noti più siti con presenza di ampie fosse terragne caratterizzate dalla presenza di quattro buche di palo angolari sul fondo, con eventuale riporto a costituire un loculo interno e tracce del tavolato di copertura (come a Collegno), ma vengono ormai registrate varianti nel numero delle buche stesse (sei a Bergamo, via Osmano), nella loro posizione, anche esterna al taglio della fossa (come a Sant’Albano Stura) (fig. 6,a) o tangente ad esso, a creare delle espansioni lungo il margine (come a Sant’Albano e a Povegliano) (fig. 6,b), anche con evidenti restringimenti intermedi del profilo del loculo40. Nelle stesse località, intorno a queste più prestigiose strutture, in corrispondenza di sepolture più semplici, dovevano trovarsi più modesti tumuli in ciottoli e segnacoli dati da aste infisse, dei quali restano accumuli collassati all’in- 39 All’analisi dello sviluppo spaziale e dell’organizzazione sociale 40 Per Collegno: PEJRANI BARICCO (a cura di) 2004, pp. 30-32, fig. 18,a- delle principali grandi necropoli di recente rinvenimento italiane, ai criteri utilizzati e ai dati emersi è dedicato il secondo contributo di chi scrive in questa pubblicazione. NATI ET AL. 2014, p. 142, fig. 5; per Sant’Albano Stura: MICHELETTO ET AL. e, pp. 73, 79, 89 (con planimetrie); per Bergamo, via Osmano: FORTU2014, p. 104; per Povegliano Veronese: GIOSTRA 2014, p. 265, fig. 7. 26 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi terno del taglio e singole buche lungo il profilo occidentale, in corrispondenza della testa del defunto41. Sono elementi utili alla ricostruzione del ‘paesaggio del rito’: si dispone anche di indizi sulla recinzione delle aree funerarie (per es. a Leno)42, mentre non paiono ancora documentati significativi piani d’uso e percorsi interni. L’esistenza di sepolture isolate o in piccoli nuclei a breve distanza dalla grande necropoli, appurata in occasione di scavi particolarmente estesi come a Povegliano Veronese, dilatano lo scenario, richiamando anche possibili scelte individuali o logiche di esclusività o piuttosto di esclusione sociale43. 2.b. Gli abitati rurali fig. 7. Collegno (Torino), capanna a fondo ribassato (da PEJRANI BARICCO 2004). Non lontano dalle sepolture, in casi sempre più numerosi la ricerca sul campo riconosce le pur labili tracce di porzioni dei relativi abitati, permettendoci di conoscere non solo lo spazio dei morti ma anche quello dei vivi. Si tratta di importanti complementi per comprendere le strutture sociali, oltre che l’organizzazione territoriale del regnum. Collegno è stato uno dei primi siti interessati dal rinvenimento di strutture insediative relative alla grande necropoli longobarda: l’abitato è a poche centinaia di metri dal sepolcreto (m 300 circa). Vi sono alcune capanne di tradizione germanica, con fondo ribassato su cui si è rinvenuta la caratteristica ceramica stampigliata: quella di maggiori dimensioni (m 5,5x3,75) è rettangolare, forse aperta su un lato breve con una buca di palo centrale a probabile sostegno della trave di colmo della copertura; le due più piccole, monovano (m 3,20x1,70 ca.) sono impostate su pali incassati (fig. 7). Sono tutte autonome, per impianto e tipologia, rispetto ai sistemi strutturali tardo-antichi in pisé e su zoccolature in pietra a secco sui quali si impostano44. Il precedente complesso residenziale era occupato da un gruppo goto, testimoniato da un nucleo di 8 tombe nei pressi: due individui avevano la deformazione intenzionale del cranio e nei corredi vi era cultura materiale di tradizione germanico-orientale45. La sovrapposizione dello stanziamento longobardo su quello goto sembra il riflesso di analoghe scelte insediative e delle dinamiche di avvicendamento dei due gruppi46. Nonostante la scarsa visibilità archeologica dei Goti, sono sempre più numerosi i siti rurali con indizi della presenza di entrambi i gruppi: di Mombello Monferrato si dirà a breve; a Montichiari, dove è stata riportata alla luce un’estesa necropoli anche di cultura longobarda, si rinvenne l’epigrafe di Scadvein voluta dalla moglie Aladrut, due nomi gotici; a Garda, dove la presenza longobarda è nota da vecchi ritrovamenti funerari, in una tomba nella chiesa sulla rocca vi era una fibula con teste di rapace disposte a vortice di matrice germanico-orientale; a Montecchio Emilia, loc. Il Monte, il nucleo di materiali già attribuiti a un gruppo longobardo – attestato in altra località dello stesso comprensorio – è più verosimilmente di età e matrice gota47. Una rilettura specialistica dei ritrovamenti di Moncalieri, fraz. Testona permette inoltre di riconoscere, fra i reperti della grande necropoli longobarda, 41 A San Giorgio (a est di Mantova), lottizzazione Vincenzi, nel 2005 45 BEDINI ET AL. 2006; PEJRANI BARICCO - GIOSTRA - BEDINI - PETITI c.s. sono state documentate alcune sepolture allineate e una isolata più a est, apparentemente circondata da una trincea circolare del tipo attestato già in Pannonia (per esempio a Szólád, cfr. VIDA, infra) e in ambito merovingio a delimitare un tumulo più pronunciato. Si attende l’edizione degli interessanti ritrovamenti nella località; in via preliminare: MENOTTI 2014, fig. 4. 46 Sulle logiche insediative gote e longobarde: BROGIOLO - CHAVARRÍA 42 BREDA 1995-1997. 43 Per una disamina di casi spagnoli non troppo dissimili: VIGIL-ESCALERA GUIRADO 2013. 44 PEJRANI BARICCO 2004, pp. 19-25; PEJRANI BARICCO 2007b, pp. 261- 262, con illustrazione della successiva fase dell’insediamento (VIIIXII secolo). ARNAU 2008; BROGIOLO 2011. 