Sommario
Introduction ....................................................................................................................... 2
Death in Norse Polytheism ............................................................................................... 4
La religione ................................................................................................................... 4
La concezione della morte ........................................................................................ 5
Alcune considerazioni sulla vita dopo la morte ........................................................ 7
La mitologia .................................................................................................................. 8
Ricostruendo il funerale vichingo ........................................................................... 10
Riflettendo sull’Aldilà ............................................................................................ 19
Ship Burial in Archaeology ............................................................................................ 26
La peculiarità dell’imbarcazione in ambito archeologico ........................................... 26
Le sepolture navali ...................................................................................................... 32
Breve excursus storico-archeologico ...................................................................... 32
Le sepolture navali “regali” ........................................................................................ 39
Oseberg e Sutton Hoo visti attraverso la testimonianza di Ibn Fadlan ................... 40
Ship Burial in Literature ................................................................................................. 52
La rappresentazione dell’imbarcazione in ambito letterario ....................................... 52
Il funerale navale ......................................................................................................... 53
Breve excursus letterario ........................................................................................ 53
Il funerale navale “regale” .......................................................................................... 57
I funerali di Balder e Scyld visti attraverso la testimonianza storica di Ibn Fadlan 68
Bibliografia ..................................................................................................................... 75
Introduction
La seguente tesi è frutto di uno studio focalizzato sul funerale navale presso la
popolazione scandinava e parte di quella anglosassone, il quale cerca di conciliare
l’interesse per l’archeologia con lo studio della letteratura nel presentare una cerimonia
funebre dal carattere fortemente Nord-Europeo.
La tesi si avvia con delle brevi digressioni sulla religione e sulla mitologia, ovvero
sull’insieme delle credenze popolari riguardanti la morte, la vita dopo la morte e le usanze
funebri, in modo tale da fornire un adeguato background teorico ai successivi due
paragrafi. La tesi prosegue quindi con una breve analisi di alcuni dati archeologici relativi
alle sepolture navali raccolti nel corso dei secoli e con un più approfondito confronto dei
due esemplari più maestosi di navi funebri, la nave di Sutton Hoo e quella di Oseberg,
con la testimonianza storica di un funerale navale contenuto nella RisƩla di Ibn Fadlan.
La tesi si conclude poi con una breve analisi della sepoltura navale nella letteratura e un
nuovamente più approfondito confronto dei funerali navali di tre figure letterarie, il dio
Baldr, il re Scyld ed il capotribù Rus, sui quali l’immaginario collettivo ha poi costruito
la propria idea di rito funebre navale. Il mio obbiettivo è mettere in evidenza similitudini
e divergenze sia in ambito archeologico che in ambito letterario per trarre un’immagine
più realistica ed accantonare la precedente idea di funerale navale, legato all’eccessiva
spettacolarizzazione che subisce ad esempio in ambito cinematografico.
La tesi è divisa in tre capitoli. Il primo capitolo si occupa di presentare in generale la
concezione della morte presso i popoli del Nord Europa, o meglio di chiarire come la
morte veniva percepita dai popoli scandinavi ed in parte da quelli anglo-sassoni: la
religione non è definibile in quanto tale, ma è meglio concepita se presentata come
insieme non sempre coerente di diverse credenze, caratterizzate però da una
rappresentazione della vita che non finiva con la morte fisica, ovvero con la morte del
corpo, ma continuava all’interno della tomba o in un altro mondo fino alla fine dei tempi,
fino al Ragnarok. Il secondo capitolo fornisce inizialmente un breve excursus storicoarcheologico riguardante alcune delle sepolture navali più conosciute, per poi occuparsi
delle sepolture navali “regali” di Sutton Hoo ed Oseberg e della teatralità propria di
quest’ultime. Il terzo capitolo offre inizialmente un breve excursus letterario riguardante
il funerale navale, per concentrarsi poi su due figure letterarie appartenenti
all’immaginario comune scandinavo ed anglosassone, Baldr e Scyld, e sui loro funerali
navali, mettendoli nuovamente a confronto con la testimonianza storica di Ibn Fadlan.
Death in Norse Polytheism
La religione
Prima di poter parlare di religione e concezione della morte presso i vichinghi, bisogna
chiarire alcune cose.
Innanzitutto la parola “vichingo” deriva dal termine antico islandese víkingr e non si
riferisce ad un popolo specifico, ma piuttosto ai marinai e ai commercianti di diverse
popolazioni scandinave, i quali in particolare erano soliti esplorare i mari del Nord
(giungendo fino in Groenlandia e in America molto prima che Cristoforo Colombo la
scoprisse) e commerciare così come saccheggiare in buona parte del continente europeo
tra l’VIII e l’XI secolo. La definizione non si riferiva inizialmente ad una popolazione a
se stante, ma venne poi esteso a tutti i ceti ed applicato a tutti i popoli della regione. Allo
stesso modo l’idea di “religione” non si allinea in questo caso alla più diffusa
nell’immaginario collettivo, secondo la quale essa dovrebbe consistere nell’imposizione
di dogmi, ma si adatta meglio alla definizione più generale di religione in quanto modello
storico che propone uno specifico sistema di relazione con il divino: secondo Lukert, la
religione non è altro che la risposta da parte dell'uomo a tutto ciò che egli stesso
concepisce andare oltre la configurazione umana della realtà; secondo Geertz, essa è il
tentativo di dare senso al mondo, o meglio la costruzione e mantenimento nella società di
un sistema di conoscenze e simboli che impongano ordine al caos (il quale viene percepito
come la più vera realtà dell’universo) e che attribuiscano un senso di maggior coerenza
alla visione del mondo.1 Nel caso della religiosità norrena, si può condensare il tutto in
un insieme di credenze, che si sono integrate gradualmente nell’attività quotidiana
determinando così il modo di guardare al mondo e alla vita ed originando i miti che hanno
legittimato e tramandato quelle stesse credenze.
La religione delle popolazioni scandinave era relativamente unitaria, ovvero contemplava
la medesima cosmologia in tutte le regioni e le colonie, nonostante fosse allo stesso tempo
disorganizzata, o meglio, talmente varia che la tendenza ad adorare determinati dei ed a
fare riferimento a specifici miti e relativi riti era particolarmente diffusa. Soltanto con il
sopraggiungere dell’età Vichinga si verificò una presa di coscienza tale da provocare una
1
T. Dubois Nordic Religions in the Viking Age, Philadelphia 1999, pp. 30-31.
diminuzione della quantità e varietà di credenze e miti e un vero e proprio consolidamento
della religione. Essa venne storicamente etichettata come pagana2, dall’aggettivo che
venne utilizzato dai cristiani per indicare tutte le religioni politeistiche, ovvero tutte le
religioni caratterizzate dalla venerazione di più dei. Il politeismo norreno contemplava
ben tre differenti “culti”: i principali erano la religione naturale basata sull’adorazione dei
Vani, alla quale si sovrappose e sostituì quella basata sugli Asi in quanto sua evoluzione3,
e la terza era la religione sciamanica dei Sami e dei cacciatori Ungro-finnici4. Inoltre
suddivideva la realtà in due differenti sfere: un mondo empirico, nel quale si trovavano i
vivi, e un’altra dimensione, la quale era popolata da dei, spiriti, antenati e così via che
venivano onorati ogni giorno, ma non adorati acriticamente, poiché le divinità si
comportavano come umani ed erano essenzialmente mortali. Essa venne successivamente
riesaminata e meglio definita come etnica, siccome, a differenza delle religioni universali,
consisteva in credenze e rituali tramandati di generazione in generazione e fortemente
legati alla comunità in cui si originarono e limitata alla zona geografica in cui i suoi
praticanti vissero. L’enfasi non veniva posta sull’altro mondo, il quale poteva essere
raggiunto solo dopo la morte e solo da coloro che avevano vissuto la propria vita in un
determinato modo e si erano meritati di accedervi, retaggio tipicamente cristiano, ma sul
mondo dei viventi e in particolare sul rispetto per i defunti, indipendentemente dal loro
comportamento in vita e dal loro destino dopo la morte, e sulla commemorazione degli
avi, una conseguenza del fatto che la società vichinga ponesse le proprie basi sulla
famiglia in quanto insieme di individui, la cui individualità veniva tralasciata per mettere
in primo piano l’appartenenza e la continuità della stirpe nel corso del tempo.
La concezione della morte
La morte è un fenomeno universale, il quale evoca diverse risposte presso diverse culture
ed è, allo stesso tempo, l’ultima espressione della percezione umana di sé nella società e
2
Per ulteriori approfondimenti riguardanti la semantica legata alla religione vichinga rimando al saggio di P.B.
Sturtevant, Contesting the Semantics of Viking Religion, in Viking and Medieval Scandinavia, 8 (2012).
3 “Lo schema evoluzionistico della storia religiosa dell’umanità faceva precedere al politeismo una fase che ancora
ignorava dei propriamente detti, conoscendo solo pratiche rivolte a oggetti inanimati o a una massa di spiriti anonimi
o a forze impersonali; solo col progredire della civiltà, da questa fase si sarebbe svolta la concezione di numerose
divinità con un carattere ben distinto e prevalentemente antropomorfo.” Tratto dalla voce Politeismo dell’Enciclopedia
online Treccani.
4
T. Gunnell, What gods did the Vikings worship? Viking religion: Old Norse Mythology, in Beowulf and other stories:
a new introduction to old English, old Icelandic and Anglo-norman Literatures, edizione a cura di R. North e J. Allard,
Abigdon 2012, p.381-382.
nel cosmo5. Laddove la materialità del corpo morto ed il vuoto lasciato tra i congiunti
sono i due aspetti effettivamente universali della morte, le teorie astratte riguardanti
l’esistenza dell’anima e l’eventualità di una vita dopo la morte così come le procedure
pratiche per liberarsi del cadavere sono le due componenti culturalmente specifiche.
Proprio per questo la morte non si limita al destino della persona scomparsa, bensì diventa
l’origine e il centro della cultura poiché le risposte al sopraggiungere di quest’ultima sono
socialmente costitutive e formative per il futuro della comunità6: ogni popolo costruisce
conseguentemente una propria concezione della morte e stabilisce il modo in cui
occuparsi dei morti in base alle proprie credenze, eseguendo i rituali che essa stessa
elabora o che talvolta adotta da altre culture adattandoli. Ed il popolo vichingo è uno di
questi.
Essendo la religione vichinga risalente al periodo pre-cristiano etnica, si può interpretare
la sopravvivenza del defunto nella camera funeraria adibita in suo onore come
conseguenza della preminenza che possedeva il legame di sangue e l’iterazione con
l’aldilà nella religione dei popoli vichinghi. La morte non veniva quindi percepita come
una barriera che divideva i membri di una famiglia poiché era possibile mantenere una
stretta unione tra i vivi e i morti, i quali erano per lo più creduti e onorati in quanto
potevano dare consigli e aiuto ai vivi, anche se a volte erano anche temuti in quanto
potevano tormentare i vivi o, ancora peggio, cercare di vendicarsi. La morte era anzi
recepita come la fase di passaggio da una sfera all’altra della famiglia, o, più in generale,
il momento di transizione da uno stadio dell’esistenza all’altro, che si trasformava per
l’individuo in un’opportunità di vivere un’esperienza più intensa rispetto a quella che
poteva offrire la vita e per la discendenza di beneficiare delle conoscenze ultraterrene
ricevute dai parenti defunti7. Essendo essa oltretutto una religione politeistica, si capisce
immediatamente il motivo per cui esistessero molti regni della morte, quasi tanti quanti
gli dei adorati. La morte veniva interpretata come il viaggio tendenzialmente difficile ed
insidioso verso la dimora di una di queste divinità, che i vivi potevano facilitare attraverso
5 F. Fahlander
e T. Oestigaard, The Materiality of Death: Bodies, Burials, Believes, in The Materiality of Death: Bodies,
Burials, Believes, Cracovia 2006, p. 1.
6 Fahlander e Oestigaard, Op. cit., p.1.
7 Óðinn commise il suicidio impiccandosi ad un albero per avere accesso al la saggezza, come viene narrato nello
Havamal.. Brynhildr fece lo stesso, ma per accompagnare l’amato sulla pira e per potersi finalmente ricongiungere con
lui venendo considerata finalmente nella morte sua sposa, come viene raccontato nella Sigurðarkviða hin skamma.
Entrambi i componimenti poetici sono contenuti nel canzoniere eddico.
alcune attività rituali prima, durante e dopo la cerimonia funebre8, e la permanenza in un
mondo considerato migliore.
Alcune considerazioni sulla vita dopo la morte
Sia attraverso lo studio dei reperti archeologici che delle opere letterarie, si è scoperto che
effettivamente i vichinghi credessero in qualcosa dopo la morte, sebbene a loro stessi non
fosse sempre chiaro cosa aspettarsi da quest’ultima. Sia la mancanza di sistematicità che
la duttilità della religione rese quasi impossibile una definizione univoca di aldilà, o
meglio una visione unitaria del destino del defunto dopo la sua morte, ed anzi favorì
l’affiorare di un gran numero di credenze che andavano dalla sopravvivenza individuale
nella tomba ascrivibile al culto dei Vani, cioè di divinità che rappresentavano più forze
impersonali che figure ben definite, all’idea del viaggio verso una delle dimore degli dei,
cioè in uno dei regni collettivi della morte adibiti ad accogliere determinate categorie di
persone, attribuibile invece al culto degli Asi, e a quella della resurrezione tipica della
religione sciamanica dei Sami. A rendere ancora più difficile l’indagine relativa alla
concezione dell’altro mondo fu il fatto che i poemi e le saghe non erano che trascrizioni
posteriori di una cultura orale quasi del tutto dimenticata e di credenze già a quell’epoca
incomprensibili.
Da una parte si è cercato di estrapolare dalla letteratura i riferimenti al destino del defunto
e ricollegarli alla religione. Un passaggio dell’Edda in prosa sembrerebbe implicare una
connessione tra la modalità del decesso e la destinazione del defunto: nella Gylfiginning
(XXXVIII) si narra che i morti in battaglia (einherjar) sarebbero stati accolti da Óðinn
nel Valhǫll9. Un altro passaggio dell’Edda poetica sembrerebbe supportare una
correlazione tra la classe sociale e il relativo destino dopo la morte: nello Hárbarðslióð
(V.24) si scrive che a Óðinn spettassero i conti (jarlar) e a þórr i contadini liberi e gli
schiavi (karlar)10. L’idea di aldilà era fortemente influenzata alla classe sociale, dal sesso,
dall’area geografica ed altri fattori senza però esserne determinata. Dall’altra si è cercato
di confrontare le fonti letterarie con le scoperte archeologiche, in particolare con le
tipologie di sepoltura. Secondo Faraday l’inumazione era connessa all’idea dell’eroe che
8
A. Nordberg, The Grave as a Doorway to the Other World: Architectural Religious Symbolism in Iron Age Graves
in Scandinavia, in Temenos 45 (2009), p. 35.
9 S. Sturluson, Edda, edizione a cura di G. Dolfini, Milano 1975, p.89.
10 Il canzoniere eddico, edizione a cura di Piergiuseppe Scardigli, Milano 2009, p.87.
continuava a vivere nel suo sepolcro, laddove la cremazione invece sottendeva l’idea del
viaggio: nelle Gesta Danorum (VIII,V,1), Saxo narra che Harald Hildetand venne posto
sulla nave sia col proprio cavallo serrato, sia con un carro in modo tale che potesse
scegliere in che modo viaggiare verso il Valhǫll 11. Secondo Roesdahl12, le sepolture dei
fantini datate inizio e metà X secolo e rivenute soprattutto in Danimarca potevano essere
interpretate come la messa in pratica del credo in un’esistenza oltre la morte nel Valhǫll,
il quale era però limitato ai guerrieri, ma la stessa archeologia e soprattutto l’individualità
riscontrata nel comportamento mortuario13 smentirebbero la sua posizione. Secondo
Steinsland però le stesse fonti letterarie smentiscono l’idea che i differenti tipi di sepoltura
siano riconducibili a determinate concezioni della morte e dell’aldilà 14: nella Gìsla Saga
Súrssonar, Vestein venne interrato con un paio di hell-shoe ai piedi, ovvero un paio di
scarpe speciali per poter compiere il suo viaggio nell’oltretomba a piedi, nonostante fosse
stato inumato15. Anche la letteratura non sembrerebbe supportare una correlazione di
questo tipo16.
Infine la cristianizzazione causò l’adattamento delle antiche credenze alla nuova religione
rivelata: nonostante esistesse una qualche traccia di dimensione etica nell’aldilà
norreno17, i singoli iniziarono ad essere giudicati esclusivamente a seconda del
comportamento tenuto in vita così come i regni della morte cominciarono ad essere
classificati più rigidamente attribuendo loro le connotazioni tipiche di paradiso,
purgatorio e inferno per rendere meglio comprensibile alla popolazione i dogmi cattolici
e facilitare così la conversione.
La mitologia
La natura stessa della religione norrena portò ad una mancanza di organizzazione
sistematica tale da impedire lo sviluppo di una religione unitaria, così le idee riguardanti
11
S. Grammatico, Gesta dei re e degli eroi danesi, edizione a cura di L. Koch e M.A. Cipolla, Torino 1993, pp. 399400
12 E. Roesdahl, Pagan beliefs, Christian impact and Archeology- a danish View, in Viking Revaluations, Viking Society
Centenary Simposium, University College London 1993, p.131.
13 N. Price, Passing into Poetry: Viking-Age Mortuary Drama and the Origins of Norse Mithology.in Medieval
Archeology 54 (2010), p.124.
14 G. Steinsland, The change of religion in the Nordic Countries – a Confrontation between two living Religions, in
Collegium Medievale
15 Thorsson, Op. cit., p.516.
16
Major, Op. cit.
17 A. Hultgård, Óðinn , Valhǫll and the einherjar. Eschatological Myth and Ideology in the late Viking Period, in
Ideology and Power in the Viking and Middle Ages, Boston 2011,p.301.
la vita e la morte iniziarono a diversificarsi anche sensibilmente da un zona all’altra, da
un popolo ad un altro, e a provocarne lentamente la scomparsa. Tuttavia le popolazioni
scandinave si ritrovarono a condividere l’insieme di miti che si erano originati dalle
singole idee sulla vita e sugli dei, sebbene per alcuni non si trattasse di nient’altro che
intrattenimento18.
La mitologia corrisponde ad un insieme di miti che, richiamandosi alla cosmologia e
all’escatologia, si basano sugli archetipi offerti dalle narrazione dell’origine del mondo e
di natura e società così come dalle azioni di creature sovrumane, e si inseriscono nella
struttura intellettuale di una determinata cultura umana e vengono apprese dall’intera
comunità, per la quale diventano un punto di riferimento per un gran numero di
situazioni19. Così nacque la mitologia norrena nel tentativo di risolvere i misteri
dell’esistenza e della mente umana e di dare ordine alla mutevole percezione della realtà
e giustificazione all’inspiegabile attraverso figure ed attività sovrumane, ritrovandosi così
a trasporre la visione del mondo, le idee e i valori dei popoli nordici durante un periodo
storico caratterizzato dall’oralità e conseguentemente dalla più facile trasmissibilità dei
racconti rispetto a dei precetti religiosi. Il mito ebbe diverse funzioni: esso tentò di
spiegare le origini dell’universo e del genere umano attraverso la cosmogonia; servì da
modello per il comportamento sociale e rituale, il quale veniva fortemente influenzato
dalle attività degli dei; e funse da legittimazione per le istituzioni umane, le quali venivano
forgiate sul corrispettivo divino20. Il mito ebbe inoltre diversi contesti di trasmissione:
esso venne per lo più tramandato oralmente di generazione in generazione e talvolta si
affiancò ai rituali, ma in seguito venne drammatizzato e persino romanzato ed è proprio
così che è giunto fino alla nostra epoca. Nonostante il successivo abbandono del
politeismo a favore della conversione al cristianesimo, il corpus mitologico continuò ad
essere tramandato di generazione in generazione all’interno di alcune famiglie norvegesi
ed islandesi, le quali probabilmente si convertirono solo formalmente alla nuova fede o
semplicemente conservarono il proprio interesse per il passato e le tradizioni autoctone.
Tuttavia la vecchia religione e la mitologia ad essa connessa cominciarono lentamente ad
essere dimenticate, sia perché la chiesa continuava a screditarle, sia perché i giovani
18
H.R. Ellis Davidson, Gods and Myths of Northern Europe, London 1990, p.215.
M.C. Ross, The Creation of Old Norse Mythology, in The Viking World, Abigdon 2012,
p.231.
20 A. Hultgård, The Religion of the Viking, in The Viking World, Abigdon 2012, p.214.
19
crescevano e venivano educati esclusivamente secondo la fede cristiana. È solo nel 1200
circa che l’erudito Snorri Sturlusson decise che i tempi erano favorevoli alla stesura di
un’opera che, nonostante fosse pagana nel contenuto, poteva offrire a poeti ed intellettuali
una valida guida al linguaggio figurato poetico antico. L’Edda in prosa è una coerente
esposizione mitologica, sebbene l’influsso cristiano sia particolarmente evidente e il
paganesimo al suo interno presentato come religione naturale giustificabile ed
inquadrabile all’interno della tradizione intellettuale cristiana21. E resta una delle
pochissime opere letterarie native che costituisce il corpus sul quale si basa l’attuale
conoscenza del mito e conseguentemente della religione norrena antica, assieme all’Edda
poetica, alla poesia scaldica e alle saghe islandesi. Sebbene i miti sopravvissuti siano stati
rimaneggiati e reinterpretati dai poeti ed eruditi nel corso dei secoli, in realtà buona parte
del materiale è verosimilmente attribuibile alla tradizione autoctona, come risulta dal
riscontro con il contenuto delle iscrizioni runiche e delle immagini incise sulle pietre
commemorative.
La mitologia può permetterci di ricostruire, con l’ausilio dell’archeologia, le fasi della
cerimonia funebre, ma, con l’aiuto della letteratura, anche di trarre concetti più astratti,
quali sono le riflessioni sull’aldilà, sulla vita dopo la morte.
Ricostruendo il funerale vichingo
Laddove il rispetto per il defunto era generalmente considerata una peculiarità della
religiosità norrena, le attività connesse alla sua sepoltura variavano di zona in zona e col
passare del tempo. Per quanto i singoli dettagli potessero addirittura cambiare di famiglia
in famiglia, nel complesso il rito funebre distintamente vichingo si rifaceva al precetto
dettato da Óðinn e riportato da Snorri nell’Heimskringla: il dio intimava di cremare i
morti su un’imbarcazione, completamente vestiti e accompagnati da animali e talvolta
schiavi, ma soprattutto da un gran numero di beni, ai quali il morto avrebbe avuto accesso
nell’Oltretomba indipendentemente dal fatto che li avesse sotterrati precedentemente lui
stesso o che fossero stati scelti da altri e carbonizzati con lui; infine affermava che i resti
dovevano essere o gettati in mare o seppelliti nel terreno e, nel caso in cui il defunto fosse
una persona illustre, un tumulo di terra o un cumulo di pietre doveva venir eretto in suo
onore e affiancato da una pietra commemorativa.
21
M.C. Ross, Op. cit., p.233.
I rituali riguardanti la morte non sono altro che riti di passaggio riguardanti la
trasformazione dei vivi e dei morti attraverso una sequenza di attività rituali: il morto
acquista una nuova vita, un nuovo modo di essere.
Preparare il corpo
La prima fase del processo di sepoltura riguardava il trattamento del corpo esanime:
prendersi cura del morto ed eseguire le antiche usanze veniva percepito dai vivi come un
dovere, al punto che tutti i morti venivano trattati con rispetto, persino i nemici, ed anzi
chi veniva colto a mutilare un corpo morto veniva addirittura multato. Secondo quanto
riportato nel Sigrdrifumál (V.34), la prima cosa da fare era chiudere gli occhi e la bocca
e schiacciare le narici del defunto22, cerimonia che prendeva il nome di nabjargir e il cui
simbolismo poteva essere connesso sia con la pratica scaramantica di proteggersi
dall’influenza negativa del morto, sia con l’idea di unità tra corpo e anima, la cui unione
veniva resa possibile proprio impedendo che l’anima uscisse dal corpo; in seguito al
cadavere veniva fatto un bagno, lavate le mani e la testa e infine veniva asciugato e
pettinato. Secondo la Eidsivathing Law, il cadavere non doveva rimanere in casa per più
di cinque giorni, eccezion fatta per alcuni casi specifici (tempeste di neve e così via), per
i quali si richiedeva di creare un riparo per il cadavere esterno all’abitazione, il quale
doveva essere coperto con paglia o legna23, come narrato nella Egils Saga (LIX). Secondo
quanto riportato nella Grìsla Saga Súrssonar (XIV), il defunto poteva venire dotato di
speciali scarpe, dette hel-shoe, che sarebbero servite per il suo viaggio verso l’aldilà24, il
cui simbolismo poteva richiamare sia l’idea di un lungo e stancante viaggio dopo la morte
da compiere a piedi, sia la paura del ritorno del deceduto, della possibilità che senza
quest’ultime il defunto potesse perdersi e tornare per tormentare coloro che non avevano
rispettato l’antica usanza. Secondo invece quanto scritto da Ibn Fadlan, il cadavere veniva
collocato così com’era morto in una camera funeraria scavata appositamente e fornita di
una tettoia, dove il corpo veniva lasciato per nove giorni durante i preparativi per il suo
funerale, che consistevano nella cucitura degli abiti, nell’allestimento della nave e
nell’acquisto di bibite alcoliche per la festa in suo onore, dopodiché veniva recuperato,
cambiato d’abito e portato sul luogo della cerimonia funebre25. Altrettanto importante era
22
Scardigli, Op. cit., p.225.
