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Usciamo da una lunga stagione durante la quale si è identificata la verità con l'idea astratta, con i sistemi filosofici e teologici, con la presunzione di capire il reale a partire dall'applicazione di sistemi teorici pensati a tavolino. In questo processo anche la chiesa è stata coinvolta. Nel mondo Occidentale l'epoca della cristianità ha visto la religione a braccetto del potere, lontano dalle classi povere, anzi spesso e volentieri contrapposta ad esse. Per molti secoli le sorti dei popoli erano decise nei palazzi episcopali. Il messaggio del Vangelo è stato proposto per molti anni da una chiesa forte, potente e gloriosa. Se viviamo un processo di scristianizzazione le cause vanno cercate anche nel modo nel quale il cristianesimo si è proposto al mondo. L'epoca attuale, che sta strutturandosi sulle rovine delle meta narrazioni moderne, sgretolatesi nell'impatto con la realtà, offre nuove possibilità per il sapere e per la comprensione della stessa realtà. Se la modernità si è configurata in Occidente come possibilità d'interpretazione del reale a partire da predefiniti presupposti teorici, l'epoca postmoderna offre la possibilità di percorrere il cammino inverso. Possibilità di ascoltare il reale per come si manifesta, di cogliere la realtà nella sua novità. Ciò comporta la disponibilità a lasciarsi contaminare, a cambiare opinione, a mettere in moto processi di adattamento al reale. In questa prospettiva la verità non è più esclusivamente un pensiero che viene dall'idea, ma un dono che riceviamo dalla realtà e che esige l'accoglienza. Il dono che si rivela nel presente della storia, per essere colto nella sua novità, ha bisogno di una coscienza libera da precomprensioni, da pregiudizi, da idee belle e fatte, per dirla alla Péguy. Non è un caso che il devozionismo religioso sia un'esperienza squisitamente moderna. Nell'epoca dove viene rafforzato il pensiero sistematico, quel pensiero che precede la realtà e che ha la pretesa di organizzarla, di capirla, di spiegarla senza ascoltarla, la religione dell'impero, che s'identifica con la chiesa della cristianità, perdendo il contatto con la realtà del dato rivelato, produce la religione di cui ha bisogno.
Ci sono alcuni passaggi significativi nel Vangelo che ci indicano come nella vita di Gesù, che per la Chiesa ne è il modello privilegiato da seguire e imitare, più che la forza e la potenza, siano la debolezza e la fragilità " Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia ". Il segno era un bambino: che segno strano. Che cosa ha voluto Dio esprimere con un simile segno? Un bambino, la nascita di un bambino era annunciata dai profeti, ed era attesa dal popolo d'Israele. Il bambino è segno di debolezza, di fragilità, di qualcosa che non riesce a vivere da solo. Il bambino è il massimo della fragilità. Ebbene è questo il segno che Dio ha dato all'umanità. Facciamo fatica a cogliere il valore positivo di questo segno perché c'è tutta una tradizione che indica la fragilità come un dato negativo, da nascondere, qualcosa di cui vergognarsi. C'è poi tutta una tradizione spirituale che indica il peccato come conseguenza della fragilità, che indica la fragilità con connotati negativi, come spazio che si presta all'entrata del male nella vita di una persona. Invece Dio, inviando suo figlio Gesù come un bambino ci dice che la fragilità, la mia fragilità, la nostra fragilità è il punto di partenza del cammino, è il punto della nostra umanità che deve rimanere scoperto e non ricoperto, deve essere ascoltato e non taciuto. Dio conosce la nostra condizione umana, che è una condizione di fragilità: per questo è venuto in questo modo, fragile e bisognoso. E per questo motivo lo ha donato a noi come un segno: è il punto di partenza. Il senso di un cammino spirituale, sia di natura religiosa che esistenziale, consiste nello scoprire la nostra fragilità, nel prendere coscienza della nostra condizione specifica di fragilità, di debolezza, di bisogno. Siamo fragili e quindi bisognosi di aiuto: non siamo autosufficienti. Per questo Gesù continuamente nel Vangelo c'invita a ritornare bambini, a scoprire le nostre fragilità, a sentire che abbiamo bisogno del Padre, perché da soli non andiamo da nessuna parte. Il rischio contrario, infatti, di chi non ha la possibilità di essere educato ad ascoltare la propria fragilità consiste nel trascorrere tutta la vita nascondendola, considerandola come qualcosa di negativo, da non far vedere, qualcosa di cui sentire vergogna. E invece no. Gesù, nascendo fragile come noi, bambino come noi, ci ha indicato che il cammino per divenire adulti inizia nell'assumere pienamente la nostra fragilità, qualsiasi essa sia, perché solo così la fragilità può essere spazio da riempire con il suo amore.