47 Su Montichiari (Brescia): BREDA (a cura di) 2007; FRANCOVICH ONE- 2010; GIOSTRA 2015. Su Garda (Verona): BROGIOLO - IBSEN - MALA(a cura di) 2006. Su Montecchio Emilia (Reggio Emilia): GIOSTRA 2007a, p. 301 e nota 104, con bibliografia precedente. Anche a Sirmione (Brescia), nel castrum in posizione strategica per il controllo del lago analoga a quello di Garda, alcune tombe con corredi di età gota si trovavano nella chiesa di San Pietro in Mavinas, per le quali non si può escludere l’attribuzione gota anche se non è al momento dimostrabile (GIOSTRA 2015). STI GUTI Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia materiali più antichi e che trovano riscontri anche in sepolture gote, reintroducendo la possibilità di una precedente fase gota: se infatti finora è stata evidenziata una fibula a staffa in cloisonné di tipologia germanico-orientale48, almeno un castone di orecchino a poliedro in bronzo, una fibbia maschile in bronzo con castone rettangolare alla base dell’ardiglione e il pettine con decorazione a traforo trovano più chiari confronti in recenti ritrovamenti goti49. Anche in relazione alla grande necropoli longobarda di Povegliano, le indagini in estensione hanno riportato alla luce, presso i limiti dello scavo a m 100 circa dalle tombe, tre piccole capanne monovano, seminterrate anche per cm 80-90, oltre a un pozzo e a sequenze di buche forse di recinzione. Due capanne sono sub-rettangolari, con due buche per pali al centro dei lati brevi, funzionali a sorreggere le due falde del tetto; la terza è circolare ed è riferibile a un momento più tardo grazie alla posteriorità rispetto a una tomba con struttura almeno della fine del VII secolo. Appare assai verosimile l’esistenza di altre capanne, anche di maggiori dimensioni, nelle aree adiacenti, a ricomporre un intero abitato longobardo che future indagini archeologiche potrebbero restituire, tra i primi casi in Italia50. Si assiste dunque, tendenzialmente, a una certa prossimità dello spazio dei vivi e di quello dei morti, inteso come cimitero collettivo, in genere situato a poche decine/centinaia di metri dall’insediamento. A volte può esservi addirittura compenetrazione fra i due ambiti. A Testona (Moncalieri), parco di Villa Lancia, alcune tombe in nuda terra prive di corredo si trovavano fra le capanne rettangolari seminterrate (fino a cm 70), poste in vicinanza di pozzi per lo sfruttamento dell’acqua di falda e forse destinate ad attività artigianali; nei pressi vi erano anche un altro gruppo di inumati anche con armi, una fossa con cavallo e una con due cani51. Come si è detto, il territorio di Testona era già noto per il ritrovamento ottocentesco di una vasta necropoli in campo aperto lungo la strada che da Torino risaliva il corso del Po, con numerosi e articolati corredi d’armi di fine VI e VII secolo52: logiche funera- 27 rie differenti, forse destinate a ceti con diverso interesse all’ostentazione sociale. A Flero, dove in passato sono stati rinvenuti piccoli nuclei di tombe di armati con croci in lamina d’oro anche con motivi animalistici germanici, la più recente attività archeologica ha individuato i resti di un insediamento di VI-VII secolo, con strutture in legno e inumazioni nei pressi (fig. 8)53. Una grande capanna rettangolare aperta su un lato (m 8x5), con alcuni pali per sostegni portanti e travi orizzontali di fondazione delle pareti lignee è stata interpretata come magazzino, ricovero per animali o struttura connessa alle attività svolte nei vicini apprestamenti funzionali. Era attorniata da tre fosse sub-rettangolari con strati compressi di carboni e ceneri sul fondo: almeno in due casi sono state identificate come forni per la cottura ‘soffocata’ dei cibi; per la struttura più ampia e profonda (m 2,2x1,3, profondità residua di m 1), con accesso sul lato meridionale e buche di palo esterne per la copertura, non si è esclusa neppure l’ipotesi che si trattasse di una capanna seminterrata di tradizione germanica. Oltre a un pozzo in ciottoli e basamento ligneo, nei pressi vi erano anche alcune inumazioni prive di oggetti di corredo, a testimonianza di una sempre più stretta correlazione tra lo spazio dei vivi e quello dei morti, verosimilmente in assenza di volontà di ostentazione sociale in spazi comunitari (grandi necropoli collettive o sepolture presso i luoghi di culto). 2.c. Lo stanziamento in città La commistione di sepolture fra le capanne è documentata anche in siti longobardi di ambito urbano54. Fino a pochi anni fa, l’unico esteso contesto insediativo di cultura longobarda era quello, ben noto, di Santa Giulia a Brescia, collocato in prossimità delle mura occidentali e di una porta. Esso vede l’impiantarsi di piccole case e capanne al di sopra di ricche domus, già da tempo frazionate. Il gruppo era impegnato in attività artigianali, viveva anche in capanne seminterrate e usava ceramica stampigliata di derivazione 48 Su Moncalieri, fraz. Testona (Torino) BIERBRAUER 1975, pp. 316-31; NEGRO PONZI 1980, pp. 5-6. In realtà Otto von Hessen (1971) attribuì un numero maggiore di reperti all’ambito goto, ma la sua identificazione non ha trovato largo seguito: se alcuni di questi sembrano trovare diffusione anche Oltralpe, altri vengono segnalati in questa sede come possibili spie di presenza gota, possibilmente precedente a quella longobarda. necropoli longobarda di Goito si rimanda al contributo di Chiara Marastoni, in questa sede. 49 VON HESSEN 1971, nn. 26, 330 e 529, senza escludere altre fibbie ad anello ovale con base dell’ardiglione a scudetto con decoro inciso, con netto restringimento dell’ardiglione o con anello rettangolare. recenti ritrovamenti di sepolture con struttura o corredo di cultura longobarda in città si segnalano i casi di: Belluno, Palazzo Fulcis (GANGEMI ET AL. 2014); Bergamo, via Osmano (FORTUNATI ET AL. 2014); Fiesole, piazza Garibaldi (inedito, esposto presso il Museo Archeologico di Fiesole). 50 Sulle capanne di tradizione germanica in prossimità della grande 51 PANTÒ - OCCELLI 2009; PANTÒ ET AL. 2013. 52 VON HESSEN 1971. 53 BREDA ET AL. 2007, pp. 227-239. 54 Più in generale sui Longobardi e le città: GIOSTRA 2014a. Tra i più 28 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi Fig. 8. Flero, croce in lamina d’oro (prop. Buizza) (A, dis. C. Giostra). Scavo di via XX Settembre, struttura funzionale. Planimetria dello scavo di via XX Settembre (B e C da BREDA ET AL. 2007). Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia pannonica55. Verosimilmente dalla seconda metà del VII secolo e poi con Desiderio e Ansa, viene eretto un complesso dotato di chiesa. Dopo il ritrovamento bresciano, di recente anche in altre città sedi di ducato sono stati documentati contesti con capanne seminterrate, ceramica di tradizione pannonica e sepolture con corredo ridotto o assente. A Cividale del Friuli, Corte Romana (fig. 9), una domus con fasi di frequentazione fino all’età tardo imperiale vede un parziale riuso delle strutture del complesso ormai in degrado, nelle quali nuovi ambienti vengono ricavati con muri legati da terra, alzati lignei e pavimenti in battuto. In età longobarda si assiste all’impiantarsi di una capanna lignea parzialmente interrata, rettangolare con montanti agli angoli interni, che ha lo stesso orientamento di un edificio con fondazioni in ciottoli legati da malta e terra; è attestata ceramica a stralucido di tipo longobardo e sono state riconosciute possibili attività artigianali. Sarà interessante valutare, anche sulla base di una casistica più ampia di scavi urbani con capanne seminterrate, l’integrazione con le strutture preesistenti e la commistione tipologica e funzionale. Contestuali alle abitazioni vi erano 53 sepolture, con corredi ridotti o assenti, apparentemente raggruppate per nuclei familiari intorno a una tomba che pare catalizzare le successive: sembrano sepolture inserite nelle aree – con ampi spazi liberi – di pertinenza di piccole comunità che risiedevano nelle immediate vicinanze, possibilmente di cultura longobarda56. Rilevante, anche per la collocazione nella capitale, è poi lo scavo del Cortile del Palazzo di Giustizia a Pavia. La città, già luogo di riunione dell’esercito, fino alla metà del VII secolo si connota per la cattedrale ariana, la necropoli ad perticas e il palazzo regio, già teodoriciano, collocati ad est. La vasta area urbana scavata si trova nel settore occidentale. Al di sopra di una prestigiosa domus di grandi dimensioni rimasta in uso fino al V secolo, vennero impiantate strutture povere con piani in battuto e focolari. Inoltre, vennero costruite tre capanne seminterrate: due contigue, rettangolari (m 4x2), con buche per pali portanti interne, silos e buchette da mobilio; la terza, quadrata di m 4,50 di lato, con tre buche interne per lato. Anche da quest’area provengono alcuni frammenti di ceramica a stampiglie o a stralucido e a stecca. C’è da notare ancora che nelle vicinanze delle capanne vi erano due sepolture in nuda terra prive di corredo, a riproporre il rapporto integrato di capanne e inumazioni57. Nello stesso settore urbano nord-occidentale, peraltro, si 29 strutture tardoantiche strutture di VII secolo sepolture di VII secolo Fig. 9. Cividale del Friuli, Corte Romana, strutture e capanna seminterrata (Grubenhaus) (da BORZACCONI 2005). trovavano la chiesa di San Giovanni Domnarum, la prima fondazione regia pavese voluta da Gundiperga, figlia di Teodolinda, e la chiesa di S. Salvatore e dei Santi Pietro e Paolo del monastero di S. Maria Regina, poi S. Felice. Gli interventi si inquadrano nelle attività di evergetismo religioso promosso da re e aristocratici, che a Pavia portò al proliferare di mausolei e monasteri. Del San Felice recenti scavi hanno precisato la planimetria e hanno documentato otto tombe a cassa dipinte, compresa quella della badessa Ariperga: analisi archeometriche hanno confermato la datazione della fondazione all’VIII secolo, rendendo plausibile l’attribuzione a Desiderio e Ansa58. È interessante che tra i materiali provenienti dagli strati sottostanti la chiesa vi fosse anche qualche frammento di ceramica stampigliata, offrendo un altro indizio di presenza longobarda anche nel settore occidentale della città, oltre allo stanziamento nell’area del cortile del Tribunale. I dati sembrano riflettere una maggiore distribuzione dell’elemento longobardo nel tessuto urbano di quanto non si pensasse in passato e soprattutto la preesistente presenza di comunità alloctone nei settori dove più tardi sorgeranno chiese di fondazione aristocratica longobarda. 55 BROGIOLO 2005. 57 INVERNIZZI 2014; SEDINI 2014. 56 BORZACCONI 2005; BORZACCONI - SACCHERI - TRAVAN 2013. 58 Ricerche 2003. 30 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi Un’interessante sequenza di capanne seminterrate con frammenti di ceramica stampigliata e sepolture attigue è stata riportata alla luce di recente ad Asti, palazzo Mazzetti; l’area corrisponde al foro romano ed è vicina alla chiesa di Sant’Anastasio, costruita verosimilmente all’inizio dell’VIII secolo dal ceto dirigente longobardo con funzione funeraria59. A Palazzo Mazzetti, sui resti di un complesso edilizio romano vi è il passaggio a strutture lignee: fra queste, almeno una capanna seminterrata poggiante su pali, probabilmente rettangolare lunga circa 5 m, è inquadrata in via preliminare nel VI secolo. Nel VII secolo, nell’area vi sono sepolture, sia in fossa terragna che con cassa in muratura. Vi era anche una capanna parzialmente interrata su impalcatura lignea. Tra i materiali di questa fase vi sono anche frammenti di ceramica stampigliata e una guarnizione di cintura in bronzo per la sospensione delle armi. In una terza fase segue una nuova struttura seminterrata rettangolare, della quale resta il cavo di asportazione dei perimetrali, realizzata verosimilmente nell’VIII secolo. Si ha quindi una lunga sequenza di capanne seminterrate: anche in questo caso – come a Pavia – in relazione alla fondazione religiosa più tarda (poi nota anche dalle fonti scritte) è forse ravvisabile la precedente e contestuale presenza di gruppi longobardi insediati non lontano dall’edificio di culto. Le scelte topografiche sono spesso legate al controllo dei gangli della città, ma non si tratta esclusivamente di aree marginali connesse con le mura, come tradizionalmente ritenuto: interessano anche spazi e monumenti non più frequentati o che hanno perso la loro centralità in favore di nuovi poli di aggregazione, come il foro rispetto ai complessi ecclesiastici. Doveva esservi una certa distribuzione di presenze nel tessuto urbano, possibile premessa alle fondazioni religiose più tarde, con l’integrazione di tipologie edilizie tradizionali frammiste al riutilizzo di strutture preesistenti. Il messaggio ideologico delle aristocrazie cominciò presto a essere espresso tramite l’evergetismo cristiano, in città come nelle campagne: la magnificenza delle chiese esprimeva il fervore religioso; i monasteri contribuivano anche alla gestione del patrimonio familiare60; i mausolei davano evidenza monumentale alla memoria e l’identità del defunto veniva affidata a un’accurata epigrafe. 