The Sagas of Icelanders: a selection, traduzione a cura di Ö. Thorsson, New York 2000, p.108.
24 Thorsson, Op. cit., p.516.
25 J. E. Montgomery, Ibn Fadlan and the Rūsiyyah, Journal of Arabic and Islamic Studies 3 (2000), p.13.
23
rispettare gli ultimi desideri espressi dal defunto prima di spirare, come viene riportato
nella Eyrbyggja Saga (LI), nella quale þorgunna comunicò i lasciti destinati a diverse
persone e ordinò che il suo letto e le lenzuola venissero bruciate, altrimenti grandi
sventure si sarebbero riversate su coloro i quali avessero ignorato l’antica usanza 26. Nel
caso in cui il defunto fosse stato in vita una persona dal carattere fiero e rabbioso oppure
avesse subito una morte improvvisa o violenta, le procedure da seguire erano ancor più
complesse: colui che si occupava di eseguire il cerimoniale, di solito un parente stretto,
non doveva avvicinarsi al corpo passando davanti quest’ultimo, ma da dietro, e doveva
chiudere gli occhi prima che i suoi aiutanti potessero avvicinarsi per procedere alla
preparazione del funerale. In questo caso, il defunto non veniva fatto uscire di casa dalla
porta per evitare che potesse ritrovare la strada di casa, ma veniva praticato un foro nella
parete dietro il cadavere e da lì trasportato fuori e poi sul luogo della cerimonia con la
testa rivolta verso nord e il corpo girato verso il basso per confonderlo nel caso in cui si
fosse rivelato essere un draugr, ovvero un corpo animato. Se il draugr, o meglio
uppsitjendr27, avesse dimostrato di essere tale già durante il tragitto, poteva essere o
decapitato o bruciato in loco, come nel caso di una strega nella Flóamanna Saga (XIII)28:
il fuoco sembrerebbe svolgere una funzione diversa per i corpi animati rispetto a quella
per un funerale qualsiasi, ovvero separava il morto dal mondo dei vivi, spezzava tutti i
ponti presenti tra le due dimensioni. Nonostante la paura che i morti incutevano, si
credeva che il rispetto per il defunto e per le antiche usanze avrebbe protetto la comunità
dalla malvagità dei draugr e avrebbero garantito loro l’aiuto e la protezione dei forfaðir,
gli antenati.
Scegliere il tipo di sepoltura
La distinzione tra cremazione e inumazione è indispensabile non solo per una più accurata
analisi delle scoperte archeologiche nelle zone di insediamento di queste popolazioni, ma
26 H.R. Ellis Davidson, The Road to Hel. A study of the Conception of the Dead in Old Norse Literature, New York
1968, p.95.
27 F. Guerrero nel suo saggio Stranded in Midgadr. Draugar Folklore definisce il termine Draugr un nome collettivo, il
quale descriveva creature dai diversi attributi raggruppabili in quattro diversi gruppi: coloro che risiedevano nelle
camere funebri o haug-búi, coloro che ritornavano solo per un breve periodo di tempo e avevano la possibilità di
comunicare con gli umani o uppsitjendr, coloro che che apparivano soltanto senza interagire con gli umani o fyrirburðir e infine coloro che interagivano con gli umani in maniera aggressiva, infestando le abitazioni o addirittura
uccidendo bestiame e umani, o aptrgǫngur
28 Ellis Davidson, The Road to Hel, p.95.
anche per una migliore comprensione delle religiosità che li sottende e, nel caso di Snorri,
per un più veritiero resoconto storico. Nel prologo della Heimskringla, egli scrive:
“Hin fyrsta öld er kölluð brunaöld; þá skyldi brenna alla dauða menn ok reisa eptir bautasteina.
En síðan er Freyr hafði heygðr verit at Upsölum, þá gerðu margir höfðingjar eigi síðr hauga en
bautasteina til minningar eptir frændr sína. En síðan er Danr hinn mikilláti Danakonungr lét sér
haug gera, ok bauð sik þangat bera dauðan með konungs skrúði ok herbúnaði, ok hest hans með
söðulreiði ok mikit fé annat, en hans ættmenn gerðu margir svá síðan, ok hófst þar haugsöld í
Danmörk. En lengi síðan hélzt brunaöld með Svíum ok Norðmönnum 29”
La più comune modalità di disporre dei morti era la cremazione, la quale consisteva nel
carbonizzare il cadavere, spesso assieme al corredo funebre e all’imbarcazione, e nel
disperdere in mare o seppellire sottoterra le ceneri. L’incinerazione del corpo è
particolarmente presente nei poemi e seguiva il precetto dettato da Óðinn, secondo il
quale i cadaveri dovevano essere cremati, indipendentemente dal fatto che le ceneri
venissero sparse sul mare o interrate. Qualora la sepoltura riguardasse figure leggendarie
e divine, essa seguiva quasi alla lettera i dettami divini e si dispiegava in tutta la sua
magnificenza nei poemi e nei racconti mitologici, come nel caso della Sigurðarkviða in
Skamma30 (V 68) e della Volsunga Saga 31(XXXI), nella quale Sigurð e Brynhild vennero
posti su una pira separati da una spada e dati alle fiamme, e della Gylfaginning (XLIX),
nella quale Baldr venne adagiato sulla sua nave, Hringhorni, e affiancato dalla moglie
Nanna, morta di dolore, per poi scomparire tra le fiamme32. L’incinerazione era presente
anche in un’antica saga norrena e incentrata sull’antica dinastia danese, ovvero quella del
Beowulf: nella versione latina della Skjöldungar Saga si trova il resoconto della morte su
una nave infuocata. La cremazione venne anche riscontrata nei resoconti storici
riguardanti le dinastie reali danese e svedese, alla quale apparterrebbe la figura quasi
leggendaria di Óðinn che, secondo Snorri, avrebbe anzi introdotto il proprio culto e la
S. Sturluson, Heimskringla I, edizione a cura di N. Linder e H. A. Haggson, Uppsala (1869–72): “La prima epoca è
chiamata l'Età della Cremazione. A quel tempo tutte le persone morte dovevano essere bruciate e pietre commemorative
innalzate per loro, ma dopo che Freyr venne interrato in un tumulo a Uppsala, molti governanti eressero tumuli così
come pietre commemorative in memoria dei loro parenti. Ma dopo che Dan l’Arrogante, re dei danesi, fece costruire
un tumulo per sé e ordinò che egli venisse portato al suo interno una volta morto con i suoi abiti reali e l’armatura e il
suo cavallo con tutta la sua attrezzatura per la sellatura e molti altri beni, e molte persone della sua linea di successione
fecero in seguito lo stesso, quindi l’Età dell’Interramento cominciò lì in Danimarca, anche se l'età della cremazione
continuò molto tempo dopo tra gli Svedesi e i Norvegesi” traduzione mia basata sull’edizione inglese dell’opera di
Sturlusson, Heimskringla I, traduzione a cura di A. Finlay e A. Faulkes, Exeter 2011,p.3.
30
Scardigli, Op. cit., p.254.
31 Koch, Op. cit., p.213.
32 Sturluson, Op. cit., p. 112.
29
pratica della cremazione nella Svezia meridionale: nella Ynglinga Saga (IX) si narra che
Óðinn fosse morto nel suo letto e, dopo essere stato marchiato con la punta di una lancia,
fosse arso su una pira funebre33.
La modalità più insolita di occuparsi dei morti al tempo dei vichinghi era l’inumazione,
la quale consisteva nel deporre il corpo intatto nella terra e nel seppellirlo insieme al
corredo. La tumulazione del corpo era l’unica usanza contemplata nelle saghe islandesi,
secondo le quali i morti erano solitamente seppelliti assieme ai propri beni e talvolta con
un cavallo sacrificato per tenere loro compagnia oppure posti a bordo di una barca e poi
interrati al di sotto di un tumulo di terra, il quale svolgeva allo stesso tempo la funzione
commemorativa tanto cara alle popolazioni scandinave, seppur, occasionalmente, le
tombe potevano presentarsi piatte. Qualora la tipologia di sepoltura esulasse dalle
convenzioni, essa veniva accuratamente descritta e considerata un caso a parte: i criminali
venivano puniti brutalmente, nello specifico potevano essere o lapidati o affogati o
carbonizzati, come nel caso della Laxdœla Saga (XXXVII- XXXVIII), nella quale
un’intera famiglia di stregoni venne sterminata, o meglio i genitori, Kotkel e Grìma, ed
uno dei due figli, Stìgandi, vennero lapidati e seppelliti34, invece l’altro, Hallbjörn, venne
gettato in mare con una pietra legata al collo 35; invece i corpi animati o draugr venivano
cremati per impedire che potessero ritornare e turbare i vivi, come nel caso della
Eyrbyggja Saga (XXXIII-LXIII), nella quale þorólfr Bægifótr venne dapprima ricoperto
da grosse pietre, ma in seguito cremato per porre definitivamente fine ai suoi tormenti 36.
L’inumazione era la pratica maggiormente riscontrata anche nei resoconti storici
concernenti la dinastia reale norvegese: sebbene gli scavi archeologici rivelino che la
cremazione fu spesso adottata fino alla fine dell’epoca pagana, la pratica cominciò
verosimilmente a scomparire presso le coste occidentali della Norvegia molto prima, il
che ostacolò il suo arrivo e diffusione in Islanda.
Predisporre la tomba
La fase intermedia consisteva nell’organizzare il funerale e nel predisporre il luogo in cui
il defunto sarebbe stato sistemato.
33
Sturluson, Heimskringla I, p. 13.
Thorsson, Op. cit., p.341-343.
35 Thorsson, Op. cit., p.341.
36
Ellis Davidson, The Road to Hel, p.93
34
La tomba veniva considerata principalmente come la dimora del morto, il luogo in cui il
defunto avrebbe continuato la sua vita, oppure anche come l’entrata, la soglia attraverso
la quale raggiungere l’Oltrertomba: gli scaldi utilizzano spesso eufemismi quali dauðra
dura, ovvero porte del defunto, o heljar grindr, ovvero i cancelli del regno della morte,
per riferirsi alla tomba, ma l’esempio più suggestivo è quello contenuto nella
Sonatorrek37, quando Egil usa l’appellativo di nautdýrr38, ovvero la porta del rimessa, nel
componimento in onore dei suoi due figli morti, appellativo il quale unisce l’idea della
soglia al mezzo di trasporto preferito dai vichinghi, la nave 39. Tuttavia ciò che
maggiormente caratterizza la tomba vichinga era il suo trasformarsi spesso in luogo di
culto o di politica di potere, presso il quale si svolgevano attività non prettamente legati
alla morte della persona ivi seppellita, ma rivolti a tutti gli antenati e ai viventi facenti
parte della comunità. Si potrebbe tranquillamente affermare che i vivi avessero bisogno
dei morti almeno quanto i morti avessero bisogno dei vivi. Le necropoli diventarono così
luoghi in cui si andava non solo in occasione dei funerali, ma anche per reiterare il
rapporto esistente con la comunità degli scomparsi facilitato da caratteristiche quali la
posizione dominante sul paesaggio circostante, l’atmosfera creata attraverso luci, suoni
ed odori che rendevano le iterazioni attive attraverso il contatto fisico con i resti umani e
con il corredo, oppure per modificarlo ed adattarlo anzi alle esigenze del tempo: un
esempio valido per entrambi i casi è la nave di Oseberg, la cui camera funeraria restò
accessibile così come il ponte di prua per permettere ai congiunti di visitare il morto e di
svolgere sul ponte cerimonie religiose 40 e la quale venne, non molto tempo dopo il
completo interramento, riaperta e dissacrata per permettere al nuovo sovrano, Harald
Bluetooth, di esercitare il proprio controllo41. La funzione religiosa che la tomba poteva
rivestire non era quindi meno importante di quella politica, visto che la legittimazione
politica di un erede passava attraverso il suo occuparsi della tomba del defunto e il suo
eseguire i rituali legati al banchetto funebre così come la delegittimazione politica del
passato e l’istaurazione di un nuovo dominio passavano attraverso la dissacrazione dei
tumuli e dei sepolcri.
37
Si tratta di un componimento poetico scaldico in 25 stanze contenuto nel capitolo LXXVIII della Egils Saga, in
Thorsson, Op. cit., pp. 152-158.
38 Thorsson, Op. cit., p.152.
39
Nordberg,, Op. cit., p. 36.
40 L. Gardeła, Worshipping the dead: Viking Age cemeteries as cult sites? ,in Germanische Kultorte 24 (2009), p. 192.
41 Gardeła, Op. cit., pp. 193-194.
Ritornando alla tomba in quanto tale, essa veniva solitamente collocata nei pressi del
luogo in cui il defunto aveva perso la vita o vicino alla propria abitazione: nelle Eyrbyggia
Saga (XXXIII), Þórólfr Bægifótr venne inizialmente seppellito vicino alla propria tenuta;
nella Laxdæla Saga(XVII), Hrappr venne addirittura posto, com’era suo desiderio, al di
sotto della porta di ingresso del soggiorno 42. Ma non sempre ciò avveniva: nella
Eyrbyggia Saga (XXXIV), il corpo di Þórólfr viene spostato su un promontorio, scelto
anche da Egil per seppellire il padre43 nella Egils Saga (LIX); nella RisƩla, la cremazione
del capo dell’insediamento avvenne vicino alla riva di un fiume44; nel Beowulf, il re
danese Scyld venne affidato al mare assieme alla sua imbarcazione 45, mentre la
cremazione di Beowulf venne eseguita su un monte46.
Un elemento importante era la forma della tomba, la quale poteva essere circolare, ovale,
triangolare o ancora poteva avere la forma di un’imbarcazione, la cui varietà era possibile
perché per lo più tali forme venivano tracciate sul terreno attraverso l’uso di pietre. Inoltre
la tomba poteva essere ricoperta da uno strato piatto di terra o presentare un tumulo di
terra o una pila di pietre al di sopra, pratiche che vennero registrate in un’interdizione 47
menzionata nel The Church Law, come prettamente pagane: un esempio sono le sepolture
presenti nelle zone di insediamento scandinave delle isole britanniche, le quali potevano
presentarsi rettangolari con il corpo del defunto disteso al suo interno oppure ovali con il
corpo del defunto accovacciato o ancora circondate da pietre che formavano il perimetro
di un’imbarcazione. Altri elementi significativi erano la grandezza della tomba così come
i beni collocati al suo interno, i quali dipendevano soprattutto dalla famiglia di
appartenenza e dallo status sociale. Un ultimo elemento, ma non meno importante, era
l’orientamento della tomba stessa. Per distinguere le sepolture pagane da quelle cristiane
gli studiosi hanno preso in riferimento l’orientamento, essendo le tombe appartenenti alla
fase di passaggio dal politeismo norreno alla monoteismo cristiano ancora molto simili:
le tumulazioni pagane avevano per lo più un orientamento nord-est con la testa del
cadavere rivolta verso il nord 48, la cui direzione era riconducibile a quella suggerita a
42
Ö. Thorsson, op. cit., p.297.
Ö. Thorsson, op. cit., p.108.
44 J.E. Montgomery, op. cit., p.15.
45 Beowulf, edizione a cura di L. Kohl, Torino 2005, pp.4-5.
46 Beowulf, pp.264-265.
47
L.M. Larson, The Church Law, in The Earliest Norwegian Laws, New Jersey 2008, p.51-52.
48 Shetelig scoprì che nella regione occidentale la maggior parte degli scheletri giaceva con la testa verso nord, mentre
invece nella regione interna la procedura usuale consisteva nel orientare gli scheletri verso ovest, finché non è stato
43
Hermóðr per raggiungere il regno di Hel nell’Edda di Snorri; ma con l’arrivo del
cristianesimo le tombe iniziarono ad avere un orientamento ovest-est ed il cadavere ad
essere rivolto verso est, la direzione da cui si supponeva sarebbe apparso Cristo nel giorno
del Giudizio Universale. Tuttavia il posizionamento della sepoltura e del cadavere erano
soggetti ad una varietà tale da non poter ridurre il criterio di scelta di quest’ultimo ad una
ben determinata convinzione riguardo la vita nell’aldilà.
Onorare e Commemorare il defunto
La fase conclusiva della cerimonia funebre contemplava un banchetto commemorativo,
il quale risultava essere importante per i defunti tanto quanto lo era per i vivi, perché era
proprio durante queste cerimonie che i vivi si assicuravano il favore e l’aiuto del defunto
così come la continuità della stirpe attraverso l’assegnazione effettiva dell’eredità al figlio
ed in più, nel caso dei funerali regali, la stabilità politica attraverso il passaggio del titolo
regio al successore.
La cerimonia funebre poteva tenersi immediatamente dopo che il corpo veniva posto nel
tumulo, come nei casi presenti nella Gìsla Saga (XIV, XVII e XVIII), o addirittura mesi
dopo il decesso, ma non veniva più celebrata dopo un anno dal decesso, ed era solitamente
organizzata dal figlio o dal fratello del defunto, o comunque dal parente maschio più
stretto. Secondo quanto narrato da Ibn Fadlan, in realtà parte dei preparativi venivano
affidati ad una figura misteriosa, l’Angelo della Morte, la quale sovraintendeva alla
cucitura degli abiti del defunto e alla disposizione dei suoi beni all’interno della nave 49
ed eseguiva il sacrificio della serva all’interno di una tenda presente sull’imbarcazione
stessa, mentre il resto della cerimonia veniva curato dai familiari. Il banchetto funebre in
generale manifestava la sua dimensione politica soprattutto nel caso in cui a morire fosse
un re o un capo, perché era proprio durante la fase conclusiva della cerimonia che
avveniva il passaggio del titolo regio, dando risonanza politica all’importanza già insita
nel rito funebre in quanto “culto”. Sia nella Ynglinga Saga (XXVI) che nella Fagrskringla
(XXIX), viene descritto il tipico banchetto funebre (erfi), durante il quale il successore
doveva offrire brindisi commemorativo ai suo commensali (full e minni) e svolgeva un
ruolo importante nel panorama sociale norreno in quanto inaurava gli eventi più
adottato l’orientamento cristiano nei secoli X e XI. Per ulteriori approfondimenti vedi H. Shetelig e H. Falk,
Scandinavian Archeology, New York (1978).
49 J.E. Montgomery, op. cit., p.15.
importanti della comunità, e soltanto dopo aver giurato, seguito dai suoi commensali, e
bevuto da una coppa che prendeva il nome di bragafull avrebbe acquisito il diritto
all’eredità50. Secondo quanto riferito da Ibn Fadlan, un terzo dell’eredità era destinato
all’acquisto di bevande alcoliche, le quali venivano consumate sia dalla schiava offertasi
per morire col suo padrone, sia dai commensali. La bevuta rituale mostrava la sua
dimensione sociale nel riunire la comunità e nel legittimare un successore così come la
sua dimensione religiosa nella libagione, ovvero l’offerta rituale di bevande da parte dei
vivi per gli antenati e per le divinità assieme agli alimenti e ai sacrifici eseguiti in loro
onore, il cui l’obbiettivo principale era mantenere vivo il contatto con l’altro mondo,
rendendo omaggio al singolo in quanto membro della famiglia e residente dell’oltretomba
ed attraverso di lui all’intera comunità di umani ed esseri soprannaturali.
In onore del morto potevano inoltre essere recitati poemi: nella Egils Saga (LXXIX)
venne reclamato un poema al funerale dei figli di Egil51 dallo stesso, anche se a livello
contenutistico sembrerebbe più influenzato dall’idea cristiana di immortalità che da una
tradizione autoctona; nella Hákonar Saga Góða (XXXII) viene narrato durante il funerale
del re che era uso antico dei congiunti parlare al defunto per far sì che questo raggiungesse
il Valhǫll52.
Per mantenere viva la memoria di un defunto il quale si era distinto in vita per il coraggio,
potevano essere innalzati enormi cumulo di terra o radunate grandi pile di pietre, i quali
svolgevano la funzione di promemoria per i discendenti e di monumento commemorativo
per tutti gli altri, e talvolta veniva oltretutto collocata al di sopra o accanto quest’ultimi
una bautasten, ovvero una pietra commemorativa, la cui grandezza era commisurata
all’importanza del defunto e la cui rilevanza era data proprio dalle iscrizioni runiche,
talvolta accompagnate da disegni. Secondo quanto narra Ibn Fadlan, l’iscrizione eseguita
su un pezzo di legno di betulla del nome del defunto capo e del re dei Rus non presenta
alcun riferimento alla serva cremata con lui 53, il che fa ritenere che anche le pietre
commemorative fossero nella maggior parte dei casi rivolte a soggetti di sesso maschile.
50
C. Riseley, Ceremonial Drinking in the Viking Age, tesi non pubblicata ( Università di Oslo 2014), p.1316. Disponibile al seguente link: https://www.duo.uio.no/bitstream/handle/10852/40697/RiseleyMaster.pdf?sequence=1
51
Ö. Thorsson, op. cit., pp.152.158.
H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.60.
53 J.E. Montgomery, op. cit., p.21.
52
Si trattava comunque di un’usanza già conosciuta e praticata da molto prima dell’inizio
dell’età vichinga che si consolidò con la cristianizzazione per l’evidente similitudine con
le lapidi. Talvolta venivano invece usate più pietre per riprodurre al di sopra del tumulo
il profilo di un’imbarcazione, la quale non sembrava avere un orientamento specifico, ma
poteva essere riempita da altre pietre o presentarne alcune al posto dell’albero maestro.
Riflettendo sull’Aldilà
Laddove le speculazioni relative alla vita futura del defunto sono numerose e variegate,
la concezione dell’Oltretomba era riconducibile a due principali considerazioni
precedentemente citate: una, rivolta a persone di diversi ceti sociali, era incentrata
sull’idea della sopravvivenza dentro la camera funeraria, nella quale il defunto viveva
come fosse a casa sua; l’altra, relativa per lo più a sovrani e figure di spicco della società,
era invece basata sull’ipotesi di un viaggio per giungere ad uno dei tanti regni e
sull’accoglienza temporanea da parte del dio in questione in attesa del Ragnarǫk. In alcuni
casi le due diverse concezioni sembravano sovrapporsi ed originare un’ulteriore teoria,
secondo la quale ad una momentanea permanenza nella camera momentanea seguisse il
viaggio verso uno dei regni della morte, dal quale gli avi potevano fare ritorno in
occasione dei principali rituali che scandivano l’anno.
La camera funeraria
La più intima e concettualmente antica idea di aldilà consisteva nella sopravvivenza
dell’individuo all’interno della camera funeraria. La camera funeraria era una sorta di
stanza semi-interrata, la quale a volte poteva essere così grande da rassomigliare ad una
casa: essa era solitamente costruita con tavole di legno o direttamente con dei tronchi, i
quali servivano sia per le pareti che per la soffitta ed il pavimento, e infine coperta da un
tumulo di terra54: al suo interno veniva creata l’illusione della vita che continuava, del
defunto che viveva al suo interno, posizionandolo in un determinato modo e
procurandogli delle provviste e i più svariati oggetti, quali armi per difendersi e giochi o
altri umani per intrattenersi55.
