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Filosofia, Fisica e Antico Pensiero Orientale
1 Con una terminologia più moderna si potrebbe dire che si tratta di un'analisi periodale, cioè una'analisi che prende le mosse dalla successione dei diversi periodi di tempo; questo a di↵erenza 14 Enrico Bellino, Appunti di Analisi economica, 2012-13 2 Il Tableauéconomique Alla fine del processo produttivo, prima che avvengano gli scambi la situazione delle diverse classi può essere rappresentata dalla figura 1.1, nella quale rappresentiamo mediante dei rettangoli bianchi un ammontare fisico di merce del valore, supponiamo, di un milione di euro; tali merci possono essere beni agricoli (A), manufatti (M) o materie prime (MP). Indichiamo poi con dei rettangoli quadrettati lo stesso ammontare di valore (1 milione di euro) in moneta. Classe aristocratica Classe sterile M M MP MP A A A Classe produttiva Figura 1.1: Situazione prima degli scambi
Forse è bene ricordare che il Centro Culturale ha promosso, via via negli anni, una serie di piccole pubblicazioni indirizzate ai suoi Soci che vanno sotto il nome di U Bricchettu, Rendiconti e Appunti. U Bricchettu ha avuto il compito di rendere note le aspirazioni letterarie di molti isolesi e bisogna dire che abbiamo così avuto modo di scoprire un poeta come Sergio Acerbo che tanti riconoscimenti ha avuto in vari concorsi; i Rendiconti invece hanno il merito di rendere trasparente la gestione del Centro: comunichiamo ogni anno il bilancio e l'attività. Pensiamo di essere stati i primi, nel variegato mondo del volontariato del nostro paese, ad averlo fatto dalla fondazione del Gruppo. In quanto agli Appunti, cercavamo di inserirvi le ricerche, senza pretese, effettuate dai nostri Soci su aspetti peculiari di Isola nel tempo. L'ultima uscita è del 1999 e questa sospensione è dovuta alla stanchezza che ci ha preso nel corso degli anni, sconfitta oggi dagli articoli che seguono. Debbo dire che la Provvidenza fa piovere sul bagnato. Infatti avevamo stabilito di far uscire questo numero con l'articolo su Santo Stefano quando veniamo a sapere che Cristina Parodi, durante uno dei lodevoli turni presso la Biblioteca Civica, scopre uno studio di Giannetto Beniscelli, lo legge e, spontaneamente, lo commenta per iscritto. Appena aggiunto questo simpatico contributo alla nostra rivista, ecco che Roberto Torretta ci invia un saggio sulla toponomastica della nostra zona che sembra essere stato scritto apposta per introdurre e completare quello di Sergio Pedemonte. Speriamo nel futuro di non essere troppo rilassati e di fornirvi ulteriori spunti per conoscere il territorio in cui vivete e viviamo.
Contributo allo studio delle tradizioni religiose isolesi: i "Massari" della Parrocchia di S. Michele Arcangelo Lo scorso numero riportammo l'elenco dei Massari in Tuscia sperando di far cosa gradita agli isolesi: ne abbiamo avuto il riscontro e ci accingiamo quindi a proseguire questa ricerca sollecitando anche il contributo dei nostri Soci residenti nelle altre Parrocchie del Comune di Isola. E' noto infatti che solo la chiesa di S. Michele Arcangelo è nella Diocesi di Genova, mentre le altre (Pietrabissara, Borlasca, Prarolo, Montessoro, Mereta, Marmassana) sono nella Diocesi di Tortona. Diamo qui di seguito una sintesi dei luoghi di culto del Comune di Isola: ISOLA CAPOLUOGO: Parrocchia di S. Michele Arcangelo -Festa Patronale ai Corpi Santi (seconda domenica di agosto) cioé le reliquie di S. Stefano e S. Innocenzo. Il 29 settembre vi é invece la festa di S. Michele Arcangelo. Anticamente in Cima d'Isola vi era una cappella dedicata a S. Rocco 1 . ORATORIO: ha la sua festa il 15 settembre (adesso spostata alla terza domenica di settembre) per la Madonna Addolorata.
Alba, 8-10 giugno 2007. Sappiamo, da numerosi riscontri ricevuti da chi c'era, che il Convegno "Mente e Corpo" ha lasciato a tutti i partecipanti sensazioni ed emozioni molto positive per la considerevole ricchezza degli interventi presentati dai singoli relatori, ma anche per la "ricchezza", in colori e sapori, del territorio delle Langhe in cui gli organizzatori hanno così sapientemente saputo inserire l'evento. Le tre giornate di lavori scientifi ci, coordinate da Bruno Bara, Francesco Mancini e Giorgio Rezzonico, hanno avuto come fi lo conduttore l'attenzione al "corpo e alla psiche" di pazienti e terapeuti; con questa stessa attenzione abbiamo voluto qui raccogliere i contributi di tutti coloro che hanno reso possibile con impegno e partecipazione emotiva l' ottima riuscita dell'evento. La raccolta di tutti gli abstract ricevuti, presentati seguendo il programma delle giornate, vuole essere infatti sia memoria storica per chi ha vissuto in prima persona quelle giornate, che conoscenza e condivisione per chi, studenti o colleghi, non ha potuto esserci. Desideriamo fermare come informazione ed emozione, ci verrebbe da dire "nella mente e nel cuore", quanto è stato narrato in quella sede.
di comunità si occupa di trovare soluzioni a problemi che hanno rilevanti implicazioni comportamentali e psicologiche utilizzando strumenti e strategie individuali e collettive. Individuo e contesti sociali sono considerati inseparabili. Le due anime di psicologia di comunità sono: 1)spostamento dell'ottica di intervento dalla cura alla prevenzione, 2) svincolamento dal trattamento, orientandosi verso problematiche più ampie LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA' Le radici di questa disciplina vanno ricercate nell'evoluzione culturale e sociale degli Stati Uniti iniziata negli anni '40 e culminata (anche in Europa) con il terremoto sociale ricordato come "sessantotto". (interventi sociali). La nascita vera e propria della disciplina viene indicata nel 1965 quando un ristretto gruppo di psicologi e operatori della salute mentale si riunisce nel Massachussets. MODELLO DI DOHRENWEND Modello che ha posto l'accento da caratteristiche individuali ai gruppi sociali e si basa sul concetto di stress psicosociale, aiutando a pensare ai problemi delle persone in termini alternativi a quelli di diagnosi e malattia, prima che l'individuo cerchi aiuto e quindi come incremento al benessere e prevenzione di disordini e patologie. Importante il contributo di Sarason che introduce il concetto di senso di comunità, inteso come sentimento di appartenenza e partecipazione attiva degli individui alla vita comunitaria, in riferimento a tre dimensioni: la percezione di similarità e quella di interdipendenza con gli altri, e il vissuto di appartenenza ad una struttura affidabile e stabile, ovvero il riconoscimento della comunità stessa come contenitore che racchiude ed accumuna i membri appartenenti. Tale concetto viene successivamente ripreso da McMillan e Chavis che, nel tentativo di comprendere il modo in cui il senso di comunità può operare, esser definito e misurato, essi propongono quattro fattori:-appartenenza: il senso di aver investito parte di sé nella comunità e di appartenervi; è contraddistinta da quattro attributi: chiari confini, sistema di simboli comuni, sicurezza emozionale, senso di appartenenza, identificazione e investimento personale.-influenza: potere che i membri esercitano sul gruppo e il reciproco potere che le dinamiche di gruppo esercitano sui membri-integrazione e soddisfazione di bisogni: i valori condivisi, lo scambio di risorse e la soddisfazione dei bisogni tra i membri-connessione emotiva condivisa In Italia la nascita della psicologia di comunità viene fatta risalire alla seconda metà degli anni '70, con l'uscita di un volume scritto da Donata Francescato; 1978 anno importante per la legge Basaglia, con la chiusura dei manicomi, attacco al tradizionale approccio alla malattia mentale. LA METAFORA ECOLOGICA Etimologicamente oikos significa casa o luogo di vita; in quest'ambito è riferito all'ambiente e ai luoghi di vita rilevanti in cui interagiscono gli individui. Tale metafora si basa sull'idea che l'ambiente e i diversi contesti di vita in cui ciascuno è inserito, esercitino un'influenza significativa sul comportamento individuale ed assume che le persone possano spiegare e controllare il proprio comportamento attraverso una maggior comprensione delle influenza ambientali specifiche. Il comportamento di un individuo, ha poco senso se osservato in maniera isolata; ciò che è
1 Servizio di promozione europea della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Associazione non profit iscritta nel Registro 'Immigrazione 'del Dipartimento degli Affari Sociali ex art.52 DPR 394/99 Iscrizione alla sezione prima dell' Albo regionale FVG delle Associazioni e degli Enti per l'immigrazione Ente di formazione accreditato M.P.I. -D. G. form. Agg. personale scuola ex D.M. 177/2000 Ente legittimato ad agire in giudizio per conto delle vittime della discriminazione razziale ex art.6 DL.vo 215/03 Associazione membro della Consulta del M.P.I. per l'integrazione degli alunni stranieri e l'educazione interculturale
Il corpo longitudinale è formato da un corpo centrale, due navate e 12 cappelle. Il cantiere si interrompe. Pianta di Sebastiano Serlio su richiesta del Peruzzi del modello ligneo a croce latina con grande cupola e un braccio del transetto e coro circondato da cappelle. Peruzzi realizzerà per San Petronio un foglio molto grande dove rappresenta in spaccato la veduta dell'area della tribuna della chiesa. Si tratta di una commistione di classico e gotico dovuta alla formazione senese del Peruzzi. Peruzzi pone un enorme cupola ortogonale, un tamburo, una lanterna, e una serie di corpi pensati come il San Pietro del Bramante. (sacrestie).
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Physis è l'assoluto che si manifesta nelle forme materiali.
La vera devozione non è solo un appagamento sentimentale, un sentirsi protetti o amati attraverso pratiche e rituali, ma è un tuffo nel profondo, ossia si tratta di sparire totalmente nell'Inconoscibile Assoluto. Questo che cosa significa in pratica? Saperlo soltanto o immaginarsi di farlo è come guardare un film che ci riguarda marginalmente e che presto dimentichiamo (Isabella di Soragna).
La fisica quantistica relazionale afferma (così almeno dice Rovelli) che non esiste alcun assoluto indipendente dall'osservatore. Infatti ogni realtà dipende dall'osservatore nel senso che fra osservatore e osservato esiste un stretta relazione.
Esiste o non esiste l'Assoluto? Questa è una delle tre questioni indecidibili del Buddha.
Ogni singolo fenomeno nell'universo È l'Assoluto.
Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi è nemmeno alcun "assoluto": dal momento che ogni elemento del reale è un aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus, sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una rete infinita e ininterrotta di relazioni.
L'uomo non ha accesso ad alcun tipo di assoluto. (Nietzsche) Il Vedanta mira a ridurre le pretese e le presunzioni di autonomia degli enti particolari potenziando al massimo le qualificazioni dell'Assoluto, mentre il Buddhismo mira al medesimo scopo depotenziando al massimo l'idea stessa di ente particolare autonomo. Tuttavia il Buddhismo, in questa prospettiva comune, sembra andare più in là, verso un punto di fuga estremo: esso infatti attiva il depotenziamento anche nei confronti del Sé Assoluto, mostrando che su di Esso non può esser presa alcuna "posizione" , né in senso positivo, né in senso negativo, pena il suo scadere a entità relativa. Perfino la posizione che lo assumesse come sunyata, come Vacuità assoluta, non farebbe che ipostatizzarlo (individuandolo come una realtà esistente), rendendolo oggetto di attaccamento e, quindi, fonte indiretta di sofferenza.
Se si deve ammettere un Assoluto, questo non esiste come una realtà in sé e per sé, ma dipende dalle esigenze empiriche degli esseri umani che cercano di salvarsi dalle pene imposte dal fatto di essere nati, di vivere e di dover morire. Non vi può essere un Assoluto vero e proprio, un Assoluto in sé e per sé, ma solo in rapporto L'essenza del Dharma sta nella sua infinitezza che è sia spaziale che temporale, oltre che linguistica e logica: proprio perché non se ne possono stabilire i confini sia nello spazio che nel tempo, esso risulta inafferrabile da qualsiasi concetto o sistema di concetti, e risulta quindi anche inesprimibile da qualsiasi parola e da qualsiasi discorso. Ciò non significa, tuttavia, che di esso non si possa dire e sapere nulla o, addirittura, che esso non esista. Anzi, esso si pone come condizione di possibilità di ogni ente, di ogni dire e di ogni comprendere. L'importante è restare sempre consapevoli che anche questa denominazione «condizione di possibilità» è, inevitabilmente, inadeguata, non esaurisce cioè in maniera perfetta il significato e la potenza dell'Assoluto, ma ne è soltanto una denominazione parziale, relativa e provvisoria. In tale prospettiva il termine "vacuità" (Sunyata) può essere assunto come quello che meglio rappresenta la funzione infinitamente "positiva " del Dharma: contrariamente a quanto pensa il senso comune, "vacuità" non va intesa come sinonimo di "nulla", ma come condizione di massima apertura che consente il darsi e il dispiegarsi di ogni determinazione, di ogni "chiusura" particolare. Il senso della "vacuità " può venire colto ricorrendo a varie metafore: essa può essere paragonata allo spazio infinito che accoglie ogni dimensione e ogni figura; oppure al tempo immenso da cui nasce ogni temporalità misurabile; o al silenzio che è all'origine e alla fine di ogni suono e di ogni parola, oltre che tra suoni e parole; o anche all'energia inesauribile che si manifesta nelle singole forze; o, ancora, all'orizzonte logico che garantisce la formazione di ogni idea, di ogni concetto e di 38 L'antico pensiero orientale parla del vuoto come principio universale. Ma poi aggiunge: il ritenere che ci sia un fondamento da ricercare costituisce l'illusione primaria della mente non addestrata a considerare la realtà del mondo come insostanziale e impermanente. L'antico pensiero cinese afferma pure che fra principio e fenomeno non esiste alcun impedimento ma solo profonda relazione intrinseca (lishin wuai).
La moderna fisica quantistica ci racconta invece del campo quantistico di punto zero (paragonabile al vuoto) dal quale originano particelle subatomiche che poi al campo ritornano. Addirittura, da una fluttuazione di questo campo di vuoto, sarebbe nato, secondo una teoria cosmologica, l'intero universo. Infatti, nella teoria quantistica dei campi, il termine energia di punto zero è sinonimo di energia del vuoto. L'esistenza di una energia non nulla associata al vuoto è alla base dell'effetto Casimir previsto, teoricamente, nel 1947 e poi riscontrato dagli esperimenti.
-ATOMO*
GLI ATOMI SONO SOLO RELAZIONE IN QUANTO COSTITUITI PRINCIPALMENTE SPAZIO VUOTO!
Le particelle subatomiche, sono configurazioni dinamiche che non esistono in quanto entità isolate, ma in quanto parti integranti di una inestricabile rete di interazioni.
Infatti il 99,9999999% degli atomi della materia ordinaria è costituito da spazio vuoto. La struttura dell'atomo ricorda un Sistema Solare in miniatura, con il nucleo che occupa pochissimo spazio, rispetto agli elettroni che vi orbitano attorno. Se potessimo escludere tutto questo spazio vuoto e comprimere ciò che rimane, i 7 miliardi di abitanti della Terra starebbero comodamente condensati in un cubo delle dimensioni di una zolletta di zucchero.
La proporzione tra la materia solida e lo spazio vuoto in un atomo è pari un milionesimo di milionesimo. Questo significa che se dividiamo lo spazio occupato da un atomo in un milione di cellette e poi ogni celletta in un milione di parti, solo una di queste è occupata da materia, tutte le altre sono vuote! E poiché tutto sulla terra è fatto di atomi, ciò vuol dire che il nostro corpo e la sedia su cui siamo seduti, sono composti da una quantità di spazio vuoto un milione di milioni di volte maggiore dello spazio occupato dalla materia.
Tra la dimensione dell'atomo e quella del nucleo dell'atomo stesso c'e un rapporto pari a quello fra la capocchia di uno spillo e la cupola della basilica di San Pietro a Roma. Tutto il resto è vuoto! Dunque la materia è fatta di atomi "VUOTI".
A riconferma, se poniamo, ad esempio, che il nucleo di un atomo sia grande come una mela, riscontreremo che gli elettroni (che sono puntiformi per quanto sono piccoli, o, addirittura, sono onde di materia) stanno a un chilometro di distanza. Tutto il resto è puro vuoto.
Aristotele aveva veramente torto: la materia è essenzialmente composta dal vuoto. L'unica ragione per cui il nostro corpo e la sedia su cui siamo seduti ci sembrano cosi solidi ed impermeabili, è perché tali quantità infinitesimali di materia sono tenute insieme da forze (relazione) che agiscono in maniera invisibile seppur potentissime.
Quanti atomi ci sono in un pompelmo? Bene, immaginiamo che il pompelmo sia fatto di soli atomi di azoto, cosa che non è vera, ma nel pompelmo ci sono anche degli atomi di azoto. Per aiutarvi a visualizzare, gonfiamo ciascun atomo di azoto fino alle dimensioni di un mirtillo. Allora quanto diventerebbe grande il pompelmo? Prenderebbe la stessa dimensione della terra. Dunque, tra un frutto medio (mela, pera, pompelmo) e un suo atomo vi è la stessa proporzione che esiste fra un piccolo frutto (mirtillo, fragola, ciliegia) e la terra intera. Un atomo ha un diametro che è pari a un metro diviso dieci miliardi.
B -BACONE (FRANCIS)*
Nel libro Illuminismo e illuminazione Pasqualotto illustra dettagliatamente le profonde affinità tra il metodo di Bacone e quello di Buddha. Infatti la fase catartica suggerita dal Buddha si articola in prescrizioni negative che corrispondono quasi esattamente alle critiche agli idola (pars destruens in Bacone). In particolare le "dicerie" e il "sentito dire" di cui parla il Buddha sembrano corrispondere a quei pregiudizi derivanti dalla comunicazione e dal linguaggio (idola fori) di cui parla Bacone. La logica, l'inferenza, il piacere della speculazione, le tradizioni e i testi religiosi a cui allude il Buddha sembrano l'analogo di quel complesso di pregiudizi derivanti dalle auctoritates imposte dai dogmatismi filosofici e religiosi (idola theatri). Le apparenze e il verosimile contro cui Buddha mette in guardia richiama gli inganni derivanti da una conoscenza superficiale perché limitata alla tradizione (idola tribus). Infine l'idea "questo è il mio maestro" -che per il Buddha rischia di diventare un'idea ossessiva -appare l'equivalente di quegli idola specus che per Bacone derivano all'individuo "per causa dei libri che egli legge e dell'autorità di coloro che egli ammira e onora". Per la pars costruens, entrambi si rifanno all'esperienza.
Per Bacone l'uomo è più attaccato alle proprie idee che alle cose, ovvero l'uomo spesso dà più valore alle proprie idee che alla realtà. Oltretutto l'uomo non sopporta il dubbio e anela certezze. « Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l'accesso alla verità ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini preavvertiti non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi... » Idola tribus, gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori. Il fatto stesso di essere uomini ci porta ad errare; condizionamento sociale: dare troppa importanza ai sensi e alle esperienze sensibili oppure vedere un finalismo nella natura che invece è tipicamente nostro.
Idola specus, cioè gli errori della spelonca platonica, dovuti alla soggettività particolare dell'uomo. Ogni uomo è fatto in modo tale che oltre agli errori che commette in genere come uomo ci sono quelli legati alla sua particolare individualità; pregiudizi dell'inconscio personale dipendenti da molti fattori fra i quali anche il caso oltre che il proprio vissuto (tipo un padre autoritario).
Idola fori, gli errori della piazza, delle «reciproche relazioni del genere umano», del linguaggio, che è convenzionale ed equivoco: le parole non sono le cose.
Idola theatri, gli errori della finzione scenica che Bacone imputa alla filosofia che ha dato rappresentazioni non vere della realtà «favole recitate e rappresentate sulla scena», e come è accaduto con il sistema aristotelico che ha descritto un mondo fittizio non corrispondente alla realtà.
I fisici sono giunti a comprendere che tutte le loro teorie sono solo creazioni della mente umana (pure essa necessaria per la coerenza interna del tutto) essendo ogni cosa-evento connessa con ogni altra cosa-evento (quindi, per conoscere una sola cosa-evento, bisognerebbe conoscere tutte le altre infinite cose-evento).
Non c'è alto e basso, non ci sono concetti più fondamentali di altri. Il mondo è percepito come una rete in cui ogni singola parte dipende da tutte le altre e nessuna è più fondamentale.
Nella teoria bootstrap degli adroni [In fisica un adrone (dal greco hadrós, forte) è una particella subatomica composta (non elementare) soggetta alla forza nucleare forte e formata da quark, in alcuni casi associati ad antiquark.] tutte le particelle sono composte dinamicamente le une dalle altre in modo intimamente coerente e in questo senso si può dire che esse si contengono reciprocamente (Schrodinger) -BRAHMAN -ATMAN** 45 realtà: «Il Brahman è cibo, soffio vitale, vista, udito, mente, parola». La liberazione (se così si può dire) è la percezione dell'identità fra jivAtman e Brahman, fra la cosiddetta anima individuale e il respiro del mondo. L'anima individuale (jivAtman) si ricongiunge con l'anima universale, con l'Assoluto (Brahman). Similitudine con l'emanazione dall'Uno Plotiniano e ritorno all'Uno. Brahman non ha nome né forma ed è aldilà del tempo e dello spazio, oltre causa-effetto. Tu sei quello! Tat tvam asi (quello sei tu)! Non si può avere una diretta conoscenza del Fondamento, se non attraverso l'unione e l'unione si può raggiungere solo con l'annullamento di quell'ego preoccupato di se stesso, che è la barriera che separa il "Tu" da "Quello".
Anche il Buddhismo, come il Vedanta, mantiene ferma una posizione "apofatica" la quale sospende ogni pretesa di dire qualcosa di preciso e di compiuto sull'Assoluto. Non si può dire nulla, nemmeno che è o che non è, perché ogni espressione umana, sia positiva che negativa, in quanto necessariamente finita e contingente, non può pretendere di cogliere qualcosa di infinito e di eterno. SABBE DHAMMA ANATTA Sabbe (tutti) Dhamma (tutto ciò che esiste a qualsiasi livello: dai pensieri alle cose) Anatta (privo di sé): tutte le realtà sono prive di sé!!!! Quindi nessuna cosa è indipendente, isolata, autonoma ma ogni cosa esiste solo come relazione in continuo mutamento. Il buddismo qui esposto si allontana dall'induismo che invece affermava il grande sé e il piccolo sé. Per il buddismo la coscienza pura non ci può essere perché la coscienza è sempre relazione cioè coscienza di qualcosa.
Brahman non può essere definito da parola o idea: è l'Uno davanti a cui si ritraggono le parole. (Sankara) L'Assoluto infinito ed eterno senza essere dio e senza essere l'essere è Brahaman detto anche GivAtman individuale e particolare e Brahman universale e infinito (e non Brahama che insieme a Visnu e Shiva rappresenta la cosiddetta trimurti divina indù che fa parte del Brahaman insieme anche alle mille creature fino alla merda dei serpenti: una è la cosa più alta e l'altra è quella più bassa) è al di la di ogni definizione perché definire significa dividere.
Assomiglia all'energia creatrice indefinibile di nome Apeiron o al Dio di Spinoza o all'Uno di Plotino. Ogni cosa è Brahaman. E ciò vale sia sotto l'aspetto cosmologico sia sotto l'aspetto psicologico. Entrambi sono divisi in quattro stadi: 1°: conoscenza duale (soggetto che conosce e oggetto conosciuto) per sensazioni da svegli con i sensi attivi, 2° conoscenza duale (soggetto che conosce e oggetto conosciuto) per concetti e immagini, 3°: sonno profondo dove si raggiunge l'unità (non più dualismo) in presenza di sola conoscenza che produce gioia: il puro pensiero, 4°: siamo al livello innominabile oltre l'unità, oltre la conoscenza: impensabile, indescrivibile, indicibile, indefinibile, irrapresentabile. Esso è infinitamente Atman -Brahaman! Non ci sono più né parole e neppure immagini. Silenzio! AUM. A è il primo stato, U è il secondo, M è il terzo, il punto (bindu) è il quarto. L'anima individuale si congiunge l'anima assoluta.
Dalla vibrazione iniziale (bindu: il punto sopra la emme di AUM) nascono tutti gli esseri che alla fine della loro esistenza ritornano nella vibrazione che anticipa il silenzio e l'Assoluto da cui tutto proviene e tutto ritorna. Il ritorno all'Uno di plotiniana memoria! Itinerario della mente e del corpo all'UNO ASSOLUTO. La realtà, che è Unità tutta interconnessa, trascende il linguaggio ordinario. Esperienza non verbale della realtà. Sospendere i sensi e i concetti per arrivare a una identificazione globale. Tutte le creature, tutti gli ATMAN individuali (uomini, dei, divinità, piante e sassi) sono indispensabili per il BRAHMAN: infatti l'esistenza dell'Assoluto dipende dalle sue parti che sono le infinite manifestazioni dell'Assoluto infinito.
Secondo la Ghita, alla fine del suo itinerario individuale il sé (Atman) ritorna divino (Brahman). La parte ritorna al tutto. Ma restano due o diventano uno? La Ghita questo non lo dice e gli interpreti si dividono in monisti e dualisti. Sankara è un monista convinto: l'unica realtà è Brahman di cui anche Krisna è un manifestazione mentre la molteplicità è un miraggio. Ci sono poi i monisti dialettici e i dualisti.
Secondo una scuola di pensiero particolare (Abhinavagupta) i sensi sarebbero come divinità che possono operare in noi la grande rivoluzione (vedi anche U.G.). Nella Ghita si parla del supremo sé indistruttibile e del corpo distruttibile.