59 Sullo scavo di Palazzo Mazzetti: BARELLO (a cura di) 2010. Sullo scavo di Sant’Anastasio: CROSETTO 2003; CROSETTO 2009. 60 In particolare sulla fondazione di monasteri per volere delle élites longobarde, ricerche archeologiche hanno interessato – tra gli altri – i complessi di Sesto al Reghena in Friuli, San Salvatore a Sirmione e San Salvatore di Leno, nel Bresciano, San Silvestro a Nonantola nel Modenese, San Vincenzo al Volturno in Molise (per un quadro delle evidenze archeologiche: CANTINO WATAGHIN 2000). Fra questi, vi è 6 Fig. 10. Ragogna (Udine), San Pietro in Castello, alcuni degli elementi superstiti del corredo longobardo. 1. Frammento di anello di fibbia in argento dorato, niellato e con almandini. 2 e 6. Guarnizioni auree di cintura multipla. 3. Borchia di scudo in bronzo dorato. 4 e 5. Perni in argento del fodero dello scramasax (da LUSUARDI SIENA - GIOSTRA 2005). 2.d. La cristianizzazione della morte I ceti più elevati vedono una più precoce cristianizzazione della morte e l’attrazione delle sepolture presso un luogo di culto61. Una prima pratica è rappresentata dall’inserimento in chiese preesistenti, con funzione di cura d’anime o già funerarie, nelle quali peraltro l’autorevole defunto potrebbe aver finanziato interventi edilizi; il fenomeno è frequente nelle città, ma è documentato anche nei castra e nei villaggi rurali. Il catrum Reunia (Ragogna, Udine) è citato da Paolo Diacono sia a proposito dell’attacco degli Avari del 610 (Hist. Lang., IV, 37), sia nel 693 a proposito della lotta fra Ansfrid de forse anche l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona (Cuneo), dove sono stati riportati alla luce dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte resti di un edificio di culto attribuito al VI-VII secolo e che la riconsiderazione della tradizione agiografica permette di attribuire pur ipoteticamente a una fondazione di prima età longobarda (MICHELETTO 1999; CANTINO WATAGHIN 1998). 61 Sulla cristianizzazione dei Longobardi in base ai dati archeologici si veda, fra gli altri, ROTILI 2001. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia castro Reunia e il duca di Cividale Rodoaldo prima e il re Cuniperto poi (Hist. Lang., VI, 3). Scavi archeologici condotti all’interno della chiesa di San Pietro in Castello hanno accertato l’origine paleocristiana della chiesa battesimale. Nel primo trentennio del VII secolo, verosimilmente quando l’edificio venne ristrutturato, un personaggio di alto rango venne sepolto con le armi al suo interno: la tomba è stata violata e svuotata in antico e del corredo rimanevano solo pochi elementi (fig. 10), ma testimoniavano la presenza di due cinture con guarnizioni in oro, circostanza ancora eccezionale in Italia che rimanda a un personaggio di primo piano nelle gerarchie del regno, precocemente sepolto in una chiesa62. Per ragioni cronologiche non può trattarsi dell’Ansfrid citato da Paolo Diacono, ma si conferma la continuità di una presenza forte e il ruolo centrale assunto dai castelli nella gestione e nel controllo del territorio, in questo caso nel potente ducato friulano. Secondo una tendenza analoga, la chiesa tardoantica di San Pietro in Mavinas a Sirmione (il castrum / civitas Sermionensis), già con funzione funeraria, nella prima metà del VII secolo attrasse sepolture alloctone in uno spazio cristiano63, prima che nel castrum fosse fondato il monastero desideriano di San Salvatore. Una dinamica analoga è documentata a Leno, dove la chiesa battesimale di San Giovanni vide la comparsa di tombe tarde di armati, prima deposti in area aperta, preludio alla fondazione monastica di San Salvatore, anch’essa desideriana 64. In Piemonte, possibili tombe longobarde in chiese preesistenti sono state documentate sia nel San Lorenzo di Gozzano (fig. 11) che a San Gervasio a Centallo, quest’ultima con un radicale intervento di ristrutturazione ipoteticamente ricollegata al personaggio sepolto con corredo dinanzi a un’abside minore65. Un’altra possibile dinamica relativa alle tombe in chiesa è data dalla costruzione di oratori funerari familiari quale nuovo vistoso strumento di autorappresentazione del gruppo parentale e di conservazione della memoria degli antenati. In qualche caso esso venne costruito al di sopra di un precedente nucleo di tombe, in origine in area aperta: a Trezzo sull’Adda, non lontano dalle cinque tombe di ricchi armati dotati di anello sigillo aureo, il gruppo familiare in loc. Cascina San Martino venne monumentalizzato in senso cristiano con la costruzione di una cappella che inglobava le 62 LUSUARDI SIENA - GIOSTRA 2005. 63 BREDA ET AL. 2011. 64 Sulle due località bibliografia in GIOSTRA 2015, a cui si rimanda per brevità. 65 PANTÒ - PEJRANI BARICCO 2001. 