54
Sulle possibili funzioni del tumulo presso i popoli scandinavi vedi H.R. Ellis, Op. cit., p. 110-111
descrizioni del tumulo nella letteratura e nell’archeologia tendono a coincidere, soprattutto nel caso in cui le saghe
prese in considerazione per il confronto vertono sullo scontro con un draugr: nella Grettis Saga Ásmudarsonar viene
riscontrata la presenza di un soffitto di legno; nella stessa Saga e nelle Brennu-Njáls Saga, Harðer Saga e Egils Saga il
defunto è sepolto in posizione seduta, spesso su una sedia; nella Harðer Saga il defunto è seppellito con alcune armi,
in particolare la sua spada, mentre nella Grettis Saga Ásmudarsonar e nella Egils Saga con alcuni animali, tra cui cavalli,
un cane e un falco, e addirittura nella Saga di Egil con umani; in tutte le saghe precedentemente elencate e in molti altri
55 Le
Da un punto di vista archeologico, la deposizione del morto in una camera funeraria è una
delle tante varianti di sepoltura proprie delle zone scandinave, delle quali rappresenta solo
una piccola percentuale sia nell’entroterra che nelle zone costiere, e conseguentemente
non sembra rappresentare un fenomeno locale, bensì generalizzato e praticato presso
popoli molto distanti e diversi tra loro. Un esempio può essere la camera funeraria in
legno costruita sulla coperta della nave di Oseberg, la quale venne inizialmente coperta
dal tumulo solo in parte, in modo tale da consentire l’accesso sia al ponte di prua che alla
camera, affinché i congiunti potessero visitare il morto e avallare così l’illusione di vita56
al suo interno (la quale veniva ricreata dalla presenza di tre strutture triangolari riempite
di carbone che richiamavano alla mente le fiamme presenti presso i tumuli di Gunnarr
nella Brennu-Njáls Saga (LXXVIII) o di Kárr nella Grettis Saga Ásmundarsonar
(XVIII)57 ), ma anche di svolgere riti religiosi sul ponte fin quando non venne posta fine
alla prolungata cerimonia funebre con l’interramento dell’intera imbarcazione, i cui
successivi tentativi di riapertura vennero classificati come tentativi violenti di
intrusione58, benché sembrassero quasi legittimati dalle numerose saghe. Dal punto di
vista letterario, le saghe possono ritrarre il defunto riposare o aggirarsi quieto presso il
suo tumulo, come nel caso di Gunnarr nella Brennu-Njáls Saga (LXXVIII), il quale venne
scoperto osservare lieto la luna59, oppure possono descrivere l’interruzione di tale quiete
a causa dell’interferenza dei vivi o di un convivente molesto, come nei casi dell’eremita
celtico-cristiano Asólfr, il quale apparve in sogno ad una ragazza che era solita pulirsi i
piedi sul suo tumulo mentre portava il gregge al pascolo 60, e di Ásmundr, il quale insistette
per la rimozione del servo che aveva deciso di morire con lui61, entrambi contenuti nel
Landnámabók. Tuttavia l’incontro/scontro con un draugr, il corpo animato, era tipico
delle storie in cui un uomo vivo irrompeva in un tumulo per appropriarsi del tesoro in
esso seppellito ed era costretto ad affrontare il morto al suo interno prima che potesse
fuggire con il bottino oppure delle storie in cui il tumulo non riusciva a contenere il potere
casi, il defunto è tendenzialmente di sesso maschile. Per ulteriori approfondimenti vedi L. Gardeła, Dead or Alive?“Chamber Graves” and their inhabitants in the Old Norse literature and Viking-age archeology, in Scandinavian
Culture in Medieval Poland, Wrocław 2013, p.385.
56 Sulla natura teatrale della cerimonia funebre e del sepolcro vedi T. Gunnell, The origins of Drama in Scandinavia,
Brewer 1995.
57 Gardeła, Op. cit., p.386.
58 Vedi J. Bill and A. Daly, The Plundering of the Ship Graves from Oseberg and Gokstad: An Example of power
Politics?, in Antiquity 86 (2012), p.815.
59
Ellis Davidson, Op. cit., p.91.
60 Ellis Davidson, Op. cit., p92.
61 Ellis Davidson, Op. cit., p.57.
sovrumano acquisito e il feroce desiderio di distruzione del draugr, il quale si avventurava
fuori dal sepolcro per infestare le zone adiacenti alla sua tomba ed addirittura massacrare
le creature viventi che trovava sul suo cammino: nella Eyrbyggja Saga (XXXIV e LXIII),
Þórólfr Bægifótr morì durante un attacco d’ira ed iniziò a spaventare ed a far impazzire
tutti coloro i quali vivevano nella sua fattoria e in seguito anche ad uccidere uomini e
bestiame, costringendo il figlio Arnkell, il quale egli temeva più di chiunque altro, a
disseppellirlo e spostarlo su un promontorio isolato, ma con la sua morte egli riprese ad
infestare ed uccidere i viventi, finché un uomo coraggioso scovò la sua nuova tomba e
diede il suo cadavere alle fiamme, pagando con la propria vita; nella Grettis Saga (XXXII
e XXXV), il pastore Glamr venne ucciso da una creatura misteriosa e seppellito sul posto
perché divenne impossibile spostarlo, ma cominciò anche lui a tormentare ed uccidere
uomini ed animali, finché, durante un combattimento all’interno del suo tumulo, non gli
venne tagliata la testa62. Il motivo dell’intrusione veniva a volte connesso con quello della
battaglia senza fine propria del Valhǫll: nel Flateyjarbók Þorsteinn Uxafótr venne invitato
dal defunto ad entrare nel proprio sepolcro e si ritrovò in mezzo ad uno scontro tra due
gruppi di dodici uomini ciascuno, il primo capeggiato da uomini buoni vestiti di rosso e
il secondo da uomini cattivi vestiti di nero, i quali non riuscivano a ferirsi tra loro, ma
soffrivano solo i colpi del protagonista, il quale riuscì a porre definitivamente fine
all’eterno scontro tra le due fazioni63.
I regni della morte
Il Valhǫll o regno di Óðinn
Il Valhǫll, ovvero la sala per i guerrieri caduti in battaglia, era un regno connesso con
l’idea della guerra e con il culto di Óðinn e destinato all’aristocrazia e ai guerrieri: solo i
migliori combattenti venivano accolti dal dio, il quale sceglieva ogni giorno chi doveva
morire per poter unirsi a lui e spediva le valchirie sul campo di battaglia per accoglierli:
nel Grímnismal (V. 14) si narra che in realtà fosse Freja a selezionare la metà dei caduti
da portare con sé64 così come nella Gylfaginning (XXXVI) si racconta che in realtà
fossero le valchirie stesse a scegliere coloro che sarebbero morti in battaglia 65. Nel
Grímnismal (V. da 8 a 10), si narra inoltre che il Valhǫll fosse la quinta dimora presso
62
63
Ellis Davidson, Op. cit., pp.93-94.
Óláfs Saga Tryggvason. 1, 206, pp. 253
64 Scardigli, Op. cit., p. 62.
65 Sturluson, Op. cit., p.87.
Gladsheim, la quale era riconoscibile per il suo soffitto sorretto da lance, i muri adorni di
scudi, le panche fatte di corazze e le 540 porte, dalle quali sarebbero dovuti uscire i
guerrieri al sopraggiungere dell’ultima grande battaglia, il Ragnarǫk, per scagliarsi contro
Fenrir, e che fosse presieduta da un lupo che penzolava sull’ingresso occidentale e da
un’aquila che vigilava su di lui66. I morti in battaglia, gli Einherjar, continuavano la
propria esistenza post-morte raccogliendosi ogni giorno nella sala del dio e combattendo,
in modo tale da poter essere pronti per il Ragnarǫk; ma alla sera si fermavano e
prendevano parte al grande banchetto presieduto dal dio, per il quale ogni giorno il cuoco
Andhrimnir cucinava, il cinghiale Sæhrimnir offriva la propria carne e la capra Heidrun
il proprio idromele67. Il Valhǫll veniva presentato come una sorta di paradiso e come un
premio per coloro i quali avevano perseguito la guerra in vita: continuare la propria
esistenza nel Valhǫll era considerato un onore, nonostante Óðinn facesse in modo che
coloro i quali erano destinati a vincere perdessero la battaglia e morissero per averli nel
suo seguito. La morte non era comunque priva di senso, perché i caduti avrebbero potuto
così aiutare gli dei.
Il regno di Hel
Il regno di Hel è un regno della morte sotterraneo e collettivo, ma privo di senso della
comunità: non veniva visto come un luogo nel quale i familiari si sarebbero ritrovati dopo
la morte, ma come un luogo in cui l’esistenza sarebbe continuata individualmente. Nella
Gylfaginning (XXXIV), Hel viene descritta come una gigantessa dalla carnagione in parte
livida ed in parte color carne e presentata come la terza figlia di Loki, la quale venne
scagliata per questo motivo dagli dei nel Niflheim, e come la signora dei nove regni, nei
quali doveva ricevere tutti coloro che morivano di malattia o di vecchiaia68. Il regno di
Hel veniva invece rappresentato come un regno lontano, difficile da raggiungere, in
quanto bisognava dapprima attraversare un fiume sul ponte d’oro Gjöll, il quale separava
il mondo dei vivi dal regno di Hel e veniva sorvegliato dalla vergine Módhgudhr, poi
procedere verso il basso e verso nord, incontrando il segugio di Hel, Garm, il quale
aggrediva i viaggiatori con le sue fauci insanguinate, e infine il cancello del suo regno, le
cui inferiate si richiudevano alle spalle del defunto senza più aprirsi69. Il regno di Hel
66
Scardigli, Op. cit., pp. 61-62.
67
68
69
Sturluson, Op. cit., pp. 80-81.
Sturluson, Op. cit., p.113.
veniva descritto in maniera così negativa nell’Edda in prosa da non coincidere con
l’immagine che di quest’ultimo avevano i vichinghi: nella sua Edda, Snorri si lasciò
suggestionare dal cristianesimo e tentò di adattare quest’ultimo alla rappresentazione
dell’inferno cristiano, riducendolo in luogo di assegnazione di premi e punizioni 70;
eppure, nel Baldr Draumar (V 6), Hel veniva rappresentato come un luogo accogliente
con la sala già pronta ad accogliere Baldr, la quale presentava al suo interno pareti dorate
e panche ornate di bracciali71. Nelle Gesta Danorum (III,III, 7), Saxo scrisse che Baldr
avesse sognato una figura femminile che presenta le stesse caratteristiche di Hel (anche
se la identificò con Proserpina), la quale lo invitava a seguirla ed unirsi a lui72: la morte
viene presentata qui come un’esperienza erotica, quasi un matrimonio tra il defunto ed
una figura del mondo delle tenebre, che ritorna nell’unione di amore e morte propria di
un’altra divinità, Freja.
Gli altri regni
Che l’amore e la morte si intrecciassero creando un’unità inscindibile non era una novità,
in quanto richiamava alla mente il fatto che esistesse un ciclo naturale della vita, o meglio
che si verificasse un eterno ripetersi di nascita, morte e rinascita: la percezione di tale
unità era resa ancor più evidente da una delle divinità pagane, Freja, la quale non era solo
la dea dell’amore e della fertilità, ma anche della morte. Nel Grímnismál (V 14) si narra
che ella selezionasse assieme ad Óðinn metà dei guerrieri caduti in battaglia per portarli
con sé e accoglierli nella propria sala, Folkvang 73. Ma la tradizione delle divinità
femminili della morte era consistente e non contemplava solo Hel e Freja, ma molte altre
dee. Gefion, la dea della castità, accoglieva nel suo seguito le donne morte vergini: nella
Flateyjarbók viene invocata da una ragazza che si opponeva al culto fallico praticato dal
resto della sua famiglia. Anche Rán, la moglie del dio del mare Ægir, accoglieva presso
il suo regno i morti in mare durante le spedizioni o le battaglie (addirittura si pensava
stesse radunando un’armata per scontrarsi con Óðinn durante il Ragnarǫk): nella
Eyrbyggja Saga (LIV) un gruppo di persone morte in mare prese parte al proprio funerale,
70 È significativo come il regno di Hel venne associato dai missionari cristiani con l’inferno e venne ad assumere un
nuovo significato, dominato dal dualismo punizione/premio tipica della religione cristiana. Per ulteriori
approfondimenti vedi G. Steinsland, Antropological and Escatological Ideas in pre-Christian Norse Religion, in
Collegium Medievale 1, p.182.
71
72
73
Grammatico, Op.cit., p.136.
Scardigli, Op. cit., p.62.
fatto che veniva considerato di buon auspicio perché implicava che fossero stati ben
accolti dalla divinità74; nella Fridþjófs Saga (VI) il capo di un equipaggio destinato a
morire nella tempesta decise di distribuire l’oro che avevano con sé 75, così da poterlo
mostrare ed essere accolti da Ran76.
Nel Landnámabók e nella Eybryggja Saga si racconta invece di Helgafell, ovvero la
montagna sacra, la quale rappresentava un altro regno della morte collettivo collocato
oltre i limiti spaziali del sepolcro (anche se apparentemente più concreto degli altri) e
strettamente legato all’ambiente locale e al credo di poche famiglie. Helgafell era per lo
più la dimora degli uomini che l’avevano consacrata e che ritenevano sarebbero continuati
a vivere nel medesimo modo al suo interno, dal quale potevano facilmente tenere d’occhio
la propria fattoria e le attività svolte dai congiunti: nella Eybryggja Saga (XI) il pastore
di Þorsteinn Þorskabítr, figlio di Þórólfr Mostrarskegg, assistette, guardando in direzione
della montagna e sentendo rumori provenire da quest’ultima, ai festeggiamenti per
l’arrivo di Þorsteinn e del suo equipaggio, i quali erano partiti per una spedizione in mare
e non erano più tornati77; nel Landnàmabòk la cattolica Auðr contrassegnò la collina
presso la quale si recava a pregare con una croce, ma quando i suoi parenti si
riconvertirono al paganesimo iniziarono a considerare quella collina sacra e a credere che
una volta morti avrebbero vissuto proprio lì78.
Nella Vǫluspá (V 64), si citano altri regni connessi alla vita dopo la morte: la sala di Gimlé
era più bella del sole e ricoperta d’oro79; la sala del gigante Brimir, la quale si trovava
presso Ókólnir e nella quale venivano servite ottime bevande80; la sala di Sindri (V 37),
la quale si trovava presso Niðavǫllum ed era rivestita d’oro rosso81; infine Nástrǫnd (V
da 38 a 39), il quale era caratterizzato da una sala lontana dal sole con le porte rivolte
verso nord e le pareti formate da serpenti velenosi intrecciati e nel quale gli assassini e
seduttori venivano tormentati da Niðhǫǫggr82. Nell’Edda in prosa Snorri diede ai primi
74
Ellis Davidson, Op. cit., pp. 75-76
Ellis Davidson, Op. cit., p.76.
76 Secondo quanto scrive Stjerna in Essay on Beowulf, l’usanza sia stata ispirata dall’uso greco, adottato poi dai romani
e diffuso dai popoli teutonici, di seppellire i morti con una moneta per poter pagare il traghetto a Caronte ed essere
trasportati dall’altra parte dell’Acheronte, la quale si evolse nella pratica di interrare il corpo con un imbarcazione in
modo tale da poter arrivare autonomamente al regno dei morti.
77 Ellis Davidson, Op. cit.,p.
78 Ellis Davidson, Op. cit., p.88.
79 Scardigli, Op. cit., p.15.
80
Scardigli, Op. cit., p.11
81 Scardigli, Op. cit., p.11.
82 Scardigli, Op. cit., p.11.
75
tre una connotazione positiva, ovvero li presentò come dimore per coloro che erano
vissuti lontano dal peccato ed erano stati buoni e virtuosi in vita, palesando l’influenza
cristiana e rendendola in parte incoerente, per il fatto che le sale di Brimir e Sindri
venivano collocate verso Nord così come Hel; invece attribuì una connotazione
fortemente negativa sia al Nástrǫnd che al Hvergelmir, nel quale dislocò Niðhǫǫggr. Si
ravvisa nella resa di questi regni da parte di Snorri la distinzione cristiana in paradiso,
purgatorio ed inferno, la quale restò fondamentalmente inconciliabile con la mentalità
vichinga.
Ship Burial in Archaeology
La peculiarità dell’imbarcazione in ambito archeologico
La testimonianza offerta dalle sepolture navali è indispensabile nel momento in cui
l’obbiettivo da raggiungere è quello di trarre un’immagine più veritiera ed unitaria della
sepoltura stessa e del relativo rito funebre, senza però trascurarne le peculiarità, le quali
sono talmente numerose da non poter essere del tutto ignorate. Ma partiamo dai
correlazioni, concrete ed astratte, che connettono l’immagine dell’imbarcazione ed il
concetto della morte.
In ambito archeologico l’associazione delle navi con le sepolture era già stato rilevato nei
più antichi reperti rinvenuti, ovvero quelli scoperti nelle paludi di torba della regione
scandinava: l’usanza di seppellire i morti in piccole piroghe sembrerebbe risalire
addirittura all’età della Pietra83. L’imbarcazione iniziò ad assumere un significato
simbolico nel momento in cui alla sua funzione pratica principale, al suo essere mezzo di
trasporto, si affiancarono differenti rappresentazioni ed ulteriori funzioni. Durante l’età
del Bronzo il simbolismo iniziò a differenziarsi a seconda del luogo e dell’usanza funebre:
nella Scandinavia meridionale i morti venivano trasportati appositamente sulle piccole
isole lungo la costa e mucchi di pietre venivano innalzati sul posto in loro memoria,
rendendo quasi concreto il viaggio verso l’aldilà; in Danimarca invece i morti venivano
seppelliti con oggetti di bronzo decorati da imbarcazioni; in Gotland i morti venivano
sotterrati in un punto marcato dal perimetro di un’imbarcazione delineato con le pietre o
riempito da uno strato di pietre; in Kent i morti venivano talvolta seppelliti con parti di
imbarcazioni. Non sembrava più necessaria la presenza materiale di un’imbarcazione per
compiere il viaggio verso l’aldilà, bensì bastava ricorrere alle sue rappresentazioni.
Tuttavia, col sopraggiungere dell’età del Ferro, l’espressione del simbolismo legato
all’imbarcazione si concretizzò nuovamente: in Bornholm i morti iniziarono sia ad essere
seppelliti con parti di navi, sia ad essere inumati o cremati con intere imbarcazioni. Infine,
durante l’età delle Migrazioni e dei Vichinghi, le sepolture navali aumentarono,
comparendo prima in Inghilterra e poi nelle regioni scandinave: nonostante le sepolture
navali fossero praticate prima dell’arrivo dei missionari, soltanto con l’introduzione
83
J. Skaarup, Stone-Age burials in boats, in The Ship as Symbol in Prehistoric and Medieval Scandinavia, edizione a
cura di O. Crumlin-Pedersen e B. Thye, Copenhagen 1995, p. 51.
effettiva del cristianesimo la pratica venne applicata capillarmente e divenne sempre più
sfarzosa e spettacolare, proprio perché i popoli pagani decisero di intraprendere una
guerra ideologica opponendosi ad una religione che poteva far perdere loro
l’indipendenza84. Eppure la sepoltura navale non era una tradizione esclusiva dei popoli
vichinghi.
Da un lato, sia Shetelig che Stjerna85 sottolinearono come in realtà il rito funebre connesso
all’imbarcazione non fosse esclusivo della zona scandinava: anche se caratterizzata da
modalità di svolgimento differenti, questa tipologia di sepoltura venne riscontrata presso
vari popoli in diverse epoche storiche. In alcune zone dell’Australia il cadavere e il cibo
venivano posti dentro una canoa, la quale a sua volta era lasciata alla deriva affinché il
defunto potesse raggiungere autonomamente il mondo degli spiriti, laddove i bambini
venivano seppelliti, non essendo ancora capaci di condurre una canoa. In seguito si diffuse
l’inumazione che sostituì l’antica usanza: da allora si tese o a seppellire il cadavere dentro
una canoa o a porlo in una piccola canoa in acqua. In Nuova Zelanda restarono a lungo
reminiscenze della pratica di deporre i cadaveri nelle canoe, come dimostrava il fatto che
anche in tempi più recenti una canoa veniva assemblata nei pressi della tomba. In alcune
zone della Malesia si forgiavano i sarcofaghi a forma di barca oppure si disponevano
piccoli modelli di imbarcazioni all’interno della tomba. L’uso di canoe venne accertato
anche in America: lungo la costa nord-ovest dell’America del Nord, i cadaveri venivano
posti in canoe che a loro volta venivano appese ai rami degli alberi; in America del Sud,
i Mapuche collocavano le canoe con i cadaveri dentro casa e le tenevano appese fino al
giorno del funerale, oppure i cadaveri venivano semplicemente messi dentro la canoa e
seppelliti. In Giappone si tiene tuttora un festival delle Lanterne, al quale si crede
prendano parte gli antenati e durante il quale si adagiano delle barchette sull’acqua di un
fiume o del mare e si accendono le lanterne poste al di sopra di quest’ultime per guidare
il viaggio di ritorno dei defunti che vi prendono parte. Queste stesse idee non erano
estranee alle popolazioni che abitano le coste del continente Europeo. Lungo le rive del
Rodano i franchi erano soliti deporre i cadaveri dentro imbarcazioni o dentro casse
sigillate col catrame, le quali venivano poi abbandonate in acqua. Nella zona orientale
84
M. Carver, Boat-burial in Britain: ancient Custom or political Signal?, in The Ship as Symbol, p.122.
A.F. Major, Ship burials in Scandinavian Lands and the Belief’s that underlie them, in Folklore 35 (1924), pp. 115116.
85
della Finlandia si scoprirono tombe nelle quali il morto veniva collocato dentro tronchi
d’albero svuotati, i quali avevano la forma di piccole barche. Nelle distese della Russia i
Careliani continuarono a costruire le bare svuotando i tronchi oppure a coprire la tomba
con una vecchia barca rovesciata fino a pochi secoli fa, ma a questo tipo di sepoltura se
ne affiancò un altro, il quale presentava reminiscenze dell’usanza ostiaca di deporre i
propri morti in piccole imbarcazioni attorno alle quali si costruivano fortini. Un’altra
modalità che sottendeva queste stesse idee è caratterizzata dalla pratica di dare alla tomba
la forma di un’imbarcazione. In Irlanda così come in Portogallo sono state rinvenute
tombe a forma di cuneo, le quali Borlase86 riteneva mirassero a rappresentare
un’imbarcazione proprio come le primitive costruzioni a forma di imbarcazione scoperte
nelle isole Baleari. Tuttavia la presenza dello stesso simbolo in varie zone in diversi
periodi storici non implicava che quel significato fosse un archetipo innato o che si fosse
diffuso, ma molto probabilmente segnalava la somiglianza delle pratiche sociali e
conseguentemente delle esperienze umane vissute, ovvero la possibilità di una percezione
della realtà simile87.
Eppure si ipotizzò un influsso esterno alla regione scandinava. Forse il simbolismo della
nave venne introdotto dall’iconografia giunta dall’Oriente fino in Gotland 88, ovvero l’idea
originaria della nave solare89, la quale permetteva al sole di compiere il suo movimento
fino al tramonto per poi ricominciare il giorno dopo così come, per analogia, all’uomo di
compiere il suo viaggio fino alla morte per poi ricominciare nell’aldilà. Forse venne
alimentato da altre due usanze legate al periodo romano e giunte dalle zone meridionali
dell’Europa, ovvero l’abitudine di interrare coi morti una moneta per potersi pagare il
viaggio verso l’aldilà90 e quella da essa derivata di seppellire il defunto con un carro91, la
quale implicava un viaggio autonomo via terra che venne adattato nella realtà scandinava
ad un viaggio ugualmente autonomo, ma via mare: usanze che sembrerebbero accorparsi
nei due significati che l’imbarcazione collocata all’interno delle sepolture ancora
conservava, ovvero l’essere concretamente un mezzo di trasporto del cadavere e
86
Major, Op. cit., pp. 116.
Z. Kobyliński, Ships, Society, Symbols and Archaeologists, in The Ship as Symbol in prehistoric and medieval
Scandinavia, p.18.
88 Ellis Davidson, Op. cit., p.26.
89
Kobyliński, Op. cit., p.13.
90 Ellis Davidson, Op. cit., p.27.
91 Ellis Davidson, Op. cit., p.28.
87
simbolicamente un mezzo di trasporto verso l’aldilà. Forse fu più semplicemente dovuto
all’influenza merovingia, o meglio al desiderio di fornire il morto con un
equipaggiamento il più completo possibile 92: idea che sembrerebbe supportata dal fatto
che l’imbarcazione veniva considerata parte integrante del corredo funebre. Ma si trattava
di ipotesi che difficilmente trovarono effettivo riscontro, se non occasionalmente nella
letteratura.
Dall’altro lato in nessun altro luogo si riscontrò un così diffuso uso dell’imbarcazione in
ambito funebre, molto probabilmente perché in nessun altro luogo rivestì un ruolo così
importante come nella vita e nella religione delle popolazioni scandinave. Il motivo per
il quale la nave acquisì la funzione di simbolo era legato inevitabilmente alla struttura
socio-economica della società, la quale a sua volta permetteva la diffusione ed il
mantenimento di tale simbolo: in un ecosistema circondato da acque e dominato dalle
coste, la principale attività non poteva che sfruttare economicamente l’ambiente e la barca
non poteva che diventare il mezzo di trasporto principale. Inizialmente impiegate per la
sussistenza, cioè per la pesca, le navi divennero fondamentali per i commerci e per le
incursioni e probabilmente anche per la religione, essendo ad esempio molti personaggi
del mito forniti di navi e molti racconti incentrati su avventure avvenute in mare.
Analogamente essendo i lunghi viaggi effettuati dai vichinghi a bordo di
un’imbarcazione, la grande distanza tra questo e l’altro mondo avrebbe richiesto un lungo
viaggio in nave. Tale associazione sembrerebbe quindi essere alla base della credenza in
un regno della morte separato dal mondo dei vivi da un fiume o dal mare, a seconda che
gli abitanti risiedessero rispettivamente nell’entroterra o sulle coste, un regno che doveva
essere raggiunto con un mezzo di trasporto adeguato, un’imbarcazione appunto93.