Non si devono piangere i cambi di stato del supremo sé che trasmigra perché allora bisognerebbe anche piangere il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Se una cosa (il supremo sé) esiste non può diventare inesistente e viceversa (il corpo). Quindi inutile piangere il sé perché se è esistente non potrà mai diventare inesistente e viceversa per il corpo che quindi, essendo soggetto a fine, non deve essere pianto. Il supremo sé non muore quando muore il corpo.
Noi siamo già Brahman ma non ce ne rendiamo conto. Noi siamo l'Assoluto mediato dalla mente e dal corpo. Dentro di noi tutto cambia continuamente compresi i pensieri. Ma c'è anche l'immutabile: Atman -Brahman. L'Atman è la manifestazione individuale del Brahaman.
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Gli originari insegnamenti del Buddha non contengono affermazioni né favorevoli né contrarie all'esistenza di Dio, ma ricorrono a una serie di argomentazioni -che, con linguaggio moderno, potremmo definire "agnostiche" -circa l'impossibilità, per l'uomo, di risolvere razionalmente questo problema, al pari di quello relativo all'immortalità dell'anima e di quello concernente l'infinità del cosmo. In questo atteggiamento e in questa prospettiva, gli insegnamenti del Buddha risultano incredibilmente vicini alle posizioni assunte da Kant in quella parte della Critica della ragion pura dedicata alle antinomie in cui incorre la ragione quanto pretende di andare oltre i propri limiti. Ricordiamo sempre che il buddismo non nega in modo assoluto alcunché, al massimo sospende il giudizio (scrive Pasqualotto).
Nel canone pali, il Buddha attribuisce ad un maestro di una terra lontana di nome Araka -forse Eraclito (nato però trenta anni dopo Buddha: 566 a.c. contro 535 a.c.)il suo stesso insegnamento in merito alla transitorietà di tutte le cose: il mondo è flusso continuo e impermanente. Buddha non pretende di aver scoperto nulla di nuovo e originale ma si pone nel solco di una più antica saggezza.
Il processo di condizionamenti reciproci diventa " umanamente" insopportabile secome avviene nella maggioranza dei casi -si lascia la mente in balia dei sensi e degli impulsi, ossia se si lascia che divenga preda dell'ignoranza sempre associata all'attaccamento. Ma in che consiste l'ignoranza? Essa non coincide, certo, con la scarsità di nozioni, ma con l'illusione che vi sia qualcosa di sostanziale e di permanente. Tale ignoranza-illusione crea le premesse perché sorga e si sviluppi ogni sorta di attaccamento: attaccamento all'oggetto delle sensazioni; attaccamento al desiderio di possederlo; attaccamento al desiderio di consumarlo; attaccamento al desiderio di utilizzarlo in vista di uno scopo; attaccamento allo scopo; e infine, ma soprattutto, attaccamento all'io come soggetto del sentire, del possedere, dell'utilizzare e del finalizzare. Così, la mente che ignora la natura insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) della realtà tutta -sia oggettiva che soggettivafinisce inevitabilmente con l'attaccarsi a qualcosa che crede autonomo e permanente. L'ignoranza (avidya) ritiene il soggetto separato e indipendente dall'oggetto e il pensiero non solo diverso ma anche diviso dall'essere.
Una delle tesi centrali del Buddhismo è quella della negazione dell'idea di atman (sostenuta invece dai Vedanta), passata alla storia come «dottrina dell'anatta». Il Buddhismo ritiene che nessun aspetto della realtà, sia materiale che spirituale, può essere considerato come atman nel senso di "se stesso", ossia come fenomeno autonomo, irrelato, autosufficiente. Ciò vale anche per l'anima individuale.
La sostanza del buddismo non consiste in un insegnamento teorico bensì nel come si vive. Per il buddismo non è importante il dogma bensì il come uno vive! Per il buddismo non è possibile afferrare l'entità personale, dividendola dualisticamente in soggetto -oggetto. Evitando questa divisione, si arriva a percepire l'io così com'è, senza limitarlo con il nostro limite. Bisogna oltrepassare il limite di ogni piccolo "io" arrivando all'unità tra il mio "io" e il mondo esterno: io sono il mondo e il mondo è il mio "io". Questo lo chiamiamo mu -ga, cioè "nulla -io". (Shoten Minegishi) Le quattro Nobili Verità 1°-DUKKHA-(diagnosi) Si può cogliere il significato di dukkha ricordandosi di associare sempre l'idea di sofferenza a quella di impermanenza (anicca): ogni elemento, fenomeno o aspetto dell'esistenza, per quanto stabile possa apparire, si rivela essere, sempre e comunque, impermanente; e, in quanto impermanente, produce sofferenza in chi continua, invece, a crederlo permanente. In particolare, poi, è da notare che se tutto viene riconosciuto e dichiarato impermanente, anche la sofferenza deve essere riconosciuta impermanente.
2°-TANHA-(eziologia, spiegazione) La seconda delle quattro Nobili Verità è quella relativa all'origine di dukkha, ossia a tanha (sete, desiderio, brama che può derivare dal piacere dei sensi, dall'esistere e divenire o dal non esistere annullandosi). All'origine di ogni forma di brama sta la falsa opinione che vi sia un io separato e autonomo come soggetto del bramare; quindi, in definitiva, l'origine ultima di sofferenza sta in moha (illusione) o avijja (ignoranza), ossia nell'ignorare che non c'è alcuna sostanza chiamata "io", la quale possa vantare la prerogativa di essere il centro di ogni attività, compresa quella del bramare.
3°-NIRVANA-(prognosi positiva) La terza Nobile Verità esposta dal Buddha sostiene che esiste una via alla liberazione dall' onnipotenza di dukkha, un itinerario verso la cessazione di dukkha, che assume il nome di nibbana (nirvana in sanscrito). Per ottenere questa liberazione è necessario estirpare la radice principale di dukkha che, come si è visto, è tanha, il desiderio, la brama. Più in particolare, nibbana è definibile come estinzione del desiderio (raga), dell'odio (dosa), dell'illusione (moha). In ogni caso nibbana non va affatto inteso -come spesso è stato fatto da interessati detrattori del Buddhismo -nel senso di «estinzione del sé», ossia nel senso di annichilimento dell'io, di distruzione della personalità: per il semplice fatto che non risulta esserci alcun sé da estinguere, alcun io da sopprimere, alcuna personalità da disfare. Ancora più sbagliato sarebbe pensare che il nibbana, la condizione di stabile non-attaccamento, è conseguibile solo dopo la morte: come si è già accennato, il Buddha ha proclamato la possibilità di ottenerlo in questa stessa vita, se e in quanto si intraprende, con determinazione e costanza, il cammino che conduce alla cessazione di dukkha (dukkhanirodha).
4°-OTTUPLICE SENTIERO o SENTIERO DI MEZZO. (la medicina, la terapia) La quarta Nobile Verità ci spiega di evitare i due estremi: quello della ricerca della felicità mediante la soddisfazione dei piaceri, e quello della ricerca della felicità attraverso l'automortificazione, la macerazione e l'ascetismo. Estremi, questi, contro i quali il Buddha mise più volte in guardia, in quanto egli stesso li praticò giungendo a conoscerne i limiti e la pericolosità. Il Sentiero di Mezzo viene designato anche col nome di «Nobile Ottuplice sentiero» (ariya attangika magga), e raffigurato con l'immagine della ruota a otto raggi. A ciascun raggio corrisponde una qualità da coltivare. Compassione e saggezza date dalla consapevolezza che ogni cosaevento è insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) ed esiste solo in relazione a tutte le altre cose -evento.
Giuste Azioni 1-Non uccidere: nessuna guerra santa buddista. 2-Non prendere ciò che non è dato: diverso da non rubare che implica la proprietà privata di un io che possiede. 3-Non avere rapporti sessuali illeciti: non fare soffrire alcuno. 4-Non offendere: né con le parole e neppure con i silenzi: in nessun modo. 5-Non assumere sostanze inebrianti: per avere attenzione e concentrazione limpide. (un po' sgangherati e approssimativi anche questi comandamenti come quasi tutti quelli delle varie religioni) Viene ribadito il fatto che una buona condotta morale (etica) si accompagna a un'attività conoscitiva (gnoseologia) corretta, incentrata cioè su capacità di attenzione e di concentrazione non contaminate.
Chi fa il male lo fa per ignoranza dice Buddha (e anche Socrate). Costui scambia l'egoismo del'io per la regola della vita e del mondo. E' ancora vittima del velo di Maia.
La vera natura del Budda è l'Energia cosmica che sostiene ogni cosa -evento compreso gli infiniti presunti ego.
La caratteristica che determina l'originalità degli insegnamenti del Buddha rispetto a quelli di altri fondatori di religioni universali: egli non parla come Dio, né come Figlio di Dio, né in nome di Dio come suo Profeta. Le sue parole nascono da un'esperienza tutta umana, originata e accompagnata da una riflessione sul problema del dolore. Buddha, a differenza dell'induismo, pensa che ognuno possa ottenere l'illuminazione a prescindere dalla classe sociale.
L'originalità degli insegnamenti del Buddha sta nell'atteggiamento non-metafisicopiù che antimetafisico -talmente chiaro e articolato da far supporre che egli abbia 54 Buddha non ha mai affrontato alcune questioni che sono: l'anima è mortale o immortale? Il mondo è finito o infinito? Esiste il tatagata (l'assoluto cioè sciolto da ogni condizione)? Buddha dice che occuparsi di ciò è perdere tempo come se uno fosse stato colpito da una freccia e volesse, prima di toglierla, sapere dettagli su chi l'ha scoccata.
Riassumendo Budda dice (qui non si parla né di dei, né di realtà ultrasensibili): 1) la vita è sofferenza;
2) si soffre perché si desidera;
3) si desidera per ignoranza; 4) si deve vincere l'ignoranza percorrendo l'ottuplice sentiero...di conseguenza, a ritroso, diminuiranno desiderio e sofferenza! Concludendo, secondo il buddismo, non vi può essere comportamento compassionevole [qualità morale] disgiunto dalla consapevolezza dell'interrelazione di tutte le cose e di tutte le azioni [qualità della conoscenza].
Forse però sarebbe forse meglio dire che l'unica via autentica è quella che ognuno si traccia da sé come scrive Michelstaedter e come dice anche lo zen.
Te stesso, così come ognuno nell'intero universo, merita il tuo amore e il tuo affetto.
Superamento del Sé che è pura illusione. (Budda) Occultamento del Sé. (Lao Tzu) Una sortita fuori dalle mura del proprio Sé... Il buddismo risale dietro i concetti generali fino al concepire stesso e raggiunge la redenzione del mondo nell'estinzione del concepire.
Avere una convinzione -dice il Buddha -di qualsiasi tipo; eternalista, nichilista, eccetera, al di là del fatto che la cosa possa essere vera o no, avere una convinzione dunque significa attaccarsi a una cosa e cominciare a contrapporsi agli altri, significa cominciare a dire: "Io ho la verità e gli altri sono nell'errore, e quindi li devo o convertire o eliminare, eccetera". Allora il Buddha dice: "La verità è una cosa viva che non può essere fermata in una convinzione". E il non attaccamento di cui parla il Buddha è proprio il lasciare andare tutte le convinzioni e trovarsi quindi di fronte alla vita, alla realtà, al mistero della morte, con una mente che non presume di avere già, di sapere già la risposta.
Buddha dice che il suo insegnamento è come una zattera che serve per attraversare il fiume della vita. Una volta arrivati dall'altra sponda la zattera va abbandonata e non portata sempre con sé. Noi occidentali invece abbiamo religioni dogmatiche i cui insegnamenti sono sacri e inviolabili e non vanno mai abbandonati.
Budda è solo un uomo e non si proclama nemmeno profeta. Dice: "Fate bene ad avere dei dubbi. Non credete ai testi sacri. Non credete troppo alla logica e alla inferenza. Infine e soprattutto non date troppo ascolto al vostro maestro". Non c'è verità assoluta. La mente umana è limitata e non può spiegare se il mondo è finito o infinito, se l'anima è mortale o immortale, se l'Assoluto esiste o non esiste.
Chiesero al Buddha: "Esisterai dopo la morte"? Rispose: "No, non ci sarò più. Scomparirò dall'esistenza come una fiamma che si estingue. Vi chiedete forse dove sia andata una fiamma, una volta spenta? Essa si estingue, svanisce". L'attaccamento alle cose del mondo è samsara (illusione) mentre il lasciar scorrere gli avvenimenti del mondo (vivendoli senza rimanerci aggrappati) è nirvana. Tutto qui, senza peccati e redentori.
Línjì Yìxuán (?-866), uno dei maestri più rilevanti e originali della storia del Chán, usava esortare: «[s]e incontrate il Buddha, uccidetelo!». Infatti il punto è vedere la realtà così com'è, non copiare pedissequamente il Buddha o seguire il proprio maestro. Cioè si tratta di riuscire a vedere la realtà «spoglia di tutte le sovrastrutture che l'occhio umano attribuisce alle cose (e a se stesso). In questo modo, cercare il Buddha significa perderlo, cercare il Dharma significa allontanarsene. Il Buddha e il Dharma non sono che nomi che gli uomini danno, non la vera realtà». Perfino l'idea della buddhità e del Buddha non sono che degli impedimenti se si vuole percorrere la Via più autentica.
Più che un sistema teoretico il buddhismo si offre come un percorso eticognoseologico, con lo scopo di far emergere e dissolvere l'ignoranza e gli errori in cui si radica la visione ordinaria del mondo. Il suo messaggio di fondo consiste nell'insegnamento di una via per liberarsi dal dolore, dalla sofferenza, dal disagio esistenziale in tutte le sue forme, facendo emergere il cosiddetto risveglio o illuminazione (bodhi), cioè la possibilità di una concreta liberazione dal malessere che ogni esistenza reca con sé. Le strofe più note del testo Dhammapada (XX,(277)(278)(279) indicano che tutti gli esseri condizionati (dhamma) dipendono da cause, sono impermanenti (anicca) e privi di consistenza ontologica (anattā). Ma il fulcro del messaggio -la sua intuizione fondamentale e, apparentemente, la più paradossale -è che non esiste alcun "ego" o "soggetto" da liberare: proprio l'idea che vi sia un soggetto determinato in attesa di risveglio va dissolta, dal momento che la fissazione sull'identità di un soggetto definito è proprio ciò che causa il protrarsi del disagio. Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi è nemmeno alcun "assoluto": dal momento che ogni elemento del reale è un aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus, sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una rete infinita e ininterrotta di relazioni. (Ghilardi) C -CAMPO QUANTISTICO * La speculazione filosofica contemporanea ritiene che il vuoto non rientri nel campo dell'indagine filosofica e lo lascia agli studi della fisica che, reinterpretando la materia come forza e il vuoto come un campo "potenzialmente attivo", ha abbandonato del tutto l'antica concezione del vuoto. Secondo infatti la teoria dei campi il vuoto "fisico" non significa assenza di essere, il non essere degli eleati, ma è una realtà potenzialmente attiva, nel senso che è un vuoto che vive e che s'inserisce nel processo continuo della creazione e distruzione della materia.
La vecchia idea del vuoto, che lo assimilava a puro spazio, al nulla , è essa pure cambiata. Dopo aver creato, negli anni trenta e quaranta, la teoria quantistica relativistica dei campi, i fisici cessarono di concepire il vuoto nei termini tradizionali Il vuoto, lo spazio in realtà sono fatti di particelle e antiparticelle che spontaneamente si creano e si annichilano. (Pagels) Il tutto non è altro che un campo di energia. In alcuni posti il campo energetico è più compatto e ci appare come materia, in altri punti il campo è meno compatto e ci appare come aria. Ma è un unico campo di energia. Concetti simile viene espresso nel taoismo a proposito di anima e corpo La gravita quantistica a loap ci dice che esistono atomi di spazio -tempo che sono quindi quantizzati e probabilistici. Questi atomi di spazio -tempo sono separati ma tra loro non esiste niente, neppure il vuoto. Questa teoria cancella anche il mitico Big Bang e, come origine dell'universo, si pensa a una oscillazione, a una contrazione dell'universo stesso seguita da una espansione, quasi un respiro cosmico.
Il vero Sé coincide con la dimensione del predicato e non con quella del soggetto; coincide per esempio con la dimensione verbale del "vedere" e non con la soggettività che pretende di esserne protagonista. Il vero Sé è piuttosto una sorta di campo impersonale e universale di consapevolezza; di volta in volta esso si specifica in ego o atti particolari.
Il termine platonico chōra: ("matrice, ricettacolo") non è forma né materia. Anche il basho di Nishida non è forma né materia; anzi, è proprio un dispositivo nel quale si risolvono e cadono simili opposizioni. La dimensione antinomica che lega-e-separa io e mondo, interno ed esterno, visibile e invisibile viene al contempo assunta e sciolta per ciò che possiede di contrastivo, di inconciliabile, di incomponibile. Le opposizioni elementari non vengono cioè eliminate né rimosse, ma trasformate in opposizioni relazionali, complementari. Non si tratta di affermare o negare in modo assoluto uno o l'altro dei termini in opposizione; né si tratta di sussumere l'opposizione in un momento superiore, che dialetticamente assorbe e porta a verità i due momenti contrastanti. "Luogo" è il campo tensionale nel quale le dicotomie appaiono, ma in cui anche si sciolgono, vengono liberate dalla loro contraddittorietà in quanto riassorbite in quello sfondo che le avvolge. La loro identità sostanziale sfuma, viene assorbita nel processo relazionale che evidenzia invece la dinamica compositiva che lega le identità l'una all'altra. Il campo in cui i fenomeni si danno li rivela a se stessi come non-sostanziali, ovvero come aperti alle infinite relazioni che li aprono al contatto con l'alterità e non li chiudono in una identità metafisica. Il "luogo del nulla assoluto" lascia intendere ogni fenomeno non nella sua astratta separatezza, nella sua presunta identità sostanziale, bensì nella sua costitutiva e generale apertura alla ulteriorità che lo circonda e lo attraversa, nella nonostruzione che lo collega a tutto ciò che in apparenza "non è" quello stesso fenomeno, ma che lo costituisce di fatto nel suo differenziarsi da esso.
Il campo quantistico è un campo che può assumere la forma di particelle subatomiche e delle loro interazioni superando così l'antica dualità fra spazio e materia (le particelle solide che si muovono nello spazio). Il campo quantistico è visto come l'entità fisica fondamentale: un mezzo continuo presente ovunque nello spazio anzi, per meglio dire, il campo è lo spazio. Le particelle sono soltanto condensazioni locali del campo, concentrazioni di energia che vanno e vengono perdendo il loro carattere individuale e dissolvendosi nel campo soggiacente ad esse.
Noi possiamo considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è estremamente intenso diventando la sola realtà. La concezione delle cose e dei fenomeni fisici come manifestazioni effimere di una entità fondamentale soggiacente non è solo un elemento di fondo della teoria dei campi, ma anche un elemento basilare della concezione orientale del mondo.
Come i fisici anche i pensatori orientali considerano questa entità soggiacente e tutte le sue manifestazioni fenomeniche come transitorie e illusorie. L'unica differenza consisterebbe nel fatto che il campo quantistico spiegherebbe solo alcuni fenomeni fisici mentre per il pensiero orientale ricondurrebbe ogni fenomeno alla sua essenza che sarebbe al di là di tutti i concetti e di tutte le idee. I fisici, ed Einstein in particolare, cercarono di unificare i vari campi in un unico campo onnicomprensivo senza riuscirci. Il pensiero orientale ha invece le sue certezze: Il Brahman degli Indù, il Dharmakāya dei Buddisti, il Tao dei Cinesi possono essere visti come il campo unificato fondamentale da cui nascono non solo i fenomeni studiati in fisica ma anche tutti gli altri fenomeni.
Nella concezione orientale, la realtà soggiacente a tutti i fenomeni trascende tutte le forme e sfugge a tutte le descrizioni e specificazioni. Di essa, perciò, si dice spesso che è senza forme, vacua e vuota. Ma questa vacuità non deve essere presa per semplice non-essere. Essa è, al contrario, l'essenza di tutte le forme e la sorgente di tutta la vita. I Buddisti esprimono l'idea del vuoto o vacuità con il termine Śūnyata che significa un vuoto vivo che da origine a tutti gli enti del mondo fenomenico. I Taoisti attribuiscono una analoga creatività, immensa e incessante, al Tao che anch'essi indicano come vuoto: "Il Tao dei cieli è vuoto e senza forma". Quindi ha la possibilità di contenere una infinità di cose. Dunque un vuoto con un potenziale creativo infinito.
Come il campo quantistico, il vuoto genera una infinita varietà di forme che sostiene e, alla fine, riassorbe. Le manifestazioni fenomeniche del vuoto, come le particelle subatomiche, non sono statiche e permanenti ma dinamiche e transitorie; entrano nell'esistenza e svaniscono in una incessante danza di energia: "Da dove viene la vita degli esseri, la anche si compie, secondo una legge necessaria; poiché tutti debbono pagare reciprocamente il fio e l'ingiustizia nell'ordine del tempo" scrive Anassimandro nel sesto secolo avanti Cristo. Essendo manifestazioni effimere del campo quantistico o del vuoto, le cose in questo mondo non hanno alcuna identità di fondo. Anche il tanto amato Ego pare essere una semplice onda sul mare senza reale esistenza propria.
Oppure possiamo anche pensare all'Ego come a una particella subatomica elementare che non è nient'altro che una momentanea concentrazione di energia in una parte del campo di appartenenza senza però essere distinta dal resto del campo. Oppure possiamo ancora paragonare l'Ego al concetto taoista di ch'i che è l'energia vitale, un campo di energia. Quando il ch'i si condensa ci appare come cosa visibile e allora ci sono le forme. Quando si rarefà, la sua visibilità si annulla e allora non ci sono le forme. Vuoto e forma interagiscono incessantemente generandosi a vicenda: coesistono e cooperano essendo due aspetti della stessa realtà.
Il vuoto non è non-essere ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo. Queste forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto manifestazioni transitorie del vuoto, del campo soggiacente ad esse.
In fisica il campo è un insieme ove si fondono spazio e tempo, energia e materia, causalità e casualità, osservatore e osservato. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia! L'antico pensiero orientale si occupa stranamente anche del "campo". Si legge infatti nella Bhagavad Gita (Il canto del Beato testo del terzo secolo prima di Cristo): <<Sappi innanzi tutto che per conoscere veramente il campo, ovvero il mondo naturale, non basta solo ascoltare il processo di una miriade di cose che lo compongono. Per capire la natura stessa è necessario conoscere la consapevolezza umana. Conoscere qualcosa significa essere consci di questa […] Ma anche il sistema nervoso stesso fa parte della natura; ciò che tu usi per conoscere il mondo, la natura, è anch'esso natura. Così ciò che viene conosciuto non può davvero essere separato dal suo conoscitore>>. Balzano all'occhio soprattutto le vistose affinità con il pensiero di Merleau-Ponty che non si stanca mai di ripeterci che noi ne siamo del mondo e che conoscitore e conosciuto sono vicendevolmente avvolti.
-CAOS-COSMOS* Il Χάος è, per la Teogonia di Esiodo, l'entità primigenia in assoluto, il dio più antico, e non può che essere uno 'spalancamento senza margini', un baratro infinito, uno spazio immenso privo di sponde, perche, altrimenti, margini e sponde sarebbero anteriori o almeno coetanei: avremmo allora due entità primarie, non una: le sponde e l'interstizio fra loro. E le sponde del caos non potrebbero che essere terreno, cioè Terra, che invece Esiodo dice subito di seguito essere nata in un secondo tempo dal Caos stesso. Dunque il caos è, per Esiodo, vuoto o, quasi, il nulla (il baratro infinito, appunto! nella accezione negativa dell'horror vacui?). Aristotele però interpreta il caos come spazio vuoto riempito poi dalla terra e dal cielo.
I nostri concetti di ordine e disordine sono antropomorfici e dualistici. Da sempre l'uomo cerca IL CODICE che ha permesso il passaggio dal CAOS al COSMOS. Ebbene quel codice, forse, è l'uomo stesso! Gli uomini chiamano disordine ciò che non riescono a capire perché non corrisponde ai loro schemi mentali.
L'espressione caos deterministico è, in un certo senso, una contraddizione in termini. Però illustra un tipo di comportamento molto affascinante, equidistante sia dal caos assoluto che dal determinismo assoluto. Proprio li dove accadono le cose interessanti. E' un comportamento irregolare, ma che segue regole definite. Parzialmente prevedibile, parzialmente imprevedibile, ma con norme e strutture di fondo: come la vita stessa! L'entropia di un sistema chiuso macroscopico, quale è l'universo, misura il suo disordine. Essa evolve da stati a bassa entropia a stati ad alta entropia (e non viceversa). Insomma aumenta il caos. Il mondo non va dal disordine all'ordine ma viceversa.
Quel battito d'ali sul computer del metereologo Lorenz nel 1961 ha segnato una delle più grandi, se non la più grande frattura epistemologica nella fisica di questo secolo. Perché avrebbe sconfitto definitivamente il determinismo e la causalità rigorosa della meccanica classica, dimostrando sul campo che l'evoluzione dei sistemi dinamici non lineari e comunque dei sistemi divergenti, cioè di gran parte dei sistemi che operano nel mondo macroscopico, è imprevedibile: lo scorrere di un fiume, il meteo, l'economia, il sistema solare, la vita stessa e quant'altro.
Il passaggio dal Kaos al Kosmos forse non è mai avvenuto, se non nella mente umana. La sostanza dell'Essere è, forse, il Kaos dove appaiono i tratti dell'Infinito e dell'Assoluto prima che la coscienza cerchi di ricondurli al Kosmos.
Il caos resta caos anche lo chiami cosmos. Noi, forse, chiamiamo ordine ciò che non lo è.
La contraddizione interna ad ogni sistema: concordanza discorde, armonia dissonante, cosmico caos.