31 Fig. 11. Chiesa di San Lorenzo di Gozzano (Novara), con sepolture della seconda metà del VII secolo) (da P ANTÒ PEJRANI BARICCO 2001). inumazioni principali, dopo almeno una generazione66. A Campione d’Italia, invece, l’oratorio funerario fu costruito in funzione della deposizione del gruppo familiare. In questo caso, si registra l’eccezionale possibilità di confrontare il dato archeologico con uno straordinario dossier documentario, quello della famiglia di Totone da Campione. Nella cappella di San Zeno furono sepolti gli antenati di Totone, che compaiono nelle chartae: si tratta di membri della piccola aristocrazia locale, mercanti e proprietari terrieri, dei quali è possibile studiare le strategie di perpetuazione della memoria anche sotto il profilo materiale67. A Mombello Monferrato, dalla metà del VII secolo alcune inumazioni anche con vesti di broccato e corredo d’armi di cultura germanica si collocano in relazione a un edificio di ampie dimensioni (larghezza m. 10) che, seppure non indagato nel settore absidale, si presume essere una chiesa funeraria di nuova fondazione: un’espressione di status e potere economico più vistosa delle abitazioni, pur indagate parzialmente. Meno di m 100 a sud della chiesa, infatti, vi era almeno un edificio residenziale coevo, monovano a pianta quadrata (m 5x4,5 circa), con spessi muri in pietra legata da argilla e grandi blocchi squadrati agli angoli: si ipotizza che costituissero lo zoccolo portante per montanti in legno di un telaio riempito da ramaglie intrecciate e rivestite di argilla, testimoniate da frammenti di incannucciato; dei due piani di calpestio in battuto, uno aveva anche un focolare a terra (fig. 12). La struttura 66 LUSUARDI SIENA - GIOSTRA (a cura di) 2012. Tra i casi analoghi si ricorda quello di Castel Trosino, dove l’oratorio funerario venne edificato al centro della grande necropoli quando questa era ancora in uso (PAROLI, a cura di, 1995). 67 GASPARRI - LA ROCCA (a cura di) 2005. 32 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi verosimilmente gota, con casa in tecnica mista e pareti lignee che sfruttano a loro volta i ruderi delle murature di una villa romana di prima età imperiale68. 3. Lo studio multidisciplinare 3.a L’archeozoologia e la paleobotanica fig. 12. Mombello Monferrato (Alessandria), disegno ricostruttivo della casa longobarda (da MICHELETTO, a cura di, 2007). dimostra che il quadro tipologico delle abitazioni di ambiente longobardo poteva essere più variegato della sola capanna, soprattutto ormai nel pieno VII secolo. Al suo interno e nelle immediate vicinanze dovevano svolgersi svariate attività artigianali, quali quelle tessili e la lavorazione dell’osso o corno e dei metalli, oltre all’agricoltura e all’allevamento praticati nei dintorni, in un regime di autosufficienza almeno per i bisogni primari. I reperti di pregio rinvenuti nel vano oltre alla ceramica a stampiglia e a stralucido longobarda, quali un tremisse aureo, una frazione di siliqua e una placchetta di cintura ageminata, simile a guarnizioni rinvenute nelle tombe, qualificano i possessori come altolocati e permettono di collegarli agli inumati delle sepolture nei pressi della chiesa: una famiglia di proprietari di un certo status, utile a definire, una volta tanto, il livello sociale dei fruitori di un’edilizia semplificata, non necessariamente di ceto medio-basso. Anche questo insediamento di cultura longobarda – come a Collegno – è preceduto da un’occupazione 68 MICHELETTO (a cura di) 2007. 69 BEDINI 2007; CASTELLETTI - MOTELLA DE CARLO 2007. 70 Sulle analisi paleonutrizionali e bioarcheologiche di Mombello Monferrato: BEDINI - BARTOLI 2007, dove si citano anche le analisi paleonutrizionali condotte sugli inumati della necropoli longobarda di Collegno e della chiesa di San Gervasio a Centallo (VII-VIII A definire meglio l’ambiente naturale, il paesaggio agrario e l’economia a Mombello Monferrato nei differenti periodi riconosciuti concorrono le analisi archeozoologiche, paleobotaniche e palinologiche69. Per l’età romana (con minore documentazione) e per quella gota esse indicano aree in gran parte sfruttate per le colture cerealicole (orzo e frumento), collegate soprattutto all’allevamento dei bovini. In età longobarda invece si assisterebbe a un netto incremento dell’allevamento suino e ovicaprino, a scapito di quello bovino: ciò indicherebbe un forte regresso delle coltivazioni agricole (anche con impiego di bovini) e un aumento dell’incolto, con formazione di pascoli e aree boschive – sono attestati salice, olmo, frassino, quercia, carpino, pino e faggio – adatti all’allevamento semibrado e alla caccia di selvaggina, testimoniata da resti ossei di orso, cervo e capriolo. Tale ricostruzione ambientale trova conferma nelle analisi paleonutrizionali degli inumati di età longobarda – ricavate dagli elementi in traccia nelle ossa –, che rivelano un’alimentazione basata sul consumo di carne rossa, pesce, latticini e legumi e scarso apporto di cereali e verdure70. Sembra di poter riconoscere il modello produttivo-alimentare di tipo silvo-pastorale diffuso presso le culture seminomadi, anche germaniche, e fondato in larga misura sullo sfruttamento delle risorse delle aree incolte (pascoli e boschi) tramite caccia, pesca e allevamento semibrado, pur senza escludere l’orto, la vigna e qualche campo coltivato. Anche varie “Leges” barbariche comprese quelle longobarde, legate in buona parte alla redazione scritta di un diritto consuetudinario, contengono norme volte a regolamentare lo sfruttamento dell’incolto boschivo, importante riserva di materie primarie come il legname, largamente impiegato nelle costruzioni; dalle stesse emerge anche l’interesse per gli animali, la caccia, la pesca, l’alleva- secolo). Anche a Brega di Rosà (Vicenza), sui resti di una fattoria in uso fino al IV secolo, tra V e VI secolo si installò un piccolo gruppo, prima della rioccupazione di età longobarda, testimoniata anche dalla presenza di capanne seminterrate e da attività di sfruttamento delle risorse locali: anche in questo caso l’allevamento soprattutto di ovicaprini e suini sembra aver avuto un ruolo più rilevante dell’agricoltura (TUZZATO 2004). Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia mento e la raccolta di frutti spontanei, in un’economia silvo-pastorale nella quale ampie distese forestali costituivano un riferimento costante della vita sociale71. 