All’età della Pietra risalivano le più antiche sepolture navali, le quali vennero scoperte in
Danimarca e, nello specifico, all’interno di paludi di torba: si trattava di piccole canoe
scavate nei tronchi e contenenti il cadavere ed alcuni oggetti, quindi non molto dissimili
dall’usanza adottata in seguito. Ma la nave fu uno degli elementi dominanti nella cultura
figurativa dell’età del Bronzo, il quale si ritrovò in differenti zone della Scandinavia: nelle
zone meridionali (principalmente in Danimarca) le imbarcazioni vennero rappresentate
spesso su oggetti metallici così come nelle zone settentrionali (principalmente in Svezia
92
93
Ellis Davidson, Op. cit., p.28.
Major, Op. cit., pp.116-117
e Norvegia), anche se ricorsero altrettanto spesso le incisioni su pietra di quest’ultime.
L’associazione tra gli oggetti metallici con una barca disegnata sopra e la morte risultò
quasi naturale agli archeologi e agli studiosi, in quanto quest’ultimi venivano spesso posti
all’interno delle tombe: in Danimarca si trattava per lo più di urne, le quali venivano
spesso associati alle sepolture a cremazione, e di rasoi, i quali venivano connessi alla
preparazione del cadavere per la cerimonia funebre94. L’esemplare più raffinato di questi
rasoi è quello in bronzo a forma di barca rivenuto in una tomba a Kongstrup, in
Danimarca. Il nesso tra le incisioni rupestri che raffigurano una o più imbarcazioni e la
morte risultò meno immediato, in quanto la presenza di quest’ultime in camere funerarie
e bare di pietra era alquanto limitata: in Svezia e Norvegia si riscontrarono numerose
rappresentazioni di imbarcazioni in movimento, ovvero di imbarcazioni che nella parte
centrale del pannello erano rappresentate fin nei minimi dettagli e provviste di
equipaggio, mentre invece ai bordi della composizione venivano rappresentate come
frammentarie e vuote, talvolta addirittura rovesciate, ritraendo attraverso la successione
delle immagini non il procedere di un’imbarcazione verso l’orizzonte, ma l’ultimo
viaggio verso l’aldilà, metafora della morte95. L’esempio più suggestivo di queste
incisioni su pietra è quello di Kivik, nella Svezia meridionale. Da annoverare sono anche
le tombe presenti in Gotland, le quali erano a volte contrassegnate da peculiari pietre
commemorative96, le quali erano peculiari della regione e ricoperte di immagini
(raramente di rune). Questa nuova forma di espressione artistica risaliva al V secolo e
consisteva nel ritrarre su pietra il sole, le barche, i combattimenti tra cavalli e così via:
una delle immagini più ricorrenti è appunto la nave, la quale sopravvisse alla
semplificazione che l’iconografia di queste pietre subì nel VI secolo, e la quale si ritrovò
anche nelle più elaborate incisioni dell’età vichinga, durante la quale la nave tendeva ad
occupare la parte inferiore della pietra, mentre quella superiore presentava una varietà di
scene suddivise orizzontalmente o disposte casualmente che riprendevano specifici
motivi mitologici norreni per la commemorazione del defunto. L’esempio più raffinato è
94
R. Bradley, Danish razors and Swedish rocks. Cosmology and the Bronze Age Landscape, in Antiquity. 80 (2006),
pp. 372–378.
95 C. Ballard, R. Bradley, L. Nordenborg Myhre e M. Wilson, The Ship as Symbol in the Prehistory of Scandinavia and
Southeast Asia, in World Archaeology 35 (2013), p.389.
96 Secondo Almgren le incisioni su pietra erano basate su una religione che verteva attorno la venerazione del sole e la
rinascita, idee che, sorte nelle regioni orientali e pienamente sviluppate nell’arte e nella religione egiziana, viaggiarono
verso Nord per poi raggiungere la regione scandinava durante l’età del Bronzo, dove però le barche e le asce vennero
attestate esclusivamente nei pressi delle tombe. Vedi Ellis Davidson, Op. cit., pp. 25-26.
la pietra risalente al X secolo rinvenuta presso il distretto di Klinte, Gotland, sulla quale
vennero rappresentati l’episodio di Gunnar ed il serpente presente nella Völsunga Saga e
ben due imbarcazioni vichinghe, una delle quali immortalata trasportare il morto verso il
Valhalla, la dimora di Odino e uno dei regni della morte.
Alla tarda età del Bronzo risaliva invece un tipo di sepoltura anomala, ovvero quella di
interrare con il defunto parti di imbarcazione 97: la tomba poteva contenere i resti di una
barca inutilizzabile o privata delle parti ancora utili o distrutta in occasione del funerale.
La nave si trasformò da elemento figurativo ad architettonico tra la tarda età del Bronzo
e l’inizio dell’età del Ferro, quando le tombe iniziarono ad essere sovrastate dal profilo
di un’imbarcazione tracciato attraverso l’uso di pietre e massi oppure ad assumerne la
forma. Le imbarcazioni di pietra erano una rappresentazione simbolica98 e prendevano
solitamente la forma di una nave allungata, arricchite a volte di dettagli a tal punto da
sembrare imbarcazioni in movimento, restituendo l’illusione di una vera nave. La
modalità di costruzione impiegata subiva variazioni a seconda della regione e del periodo
storico: durante l’inizio dell’età del Bronzo l’imbarcazione veniva simbolicamente
richiamata o costruendo una camera sepolcrale ovale con delle pietre, la quale veniva poi
coperta da un tumulo, o disegnando con dei massi il profilo di una nave, il quale veniva
tracciato o attorno al sepolcro o al di sopra, laddove, durante la tarda l’età del Bronzo, le
navi di pietra divennero una prerogativa delle personalità di spicco della società e quindi
comparativamente più rare, anche perché implicitamente espressione dell’ideale militare
e di quello commerciale e rappresentazione dell’ineguale organizzazione sociale99;
durante l’età del Ferro le navi di pietra si diffusero, in particolare nelle regioni meridionali
della Svezia, all’interno delle necropoli, le quali presentavano sempre più piccoli ovali di
pietra rappresentanti piccole navi, l’una accanto all’altra e prua contro prua. Gli esempi
più estesi e monumentali di queste navi di pietra sono l’esemplare situato sull’isola di
Gotland, il quale risaliva all’età di Bronzo, e quello situato presso Skåne, Svezia, il quale
risaliva invece all’età Vichinga: tra gli elementi che sembrerebbero accomunare questi
esempi alle grandi navi-sepolcro successive erano la topografia, ovvero la posizione
scelta per la loro collocazione, solitamente su un terreno alto situato nei pressi di
97
R. Van de Root, North Sea Archaeologies: A Maritime Biography, 10,000 BC - AD 1500, Oxford 2011, p.222.
Z. Kobylinski, Ships, Society, Symbols and Archaeologists, in O. Crumlin-Pedersen & B. M. Thye (ed.), The Ship as
a Symbol in Prehistoric and Medieval Scandinavia, Copenhagen 1995.
99 P. Skoglund, Stone ships. Continuity and change in Scandinavian prehistory, in World Archaeology 40 (2008)
98
un’importante via commerciale o di un’intersezione di quest’ultime, ed il loro legame con
il potere dell’élite sociale100.
Le sepolture navali
Un gran numero di navi sono state rinvenute nella zona scandinava e qualche altro
esemplare in Inghilterra: alcune sono state scoperte durante la costruzione di porti o il
dragaggio dei fiordi, altre durante i lavori agricoli nelle zone di campagna. Le condizioni
in cui vengono trovate le navi variano enormemente, ovvero passano dal ben preservato,
come nel caso della nave di Oseberg, alla totale scomparsa dell’imbarcazione, come nel
caso della nave di Sutton Hoo, oppure di tutto il contenuto della sepoltura, come nel caso
della nave di Rodstad. Quest’ultima fu la prima nave vichinga rinvenuta e documentata
in Norvegia, scoperta nel 1751 presso Rolvsøy, Østfold (Norvegia) 101, e documentata nel
1755 da Søren Thestrup102, il quale scrisse un breve resoconto su una grande
imbarcazione senza ponte costituita da assi in legno di quercia tenute assieme da chiodi
di ferro. Nonostante non ne sia rimasto nulla, essa rappresentò l’inizio di una serie di
scoperte archeologiche importanti tuttora in corso.
Breve excursus storico-archeologico
Durante l’età del Bronzo e l’età del Ferro preromana, la cremazione era la tipologia di
rito funebre più diffusa, ma scomparve con il progressivo affermarsi dell’inumazione a
partire dall’età del Ferro romana fino alla definitiva Cristianizzazione. Tuttavia sono
osservabili alcuni cambiamenti nel modo in cui i morti vengono trattati durante questo
esteso arco di tempo. Il primo e il più evidente cambiamento fu il passaggio
dall’inumazione alla cremazione durante l’età del Bronzo: il corpo del defunto ed i suoi
beni venivano posti su una pira e lasciati bruciare per poi essere raccolti in un’urna e
seppelliti. All’inizio dell’età del Ferro si verificò un’ulteriore cambiamento: i resti della
carbonizzazione iniziarono ad essere direttamente sparsi sul terreno scelto per sotterrarli.
Durante il periodo romano si registrò la reintroduzione dell’inumazione nella pratica
funeraria, senza che però si verificasse un cambiamento significativo in ambito religioso,
anzi il ritorno fu reso molto probabilmente possibile dal fatto che la religiosità norrena
non era irrigidita da dogmi, bensì era talmente versatile da permettere alla pratica della
100
Skoglund, Op. cit., p. 399.
Hoops, Reallexikon der germanische Alterturmskunde, XXV, Berlino 2003, p.204.
102 K. Hjardar e V. Vike, Vikings at War, Oxford 2016, p.123.
101J.
cremazione, non sottintendendo un’idea ben precisa di aldilà, di essere rapidamente
affiancata dall’inumazione.
Le necropoli che contengono le più antiche sepolture navali risalgono all’età del Ferro e
sono quelle di Slusegård, Bornholm (Norvegia), e Gamla Uppsala, Uppland (Svezia). Il
sito di Slusegård venne individuato e scavato tra il 1958 ed il 1964 dall’archeologo danese
Ole Klindt-Jensen103. Esso annoverava molte inumazioni appartenenti ai primi 4 secoli
d.C., tra le quali ben 45 sepolture navali risalenti al periodo che andava dall’80 al 160
d.C. ed identificate dall’impronta lasciata nel terreno: si trattava di estese barcacce che
variavano dai 3 ai 5 metri di lunghezza ed erano state tutte saccheggiate. Secondo
Crumlin-Pedersen le sepolture appartenevano a sacerdoti ed assistenti di un dio della
fertilità, molto probabilmente Njord, il che sembrerebbe giustificare le intrusioni anche
nelle tombe più povere104. Il sito di Gamla Uppsala contava numerosi tumuli di terra in
quanto luogo di culto e di sacrifici e residenza dei primi re. I tumuli dei re erano inclusi
tra questi, ovvero tre tumuli scavati tra il 1846 ed il 1874 da B. Hildebrand e caratterizzati
esclusivamente da sepolture a cremazione appartenute all’aristocrazia105: il primo venne
scavato nel XIX secolo e doveva risalire alla fine del V secolo d.C., ma di quest’ultimo
non restano che alcuni resoconti; i restanti tumuli vennero scavati in tempi più recenti e
datati rispettivamente inizio VI secolo e seconda metà del VI secolo d.C.
Con l’età delle migrazioni in Norvegia e in parte della Svezia i tumuli si ampliarono e i
defunti più ricchi vennero interrati completamente vestiti e con le proprie armi, se uomini,
e con gli utensili da cucina o gli strumenti da cucito, se donne. In Danimarca invece si
registrò un aumento delle sepolture senza tumulo, cioè piatte, dovute probabilmente
all’influsso merovingio.
Le altre necropoli sono più tarde e risalgono all’età delle Migrazioni, come quelle di
Vendel, Uppland, e di Valsgärde, Gamla Uppsala, (Svezia). Il sito di Vendel venne
scoperto durante i lavori di ampliamento del cimitero nel 1881 e scavato tra quello stesso
anno ed il 1893106. Esso rimase a lungo attivo, tant’è che contempla alcune sepolture
appartenenti all’epoca vichinga, ma in particolare comprendeva 14 sepolture navali
103 O. Crumlin- Pedersen, Boat-Burials at Slusegård and the Interpretation of the Boat Grave Custom, in The Ship as
Symbol, Copenhagen 1995, p.87.
104
Crumlin-Pedersen, Op. cit., p.90.
105 Hoops, Op. cit., X, Berlino 1998, p.412.
106 Hoops, Op. cit., XXXII, Belino 2006, p.126.
risalenti al 600 d.C. circa: alcune si trovavano in una così misera condizione da riuscire a
malapena ad affermare che il cadavere fosse stato appunto collocato nell’imbarcazione,
laddove la maggior parte non sembrava contenere resti umani. Le uniche due nelle quali
si rinvenne una quantità di ossa sufficienti per delineare lo scheletro del defunto furono
la tomba XIV, la quale risaliva al VII secolo e conteneva lo scheletro di un capo seduto a
poppa dell’imbarcazione dotato di armatura assieme allo scheletro di un cavallo, e la
tomba IX, la quale risaliva invece al X secolo e conteneva i resti di un uomo seduto su
una sedia107. La disposizione del cadavere è l’elemento che le accomuna tra loro e
contemporaneamente le distingue da tutte le altre, in quanto successivamente il corpo non
venne più posizionato seduto al posto del timoniere, ma adagiato seduto o steso su un
letto all’interno di una camera funeraria. Il sito di Valsgärde venne scoperto nei pressi del
fiume Fyris, Uppland(Svezia), nel 1928108. Anch’esso rimase a lungo attivo, dall’età delle
Migrazioni alla fine dell’età Vichinga, ma soprattutto ospitava ben 15 navi funerarie, le
quali rappresentavano una lunga sequenza di sepolture aristocratiche, le sepolture degli
uomini e delle donne più potenti a partire dal VI secolo fino al XI, e testimoniavano
l’esteso periodo di importanza e potere dell’area, giustificando forse il motivo per il quale
non furono mai disturbate. Si trattava per lo più di imbarcazioni a fasciame sovrapposto
di circa 10 metri di lunghezza, il cui legno era completamente marcito, ma le cui
dimensioni erano ancora deducibili dalla posizione di chiodi e rivetti: probabilmente
erano imbarcazioni usate sui fiumi e sui laghi della regione venivano trascinati fino alla
necropoli che in occasione di un funerale e destinati ad ospitare il cadavere del
proprietario.
Nella zona meridionale dell’Inghilterra si annoverano alcuni importanti ritrovamenti di
imbarcazioni in tumuli risalenti all’età di Vendel, ovvero al periodo immediatamente
precedente l’età vichinga. Il sito di Snape Common, Suffolk (Inghilterra), venne scoperto
nel 1824 e scavato periodicamente dal 1827109. Esso contava 3 sepolture navali, le quali
risalivano al VI secolo d.C. e consistevano nella schematica disposizione di rivetti e
chiodi all’interno dell’impronta rimasta impressa nel terreno: la seconda e la terza
sepoltura contenevano un’imbarcazione ciascuna di circa 3 metri, la prima delle quali
107
Ellis Davidson, Op. cit., 16.
T. D. Price, Ancient Scandinavia: an Archaeological History from the first Human to the Vikings, New York 2015,
p.285.
109 A.C. Evans, The Sutton Hoo Ship Burial, Londra 1986, p. 23.
108
includeva due corni da bevuta conservatisi in pessimo stato e la seconda una spada, due
punte di lancia e un umbone110; la prima sepoltura invece venne scoperta nel 1862 e
conteneva una nave a fasciame sovrapposto di circa 16,4 metri di lunghezza e 3 di
larghezza111. La nave della prima sepoltura era molto probabilmente provvista di camera
funeraria, la quale doveva custodire al suo interno un corredo molto ricco, ma venne
saccheggiata: al suo interno vennero rinvenuti una coppa ad artiglio in vetro verde ed un
anello d’oro con intaglio tipicamente romano ed un onice al centro. Il sito di Sutton Hoo
venne scoperto nei pressi del fiume Deben nel 1938 ed è proprio durante i primi scavi di
B. Brown che venne scavata una delle due imbarcazioni presenti, ovvero quella presente
nel Tumulo 2112. Si trattava all’apparenza di una sepoltura abbastanza comune in zona
anglosassone, ovvero una sepoltura in una camera funeraria sotterranea, la quale venne
però saccheggiata: non rimasero che frammenti di vari oggetti, tra i quali una spada, una
lancia, uno scudo con una montatura di bronzo dorato e una bandoliera con una fibbia di
bronzo dorato, poi due corni da bevuta, una giara di vetro blu, una ciotola di bronzo e una
scatola con la montatura argentata vicini al corpo, e 5 coltelli, due dei quali in un
involucro doppio, un secchio in argento e un calderone con una catena più distanti. Si
scoprì però essere una sepoltura navale simile a quella di Hedeby: la camera venne
coperta da una robusta trave e poi chiusa da un’imbarcazione di circa 20 metri di
lunghezza. Non si conosce il lasso di tempo trascorso tra la chiusura della stanza e
l’interramento dell’imbarcazione, ma è probabile che una simile sepoltura, la quale
contemplava una camera, una nave ed un tumulo a coprire il tutto, non fosse stata
completata in tempi brevi, ma che anzi fosse rimasta esposta per essere ricordata da tutti
e ad esercitare soggezione, almeno fin quando non fosse stata indetta una nuova
cerimonia, durante la quale procedere all’erezione del tumulo.
Con l’età Vichinga non solo i più ricchi, ma uomini e donne appartenenti a qualsiasi ceto
(eccezion fatta per gli schiavi, i quali potevano accedere a un simile privilegio solo
offrendosi in sacrificio per il padrone) vennero per lo più interrati in tumuli,
indipendentemente dal fatto che si trattasse di una sepoltura a cremazione o ad
inumazione, con l’equipaggiamento militare, gli oggetti di uso quotidiano e personali,
110
Van de Noort, Op. cit., p.207.
Hoops, Op. cit., XXIX, Berlino 2005, p. 163.
112 M. Carver, Op. cit., p.71.
111
accompagnati spesso da mezzi di trasporto e da animali di compagnia (talvolta anche
schiavi). La cremazione e la tumulazione non furono le uniche alternative, anzi furono
rinvenute numerose sepolture ricoperte da cumuli di pietre o senza tumulo, con o senza
camera funeraria al di sotto. Possiamo comunque affermare che fino al X secolo le
sepolture precedute dalla cremazione del corpo erano la tipologia più diffusa nei paesi
nordici e che nel contempo le inumazioni aumentarono costantemente, a tal punto che,
nel corso del XI secolo, le due tipologie giunsero ad eguagliarsi: in generale la pratica
della cremazione era più comune dell’ inumazione, ma, nello specifico, la loro
distribuzione evidenziava che nelle zone costiere si verificò una propagazione più rapida
e capillare dell’inumazione, laddove nell’entroterra la cremazione rimase la più praticata.
Eppure la cremazione era già quasi scomparsa del tutto verso la fine del XI secolo: il
resoconto di un’elaborata cerimonia funebre con cremazione osservata da un
ambasciatore arabo sulle coste del Volga, zona di insediamento di un gruppo
originariamente scandinavo, è annoverata tra le testimonianze più tarde.
Difficoltoso fu il recupero della nave di Valle e della nave di Borre, entrambe scoperte
casualmente ed entrambe qualificate come sepolture maschili. La nave di Valle venne
scoperta durante i lavori per la costruzione di una casa presso la fattoria omonima, Rolsvøj
(Norvegia), nel 1824113. Si trattava di un’imbarcazione di almeno 9 metri di lunghezza e
3 di larghezza, la cui inumazione risaliva al 900 d.C. circa. Non era stata marcata da un
tumulo, bensì venne gettato al suo centro un cumulo di pietre, al di sotto del quale venne
trovato il corredo: un set di bilance di bronzo decorate geometricamente, un’elsa di spada
con ornamenti intagliati nell’argento, la parte superiore di un’ascia e una cote di scisto.
La nave di Borre venne scoperta dopo essere stata involontariamente distrutta da alcuni
costruttori di strade nei pressi dell’omonima città, Vestfold (Norvegia), attorno al 1852.
Si trattava dei frammenti di un’imbarcazione di circa 20 metri di lunghezza, la cui
inumazione venne datata al 900 d.C. circa. Non rimase quasi nulla della camera funeraria,
ma probabilmente venne costruita verso la poppa della nave, dove fu ritrovata solo una
parte del corredo funebre a causa di un probabile saccheggio.
La nave di Tune venne scoperta nei pressi della fattoria di Haugen a Rolvsøy, Østfold
(Norvegia) nel 1867114. Si trattava di un’imbarcazione di quasi 20 metri in lunghezza e
113
114
Hoops, Op. cit., p.204.
Hoops, Op. cit., p. 204.
4,35 in larghezza, le cui costruzione ed inumazione risalivano al 900 circa e il cui
orientamento era nord-sud. Il tumulo misurava approssimativamente 80 metri di diametro
e 4 di altezza, il che lo rese uno dei più grandi mai scavati. L’imbarcazione non andò però
completamente perduta, nonostante fosse stata saccheggiata e quindi esposta all’effetto
dell’ossigeno: la nave non venne data alle fiamme assieme al cadavere, ma anzi venne
rivestita di muschio e ginepro e poi ricoperta di argilla. La camera sepolcrale non solo
venne collocata nella zona posteriore della nave, ma presentava anche un soffitto piatto
sostenuto da pareti fissate all’esterno dell’imbarcazione, differenziandosi completamente
da quelle di Gokstad e Oseberg: i resti del cadavere vennero posti al suo interno assieme
allo scheletro di un cavallo e al corredo funebre, il quale constava di un’elsa di spada, due
punte di lancia, un umbone e una cotta di maglia, appartenenti all’equipaggiamento
militare del defunto, ma anche pezzi di stoffa, due perline e un dado, classificati come
beni personali, e i resti di una sella e di uno sci.
La nave di Gokstad venne scoperta nei pressi della fattoria omonima a Sandefjord,
Vestfold (Norvegia), nel 1880115. Si trattava di un’imbarcazione di quasi 23,3 metri di
lunghezza e 5,2 di larghezza, la cui costruzione risaliva al 890 e l’inumazione a una decina
di anni più tardi. Il tumulo misurava tra i 43 e i 50 metri di diametro e 5 in altezza ed era
costituito da humus e sul fondo da uno strato di sabbia misto ad argilla e da un altro di
argilla blu, la quale venne riversata prima di sollevare il tumulo e permise alla nave di
conservarsi in buone condizioni. Nonostante l’imbarcazione giacesse 4 metri al di sotto
del livello del suolo, la nave venne comunque razziata: i ladri, ricordandosi ancora della
posizione esatta e del contenuto della sepoltura, si aprirono un varco attraverso i fianchi
dell’imbarcazione e poi irruppero nella camera funeraria rubando e distruggendo. La
camera sepolcrale venne costruita davanti l’albero maestro con il soffitto a punta, ovvero
con grandi travi di legno disposte a forma di tenda e coperte da svariati strati di corteccia
di betulla, i quali contribuirono a preservarla: all’interno della camera funeraria vennero
rinvenuti i resti della mobilia, cioè un letto e la biancheria di quest’ultimo, e una tavola
da scacchi con una pedina; al suo esterno furono trovati accessori di legno
dell’imbarcazione come la barra del timone finemente intagliata, una slitta, la quale venne
deliberatamente distrutta, e gli scheletri di almeno 12 cavalli e 6 cani assieme ad alcune
115
Hoops, Op. cit., XII, Berlino 1998, p.299.
ossa e piume di pavone; al di fuori dell’imbarcazione furono infine rinvenute 10 vanghe
di legno, probabilmente impiegate per innalzare il tumulo. Secondo Nikolaysen, la
sepoltura poteva essere quella di Olaf di Geirstðr, re del Vestfold, il quale soffrì di dolori
alle gambe e morì nel 840, compatibile quindi con le problematiche rilevate dalle poca
ossa rinvenute, le quali appartenevano ad un uomo di circa 50 anni affetto da un
reumatismo cronico che lo aveva reso praticamente zoppo116.