Le leggi di Keplero, Galilei, Newton sono formule matematiche che cercano di descrivere il mondo senza riuscirci fino in fondo (approssimazione poi corretta da leggi seguenti). Lo stesso Einstein sosteneva (semplificando) che nessuna formula matematica potrà mai descrivere la realtà. Noi uomini vogliamo l'ordine (cosmos) perché temiamo il disordine (caos).
"Nell'universo in cui viviamo tutto procede spontaneamente verso il disordine, la perdita di ordine e di organizzazione" dice Edoardo Boncinelli che continua : "Ogni essere vivente crea ordine localmente e temporaneamente ma a spese di un aumento della disorganizzazione di ciò che lo circonda, in modo che il saldo totale è sempre comunque a favore di un aumento del disordine". L'ego è un cosmo che si auto ritiene individualizzato così come un fiocco di neve è acqua individualizzata.
-CARTESIO* Si può dubitare di tutto, ma non del fatto che dubito, ossia, dice Cartesio, che esiste un io che dubita. E no! L'io è di troppo, caro Cartesio. Esiste il dubbio: questa era l'unica conclusione possibile nella logica.
Cartesio dubita per affermare l'io mentre Buddha insegna a dubitare dell'io.
Cogito ergo sum? Oppure "penso di pensare" o meglio ancora "il mio pensiero è proprio mio?". Buddha, al proposito, sviluppa un discorso complesso che non azzera la realtà dell'io ma puro ma nega che esso si possa dare da solo, autonomo, assoluto. L'ego è invece relazione! L'io che dubita di tutto non ha consistenza se non nella sua attività dubitante, ossia non esiste che in rapporto a ciò di cui dubita. L'essere coscienti non si da mai come attività isolata, ma implica sempre, necessariamente, l'essere coscienti di qualcosa. Ciò significa che l'io in se può essere frutto solo di astrazione: di fatto esso si mostra sempre come realtà di funzioni relazionate. Quindi nessun nichilismo buddista.
Cartesio avrebbe, forse, dovuto a limitarsi ad un semplice: esiste il pensiero, esiste il dubbio. Chi è infatti che "cogita"? Io? Io chi? Forse l'io è solo una convenzione sociale utile per lo sviluppo e la crescita dell'uomo sia come specie (filogenesi) e sia come individuo (ontogenesi). Ma pur sempre una convenzione sociale.
Cartesio fonda l'IO con la famosa frase "cogito ergo sum". Cartesio fonda la filosofia dell'io: il centro è fissato nell'ego e non in qualche cosa di trascendente o immanente ad esso esterno. Esiste questo io? Mostramelo, se puoi! Noi, forse, siamo solo il frutto di infinite relazioni.
L'io che dubita di tutto non ha consistenza al di fuori della sua attività dubitante, ossia non esiste se non in rapporto a ciò di cui dubita. In termini gnoseologici più semplici: l'essere coscienti non si dà mai come attività "pura ", isolata, ma implica, sempre e necessariamente, l'essere coscienti di qualcosa, al punto che non è mai possibile rintracciare né un luogo né un momento in cui essa esista in sé e per sé. Si può essere coscienti non solo di oggetti o di eventi, ma anche di idee, di teorie e di stati d'animo, ma in ogni caso la coscienza dovrà sempre avere un contenuto, concreto o astratto che sia. Ciò significa che l'io come realtà in sé può esser frutto solo di astrazione: di fatto esso si mostra sempre come realtà "implicata" , come fenomeno costituito di funzioni relazionate. L'io, come il profumo di un fiore, esiste, ma esiste come realtà condizionata, non come sostanza in sé e per sé.
Cartesio scrive:<<non accogliere come vero se non ciò che è evidentemente tale, cioè ciò che è "chiaro e distinto">>. Chiaro e distinto per chi? Questo è il tranello in cui non si accorge di cadere Cartesio. Infatti non esiste un chiaro e distinto assoluto, a prescindere da una mente che valuti queste due qualità. E ciò che è chiaro e distinto per una certa visione prospettica non lo è per un'altra visione prospettica. Cartesio agiva ancora sicuro di un mondo ove il soggetto distaccato valuta e giudica le mere cose in base a idee chiare e distinte. Siamo ancora nel campo del Kosmotheoros cioè colui che osserva il mondo dall'esterno quasi fosse un dio. In realtà noi ne siamo del mondo e non potremo mai vederlo dal di fuori. Non c'è più un puro soggetto che osserva un mero oggetto ma avvolgimento reciproco fra i due.
Nietzsche invita ad essere "più prudenti di Cartesio che rimane imprigionato nella trappola delle parole".
-CASO -NECESSITA'* Il caso (tùkè) e la necessità (anankè): nulla di più inconciliabile, sembrerebbe a prima vista. Infatti il caso non ha regole mentre la necessità tutto costringe. Eppure, alla fine, sono le due facce della stessa medaglia, come spesso accade. Per spiegarci meglio facciamo un esempio semplice. All'inizio di ogni partita di calcio l'arbitro lancia una monetina per stabilire chi sceglierà il lato del campo in cui giocare.
Ovviamente potrà uscire testa o croce. Nessuno lo può sapere essendo questo un dominio del puro caso. Ma lo stesso lancio di monetina avviene in molti, moltissimi altri stadi di calcio: in serie A, B, C, dilettanti, amatori, giovani, etc. etc. E ciò va esteso a tutti gli stadi del mondo arrivando quindi a interessare migliaia e migliaia di diversi avvenimenti. Ecco allora che il caso lascia il posto alla necessità. Infatti siamo quasi sicuri che, su tanti eventi, la metà delle volte uscirà testa e l'altra metà delle volte uscirà croce. Dunque il puro caso (senza legge alcuna) riguarda il singolo evento o i pochi eventi mentre la necessità riguarda i grandi numeri. I due presunti nemici non sono però così diversi come poteva sembrare a prima vista. E ciò vale, forse, per molti altri dualismi: materia e spirito, bene e male, vero e falso, essere e non essere, etc. etc. … Secondo Nietzsche la necessità meccanica non è un fatto: la necessità non è un fatto ma una interpretazione. Infatti siamo stati noi a introdurre questo concetto interpretando l'accadere come conseguenza di una necessità che impera al di sopra dell'accadere. Ciò perché abbiamo pensato ad autori delle cose e non a una rete di relazioni fra eventi.
-CATEGORIE * Le categorie sono l'attribuzione di un predicato ad un soggetto: l'erba è verde.
Per Aristotele le categorie sono i gruppi o i generi sommi che raccolgono tutte le proprietà che si possono predicare dell'essere. Sono i predicamenti dell'essere, che si riferiscono a qualità primarie (le essenze immutabili degli oggetti), o secondarie (gli accidenti che possono cambiare). Le categorie sono in tutto dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, il giacere, l'avere, l'agire, il subire. Ogni elemento della realtà può essere fatto rientrare in una di queste categorie.
Ne consegue che le categorie di Aristotele hanno un valore oggettivo, perché si riferiscono a degli enti concreti. I nostri giudizi le adoperano non soltanto secondo un rapporto puramente logico tipico del sillogismo, ma riunendole grazie alla capacità intuitiva di cogliere le relazioni effettivamente esistenti tra gli oggetti reali. Con Aristotele siamo ancora nel paradigma ove la mente cerca di descrivere la realtà e, cioè, è la mente che si adegua ai fenomeni.
Con Kant avviene la rivoluzione copernicana. Infatti è il mondo fenomenico che si adegua ai principi a priori della sensibilità (spazio e tempo) e alle categorie dell'intelletto (quantità, qualità, relazione e modalità). Con Kant non stiamo più parlando delle categorie dell'Essere ma di categorie dell'intelletto.
Dilthey afferma che le categorie formali (Aristoteliche e kantiane) sono fondate sulla ragione mentre quelle reali (Diltheyane) sono fondate sulla connessione vitale stessa, sulla relazione. Le categorie di cui si servono le Scienze dello Spirito non sono date a priori ma dipendono dal loro stesso oggetto. In conclusione le categorie formali sono proiezioni di quelle reali mentre la genesi delle categorie della vita è interna alla vita stessa che è connessione, relazione dinamica. Risulta evidente la centralità e la fondamentale importanza della CONNESSIONE in queste affermazioni dilteyane. La vita esiste come relazione di un tutto con le sue parti e il significato è la categoria più comprensiva sotto cui può essere colta la vita.
Ogni domanda che ci facciamo sull'essere è una domanda interna all'essere. Aristotele, Kant e altri filosofi elencavano le categorie presumendo di farlo dal suo esterno. Noi però, secondo Merleau-Ponty, siamo consapevoli che "nessuna risposta può dissipare il mistero del nostro rapporto con l'essere". Dopo la rivoluzione copernicana di Kant abbiamo anche la rivoluzione della rivoluzione fatta da Kitaro Nishida che dice: "non è che essendoci il singolo individuo c'è l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo". Questa affermazione fa il paio con quella di Nietzsche: "l'io non è il proprietario del pensiero ma è un pensiero fra i tanti". Abbiamo iniziato con Aristotele che cerca di descrivere l'Essere e finiamo con Nietzsche che nega la sostanzialità autonoma dell'io! -CAUSA-EFFETTO*
La relazione cosmica
Tutto è interconnesso Ogni cosa è causata da tutte le altre E causa tutte le altre Dove finisce la causalità? C'è una causa per ogni cosa? Perché cercare le cause? L'idea di una causa unica è illusoria. Tutto è la causa di ogni cosa e di tutto essendo tutto in relazione con tutto. (Nisargadatta Maharaj) Dio stesso sarebbe originato dal concetto di causa -effetto. Infatti, poiché per esempio, per costruire un vaso serve una causa efficiente cioè un demiurgo, un artigiano, si è ritenuto che per fare il mondo sia servito un dio quale agente invisibile.
Hume dice che il principio di causa -effetto origina solo dall'abitudine.
Nietzsche osserva che quello di causa -effetto è un concetto pericoloso finché si pensi a qualcosa che causa e a qualcosa su cui si produce un effetto. La sua riflessione lo porta così a considerare il valore puramente illusorio della stessa nozione di soggetto agente visto che trattasi di una mera finzione. Assieme a tale nozione occorre naturalmente abbandonare anche quella di oggetto sul quale si produrrebbe l'effetto. Soggetto -oggetto e causa -effetto sono comodi concetti umani che, però, non sono reali. Nella realtà esistono infatti solo relazioni prospettiche.
Causa e effetto non sono nel mondo ma nella mente che vuol spiegare, vuole capire.
Come si può, chiederebbero i Vedici Induisti, difendere l'idea che la causalità governi il mondo fenomenico mentre simultaneamente si sostiene che non c'è alcuna misurabile transizione temporale dalla causa verso l'effetto, come i Buddisti sembrano sostenere?
La visione di Laplace della possibilità di calcolare tutto il futuro del mondo fisico in base a un insieme esauriente di dati sullo stato attuale è un'espressione estrema di questo orientamento. Tuttavia questo ideale razionale di determinismo matematico basato sull'idea di causa subì una graduale erosione nel confronto con la realtà fisica. I fenomeni non lineari, la teoria quantistica e l'avvento dei potenti metodi numerici hanno mostrato che i problemi ben posti sono ben lungi dall'essere i soli a riflettere i fenomeni reali. (Hilbert) Siamo stati dominati per secoli dal determinismo, dalla previsione quasi scontata di ciò che è il mondo, di ciò che è il suo costruttore immaginario, aprendo lo scenario ad un cosmo regolato solamente da una catena di cause ed effetti. Crediamo che non sia possibile che certi effetti non implicano alcuna causa, la meccanica del nostro universo ci appare tutta prevedibile come se non esistesse niente che non possa essere compreso attraverso una computazione classica (vi ricordate di Laplace?). Eppure, accanto alla causalità si affianca la casualità, ciò che avviene per caso, rispetto a ciò che è prevedibile. "La teoria dei quanti prende atto di questa indeterminazione: la sua conseguenza diretta è l'imprevedibilità … Il fattore quantico, però, rompe la catena delle cause: e fa si che si diano effetti prive di cause.
Il filosofo cattolico Vittorio Possenti afferma che il caso non esiste essendo semplicemente il prodotto da cause a noi è sconosciute. Ciò corrisponde al pensiero di Einstein, di cui Possenti è ammiratore. Ma la meccanica quantistica non ha questa visione del mondo affermando che il caso, senza cause, è insito nella natura delle particelle subatomiche. Casualità che Einstein, sempre convinto dell'armonia cosmica di pitagorica memoria, non volle mai accettare.
Causalità, tempo e spazio sono prodotti della mente umana. Nell'Assoluto non esistono.
Quando analizziamo un sistema in cui non è possibile mettere in relazione le fasi iniziali con quelle finali, poiché gli eventi seguono percorsi non previsti, allora ci troviamo di fronte ad insiemi non integrabili.
La teoria quantistica richiede una sorta di principio di causalità temporale inversa, in quanto l'osservazione effettuata oggi può in qualche modo determinare la realtà del passato remoto. Così scrive a questo proposito il fisico John Wheeler: 'la fisica quantistica dimostra che ciò che l'osservare farà in futuro definisce ciò che accade nel passato, che può essere remotissimo e precedere anche la comparsa della vita. Wheeler qui attribuisce alla mente (l'osservatore ) un ruolo fondamentale e collega l'esistenza della mente nelle ultime fasi dell'evoluzione cosmica alla creazione stessa dell'universo. John Wheeler ammette l'ipotesi: che la decisione dell'osservatore di determinare un mondo ibrido potrebbe così venir dopo che quel mondo stesso ha preso ad esistere! -COLLOQUIO FRA EINSTEIN E TAGORE* Il14 luglio del 1930, Caputh, periferia di Berlino. Un uomo si avvicina a una casa in legno. Ha una veste molto particolare, soprattutto per i tedeschi dell'epoca, che lo guardano incuriositi. L'uomo è indiano, ha una barba lunga, bianca. Sembra un santone, un mistico dalla fronte ampia. Al di sotto di questa, due occhi vivaci, che osservano, scrutano. Lo accompagna un altro uomo, in abiti più tradizionali, almeno per gli occidentali: è il dottor Mendel, l'amico comune, l'anello di congiunzione che sta per unire due delle più grandi menti al mondo. Lui, "l'asceta", è Rabindranath Tagore, poeta e filosofo indiano -nonché premio Nobel nel 1913 -nato in una famiglia di bramini, la casta sacerdotale induista. La casa a cui ha appena bussato è il "buen retiro" di Albert Einstein, scienziato geniale che ha teorizzato la Relatività Ristretta e Generale, e che qui ama passare il suo tempo libero, lontano dal caos della città.
Due figure così lontane, almeno in apparenza. Due uomini che hanno dedicato la loro vita ad aspetti così lontani tra loro: la spiritualità e la scienza. Due uomini che vivono agli antipodi, uno in Germania e l'altro in India. Ed è proprio questo che ha stuzzicato la curiosità del dottor Mendel, che tanto ha insisto affinché i due s'incontrassero. "Cosa mai potrebbe nascere dall'incontro di queste due figure?", si chiede da qualche giorno il dottore, che però ha colto una sottigliezza. Nonostante la palese diversità, pensa Mendel, i loro pensieri hanno molti punti in comune, a partire dall'amore per la conoscenza.
E il pensiero di Mendel trova riscontro nella lunga chiacchierata che i due tengono nel salotto della casa in legno, opportunamente registrata e poi trascritta in un articolo che apparirà l'anno successivo nella rivista Modern Review.
Le due menti ci mettono poco a carburare, evitando qualsiasi tipo di convenevoli. Lo scienziato tedesco domanda a bruciapelo: "Credi che il divino sia isolato dal mondo?". La risposta di Tagore è immediata: "Non è isolato. L'infinita personalità dell'uomo comprende l'universo. Non c'è nulla che non possa essere compreso dalla personalità umana, e questo prova che la verità dell'universo è una verità umana". Ma Einstein ribatte prontamente: "Ci sono due diverse concezioni sulla natura dell'universo: il mondo come unità dipendente dall'umanità, e il mondo come realtà indipendente dal fattore umano". Tagore prende una manciata di secondi, e con calma risponde: "Quando l'universo è in armonia con l'uomo, conosciamo l'eterno come Reale e ne sentiamo la bellezza". "Ma questa è una concezione puramente umana dell'universo", la pronta battuta di Einstein, che però non riesce a proseguire, interrotto immediatamente dal poeta: "Il mondo è un mondo umanoafferma piantando gli occhi vivaci in quelli del tedesco -la sua visione scientifica è anch'essa quella di un uomo scientifico. Pertanto il mondo senza di noi non esiste; è un mondo relativo, la cui realtà dipende dalla nostra coscienza. C'è una qualche misura di ragione e di piacere che gli conferisce verità ed è la misura dell'uomo eterno le cui esperienze sono rese possibili attraverso le nostre esperienze". Lo scienziato tenta di mettere all'angolo il mistico: "Questa è una realizzazione dell'entità umana". "Sì certamente, un'entità umana che noi dobbiamo comprendere per mezzo delle nostre emozioni e attività. Noi comprendiamo l'uomo supremo, che non ha limitazioni individuali, per mezzo delle nostre limitazioni".
Una breve pausa, poi prosegue, evidenziando le differenze delle loro materie: "La scienza si occupa di ciò che non è confinato nell'individuale; è il mondo impersonale e umano delle Verità. La religione realizza quelle Verità e le unisce con i nostri bisogni più profondi. La nostra coscienza individuale della Verità guadagna così un significato universale. La religione conferisce valore alla Verità, e noi conosciamo la Verità così bene attraverso la nostra armonia con essa". Incalzato dalla risposta di Tagore, Einstein controbatte, chiedendogli se la verità, allora, o la bellezza, non sia indipendente dall'uomo. "No", afferma l'indiano."E se gli esseri umani non ci fossero più, l'Apollo del Belvedere non sarebbe più bello?". La risposta di Tagore è sempre negativa, "No!". Un sospiro, Einstein riflette su quanto detto dal suo ospite: "Concordo con questa concezione della bellezza, ma non con quella della verità". "Perché no? -chiede Tagore -La verità è realizzata attraverso gli uomini". "Non posso provare che la mia concezione sia giusta -afferma socraticamente lo scienziato -ma questa è la mia religione". Tagore avanza, quindi, la sua spiegazione: "La bellezza è insita nell'idea di perfetta armonia, cioè nell'essere universale; la Verità è la perfetta comprensione della mente universale. Noi individui ci avviciniamo a queste attraverso i nostri errori e sviste, con il sommarsi delle nostre esperienze, attraverso l'illuminazione delle nostre coscienze. Come potremmo altrimenti conoscere la verità?". "Non posso provarlo -ripete Einstein -ma io credo nell'argomento pitagorico che la verità sia indipendente dagli esseri umani". "L'intera mente umana comprende la verità; le menti indiane e quelle europee si incontrano in una comprensione comune", ribadisce il poeta indiano, a cui, però, Einstein risponde con un dubbio: "Il problema è se la verità sia indipendente dalla nostra coscienza". Dubbio prontamente fugato da Tagore: "Ciò che noi chiamiamo Verità giace nell'armonia tra l'aspetto soggettivo e quello oggettivo della realtà, i quali appartengono entrambi all'uomo super-personale". Il tedesco, non trovandosi d'accordo, afferma: "Noi facciamo cose con le nostre menti, anche nella nostra vita quotidiana, per le quali non siamo responsabili. La mente riconosce delle realtà esterne a essa, indipendenti da essa. Per esempio -indicando il tavolino in legno vicino a loro -se nessuno fosse in questa casa, il tavolo resterebbe dov'è". "Certo, rimane fuori dalla mente individuale, ma non dalla mente universale. Il tavolo è ciò che è percepibile da qualche tipo di coscienza che possediamo".
Sul viso di Einstein spunta un sorriso, quasi si aspettasse quella risposta: "Ma se nessuno fosse in casa, il tavolo continuerebbe a esistere, e questo è già scorretto dal suo punto di vista, perché noi non possiamo spiegare cosa significa dire che 'il tavolo' è lì, indipendentemente da noi. Il nostro punto di vista naturale sull'esistenza della verità separata dall'umanità non può essere spiegata o provata, ma è una credenza che non può mancare a nessuno, neanche a esseri primitivi. Noi attribuiamo alla verità un'oggettività superumana. Ci è indispensabile -questa realtà che è indipendente dalla nostra esistenza e dalla nostra esperienza e dalla nostra menteanche se non possiamo spiegare cosa significa".
Piccato dalla risposta dello scienziato, Tagore risponde: "La scienza ha provato che il tavolo come oggetto solido è un'apparenza e perciò quella cosa che la mente umana percepisce come tavolo non esisterebbe senza la mente. Allo stesso tempo si deve ammettere il fatto che la realtà fisica definitiva non è altro che una moltitudine di centri di forze elettriche in movimento, che appartiene anch'essa alla mente umana. Nell'apprendimento della verità c'è un conflitto esterno tra la mente umana universale e la stessa mente confinata nell'individuo. Il processo continuo di riconciliazione prosegue nella scienza, nella filosofia, e nell'etica. In ogni caso, se ci fosse una qualsiasi verità assoluta staccata dall'umanità, per noi sarebbe assolutamente non esistente.
Il sorriso di Einstein diventa una risata, e divertito esclama: "Mi permetta, ma allora io sono più religioso di voi!". A questa affermazione, Tagore replica: "La mia religione è nella riconciliazione dell'uomo super-personale, dello spirito universale, nel mio essere individuale".
Da questo incontro nacque una sincera amicizia, e tante altre chiacchierate. Tagore tornò a visitare lo scienziato. Il loro incontro dovrebbe essere ricordato come un chiaro segno di vicinanza tra scienza e religione, due mondi che possono coesistere nel mondo e nell'uomo, a dispetto dei guelfi e ghibellini che ancora oggi si fanno la guerra senza rendersi conto che, in effetti, sono due facce, due realtà, appartenenti alla stessa medaglia.
-COMPARAZIONE FILOSOFICA * Se il conoscere non è altro che un implacabile atto di confronti, allora ogni tentativo di comparazione filosofica è un esercizio originario del pensiero. Dunque l'attività del comparare è alla radice del pensiero stesso. (Pasqualotto) La comparazione filosofica (o filosofia come comparazione) si distingue dalla filosofia comparata soprattutto perché rinuncia alla pretesa che un soggetto neutro ed astratto, disincarnato e disinteressato (n.d.r. una specie di kosmotheorós), assuma, analizzi e confronti oggetti ritenuti altrettanto neutri ed astratti.
L'attività del comparare è alla radice del pensiero stesso. (Pasqualotto)
Non riuscirai a capire le tesi di base della tua civiltà, se la tua civiltà è l'unica che conosci. (Watts) Ogni volta che le radici si intrecciano e si accolgono reciprocamente, è come se diventassero una sola natura. (Teofrasto)
Lo sguardo della filosofia come comparazione, consapevole di essere una variabile dipendente, non pretende di costruire alcuna panoramica oggettiva: esso sa, infatti, che le cose e le forze incluse in ogni panoramica sono le stesse che lo condizionano, tanto da costituirlo in un incessante processori trasformazione. (Pasqualotto)
Il soggetto della comparazione non è antecedente né indipendente rispetto ai termini comparati. I termini da comparare non sono antecedenti né indipendenti rispetto a un soggetto che li compara. I termini comparati e il soggetto che li compara appartengono tutti ad uno stesso campo determinato dalla loro interazione.
Ricordo che da bambino (dieci anni circa) avevo tre grandi punti di riferimento: il nonno paterno, la maestra e il prete. Loro, per quella piccola mente in crescita, erano anche la vera fonte della saggezza. Il nonno (nato nel 1886) era un comunista umanitario nel senso che avrebbe voluto difendere i poveri senza però fare del male a nessuno. La maestra era monarchica e, in subordine, anche un po' fascista visto che suo marito era stato ripetutamente il podestà. Comunque una stupenda persona. Anche lei nata nel secolo diciannovesimo. Infine il prete (anche lui dello stesso secolo). Un tipo strano ma affascinante. A quell'epoca non capivo cosa mi piacesse di lui. Ma poi compresi. Era libero da schemi e anche un po' libertino nelle sue frequentazioni femminili. Mi propose di entrare in seminario ma rifiutai perché anche a me piacevano le compagnie femminili e, soprattutto, a causa della comparazione filosofica! Già, ma in quei tempi non sapevo cosa fosse questa comparazione filosofica che, inconsapevolmente, praticavo. Vediamo, dunque, di capire cos'è la comparazione filosofica. Ebbene, le tre persone che avevano condizionato la mente di questo bambino, avevano visioni del mondo diverse, molto diverse. Perché? Chi aveva ragione e chi torto? Dura la scelta a quella età! E così, senza rendermene neppure conto, aderii alla comparazione filosofica. In questo contesto non si deve scegliere fra il nonno, la maestra e il prete ma si mettono in relazione le loro storie e le loro idee così come sono, senza giudizi preconcetti. Alla fine si capisce che sono diverse prospettive sulla stessa realtà. Ognuno dice la sua in base alla sua vita e alle sue relazioni esistenziali. E non c'è sintesi che possa risolvere le discrepanze se non una grande apertura mentale e una dolce empatia. Grazie nonno! Grazie maestra! Grazie prete! -COMPLESSITA' ** La complessità è contraddizione! L'accettazione della complessità e l'accettazione della contraddizione.
Il paradigma della complessità implica il paradigma della relazione e non quello della individuazione.