3.b. Le analisi sui resti ossei A definire in maniera più puntuale lo stile di vita e le condizioni di salute degli individui, i rapporti di parentela e le possibili attività lavorative, oltre alle caratteristiche fisiche di massima, concorre oggi in maniera determinante lo studio dei resti ossei degli inumati, attraverso l’osteometria, l’ergonomia (l’analisi della forma delle ossa e del grado di sviluppo muscolare), lo studio delle patologie, dei markers scheletrici di stress e dei caratteri non metrici indicatori di parentela72. Circa la necropoli di Collegno, è stata la paleobiologia a stabilire che gli armati della prima generazione (570/590-640) erano effettivamente impegnati nell’esercizio delle armi, spesso a cavallo, e presentavano varie lesioni da arma da taglio anche fatali, denunciando uno stile di vita assai dinamico e bellicoso: un profilo che sostanzia, almeno in questo caso, la deposizione delle armi come riflesso di una condizione reale e non simbolica; i coevi individui privi di corredo e presumibilmente appartenenti a una classe sociale subalterna dovevano effettivamente essere sottoposti a una intensa attività lavorativa di diversa natura, confermando una certa disparità sociale e di ruolo, riflessa anche nelle pratiche funerarie. Nella seconda fase (640-700) gli inumati con corredo d’armi, ormai ridotto, esercitavano ancora una notevole attività fisica di addestramento, ma non sembrano più esposti a gravi rischi, mentre nella fase di VIII secolo il gruppo, integrato con le popolazioni autoctone, vive in condizioni più disagiate e svolge gravose attività lavorative, verosimilmente nei campi73. Il quadro racconta di una comunità di nuovi venuti che non videro gli esiti di successo come possessores che per lo più le fonti scritte ci tramandano, bensì una differente dinamica sul lungo termine, che permette di integrare la ricostruzione storica. A conferma poi, dei legami parentali testimoniati dai caratteri ossei ereditari sono state avviate analisi paleogenetiche, prima in Piemonte e ora su scala euro- 71 GALETTI 1994. 72 BEDINI 2014. 73 BEDINI 2004b. 74 Sul progetto di ambito piemontese: BEDINI ET AL. 2012, con analisi del DNA mitocondriale. Il lavoro è stato sostanzialmente ripreso in: GEARY ET AL. 2015. Il progetto internazionale in corso “Tracing Longobard Migration through DNA Analysis” coordinato dal Prof. Patrick 33 pea, per una migliore definizione della struttura sociale delle necropoli longobarde e delle comunità. Lo studio del DNA antico (mitocondriale e nucleare), inoltre, può contribuire a una migliore definizione dei gruppi altomedievali in termini popolazionistici. Primi e assai preliminari risultati sul DNA mitocondriale di un discreto campione piemontese hanno portato a constatare l’unitarietà degli individui ritenuti longobardi, con alta condivisione genetica con attuali popolazioni del nordest e del centro Europa, secondo una migrazione che seguiamo dalle fonti scritte; inoltre, ha stabilito una diversità genetica, per esempio, con inumati della val di Susa attribuiti all’ambito merovingio e – in misura ancora da confermare – con i locali di età romana74. Una più ampia messe di dati genetici, anche di DNA nucleare, sarà confrontata con altre analisi di laboratorio che si stanno avviando sui resti ossei longobardi anche nel nostro Paese: quelle degli isotopi stabili. Elementi come Stronzio e Ossigeno, legati alla geologia di un habitat, si fissano sui denti durante la formazione e permettono di verificare se la crescita è avvenuta in loco o altrove, divenendo utili indicatori di mobilità e di migrazione in età adulta e strumenti di verifica di markers archeologici e antropologici, attualmente discussi. Soprattutto Carbonio e Azoto possono contribuire invece alla definizione della dieta alimentare degli inumati sia durante la crescita che nelle ultime fasi di vita75. Una delle prime ricerche integrate, effettuata sulla necropoli longobarda ungherese di Szólád nei pressi del lago Balaton (analisi archeologiche, antropologiche, paleogenetiche – al momento mitocondriali – e isotopiche, mobilità e alimentazione) ha fornito primi dati coerenti e molto incoraggianti. È risultato che nessuno degli adulti analizzati è nato sul posto, ma tutti provengono da altrove (si parla di “altissima mobilità dell’intera comunità”) ed evidentemente si sono mossi di nuovo prima che crescesse sul posto la seconda generazione (non più di 20 anni di permanenza); pur essendo presenti più aplogruppi genetici (a conferma del già noto carattere composito di questi gruppi), trovano ampi riscontri in Scandinavia ed Europa centrale; vari uomini hanno traumi ossei, in un caso letali; sono gli uomini armati a mangiare più carne, a indicare una valenza anche sociale delle armi; Geary, Institute for Advanced Study, Princeton (U.S.A.) e di cui fa parte la scrivente, punta a eseguire analisi di DNA nucleare su campioni provenienti da Repubblica Ceca, Austria, Ungheria e Italia. Le analisi paleogenetiche sono coordinate dal prof. David Caramelli, Dipartimento di Biologia evoluzionistica, Università degli Studi di Firenze. 75 Una panoramica sulle analisi degli isotopi stabili e i suoi possibili impieghi è presentata nella sezione monografica in «European Journal of Post-Classical Archaeologies», 3, 2013. 34 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi le medie staturali sono piuttosto alte, come diffusi fra gli uomini sono i crani allungati, dato che lascia intravedere una certa coerenza in alcuni fattori metrici e morfometrici76. 