Singolare fu la scoperta dei resti di due sepolture navali in Danimarca, a Hedeby ed a
Ladby, entrambe classificate come sepolture maschili. La nave di Hedeby venne scoperta
nei pressi dell’omonima città, (Danimarca), nel 1908117. Si trattava dell’impronta di
un’imbarcazione tra i 17 e i 20 metri di larghezza e tra i 2,7 e i 3,5 metri di larghezza, la
cui inumazione risaliva al 825-850 circa. Il tumulo conteneva non solo i rivetti
sopravvissuti della nave, ma anche una camera, nella quale sopravvissero i resti di tre
cavalli e di tre uomini, due con una spada ciascuno da una parte ed il terzo con una spada
finemente lavorata dall’altra. Secondo Ellmers il corredo funebre sembrerebbe avallare il
fatto che dietro questa sepoltura ci fosse la speranza di giungere dopo la morte nel Valhǫll
con gran fasto, accompagnato da un ufficiale di corte ed un coppiere di alto rango uccisi
appositamente118. La nave di Ladby venne rinvenuta nell’omonima località, nei pressi
della costa di Kertemide Fjord, a Fyn (Danimarca), nel 1935119, la quale rappresenta
tuttora l’unico esemplare presente in Danimarca di inumazione all’interno di
un’imbarcazione. Si trattava dell’impronta di un’imbarcazione di 22 metri di lunghezza e
3 di larghezza, la cui inumazione risaliva al 900 circa. La nave era stata costruita con travi
di quercia e circa 2000 chiodi, e presentava a bordo un ancora con la propria catena, un
guinzaglio per cani, la cui peculiarità era lo stile di lavorazione tipico di Jelling, alcuni
pezzi dell’attrezzatura per montare a cavallo, alcune armi o parti di quest’ultime e persino
delle stoviglie. Secondo Thorvildsen e Andersen il corredo funebre sembrerebbe
suggerire che si trattasse della sepoltura del re Gnupa, vista l’estrema ricchezza e il
successivo saccheggio 120.
116
Ellis Davidson, Op. cit., p.19.
E. Roesdahl, Princely Burial in Scandinavia, in Voyage to the Otherworld, Minneapolis 1992, p. 162.
118
Roesdahl, Op. cit., p. 162.
119 Roesdahl, Op. cit., p. 162.
120 Roesdahl, Op. cit., p.162.
117
Le sepolture navali “regali”
Era evidente che le sepolture regali sparse per tutta l’Europa condividessero alcune
caratteristiche in quanto tali, indipendentemente dal fatto che si trattasse di sepolture a
cremazione o inumazione, pagane o cristiane, oppure che fossero dotate o meno di
corredo funebre. Le sepolture regali dovevano manifestare lo status del defunto anche
dopo la morte, creando un nesso tra la classe sociale di appartenenza e la modalità e/o il
luogo di sepoltura. La prima e più evidente caratteristica di questi tipi di sepoltura e dei
rituali ad essa connessi era l’essere espressione di potere non solo personale e dinastico,
ma soprattutto politico: i congiunti non si limitavano infatti ad onorare il defunto, ma ad
eseguire un insieme di altre attività espressione di influenza culturale e religiosa o di
allineamento politico, tra le quali la rivendicazione di autorità o l’appropriazione del
territorio da parte dei discendenti. L’imbarcazione veniva percepita come appropriata alle
sepolture regali121, ricoprendo una funzione simile a quella degli elmetti romani, i quali
erano ritenuti veri e propri simboli di potere. Sebbene l’usanza di seppellire i morti in una
barca si estese in seguito a diverse classi sociali, la cremazione o l’inumazione all’interno
di una grande nave carica di tesori rimase una pratica autenticamente aristocratica ed
oltretutto autoctona, visto che armi e gioielli erano tipici dei corredi funebri delle
popolazioni germaniche122 piuttosto che segni distintivi di regalità, nonostante fossero
comuni in molte tombe del tempo. Un’altra caratteristica della sepoltura regale è la sua
separazione, sia fisica che culturale, dal resto della comunità123. Nel caso della nave di
Oseberg, l’interramento avvenne effettivamente in una zona distaccata dalle altre
sepolture. Nel caso della nave di Sutton Hoo, l’inumazione avvenne contrariamente al
centro di altre sepolture, cioè di una vera e propria necropoli, distaccandosi comunque
per la sua ineguagliabile maestosità. Come in vita, anche nella morte l’élite doveva
continuare a distinguersi dalla massa e ad incutere soggezione: la cerimonia per il defunto
e la composizione della sua tomba dovevano egualmente impressionare e soddisfare i vivi
ed i morti 124così come l’enorme tumulo solitamente eretto al di sopra della tomba doveva
attirare l’attenzione su di sé e rimanere costantemente sotto gli occhi di tutti. Sebbene
R. Farrell e C.L. Newman de Vegvar, Death’s Diplomacy: Sutton Hoo in the light of other male princely Burials,
in American Early Medieval Studies 2 (1992), p.79.
122 Ed è probabilmente questo il motivo che spinse il re interrato assieme alla nave di Sutton Hoo a scegliere questo
tipo di sepoltura. Vedi M. Carver, Boat-Burial in Britain: Ancient Custom or Political Sign?, in The Ship as Symbol,
Copenhagen 1995, p.122.
123 R. Farrell e C.L. Newman de Vegvar, Op. cit., pp. 77-78.
124 Price, Op. cit., p.137.
121
altre sepolture possiedano le stesse caratteristiche, gli esemplari più maestosi restano
quelle delle navi di Oseberg e di Sutton Hoo.
Oseberg e Sutton Hoo visti attraverso la testimonianza di Ibn Fadlan
Per fornire un’analisi ottimale della sepoltura navale e regale al tempo dei vichinghi è
utile non solo un confronto fra Oseberg e Sutton Hoo, ma integrare tale confronto con
una delle poche testimonianze storiche riguardante un’altra sepoltura navale, ovvero il
resoconto di una cerimonia funebre contenuto nella RisƩla di Ibn Fadlan.
La nave sepolcrale di Oseberg venne rinvenuta nell’estate del 1904 nei pressi di Slagen,
non lontano da Tønsberg, Vestfold (Norvegia). Si trattava di un’imbarcazione a fasciame
sovrapposto ampia ed aperta, costituita per lo più da legno di quercia e ben equipaggiata
sia per remare che per veleggiare. Essa misurava quasi 22 metri in lunghezza e quasi 5 in
larghezza nella zona centrale125, la cui costruzione risaliva al 820 e l’interramento al 834
d.C.126. Essa era coperta da un tumulo, il quale misurava originariamente circa 40,5 metri
di diametro e 6,4 metri in altezza e distava poco da un piccolo fiume, dal quale la nave
venne tirata fuori e trasportata fino al luogo della sepoltura su cilindri di legno, per essere
infine ricoperta da pietre e poi da un tumulo di terra e torba stipate assieme. Il suolo della
zona, consistente in umida argilla blu, e il tumulo al di sopra risultarono compatti a tal
punto da sigillare ermeticamente la sepoltura e da preservare persino parte del materiale
organico contenuto al suo interno. Essa doveva appartenere alla classe di imbarcazioni
definita Karvi, richiedente un equipaggio di circa 35 uomini e destinata a spostamenti
limitati lungo la costa.
La nave sepolcrale di Sutton Hoo venne scoperta nell’estate del 1938 nei pressi di
Woodbridge, Suffolk (Inghilterra), e scavata l’anno dopo. Si trattava di un’imbarcazione
a fasciame sovrapposto interamente costruita in legno di quercia, la cui l’impronta nel
terreno venne preservata dalla sabbia gettata prima di erigere il tumulo. Essa misurava 27
metri di lunghezza e 4,5 di larghezza127, il cui interramento risaliva a non prima dell’anno
613 d.C.128. Essa era ricoperta da un tumulo, il quale misurava poco più di 2 metri e
125
T. Sjøvold, A royal Viking Burial, in Archeological Istitute of America 11 (1958), p.193.
È attraverso il legno della camera funeraria di Oseberg che è stato possibile svolgere l’analisi dendrocronologica e
datare con maggiore precisione la costruzione e l’interramento della nave. Vedi N. Bonde e A.E. Christensen,
Dendrochronological dating of the Viking Age Ship Burials at Oseberg, Gokstad and Tune, Norway, in Antiquity 67
(1993), p.576-581.
127 A.C. Evans, The Sutton Hoo Burial, Londra 1986, p.27.
128 M. Carver, Sutton Hoo – Burial Ground of Kings?, Londra 1998, p.132.
126
distava poco dal fiume Deben, dal quale l’imbarcazione venne probabilmente tirata fuori
e trainata su cilindri fino al luogo della sepoltura, per essere infine calata in una fossa.
Essa sembrava essere più un barcone reale, richiedente un equipaggio di almeno 40
uomini e destinato a spostamenti occasionali lungo il fiume, eppure le numerose
riparazioni sembrerebbero indicare che fosse stata impiegata regolarmente e che fosse
stata seppellita proprio perché sul punto di cedere.
Le due imbarcazioni differiscono in parte per l’epoca in cui vennero costruite ed interrate,
precedendo la sepoltura di Sutton Hoo quella di Oseberg di ben due secoli, in parte per le
dimensioni, essendo la nave di Sutton Hoo più grande dell’altra. Ibn Fadlan non si
soffermò sui dettagli tecnici riguardanti le dimensioni dell’imbarcazione usata, rivelando
però implicitamente la data del funerale ed esplicitamente la zona in cui si sarebbe svolta
la cerimonia, ovvero sulla sfonda di un fiume (come nei casi di Sutton Hoo e di Oseberg),
e spiegando che la nave posta su un’impalcatura di legno, laddove quella di Sutton Hoo
venne calata in una fossa e quella di Oseberg lasciata a livello del suolo. La tecnica di
costruzione delle due navi era la medesima ed è anche la più diffusa al tempo, ovvero
quella a fasciame sovrapposto, ma era il tipo di legname utilizzato per la costruzione della
nave a cambiare: il legno della nave di Sutton Hoo era esclusivamente di quercia, del
quale non rimase che l’impronta nel terreno a causa del suolo acido, laddove il legno della
nave di Oseberg era per lo più di quercia, eppure parte della falchetta, ovvero parte del
bordo superiore dello scafo delle imbarcazioni, venne costruita in legno di faggio129, un
tipo di legname non molto comune e quindi prezioso in Norvegia. In tutti e tre i casi i
cadaveri vennero posti all’interno di una camera funeraria in legno innalzata sul ponte, la
quale aveva l’aspetto di una tenda, ma la modalità di costruzione e la posizione erano
leggermente diverse: nel caso di Sutton Hoo la camera si trovava al centro
dell’imbarcazione, e venne costruita accuratamente, con un tetto spiovente di quercia
rinforzato dal manto erboso; invece nel caso di Oseberg la camera si trovava in direzione
della poppa, subito dietro l’albero maestro, e venne costruita come quella di Sutton Hoo,
eppure le travi che ne bloccavano l’accesso erano state fissate grossolanamente. Entrambe
le camere cedettero nel primo caso perché la struttura non riuscì più a reggere il peso della
129
Si trattava di un legname poco diffuso perché non trovava le condizioni adatte per sopravvivere, ma di cui esistevano
alcune foreste sulla zona costiera meridionale del Vestfold e nella zona di Lurefjord, fuori Bergen, la quale ospitava un
cantiere navale dove si ipotizzò fosse stata effettivamente costruita la nave di Oseberg.
sabbia e del tumulo sovrastante e nel secondo non solo per il peso delle pietre e della
terra, il quale l’aveva compressa fino a schiacciarla, ma anche per i danni provocati
dall’intrusione di alcuni ladri, i quali entrarono nella camera aprendosi un varco attraverso
prua, indebolendo in questo modo l’intera imbarcazione. Sebbene le camere sepolcrali
subirono la stessa fine, è il corredo funebre a fare la differenza tra una sepoltura rimasta
intatta ed una saccheggiata. Il corredo funebre di Sutton Hoo venne paragonato ad un vero
e proprio tesoro: esso venne ritrovato all’interno della camera funeraria sparso sul
pavimento, sebbene venne teorizzato che alcuni oggetti fossero originariamente appesi
alle pareti. Una parte del corredo era costituita da paramenti reali130, tra i quali si
annoveravano le fibbie d’oro e granato rosso lavorate in cloisonné, il grande fermaglio
d’oro e i resti di una bacchetta d’oro, un oggetto di ferro decorato che poteva essere o una
fiaccola da infilare nel terreno o un insegna regale, il quale precedeva il sovrano durante
le cerimonie, e uno scettro con un cervo in bronzo al di sopra di una cote, al di sotto della
quale vennero ritratti visi umani in bassorilievo. Un’altra parte del corredo era costituita
dall’equipaggiamento militare131, il quale era costituito da una spada ancora conservata
nel suo fodero, un elmo con la protezione facciale in bronzo arricchita con oro e argento,
l’umbone di uno scudo troppo grande per l’uso e una cotta di maglia rovinata, un’arma
con lame in ferro, un’ascia di ferro assieme ad altre asce, lance e punte di lancia. Il resto
del corredo contemplava invece un insieme variegato di contenitori: una parte degli
oggetti era più preziosa, quali il servizio d’argento di fattura bizantina132 formato da una
decina di scodelle, un grande piatto sovrastato da un altro piatto di dimensioni minori e 2
cucchiai, 4 coltelli con la lama di ferro e l’impugnatura d’osso,2 corni con supporti
d’argento schiacciati in seguito al crollo della camera, 6 bottiglie di legno d’acero con
supporti d’argento e 8 coppe di legno di radice placcate d’argento; un’altra parte degli
oggetti era molto più comune, quali una tinozza e 3 secchi di legno, 3 calderoni di bronzo,
una bottiglia di ceramica, una lampada e sartiane di ferro. I beni personali133 del defunto
contemplavano una piccola lira ed alcuni pezzi da gioco in avorio. Gli ultimi oggetti sono
una scodella smaltata, la quale presentavano una posizione che suggeriva fosse stata
appesa alle pareti, e le borse di pelle con la copertura d’argento decorata, le quali
130
Evans, Op. cit., pp.83-93.
Evans, Op. cit., pp.41.56.
132 Evans, Op. cit., pp.57-63.
133 Evans, Op. cit., pp.69-71.
131
contenevano le 40 monete d’oro merovinge trovate sparse sul pavimento. Il corredo
funebre134 di Oseberg è meno ricco proprio perché il sepolcro venne saccheggiato,
tuttavia quel che rimase del corredo non sembrerebbe essere stato spostato dalla posizione
originaria. Una parte si trovava all’interno della camera funeraria, come una cassa piena
di mele e grano e un’altra colma di piccoli oggetti come morsetti di ferro, pettini e così
via, un paio di scarpe e la suola di un’ulteriore scarpa, i resti di un letto e di materiale
soffice (lenzuola o arazzi), 5 pali intagliati con teste animali ed alcuni secchi, uno dei
quali conteneva altre mele. Un’altra parte del corredo venne rinvenuta nella parte
posteriore dell’imbarcazione, la quale fu attrezzata come una vera e propria cucina
provvista di tutti gli utensili e addirittura di una ruota per affilare le lame. Il resto del
corredo venne ritrovato nella parte anteriore dell’imbarcazione: si trattava di una gran
quantità di oggetti, tra i quali alcuni pressafieno, diversi mezzi di trasporto, ovvero 3 slitte
e un carro rituale in legno di faggio riccamente decorati con intagli, ed infine molti
accessori per l’imbarcazione stessa, ovvero alcuni secchi, una passerella, un’ancora di
ferro e 15 paia di remi, i quali vennero intagliati e decorati appositamente per il funerale,
ma alcuni non vennero nemmeno completati e quindi depositati vicino alla camera. Il
corredo funebre del capotribù dei Rus contemplava soprattutto alcool e alimenti, cioè
frutti (come le mele rinvenute sulla nave di Oseberg), pane, carne, cipolle ed erbe (come
la felce rinvenuta sulla nave di Sutton Hoo), ma anche uno strumento musicale (come la
lira scoperta sulla nave di Sutton Hoo) e gli armamenti. Sia in occasione del funerale delle
due donne di Oseberg, sia in occasione di quello raccontato da Ibn Fadlan vennero
compiuti sacrifici animali e forse anche umani: per il funerale tenutosi sul Volga vennero
sacrificati 2 cavalli, 2 mucche, un gallo, una gallina ed una serva; per il funerale tenutosi
in Norvegia vennero sacrificati ben 13 cavalli, 2 mucche, 4 cani, e forse anche la donna
più giovane, la quale poteva essere stata la serva di una regina o la seguace di una
sacerdotessa135. In entrambi i casi si poteva comunque parlare di sepoltura regale, invece
nel caso del capotribù Rus si assistette ad una cerimonia materialmente meno ricca,
eppure altrettanto complessa e suggestiva. Nel racconto di Ibn Fadlan il corpo venne
deposto esattamente com’era morto in una tomba provvisoria, sulla quale venne eretta
una tettoia e nella quale vennero portati alcool, cibo ed uno strumento musicale: dopo che
134
Ellis Davidson, Op. cit., pp. 17-18.
S.W. Nordeide, Death in abundance – Quickly! The Oseberg Ship Burial in Norway, in Acta Archaeologica 82
(2011),p.8.
135
furono passati 10 giorni ed ultimati tutti i preparativi, il cadavere venne riesumato,
riccamente vestito ed infine portato sulla nave, dove l’angelo della morte aveva fatto
portare un lettino assieme a lenzuola e cuscini, sui quali fece adagiare il defunto e la
schiava sacrificata in suo onore. Nel resoconto di Ibn Fadlan si parlava di una sepoltura
maschile così come quella di Sutton Hoo. In quest’ultima il cadavere doveva essere stato
verosimilmente ricoperto da un telo ed adagiato all’interno della cassa di legno presente
nella camera funeraria, la quale venne o costruita sul posto o inserita dal tetto ancora
aperto e posizionata verso ovest, ed infine chiuso al suo interno. Eppure i suoi resti non
vennero trovati, spingendo gli studiosi ad avanzare ben tre ipotesi: inizialmente si pensò
che non fosse una tomba, bensì un cenotafio per un re morto in mare o seppellito altrove,
poiché non era stata nè riaperta, né saccheggiata dopo la tumulazione. Successivamente
vennero elaborate altre teorie, tra le quali la possibilità che il corpo fosse stato cremato e
la cenere andata perduta oppure che il suolo acido avesse completamente consumato il
cadavere in seguito al crollo della camera. Per quanto riguarda la sua identità, gli studiosi
presero in considerazione 4 re dell’Anglia Orientale, ovvero Rædwald, il figlio Eorpwald
e il figliastro Sigeberth, ed infine Ecric. Secondo Chadwick la sepoltura sarebbe quella
del re Rædwald, il quale venne descritto da Beda come il primo capo supremo dei re di
Inghilterra, il più ricco ed il primo re a ricevere il battesimo cristiano, ma anche come
colui che cercò fino alla morte di servire sia il Dio dei cristiani che gli dei pagani136. La
possibilità che si trattasse di uno dei suoi successori è meno caldeggiata: il regno del figlio
Eorpwald fu altrettanto ricco, ma breve e particolarmente cattolico, il che lo avrebbe
verosimilmente distolto dall’organizzare un funerale pagano; invece i regni di Sigeberth
e di Ecric furono non solo brevi e tormentati, ma ancor più cattolici. Nel caso della nave
di Oseberg la sepoltura era invece femminile. I corpi, o almeno uno dei due, dovevano
essere stati distesi sul letto assieme a lenzuola, cuscini ed alcuni oggetti del corredo
funebre. Eppure i loro resti, o meglio quelli della donna più giovane vennero ritrovati
sparsi per tutta l’imbarcazione: i ladri cercarono presumibilmente di rimuovere i gioielli
presenti sui cadaveri e così facendo gettarono via le ossa di uno dei due scheletri, nello
specifico quello della donna più giovane, mentre buona parte dello ossa dell’altro
scheletro vennero portate via, forse perché interamente adorne di gioielli. Per quanto
riguarda l’identità di una delle due, alcuni studiosi sostennero che si trattasse di Åsa
136
Ellis Davidson, Op. cit. p.24.
Haraldsdottir di Agder, nonna di Harold I Haarfager 137, fondatore della dinastia regale
norvegese agli inizi del X secolo.
Sia nel caso di Oseberg che di Sutton Hoo si optò per l’inumazione, laddove per il funerale
Rus si procedette alla cremazione del cadavere assieme ai suoi beni e alla sua nave per
poi seppellire i resti alla fine del rogo funebre. In tutti e tre i casi si eresse un tumulo al di
sopra del sepolcro, ma Ibn Fadlan aggiunse che al centro di quest’ultimo venne posto un
pezzo di legno di betulla dove fu inciso il nome del defunto e quello del re dei Rus,
particolare impossibile da stabilire per le altre due sepolture. Resta un solo aspetto da
approfondire, ma lo farò nel prossimo capitolo.
Le sepolture regali come performance teatrali
Le sepolture regali possono essere considerate possibili teatri di studio per la performance
rituale? Le sepolture di Sutton Hoo e Oseberg possono essere analizzate come un
palcoscenico alla fine di una rappresentazione teatrale? La testimonianza lasciataci da Ibn
Fadlan sembra promuovere una simile operazione. Per coglierne al meglio il carattere
teatrale bisogna osservare ogni singola caratteristica della sepoltura, a partire dalla
collocazione geografica fino ad arrivare agli effetti che la luce poteva creare all’interno
della camera sepolcrale.
La principale differenza tra i tre riti funebri è il trattamento scelto per la sepoltura del
defunto: sul Volga assistiamo ad una cremazione, in Suffolk e in Vestfold a due
inumazioni. Eppure tutti e tre i funerali ruotano attorno ad un’imbarcazione, la quale
diventa il centro di tutte le attività svolte.
Nel caso del resoconto di Ibn Fadlan ci troviamo nei pressi di ƨtli, la capitale dei Khazar,
sulla riva del Volga138.Nel caso della nave di Oseberg ci troviamo sulla costa occidentale
del fiordo di Oslo, Vestfod (Norvegia), vicino ad un fiume navigabile da piccole
imbarcazioni simili a quella rinvenuta. Eppure la sua posizione sembra insolita: il tumulo
non è stato eretto su una collina, bensì collocato nel punto più basso della valle, accanto
al fiume. Nel caso della nave di Sutton Hoo ci troviamo nei pressi della riva del fiume
Derben, Suffolk (Inghilterra), anch’esso navigabile. Anche la sua posizione può sembrare
strana: il tumulo era stato eretto su una zona pianeggiante della valle, dietro ad un
137
138
Sjøvold, op. cit., p.199.
J.E. Montgomery, op. cit., p.5.
promontorio. Ciononostante la posizione è strategica in entrambi i casi, perché così i
tumuli si ritrovarono al centro del paesaggio, affacciandosi sulla terra e sulle sue acque
circostanti, o meglio acquisendo una panoramica completa della zona, che vedeva tutto e
poteva essere vista da tutti.
L’ambientazione della cerimonia funebre è pressoché la stessa: i funerali si svolgevano
nei pressi di un fiume, dal quale la nave era stata tirata fuori e trasportata con l’ausilio di
cilindri di legno nel luogo scelto. Si trattava però di attività che richiedevano un
determinato periodo di tempo, ovvero lo scavo di un canale, il posizionamento dei cilindri
e l’effettivo trasporto dell’imbarcazione: il lasso di tempo richiesto per queste operazioni
doveva essere particolarmente ridotto nel caso del funerale del capotribù Rus, essendo il
luogo della cerimonia vicinissimo alla riva, laddove per il funerale di Oseberg e di Sutton
Hoo lo spostamento della nave richiese maggior tempo, essendo entrambe le sepolture
più o meno distanti dalla riva del fiume. Alcune attività quindi dovevano essere
necessariamente anticipate, cioè svolte prima della cerimonia funebre. Ibn Fadlan
racconta in particolare di una tomba provvisoria, nella quale il capotribù venne posto così
com’era morto assieme a cibo, alcool e uno strumento musicale, in modo tale da avere il
tempo di preparare al meglio il funerale, ovvero di posizionare la nave e predisporla ad
accogliere il morto, di cucirgli gli abiti e di acquistare le bevande. Si passava poi alla
costruzione della camera funeraria, nella quale si sarebbe svolto l’atto finale della
cerimonia funebre, ovvero la deposizione del corpo e la chiusura della stessa camera: la
camera funeraria del funerale sul Volga e quelle di Sutton Hoo ed Oseberg erano camere
di legno con tetto a spiovente interno alla nave, molto probabilmente costruite
direttamente a bordo. Altre attività invece erano parte integrante della cerimonia funebre
e si sarebbero svolte il giorno stesso.
La costruzione della scena finale è quel che maggiormente differenzia le tre sepolture
prese in considerazione. Nel caso del funerale del capotribù Rus viene infatti eseguita una
cremazione con susseguente tumulazione dei resti della pira, una pratica che nonostante
il suo declino era nel 925 d.C. ancora praticata. Ibn Fadlan narra che il giorno della
cerimonia funebre la nave era già stata portata a riva ed posizionata su un’impalcatura di
legno costruita appositamente per la pira funebre. Gli uomini che avevano predisposto la
pira cominciarono ad andare avanti e indietro pronunciando parole incomprensibili e
costruendo poi un lettino, il quale venne portato a bordo e ricoperto di stoffe e cuscini,
accuratamente disposti dall’Angelo della Morte: la nave era pronta finalmente ad
accogliere il defunto e la serva sacrificata in suo onore. Quegli stessi uomini aprirono
dopo la tomba provvisoria, riesumarono il corpo del loro capo e portarono via tutto ciò
che era stato seppellito con lui, ovvero l’alcool, la frutta e un piccolo strumento musicale.