Nell'interpretazione classica quando in un ragionamento compare una contraddizione è un segno di errore. Occorre fare marcia indietro e imboccare un altro ragionamento, di contro, nella visione complessa, quando si arriva per vie empirico -razionali a delle contraddizioni, questo significa non già un errore ma il raggiungimento di una falda profonda della realtà che, proprio perché è profonda, non può essere tradotta nella nostra logica. Dunque la logica tradizionale non può descrivere le realtà più profonde ove accade che il principio del terzo escluso decade visto che è anche così ma non solo così! Il pensiero complesso deve affrontare la difficoltà del misurarsi con unità che si dividono e con legami che tendono all'unità: «La difficoltà del pensiero complesso consiste nel dover affrontare l'accozzaglia (il gioco infinito delle inter-retroazioni), la correlazione dei fenomeni tra loro, la nebbia, l'incertezza, la contraddizione». Il vero problema, infatti, è rappresentato proprio dalla contraddizione: «La breccia microfisica rivelò l'interdipendenza del soggetto e dell'oggetto, l'introduzione dell'alea nella conoscenza, la dereificazione della nozione di materia, l'irruzione della contraddizione logica nella descrizione empirica». Come è possibile, dunque, conciliare la consapevolezza della complessità dell'esperienza -e quindi di ciò che ordinariamente si assume come "reale" -con il principio logico, ma anche ontologico, della non contraddizione? Come conciliare il pensiero complesso e il fondamento stesso del pensare? Andando oltre pensando che è anche così ma non è solo così …
Geometria euclidea e non euclidea
Nella geometria euclidea esiste una sola retta passante per un punto esterno alla retta stessa mentre la somma interna degli angoli di un triangolo misura 180 gradi.
Nella geometria iperbolica esistono infinite rette parallele mentre la somma degli angoli interni a un triangolo è inferiore a 180 gradi.
Nella geometria ellittica non esistono rette parallele perché tutte le rette si incontrano mentre la somma degli angoli interni a un triangolo è superiore a 180 gradi.
Ma che cosa è una retta euclidea? La linea retta è quella che è situata ugualmente rispetto a tutti i suoi punti. Cosa significa ciò? Logica che va oltre il principio del terzo escluso.
Il principio del terzo escluso afferma che, in un dato momento, il fenomeno A non può anche essere non A: come a dire, ad esempio, che l'universo o è finito oppure è infinito.
La logica di Nagarjuna invece asserisce che, allo stesso tempo, l'universo è finito, infinito, finito e infinito insieme, né finito e neppure infinito.
Gödel
Ogni sistema logico -matematico, se completo, potrebbe anche essere contradditorio. Come a dire che se Dio è in ogni luogo, deve stare anche all'inferno.
-CONDIZIONE DI POSSIBILITA'* Per Agostino la grazia divina è la condizione di possibilità del bene e della conseguente salvezza individuale.
Per Plotino l'Uno è nulla (di determinato e quindi condizione di possibilità per ogni determinazione) e non ha bisogno di nulla! (Pasqualotto)
Per Kant le condizioni di possibilità della conoscenza precedono ogni esperienza empirica, non possono essere raggiunte dai sensi ma devono essere descritte da un'analisi critica svolta dalla ragione.
Per l'induismo la parola (vac) è la condizione di possibilità dell'universo intero.
Per il Tao il vuoto è la condizione di possibilità di tutte le cose evento.
Il Caos non è la negazione o la assenza di ordine, ma la condizione di possibilità di ogni ordine.
L'Assoluto come condizione di possibilità del relativo ma anche il relativo come condizione di possibilità dell'Assoluto. Pura relazione fra i non -due secondo il pensiero buddista più profondo.
Il campo quantistico della moderna meccanica quantistica come condizione di possibilità delle particelle subatomiche, dello spazio -tempo, della energia -materia.
-CONFESSIONE* Un caro amico sacerdote cattolico mi dice scherzosamente, ma non troppo: "Non senti la necessità di confessarti?". "Se vuoi, possiamo parlarne" faccio io. "Parliamone allora" dice lui benevolo. "Se non esistesse il mio io, chi si confesserebbe?". Lui sbalordito: "IL TUO IO E' CHIARO E DISTINTO! E' COSI' NATURALE E ISTINTIVO CAPIRLO CHE NON SFUGGE A NESSUNO DI BUON SENSO! Ti faccio qualche esempio …". Vedendolo un poco pensoso sugli esempi da citare lo precedo: "Chiaro e distinto come le presunte idee di Cartesio? O naturale e istintivo come pensare che la terra sia piatta o sia al centro del mondo? Questo intendevi?". "Non solo questo, ma anche le scritture ove si attesta il peccato originale …". "Già, il peccato originale … e se non si trattasse altro della nascita di un ego personale che si oppose al tutto di cui era, è e sarà, forse, parte indistinta? Senza un conclamato ego chi peccherà?". Un poco alterato l'amico ribatte: " Senza un vero io ognuno potrà fare ciò ch vuole senza pagarne le conseguenze …". "Cerchiamo di superare sensi di colpa orfici. Nessuno ha chiesto di nascere. Forse nessuno è veramente nato. Siamo semplicemente l'Assoluto mediato dalla nostra piccola mente che vede separato ciò che separato non è". Con un sorriso amaro l'amico cerca una ultima certezza: "In conclusione, qual è la tua morale di vita?". "Ogni morale è umana, troppo umana. Ma se proprio ne vuoi una, DUBITA E AMA altro non puoi". E qui finisce la confessione. Mi accorgo però di essermi dimenticato di parlargli dell'etica della relazione! -CONOSCI TE STESSO* L'esortazione "Conosci te stesso" era una sentenza iscritta nel tempio di Apollo a Delfi, in quanto la si considerava pronunciata dal dio. Gli studiosi concordano sul fatto che con questa sentenza Apollo intimasse agli uomini di riconoscere la propria limitatezza e finitezza.
Questa frase va, forse, interpretata nel senso di "conosci il tuo limite" perché, come dice anche Aristotele: "Chi non conosce il suo limite, tema il destino".
Sii e basta. Non devi fare nulla. Sii. Non c'è bisogno di scalare montagne o giacere in caverne. Non dico nemmeno " sii te stesso " poiché tu non conosci te stesso. Ti basti essere! (Nisargadatta Maharaj) Conosci "te stesso" significa un "te stesso" che però non è separato da tutto il resto. Un te stesso che è invece in relazione con tutto il resto! Conoscere se stessi? Può uno specchio rispecchiare se stesso? "Conosci te stesso!" Grande frase socratica. C'è però un problema: chi conosce (il soggetto) e il conosciuto (l'oggetto) non sono due. Solo lasciando in pace questo presunto io, esso se ne andrà.
Montaigne (1533) a proposito del conosci te stesso dice che ciascuno è convinto di capirsi a dovere ma, in realtà, nessuno ci capisce niente.
"Se non conosci te stesso, chi altro vuoi conoscere?" dice Nisargadatta. Che poi aggiunge "Dire "conosco me stesso" è una contraddizione, perché ciò che è "conosciuto" non può essere il "me stesso". Dunque è possibile conoscere se stessi? Chi conosce e chi è conosciuto non sono forse un unicum? Senza la dualità chi conosce e chi è conosciuto? "...crediamo di vedere noi stessi e non vediamo che l'ombra di noi stessi".
Conosci te stesso: precetto impraticabile nella caverna. (Weil) Qualunque cosa tu percepisca, tu non sei quello. Non sei il corpo, non sei la mente, non sei le tue idee.
Il corpo è fatto di cibo come la mente di pensieri.
Non ti occorre sapere chi sei. Ti basti sapere che cosa non sei. Ciò che sei non lo saprai mai, perché ogni scoperta rivela nuove dimensioni da conquistare. L'ignoto non ha limiti. E se, per caso, il vero mistero non fosse il mondo o il divino ma fossimo noi stessi?
Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò che sono. Cioè sono relazione.
Tu sei l'Infinito concentrato in un corpo. Per ora vedi solo il corpo. Se insisti arriverai a percepire l'Infinito.
-CORPO* Il nostro corpo viene letteralmente dalle stelle, stelle che ora magari non esistono più! Infatti le esplosioni stellari lasciano dietro di sé gli elementi costitutivi dei futuri sistemi planetari. Quindi gli atomi di cui siamo composti, da quelli di calcio nelle ossa al ferro del nostro sangue, ma anche ossigeno e carbonio, sono stati sintetizzati in stelle miliardi di anni fa, e poi diffusi in antichissime supernovae. L'idrogeno insito in ogni molecola d'acqua del nostro corpo ha invece una provenienza ancora più antica: viene direttamente dal Big Bang. Il 50-75% del nostro corpo proviene quindi dal sussulto originario dell 'Universo. Si calcola che il corpo perda, per morte delle cellule (apoptosi), cento miliardi di cellule al giorno e che ogni anno cambiamo tutte le cellule dell'organismo (ad esclusione di quelle nervose e muscolari).
I nostri atomi si scambiano continuamente con quelli dell'universo al punto che ogni anno il 98% del nostro corpo si rinnova. Ogni nostro respiro mette in circolo miliardi e miliardi di atomi, già riciclati nelle ultime settimane del respiro di altri viventi. Nulla di ciò che ora forma i miei geni esisteva un anno fa. Tutto viene rinnovato, rigenerato ogni momento, attingendo a quella fonte di materia e di energia che è l'universo. La mia pelle si rinnova ogni mese e il mio fegato ogni sei settimane. Possiamo dire che, tra tutti gli esseri dell'universo, noi siamo tra i più riciclati! (Coyne) "Credo la resurrezione della carne". Il termine «carne» designa l'uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita".
Nel taoismo cinese non esiste il dualismo fra anima e corpo essendo entrambi pensati come soffio di energia più leggero o più pesante. I taoisti li ritengono in tale stretta relazione che curando l'uno si cura anche l'altra e viceversa.
"Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell'anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l'anima semaínei (significa) ciò che semaíne (significhi), anche per questo è stato detto giustamente séma. Però mi sembra assai piú probabile che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l'anima paghi la pena delle colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e cosí il corpo, come il nome stesso significa, è séma (custodia) dell'anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve pagare. Né c'è bisogno mutar niente, neppure una lettera". (Platone) Come si fa a dire che il corpo è puro? Il corpo è una cosa sporca che produce urina e feci. È un mulino per feci e tu dici " sono questo": lo onori finché la Forza lo mantiene, poi quando questa lo abbandona, ti affretti a liberartene! Non essere il padrone di un mulino di feci, ma dell'Eterna Realtà. (Nisargadatta Maharaj) Quando dici "sono il corpo" sei all'inferno. Quando capisci che non lo sei, realizzi che sei ovunque. Questo è il paradiso. (Nisargadatta Maharaj) Eri una goccia quando stavi nel grembo materno e un giorno ridiventerai una goccia di nuovo. Tutto sparisce quando sarai nella tomba. Allora perché amare questo corpo? Ama piuttosto il Sé che non muore mai. (Nisargadatta Maharaj) Il mio corpo non ha le mie stesse idee. (Barthes)
Ti riduci ad essere un corpo e costantemente ti preoccupi. Perché? Pensando che sei un corpo ti sei ridotto a una minuscola creatura. Il corpo non è nulla: viene da zero e ritornerà presto allo zero. (Nisargadatta Maharaj) -CONOSCENZA -COSCIENZA (cit) * Per l'Occidente la coscienza, l'autocoscienza è fondamentale sia per il singolo uomo che per Dio cioè per l'Assoluto. Senza la coscienza non c'è il vero Essere ma c'è il nulla, il terrificante nulla (horror vacui). Per l'antico pensiero orientale invece l'autocoscienza è da superare anche per quanto attiene l'Assoluto e non solo per il presunto singolo individuo. La vera liberazione si raggiunge, per l'Oriente, andando oltre la coscienza perché nessuna coscienza è mia! Il pensiero occidentale si basa su alcuni concetti fondamentali: l'ego, l'esistenza e la conseguente autocoscienza. Ne deriva che la non esistenza dell'ego e dell'autocoscienza sono molto temuti: sarebbe il nulla! Si teme di perdere la propria la vita e di non esserci più. Si teme di perdere la propria autocoscienza alla quale ognuno di noi è più affezionato che a qualsiasi altra cosa. Vogliamo essere vivi e pensare a noi stessi che siamo vivi e alla nostra stessa mente che è, lei pure, viva. Magari estendiamo questi stessi stati d'animo anche a Dio che, dunque, diventa puro Essere autocosciente e onnipotente. E qui si arriva al culmine massimo immaginabile: la vita eterna individuale! Un io che vive in eterno e che riflette in eterno su se stesso. Questo è il massimo a cui un individuo occidentale può aspirare (sperando però di non capitare all'inferno).
L'antico pensiero orientale invece … sabbe dhamme anatta! (tutti i fenomeni, tutte le realtà fisiche e metafisiche, sono vuote di un vero sé ed esistono solo come relazione). Il tanto amato ego cambia aspetto e, da monolite incondizionato, diventa una relazione condizionata da tutto e da tutti. E questo è solo il primo passettino.
Infatti, secondo l'antico pensiero orientale, non è detto che "l'essere" sia sicuramente meglio del "non essere". Ciò anche perché "essere" e "non essere" si danno vita a vicenda essendo strettamente interconnessi. Dall'uno arriva l'altro e viceversa. E, infine, il colpo finale e più ferale per noi occidentali: non è detto o dimostrato che l'autocoscienza sia il meglio che possa capitare a un uomo. Tutt'altro. L'Oriente arriva addirittura a ritenere che anche l'Assoluto potrebbe essere inconsapevole sia del particolare che di se stesso. Pertanto un Assoluto inconsapevole dove il "non essere" non ha meno dignità dell'"essere". Un Assoluto ove i pensieri non hanno proprietari perché sono solo relazioni intrinseche senza soggetto. Un Assoluto ove non ci sono altri protagonisti se non l'energia primigenia che gioca con se stessa senza neppure saperlo. Nessuno sa e niente accade. Mentre noi continuiamo a giocare il nostro gioco umano di ombre cinesi, di maya induista, di ologrammi e di molti altri simili abbagli.
Secondo la Mandukya Upanishad (terzo secolo a. C.) i primi due gradi della conoscenza sono quelli tramite i sensi (quando l'oggetto è davanti a noi) e tramite i concetti (quando l'oggetto manca). Siamo nel mondo duale della apparenza e della rappresentazione direbbe Schopenhauer. Quando poi si supera il dualismo di soggetto e oggetto e si coglie l'unità del tutto (ove esiste solo la pura conoscenza senza più soggetto e oggetto) si è superato il mondo delle apparenze e della rappresentazione quasi sognate. Il quarto e ultimo modo d'essere (turia) arriva allorché sparisce anche la conoscenza e non c'è più differenza fra conoscenza e non conoscenza. E' un modo di essere impensabile perché indefinibile e innominabile! Esso è l'Atman-Brahman! Infinitamente! Da non indicare né con le parole, né con le immagini e neppure con i concetti! AUṀ (con il punto, bindu sopra la M) La A rappresenta il primo grado di conoscenza, U il secondo, Ṁ il terzo mentre il quarto modo di essere è l'insieme di tutto). La vibrazione di AUṀ sta ad indicare l'Assoluto da dove tutto deriva e a cui tutto ritorna come in Plotino.
Non ipotizzare cosa troverai quando la conoscenza sarà andata via, non stare a sentire quelli che ti parlano di beatitudine, immensità, amore, non credergli, tu non potrai mai sapere cosa troverai in quel momento perché tu non ci sarai. (U.G.) L'ignoto di coloro che conoscono diventa il noto per coloro che non sanno di non sapere.
Risulta evidente che senza l'intenzionalità della coscienza, la vita degli uomini occidentali risulterebbe priva di significato.
Un tipo di conoscenza che ci ponga in rapporto diretto e non mediato con il mondo esterno è per Nietzsche sostanzialmente impossibile in ragione della duplice falsificazione: attraverso i sensi e attraverso la mente. Noi, in realtà, non sappiamo cos'è la conoscenza! L'individuo, credendo di aver coscienza di sé, non ha realmente coscienza che della società. (Fouillée) E in effetti, cosa abbiamo noi di nostro, che venga da noi stessi? Niente o quasi niente. La nostra lingua viene dalla società, la nostra educazione viene dalla società (religione compresa) e, di conseguenza, la nostra stesa coscienza non può che essere di origine sociale.
Per Nietzsche la conoscenza è interpretazione. Al Fatto della conoscenza Nietzsche contrappone una molteplicità indefinita di Interpretazioni: non esistono i fatti ma le interpretazioni. La conoscenza umana non ha che fare con verità assolute o con fatti universali ma con il carattere illusorio e ipotetico della dimensione fenomenica. Non bisogna ascoltare i teorici della conoscenza perché essi sono rimasti impigliati a penzoloni nei lacci della grammatica! Tutta la conoscenza che un individuo può strappare dalla realtà empirica dell'immagine fisica del mondo è essenzialmente solo un'ipotesi di lavoro che non contiene nulla di assoluto. Nietzsche pensa che la nostra conoscenza sia erronea in quanto noi conosciamo le cose solo dopo averle modificate. "Dobbiamo amare e coltivare l'errore, esso è la matrice della conoscenza" dice ancora Nietzsche. Ma viene da chiedersi: "Errore rispetto a che cosa se la cosa in sé non esiste?" La civiltà occidentale si è sempre basata sull'arco della conoscenza: induzione e deduzione che porterebbero alla verità (ma così non è, purtroppo). Il pensiero orientale invece è conscio che non si potrà mai dare la risposta definitiva: a ogni domanda risponde anche con un'altra domanda.
L'errore fondamentale che l'umanità ha compiuto a un certo punto è stato sperimentare la separazione dalla totalità della vita: l'individualizzazione. In quel momento l'uomo, con la coscienza di sé, si è separato definitivamente dalla vita che lo circondava e l'isolamento è stato tale da provarne paura. Il bisogno di tornare di nuovo a fare parte di questa totalità ha creato un intenso bisogno di assoluto, nella speranza che gli obiettivi di tipo spirituale -Dio, la verità o la realtà -lo aiutassero a tornare a far parte di quel tutto. Tuttavia lo stesso tentativo di divenire un tutt'uno o di integrarsi nuovamente nella totalità della vita lo ha allontanato sempre di più. (U.G) L'individualizzazione è forse il peccato originale? E' meglio chiedersi "com'è che nasce questa coscienza?" piuttosto che domandarsi "di chi è la coscienza?". (Coomaraswamy) La coscienza umana è sempre coscienza di qualche cosa e quindi in rapporto ai suoi contenuti. Non ci possono essere coscienze vuote.
Tutto ciò che percepisci è un prodotto della coscienza. Quello che chiami materia è in se stesso coscienza. Tu sei lo spazio in cui si muove. Tu sei il tempo in cui dura. (Nisargadatta Maharaj) Coscienza vuota non significa coscienza annullata: essa, per essere «libera da ogni ostacolo» deve essere «concentrata», ossia coltivare l'attenzione a cogliere il vuoto delle cose e a fare il vuoto dentro di sé. Si è anche visto che la formula «mondo come vacuità» indica impossibilità di esistenza separata {anatta) e impossibilità di permanenza {anicca) non soltanto in riferimento agli oggetti e ai fenomeni del mondo esteriore, ma anche in relazione ai contenuti della coscienza. Tuttavia tale formula è talmente pregnante che consente di esplicitarne anche un significato che aumenta l'intensità dell'idea di vuoto, quello per cui assenza di assolutezza e di permanenza caratterizzano addirittura la coscienza stessa che coglie ed esprime tale assenza. Si arriva perfino a concepire l'impermanenza dell'idea di coscienza impartente che indica la possibilità del vuoto del vuoto (per non attaccarsi neppure al vuoto)! Noi occidentali usiamo i verbi "percepire ", "cogliere ", "comprendere" per illustrare l'idea del vuoto nel Buddhismo zen, ma in realtà essi richiamano significati soltanto gnoseologici, ossia limitati all'ambito della conoscenza. Invece, per tutto il Buddhismo e in particolare per il Buddhismo zen, non si tratta mai di sola conoscenza intellettuale, ma di una conoscenza che coinvolge in ogni momento tutta l'esistenza, che determina, cioè, non solo un nuovo modo di vedere, una nuova "teoria", ma un nuovo modo di vivere, una nuova esperienza. Segno evidente e altamente significativo di questa estensione oltre il mero livello gnoseologico è dato dalla pratica della meditazione che coinvolge, in ogni sua fase, il corpo oltre che la mente. Fin dalle sue origini il Buddhismo, già con gli insegnamenti del Buddha, ha insistito sulle costanti interrelazioni tra aspetti psicologici e aspetti fisiologici che connotano la vita di ciascuno: interrelazioni che si rafforzano e si sviluppano in particolare durante la pratica della meditazione, tanto da renderla un vero e proprio esercizio psicofisico.
La conoscenza, secondo Platone, consta di quattro gradini a salire di cui il più basso è l'apparenza -l'immaginazione e il più alto è l'intuizione intellettuale. Non siamo molto lontani da ciò che è la base del più antico pensiero orientale. Infatti l'induismo afferma che il molteplice (la diade duale di Platone) è l'illusione mentre solo il Brahman assoluto (l'Uno di Platone) è l'unica realtà.
La coscienza è il solo strumento che abbiamo per esaminare la coscienza. (Talbot) La conoscenza è la spina che serve per togliere l'altra spina: l'ignoranza. Tolta l'ignoranza anche la conoscenza va superata perché è pur sempre una spina pungente: la conoscenza è l'ego!
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Tutte le nostre cosidette conoscenze e convinzioni, dalle più fortuite questioni di geografia e di storia alle leggi più profonde della fisica atomica o financo della matematica pura o della logica, tutto è un edificio fatto dall'uomo che tocca l'esperienza solo lungo i suoi margini. (Quine) Vogliamo capire l'incomprensibile. Vogliamo descrivere l'indescrivibile. Basterebbe invece dire più semplicemente: "Non lo so .... sto ancora e sempre cercando." Indaga su tutto, non credere a niente. Tutto quello che ti hanno detto su di te, viene dall'esterno, quindi abbandonalo.
Nulla si sa, tutto si immagina. (Fellini) La coscienza di sé non è la conoscenza di sé.
Invito i filosofi a scendere nella sala macchine delle neuroscienze ed i neuroscienziati a salire sul ponte della filosofia [.......] Insieme, forse, riusciremo a capire l'elemento materiale più complesso dell'universo: il cervello e la coscienza. ( Edelman) La religione, la filosofia, la matematica, la fisica, la morale, la logica non sono altro che nomi...Cerchiamo l'unica matrice che sta dietro.
La coscienza umana è finita e corruttibile. (Pomponazzi, Dilthey e alcuni altri)
Conoscere il mondo? La mente è parte del mondo ... anzi, la mente crea il mondo! Conoscere Dio? Se Dio esiste è infinito e, quindi, inconoscibile! Il cieco attaccamento verso l'oggetto della conoscenza è la via che mena fuori dalla vera conoscenza.
Nella triade: conoscitore, conoscenza e conosciuto, solo il termine medio è un dato di fatto. Chi conosce? Che cosa è conosciuto? L'unica cosa certa è che c'è in atto un conoscere. La conoscenza, come l'essere e l'amore, è un riflesso della tua vera natura. Il conoscitore e il conosciuto li aggiunge la mente. È nella natura della mente creare una dualità di soggetto -oggetto dove non c'è.
Dialogo fra un intervistatore (I) e Nisargadatta Maharaj (N). I: "Sostenete che senza di me il mondo non esisterebbe, e che il mondo e la conoscenza che ne ho, sono tutt'uno. La scienza è arrivata alla conclusione opposta: il mondo esiste come una cosa concreta e continua, mentre io sono un sottoprodotto dell'evoluzione biologica del sistema nervoso, il quale, prima che una sede di coscienza, è un meccanismo di sopravvivenza per l'individuo e la specie. La vostra è una visione soggettiva, mentre la scienza tenta di descrivere oggettivamente. È inevitabile questa contraddizione?" N: "La confusione è apparente e solo verbale. Ciò che è, è, né soggettivo né oggettivo. La materia e la mente non sono che due aspetti della medesima energia. Se vedi la mente come una funzione della materia, avrai la scienza; se vedi la materia come un prodotto della mente, avrai la religione". (l'idealismo direi … n.d.r.) I: "Ma qual è la verità? Che cosa viene prima, la mente o la materia?" N.: Né l'una nél'altra, perché nessuna appare da sola. La materia è la forma, la mente è il nome. Insieme, fanno il mondo. Onnipervasiva e trascendente è la realtà, puro essere-conoscenza-beatitudine: la tua stessa essenza. Ciò che è inaspettato a un livello, può essere previsto con certezza su uno più alto. Dopotutto, siamo confinati nei limiti della mente. In realtà non accade nulla, passato e futuro non esistono; tutto appare, niente è.
Senza la coscienza non esisterebbe l'essere (ma anche viceversa?) La creazione è il prodotto naturale della coscienza. Grazie alla coscienza si manifestano le apparenze. La realtà è oltre la coscienza.
La coscienza (cit) è una delle tre caratteristiche del Brahaman. Le altre due sono sat (l'essere) e ananda (la beatitudine) Il soggetto è, in realtà, uno solo (la coscienza assoluta) mentre soggetto e oggetto sono strettamente interconnessi. Noi non siamo distinti da tutto ciò che ci circonda. Siamo gocce dell'oceano della consapevolezza. Brahman è tutte le cose.
Pensiamo di essere sempre coscienti mentre siamo in stato di maya che favorisce la costruzione dell'ego (che è sempre duale perché ognuno vive in un suo mondo) in contrasto con la Coscienza Assoluta. Dualismo cancellato dalla presa di coscienza non duale che esiste solo il oggetto supremo, la coscienza pura (purusha, IL TESTIMONE), esiste solo l'Assoluto, solo il Brahman è (senza poter essere conosciuto: non può essere capito ma solo vissuto). Il buddismo poi mette in dubbio anche ciò nel senso che depotenzia pure l'Assoluto! Quando si cerca di esprimere l'inesprimibile ci si contraddice inevitabilmente.
Nel Brahman non esiste il due, esiste solo l'uno. Nel buddismo pure quello è incerto! L'autore preesiste all'azione? Al contrario: l'azione è un fatto, l'autore è un concetto mentale. Il tuo stesso linguaggio mostra che l'azione è certa, l'autore no; spostare la responsabilità è un gioco squisitamente umano.
Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato.
La coscienza di essere l'autore dell'azione è un mito fondato sull'idea illusoria del "me" e del "mio".
Ciò che cerchi con tanta passione, è semplicemente colui che sta cercando.