3.c. I reperti: restauro, analisi di laboratorio, archeologia sperimentale, studi quantitativi I numerosi manufatti di corredo soprattutto metallici che le sepolture longobarde restituiscono sono oggetto, come per altri ambiti di ricerca, di un restauro attento. A volte esso parte dal microscavo in laboratorio del panetto di terra prelevato dalla sepoltura, che permette di documentare l’esatta posizione delle singole componenti di un possibile insieme; inoltre, spesso è guidato da radiografia, soprattutto in presenza dell’agemina e per evidenziare la damaschinatura delle lame delle spade (fig. 13). L’osservazione microscopica può rivelarsi una prima utile occasione per la comprensione dei procedimenti tecnici impiegati durante la lavorazione e delle particolarità del singolo manufatto, oltre che del suo uso, restauro ed eventuale riadattamento; in merito è stata rilevata una sorprendente varietà della metallotecnica, coniugata a una grande perizia e padronanza esecutiva 77 . Il restauro è altresì rispettoso dei resti organici, ove presenti, che vengono osservati e campionati prima e durante la pulitura del reperto e analizzati mediante Microscopia Elettronica a Scansione (SEM). Lo studio delle tracce mineralizzate o minimamente conservate permette di identificare le parti in legno, osso/corno, piume e cuoio e i tessili, in gran parte decomposte, integrando la ricostruzione degli oggetti e restituendo un quadro ben più articolato delle produzioni e dei manufatti d’uso, pur se alle nostre latitudini in maniera fortemente lacunosa78. I reperti, inoltre, sono sempre più oggetto di analisi di laboratorio, chimiche o fisiche (microanalisi a dispersione di energia - EDS o a diffrazione di raggi X), al fine di definire gli aspetti composizionali e le tecniche di produzione, come anche di individuare possibili indicatori di bottega o peculiarità specifiche di differenti tradizioni artigianali79. Anche i saperi tecnici, infatti, possono costituire un portato specifico del profilo cul- 76 ALT ET AL. 2014; si veda anche VIDA, in questa sede. Fig. 13. Radiografia preliminare al restauro di uno scramasax con chiodini del fodero ancora allineati lungo il filo, di guarnizioni di cintura in ferro ageminato e di una spada con damaschinatura nel nucleo, da Sant’Albano Stura (Archivio già Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte). turale di un popolo e riflettere i percorsi dell’interazione interculturale attraverso il trasferimento di tecnologie80. Analisi condotte sul vetro policromo dei vaghi di collana di varie località longobarde hanno stabilito che il vetro di base – grezzo proveniente da pochi centri primari o di riciclo da rottami – veniva opacizzato e colorato tramite scorie o semilavorati metallici, tradendo un forte legame con la lavorazione dei metalli; i procedimenti, complessi e difficili da controllare, sono indice di un sofisticato livello tecnologico. Soprattutto, hanno evidenziato peculiarità e discontinuità rispetto alle consuetudini romane: l’impiego di semilavorati a base di stagno nella realizzazione di bianco e giallo opachi trova ampi e sistematici riscontri in Europa settentrionale a partire dal II secolo a.C. e nei regni germanici tra il V e il IX secolo; si discosta invece sensibilmente dalla più tipica tradizione romana che, per gli stessi colori, vede l’adozione di composti di antimonio 81 . Sono approcci che permettono di individuare i diversi patri- pio delle tecniche di lavorazione in età longobarda, fra gli altri: DEVOTO 1997; MAGNASCO - SANI - BERTAZZOLI 2004; MIAZZO 2005; FORMICA 2012. nature identiche su borchie e lamine in bronzo dorato di differenti scudi da parata e su altri monili. Tra le analisi XRF pubblicate più di recente, piace segnalare quelle condotte su materiali parmensi, a cominciare dalla ben nota fibula a disco in cloisonné di Parma, Borgo della Posta (CATARSI ET AL. 2014). 78 Una sintesi in ROTTOLI - CASTIGLIONI 2014. 80 LA SALVIA 2009. 79 Un esempio di indicatore di bottega può essere dato dalle punzo- 81 VERITÀ 2012. 77 Sul restauro degli oggetti di corredo e l’osservazione a microsco- Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 35 Fig. 14. Esempio di “Korrespondenzanalyse” condotto su reperti da necropoli bavaresi: sull’ascissa le tombe, sull’ordinata le tipologie, nel diagramma le associazioni dei reperti per fasi (da HAKENBECK 2008). moni di cultura materiale: in primo luogo, quello di origine mediterranea e quello più tipico del Barbaricum. Sempre stimolante infine, in relazione al processo produttivo, risulta la verifica sperimentale. La riproduzione di una fibula a staffa longobarda da Nocera Umbra, in argento fuso, dorato e niellato, ha implicato innumerevoli passaggi e ne ha confermato l’altissima qualità tecnica: dalla fase progettuale con l’uso del compasso, alla realizzazione dei modelli e degli stampi, la fusione a cera persa con rifinitura dei getti, la punzonatura e il niello, la doratura a fuoco e amalgama di mercurio, l’assemblaggio finale degli elementi marginali82. E l’esemplare era privo di almandini con fondo in foglia aurea finemente graticciata. È stata inoltre ripercorsa la lavorazione di una croce in lamina d’oro stampata, riproducendo anche gli strumenti necessari (gli stampi) nei vari materiali possibili83. La sperimentazione della tessitura con fili aurei mediante telaio a tavolette è stata affiancata dallo studio dei reperti da scavo, dei cenni nelle fonti scritte e dell’iconografia medievale e moderna84. Per concludere, solo un cenno ai metodi matematicostatistici e all’ausilio informatico impiegato dagli anni Ottanta del secolo scorso in ampie aree europee per affinare le cronologie dei reperti e valutare il significato sociale della loro qualità e distribuzione. In presenza di necropoli di alcune centinaia di sepolture, per una durata di più generazioni e con alto indice di presenza di oggetti riconducibili alle stesse tipologie, la “Korrespondenzanalyse” studia la combinazione dei tipi negli stessi corredi. Più precisamente, la rappresentazione grafica ordina su ascissa e ordinata le tombe in una sequenza tale che le combinazioni più frequenti di tipi si dispongano con andamento diagonale. Tali raggruppamenti possono corrispondere ai tipi diffusi in ciascun periodo, ovvero, sull’asse delle tombe (che risulteranno disposte secondo un ordine verosimilmente cronologico) a una fase della necropoli, mentre su quello delle tipologie a gruppi di tipi coevi. Il risultato dunque, è la seriazione dei tipi usati nel corso del tempo: una sequenza relativa, della quale il confronto con monete e altri materiali in associazione ben databili 82 PACINI s.d. 83 A. PACINI, Tecnologia delle croci longobarde in lamina aurea (con Tra Bizantini e Longobardi: lavorazione e impiego delle lamine auree, Università Cattolica, 12 giugno 2013, inedito. dimostrazione pratica), relazione tenuta in occasione del Seminario 84 GIOSTRA - ANELLI 2012. 