Seguono la descrizione della preparazione del cadavere, del corredo e l’esecuzione dei
sacrifici umani: il corpo venne privato degli abiti che indossava nel momento della sua
morte e vestito con quelli cuciti appositamente per la cerimonia funebre, per poi essere
finalmente portato all’interno della camera costruita sull’imbarcazione ed adagiato sul
lettino, affiancato dal suo equipaggiamento militare e circondato da cibo, mentre un cane
veniva tagliato a metà, un gallo e una gallina macellati e tutti e tre gettati sulla nave
assieme a due cavalli, i quali vennero fatti galoppare fino a sudare prima di subire la stessa
fine. La puzza delle feci degli animali spaventati e l’odore del sangue iniziarono ad
impregnare l’aria intorno alla nave e l’olfatto dei presenti, laddove i loro stessi versi
strazianti avevano già assordato i presenti. Ma la violenza non era soltanto olfattiva ed
uditiva, ma soprattutto visiva: nei giorni precedenti al funerale la serva era passata di tenta
in tenda esaltata dall’alcool bevuto durante i preparativi ed era stata ripetutamente
violentata dai presenti, i quali ripetevano a gran voce di farlo per amor del suo padrone
che non avrebbe potuto consumare in vita il matrimonio che invece lo avrebbe unito nella
morte alla sua serva. La peculiarità della cerimonia era il rituale eseguito la sera, quando
la serva venne condotta dinnanzi una struttura che somigliava al telaio di una porta e
sollevata tre volte: la prima volta disse di vedere i propri genitori, che sembrerebbero così
partecipare nella morte al suo futuro matrimonio e godere del suo status di donna libera;
la seconda volta sostiene di vedere i suoi antenati; la terza volta affermò di vedere il suo
padrone seduto in paradiso che attendeva il suo arrivo. Alla fine di tale rituale la ragazza
taglia la testa di un gallo e la getta al di là della struttura. Giunge il momento del sacrificio
della serva: la ragazza venne portata sulla nave e privata di bracciali e cavigliere, le venne
offerta una coppa ed iniziò a cantare per accomiatarsi dalle compagne, mentre l’angelo
della morte la invitava ad entrare nella tenda. La cerimonia giunge al culmine: gli uomini
che avevano portato la coppa presero i propri scudi ed alcuni bastoni ed iniziarono a
percuoterli, creando un rumore tale da coprire le urla della ragazza. La violenza era di
nuovo uditiva: la percussione degli scudi con i bastoni copre tutti gli altri rumori e quasi
ipnotizza gli spettatori, sui quali l’effetto della cerimonia dovette amplificarsi a dismisura
essendo tutti sotto l’effetto dell’alcool. Dal piano uditivo si passò nuovamente a quello
visivo: sei uomini entrarono nella tenda, la violentarono nuovamente e la distesero
accanto al padrone, dopodiché strinsero la corda che l’Angelo della Morte le aveva messo
attorno al collo mentre ella stessa infilava il pugnale tra le costole della serva. La
cerimonia si avvia verso la sua conclusione: un parente del defunto si avvicinò nudo,
tenendo una mano sull’ano e stringendo l’altra attorno ad un pezzo di legno infuocato, e
diede fuoco alla nave per primo, seguito da tutti i presenti, e la nave prese rapidamente
fuoco, avvolta dal vento. Alla fine le ceneri vennero coperte da un tumulo ed il tumulo
venne marcato da un pezzo di legno con incisi il nome del capotribù e quello del loro re.
La cremazione è una sepoltura che non lascia altro che ceneri, che non permette di
ammirare l’esito della cerimonia funebre, laddove la tumulazione invece permette di
osservare ciò che la messa in scena della sepoltura lascia dietro di sé.
La sepoltura di Oseberg ci restituisce la testimonianza di una sepoltura in parte simile a
quella descritta da Ibn Fadlan, nonostante il rituale ricostruito sottendesse un’ideologia
diversa. Si tratta di un’inumazione femminile doppia: i corpi vennero molto
probabilmente distesi sul letto ricoperto da lenzuola e cuscini ed arricchito da alcuni
oggetti del corredo funebre. La presenza di sacrifici animali lascia intuire che anche in
questo caso la cerimonia fosse stata dominata da violenza visiva tanto quanto olfattiva ed
uditiva: l’atmosfera doveva essere stata dominata dalla puzza delle feci e dai versi
assordanti degli animali terrorizzati così come dal rosso del sangue degli animali immolati
e gettati al di fuori della nave. Eppure al tumulto dei sacrifici sembrò seguire la quiete di
una camera funeraria arredata ed illuminata dalla luce soffusa delle fiamme, le quali
probabilmente ardevano consumando il carbone contenuto da tre peculiari strutture
triangolari rinvenute nei pressi della sepoltura139. L’obbiettivo era molto probabilmente
quello di ricreare l’illusione della vita all’interno della camera funeraria: la credenza
dietro l’attenzione per la modulazione della luce era molto probabilmente quella della
sopravvivenza dopo la morte all’interno della camera, la quale sembrerebbe
concretamente rinforzata dalla presenza di un’ancora e di una pietra che dovevano tenere
la nave ben ancorata al terreno.
139
Gardeła, Op. cit., p.386.
Figura 1
Nel caso di Oseberg è stato provato che inizialmente solo metà del tumulo venne eretto
al di sopra della nave, ovvero che per un lasso più o meno lungo di tempo 140solo la poppa
e buona parte della camera sepolcrale vennero interrati, laddove l’ingresso di quest’ultima
e la prua rimasero accessibili per mesi (Figura 2). Le analisi stratigrafiche del tumulo
permisero di scoprire che si trattava di una sepoltura a due tempi e di ipotizzare che avesse
richiesto molto tempo per il suo completamento: le analisi botaniche del terreno, delle
piante e fiori presenti sulla nave e degli alimenti ingeriti dagli animali sacrificati
rivelarono viceversa che si trattava di una sepoltura eseguita rapidamente tra la fine
dell’estate e l’inizio dell’autunno141. Non si saprà mai se la sepoltura fosse stata lasciata
aperta perché il funerale ebbe un lungo periodo di svolgimento, rendendo così possibile
continuare a far visita e ad interagire coi corpi e contemporaneamente a compiere sacrifici
sulla prua in loro memoria, o perché la nave fu adottata come luogo di culto, diventando
così uno spazio privilegiato per lo svolgimento di riti religiosi e di sacrifici animali.
Eppure l’accesso alla camera funeraria venne poi chiuso rapidamente con alcuni pezzi di
legno, i quali vennero inchiodati senza porre attenzione alla loro disposizione o alla loro
stabilità, ma anzi curvando o rompendo alcuni chiodi, e poi sigillata accatastando un
cumulo di oggetti di legno e distruggendone altri142. Se la sepoltura fosse stata quella di
una regina dedita al culto di Freja, si potrebbe ipotizzare che l’inumazione fosse un
tentativo di trattenerla a tutti i costi in questo mondo e di perpetuare l’influsso benefico
Laddove Christensen affermò che il lasso di tempo intercorso tra l’innalzamento della prima metà del tumulo e la
seconda metà fosse più esteso e andasse dalla primavera all’autunno, sia J. Holmboe che A.W. Brøgger stabilirono che
questo lasso di tempo fosse molto più breve e si estendesse dalla tarda estate ad inizio autunno. Vedi Nordeide, Op.
cit., pp. 11-12.
141 Nordeide, Op. cit., pp. 12-13.
142 Price, Op. cit., p.139.
140
del suo tempo143, laddove la rapida chiusura della camera e il completamento del tumulo
furono dovuti alla paura di un suo ritorno144. La successiva intrusione da parte di alcuni
ladri potrebbe essere considerata parte integrante del funerale: a volte le tombe venivano
riaperte per spostare il corpo in un’altra tomba, altre per appropriarsi delle ricchezze
contenute al suo interno, come sembrerebbe nel caso della nave di Oseberg. Secondo Bill
e Daly145 andrebbe però presa in considerazione l’ipotesi di un tentativo di dissacrazione
legato alla politica di potere del re Harald Bluetooth, il quale ottenne il dominio della
Norvegia nel X secolo: l’eccessivamente violento trattamento riservato ai due cadaveri
potrebbe essere interpretato come un tentativo di profanare le tombe di importanti
personalità del passato per poter affermare il proprio potere sulla regione del Vestfold.
La sepoltura di Sutton Hoo ci restituisce la testimonianza di un rituale diverso sia perché
la nave venne ritrovata integra, sia perché era la sepoltura di un re anglosassone e non
scandinavo. Si trattava di un’inumazione maschile singola: il corpo venne molto
probabilmente ricoperto da un telo e adagiato all’interno della cassa di legno, la quale
venne o costruita sul posto o fatta passare attraverso il lato aperto del tetto e poi
posizionata nella zona ovest della camera funeraria (Figura 1). L’assenza di sacrifici
animali lascia intuire una cerimonia che non è del tutto pagana, ma nemmeno in parte
cristiana: l’atmosfera doveva essere dominata dalla calma trasmessa dall’ordine e dal
silenzio della camera funeraria lasciata aperta. I presenti non assisterono a scene di
violenza, ma si misero in fila per omaggiare il defunto ed ammirare la ricchezza della sua
camera, continuando a subire l’influsso del sovrano anche dopo la sua morte. Dopo che
tutti gli appartenenti alla comunità ebbero compianto il defunto e pronunciato i lamenti
funebri, giunse il tempo di sigillare la camera e di portare a bordo i remi: la camera venne
però prima illuminata dalla flebile luce di una lampada, la quale venne accesa subito
prima della chiusura del soffitto. Anche in questo caso l’obbiettivo era verosimilmente
quello di ricreare l’illusione della vita al suo interno.
143
A.S. Ingstad, The interpretation of the Oseberg-find, in The Ship as Symbol, Copenhagen 1995, p.146.
Ingstad, Op. cit., p. 145.
145 J. Bill e A. Daly, The plundering of the Ship Graves from Oseberg and Gokstad: an Example of Power Politics?, in
Antiquity 86 (2012), p.815.
144
Figura 2
Nel caso di Sutton Hoo è improbabile che la nave fosse stata riempita di sabbia e ricoperta
dalla terra del tumulo immediatamente, trattandosi di un compito impegnativo che
richiedeva del tempo. Piuttosto è possibile che la definitiva inumazione dell’imbarcazione
fosse stata effettuata in occasione di un anniversario o di una vittoria militare. Se la
sepoltura fosse stata effettivamente quella di Re Ræwald, ovvero quella di un convertito,
si potrebbe ipotizzare che quest’ultimo avesse ricevuto un funerale privato secondo le
procedure cristiane, ma che pubblicamente si fosse fatto seppellire in una nave secondo
le antiche tradizioni, facendo così una concessione all’ancora forte sentimento pagano 146.
Nonostante la sepoltura di un cadavere sembri focalizzarsi sulla morte e sul destino della
sua anima, in realtà la cerimonia funebre e le attività ad essa connesse sono svolte dai vivi
ed influenzano gli stessi. Il funerale non è solo un contesto di produzione e riproduzione
della cosmogonia e della mitologia, ma anche e soprattutto reiterazione della memoria
sociale e delle gerarchie di potere. Possiamo concludere che la cerimonia funebre regale
diventa così uno spettacolo teatrale che ruota attorno alla nave, la quale si trasforma in
teatro della morte, laddove la camera funeraria è destinata ad ospitare l’ultima scena ed a
preservare il cadavere, il corredo funebre e la tomba, ovvero le componenti sceniche di
tale spettacolo.
146
R.W. Chambers, Beowulf: An Introduction to the Study of the Poem with a Discussion of
the stories of Offa and Finn, Cambridge 1967, p.511.
Ship Burial in Literature
La rappresentazione dell’imbarcazione in ambito letterario
Un confronto delle fonti letterarie è più complesso di un confronto archeologico, perché
ci sono molti altri fattori secondari che devono essere considerati, come i diversi punti di
vista, i fini per la creazione del lavoro, il tempo in cui è stato scritto l'opera, le situazioni
politiche e così via. Eppure l’archeologia non può rivelarci tutto, a meno che non si faccia
ricorso alle fonti letterarie, le quali diventano un ulteriore elemento utile nella
comprensione del funerale navale aristocratico.
In ambito letterario l’associazione tra l’immagine della nave e il concetto di morte è
evidente nella mitologia della regione scandinava: il possesso di un’imbarcazione da parte
di una divinità è sempre marcato. Il primo riferimento ad una nave è quello presente nella
Ynglinga Saga (VII): la nave in questione aveva il nome di Skíðblaðnir ed apparteneva
ad Óðinn, nonostante in altre fonti sembrasse appartenere a Freyr147. Inoltre uno dei primi
riferimenti ad un regno della morte è presente sia nella Vǫluspá (Verso 8), sia nella
Gylfaginning (XL): il Valhǫll è la sala di Óðinn, il quale accoglie tutti i valorosi guerrieri
caduti in battaglia. La tradizione letteraria evidenzia il nesso tra l’imbarcazione, la morte
ed il dio Óðinn, la cui adorazione è strettamente connessa alla classe sociale nobile,
chiarendo così un’ulteriore caratteristica del funerale navale. Diventa significativo che sia
proprio Óðinn ad essere rappresentato nella letteratura come il dio dei re e dei capi, al
contrario di þórr, il dio invece della gente comune. E risulta rilevante che i re di Svezia
dichiarassero di essere diretti discendenti del dio. Il secondo riferimento ad
un’imbarcazione è nuovamente presente sia nella Vǫluspa (Versi 49-50) che nella
Gylfaginning (LI): la nave in questione aveva il nome di Naglfar ed era stata costruita con
le unghie dei defunti, ma non aveva un proprietario, bensì un timoniere che variava a
seconda del testo, ovvero nell’Edda in prosa era Hrýmr148 e nell’Edda poetica Loki149. La
connessione tra l’imbarcazione e la morte diventa ancor più evidente, essendo la nave
stessa costruita con le unghie dei morti e destinata a trasportare i morti durante il
Ragnarǫk. Diventa importante che la nave venga associata con il ritorno dei morti e la
147
J.P. Schjødt, The Ship in Old Norse Mythology and Religion, The Ship as Symbol in Prehistoric and Medieval
Scandinavia, Copenhagen 1995, pp. 20-24: 22.
148 S. Sturluson, op. cit., pp. 117-118.
149 P. Scardigli, op. cit., p.13.
fine del mondo, perché è la prima indicazione esplicita di un nesso tra imbarcazione e
morte nella mitologia e conseguentemente nella letteratura. Il terzo riferimento ad
un’imbarcazione è quello del funerale di Baldr: la nave Hringhorni apparteneva al dio e
divenne la sua pira funebre. L’usanza funebre secondo la quale la funzione
dell’imbarcazione è quella di portare il morto dall’aldiquà all’aldilà trova così il suo primo
corrispettivo letterario.
L’impressione che viene fuori dalla letteratura è che la pratica del funerale navale non
sembra aver mai rappresentato un credo rilevante nell’aldilà, ma piuttosto una vigorosa e
forse fanatica credenza interno ad una ristretta cerchia di nobili, la quale rimase impressa
nella letteratura proprio perché la letteratura tendeva a narrare le vicende delle classi
aristocratiche della società. È possibile che durante l’Epoca delle Migrazioni l’idea del
viaggio verso la terra dei morti avesse un qualche significato concreto, ma tale significato
è ormai difficilmente ricavabile dalla letteratura. Eppure sembra che il funerale navale si
diffuse maggiormente durante l’epoca Vichinga, forse perché la cremazione su
un’imbarcazione sembrava prontamente adattabile alle concezioni dell’aldilà adottate,
sebbene l’interramento dell’imbarcazione si diffuse e prevalse durante questo stesso
periodo. Il credo in una vita in un qualche altro luogo, una volta che il corpo ed i suoi
possedimenti erano stati distrutti, può essere stato facilmente esteso, fino ad includere la
possibilità e conseguentemente la necessità di un viaggio nel regno dei morti. Il credo
nella vita che continua all’interno della tomba, nella quale i possedimenti venivano ancora
apprezzati ed utilizzati dal defunto, rende la sepoltura della nave posseduta in vita dal
morto una conclusione logica. Tuttavia Snorri, così come altri trascrittori, trovarono
probabilmente tali credenze oltre la propria comprensione.
Il funerale navale
Breve excursus letterario
L’usanza di porre i morti all’interno di un’imbarcazione venne elaborata nella letteratura
attraverso la sua regolarizzazione sotto forma di leggi e la sua esemplificazione attraverso
episodi mitici o leggendari per giungere alle testimonianze prosaiche delle saghe islandesi
e degli osservatori esterni, appartenenti ad altre popolazioni. Eppure tale tradizione era
molto meno presente del previsto, forse semplicemente perché era talmente diffusa
all’epoca da non richiederne continuamente l’annotazione. A favore di tale ipotesi
sembrerebbe proprio il fatto che i resoconti più numerosi di sepoltura in un’imbarcazione
si ritrovino nelle saghe islandesi, dove l’impiego di un’imbarcazione nelle sepolture non
era molto diffusa ed era quindi inevitabile tenere conto di una pratica funebre che esulava
dal quotidiano: nella Heimskringla troviamo solo due esempi di funerale navale, laddove
nelle saghe se ne rintracciano molti di più.
Le testimonianze più problematiche sono il precetto150 attribuito al dio Oðinn nella
Heimskringla (I, VIII) e le leggi attribuite al re Frode nelle Gesta Danorum (V, VIII, 1),
nelle quali si trova una vaga traccia della pratica di deporre il corpo di un re o un
condottiero a bordo di una nave, la quale veniva data alle fiamme151. Tuttavia le leggi
tramandate da Saxo Grammatico appartengono più alla legenda che alla storia vera e
propria e molto probabilmente la fonte da cui le aveva apprese non era originaria del
territorio scandinavo, dato che sul suolo danese si registra la minor quantità di navi
funerarie rinvenute, e molto probabilmente apparteneva ad un insieme di leggi molto
antico e prettamente militare. Nella Hakonar Saga Góda (XXVII) si racconta di un
episodio simile ad uno descritto nelle Gesta Danorum (V, VIII, 1), ovvero la decisione
del re cristiano Hákon il Buono di far porre il fedele Egill Ullserk in un’imbarcazione
dopo la sua morte in battaglia assieme ai caduti appartenenti al suo equipaggio, la quale
venne poi ricoperta di terra e pietre a costituirne il tumulo152. Nelle Gesta Danorum (III,
II, 2) si narra inoltre che Hotherus decise di porre il cadavere dei re dei Sassoni sui corpi
dei suoi rematori all’interno di una nave-pira, la quale venne poi data alle fiamme e le
ceneri risultanti vennero seppellite al di sotto di un tumulo153.
Nella Eldri Edda sono contenuti alcuni passaggi che sembrano suggerire l’idea dell’uso
della nave come pira prima che questa usanza entrasse nel folklore. Un esempio che si
trova sia nell’Edda poetica (Vǫluspa, V 37) che in quella in prosa (Gylfaginning, VII)
racconta di una spiaggia di cadaveri, il Nastrǫnd, la quale avallerebbe il concetto di altra
spiaggia. Un altro esempio che si ritrova in entrambi i testi narra di un’imbarcazione che
si pensava trasportasse gli ospiti di Hel attraverso il mare per combattere contro gli Asi
nel giorno del giudizio, il Ragnarøk: nella Völuspá (V. 50) veniva collocato Loki al suo
timone, invece nella Gylfaginning (XXXVII) il gigante Hrym, aggiungendo in
150
S. Sturluson, op. cit., p.11.
S. Grammatico, op. cit., p. 245.
152 S. Sturlusson, op. cit., pp. 107-108.
153 S. Grammatico, op. cit., p.132.
151
quest’ultima versione che tale nave sarebbe stata costruita con le unghie dei morti. Ma è
nella Edda Snorra Sturlussonar che è contenuta la prima descrizione vera e propria del
rito funebre su imbarcazione, quello di Baldr e di sua moglie Nanna, di cui parlerò in
seguito.
Nella Volsunga Saga (X) si narra della morte del figlio di Sigmundr, Sinfjotli, il quale
venne affidato dal padre ad un uomo, probabilmente Odino, il quale si offrì di trasportare
il cadavere sulla sua piccola imbarcazione, ma scomparve con quest’ultimo nel nulla
lasciando il padre sulla riva della baia154.
Dal mito si passa alla storia, ovvero uno dei più antichi funerali navali descritti risulta
essere quello del re Haki presente nella Ynglinga Saga. Dopo essere stato ferito in
battaglia ed essersi reso conto di essere in fin di vita, egli ordinò che gli venisse portata
la sua nave da guerra, la quale doveva essere caricata con i cadaveri dei caduti in battaglia
tra le loro stesse armi e poi prepararla alla partenza in mare imbarcando il timone e
issando le vele. Sebbene non fosse ancora morto, Haki si fece caricare a bordo e lasciare
morire tra le fiamme mentre la nave prendeva il largo. Una vicenda simile è presente
all’interno della versione latina della Sjöldunga Saga, dalla quale anche Snorri attinse
materiale per la sua Ynglinga Saga e forse modificò questo stesso episodio. Il re Sigurðr
Hringr organizzò il funerale di Alfsola e degli uomini morti con lui in battaglia
preparando la nave-pira a salpare, poi decise di salire a bordo della nave, di piazzarsi
assieme ad Alfsola verso poppa dando l’ordine di incendiare l’imbarcazione. Nonostante
fosse
sopravvissuto,
egli
decise
di
guidare
l’imbarcazione
in
fiamme
e
contemporaneamente di trafiggersi, preferendo morire in grande stile che non di
vecchiaia.
Nonostante nell’archeologia dell’Islanda le sepolture navali siano rare, nella letteratura
sono particolarmente ricorrenti. Nella Gìsla Saga (XVIII) þorgrimr venne collocato nel
tumulo assieme alla sua nave, dopodiché un grande masso venne gettato sulla nave155.
Eppure pochi capitoli prima un uomo era stato seppellito con le già citate Hel-shoe. Non
esisteva effettivamente nessun nesso tra il defunto ed il mare: nella saga si credeva anzi
che þorgrimr continuasse a vivere nel tumulo, perché la neve ed il ghiaccio non
154
155
L. Koch (a cura di), La Saga dei Volsunghi, Torino 1994, pp.105-107.
Un elemento in comune con la sepoltura della nave di Sutton Hoo. Vedi H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.39.
attecchivano al di sopra del suo giaciglio per la devozione da lui mostrata verso Freyr 156.
Nella Vatnsdœla Saga (XXIII) Ingimundr venne seppellito su una piccola barca
appartenente alla nave Stingardi e celebrato con tutti gli onori 157. Anche in questo caso
non sembrava esserci dietro nessun particolare credo nell’aldilà. Un caso a parte è invece
quello di Auðr nella Laxdœla Saga (VII), dove si narra che ella venne seppellita con tutte
le sue ricchezze in una nave all’interno di un tumulo158, ma nel Landnámabók invece si
racconta che ella rifiutò di essere seppellita in un terreno non consacrato e per questo
venne interrata nella sabbia, al di sotto del livello dell’alta marea159. Sempre nel
Landnámabók Germund venne seppellito con una nave all’interno di una foresta160,
mentre Ásmundr venne sotterrato anch’esso con una nave, ma accompagnato dal suo
servo offertosi in sacrificio161. Tuttavia Ásmundr apparve dopo del tempo in sogno alla
moglie Dora, alla quale disse di non sopportare la compagnia del servo e constrinse i
parenti alla rimozione di quest’ultimo dalla sepoltura. Anche in questo caso la credenza
di fondo è quella della sopravvivenza del defunto all’interno del tumulo nonostante la
presenza di un’imbarcazione. Nella Harðar saga og Hólmverja (XV) il protagonista
discese nella tomba del defunto Sòti e lo trovò in piedi a prua circondato dal tesoro
contenuto nella sua nave, la quale era stata interrata nella camera affianco a quella
funeraria162. Un altro esempio peculiare è contenuto nella Bárðar Saga Snæfellsáss (XV),
nella quale Raknar è sepolto con la sua nave, ma non a bordo di quest’ultima come i
restanti 500 uomini, bensì seduto su una sedia interrata accanto alla nave 163. Nella
Svarfdœla Saga (XXVI) þorgerðr fece seppellire Karl ed il suo equipaggio in una nave
assieme a molte ricchezze. Stavolta è invece presente un fugace riferimento ad una vita
in un qualche mondo ultraterreno, sebbene il riferimento alla nave possa essere casuale,
non implicando quindi la credenza in un aldilà oltre il mare. Nella Àns Saga Bogsveigis
(VI) il fratello di Àn, þórir, venne ucciso dal re e per vendetta il protagonista uccise un
156
Ö.Thorsson, op. cit., p.523.