Abbiamo paura di perdere la nozione delle cose e di lasciare i nostri beneamati concetti.
L'ignoto è ciò che siamo.
Il mondo ci appare immenso e costante quando in realtà è solo il nostro ologramma, è il nostro computer interno che lo forma: un uomo sotto effetto di droga, un'ape o un marziano lo vedrebbero ben diversamente. Del mondo si può dire che appare e non che è. (Isabella di Soragna) Che strana creatura l'essere umano: brancola nel buio con espressione intelligente. (Kodo Sawaki Roshi) I corpi sono percepiti con delle qualità che in realtà non appartengono a loro ma sono qualità della mente: la rosa e il suo profumo, l'usignolo e il suo canto, la farfalla e i suoi colori. La natura è una faccenda insipida, senza suoni, senza colori, senza profumi … solo un turbinio di materia senza fine, senza scopo. (Whitehead citato da Balsekar)
Io vedo il mio albero e voi vedete il vostro ma ciò che è l'albero in sé nessuno lo sa.
Perché la vita dovrebbe avere un significato? Perché dovrebbe esserci uno scopo per vivere? La vita in se stessa è tutto quello che c'è. E' la nostra ricerca di un significato che ha fatto diventare la vita un problema.
-CONTRARI *
Invero ogni essere è altro da sé e ogni essere è se stesso. Che l'altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il perno del Tao. (Chuang Tzu) Non un contrasto statico ove i contrari si fronteggiano nella loro reciproca estraneità ma un contrasto dialettico dove un termine sussiste solo perché sussiste il termine opposto, dove, cioè, si realizza, dinamicamente, una complementarietà ontologica: essere e non essere si danno nascita fra loro! Affermazione. Negazione dell'affermazione. Negazione della negazione dell'affermazione. Balzare oltre le contraddizioni senza nichilismo o pessimismo.
Per hoc illud atque per illud hoc. Attraverso (a causa di) questo quello; e attraverso quello questo.
Ogni volta che si vuol ottenere una cosa, bisogna accettare che in essa ci sia qualche cosa del suo opposto.
Una volta riunificato esterno e interno, male e bene, e tutti i cosiddetti contrari, si può tornare al "prima" di aver mangiato la mela dall'albero della "conoscenza", si può tornare al paradiso terrestre della coscienza unificata e indivisibile: inutile cercare di conoscerla, poiché in tal modo la bugia esistenziale ci costerà di nuovo la cacciata dal paradiso in cui già siamo … senza "saperlo". (Isabella di Soragna) I contrari non hanno posto alcuno nell'assoluto.
-CULTURA* Tutto quello che conosci è tutto ciò che è stato immesso in te dalla cultura, tutto ciò che gli altri hanno detto e pensato. Così tu puoi esserci e mantenere quell'identità tutto il tempo, sia che sia sveglio sia che stia dormendo, solo attraverso la conoscenza che hai delle cose. E questa conoscenza è stata messa in te dalla cultura o dalla società. (U.G.)
Ciascuna cultura va vista come una realtà che ha bisogno delle altre culture per costituirsi e svilupparsi. Si può dunque parlare di una "produzione di culture per mezzo di decostruzioni di identità", o, meglio, di "costruzione di culture per mezzo di contaminazioni".
Complessità ed incompletezza sono caratteristiche proprie di ogni fenomeno veramente culturale. Ogni cultura è incompleta in quanto bisognosa di un'alterità in grado di farla emergere nella sua natura (non identitaria) e arricchirla, come appunto quella natura complessa e ricca di differenze che essa può possedere già al suo interno. (Maffiotti) Da Parmenide in poi, la nostra cosmovisione divide il reale in due sfere ontologiche distinte e opposte: da un lato l'Essere (regno dell'unicità e della verità oggettiva, non soggetto al divenire e dotato di tutti gli attributi positivi), dall'altro il non essere (regno del molteplice e dell'opinabile, soggetto al divenire e fonte di ogni errore conoscitivo ed etico). Transitata senza problemi per il monoteismo cristiano, questa partizione ontologica fondamentale viene declinata nella modernità come opposizione di natura e cultura. La prima è il regno dell'invarianza e dell'oggettività, di ciò che può essere conosciuto con certezza, di ciò che fonda e connette tutto il reale. La seconda è invece il regno mutevole delle opinioni, dei desideri, delle passioni, dei valori. Prima facie, la partizione sembrerebbe implicare l'uguale statuto ontologico di tutte le culture a fronte della natura, in una molteplicità irriducibile di punti di vista e prospettive. La modernità, però, non l'ha mai declinata in questi termini libertari e ha applicato fin da subito un curioso trucco naturalizzante: poiché la nostra cultura è l'unica fra tutte ad aver accesso, grazie alla scienza, al piano della natura, e quindi a conoscere le leggi invarianti che governano l'essere, ne segue che essa è anche l'unica cultura naturale, la sola i cui presupposti e i cui modi non derivino dagli accidenti della storia, ma siano fondati nelle leggi dell'Essere. In quanto tale, essa è chiamata a portare i suoi valori, le sue conoscenze e il suo modo di costruire umani al di fuori dei suoi confini, facendo accedere tutti quanti alla civilizzazione -se il caso, con l'uso della forza.
La cultura greca fu il prodotto di una serie di culture mediterranee, da quella micenea a quella egiziana, da quella fenicia a quella, addirittura, babilonese. La cultura greca non solo nacque grazie a delle contaminazioni, ma anche si sviluppò nella contaminazione: per fare un esempio assai noto a chi studia filosofia e storia della filosofia, una notevole parte della filosofia greca non fu prodotta in madrepatria, ma nelle colonie greche in terre straniere, dove la contaminazione con gli 'indigeni' costituiva la normale condizione di vita. Inoltre, la cultura romana -che parte della mia generazione ha percepito come cultura monolitica prevalentemente autoctona-ha addirittura teorizzato giuridicamente la possibilità di questa continua contaminazione. Ad esempio: il diritto romano riconobbe la cittadinanza a tutti i popoli sottomessi, i quali non vennero intesi solo come schiavi in quanto vinti, ma potevano diventare cittadini romani e addirittura «liberi». Ma, anche a prescindere dai riconoscimenti giuridici, la civiltà romana, di fatto, si formò attraverso gli apporti provenienti dall'Africa, dalla Gallia, dal Nord e dall'Est. Uno degli esempi più significativi di questo apporto 'straniero' alla cultura romana è costituito dalla figura del più grande filosofo latino, Seneca, che era spagnolo. Si può dunque parlare di una "produzione di culture per mezzo di decostruzioni di identità", o, meglio, di "costruzione di culture per mezzo di contaminazioni". (Si tratta, ovviamente, di contaminazioni 'governate', che producono anche forme di controllo e di coercizione, non solo scambi 'idilliaci'!). Per giungere a tempi più vicini a noi, l'esempio degli Stati Uniti prova in modo chiarissimo e macroscopico il fatto che l'identità è stata e continua ad essere prodotta grazie all'apporto di contaminazioni. È da ricordare a questo proposito che oggi all'interno dei laboratori scientifici delle più grandi università americane (Yale, Boston, etc.) la percentuale dei ricercatori di origine orientale oscilla tra il 40% e il 50% e che il 70% di loro non è di origine anglosassone. (Ma si dovrebbe anche ricordare che quel 30% di 'origine anglosassone' è in realtà formato da discendenti di emigrati dall'Europa, impossibilitati, quindi, a vantare qualsiasi titolo di 'purezza etnica'!). (Pasqualotto) A ben guardare la storia del pensiero filosofico occidentale e orientale, dovremmo notare quanto essa sia prossima alla dimensione religiosa, spesso attraverso la mediazione del mito, e come esso sia caratterizzato da una certa dimensione di irrazionalità estatica, vicina all'esperienza mistica, come ad esempio nella contemplazione della unitarietà del reale in base ad un principio divino (Pensiero Vedanta), o della natura (Pensiero Cinese -Taoismo), o della physis o dell'essere (Eraclito, Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino). (Maffiotti) In ogni caso il pensiero filosofico delle origini sembra ovunque vicino alla messa a tema del problema della salvezza e del destino dell'essere umano considerato in principal modo come mortale, e quindi sempre alla ricerca della dimensione più profonda della vita e del rapporto che ogni essere umano dovrebbe avere con l'alterità. Pressoché ogni filosofo e ogni filosofia dell'antichità, ovunque nel mondo, attuava una pratica basata su degli esercizi spirituali di auto-realizzazione. (Maffiotti) -CUSANO* Cusano tenta un superamento del comune modo di ragionare che è fondato sul principio si non contraddizione. Egli può tentare una giustificazione della possibilità di questo superamento sfruttando la genesi platonica dei tre gradi della conoscenza: percezione sensoriale, ragione e intelletto. La percezione sensoriale è sempre positiva o affermativa. La ragione, che è discorsiva, afferma o nega, tenendo distinti gli opposti (affermando l'uno nega l'altro e viceversa) secondo il principio di non contraddizione. L'intelletto, invece, essendo al di sopra di ogni affermazione e negazione razionale, coglie la coincidenza degli opposti con un atto di superiore intuizione.
"Se consideri con acutezza quanto già detto, non ti sarà difficile vedere il fondamento di verità di quella espressione di Anassagora che <ogni cosa è in ogni cosa> verità forse più profonda di quanto Anassagora stesso non pensasse. Infatti, poiché dal primo libro risulta che Dio è in tutte le cose in maniera tale che tutte sono in lui, e poiché ora si consta che Dio è in tutte le cose quasi mediante l'universo, ne viene che tutte le cose sono in tutte e ogni cosa e in ognuna. L'universo, per un certo qual ordine di natura, ha preceduto ogni cosa come realtà perfettissima, giacchè ogni cosa potesse essere in ogni cosa. In ogni creatura l'universo è l'essere di quella stessa creatura, e così ogni cosa riceve tutte le cose, in modo che in esse siano il suo stesso essere contratto".
Se così è, allora, ciascun essere è contrazione dell'universo, così come questo, a sua volta, è contrazione di Dio. Il che significa che ciascun essere riassume l'intero universo e Dio. Tutto l'universo è fiore nel fiore, è vento nel vento, è acqua nell'acqua e tutto è in tutto secondo l'antica massima di Anassagora «In modo incomprensibile, dunque, al di sopra di ogni discorso razionale, vediamo che il massimo assoluto è l'infinito cui nulla si oppone e con il quale il minimo coincide» Tutto ciò che si concepisce che è, non è più di quanto non è.
Scrive Eugenio Vignali che l'esperienza di unità con l'intero creato, descritta da alcuni mistici occidentali, è, probabilmente, quanto di più assimilabile al bodhi (illuminazione) della cultura vedica o al satori della tradizione Zen. Si tratta, in ultima analisi, del superamento dell'illusione, quasi onirica, che ci porta a considerare qualunque espressione della realtà come qualcosa di separato e di a se stante. E' una condizione che, quando raggiunta, permette al soggetto di percepire la propria fusione con l'Assoluto. Il suo effetto è la consapevolezza che il mondo, così come percepito attraverso i sensi e interpretato attraverso la ragione, è l'espressione di una realtà che va oltre l'ordinaria sperimentazione. Probabilmente quanto sopra è ciò che ha vissuto il grande filoso e mistico Nicolò Cusano nel suo viaggio di ritorno per mare a Venezia da Costantinopoli nel 1437. In quel viaggio egli ricevette "il dono superiore del padre dei lumi" cioè un'intuizione profonda e rivelatrice sulla natura ultima della realtà che influenzerà il suo pensiero e sarà rispecchiata nelle sue numerose opere. L'intuizione dell'unità del tutto oltre l'apparente diversificazione di forma è, secondo Cusano, un dono che l'individuo riceve e non un raggiungimento speculativo. Essendo un uomo di Chiesa, per lui si tratta di un dono di Dio.
"E' come se nell'unità assoluta, che è la verità, ogni alterità fosse intuita non quale alterità, ma quale unità".
"Vedere la causa assoluta, che è la causa di tutte le cose, è assaporare te con la mente, o Dio." Da quel momento, Cusano, cercherà di riconciliare i dogmi e i misteri della tradizione cristiana con la nuova visione unitaria e, pur utilizzando nelle sue opere vari nomi alternativi a quello di Dio (Uno, Uno Assoluto, Massimo Assoluto, Non Altro, ecc.), egli mantiene di fondo un approccio sempre coerente senza mai correre il rischio di essere scomunicato come era capitato invece a Meister Eckhart.
Cusano fu anche matematico e uomo di scienza che influenzò Copernico, Galileo e Keplero. Scrisse: "Tutto ciò che può essere conosciuto dipende dalla conoscenza dell'unità che, in ogni scienza, costituisce tutto ciò si può sapere" e ancora "Non si conosce la parte se non si conosce il tutto; il tutto infatti da la misura della parte".
Fin dai suoi primi scritti Cusano è comunque consapevole della difficoltà di trasmettere, attraverso il linguaggio, un concetto quale quello dell'unità del tutto e della simmetrica difficoltà di chi ascolta a comprendere.
"Per chi desidera cogliere il senso dell'unità del tutto è necessario elevare l'intelletto al di sopra della forza delle parole piuttosto che insistere sulle proprietà dei vocaboli che non possono arrivare, in modo adeguato, a misteri così elevati". "Quanto più dunque l'intelletto stesso si astrae dalla propria alterità, per poter ascendere maggiormente all'unità semplicissima, tanto più esso diviene perfetto e alto".
Vale la pena sottolineare il passaggio relativo all'astrazione dalla propria alterità quale via per l'ascesa dell'intelletto all'unità. Una indicazione che si ritrova anche nella tradizione yogica del Vedanta.
"L'intelletto non potrà cogliere se steso (o qualunque altro oggetto intellegibile) nella sua essenza, se non in quella verità che è l'unita infinita di tutte le cose". D -DALAI LAMA* Non mi piacciono le formalità. Non c'è nessuna formalità quando nasciamo e nessuno quando moriamo. Nel frattempo dovremmo trattare gli come fratelli e sorelle perché tutti noi vogliamo vivere una vita felice. Questo è il nostro scopo comune e il nostro diritto e dovere. Domandarono al Dalai Lama: "Qual è la cosa che La sorprende di più dell'umanità...?" Risposta: " Gli uomini, perché perdono la salute per guadagnare soldi, poi spendono i soldi per riavere la salute. E per pensare con ansia al futuro si scordano del presente, quindi finiscono per non vivere né il presente né il futuro. E vivono come se non dovessero mai morire … e muoiono come se non avessero mai vissuto …" Viviamo la vita con la mente sgombra e il cuore aperto. "Uno dei punti più importanti dell'insegnamento del Dalai Lama è che se davvero vuoi aiutare le persone, prima devi aiutare te stesso e lavorare sulle tue dinamiche interiori, in qualunque modo ti risulti efficace allo scopo", spiega Goleman. "Nel mio caso si tratta della meditazione. Trascorrere del tempo in sua compagnia è stata un'esperienza che mi ha ispirato -da allora ho preso i miei momenti di meditazione molto più seriamente, e ne percepisco tutti i benefici. Sono più gentile, mi piaccio di più, piaccio di più a mia moglie, sento dentro di me maggiore energia, ne avverto un beneficio concreto. Il viaggio che lui delinea per ciascuno parte da dentro di noi, e poi ci spinge ad agire. Lui dice che tutti abbiamo un modo per agire, ma che dobbiamo farlo fin da adesso per dare vita a una forza in grado di fare del bene". È proprio in questo stato mentale nitido e quieto che il Dalai Lama ritiene che possiamo essere in grado di superare le nostre emozioni distruttive, come la paura e la rabbia, e adoperare quella chiarezza interiore per aiutare coloro che abbiamo intorno. Comincia tutto dallo sviluppo e dalla coltivazione della nostra routine di "igiene emotiva". Facciamo pratica della "compassione universale". "Si riferisce alla compassione nei confronti di chiunque, ovunque, che secondo me è uno standard piuttosto alto per le persone", osserva Goleman. "È più un ideale al quale aspirare". Il Dalai Lama afferma che la nostra capacità di pensare e di comportarci in modo gentile nei confronti degli altri faccia parte del nostro corredo biologico, e che nel momento in cui decideremo di darle la priorità, essa sia in grado di giocare un ruolo più importante nelle nostre vite. Gli studi scientifici dimostrano quelli che sono i reali benefici della compassione -dipende solo dal volerlo riconoscere e dal metterlo in pratica. La compassione rende il gioco più equo, che poi è un primo decisivo passo per trovarci tutti insieme ad affrontare i problemi del mondo.
Ripensiamo il modo in cui viene concepita l'istruzione. Nel suo libro Goleman spiega che il senso della compassione innato nel genere umano si palesa nella maggior parte dei neonati e dei bambini grazie al loro desiderio di condividere e di essere reciprocamente gentili. Quella priorità però comincia a svanire man mano che i ragazzini si trovano a passare attraverso sistemi più competitivi come quello della scuola. "Resta sempre lì dov'è", aggiunge. "Lo avvertiamo nei confronti delle persone a noi care. Ma la domanda è: possiamo ampliarne la portata?". Uno degli obiettivi del Dalai Lama per il mondo è quello di creare un sistema d'istruzione che non si limiti a sviluppare delle buone menti, ma delle persone buone. L'apprendimento sociale ed emotivo dovrebbe essere valorizzato tanto quanto la bravura a scuola, da insegnanti che preparino quelle giovani menti alle strade che dovranno percorrere. Provate a immaginare quanto diverse sarebbero le cose se solo scoprissimo come riconoscere le emozioni distruttive e affrontarle in modo costruttivo fin dal principio, e invece di perdere di vista quella compassione, la conservassimo quale componente principale delle nostre interazioni quotidiane. Ancora una volta la scienza sostiene l'idea che i bambini abbiano bisogno di questo senso di consapevolezza tanto quanto gli adulti.
Schieriamoci contro le ingiustizie. Il Dalai Lama traccia una chiara distinzione fra l'essere compassionevoli e l'essere passivi. I tre pilastri della sua "società equa" includono correttezza, trasparenza e responsabilità, e quando ci si trova di fronte all'ingiustizia quei valori spesso richiedono che si agisca. Non otterremo alcun cambiamento limitandoci a manifestare la nostra partecipazione morale alle vittimedobbiamo impegnarci, e prepararci ad essere la loro voce, a offrire il nostro aiuto in un modo che potranno trovare di loro utilità, e andare alla ricerca delle radici della corruzione così che possa essere affrontata e trasformata. Lui lo considera il lato "muscolare" della compassione. "Una delle domande più difficili qui -argomenta Goleman -è: 'Che fare con gli individui che sono semplicemente cattivi?'". "Lui risponde che c'è bisogno di opporsi al male che fanno, ma che bisogna altresì distinguere l'attore dall'azione, e non arrendersi di fronte alle persone. Lui dice di essere contrario alla pena di morte, ad esempio, perché è convinto che le persone siano in grado di redimersi -anche coloro che hanno compiuto azioni terribili. Me è altrettanto convinto che le persone debbano scontare le conseguenze delle proprie azioni. È una distinzione di particolare rilievo". Facciamo sì che la mission aziendale sia il genere umano. La scienza ci dice che i soldi non sono la chiave della felicità, quindi perché dovremmo vivere all'interno di un'economia che alimenta quell'idea? Il Dalai Lama parte da questa verità e la porta un po' più in là per spiegare che il solo modo in cui il mondo degli affari può produrre del bene a livello sociale è quello di prendere in considerazione il benessere di ciascun cittadino del pianeta, invece di concentrarsi su un piccolo contingente d'azionisti. È convinto della necessità di ricalibrare la nostra percezione del profitto, del benessere e del successo, affinché s'includa fra essi questo senso d'altruismo globale. Gli affari potranno diventare una forza positiva quando sostituiranno l'interesse egoistico con la compassione, e si adopereranno le proprie capacità e la propria influenza per ridurre l'ineguaglianza economica invece di peggiorarla.
Diamo sempre una mano. Molto spesso il modo migliore di adoperare la propria intelligenza, la compassione e il talento è investirli in qualcuno che abbia davvero bisogno del vostro aiuto. Il Dalai Lama spiega che questo compito risulterà probabilmente scomodo, spingendoti a superare dei limiti che non hai mai incontrato prima, ma anche che questo è uno dei modi in cui ti renderai conto che le tue azioni potranno avere delle conseguenze concrete. Per agire come una forza coesa e unita dobbiamo impegnarci per coloro che sono indifesi, disabili, impoveriti o svantaggiati in modi che vanno ben oltre la loro capacità di reagire. E tutto ciò non si può liquidare con la semplificazione della parola "carità". Il Dalai Lama è convinto che per combattere davvero l'ingiustizia non dobbiamo solo alleviare i problemi di oggi, ma prevenirne l'insorgenza in seguito. Il Dalai Lama si fa promotore di un ruolo più importante delle donne nella leadership, per aiutare a guidare questo cambiamento di portata globale.
Facciamo la vostra parte nel guarire il pianeta. Che il genere umano abbiamo svolto un ruolo significativo nel deterioramento del nostro ambiente non è una novità, ma invece di concentrarci sulle "impronte dei nostri passi", il Dalai Lama ci chiede di dare invece maggiore potere alle "impronte delle nostre mani", o all'impatto che possiamo avere.
Adoperiamo il nostro potere personale in nome del bene. Il Dalai Lama parte con l'obiettivo di trovare la pace interiore. Da lì ci possiamo indirizzare verso un dialogo collaborativo e la risoluzione dei conflitti. Se di fronte a conversazioni e sfide difficili ci porremo con compassione e un senso di equilibrio allora riusciremo a sostituire la solita mentalità del "noi contro di loro" con una che tenga invece a mente che siamo tutti nella stessa barca. Come Goleman ha potuto osservare trascorrendo del tempo in compagnia di Sua Santità (??? N.d.r.), le divisioni sono solo illusioni, frammenti della nostra immaginazione, e conservano solo il potere che scegliamo di attribuire loro. Se tutti riuscissimo a imparare ad entrare vicendevolmente in contatto a un livello personale, potremmo sentirci sorpresi dalle nostre capacità di liberarci dei pregiudizi, riconoscendo tante delle somiglianze che condividiamo con i nostri presunti nemici. La vera compassione non conosce confini, ed è per questo che il Dalai Lama è convinto che sia quel singolo elemento presente in ogni essere umano in grado di cambiare il mondo, se decidessimo di agire in base ad esso.
Quel che seminiamo, raccogliamo. Ma i risultati che raccogliamo non vengono accumulati da un Dio, fornito di una specie i sistema di retribuzione, ma ritornano come costi o ricavi quotidiani in termini di qualità delle relazioni interpersonali.
-DECOSTRUZIONE * <<Il pensiero ha impigliato il cervello nel tempo>>. <<Tempo e pensiero sono incastrati l'uno nell'altro>>. Così si esprimono rispettivamente Krishnamurti e Merleau-Ponty la cui filosofia "è essenzialmente una filosofia del Tempo". Come uscirne? Come liberarci? Vediamo le strade seguite da quattro filosofi: Simone Weil (tramite la decreazione), Maria Zambrano (tramite la disnascita), Jaques Deridda (tramite la decostruzione) e Merleau-Ponty (tramite la destituzione del senso istituito). 89 altro da sé. Ci ha dato la libertà, sempre secondo Weil, di essere diversi da Lui e quindi, anche di sbagliare e di peccare contro di lui. Un grande gesto quello divino: il sapersi limitare per dar spazio agli altri. L'uomo dovrebbe quindi adeguarsi a quanto voluto da Dio lasciando, a sua volta, opportunità agli altri superando l'egoismo tipico della specie umana.
La contraddizione è il nostro cammino verso Dio perché noi siano creature e la creazione stessa è contraddizione. E' contraddittorio che Dio, che è infinito, che è tutto, a cui non manca nulla, faccia qualcosa che è fuori di lui, che non è lui, pur procedendo da lui. La creazione vista come contraddittoria perché Dio, a cui non manca nulla, fa spazio a qualcosa di esterno alla sua completezza. Mi viene da pensare che, forse, questa strada potrebbe essere seguita anche dagli uomini i quali, pur essendo molto, molto incompleti, non sono quasi mai disposti ad aprirsi ad altri orizzonti nuovi e diversi. Preferiscono barricarsi nella chiusa roccaforte del loro presunto invincibile ego.
LA DISNASCITA DI MARIA ZAMBRANO L'uomo è una creatura in continua gestazione. Nasce e rinasce continuamente: disnascere per imparare a rinascere sempre nuovi. Il discorso sulla nascita è un tema caro, oltre che a Maria Zambrano, anche a Merleau-Ponty.
Ma l'alba ha più valore della morte nella storia umana, l'alba della condizione umana che si annuncia più e più volte e torna a riapparire dopo ogni sconfitta. La storia intera si potrebbe infatti definire come una sorta di aurora ripetuta e mai pienamente riuscita, protesa verso il futuro. Il sole nasce e tramonta ogni giorno ma, per Zambrano, è l'alba la più significativa perché sempre portatrice di nuove aspettative anche se mai pienamente realizzate. Anche su questo argomento si nota una somiglianza notevole con il "sempre di nuovo" di Merleau-Ponty. E l'uomo non è mai compiuto, la sua promessa supera in tutto la sua riuscita e continua la sua lotta costante, come se l'alba, invece di avanzare, si estendesse, si dilatasse, e la sua ferita si aprisse più in profondità per dare modo a questo essere incompiuto di nascere […] L'uomo nasce come il prodotto di un lungo sogno […] E avanza a tentoni sognando attivamente, sognando se stesso. L'uomo, essere sempre in ricerca e mai pienamente realizzato, avanza all'oscuro mentre sogna di riuscire finalmente a vincere la sua guerra contro se stesso nascendo finalmente compiuto. Eppure, nonostante i reiterati tentativi, la completezza resterà una chimera.