Chimica nella Scuola, 2010
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Secondo la filosofa Jeanne Hersch il fondamento universale dei diritti umani sta nella volontà di ogni soggetto di " voler essere un uomo, essere riconosciuto nella sua dignità di uomo e godere del rispetto che di conseguenza gli è dovuto " 2. Essere un uomo non è un dato di natura ove regna il diritto del più forte. Il regno della forza esclude di per sé ogni idea di dignità e di rispetto. Quando l'uomo, come spesso accade, cede al regno della forza, nega se stesso. La dimensione dell'essere uomo, eminentemente culturale, implica la libertà, non come dato acquisito ma come compito, come esigenza da perseguire continuamente. Di qui il ruolo cruciale dell'educazione, che, se è veramente tale, opera per aiutarci ad essere " più umani ". I recenti tragici attentati di Parigi, che hanno colpito i giornalisti di Charlie Hebdo e gli ebrei parigini, hanno introdotto una ferita a due fondamentali diritti di libertà: la libertà di espressione e il diritto di una comunità religiosa, storicamente perseguitata in tutto l'Occidente e che all'Occidente molto ha dato, a vivere liberamente in una società aperta e multiculturale. La crescita preoccupante di un terrorismo disumano che utilizza strumentalmente la religione islamica è il segno di un grave ritorno alla barbarie, alla negazione di ogni senso dell'essere uomo. A tutto ciò in Occidente, anche in Italia, molti sono tentati di rispondere con la guerra di civiltà. Soggetti, movimenti e perfino giornalisti autorevoli, tentano di lucrare sulla paura condannando l'Islam in quanto tale generando così odio e alimentando una spirale perversa. Quali domande e quali compiti investono la scuola e più in generale il mondo dell'educazione in questo quadro che di gravi degenerazioni della convivenza civile? Partiamo da noi. I ragazzi di oggi stanno crescendo in una società sempre più individualista ed antiegualitaria, in cui si sono pericolosamente ristretti i luoghi della cooperazione sociale, della discussione approfondita dei problemi, della condivisione delle scelte, della progettazione del futuro di tutti. Lo Stato, poi, sta sempre più riducendosi a Stato minimo, secondo la classica formula neoliberista, uno Stato non più attore nella riduzione delle disuguaglianze generate dal mercato, ma semplice arbitro silente, spettatore di un mercato sempre più pervasivo e privo di regole ove prevale, come in natura, la legge del più forte. A ciò si aggiunga che in Italia, Paese dalla debole unità nazionale (forte peso delle comunità locali e presenza monopolistica della Chiesa cattolica da sempre interventista in politica) è difficile più che altrove distinguere tra spazio privato-comunitario e spazio collettivo. Questa distinzione è essenziale nelle società moderne: non esiste tutela della libertà individuale di espressione se questo spazio privato non risulta chiaramente separato dallo spazio pubblico che, essendo di tutti, vincola l'individuo al rispetto di leggi condivise e delle regole conseguenti. Da noi, purtroppo, anche la scuola pubblica ereditata dalla Costituzione, a partire da una riforma dell'autonomia nata all'insegna del principio della sussidiarietà e della rinuncia dello Stato, ha sempre più indebolito la sua funzione di costruzione di uno spazio collettivo di cittadinanza fino a correre il rischio, con riforme più recenti, di divenire luogo precoce di competizione sociale e semplice preparazione al mondo produttivo 3. La sfida per la pedagogia, per gli insegnanti e gli educatori, è dunque ardua. E' tuttavia ancora più necessaria oggi, nella consapevolezza che la scuola pubblica resta uno dei pochi spazi in cui è possibile, e deve restare possibile, costruire uno spazio collettivo tra individui diversi operando allo 1 Segnalo il sito http://www.enricobottero.com, da me curato, che offre un piccolo contributo, spero utile, per far crescere l'educazione e il sapere dell'insegnare attraverso il confronto degli insegnanti tra loro e tra essi e il mondo della ricerca pedagogica. 2 Jeanne Hersch, I diritti umani dal punto di vista filosofico, Milano, Bruno Mondadori, 2008, p. 62. 3 Per un'analisi e una cronistoria dell'autonomia scolastica in Italia rinvio al mio articolo (Autonomia scolastica. Cronistoria di una riforma) leggibile all'indirizzo
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Wing Chun Kung Fu: “Gong fa” (功法) ver. 1.5 Revisión de “Un método para el desarrollo y refinamiento del Kung Fu interno”, 2022
A Cultural History of Plants in the Post-Classical Era (500–1400) (Cultural Histories), edited by A. Touwaide. London and New York: Bloomsbury Academic, 2022
Journal of Anthropology, , 2018
Architecture and Visual Culture in the Late Antique and Medieval Mediterranean: Studies in Honor of Robert G. Ousterhout, edited by Vasileios Marinis, Amy Papalexandrou, and Jordan Pickett, 2020
ANALECTA PAPYROLOGICA, 2024
International Journal of Computer Vision, 2019
2012 IEEE 16th Workshop on Signal and Power Integrity (SPI), 2012
Læknablađiđ, 2005
Journal of Renal Injury Prevention
Frontiers in Ecology and Evolution, 2022
Veterinaria Noticias, 2014
Journal of Fluid Mechanics, 2018
Australasian emergency nursing journal : AENJ, 2014