Ö.Thorsson, op. cit., p.225.
158 Ö.Thorsson, op. cit., p.282.
159 H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.39.
160 H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.40.
161
H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.40.
162 H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.40.
163 H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.40.
157
gruppo degli uomini del re, i quali egli stesso collocò su una nave all’interno di un tumulo
dietro al fratello affinchè fosse chiaro che dovessero tutti servirlo164.
Nella Brennu-Njáls Saga (CLIX) invece l’ormai anziano guerriero Flosi, il quale si recò
in Norvegia per procurarsi del legname, decise di tornare solo alla fine dell’estate con la
sua barca, nonostante tutti gli avessero detto che l’imbarcazione era insicura 165. Non viene
celebrato nessun funerale, ma viene messo in evidenza il credo in un mondo della morte
al di là del mare.
In nessuno di questi testi è ben chiaro il credo in un aldilà raggiunto con una nave, la
quale non è strettamente connessa con la pratica della sepoltura navale, almeno non nella
testa dei narratori. Se questo nesso fosse poi realmente esistito in passato, non se ne
conservava però più memoria quando racconti vennero messi per iscritto dai poeti.
Il funerale navale “regale”
Prima di poter analizzare le cerimonie funebri presenti nel Beowulf e nell’Edda in prosa,
è preferibile soffermarsi sulle opere che contengono le descrizioni di tali funerali per
contestualizzare meglio l’episodio narrativo, e sui personaggi per i quali tali funerali
vennero compiuti per capirne meglio le implicazioni.
Chi era Baldr e cosa rappresentava la sua morte?
Non è facile definire l’identità di Baldr ed il suo ruolo nel sistema mitologico norreno,
dato che esistono due versioni della sua storia quasi del tutto inconciliabili.
Nell’Eldri Edda e nella Edda Snorra Sturlussonar Baldr viene presentato come un dio
della mitologia norrena appartenente alla famiglia degli Æsir, nello specifico come il
secondogenito di Óðinn e Frigg e fratello minore di Höðr. Nelle Gesta Danorum viene
presentato invece come un semidio, figlio di Óðinn ed in competizione con Höðr
(Hotherus), il quale non è più suo fratello, ma un eroe umano. Un’ulteriore attestazione
del funerale è presente nella Húsdrápa di Úlfr Uggason, nella quale vengono invece
descritte alcune scene mitologiche intagliate sulle pareti della sala di un certo Óláfr Pái
Höskuldsson. La morte di Baldr è sia implicitamente che esplicitamente annotata in varie
164
165
H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.41.
H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.44.
opere, ma l’unico testo che offre una dettagliata descrizione del funerale è l’Edda di
Snorri.
Per poter contestualizzare il mito e per coglierne meglio le implicazioni è necessario
soffermarsi brevemente sulle due versioni pervenute e sulle opere che le contengono.
L’Edda di Snorri, detta anche Edda in prosa, è un manuale di poetica di arte scaldica, il
quale può essere contenutisticamente considerato una sorta di trattato di mitologia
norrena. Snorri fornì molti racconti sulla creazione del mondo e sugli dei, perché gli
antichi miti erano considerati parte integrante del bagaglio culturale di ogni poeta, ovvero
materiale indispensabile alla comprensione della poesia scaldica e repertorio
imprescindibile per la composizione delle nuove opere. Tuttavia l’intenzione originaria
dell’autore non era quella di scrivere un trattato di mitologia, ma di trascrivere i miti in
quanto da lui ritenuti indispensabili per la finzione letteraria: egli scrisse un prologo, nel
quale tentò di difendere la propria scelta spiegando come sorse nel popolo nordico la fede
pagana e giustificandola come fase di passaggio alla religione rivelata166. L’Edda è
costituita quindi da un prologo e tre libri: il prologo (detto Formáli), l'inganno di Gylfi (o
Gylfaginning), il discorso sull'arte scaldica (o Skáldskaparmál) ed il catalogo dei metri (o
Háttatal). Il mito di Baldr si trova nella prima sezione, cioè quella dell’inganno di Gylfi,
ed è divisibile in tre parti organizzate in modo simmetrico e seguite da una coda, nella
quale si racconta della susseguente vendetta su Loki. Il mito inizia quando Baldr, turbato
nel sonno da terribili incubi, rivela alla madre Frigg i suoi timori e quest’ultima prende la
decisione di chiedere un giuramento a tutto il creato, affinchè il figlio non possa essere
ferito da niente e nessuno. Per onorare il dio e la fatica della madre per tutelarlo, gli dei
decidono di raccogliersi ogni giorno nel þing per mirare e colpire Baldr con qualsiasi
oggetto senza che però egli ricevesse alcuna ferita. Ma Loki, infastidito da tale spettacolo,
decide di recarsi dalla madre Frigg trasvestito da donna anziana e le chiede se
effettivamente tutto il creato avesse prestato giuramento, ricevendo come risposta una
confessione: ella non lo aveva preteso da un piccolo rametto di vischio ad ovest del
Valhǫll. Loki raccoglie il rametto e si reca all’assemblea, dove trova il cieco Höðr in
disparte e lo convince a prendere parte all’evento: egli gli consegna il rametto e lo guida
nel lancio, facendogli così uccidere il fratello. Lo sgomento è tale che gli dei non riescono
166
M.C. Ross, op. cit., p.233.
né a proferir parola né a sollevarlo, ma soltanto a chiedersi chi sia il colpevole e a
piangere. Allora Frigg chiede a tutti i presenti chi voglia conquistarsi il suo favore
cavalcando fino al regno di Hel ed Hermóðr si offre volontario. Segue il funerale di Baldr
e la partenza di Hermóðr. Dopo nove notti quest’ultimo giunge al fiume Gjǫll e attraversa
il ponte Gjallarbrú, dove la fanciulla Móðguðr gli chiede chi sia e gli indica poi il sentiero
per i cancelli di Hel. Hermóðr giunge al palazzo di Hel e trova Baldr ad accoglierlo e ad
invitarlo a riposare prima di recarsi da Hel. Il giorno dopo egli incontra la gigantessa, la
quale stabilisce le condizioni per la restituzione del dio: se tutti gli esseri del mondo, vivi
o morti, lo piangeranno, allora Baldr potrà tornare fra gli Æsir, ma rimarrà con Hel se
qualcuno si opporrà o se non vorrà piangerlo. Hermóðr si congeda dalla gigantessa e dal
fratello, il quale gli affida l’anello Draupnir per farlo restituire al padre, e torna ad Ásgarðr
comunicando a Frigg la richiesta. Allora Frigg spedisce numerosi messaggeri per il
mondo, i quali chiedono a tutti gli esseri viventi così come a tutte le cose di piangere la
morte del dio. Tuttavia l’anziana þökk, Loki travestito, si rifiuta e condanna il dio a restare
in Hel ed il mondo ad avviarsi verso il Ragnarǫk. Il mito si chiude con la vendetta degli
dei nei confronti di Loki, il quale scappa e si nasconde su una montagna, dove costruisce
una casa con quattro porte, cioè una in ogni direzione, e spesso si mimetizza
trasformandosi in salmone e nuotando nella vicina cascata. Gli Æsir scoprono presto il
suo nascondiglio e riescono a catturarlo, dopodiché si dirigono ad una caverna, nella quale
conducono sia i due figli di Loki, uno dei quali viene trasformato in lupo e divora il
fratello, sia Loki stesso, il quale viene legato con le intestina del figlio al di sopra di pietre
taglienti e al di sotto di un serpente che lascia gocciolare il suo veleno su di lui.
Le Gesta Danorum sono invece una raccolta di 16 libri in prosa con sezioni scritte in
versi, dei quali i primi nove incentrati sulla mitologia norrena ed i restanti sei sulla storia
medievale danese. Il mito Baldr (Balderus) è contenuto nel libro IV e sarebbe una
versione storicizzata del mito, anche se sembrerebbe più romanzata. Il mito inizia stavolta
con la storia di Hotherus, il quale è figlio del re di Svezia Hodbrodd e fratello di Athisl,
ma viene cresciuto da Gevar in Norvegia. Egli si innamora di sua figlia Nanna e la
conquista con la musica, ma ella è amata anche da Balderus, il quale l’aveva vista lavarsi
e se n’era innamorato a tal punto da progettare di uccidere Hotherus. Un giorno Hotherus
si perde nella nebbia durante una battuta di caccia e si imbatte in un capanno abitato da
alcune fanciulle, le valchirie, le quali rivelano di decidere le fortune della guerra e di
prendere parte ai combattimenti. Egli viene messo in guardia dalle stesse poiché sono a
conoscenza del piano di Balderus, il quale vuole ucciderlo per amore di Nanna, e del suo
punto forte, il quale lo rende immune al normale acciaio. Dopo aver parlato con le
valchirie ed essere tornato, Hotherus si reca dal padre adottivo Gevar per chiedere in sposa
Nanna, ma egli rifiuta per paura di Balderus e gli parla di una spada capace di ucciderlo
e di un bracciale capace di arricchire il proprietario, entrambi posseduti dal satiro Miming.
L’eroe riesce a raggiungere la dimora del satiro e ad appropriarsi delle sue ricchezze ed
ottiene la mano di Nanna, quando la scelta del futuro sposo viene lasciata alla ragazza, la
quale rifiuta Balderus in quanto semidio. Segue una vera e propria guerra che vede
Hotherus ed i suoi alleati schierarsi contro Balderus e gli dei. Una notte, in seguito ad uno
scontro sanguinoso, Hotherus scopre tre fanciulle portare cibo magico a Balderus, le
segue e si improvvisa menestrello, così da intrattenerle con la musica e da farsi concedere
un assaggio. Egli decide poi di ritornare, ma incontra Balderus e lo trafigge a morte con
la spada, il quale cade al suolo, ma riesce a rinnovare la battaglia per il giorno dopo.
Balderus ha una visione quella stessa notte, nella quale Proserpina gli promette di unirsi
a lui nella morte nel giro di tre giorni, e muore effettivamente il terzo giorno, onorato da
un maestoso funerale e seppellito in un altrettanto notevole tumulo. Il mito si conclude
con la vendetta di Othinus, il quale si rivolge ad un mago lappone e viene a conoscenza
del fatto che il vendicatore del figlio sarebbe nato dalla sua unione con la figlia dei re dei
Russi, Rinda. Othinus riesce e prendere servizio presso il re, ma non a conquistare la
donna, per violentare la quale si traveste da donna e diventa sua servitrice: dalla loro
unione nasce Bous, il quale incontra Hotherus in battaglia e lo uccide ferendosi però a
morte.
Nonostante le due versioni siano molto diverse, condividono alcuni elementi narrativi:
Baldr viene trafitto da Höðr, riceve uno splendido funerale e viene vendicato dal
fratellastro nato dall’unione di Óðinn e di Rindr. Ciononostante le differenze le differenze
sono troppo evidenti per poter essere ignorate: in Saxo Balderus è un semidio odioso e
prepotente, laddove in Snorri è un dio passivo, ma amabile e splendente; in Saxo Balderus
è un semidio figlio del dio Othinus e Hotherus un umano figlio del re Hodbrodd; laddove
in Snorri Baldr e Höðr sono fratelli ed entrambi figli di Óðinn; in Saxo Nanna diventa la
moglie di Hotherus, laddove in Snorri Nanna è la moglie di Baldr; in Saxo è una spada
magica ad uccidere Balderus, laddove in Snorri è un rametto di vischio 167; in Saxo la
morte di Balderus è attribuibile solo e unicamente ad Hotherus, laddove in Snorri è Loki
che guida l’ignara mano del cieco Höðr; in Saxo è Bous il nome del fratellastro di
Balderus che si vendica, laddove in Snorri è Váli.
Ma che cosa rappresenta la figura di Baldr?
Secondo Neckel Baldr era un dio che incarnava la fertilità con la sua morte e
resurrezione168: la sua figura sembrava così essere un prestito culturale dall’Oriente, o
meglio la sua vicenda sembra riecheggiare quelle di altri dei morenti quali Tammuz, Attis,
Adonis e il Baalim169. Secondo Schier Baldr apparterrebbe alla categoria degli dei
morenti che però restano morti: la cerimonia funebre nel suo insieme di morte, lamenti e
funerale vero e proprio permetterebbe alla divinità di acquisire una nuova funzione
nell’aldilà. Egli lo considera un dio locale danese corrispondente alla figura di Freyr in
Svezia, il quale era sempre connesso al concetto di fertilità ed era in più ritenuto il
fondatore della propria dinastia: con la sua morte suscitò un effetto tale da portare alla
catalogazione delle morti dei re, cioè alla composizione di opere come Ynglingatal170.
Secondo De Vries Baldr non può essere una figura della fertilità perché innanzitutto
apparteneva alla stirpe degli Æsir e non dei Vanir, ovvero delle divinità legate alla natura,
e poi perché la sua morte è irreversibile, ovvero egli non sarebbe ritornato ciclicamente,
come accadrebbe ad una divinità legata al ciclo naturale appunto, ma soltanto con l’inizio
di un nuovo ciclo mitologico. Per De Vries la morte di Baldr rappresentava la prima
comparsa della morte nel mondo e contemporaneamente forniva il modello paradigmatico
per l’iniziazione al culto di Óðinn, invece il funerale di Baldr rappresentava la prima
applicazione dei principi divini e stabiliva la tradizione del funerale navale con
cremazione171. La morte di Baldr appare essere la prima morte individuale ad accadere
nella mitologia o almeno viene così presentato nelle fondi nordiche: sebbene prima della
sua morte si verifichino l’uccisione del gigante Ymir, che prelude allo smembramento
necessario alla formazione del cosmo, ed i tentativi di uccisione dell’enigmatica Gullveig
168
J. Lindow, Interpreting Baldr, The Dying God, The Australian Academy of the Humanities: Proceedings, Sidney
1993, p.156-173: 160.
169 Anche la morte di Sceaf sembra richiamare alla mente quella di altri dei morenti, in particolare la morte di Tammuz.
Vedi C. Tolley, Beowulf’s Scyld Scefing Episode. Some Norse and Finnish Analogue, «Arv» 52 (1996), pp.7-48:18.
170 J. Lindow, op. cit., p.166.
171 J. Lindow, op. cit., p.161.
durante la guerra tra Æsir e Vanir, che però resuscita ogni volta, solo Baldr muore
definitivamente, è commemorato attraverso una cerimonia funebre memorabile e rimane
nel regno dei morti. Tuttavia lo stesso De Vries ipotizzò anche che il mito della morte di
Baldr potesse inserirsi nell’insieme dei rituali di iniziazione al culto di Óðinn, ma una
simile interpretazione sconvolge il modo di vedere il mito 172. Il fratello di Baldr, Höðr,
sarebbe in realtà un ipostasi di Óðinn che uccide simbolicamente l’iniziato, ovvero il suo
stesso figlio, il quale rinasce di Óðinn e Rindr come Váli, il quale due giorni dopo la sua
nascita si vendica. Eppure si tratta di una teoria non verificabile perché la miglior fonte
del mito è l’Edda di Snorri, la quale però non fa riferimento a Váli e l’unico elemento a
suo favore sarebbe una kenning per lo stesso Váli annotata nel Codex Regius, ovvero
hefniáss Baldr (Baldr, il dio vendicatore), nonostante possa essere accantonata come
semplice errore di trascrizione del copista173. Ed è inoltre una teoria facile da smentire,
perché implicherebbe che Baldr fosse un eroe divino e non un vero e proprio dio, come
narrato da Saxo nelle sue Gesta Danorum. Anche in questo caso le kenning sono un
elemento che ci permette di smentire tale presupposto perché Baldr assieme a Njǫrdr è la
divinità più frequentemente impiegata in una kenning, laddove i nomi degli eroi divini
sono particolarmente rari174. Nemmeno il fratello Höðr può essere considerato un ipostasi
del padre Óðinn perché tutte le kenning che lo riguardano non sono compatibili con la
figura del padre, a parte blindi áss (il dio cieco), visto che Óðinn stesso viene definito
Trivblindi (cieco da entrambi gli occhi) o più semplicemente Blindi (cieco), così come
Óðinn non è mai indicato col nome Höðr.
Secondo Bugge il mito di Baldr non è nient’altro che un derivato della storia di Cristo 175,
laddove secondo Hauk e Ciklamini si tratta di una versione pagana della crocefissione e
la morte di Cristo che non è derivata, ma solo influenzata dalla storia cristiana 176. Alcuni
parallelismo tra il mito e la storia di Cristo sono chiari: Baldr era in piedi al centro
dell’assemblea quando venne trafitto e cadde a terra morto, laddove Cristo venne
sollevato nel mezzo della folla; Baldr venne trafitto da un rametto di vischio, laddove
Cristo venne dalla lancia di un centurione, e così via.
172
J. Lindow, op. cit., p.163.
J. Lindow, op. cit., p.164.
174 J. Lindow, op. cit., p.164.
175
J. Lindow, op. cit., p.170.
176 A.D. Mosher, The Story of Baldr’s Death: the Inadequacy of Myth in the Light of Christian Faith, «Scandinavian
Studies» 55 (1983), p.305-313
173
Che cosa implica allora la morte di Baldr?
La sezione dell’Edda si apre con gli incubi di Baldr e mostra il timore che gli dei provano,
i quali sono tali da spingere la madre Frigg a chiedere giuramento a tutto il creato affinché
nulla gli faccia del male e tutti gli altri dei a radunarsi e a compiacersi dell’immunità
acquisita dal giovane. La sezione continua con la morte di Baldr ad opera di Loki e del
fratello Höðr ed il funerale organizzato in suo onore. La morte di Baldr potrebbe essere
legata ad una questione dinastica. Secondo Steinsland la morte è parte del destino regale,
e la morte di Baldr è la fine della legittimata genealogia regale, assumendo così
implicazioni dinastiche177: Baldr è l’unico figlio legittimo di Óðinn e Frigg e la sua morte
lascia un vuoto dinastico che porta alla fine di tutto. La sezione si chiude con il viaggio
di Höðr verso il regno di Hel e la condanna del dio a restarci in quanto non universalmente
amato. Più semplicemente la morte di Baldr potrebbe essere l’esemplificazione della fine
di tutto e, nello specifico, del Ragnarǫk. Secondo Oosten la morte di Baldr è appunto la
concretizzazione della condanna degli dei178, laddove secondo Oehlenschläger è una vera
e propria catastrofe divina e non, perché il legame di sangue che unisce assassino ed
assassinato non può che provocare la fine di tutto. Eppure la coda scritta da Snorri offre
la speranza che dopo il Ragnarǫk i fratelli ritorneranno, entrambi vivi e riconciliati179.
Chi era Scyld Scefing e cosa rappresentava la sua morte?
Se inquadrare il personaggio Baldr e il significato della sua morte all’interno dell’Edda
non è facile, ancor più difficile diventa ricostruire l’identità del personaggio Scyld
Scefing ed il significato della sua morte all’interno del Beowulf.
Scyld Scefing sembrerebbe più essere un personaggio mitico che storico, ovvero
l’antenato eponimo della famiglia reale danese. Tuttavia la sua figura si sovrappone
spesso a quella di Sceaf, il quale non è chiaro se sia il presunto padre di Scyld o
semplicemente un attributo legato al suo ritrovamento.
Nella perduta Skjöldunga Saga e nella Heimskringla si narra che Skjöldr fosse uno dei
figli di Óðinn: nella Ynglinga Saga Snorri narra che il dio lasciò al figlio Freyr-Yngvi il
territorio svedese, cosicché i re svedesi a seguire sarebbero appartenuti alla sua dinastia,
177
J. Lindow, op. cit., pp.166-167.
J. Lindow, op. cit., p.166.
179 J. Lindow, op. cit., p.170.
178
che prese così il nome di Ynglingar, e al figlio Skjöldr invece il territorio danese, cosicché
i re danesi appartenuti alla sua dinastia, che prese il nome di Skjöldungs. Nelle Gesta
Danorum si trova uno dei più completi resoconti su Scyld, nel quale si asserisce che fosse
un discendente del leggendario re, eppure non si parla né della sua morte, né del suo
funerale. Il resoconto riguardante Scyld (Skyoldus) è contenuto nel libro I ed è inquadrato
all’interno della dinastia danese come figlio di Lotherus, a sua volta figlio del leggendario
Dan e di Gritha. Scyld venne descritto con un’indole simile a quella paterna, ma senza i
vizi che avevano portato alla perdita del regno da parte del padre. Egli si era subito
dimostrato abile nella caccia e virile nei combattimenti, tant’è che durante le battute di
caccia dimostrò il proprio coraggio e forza e durante i duelli la propria maestria e bravura.
Diventato sovrano, dimostrò anche uno spiccato amore per la propria nazione, abrogando
le leggi ingiuste e prodigandosi nel migliorare le condizioni della propria nazione, e per i
nobili e i soldati, distribuendo rendite e bottini tra i primi e conferendo denaro e gloria ai
secondi. Egli prese in sposa Alvilda, la figlia del re dei sassoni, e dalla loro unione nacque
Gram, il quale era talmente talentuoso e virtuoso che il suo nome parte integrante del
patrimonio poetico danese180.
Nel Widsið viene esposto un compendio di re e regni germanici, tra i quali sbuca il nome
di Sceafa, re dei Longobardi181, ma non viene detto altro. Nelle Anglo-Saxon Chronicles
vengono appuntati invece i nomi di Sceaf, Sceldwa e Beaw in quanto antenati della
dinastia regale dei re Sassoni occidentali e un distacco tra il primo ed il secondo di ben
cinque generazioni182, annotazione che risale al 855: nello specifico Sceaf venne
presentato come figlio di Noè nato a bordo dell’Arca. Nelle Æthelweard Chronicon,
risalenti al 975 circa, vengono altresì registrati, ma senza che intercorrano tra uno e l’altro
generazioni183: in particolare venne scritto che Scef fosse giunto bambino e circondato da
armi su un’imbarcazione e che fu cresciuto dal popolo, divenendo poi loro re. Secondo
l’uso più comune della desinenza “–ing” si potrebbe dedurre che Scefing significhi figlio
di Sceaf: una conferma ad una simile interpretazione sarebbe la vicenda contenuta nella
cronaca di Æthelweard, nella quale viene rivelato che il figlio di Sceaf si chiamava
Saxo si limita a parlare dei poemi antichi danesi, ma in realtà sarebbe stato patrimonio poetico comune: l’aggettivo
norreno gramr (furioso, ostile) venne sostantivato e reso designazione antonomastica tipica della poesia scaldica. Vedi
S. Grammatico, op. cit., p.26.
181
G.R. Owen- Crocker, The Four Funerals in Beowulf, Manchester 2000, p.17.
182 C. Tolley, op. cit., p.9.
183 C. Tolley, op. cit., pp.9-10.
180
appunto Scyld. Nelle Gesta Regum Anglorum di Malmesbury, risalente al 1125 circa,
viene citato solo Sceaf: in questo caso si narrava che Sceaf fosse giunto ancora bambino
addormentato ed affiancato da un fascio di grano su una barca senza remi e che per questo
fu chiamato Sceaf (fascio), il quale venne accolto come un prodigio e per questo eletto
poi loro sovrano. Secondo la storia contenuta nelle Gesta Regum Anglorum si potrebbe
dedurre che Scyld Scefing fosse un patronimico: un trovatello la cui genealogia è
sconosciuta ritrovamento di un fascio di grano vicino al bambino, al quale viene attribuito
un nome ricollegabile alle circostanze del suo ritrovamento184. Secondo il rituale descritto
nelle Chronicon Monasterii de Abingdon, risalenti al XII secolo, si potrebbe ipotizzare
che Scyld Scefing fosse la personificazione di un rituale che connetteva il fascio di grano
allo scudo e stabiliva il dominio territoriale: una disputa sulla proprietà di un prato fiume
chiamato Beri tra l'abate di Abingdon e gli uomini di Oxfordshire venne risolta da un
rituale che prevedeva l’uso di un fascio di grano e di uno scudo rotondo, il primo inserito
all’interno del secondo con una candela di cera accesa185. Nel Beowulf viene riferita un
episodio simile ma relativo non a Sceaf, bensì a Scyld Scefing, il quale viene inoltre
indicato come il padre di Beowulf, probabilmente una svista del copista che avrebbe
confuso il re Bēow, figlio di Scyld ricordato anche in altre genealogie, con l’eroe
Beowulf, figlio invece di Ecgþēow, il quale apparteneva ad un clan della dinastia svedese,
gli Wægmundings: nel prologo si racconta che Scyld fosse arrivato bambino in una barca
senza avere nulla con sé. Essendo il poema ritenuto l’opera più antica, si è ipotizzato che
essa fosse la testimonianza più affidabile di un mito delle origini modificatosi nel tempo,
ma è anche possibile che il poeta l’abbia in parte creata. La storia di Scyld infatti ricorda
molto quella biblica di Mosè: quest’ultimo venne piazzato in acqua su una barca, venne
ritrovato dal popolo ed accolto, diventando un grande re e lasciando un erede legittimo 186.