Ricordare è "un dis-nascersi del soggetto per andare a riprendere ciò che in lui o intorno a lui è nato", per "riscattarlo dalla oscurità e dargli occasione di rinascere, perché nasca in altro modo, questa volta nel campo della visione". E per liberare i "vissuti" dal loro labirinto, per farli rinascere "con spazio, tempo, luce" la memoria discende fino agli inferi dell'anima, della psiche, fino alla zona psico-fisica"; poiché, anche se in modo oscuro essa "mantiene in sé la fiamma dell'origine celeste così come il collegamento con le viscere". Le viscere e la fiamma di origine celeste che devono convivere in ogni uomo: problema basilare. Il subconscio quasi animalesco, ferino che lotta con l'anima quasi divina.
"Colui che conosce se stesso conosce il suo Dio", afferma la Zambrano, rammentando quella tradizione orientale in cui l'avventura filosofica è rappresentata in forma di viaggio […] "essere filosofo significa mettersi in cammino", "tendere alla trasformazione di se stessi, alla metamorfosi interiore", "alla nuova nascita o nascita spirituale", per questo l'avventura del filosofo mistico è definita come "un cammino verso la luce". Ricordiamo che la filosofia, per Maria Zambrano consiste nella trasformazione del sacro nel divino. Per sacro si intende tutto ciò che è viscerale, oscuro, passionale. Ebbene, tutto ciò "aspira ad essere salvato nella luce" attraverso l'Amore.
LA DECOSTRUZIONE DI JAQUES DERRIDA
Decostruzione è termine introdotto nel lessico filosofico da Heidegger in Essere e tempo […] Ciò che Heidegger intende "distruggere" o "decostruire" […] è la "storia dell'ontologia" cioè quella concezione, comune alla metafisica occidentale da Parmenide a Nietzsche, che identifica l'essere con gli enti, ossia con gli oggetti presenti […] La larga diffusione del termine decostruzione nella cultura recente è tuttavia dovuta a Deridda, che a partire dallo scritto Della Grammatologia (1967) usa il concetto di decostruzione come critica del logocentrismo, vale a dire come contestazione del privilegio accordato dalla tradizione metafisica alla presenza e alla voce come incarnazione del lògos e come quel medio espressivo capace di rendere disponibile l'essere per un soggetto finito. La comunicazione deve dunque essere scritta o orale? Derrida è favorevole alla scrittura perché la scrittura, visto che dura nel tempo, dilata appunto nel tempo l'insegnamento modificando la sua forma essenziale che è quella dell'attimo, del presente, del qui, ora. La scrittura inoltre si rende suscettibile di diverse interpretazioni nelle epoche storiche non essendo più assistita direttamente dal suo autore.
Deridda sottolinea che la figura centrale nel discorso del logocentrismo è Platone che, nel Fedro (mito di Theuth) si schiera apertamente contro la scrittura e a favore dell'oralità. <<E allora, chi ritenesse di poter tramandare un'arte con la scrittura, e chi la ricevesse convinto che da quei segni scritti potrà trarre qualcosa di chiaro e di saldo, dovrebbe essere colmo di grande ingenuità>>. Questo fa dire Platone a Socrate convinto che il filosofo non affidi le cose di maggior valore alla scrittura ma all'oralità visto che chiarezza e compiutezza sono tipiche dell'oralità.
Oltre a ciò, consideriamo anche il logos-rapporto, inteso come capacità di fare concepire l'essere a un uomo, a una persona finita. Anche questo rapporto è, forse, da decostruire perché, come direbbe Merleau-Ponty, l'uomo non è mai esterno all'essere.
<<Deridda riconosce i limiti immanenti alla nozione di auto-oltrepassamento, e in questo senso vede la possibilità di un'uscita dalla tradizione solo attraverso una pratica decostruttiva che, mentre ripercorre la storia della filosofia e, in generale, della cultura occidentale, mira a depotenziare la compattezza metafisica e a introdurvi fratture, spostamenti, decentramenti, che consentano di liberare ciò che in essa resta rimosso o escluso. Dalla fine degli anni Ottanta questa attitudine decostruttiva si è sempre più diretta verso i presupposti politici e istituzionali della pratica filosofica, alla quale Deridda attribuisce il ruolo di mantenere l'apertura verso un avvenire che è l'avvenire della democrazia. Da qui il tentativo di decostruire le istanze identificatorie che precludono l'apertura all'altro, sia esso l'evento o l'estraneo, e che agiscono a livello dell'identificazione personale, dell'economia, dell'ontologia, della politica, del linguaggio, della cultura e della nazione>>.
Siamo partiti dalla decostruzione del logos inteso come parola non scritta tipica della tradizione filosofica socratico -platonica. Siamo poi passati alla pratica decostruttiva come grimaldello per uscire dalla tradizione della filosofia occidentale. Bisogna infatti saper superare la cultura codificata indirizzando la decostruzione verso i molti suoi ambiti: politica, linguaggio, economia.
Ciò che sembra antitetico è, in realtà, complementare. Questa è la grande dottrina della decostruzione che, in fin dei conti, si riduce a una questione di giustizia.
DESTITUIRE IL SENSO ISTITUITO DI MAURICE MERLEAU-PONTY
<<Merleau-Ponty non è stato il filosofo della torre d'avorio ma dell'impegno in senso profondo, con immensa e scomoda onestà intellettuale […] senza mai rinunciare alla domanda fondamentale circa "la cosa stessa" la primordialità che sottende l'esperienza come il silenzio sottende il linguaggio. Sempre faceva ritorno al patto primordiale che lega l'uomo al mondo. In questo, forse, è l'ultimo filosofo e il primo dei non-filosofi, preso in una volontà di non-possesso, in una finale esitazione o "balbettio" (come disse Lacan) che fu la sua qualità>>. Sembra doveroso sottolineare "la volontà di non-possesso" e "una finale esitazione" qualità molto rare per un filosofo occidentale: non per nulla fu forse "il primo dei non filosofi". Merleau-Ponty è stato personaggio di grande impegno anche nella vita politica. Il suo rigore morale e la sua intelligenza lo hanno però allontanato dalle facili posizioni di asservimento. Ricordiamo, al proposito, le sue diatribe con Jean-Paul Sartre e il loro distacco dopo aver collaborato per molti anni alla rivista Tempi Moderni. Il motivo della rottura fu la diversa visione sulle mire espansionistiche dell'Unione Sovietica. A voler ben vedere bisogna ammettere che Merleau-Ponty aveva una capacità intuitiva del futuro e una libertà di pensiero ben superiori a quelle del suo amico Sartre.
La sua grande perspicacia la si coglie nella seguente semplice affermazione tratta dal suo libro Fenomenologia della percezione ove scrive: <<La vera filosofia consiste nel reimparare a vedere il mondo>>. In queste pochissime parole è evidente il grande progetto di destituire il senso istituito. Il suo spirito critico lo porta a superare, andar oltre gli insegnamenti ricevuti. Ciò anche tramite la "superriflessione". <<Altrimenti detto, noi intravediamo la necessità di un'operazione diversa dalla conversione riflessiva, più profondamente di quest'ultima, intravediamo la necessità di una specie di superriflessione che tenga conto anche di se stessa e dei mutamenti che essa introduce nello spettacolo, che quindi non perda di vista la cosa e la percezione grezza, e infine non le cancelli, non recida, attraverso un'ipotesi di inesistenza, i legami organici della percezione e della cosa percepita, e assuma viceversa il compito di pensarli, di riflettere sulla trascendenza del mondo come trascendenza, di parlarne non secondo la legge dei significati delle parole, inerenti al linguaggio dato, ma grazie a uno sforzo, forse difficile, che impiega questi significati per esprimere, al di là dei significati stessi, il nostro contatto muto con le cose, quando esse non sono ancora cose dette>>.
<<Il filosofo è sempre implicato nei problemi che pone, e non c'è verità se, per valutare ogni enunciato, non si tiene conto della presenza del filosofo che enuncia>>.
Reimparare a vedere il mondo destituendolo dal senso istituito: andare oltre i significati attribuiti alle cose per giungere al contatto diretto con le cose stesse tramite la percezione grezza. La superriflessione che, ricordiamolo, è la riflessione che tiene conto dei mutamenti che essa stessa produce nel mondo e sulle cose, ebbene la superriflessione può portare a una vera rivoluzione nel percepire perché non è condannata "a mettere nelle cose ciò che poi fingerà di trovarvi". Del tipo: "l'albero è verde"; lui, l'albero, non lo sa di essere verde, non è interessato alla questione. Noi invece, che abbiamo messo il verde sull'albero, ci stupiamo poi di trovarcelo. "Ci si immerga nel mondo anziché dominarlo" dice Merleau-Ponty. Dobbiamo quindi vivere il mondo dal di dentro anziché catalogarlo e studiarlo dal di fuori.
Per Merleau-Ponty il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla misurando ogni volta l'inadeguatezza della sua parola e la necessità di non rinunciarvi. La filosofia di Merleau-Ponty è stata fin dall'inizio interrogazione aperta, ricerca del senso dell'essere delle cose e si è andata sempre più indirizzando verso un'ontologia radicalmente ripensata in cui il senso è sempre più qualcosa di non concluso, di non compatto, più uno scarto che una pienezza.
Concludiamo questo paragrafo confrontando il pensiero di Merlea-Ponty sia con quello del grande orientale Doghen che visse nel tredicesimo secolo dopo Cristo. <<Noi non siamo gli spettatori di questa realtà, noi siamo la realtà>> dice Doghen. Il filosofo americano Robert Nozick, più giovane di una trentina di anni rispetto al filosofo francese, scrive invece: <<Respirare il mondo, magari talvolta sentire perfino che è il mondo a respirare noi, può essere un'esperienza profonda di non separatezza dal resto dell'esistenza>>. Entrambe queste asserzioni sono improntate all'idea che "noi ne siamo del mondo" espressione molto cara a Merleau-Ponty. E, da dentro il mondo, dobbiamo reimparare a percepire il mondo.
-DEMOCRAZIA * Letteralmente la parola democrazia significa potere al popolo. Ora chiediamoci: il popolo ha le capacità e la possibilità di gestire il potere? E infine: ma cosa è esattamente un popolo se non un insieme conflittuale di interessi?
Platone, nella Repubblica VIII, dice che gli stati storicamente realizzati dipendono dai loro cittadini. Aggiunge anche che l'antagonismo fra ricchi e poveri rompe l'unità dello stato e lo indebolisce mentre le diseguaglianze sociali e l'assenza di valori creano miseria e criminalità.
Quando si naviga, ci si affida a marinai esperti o a dilettanti che non hanno mai preso un remo? La risposta è scontata, la domanda è retorica. E allora, perché gli affari dello Stato (all'epoca di Platone era la polis) devono essere affidati a persone senza preparazione? Platone disdegna la democrazia e propone il governo dei filosofi, cioè di se stesso! La timocrazia (da timé; considerazione, onore) è, nella teoria politica platonica, la forma di potere di coloro che ricercano gli onori per placare la loro ambizione.
Nella oligarchia hanno invece il sopravvento uomini avidi di ricchezza (prevale il censo). Nell'oligarchia "si plaude e si ammira il ricco". All'opposto la costituzione democratica è dominata dai poveri "che massacrano parte dei ricchi e parte esiliano mentre si dividono con quelli che restano l'amministrazione e le magistrature, il più delle volte spartendole a sorte". La tirannide poi, per Platone, è lo sbocco naturale della democrazia che, per l'abuso della liberta, degenera perché il confondere la libertà con la licenza porta all'anarchia.
L'oclocrazia (dal greco antico: ὅχλος, óchlos, moltitudine o massa, e κρατία, kratía, potere) si configura come uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della pόlis è alla mercé di volizioni delle masse.
L'onagrocrazia (dal greco ὄναγρος ònagros, somaro selvatico). L'ha coniata Benedetto Croce per indicare la forma di potere gestita dai somarelli, ovvero coloro che non hanno avuta tanta voglia di studiare.
-DESIDERIO: mi mancano le stelle! * L'origine della parola desiderio è una delle più belle e affascinanti che si possa incontrare attraverso lo studio della meravigliosa disciplina che è l'etimologia. Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de-che in latino ha sempre un'accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa, quindi, letteralmente, "mancanza di stelle", nel senso di "avvertire la mancanza delle stelle", di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi per estensione questo verbo ha assunto anche l'accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata.
Eros è eterno, ma non è un Dio. È un'immensa forza primigenia che nasce nel momento in cui la luce si separa dalle tenebre. Infatti, stando alla mitologia, Eros è figlio della notte. Non è un Dio, ma molto di più. Infonde il desiderio negli dei e negli uomini. La nostra infatti è una specie desiderante. Che cosa desidera? Desidera desiderare.
Il desiderio metafisico ha un'altra intenzione: desidera ciò che sta al di là di tutto quello che può semplicemente completarlo[..] Il Desiderio è desiderio dell'assolutamente Altro. (Levinas) Buddha dice che "la vita è sofferenza, si soffre perché si desidera e si desidera per ignoranza". Posso non concordare caro Buddha? Le generalizzazioni semplificative non hanno valore nei fatti ma valgono solo per le idee. Infatti non sempre la vita è sofferenza: è anche così ma non è solo così! Si soffre perché si desidera? Non sempre, a volte il desiderio è gioia. Si desidera solo per ignoranza? Non sembra proprio! Ciao Buddha.
-DICHIARAZIONE UNIVERSALE *
Il primo documento postbellico che affonda antiche radici di carta e pensieri nella migliore filosofia della nostra tradizione è la Dichiarazione Universale dei diritti dell 'Essere Umano , del 1948. Idealmente apre l'epoca dei grandi documenti normativi che insieme hanno prodotto l'incarnazione normativa della ragione pratica. E' un'alba di cognizione del valore che nasce, indubbiamente, dalla cognizione del dolore, come la Dichiarazione del 1948 esplicita con cristallina chiarezza nel suo Preambolo: il principio di pari dignità va affermato contro il principio di discriminazione -qualunque ne sia la base: razza, nazione, classe, religione, genere, orientamenti ideologici e politici. Perché è quel principio che ha prodotto "il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani", che a loro volta "hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità ….". In queste parole risuona indubbiamente la nozione kantiana dell'età adulta dell'uomo, l'età della ragione e dell'autonomia -quando l'uomo diventa sovrano di se stesso, capace di dare a se stesso la legge (senza più l'assillo di autorità che decidono per lui). Eccolo, il primo valore e la prima radice d'Europa, che sprofonda ben oltre Kant. Dignità . E' il pensiero di Pico della Mirandola che a questa radice dà vita: la grande idea dell'uomo creatore di se stesso, perché non ha una natura completamente stabilita ma la fa cammin facendo, perché vive di libertà. "Dignità". Consideriamo l'Articolo 1 della Dichiarazione del '48: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
-DIO* Gli uomini, che credono all'esistenza di una identità personale, credono anche ad un Dio personale e quanto più credono alla propria identità personale, tanto più credono ad un'identità personale di Dio. (Pasqualotto)
Dio, per lasciar apparire il mondo, nell'assoluto non luogo del suo essere infinito (En-Sof), si ritira. Egli si inabissa affinché il mondo sia.
Nel migliore dei casi l'uomo proietta su Dio il suo personale senso di giustizia, nel peggiore gli accessi di violenza e il desiderio di vendetta. Dio non castiga e non è il braccio secolare delle sentenze degli uomini. Dio non è come noi, non ha nemici ma solo figli, sue creature emanazione dell'Amore gratuito. Custodisce i figli vicini e cerca quelli che si sono allontanati. Riallaccia rapporti, non mantiene il punto e fa sempre il primo passo. Ma non lo riconosciamo! Preferiamo il grande castigatore a Colui che agisce con Misericordia. La punizione, infatti, rientra nei nostri schemi, la Misericordia no. La punizione ci fa sentire forti, la Misericordia deboli. La punizione giustifica il nostro modo ordinario di valutare, la Misericordia lo contraddice Per noi occidentali Dio è onnisciente mentre per l'Oriente l'Assoluto non è neppure autocosciente! Nella teoria dell'En Sof (termine che significa infinito -infinitamente e facente capo alla Kabbalah ebraica), si sottolinea la natura impersonale e neutra di ciò che impropriamente, ossia in modo troppo umano, troppo determinato, denominiamo Dio. In realtà En Sof non indica alcunché di specifico essendo indefinito ma allude a Ciò che il pensiero non può raggiungere, all'unità indistinguibile, alla radice di tutte le radici. Proprio perché non indica alcunché di definito e di determinato, si può dire che si manifesti come Nulla (un nulla però non nichilista perché contente in sé tutte le infinite potenzialità). En Sof non crea ma permette agli esseri di essere ritirandosi. Quante e quali assonanze con il Tao e con l'Uno di Plotino! Il monaco Anselmo d'Aosta (nato nel 1033) si propose di dimostrare l'esistenza di Dio con un ragionamento (a priori) che, in seguito, verrà chiamato da Kant "argomento ontologico". Dio viene definito come "l'essere di cui non si può pensare nulla di maggiore (aliquid quo nihil maius cogitari possit)". Questo "essere" deve però anche esistere perché, se non esistesse, non sarebbe più il "maggiore". Sorgono però alcune critiche. La prima è la più semplice: si possono pensare le isole felici o le montagne d'oro ma non per questo esistono. Infatti tra le parole, i pensieri e la realtà passa una bella differenza. La seconda critica si basa sul fatto che Dio è un assoluto e, quindi, un infinito ineffabile: pertanto anche impensabile da parte di una mente finita come quella dell'uomo. La terza critica è la più radicale e viene dall'antico pensiero orientale. Anselmo afferma implicitamente che l'esistenza è superiore alla non esistenza ma non lo dimostra. Gli viene istintivo pensare ciò come veniva istintivo pensare che la terra fosse immobile al centro del mondo. L'antico pensiero orientale supera il dualismo fra esistenza e non esistenza, fra essere e nulla, fra autocoscienza e non coscienza. Supera il dualismo tramite un agnosticismo prospettivista. Comunque anche Lucrezio e Nietzsche erano abbastanza scettici sulla presunta superiorità dell'essere rispetto al non essere. Noi occidentali contemporanei invece siamo ancora impigliati nella logica duale senza renderci conto che la logica non descrive la realtà ma tenta di semplificare sbrigativamente la complessità. Infine il monaco Gaunilone faceva notare al suo maestro Ambrogio d'Aosta che quando pronunciamo il nome "Dio" non sempre andiamo al di là del suono fisico della parola (flatus vocis dirà poi Roscellino). Anselmo parte da un'alternativa: che Dio sia o non sia. Negli scritti chan, al contrario, il principio è e non è: è indeterminata forza neutra che struttura il mondo senza alcuna intentio: senza alcun significato. Per Anselmo ciò che è, e non può non essere: l'attività intellettiva umana, strutturata attraverso il principio di non contraddizione, può corrispondere a Dio.
Dio è la forma delle forme. Dio è la relazione fra tutte relazioni.
Prego il mio Dio perché liberi il mio io dal mio io.
Io sono perché Dio è. Dio è perché io sono. I due sono Uno. Nessuna dualità. L'avvolto che avvolge.
Il mio rapporto con Dio è bellissimo perché non duale, infatti non siamo mai in due. Quando ci sono io … non c'è lui e quando c'è lui non ci sono io. E questo secondo caso è semplicemente meraviglioso! Dio è verità e la verità è divina. Antichi pensieri dualistici? James dice che Dio collabora con l'uomo al miglioramento del mondo. Non è però onnipotente e infinito perché, se così fosse, non permetterebbe il male mentre l'uomo non sarebbe libero.
Secondo il filosofo e psicologo pragmatista William James si deve parlare della finitezza di Dio, un Dio non più onnipotente, ma avente funzioni, spazi e tempi simili a quelli umani.
Per Nietzsche la morte di Dio è una formula che esula dal solo piano religioso e morale. Fuor di metafora, si può dire che le ricerche matematiche, fisiche e psicologiche dell'epoca si trovarono di fronte una realtà molto meno definita e calcolabile di quel che si credeva: una realtà complessa! Tra gli elementi che rivelarono la loro inconsistenza ontologica vi fu l'anima, l'io. Quindi, più che della morte di Dio, si dovrebbe parlare della morte dell'io nel senso che l'io va inteso più come finzione con una funzione che come sostanza.
Nolite quaerere a Deo nisi Deum. (Agostino) Non chiedete nulla a Dio se non Dio stesso. La preghiera che non chiede è un frammento di Dio.
Dio, tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, a difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. (Hilleum, ebrea vissuta nei campi di concentramento tedeschi) L'idea di Dio -Bene unisce gli uomini mentre le religioni li dividono.
Per i Sumeri Dio era come un gomitolo ingarbugliato in cui era impossibile trovare il bandolo.
Nei testi di Reale si tende a vedere Dio anche dove non pare esserci come, ad esempio, nel demiurgo platonico e nel motore immoto aristotelico.
"Tutte le cose sono piene di piene di dèi." Frase attribuita a Talete che fu anche il primo filosofo scienziato della storia.
Dio è in un certo senso un ossimoro: è l'inesplicabile ove tutto si spiega.
La vita del mondo che verrà è più necessaria Dio che a noi.
Prego sempre il vero Dio di liberarmi dalla vita eterna individuale. Non sono infatti così narciso da sperare che il mio misero ego (se mai esiste …) venga conservato in eterno. Meglio disperderlo nel grande Tutto! Il piccolo atman induista (se non è già an-atman buddista) fuso, superando ogni dualità, nel grande Brahman! Prego sempre il vero Dio di liberarmi dal dio feticcio e totem antropomorfo che serve agli uomini per esorcizzare le loro paure e poter sperare che si realizzino i loro desideri. NEC SPE NEC METU.
Nella distanza che lo separa da Dio e che gli appare intollerabile l'uomo cede alla tentazione della prossimità e si fabbrica l'idolo di Dio. L'idolo è un dio assente, è un dio privo di Dio, un dio a portata di mano e a portata di bocca; e l'idolatria è sempre sostituzione al Dio altro e veritiero da parte del dio facile e rassicurante.
L'esperienza religiosa non è automaticamente esperienza di fede e il moltiplicarsi di gesti rituali o di aggregazione nel nome di Dio non sono necessariamente indizi di fede.
Quando la legge è avulsa dalla misericordia, quando dio diventa il complice dell'oppressione e della violenza, allora il vero Dio non è la dove ci sono credenti che pensano di rifarsi a lui; Dio è altrove! Io invoco la terra intera e tutti i profeti e li scongiuro: Alzate la testa verso il cielo e sputateGli in faccia. O cieli, voi non avete un Dio dentro di voi … (Katzenelson, poeta ebreo morto ad Auschwitz) L'uomo ha il diritto di chiedere conto a Dio dei suoi peccati, delle sua mancanze e infedeltà, e può forzarlo al pentimento e ad atti riparatori della sua colpa, perché Dio stesso ha bisogno di espiazione. (Eckardt, teologo ebreo) Il nostro è un Dio persona e solo nei confronti di un Dio personale ci può essere lo scopo ultimo di possederlo. (Cantalamessa) Possedere un persona? Possedere Dio? Di che cosa stiamo parlando?
La fede non è di per sé un dono, la fede è una risposta libera a un comunicarsi di Dio come dono. Insomma dualismo puro fra due attori: un Dio che si offre e un ego che accetta o respinge.
Nel parlare di Dio la patristica ha attinto largamente dai filosofi: da Platone a Plotino o da Aristotele come ha poi fatto anche Tommaso d'Aquino.
Non mi piace una religione dove conversione significa anche dire "Si" al ruolo di servitore e dove Dio viene appellato Signore.
Non c'è da stupirsi se gli uomini nello sforzo di decifrare l'enigma (di fondo della loro esistenza) sono giunti a rappresentazioni di Dio infinitamente diverse, né se hanno trasferito sull'idea di Dio la conoscenza che avevano di se stessi e del proprio rapporto con il mondo. Colpiti da un sentimento di dipendenza impotente, essi hanno proiettato i desideri e i timori in un Essere superiore che fosse capace di soddisfarli e difenderli.
Un vero credente è tollerante perché ha dentro di sé anche un non credente. Un intollerante è sempre un non credente che vuol mascherarsi da credente.
Mi piace ricordare quel passaggio di un grande filosofo stoico, Epitteto, ove si dice che tutto è parte del divino: ogni creatura deve recitare la sua parte e allora l'usignolo canterà, la formica raccoglierà il grano per il suo inverno e io, come uomo, devo recitare la parte che mi è stata affidata, cantando e danzando di fronte agli dei. "A te, dice appunto Epitteto, spetta soltanto di rappresentare bene qualunque sia la persona che ti è stata destinata". "Non seguirete altri déi tra le divinità dei popoli che vi circondano, perché il Signore tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; che non si accenda l'ira del Signore tuo Dio e ti faccia scomparire dalla faccia della terra". Dt 6,6
Si può adorare un Dio lento all'ira ( ma questa è una dote per Dio?) ma che non lascia senza punizione (Es 34, 6-7), che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione? « Giorno d'ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d'allarme sulle fortezze e sulle torri d'angolo. » "Uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza... tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente... senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero... sempre nell'identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là." Questo scrive Senofane, filosofo greco del sesto secolo prima di Cristo che critica l'antropomorfizzazione degli dèi, resi simili agli uomini sia nell'aspetto fisico che in quello morale. Tale operazione fu, a suo parere, fatta erroneamente da Omero e da Esiodo.
La gente Lo cerca lontano, che peccato! Sono come coloro che, immersi nell'acqua, chiedono disperatamente da bere. (Hakuin) Il pensiero occidentale si basa sul fondamento irrinunciabile dell'esistenza di un dio che ha fissato le regole all'inizio dei tempi. Per il pensiero orientale non esiste nulla di simile. Dio non è un ente, posto di fronte a me, che mi detta i comandamenti comportamentali. La certezza che Dio esiste è la volontà che Dio esista! Perché dio ha fatto un patto, una alleanza con gli ebrei e non anche con i pigmei, con gli incas, con gli aborigeni?
Dio esiste! Dio non esiste! Nessuna delle due affermazioni è dimostrabile... Dio è il tutto e il nulla.... certezza e incertezza... caso e necessità.