36 Archeologia dei Longobardi: dati e metodi per nuovi percorsi di analisi conferma l’interpretazione in chiave cronologica, verifica la scansione e la successione delineata e offre appigli di cronologia assoluta85. Quanto alla struttura sociale dei gruppi inumati e al relativo livello di ricchezza, sulla base della qualità e distribuzione degli stessi, anche i tradizionali “gruppi di qualità” inaugurati dalla scuola tedesca sono stati di recente affinati da analisi statistiche e distributive; ma di queste metodologie avremo occasione di parlare più diffusamente in altra sede. Un breve bilancio Cospicui e rigorosi sono ormai i dati che l’archeologia delle culture barbariche fornisce anche in Italia, molteplici gli approcci analitici che vengono adottati, innumerevoli le riflessioni che si possono ricavare, in merito agli aspetti più vari della presenza longobarda nella penisola, anche simbolici ma non solo. Scavi sempre più estesi permettono una contestualizzazione di più ampio respiro, la molteplicità dei ritrovamenti un confronto fra più siti; l’attenta osservazione delle tracce superstiti può suggerire gesti e riti immateriali, veicoli di conservazione della memoria e di trasmissione dello status, utili a ricomporre linguaggi rituali in gran parte perduti, riflesso di credenze e consuetudini propri di mondi a noi lontani. Logiche insediative, dinamiche sociali e familiari, saperi artigianali ci vengono a poco a poco disvelati, in un periodo scarsamente documentato da altre serie documentarie. Per il prossimo futuro, la ricerca sul campo dovrebbe estendere le indagini ad abitati completi, così da documentarne organizzazione e tecnologie, nonché la relazione con il territorio e le risorse; lo studio delle necropoli già riportate alla luce dovrebbe essere ultimato in modo organico e coordinato; il quadro delle risultanze andrebbe comparato in maniera più serrata con il panorama dell’archeologia transalpina, prima di essere discusso più proficuamente con gli storici delle fonti scritte, senza preclusioni e idee precostituite. Si tratta di un ambito, il mondo barbarico, necessariamente incastonato in una dinamica dimensione diacronica e in un articolato mosaico di popoli e culture, percorso da serrate relazioni inter-etniche, ma non per questo sfilacciato e diluito in una realtà magmatica e indistinta; cogliere identità e specificità non potrà che aiutare a capirne le trasformazioni, nell’interazione e nell’integrazione, come conoscere le alterità del presente non potrà che facilitare la convivenza. Abstract Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia Molti temi inerenti l’Età delle Migrazioni (origine, mobilità, etnicità e composizione dei gruppi germanici) sono stati sottoposti a radicale revisione critica. Nuovi estesi ritrovamenti effettuati in modo rigoroso possono fornire nuovi elementi, utili alla migliore conoscenza della presenza longobarda in Italia quanto a entità, struttura sociale e stadio culturale delle comunità e quanto a distribuzione e natura dei loro insediamenti; inoltre, si prestano a essere approfonditi tramite un approccio multidisciplinare e nuove e sofisticate analisi di laboratorio. Il contributo vuole tratteggiare un quadro esemplificativo della qualità e potenzialità della più recente documentazione archeologica disponibile attraverso una selezione di siti e aspetti tematici, utili a futuri approfondimenti. Longobard funerary archaeology in Italy: themes and methods Many themes regarding the Migration Period (the origins, movements, ethnicity and composition of Germanic groups) have been subjected to radical critical revision. Extensive recent discoveries recorded using rigorous methods have furnished new data which has improved our understanding of the Longobard presence in Italy, with regard to the size, social structure and cultural stage of communities and the distribution and nature of their settlements. These have also been studied using multidisciplinary approaches and up-to-date, sophisticated laboratory analyses. This paper gives an example of the quality and potential of the latest archaeological documentation from a selection of sites with regard to certain themes, which will be developed in future studies. 85 Il metodo, ampiamente sperimentato in Francia e Germania, è stato applicato ai ritrovamenti longobardi italiani in passato da Lars Jørgensen, ma su una base statistica ancora limitata; è attualmente impiegato dalla scrivente sui reperti delle estese necropoli longo- barde di recente rinvenimento in Italia, a cominciare dal grande sepolcreto di Sant’Albano Stura. Tra i lavori più recenti in merito in ambito europeo: STADLER 2005. Una esposizione sul metodo è anche in HAKENBECK 2008, pp. 29-33. Temi e metodi dell’archeologia funeraria longobarda in Italia 37 Bibliografia AHUMADA SILVA I. (a cura di) 2010, La collina di San Mauro a Cividale del Friuli. Dalla necropoli longobarda alla chiesetta basso medievale, Firenze (Ricerche di Archeologia altomedievale e medievale, 35-36). AHUMADA SILVA I. - LOPREATO P. - TAGLIAFERRI A. (a cura di) 1990, La necropoli di S. Stefano “in Pertica”. Campagne di scavo 1987-1988, Città di Castello. ALT K.W. - KNIPPER C. - PETERS D. - MÜLLER W. - MAURER A.F. KOLLIG I. - NICKLISCH N. - MÜLLER C. - BRANDT S. -, ROTH C. - ROSNER M. - MENDE B. - SCHÖNE B.R. - VIDA T. - VON FREEDEN U. 2014, Lombards on the Move. An Integrative Study of the Migration Period Cemetery at Szólád, Hungary, in «PlosOne», novembre. AMORY P. 1997, People and Identity in Ostrogothic Italy, 489554, Cambridge. 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