Essi condividono un contatto con il divino. Invece il suo funerale ricorda quello di un’altra
figura religiosa, ovvero il funerale cristiano del monaco Gyldas, il quale chiese di essere
deposto su una nave che sarebbe stata poi spinta in mare187 e al quale il poeta potrebbe
essersi ispirato per dimostrare che il destino dello stesso Scyld era nelle mani di Dio.
Sebbene vi possano essere dei paralleli biblici e cristiani per quanto riguarda
184
C. Tolley, op.cit., p.10.
C. Tolley, op. cit., p.11.
186 G.R. Owen-Croker, op. cit., p.18
187 G.R. Owen-Croker, op. cit., p.33.
185
rispettivamente l’infanzia ed il funerale di Scyld, la carriera del re è presentata come
prettamente germanica, ovvero il re è descritto soggiogare e terrorizzare le nazioni
richiedendo tributi e possiede un comitato, che non viene descritto, ma la cui esistenza è
deducibile dall’affetto e dall’obbedienza degli uomini che ne preparano il funerale, i quali
prestano attenzione nel rispettare le ultime volontà del sovrano.
Prima di passare però al confronto tra le cerimonie funebri, è necessario soffermarsi
brevemente sull’opera che contiene il funerale di Scyld, per poter contestualizzare
l’episodio contenuto nell’opera e per cogliere meglio le influenze esterne che ha subito e
che sono tuttora rilevabili.
Il Beowulf è un poema epico anonimo, scritto in una variante del sassone occidentale
attorno alla metà dell’VIII secolo e contenuto nel Cotton Vitellius A XV. Il metro è il
verso allitterante tipico della poesia germanica, così come gli stilemi che in essa
ritroviamo: le perifrasi poetiche e così via. L’opera è stata molto probabilmente scritta da
un uomo di chiesa, giustificando la presenza dei riferimenti ed influssi cattolici sulla
materia pagana. La materia trattata è scandinava, tant’è che le vicende si svolgono tra la
Danimarca e la Scandinavia meridionale, e pagana, nonostante a scriverla fosse un uomo
di chiesa, arricchita da elementi fantastici, ma inserita in una cornice storica. Il Beowulf
è costituito da un prologo e 53 sezioni. L’episodio di Scyld si trova in apertura del poema
e non è contrassegnato da un numero romano come le restanti sezioni, spingendo così a
sostenere che si tratti di una sorta di prologo che consta di 52 versi e narra del passato
remoto. L’episodio si apre con un richiamo introduttivo al lettore e con un epiteto (versi
1-3), il quale indica che la materia a seguire è di carattere nostalgico ed eroico, sia nella
natura dei protagonisti che nella immediatezza delle loro imprese, e che fa riferimento ad
un contesto bellico. Segue l’introduzione del ancestrale re danese Scyld nella narrazione,
alludendo brevemente alla sua vita (versi 4-11) e alla nascita di un figlio, quindi di un
erede legittimo (versi 12-25). Senza avere nulla con sé arrivò neonato sulla riva del mare
del popolo danese, il quale era a quel tempo senza leader e decise di accoglierlo.
Crescendo conquistò fama e potere, divenendo re e combattendo con successo le
incursioni pirata e le invasioni straniere, ma anche il rispetto di tutti i re confinanti, i quali
gli dovettero poi obbedienza e tributi. Eppure il resoconto della sua vita è molto più breve
della descrizione del suo funerale e soprattutto è più vaga ed idealistica. Dopo un breve
riferimento alla morte del re (verso 27), avvenuta nel fiore degli anni, l’episodio si
conclude con la descrizione del funerale di Scyld (versi 26-52), il quale rappresenta il
punto focale ed il climax del prologo. Tuttavia l’episodio si limita a richiamare alla mente
un racconto che rimane però al di fuori della narrazione principale, implicando però che
si trattasse di un racconto, a noi non pervenuto, che il pubblico conosceva.
Che cosa rappresenta la figura di Scyld?
Sia Scyld che Beow sono generalmente considerate figure di origine mitica più che
storica, eppure alcuni studiosi sostengono che in realtà si trattasse di sovrani realmente
esistiti. Secondo Fast Scyld era un re svedese e non danese, il cui dominio si estese fino
alla Danimarca: Scyld era un re che dominava la zona nei pressi del fiume Göta, vicino
Gothenburg, e Beow suo figlio ed erede, il quale giunse ad espandere il proprio potere
fino a Skåne e venne succeduto da Halfdan e Hrothgar, i quali giunsero fino in
Danimarca188. Tuttavia la sua argomentazione non ebbe molto seguito. Secondo
Langebek e Grundtvig Scyld è innanzitutto l’antenato eponimo degli Sjǫldungar, ovvero
della dinastia regale danese detta Scyldingas, teoria supportata da molte fonti, tra le quali
il primo libro delle Gesta Danorum di Saxo Grammatico.
Secondo Neckel e McHugh Scyld è legato ad un mito della vegetazione e della fertilità:
per Neckel l’origine dell’episodio era ungro-finnica e la figura dell’episodio era quasi
identico alla divinità finnica Sämpsä189, laddove per McHugh invece il personaggio Scyld
non somigliava a nessuna divinità, ma il figlio Beow era molto simile al dio finnico
Pekko190. Secondo Tolley l’episodio di Scyld può essere visto come un racconto simile a
quello della divinità finnica Sämpsä, eppure non è più evidente il mito agricolo e il ruolo
rituale alla sua base, ma la funzione metaforica che presenta il re come personaggio di
successo, il quale muore dopo aver garantito la continuità ed il benessere politici 191.
Secondo Hill Scyld dovrebbe essere considerato non tanto come un personaggio,
leggendario o storico che fosse, ma come personificazione del rituale di incoronazione 192:
la pace e l’abbondanza contenute concettualmente nel nome di Scyld Scefing riflettono
una formula rituale recitata durante l’incoronazione di un sovrano. Secondo Owen-
188
R.E. Bjork & J.D. Niles (a cura di), A Beowulf Handbook, Lincoln 1998, p.201-202.
R.E. Bjork & J.D. Niles, op. cit., p.201
190
R.E. Bjork & J.D. Niles, op. cit., p.201.
191 C. Tolley, op. cit., p.26.
192 R.E. Bjork & J.D. Niles, op. cit., p.202.
189
Crocker il suo doppio nome sembrerebbe invece suggerire una confluenza di tradizione
militare e culto della fertilità193. Secondo Dumézil solo due delle funzioni da lui attribuite
alle figure che governano le popolazioni germaniche si ritroverebbero nella figura di
Scyld per come viene presentata nel Beowulf, cioè una figura della fertilità e della guerra,
ma non religiosa. Tuttavia nell’episodio di Scyld si fa riferimento ad un dio che incarna
la terza funzione apparentemente assente, ovvero quella religiosa 194: il poeta del Beowulf
fece riferimento al dio cristiano e mise in primo piano la terza funzione opacizzando le
restanti due, ovvero l’immagine agricola incarnata da Sceaf e quella militare incarnata da
Scyld.
Che cosa implica allora la morte di Scyld?
Il prologo del Beowulf inizia con una breve digressione sulla storia della dinastia Scylding
in Danimarca e mostra come il fondatore della dinastia passa dall’avversità alla grandezza
attraverso il valore delle proprie gesta, tra le quali viene messa in evidenza la nascita di
un figlio, cioè di un erede legittimo, e la morte. Il prologo continua poi con
un’affermazione generica, che rende il prologo illustrativo in quanto il significato della
storia del personaggio appartenente al passato semileggendario viene universalizzato195.
Il significato della vita di Scyld ottiene così validità e verità. Il prologo termina con il
funerale di Scyld, il quale si è guadagnato prosperità con le sue gesta, ma non ha potuto
nulla contro il limite imposto dalla morte196. Il significato della morte di Scyld rimane
però misterioso tanto quanto il suo arrivo.
I funerali di Balder e Scyld visti attraverso la testimonianza storica di Ibn
Fadlan
Per fornire un’analisi ottimale della sepoltura navale e regale è utile non solo il confronto
fra il funerale di Baldr e quello di Scyld, ma integrare tale confronto con una delle poche
testimonianze storiche riguardante una sepoltura navale, ovvero il resoconto di una
cerimonia funebre contenuto nella RisƩla di Ibn Fadlan. Prima di passare al confronto,
bisogna soffermarsi brevemente su quest’opera.
193
G.R. Owen-Crocker, op. cit., p. 17.
A.M. Bruce, Scyld and Scef: Expanding the Analogues, Londra 2002, p.26.
195 R.E. Bjork & J.D. Niles, op. cit., p.284.
196 R.E. Bjork & J.D. Niles, op. cit., p.284.
194
La RisƩla è un resoconto di viaggio legato ad una missione diplomatica svolta tra il 921
e il 922 dal segretario dell’ambasciata, Ahmad Ibn Fadlan, il quale venne mandato presso
il re dei bulgari dal califfo al-Muqtadir197. Fino al 1923 l’opera era conosciuta attraverso
gli spezzoni citati in lavori enciclopedici di scrittori persiani ed arabi: secondo lo scrittore
YƩqūt Al-Hamawi, l’opera era molto famosa in passato e circolavano numerose sue
versioni, tant’è che decise di includerne alcuni spezzoni nel proprio Dizionario
Geografico sotto la voce “Rūs”. Nel 1923 uno studioso turco, Ahmed Zeki Validi Togan,
scoprì in Iran un manoscritto completo della RisƩla, risalente all’XII secolo. Sebbene non
sia chiara l’etnia di appartenenza degli Rūsiyyah, è ampiamente creduto che si tratti di
una popolazione scandinava originaria della Svezia 198. Il passaggio che descrive tale
popolazione ed il funerale del loro capotribù è stato analizzato con molta attenzione,
confrontandolo con le sepolture così come con le opere letterarie che offrono la
descrizione di un funerale navale nel Nord Europa. Le similitudini superano di gran lunga
le differenze, avallando la teoria secondo la quale tale popolo sia di origine scandinava.
Passiamo ora al confronto tra le tre cerimonie funebri.
Una prima differenza tra i tre riti funebri è il trattamento scelto per occuparsi del cadavere
del defunto: nel resoconto di Ibn Fadlan e nel mito di Baldr assistiamo a due cremazioni,
laddove nell’episodio di Scyld ad un funerale che sfugge alle due principali tipologie di
sepoltura proprio perché non è presente alcuna sepoltura, ovvero perché la nave viene
lasciata prendere il largo senza essere incendiata. Probabilmente il funerale navale di
Scyld è da ricollegarsi alla prima fase delle sepolture navali, ovvero ad una fase durante
la quale le navi non venivano incendiate, bensì spinte in mare e lasciate andare alla deriva.
Conseguentemente il funerale di Scyld potrebbe essere visto come una descrizione fedele
del rito funebre navale riservato ad un sovrano, ritraendo un’usanza ancora in voga
nell’Europa settentrionale, nonostante si tratti di una tipologia di funerale che non può
essere provata dal dato archeologico. Gli altri due funerali con cremazione invece
risalgono invece ad una fase successiva, ovvero sono ricollegabili ad una tradizione più
recente, quella appunto di utilizzare le imbarcazioni come pira, indifferentemente dal
197
J.E. Montgomery, op. cit., p.1.
H.M. Smyser, Ibn Fadlan’s Acoount of the Rus with some Commentary and some Allusions to Beowulf,
Franciplegius. Medieval and Linguistic Studies in honor of Francis Peabody Magoun Jr., New York 1965, pp.92-113:
92.
198
fatto che la nave venga spinta in mare o lasciata sulla terraferma per essere poi sepolta al
di sotto di un tumulo.
Nell’episodio di Scyld viene quindi messa in atto una tradizione antica, la quale portò i
congiunti ed il suo seguito a caricare il cadavere a bordo di una nave per poi lasciarlo
andare tra le onde del mare. Nel mito di Baldr invece viene esemplificato il precetto
dettato da Óðinn all’inizio della Ynglinga Saga, il quale intimava a congiunti di deporre
il cadavere su una nave che poteva essere così posta in mare per poi essere incendiata. Il
funerale di Baldr sembra essere l’anello di congiuntura tra il funerale presente nel
Beowulf e quello contenuto nella RisƩla: il dio venne collocato a bordo della sua nave
assieme alla moglie morta di dolore e del proprio cavallo e poi incendiata. Nel resoconto
del funerale Rus viene invece attuata una tradizione più tarda, in lenta estinzione, la quale
comprendeva sia il posizionamento della nave sulla pira funebre e la conseguente
cremazione, sia l’inumazione dei resti al di sotto di un tumulo.
L’ambientazione della sepoltura è in tutti e tre i casi vicino ad una fonte d’acqua, eppure
nel mito incentrato su Baldr e nell’incipit dedicato a Scyld si tratta della riva del mare,
invece nel resoconto di Ibn Fadlan di un fiume. Ciononostante il funerale di Baldr non si
svolge sulla terra, proprio perché, in quanto figlio di Oðinn, era anch’egli un dio, eppure
gli dei si ritrovano sulla riva del mare, dove si raccolgono per compiangerlo ed
omaggiarlo. Il funerale di Scyld si svolge anch’esso sulle rive del mare, sebbene non
venga specificata la località. Il funerale del capotribù dei Rus si svolge invece sulle rive
del fiume Volga, nei pressi di ƨtli, nell’entroterra continentale. In tutti e tre i casi il
cadavere viene adagiato su un’imbarcazione, eppure l’imbarcazione subisce durante i tre
funerali un trattamento diverso.
Sia nel caso del funerale di Baldr che del funerale Rus la cerimonia è destinata a due
persone, laddove nel caso del funerale di Scyld il funerale è riservato solo ed
esclusivamente a lui. La morte di Nanna aveva reminiscenze dell’usanza, al tempo
diffusa, della morte volontaria della moglie al funerale del proprio marito199: mentre il
corpo del marito veniva portato sull’imbarcazione, Nanna morì di dolore, non reggendo
il suo cuore ad una simile visione, e venne cremata assieme al marito. L’uccisione della
serva per accompagnare il capotribù nell’aldilà era invece un fenomeno che prendeva il
199
H.R. Elllis Davidson, Op. cit., p.52.
nome di Suttee e consisteva nel sacrificio più o meno volontario di una serva 200: mentre
si svolgevano i preparativi per il funerale del capotribù, la serva offertasi in sacrificio
venne servita e riverita avendo acquisito lo status di “sposa” del defunto. Un ulteriore
dettaglio da segnalare è la presenza di sacrifici. Sebbene al funerale di Scyld non venga
compiuto nessun sacrificio, né animale che umano, al funerale di Baldr e a quello del
capotribù Rus assistiamo ad entrambe le tipologie di sacrificio. Nella letteratura norrena
è attestato che servi ed animali venivano sacrificati così come nell’archeologia. Anche se
camuffati, la morte di Nanna e l’incidente del nano Litr nell’Edda sembrano più sacrifici
in onore del dio che disgrazie inserite per colorire la descrizione201, similmente al
sacrificio del suo cavallo. L’uccisione della serva nella RisƩla è preceduta da una vera e
propria mattanza di numerosi animali, tra i quali un cane tagliato a metà, un gallo e una
gallina gettati sulla nave assieme a due cavalli.
Nel caso del funerale di Baldr il corpo venne sollevato e portato a mare dagli dei e
quest’ultimi decisero di usare la sua nave, Hringhorni, come pira funebre. La nave doveva
però ancora essere trasportata a mare e gli dei, non riuscendo a spostarla, dovettero
mandare a chiamare la gigantessa Hyrrokkin, la quale si avvicinò alla prua e al primo urto
riuscì a spostarla, ma la potenza fu tale che la nave incendiò i tronchi da traino e fece
tremare la terra. Tuttavia non è chiaro se la nave venne lasciata sulla spiaggia a bruciare
o se venne spinta direttamente in mare. Nel caso del funerale di Scyld il corpo venne
portato sulla sfonda del mare e la nave era già ormeggiata al porto. La nave viene
brevemente descritta, soffermandosi sulla curva della prua ad anello, che richiama alla
mente molte imbarcazione dell’epoca vichinga (Oseberg, Gokstad e così via), e
sull’aggettivo ghiacciata, che nella nota della versione a cura della Kohl viene spiegato
che soltanto una nave funebre può azzardarsi a partire d’inverno, mentre nella versione
tradotta da Klaeber viene ricollegato all’ambientazione del funerale, al tetro paesaggio
del mare settentrionale, eppure l’usanza di conservare i cadaveri nel ghiaccio era nota al
mondo inglese, tant’è che in una traduzione di re Alfredo tratta da Orosio si parlava dei
riti funebri estoni, i quali conservavano a lungo i cadaveri non cremati. Secondo Cucina
invece l’aggettivo avrebbe un significato simbolico connesso alla sfera della morte,
ovvero sarebbe una trovata poetica degli scrittori cristiani, i quali accostavano la sterilità
200
201
H.R. Ellis Davidson, op. cit., p.50.
H.M. Smyser, op. cit., p.109.
invernale della natura all’assenza di vita, nello specifico di quella spirituale 202. Nel caso
del funerale del capotribù Rus il corpo venne dapprima interrato in una tomba provvisoria
e, una volta giunti al termine i preparativi, riesumato, lavato e cambiato per poi essere
portato al fiume, dove la nave era già stata spinta fuori dall’acqua ed adagiata sul legno
che avrebbe alimentato la pira.
Nell’Edda viene narrato che Baldr venne posto finalmente posto a bordo della sua nave e
sua moglie Nanna, la quale non resistette alla scena e morì di dolore, venne anch’essa
portata sulla nave. Dopodiché viene descritto il corteo delle divinità accorse per rendere
omaggio al Dio, ovvero il padre Óðinn con la moglie Frigg, i suoi due corvi (Hugin e
Munin) e le Valkyrjur, seguiti da Freyr giunto col suo carro trainato dal cinghiale
Gullinbursti o Slíđrugtanni e da Freyja col suo carro trainato da gatti, e poi giunsero anche
molti hrímþursar (giganti di ghiaccio) e bergrisar (giganti delle montagne). Nel Beowulf
viene narrato che Scyld venne trasportato fino al porto dai suoi uomini e portato a bordo
della nave del principe, all’interno della quale venne adagiato contro l’albero e circondato
da ricchezze, alcune giunte addirittura da paesi lontani, e dal ricco equipaggiamento
militare. Dopodichè vengono elencati gli oggetti facenti parti del corredo imbarcato
assieme al suo cadavere, ovvero le ricchezze portate da paesi lontani e posizionati attorno
a lui ed i gioielli posti sul suo grembo e poi il ricco equipaggiamento militare costituito
da armi, spade, corazze ed abiti da guerra. Infine uno stendardo d’oro venne piantato alto,
al di sopra del suo capo.
Un dettaglio da rilevare è la presenza di anelli nei resoconti sui funerali. Sebbene nel
prologo del Beowulf non viene fatta menzione di anelli, ma solo di gioielli, nell’Edda e
nel resoconto di Ibn Fadlan la loro presenza appare assumere un significato ben specifico.
Nell’Edda non vengono elencati gli oggetti imbarcati con lui, ma viene soltanto rivelato
che Óðinn pose il suo anello d’oro, Draupnir, sulla pira così come il cavallo di Baldr e le
sue bardature. Eppure il figlio Baldr li riconsegna ad Hermóðr così come la schiava
offertasi in sacrificio per il capotribù Rus consegna i suoi anelli ed i suoi bracciali
all’Angelo della morte. Nella Risāla viene infatti narrato che il capotribù venne portato
sulla nave ed adagiato su un lettino circondato dal corredo ed affiancato poi dalla serva
sacrificata per lui, dopo che quest’ultima ebbe consegnato i gioielli indossati.
202
C. Cucina, Immagini classiche nel Seafarer e nelle culture del Nord, in Classiconorroena 30 (2012), pp. 25-77: 49.
Probabilmente gli anelli erano ritenuti non avere alcun potere nell’aldilà ed per questo
venivano consegnati ai vivi.
Nell’Edda non viene specificato chi abbia dato fuoco alla pira di Baldr, ma soltanto che
þórr si avvicinò per consacrarla col suo martello, Mjöllnir, e che il nano Litr, capitatogli
tra i piedi, venne lanciato con un calcio nella pira in fiamme e morì arso anche lui, quasi
fosse stato un sacrificio. Neanche nel Beowulf viene specificato chi abbia lasciato partire
la nave di Scyld, soltanto che lo avrebbero lasciato in balia del dio con la lancia come
quando era stato affidato al mare appena nato. Nella Risāla invece è il parente di sesso
maschile più prossimo a dare fuoco alla pira, ma prima di farlo si spoglia completamente
e si avvicina alla nave camminando di spalle e coprendosi gli orifizi con la mano per
impedire agli spiriti malvagi di entrare nel suo corpo.
Né nel caso del funerale di Baldr, né di quello di Scyld sono presenti riferimenti
all’innalzamento di un tumulo in loro memoria, laddove nel resoconto di Ibn Fadlan non
viene solo innalzato, ma anche contrassegnato da un pezzo di legno col nome del defunto
e del re incisi sopra.
Un ultimo dettaglio sul quale soffermarsi riguarda la tempistica del funerale, ovvero il
tempo richiesto per lo svolgimento del funerale stesso. Sebbene nel prologo di Beowulf
non abbiamo alcun riferimento temporale, sia nel caso del funerale di Baldr che del
funerale del capotribù Rus ritroviamo un medesimo lasso temporale. Nel mito di Baldr
si narra che Hermóðr impiegò nove notti per raggiungere Hel, invece la tribù Rus impiego
nove notti e dieci giorni per preparare e svolgere il funerale del capotribù.
Il punto di vista utilizzato nei testi non è però da ignorare, ovvero sia l’Edda in prosa che
il Beowulf sono stati trascritti da personalità cattoliche e hanno subito l’influenza di tale
religione, così come la RisƩla è stata scritta da un ambasciatore arabo e quindi ha subito
l’influenza islamica. Nonostante l’Edda in prosa tenda a nascondere l’influsso cattolico,
il Beowulf e la RisƩla tendono invece a rendere evidente tale influenza. Nell’episodio di
Scyld sono numerosi i riferimenti al signore: al verso 13 il poeta scrive che era stato dio
ad aver fatto arrivare il re presso il popolo danese, rimasto senza sovrano per lungo tempo;
a versi 16 e 17 Scyld viene definito come Līf-frēa (Re della vita) e wulders Wealdend
(Padrone della gloria), due kenningar utilizzate solitamente per indicare Dio; ancora al
verso 27 il poeta riferisce che Scyld viene affidato al signore. Nel resoconto di Ibn Fadlan
vengono impiegati molti termini arabi specifici per rendere meglio comprensibile una
cerimonia difficile da descrivere altrimenti: quando Ibn Fadlan parla della donna che si
occupa dei preparativi e poi del sacrificio della schiava, egli usa la parola mal’ak al-maut
(‘Angelo della Morte’); quando invece descrive le visioni della schiava, egli usa la parola
al-jannah (‘Paradiso’)203. Nel resoconto di Ibn Fadlan l’adozione di una terminologia
specificatamente islamica viene considerato un tentativo dell’autore di rendere
comprensibili un rituale totalmente estraneo alla propria religione, invece nell’Edda e nel
Beowulf l’influsso cattolico è molto più profondo, anche se Snorri a livello linguistico
riuscì a nasconderlo a differenza dell’autore del Beowulf, il quale rivela l’influsso anche
nel linguaggio usato. La figura di Scyld è quella del salvatore per il popolo danese rimasto
senza un leader: si crede che sia stato Dio a mandarlo via mare al popolo come loro
sovrano e decidono di restituirlo al mare, affinché il mare lo consegni nuovamente a Dio.
La figura di Baldr è simile a quella di Gesù Cristo, il quale subisce passivamente la propria
sorte e diventa sacrificio dell’umanità così come Baldr subisce passivamente la propria
sorte e diventa sacrificio degli dei. Un altro elemento che avallerebbe tale teoria è la cecità
del fratello Höðr, la quale richiamerebbe alla mente la cecità del popolo ebreo che non fu
capace di riconoscere in Gesù Cristo il messia 204.
Nonostante la sepoltura di un cadavere sembri focalizzarsi sulla morte e sul destino
della sua anima, in realtà la cerimonia funebre e le attività ad essa connesse sono svolte
dai vivi ed influenzano gli stessi. Possiamo concludere che il funerale navale diventa un
motivo letterario che ruota attorno al significato simbolico della nave, il quale permette
al defunto di intraprendere il proprio viaggio verso l’aldilà a prescindere dalla modalità
e di essere ricordato, e che sembra quasi, in quanto mezzo di trasporto, permettere alla
narrativa di continuare a raccontarci qualcosa.
203
204
J.E. Montgomery, op. cit., p.18.
A.D. Mosher, op. cit., p.313.
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