Dice Odifreddi: "… non si può dimostrare nulla di ciò che non è già implicito negli assiomi e quindi per dimostrare l'esistenza di Dio bisogna in qualche modo postularla".
Noi parliamo con Lui soltanto quando in noi non c'è più parola. Nomi dell'unico Nome.
Dio è l'inconcepibile al di qua e al di la del tutto.
Tutto è Dio. Non vi sono "altri".
Se i triangoli si inventassero un dio, lo farebbero con tre lati! "Dio si presenta a noi con il volto degli altri" ci dice Levinas eliminando dogmi e imposizioni.
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E se Dio fosse ateo? Mio Dio, io so bene che tu non esisti, mio Dio tu sai bene che io non esisto, però sorridiamo insieme del tuo e del mio presunto essere.
Mio Dio, mi sono perso per strada mentre ti seguivo. Ma, forse, anche tu, mio Dio, ti sei perso mentre mi precedevi....forse... E' la divinità che ha creato l'umanità a sua immagine e somiglianza oppure è l'umanità che ha creato la divinità a sua immagine e somiglianza?
Dio, quel giorno, era andato in Vaticano a piangere (Bernardino Ochino dice che il papato è opera del demonio).
Una volta, ricordo, ho bussato alla porta di Dio... non era in casa. Poi lui busso alla mia porta... ero in casa... ma non gli aprii. Così, per ora, non ci siamo ancora visti.
Se la creazione è stata libera, perché Dio non ha scelto un universo migliore nel quale il male non esistesse?
Dice Pico della Mirandola che l'infinitezza di Dio non può essere colta dalla nostra limitata intelligenza. Dio supera tutto quello che può essere pensato. Solo il mistico silenzio ci può avvicinare a lui. Incominciamo a vivere quando ci liberiamo di questo corpo di morte (altro che resurrezione dei corpi!) L'io è solo una finzione scenica, una nuvola nel cielo, un'onda sul mare; insomma l'io non è realtà ma finzione: solo Dio-Tutto-Energia esiste: da la veniamo, là torniamo.
Siamo solo ologrammi di Dio... "E' più facile parlare con Dio che parlare di Dio" dice Kafka. Infatti cercare di descrivere l'Assoluto significa sminuirlo visto che l'Assoluto non è percepibile né dai sensi né dai concetti e neppure dalle idee.
L'amore intellettuale di Dio (Spinoza) porta il saggio oltre l'individualità, oltre lo spazio-tempo, nella intuitiva beatitudine infinita liberandolo dalla paura atavica della morte.
Dio, SE ESISTE, non esiste alla stessa maniera degli altri esseri.
Dire "Dio è persona" mi pare una contraddizione. Infatti la persona, per essere tale, ha bisogno degli altri. Mi chiedo: Dio ha bisogno di noi? Se ha bisogno non è perfetto! Quindi o Dio è perfetto oppure è persona.... Caro Dio, chiunque tu sia, vorrei ricordarti che la giustizia è fondata sul nulla! Solo l'amore ha un senso... quindi, se non l'hai già fatto, chiudi l'inferno.
Perché introduci un agente esterno? Il mondo si ricrea da se stesso. È un processo senza fine, il transitorio che genera il transitorio. È il tuo io che ti fa pensare che debba esserci un agente. Crei un Dio a tua immagine, anche se è squallida. Con il film della tua mente proietti un mondo e anche un Dio per dare al mondo una causa e uno scopo. È tutta immaginazione. Balzane fuori.
Possiamo sperare che l'universale proposito salvifico di Dio si rivelerà efficace e che egli sarà infine 'tutto in tutti', vale a dire che conseguirà il divino obiettivo di salvare tutta la creazione. ( Mi è stato chiesto: credi in Dio? Ho risposto: spero che lui creda in me perché io non credo nel mio presunto io.
Figure
Se ci si radica nell'Assoluto cosa sarà mai la morte?
-DONNA
Salomone, che era la saggezza del popolo, diceva: "Più terribile della morte è la donna, solo l'uomo timorato di Dio ne può scampare, mentre il peccatore ne è avvinto, abbindolato".
Poi è arrivato Cristo, che le donne le ha rispettate. C'è stata la cultura che faticosamente ha dato valore alla donna, alla femminilità, alla sua resistenza. Ma se precipitiamo nell'uomo pulsionale, la donna ritorna ad essere la preda. «I desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero» (San Paolo, Lettera ai Romani 8,21). «Le donne sono destinate principalmente a soddisfare la lussuria degli uomini. Dove c'è la morte ivi c'è il matrimonio, dove non c'è matrimonio ivi non c'è morte» (San Giovanni Crisostomo).
"Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. Dovrebbero, in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa di orrende e involontarie erezioni di uomini santi". (Sant'Agostino) Tra i grandi pensatori, Confucio accennava a malapena alle donne ed in tutti i suoi insegnamenti dava per scontato che fossero subordinate agli uomini, all'interno di un ordine patriarcale. Buddha insegnava che le donne potevano diventare sagge, illuminate. Ma per fare questo dovevano essere messe alla prova tre volte, prima che fosse permesso loro di farsi monache. Questo solo a condizione che la monaca sul gradino più alto della gerarchia monastica fosse comunque inferiore al monaco al livello più basso. Mosè era convintamente patriarcale. Nella Torah, non c'è praticamente nulla che indichi una specifica preoccupazione per i diritti delle donne.
Maometto fu sostanzialmente diverso. Predicò in modo esplicito la parità assoluta tra donne e uomini come principio fondamentale della vera spiritualità e prese diverse misure concrete per migliorare nel profondo lo status e il ruolo delle donne in Arabia, durante la sua vita. Maometto era vicino alla causa delle donne perché era nato povero e diventò orfano molto presto. Era anche analfabeta e illetterato. Sapeva, come pochi altri sanno, cosa significassero la povertà e l'esclusione sociale.
-DUALISMO (advaita: non duale) * Il termine è attestato per la prima volta nel 1700 da Thomas Hyde nella sua Historia religionis veterum persarum, dove si descrivono l'antichissima religione persiana di Zoroastro e quella fondata da Mānī (215-277), predicatore e teologo nato nel regno dei Parti e vissuto nell'Impero sassanide, identificando in esse la costante lotta tra due principi, la Luce e le Tenebre, ossia il Bene e il Male, coevi, indipendenti e contrapposti, dal cui esito temporaneo dipende ogni aspetto dell'esistenza e della condotta umana.
L'alternativa al dualismo fra vero e falso, fra cosa in sé e fenomeno, fra bene e male è il prospettivismo. (Nietzsche) L'Uno detto o pensato implica automaticamente il Due, perché comporta necessariamente il riferimento al soggetto che lo dice o lo pensa.
La nozione che il vedente è diverso dal visto è un'affermazione mentale. Si conclude che in effetti "sei quello che osservi".
Esistono differenze ma non divisione o dualità: tutto è uno! L'entaglement (l'intreccio, la relazione) lo dimostra: la distanza è solo una nostra percezione necessaria per la nostra sopravvivenza come individui (se il leone si avvicina io scappo) ma non veritiera.
Noi siamo il mondo ed il mondo è noi.
Nishida afferma che è possibile dire sia che «sono le cose che muovono l'io», accentuando in tal caso il carattere panenteistico dell'attività creativa, in cui il soggetto è strumento per il farsi di qualcosa che in realtà lo sopravanza infinitamente e lo ricomprende; sia che «è l'io che muove le cose», privilegiando in tal caso la considerazione della funzione formatrice del soggetto creatore. Sé e mondo oggettivo si interpenetrano, hanno una medesima radice; «non c'è un io separato dal mondo che l'io vede». Nishida cita poi tre fonti diverse, una indiana (sabbe dhamma anatta), una occidentale (l'Uno di Plotino) e una cinese (il Tao), per mostrare come il pensiero della non-dualità non sia una prerogativa di questa o quella cultura, ma corrisponda al livello più profondo di tutte le culture, che in tale livello si riconoscono nella loro unità essenziale.
In occidente, partendo da Platone e Aristotele in poi, si è affermato e radicato il concetto logico-filosofico che l'essere e il non essere sono alternativi nel senso che una cosa-evento, un ente (quale può essere un uomo) può essere o non essere ma mai entrambe le cose insieme (principio del terzo escluso: tertium non datur). Noi occidentali (ad oggi praticamente quasi tutti gli abitanti della terra) li siamo rimasti. Ci siamo auto incatenati a questo dualismo che si rivela abbastanza efficiente dal punto di vista pratico ma non altrettanto da quello esistenziale visto che procura profonde angosce all'umanità che teme la morte (il non essere che annulla l'essere). L'antico pensiero orientale asseriva invece che l'essere e il non essere si abbracciano reciprocamente, si avvolgono l'uno nell'altro, si danno vita a vicenda. In tal modo, l'uomo (cioè l'io, l'ego) è libero sia dal peso della vita che da quello della morte. In conclusione, dice l'antico pensiero orientale, è anche così ma non è solo così! L'essere non esclude il non essere. Che altro dire ancora? E' il pensiero che crea il dualismo. E' il linguaggio che crea il dualismo. Il dualismo è solo un concetto. Il dualismo è solo mente. La fuori non ci sono colori, sapori, odori, suoni, cose! La fuori c'è solo energia. La stessa energia che siamo noi.
Sia il dualismo che il non-dualismo (che non è il monismo che afferma l'uno e nega il due) sono degli -ismi e, come tali, non sono adatti a descrivere la vera realtà. Il vero non -dualismo, quello non ideologico, deve avere in sé i semi del proprio superamento come il dito che indica la luna. Anzi, nel non dualismo vero, non vi è né il ditto e neppure la luna! E' già tutto qui e ora: non vi è via da percorrere, non vi è chi la percorre e non vi è metà da raggiungere! Nella realtà esistono infinite differenze (forme, colori, suoni) ma nessuna vera separazione. Le cose eventi sono tutte interconnesse: il fiore non è separato dall'acqua, l'acqua non separata dalle nubi, le nubi non sono separate dal mare e così via. Se il Tutto è veramente tutto deve essere già qui e comprendere la mia parvenza di io. Stessa cosa vale per l'Assoluto.
Noi immaginiamo che noi siamo qui mentre Dio (L'Assoluto) è là, da un'altra parte. Ma non è così perché non siamo due.
Quel che si pensa di essere (l'io della logica razionale) e quel si pensa di percepire (il mondo della logica razionale) sono tutt'uno (tu se ciò, tu sei quello, tat tvam asi).
La conseguenza più vistosa, l'aspetto più eclatante del principio di indeterminazione di Heisenberg (meccanica quantistica) è che ne deriva anche l'impossibilità di una <<rigorosa separazione del mondo in soggetto e oggetto>> come scrive lo stesso Heisenberg nel suo famoso libro "Fisica e Filosofia".
La visione unitaria o della non-dualità ha caratterizzato molta della speculazione filosofica, teologica e mistica degli ultimi tremila anni. In sintesi, il principio unitario afferma che la realtà, intesa come tutto ciò che esiste, è unica e inscindibile, e la sua differenziazione è solo apparente, vale a dire formale ma non sostanziale. Tale idea, comunemente espressa come "tutto è uno", definisce dunque la cornice ideale più grande possibile, quella che comprende ogni altra visione. Proprio questa sua caratteristica la rende autenticamente "universale", ovvero onnicomprensiva e senza alternative.
Nel relativo tutto diviene ma quando ci si colloca dove nulla diviene (l'Assoluto), si constata che non c'è forma, non c'è spazio, non c'è tempo e non c'è nulla di ciò che genera la dualità.
Prima di nascere eravamo l'indistinto, il non duale. Poi si è formato l'ego che ha opposto a sé il mondo e dio cioè il distinto, il duale. Comunque già in questa esistenza si può vivere nel duale intravedendo però il non duale. Alla fine "torneremo" nell'indistinto non duale. Da rimarcare che il tempo è una invenzione della mente e quindi il prima e il dopo sono solo dualità.
Il duo Socrate -Platone pensa che la felicità consista in una vita mista di piacere (di origine animale, dicono loro) e di pensiero (di origine divina, dicono sempre loro). Dualismo mistico religioso dell'Orfismo in merito alla visione della natura dell'uomo.
Il cristianesimo ammette la dualità uomo -Dio mentre, per il pensiero religioso induista orientale, l'uomo è solo una manifestazione (divina) essendo tutt'uno con Lui: Atman e Brahman. Il buddismo poi invita a superare anche Atman e Brahman! Le cose contemporaneamente sono e non sono senza che in ciò vi sia contraddizione.
Corpi, menti e mondo sono solo nomi e forme sovrapposti alla realtà non-duale.
La dualità è sogno.
Dove c'è dualità c'è paura e l'uno adora l'altro. Solo dove esiste dualità l'uno adora l'altro.
Immaginate una goccia dell'oceano che si pensasse separata dall'oceano e soffrisse di solitudine. Sarebbe come l'uomo! Se vedi ancora un mondo fuori e distinto da te, allora non sei ancora arrivato alla meta ... Crediamo di essere una entità separata... però, quando si rompe un vaso, lo spazio al suo interno diventa una cosa sola con lo spazio all'esterno! Non essere mai due ... altrimenti ti perderai … La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell'universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell'anima. (Jung) Secondo l'interpretazione della Scuola di Copenaghen della teoria quantistica è impossibile una netta separazione fra l'io e il mondo.
Se, su un foglio bianco tracci una linea divisoria, hai disegnato il diavolo! Colui che rompe l'armonia del Tutto portando la dualità, la molteplicità.
Noi occidentali viviamo il mondo della bipolarità -soggetto ed oggetto -con una coscienza incentrata su un io frutto del logos greco. Nelle culture altre, a base mitico -rituale, dominava, invece, la coscienza impersonale, non egocentrata, che riceveva il suo senso da "intelligenze e volontà estranee". Qui l'uomo non è autonomo come quello occidentale con la sua razionalità, non riesce a dare "esistenza e senso al mondo", ma ha "canoni interpretativi della realtà", che gli consentono una visione del mondo "altra" rispetto a quella occidentale.
Non ci sono più l'essere necessario e gli enti contingenti: tutto è contingente in modo necessario. Sparisce il dualismo necessità-contingenza.
Il pensare è tutto nella dualità.
La distinzione fra spirito e corpo è dubbia: entrambi sono riconducibili a un organismo, a un intero, a un holon.
Passare oltre: non pensare più in senso dualistico, liberarsi di ogni attaccamento, non pretendere di sapere cosa è bene e cosa è male.
Non si può distinguere il danzatore dalla danza o l'onda dal mare.
Il dualismo fra io e non io è la problematica di fondo da affrontare. Capire pienamente l'assenza di divisione fra soggetto e oggetto equivale a raggiungere l'illuminazione che va oltre il dualismo. Soggetto e oggetto non sono due diversi (Merleau-Ponty); Il soggetto, l'io è pura finzione scenica: di per sé non esiste (pensiero orientale); l'oggetto, il mondo esiste solo di fronte a una coscienza (meccanica quantistica).
Maya è l'equivalente di nama (nome) e rupa (forma) e quindi è l'atto di dividere (radice sanscrita dva da cui diavolo e dualismo) è l'illusione che vela il sottostante Brahaman che è l'Uno non monistico ma semplicemente senza dualità: la figura e lo sfondo non sono separabili mentre è altresì impossibile imprigionare il mondo reale nella rete mentale di parole e concetti. Sospendere i sensi e i concetti per arrivare a una identificazione globale.
Senza dualismo non esiste neppure la morte.
Dio del bene e dio del male (Zoroastro, Mani, Gnosticismo), Essere e non essere (Parmenide), Mondo materiale e mondo delle idee (Platone), Teoria e prassi (grecità), Corpo e anima (Cristianesimo), Res extensa e res cogitans (Cartesio), Fenomeno e noumeno (Kant), Apparenza e realtà (Bradley), Soggetto e oggetto (pensiero logico), Scienze fisiche e scienze spirituali (Dilthey), Struttura e sovrastruttura (Marx), Conscio e inconscio (Freud), Spazio e tempo (fisica classica), Tautologia e empirismo (logica pura), Sincronia e diacronia (linguistica), Autentico e in autentico (Heidegger), Progressista e conservatore (politica), Vero e falso (gnoseologia), Giusto e sbagliato (morale). Qualche esempio di dualismo tipico del pensiero occidentale. E se fossero tutte vuote divisioni mentali? -DUBBIO* "Insistere a sostenere che le cose stiano proprio così come io le ho esposte non si addice a persona che abbia senno." (Socrate -Platone) "E' giusto che voi abbiate dubbi e perplessità". (Buddha) Dice Nagarjuna che pretendere la conoscenza assoluta porta alla rovina, mentre praticare un genuino metodo scettico può portare l'essere umano verso la vera conoscenza ultima, se per caso esiste.
Bisogna saper mettere a nudo tutti i presupposti -a cominciare da quello della nostra identità -che si sono sedimentati e cristallizzati nella mente e nella cultura; parimenti bisogna mettere in discussione tutte le nostre certezze, a cominciare da quelle del valore assoluto della scienza o della religione. (Pasqualotto)
Quando sulla strada della vita vi imbattete nei Punti Interrogativi, nei sacerdoti del Dubbio Positivo, allora andate sicuro che sono tutte brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle Grandi Certezze, i puri dalla Fede incrollabile, allora mettetevi paura perché la fede (qualsiasi tipo di fede) molto spesso si trasforma in violenza. (De Crescenzo)
Il dubbio non è piacevole (non è poi così spiacevole! ndr), ma la certezza è ridicola. Soltanto gl'imbecilli sono sicuri di ciò che dicono. (Voltaire) Dubita e ama. Altro non puoi.
Crediamo in tante cose per sentito dire, in terre e genti lontane, paradisi e inferni, dei e dee, perché ce ne hanno parlato. Similmente, ci hanno descritto noi stessi, i nostri genitori, il nome, la posizione, i doveri e così via. Non ci siamo mai preoccupati di verificare. La strada che conduce alla verità passa attraverso la distruzione del falso.
Per farlo, devi mettere in questione le credenze più inveterate. La peggiore di queste è l'idea di essere il corpo. Con il corpo arriva il mondo; con il mondo, Dio, che si suppone abbia creato il mondo, e così s'incomincia: paure, religioni, preghiere, sacrifici, ogni sorta di sistemi, per proteggere e sostenere l'uomo-bambino, terrorizzato da mostri di sua fattura. Renditi conto che ciò che sei non può nascere né morire, e che tutte le sofferenze cessano quando scompare la paura. (Nisargadatta Maharaj) Quanto più penso, tanto più dubito! "Non seguitemi, potrei sbagliare..." dice Ario.
"Vi insegnerò a dubitare" diceva Pomponazzi "ma attenti a non fare la fine delle caldarroste …" Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni. (Ortega y Gasset) Nulla è per me perfettamente comprensibile. Suppongo quindi che né io (se un io esiste) né altri sappiamo.
Il dubbio è il mio passato. Il dubbio è il mio presente. Il dubbio è il mio futuro. Eppure non sono depresso...tutt'altro! Sia il dubbio che la fede vanno praticati con moderazione per evitare guai peggiori.
E -ECKHART*
Eckhart non salvaguarda sufficientemente da distinzione tra Dio e le creature e si presta ad una lettura panteista. Nei suoi scritti, in particolare nei "Sermoni", numerose espressioni restarono ambigue e molti teologi dell'epoca lo attaccarono proprio sul piano della retta dottrina. (Enciclopedia Cattolica) Niente è fuori da Dio. Tutte le creature sono in Dio e sono la sua propria divinità.
Il conoscente e il conosciuto sono una sola cosa. Le persone semplici immaginano di dover vedere Dio come se Egli fosse là e loro qua. Non è così. Dio ed io siamo uno nella conoscenza.
Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante.
Perché vai cianciando di DIO? Qualsiasi cosa tu dica di Lui non è vera.
Invoglia i fedeli a "pregare Dio" affinché li liberi da "dio" (il primo maiuscolo, il secondo minuscolo), dove il primo è il "Dio Eckhartiano" (per così dire), totale ed indefinibile, puro ed assoluto, e il secondo un mero essere superiore, un "sovraessere", un essere dalle funzioni totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario collettivo, ispirato dalla religiosità naturale. In definitiva, mentre il secondo è l'idea a cui l'uomo ricorre per "chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una "superstizione", il primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in Lui, con di pensiero ed essere Lui e per Lui non vi è altro che Esso.
Riguardo alla coincidenza, dibattuta nell'ambito dell'Ordine domenicano, nella prima quaestio delle Quaestiones parisienses, Eckhart risponde che pensiero ed essere sono la stessa cosa, ma Dio va identificato con l'Uno, nome che si dà a ciò che è ben al di là dell'ente e dell'essere stesso, e Dio è in primo luogo pensiero, da cui l'essere scaturisce.
Abbandonare ogni pensiero, ogni idea, ogni conoscenza -«Vuoi conoscere Dio nel modo divino, così che la tua conoscenza diventerà pura ignoranza e oblio di te stesso e di tutte le creature?» e «Non è portando al sicuro i sensi che si può realizzare ciò».
La perfetta assenza di una meta e la rinuncia di ogni volontà -«dunque vi dico in assoluta verità: finché avrete dei desideri, Dio li soddisferà, avrete desiderio di eternità e di Dio fino a che non sarete perfettamente poveri. Poiché è più povero solo chi non vuole nulla e non desidera nulla.» La ragione e l'intelligenza non sono strumenti per arrivare all'esperienza divina -« potrebbe Dio aver necessità di una luce per vedere che è sé stesso? Oltre la ragione, che cerca, c'è un'altra ragione, che non cerca oltre » La rinuncia del pensiero dualista -« l'occhio, nel quale io vedo Dio, è lo stesso occhio, da cui Dio mi vede; il mio occhio e l'occhio di Dio, sono un solo occhio e una sola conoscenza » Allontanare il tempo dalla vita quotidiana -« alla maniera di ciò che non ho generato, non potrò mai morire, quello in cui sono vicino a ciò che genero, quello per me è mortale; per questo è necessario che si guasti col tempo » Approfondimento dell'attenzione -« ciò per gli uomini saggi è una questione di conoscenza mentre per i semplici è una questione di fede » Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza» (Quinta Predica,42). Eckhart contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come "bontà" o "saggezza". Mehr noch, auch "Sein" sei von ihm nicht aussagbar: «Io dico anche: Dio è un Essere? -non è vero; è (molto più) un essere che trascende l'essere e una nullità che trascende l'essere » -ELLENISMO* L'ellenismo, conseguenza di Alessandro Magno, fa scoprire all'uomo, che prima era cittadino della polis, di essere un individuo. L'uomo, signore a se stesso, si gonfia di egoismo individualista. L'ellenismo perde il senso della trascendenza (l'anima è mortale anche se si è molto attaccati all'io: l'inespugnabile fortezza del nostro logos che è il vero Assoluto delle filosofie elleniste), del sopra-sensibile, della spiritualità in antitesi con Platone e Aristotele. Insomma si interessano più di phronesis che di sophia.
Piena coerenza fra dottrina praticata e vita al modo di Socrate. Autarchia: bastare a se stessi. Atarassia: assenza di ogni turbamento dell'animo (più un annullamento che una crescita).
Il vero bene e il vero male non dipendono dalle cose ma dalle opinioni che noi ci facciamo delle cose.
Svuotare la vita umana dalle passioni sembra però troppo: non è più vita anche se è chiaro che sono le passioni a determinare l'infelicità dell'uomo soprattutto se non le controlla minimamente. Si dovrebbe superare le passioni avvicinandosi però in questo modo più alla morte che alla vita? La morte non è però più il male assoluto. Come nell'antico pensiero orientale.
L'Ellenismo è molto legato all'Oriente: Pirrone aveva seguito Alessandro ed aveva incontrato maghi e fachiri mentre Zenone era un semita ebraico. Con Diogene (allievo di Antistene il cinico) l'impegno esistenziale viene anteposto a ogni dottrina e a ogni procedimento razionale (direi che costui era zen prima dello zen!).
Diogene praticava un vivere senza mete con la libertà anarchica (e quasi animalesca, provocatoria) posta al di sopra delle convenzioni sociali di tutto il resto. Praticava anche la paressia (libertà di dire tutto) e si diceva cittadino del mondo (a.polis). Cratete fu suo discepolo e predicava la vanità dei beni del mondo. Fu detto l'Apritore di porte perché era così affabile che nessuno gli teneva la porta chiusa.
Qualsiasi forma di stabilità dell'energia, come la materia, è illusoria perché è momentanea ed effimera; questo stadio è il risultato di equilibrio che essa ha raggiunto, che durerà fino a quando le condizioni che lo hanno reso possibili non muteranno.
Le energie essenziali che si muovono nel cosmo e nell'uomo sono sempre le stesse, ma con la differenza che noi continuiamo a credere a delle entità separate: io qua e il mondo là.
Per poter viaggiare alla velocità della luce servirebbe un'energia infinita! A tale velocità il tempo si annulla e lo spazio sparisce mentre la massa diventa infinita. Stupefacente: stiamo parlando di una prospettiva totalmente diversa da quella normale, solita. Altre categorie! Senza tempo, senza spazio in un infinito oceano di energia! Stiamo forse parlando di un Assoluto? Sembra emergere che la somma totale dell'energia dell'universo sia pari a zero. Infatti l'energia positiva dei vari campi delle particelle viene azzerata dalla negatività dei campi gravitazionali.
L'idea che la fisica potesse fare a meno della materia e comprendere tutto in termini di sola energia era molto forte alla fine del secolo diciannovesimo (a riprova che chi dice "la scienza vede tutto fatto di sola materia" non sa proprio nulla di scienza). Pochissimi anni dopo la pubblicazione del libro di Poincare' La scienza e l'ipotesi (nel 1905), Einstein scopre la formula "e=mc2", che mostra che la materia può sparire e diventare energia e viceversa, rendendo ancora più evanescenti le due nozioni di energia e materia. Oggi è abbastanza normale fra i fisici che la materia è una delle possibili forme dell'energia. Tuttavia anche oggi non è che l'energia sia una cosa molto chiara dal punto di vista di "che cosa davvero sia". Il più grande fisico della seconda metà del 20° secolo, Feynman, nel suo libro di testo la mette così: "non sappiamo bene cosa stiamo calcolando, ma sappiamo che riusciamo sempre a calcolare una quantità, che chiamiamo 'energia', che resta sempre eguale in tutti i processi fisici (trasformandosi da un tipo di energia ad un altro). (Rovelli)
Lo spirito e il corpo (tipico dualismo occidentale) sono entrambi null'altro che energia! Ma nessuno sa bene cosa sia l'energia! Si torna da capo nel gioco dell'oca della fisica e della filosofia.
Noi vediamo, sentiamo, parliamo, ma non sappiamo quale energia ci fa vedere, sentire, parlare e pensare. E quel che è peggio, non ce ne importa nulla. Eppure noi siamo quell'energia. Questa è l'apoteosi dell'ignoranza umana. (Einstein) Che cosa è questa energia? Non ci crederete ma nessuno lo sa! Si sa solo che, pur variando di forma, è sempre costante. Tutto ciò cosa ci deve indurre a meditare.
-ENSO'** L'enso', con un solo tratto di pennello, riesce a rendere visibile il culmine di un'esperienza che va oltre ogni forma di dualismo: esso risulta da un gesto artistico estremamente ridotto che si propone come segno sensibile di un'illuminazione raggiunta, di un risveglio ottenuto. (Pasqualotto) La forma del cerchio rappresenta "l'infinito che è il fondamento di tutti gli esseri".
La circonferenza del cerchio distingue (ma non separa) due spazi: quello interno (finito) e quello esterno (infinito). Il primo rinvia al samsara e il secondo al nirvana. Il samsara è lo spazio tempo in cui si danno le determinazioni, le separazioni e le opposizioni. Il nirvana invece richiama la condizione in cui si è dissolta ogni determinazione, separazione ed opposizione.
Quest'ultimo spazio infinito che può essere assunto come uno dei simboli del nirvana, non è però l'opposto di uno spazio finito, emblematico del samsara, perché ogni spazio finito appartiene allo spazio infinito. Allora si può dire che il samsara è il nirvana solo se si è capaci di vivere contemporaneamente nel samsara e nel nirvana, cioè, in termini figurali, se si è capaci di stare in un cerchio con una circonferenza determinata sapendo, nel contempo, che tale cerchio appartiene necessariamente ad un cerchio senza circonferenza, ossia ad un orizzonte infinito.
Questa sorta di doppia vita testimonia, in definitiva, la capacità di stare nel mondo senza appartenere al mondo.
-ENTAGLEMENT** Entaglement è la relazione dell'universo e nell'universo! In base alla meccanica quantistica, due eventi possono essere correlati in modo istantaneo indipendentemente dalla loro distanza. Vediamo di semplificare per cercare di capire meglio. Poniamo che due particelle subatomiche (ma anche due atomi opportunamente trattati) abbiano interagito e poi siano state allontanate, in direzioni opposte, ad altissima velocità (le particelle subatomiche viaggiano a velocità prossime a quelle della luce). Ebbene certe loro caratteristiche (tipo lo spin), restano collegate nonostante la distanza enorme. Se, ad esempio varia lo spin di una delle due, contemporaneamente varierà anche quello dell'altra a prescindere dalla distanza. Due sistemi fisici interagenti devono essere trattati come un sistema unico, descritto da un unico stato quantico: uno stato "entangled", ovverosia "intrecciato". Ciò, in parole semplici, significa che lo spazio e il tempo non esistono nel senso che presupponeva la meccanica della fisica non quantistica. Per la nuova meccanica quantistica invece l'universo è tutto strettamente intercorrelato: è una rete di connessioni senza effettive distanze e tempo. Ecco perché si potrebbe dire che ogni cosa è in relazione con il tutto.
Nei test di Bell, coppie di particelle entangled, come appunto coppie di fotoni, vengono generate e dirette verso punti diversi, dove si misurano le loro proprietà (come il colore o il momento di arrivo). Se le misurazioni coincidono, nonostante la distanza, le possibilità sono due: o la misurazione di una particella influenza istantaneamente anche l'altra, oppure le proprietà intrinseche non esistono e sono create dalla misurazione stessa -che sarebbe come dire che il vostro peso non esiste finché non decidete di salire su una bilancia.
Entrambe le possibilità contraddicono l'ipotesi del realismo locale di Einstein, l'idea cioè che l'Universo abbia proprietà intrinseche che non dipendono dalle nostre osservazioni, e che un oggetto possa essere influenzato soltanto da ciò che si trova nelle sue immediate vicinanze.
Einstein è stato, anche in questo comparto, un pioniere. Infatti nel 1935 insieme con Podolsky e Rosen formulava il celebre "paradosso EPR" (dalle iniziali dei tre scienziati) che metteva in evidenza, appunto come fosse paradossale il fenomeno dell'entanglement. Doveva essere, la sua, un'altra dimostrazione in polemica contro la meccanica quantistica. Però, anche in questo caso, Einstein sbagliava. Infatti, negli anni intorno al 1980, si riuscì sperimentalmente a provare che questo strano, assurdo legame istantaneo tra ciò che accade in luoghi molto distanti può davvero esistere. Due corpi possono essere molto distanti nello spazio, ma dal punto di vista della meccanica quantistica è come se fossero un'entità unica.
Come può essere possibile ciò visto che nessuna informazione può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce? Forse non esiste lo spazio come lo intendiamo comunemente? Forse sono correlazioni al momento non spiegabili? O forse ogni cosa è correlata con tutte le altre visto che al momento del Big Bang tutto era in unico luogo (se così possiamo dire)? Quello che sembra emergere è il carattere non separabile della realtà a livello quantico. La separazione spaziale fra due particelle non è dunque sufficiente per assicurare che tutte le loro proprietà siano localizzate dove esse si trovano: esistono proprietà comuni che dipendono dalle interazioni di entrambe con l'ambiente circostante.
Le due particelle sembrano mantenere il ricordo della loro correlazione iniziale. Questo strano fenomeno della meccanica quantistica ci ricorda la erste Natur citata da Merleau-Ponty allorché parla di Schelling: "Questa erste Natur è l'elemento più antico, un "abisso di passato" che rimane sempre presente in noi e in tutte le cose. Questa erste Natur è trama fondamentale di ogni vita e di ogni esistente, qualcosa di spaventoso, un principio barbaro che può essere superato, ma mai messo da parte". Commento stupendo, a parte quel "qualcosa di spaventoso" che parrebbe più attinente, più consono al peggiore dei subconsci di freudiana memoria. Anche i geni, Einstein, Schelling, Merleau-Ponty, a volte, forse, esagerano nei loro giudizi. Però rendono bene l'idea anche attraverso immagini innovative, uniche, forse un po' estreme.
Marcello Cini invece scrive molto più semplicemente: "Per coloro che vedono la realtà con gli occhiali della meccanica quantistica il paradosso non esiste. Essi sostengono infatti che non ha senso parlare della direzione dell'asse di polarizzazione di un fotone finché essa non venga misurata […] sono le due misure a determinare le due direzioni". Ricordiamo sempre che in fisica quantistica la misurazione è un operazione impegnata nel senso che determina, fissa gli oggetti sub-atomici come sottolinea anche Merleau-Ponty: "L'esperimento è appunto un violentare la natura".
Anche Murray Gell-Mann, lo scopritore dei quark, anche lui si rapporta con l'entaglement e lo fa in maniera abbastanza critica. Scrive infatti: "Bertlmann è un matematico che indossa sempre un calzino rosa e uno verde. Se vedi solo un suo piede e scorgi un calzino verde, sai immediatamente che l'altro calzino deve essere rosa. Eppure da un piede all'altro non si propaga nessun segnale".
Concludiamo il discorso intorno all'entaglement proponendo un colloquio fra il fisico austriaco Anton Zeilinger e il Dalai Lama. Il primo dice: "La cosa si fa ancora più strana, e davvero complicata, se parliamo di tre particelle. Possiamo anche andare oltre e parlare di quattro, cinque o sei particelle". Chiede il Dalai Lama: "Intendete dire che l'intero Universo è entagled al suo interno?" Il fisico risponde: "E' una bella idea, ma non vorrei prendere posizione in proposito, dal momento che, in quanto fisico, non saprei come sottoporla a controllo. L'eroe intellettuale e filosofico in questo campo fu Niels Bohr che fece un'affermazione di grande saggezza: "Nessun fenomeno è un fenomeno fino a quando non è un fenomeno osservato". In altre parole non dovremmo parlare di un fenomeno se non lo osserviamo in un esperimento reale>>. Il Dalai Lama chiude la questione "Uno dovrebbe probabilmente vivere molto a lungo per controllare sperimentalmente, per essere in grado di vedere il Tutto>>. Dunque potrebbe anche essere che tutto l'universo è entagled (intrecciato). Noi però non lo potremo probabilmente mai verificare".
-EPICURO* Già 300 anni prima di Cristo il filosofo Epicuro ci insegnava:
1. Non aspettarsi dagli dei un'equa partizione del bene e del male.
2. Non temere la morte più della vita.
3. Riconoscere la felicità come bene supremo che allontana i dolori fisici, l'ansia e l'inquietudine dell'animo, ovvero porta alla loro rimozione. Prepararsi ad essa per tempo ci dà in premio la beatitudine. 4. La felicità richiede uno stile di vita saggio, come d'altra parte è possibile solo con la felicità. 5. Nella scelta giusta dei piaceri, ci aiuta la natura, che ha reso il necessario facilmente raggiungibile, il superfluo difficile da ottenere.
Epicuro e non Democrito è il filosofo che veramente " 'l mondo a caso pone" scrive Reale citando Dante. Reale però non pensa che questo è un grande complimento e non certo un'offesa visto che la quantistica pone la casualità fra le sue tre doti fondanti (insieme con la granularità e l'interconnessione).
Epicuro viveva nascosto (contro la polis e la politica) e diceva che a chi non accontenta del poco, nulla basta. L'unica salvezza può venire solo da se stessi visto che la natura non ha fine alcuno e gli dei sono lontani. Lucrezio trasformò in poesia la filosofia di Epicuro (che fu un dittatore nel senso che le sue idee non venivano discusse ma prese come dogmi quasi religiosi). Scrive Lucrezio: "Che male sarebbe mai stato per noi non essere nati?" "Egli passò in avanti viaggiando lontano, al di là dei bastioni fiammeggianti del mondo, spaziando lontano con la mente e con lo spirito, attraverso l'universo immisurato …" così scrive Lucrezio a proposito di Epicuro e ancora … "Ogni uomo fugge da se stesso eppure da quel se stesso, in realtà, non ha potere di fuggire".
Epicuro predicava il piacere terreno (o per lo meno l'assenza di dolore) senza credere alla vita ultraterrena mentre il Cristianesimo rimanda tutto all'altra vita, quella ultraterrena.
Nel De finibus bonorum et malorum (II,12), Cicerone va sostenendo che inserire il piacere tra le virtù, come fa Epicuro, è l'equivalente di introdurre una prostituta tra signore per bene! (le signore per bene?) -EPOCHE'* La sospensione del giudizio o epoché (traslitterazione del greco antico "ἐποχή" ossia "sospensione") è l'astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso. Concettualmente è il contrario del pregiudizio e cioè del giudizio formulato in assenza di elementi adeguati al quale viene tuttavia accordata la piena convinzione di validità. L'epochè è un valido antidoto contro il fanatismo.
Termine fondamentale della filosofia di Husserl (filosofo che Paci ebbe come punto di riferimento per tutta la vita), l'Epochè si traduce in una ricerca di senso continua e inesausta che presuppone un abbandono di tutte le categorie di pensiero che siamo abituati ad utilizzare. In questo senso è emblematico l'episodio che Paci stesso racconta riguardo al suo approccio all'epochè. Studente di Filosofia, si recò nell'ufficio di Antonio Banfi (il suo "maestro" per eccellenza) per chiedere spiegazioni sul concetto di Epochè. Banfi gli chiese di descrivere un vaso che si trovava lì vicino a loro. Tuttavia, qualunque definizione Paci provasse a dare (colore, forma geometrica, uso) cadeva in una categoria di giudizio posteriore all'oggetto stesso, o soggettiva (il colore dipende dalla luce, la forma geometrica si rifà a categorie astratte che l'uomo ha inventato, l'uso è indipendente dall'oggetto stesso).
L'epochè, quindi, si costituisce come ricerca di una visione "originaria". Compito difficilissimo (Husserl lo definiva impossibile ed inevitabile), l'esercizio dell'epochè non si deve tradurre in un'impossibilità di giudizio, ma nella consapevolezza che qualunque giudizio è parziale, soggettivo. Se applicata alla vita, all'esistenza, l'epochè si traduce in una continua ricerca dell'Originario, della Verità, una verità ulteriore, che si annida nel mondo, negli altri, negli oggetti, nei luoghi, in tutto ciò che forgia la nostra esistenza. Una verità che l'uomo può cercare, e che si annida nel percorso stesso di ricerca e riflessione, e soprattutto nella capacità di creare Relazioni autentiche.
In Tempo e verità Paci individua nell'epochè quasi un carattere religioso, criticando la ridotta disamina del concetto da parte di Heidegger e Lévinas, che lo considerarono come se fosse un metodo puramente gnoseologico.
-ERACLITO* Relazioni e connessioni: intero e non intero, convergente e divergente, consonante e dissonante. Non è però sufficiente conoscere questa struttura di interconnessioni che regola il mondo e la vita, ma è necessario praticare, nell'esistenza quotidiana, le conseguenze di tali relazioni.
Armonia come unità nascosta delle apparenti dissonanze.
L'io credo è morbo sacro.
Noi siamo e non siamo.
119
Ogni cosa è quello che è … solo se si oppone alle altre cose.
Il conflitto (polemos, logos, fuoco) è padre di tutte le cose e di tutti i re. Comunque anche il conflitto è relazione.
Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non immaginano e non sperano.
L'armonia nascosta vale di più di quella che appare.
Trastulli di bimbi sono le credenze degli uomini.
Immortali mortali, mortali immortali: viventi la morte di quelli, morenti la vita di questi.
Chi non spera non troverà l'insperato.
Produrre armonia mediante conflitto.
Questo cosmo né alcuno degli dei lo fece né alcuno degli uomini, ma fu sempre, ed è e sarà, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura.
Come cani abbaiano contro chiunque non conoscano.
Lo studiare molte cose non insegna ad avere intelletto.
Non è un bene per gli uomini che le cose vadano sempre come essi vogliono.
Non bisogna comportasi come figli dei padri.
Quelli che cercano l'oro scavano molta terra e ne trovano poco.
I porci godono del fango più dell'acqua chiara.
Demone è all'uomo la sua indole.
A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove.
Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo.
Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va.
L'uno è fatto di tutto e tutto discende dall'uno.
Tutte le cose sono uno scambio del fuoco (energia), e il fuoco (energia) è uno scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell'oro e l'oro uno scambio delle merci.
Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos (la sua relazione con l'universo?) .
La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.
Il sole è nuovo ogni giorno.
Il tempo è un bimbo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno.
Come gli dei e gli infiniti, pure gli uomini sono e non sono.
Tutto accade seguendo la legge della contesa (polemos) e della necessità (anankè) dice Eraclito escludendo però tychè (fortuna).
Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame e muta come il fuoco (l'energia).
Il principio e la fine non hanno motivo.
I più vivono come se avessero ciascuno una loro mente.
Gli uomini vivono in una specie di sogno ove credono di essere un individuo concreto e reale separato dagli altri.
Tutti gli esseri e me stesso siamo una sola cosa.
Il principio dell'eterno generare ama tenersi nascosto.
Anche la physis di Eraclito è simile al Tao: da tutte le cose l'uno e dall'uno (la natura) tutte le cose. E' energia diffusa in ogni essere vivente che lo fa crescere e lo nutre attraverso connessioni di contrari. Il tao e la physis non trascendono le cose. Sono invece la loro via. La natura ama nascondersi e opera secondo Logos: legare, mettere in rapporto (è saggio dire che tutte le cose sono una) e Syllapsis: riunire. Anche Polemos (il contrasto che però non è la stasi) è fondamentale per la natura.
La via del cielo è diminuire a chi ha in eccedenza e aumentare a chi non ha a sufficienza. La natura e il tao producono connessioni, rapporti che sono però anche conflittuali (logos -polemos). Armonia mediante conflitto! Si racconta che Eraclito "alla fine, preso dal fastidio degli uomini, se ne andò a vivere sui monti nutrendosi d'erba e di piante selvatiche".
La ben nota difficoltà per qualunque traduttore di Eraclito è riuscire a rendere le figure retoriche e combinatorie, i giochi di parole, le assonanze, le ambivalenze sintattiche e semantiche con cui questo autentico maestro della lingua greca ha espresso la ricchezza del suo pensiero. E' ovvio che è impossibile trovare espressioni equivalenti a un linguaggio di 2500 anni fa, che oltre tutto si collocava agli albori del sapere filosofico. Nello stesso tempo, ritengo sarebbe un grave danno interpretativo darsi per vinti ed effettuare una mera trasposizione verbale, rinunciando perlomeno allo sforzo di rendere qualcosa, anche solo un'ombra, della bellezza e densità dell'originale; tutte le traduzioni italiane a me note, del resto, hanno cercato di 'tradurre' al lettore moderno, e non solo 'tradire', lo spirito del testo eracliteo, questa sua linea di tensione alla ricerca della 'parola-forza' che veicoli potentemente un 'pensiero-realtà', un 'logos-legge'. Non importa quanto felici siano i risultati, basta almeno restituire il senso di una ricerca espressiva mirante a esprimere un mondo, il mondo. Certo, la polisemia dei termini eraclitei rende inevitabile in molti casi riportarli tra parentesi in greco, o addirittura lasciarli nel testo traslitterati.
Normalmente attribuiamo a Eraclito un concetto di logos, e a ragione. Egli sembra effettivamente aver sviluppato la nozione di una divinità pancosmica (o un mondo panteistico) dotata di un'anima cosmica e capace di parlarci e di insegnarci la verità . Tuttavia, egli lo chiama con molti nomi diversi, nessuno dei quali è esaustivo: logos, ethos divino, l'Uno sapiente, il Comune, l'Ambiente, e via dicendo (si potrebbe fare il confronto con le numerose parole e forme verbali usate da Parmenide per esprimere la sua nozione di Essere). Egli non ha mai tentato di raggiungere l'univocità o una corrispondenza biunivoca tra il suo linguaggio e il mondo esterno: più che descriverlo more geometrico, lo ha raffigurato, dipinto, rappresentato. (Mouraviev) =ESSERE* Per misurare quanto abbia pesato nella storia della filosofia occidentale il concetto di "essere" basti ricordare che da Parmenide a Heidegger esso ha costituito un tema ineludibile per quasi tutti i pensatori.
Per noi occidentali "essere" e "non essere" sono alternativi. Vi è chi sostiene l'uno (i sostanzialisti come Parmenide) e chi sostiene l'altro (i nichilisti come Gorgia). Per l'Oriente invece "essere" e "non essere" sono in relazione dinamica, sono complementari perché senza l'uno non ci sarebbe neppure l'altro. Anche Platone, nel Sofista, arriva a questa stessa conclusione (vedi anche Eraclito) Nello Shobogenzo di Dogen (XIII secolo) si legge: "Essere -tempo significa che il tempo è l'essere, l'esistenza è tempo. Il significato centrale dell'essere -tempo è che tutti gli esseri nel mondo intero sono in relazione reciproca e non possono mai essere separati dal tempo". Dunque esseri e cose esistono solo in quanto sono tempo e relazione. Fuori dal tempo e dalla relazione nulla può esistere. L'essere non è una somma di enti ma è un insieme di relazioni.
"Per noi orientali Vuoto è il nome più alto per indicare quello che Ella vorrebbe dire con la parola Essere" (Heidegger e il giapponese). L'essenza dell'essere è di non averne una, e non perché essa si nasconda nel lasciare apparire gli enti ma perché è presente in tutte le prospettive in cui si disperde e parla in ogni prospettiva in cui si dà. Che dell'essere non ne sia nulla significa che nulla è ciò che può esserne di lui. L'essere non è ciò in cui le interpretazioni (af)fondano le loro pretese di verità né il testo su cui si misura la loro fedeltà. Le interpretazioni sono l'essere di cui parlano. L'essere è il gioco in cui le interpretazioni misurano la forza che le sostiene: gioco di prevaricazione più che gioco della "verità. (Dionigi parlando di Nietzsche) Per quanto attiene al dualismo essere-non essere, il pensiero orientale è ricchissimo di prospettive che si intrecciano molto bene con meccanica quantistica e fenomenologia. Noi ci limiteremo qui a citarne un paio iniziando da quanto recita l'antico testo taoista del quinto secolo avanti Cristo intitolato Tao Tê Ching <<Essere e non essere si danno nascita tra loro>>. Anche J. Kirshnamurti scrive qualcosa di simile: <<Il fondamento è vuoto, è il vuoto>>. Questa ultima affermazione ricorda molto da vicino il pensiero Merleau-Ponty ove parla di filosofia senza fondamento (ab-grund, an-archè).
<<Qui, ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa tutt'uno, è il rovescio e il diritto del medesimo pensiero; la visione chiara dell'essere quale esso è sotto i nostri occhi -come essere della cosa che è tranquillamente, ostinatamente se stessa, poggiante su se stessa, non io-assoluto -è complemento o anche sinonimo di una concezione di sé come assenza ed elusione. L'intuizione dell'essere è solidale con una specie di negintuizione del nulla>>. Merleau-Ponty entra subito nel vivo della questione: essere e nulla non sono veramente due, sono solo due facce della stessa medaglia tant'è che: <<Colmare la fessura è in realtà scavarla […] il nulla si scava e si riempie con lo stesso movimento>>. <<Ma ciò non è forse dovuto al fatto che questo pensiero è inafferrabile? Esso comincia con l'opporre assolutamente l'essere e il nulla e finisce con il mostrar che, in un certo qual modo, il nulla è interno all'essere, il quale è l'unico universo>>.
Essere o non essere? Per Shakespeare sono due realtà opposte: l'una nega l'altra. Infatti bisogna scegliere fra vivere o morire. Situazione tipica del modo di pensare occidentale che si basa sempre e comunque sul principio del terzo escluso platonico -aristotelico. Merleau-Ponty va oltre: l'essere e il non essere non si escludono a vicenda. Ciò che è, non deve per forza annullare il nulla. L'essere è pieno di buchi, di tagli, di trasparenze. Dialettica fra l'essere e il nulla. Si avvolgono a vicenda. Ogni termine è valido solo se si rapporta al termine opposto.
<<La profondità dell'essere, che non è riconosciuta se non con la nozione di infinito [un fondo inesauribile dell'essere che non è soltanto questo e quello, ma avrebbe potuto essere altro (Leibniz) o è effettivamente più di quanto sappiamo (Spinoza, gli attributi sconosciuti)…>>. Sia in questo passo di Merleau-Ponty e sia nel precedente di Bohm sembra si stia parlando dell'Essere selvaggio, della "dimensione grezza dell'essere carnale precedente il costituirsi del soggetto e dell'oggetto". Importante anche ricordare che, qualsiasi cosa pensiamo dell'essere, noi, secondo Merleau-Ponty, ne siamo completamente dell'essere, lo viviamo, lo abitiamo, siamo istallati in esso. Ogni domanda che ci facciamo sull'essere è una domanda interna all'essere. Aristotele, Kant e altri filosofi elencavano le categorie dell'Essere presumendo di farlo dal suo esterno. Noi, sempre secondo Merleau-Ponty, siamo anche consapevoli che "nessuna risposta può dissipare il mistero del nostro rapporto con l'essere". Noi e l'essere siamo avvolti e coinvolti gli uni nell'altro. Noi diamo espressione all'essere con il nostro pensiero, con il nostro linguaggio innovativo e, d'altro canto, senza l'essere, noi non saremmo. Chiasma fra l'uomo e l'essere. Anche se l'essere rimane, per principio, non oggettivabile, profondo, multivoco. Infatti l'essere è animato da una profondità originaria che non ne permette una oggettivazione definitiva. L'essere rimane quindi sempre anche celato. Questa è anche una critica alla scienza moderna, alla sua fiducia un po' cieca nelle proprie elaborazioni.
Per Merleau-Ponty, l'Essere si rende visibile tramite gli enti: l'Essere è il "darsi a vedere" delle cose. L'Essere sboccia ovunque, sempre di nuovo, ripetutamente come fosse la natura a primavera. L'Essere zampilla, rinascendo ogni volta in forme sempre diverse, come una fontana libera e anarchica. L'Essere è multivoco e non oggettivabile e non si lascia facilmente catalogare.
Chiudiamo il discorso con un pensiero Merleau-Ponty: <<In quanto assolutamente opposti, Essere e Nulla sono indiscernibili>>.
Nel confronto con le tradizioni orientali, pensa Merleau-Ponty, per l'Occidente non si tratta di dismettere la propria identità -ciò che, del resto, sarebbe impossibilequanto piuttosto di riprendersela. L'esigenza di elaborare una nuova ontologia per "ritrovare il rapporto con l'essere" si accompagna quindi, né può essere altrimenti, a quella di "storicizzare" il pensiero dell'Occidente. Riaprire le possibilità di avere un rapporto diretto con l'essere prima che la razionalità, tagli, affetti l'essere a pezzettini. Ricordiamoci, ancora una volta, che noi ne siamo dell'essere come dice anche Merleau-Ponty. Vi è un avvolgimento fra l'essere e l'io perché l'io arricchisce, con il suo contributo, l'essere e, d'altro canto, senza l'essere non ci sarebbe alcun ego.
La nostra filosofia occidentale sta perdendo il rapporto originale con l'Essere che è stato invece fin dal suo inizio, un punto cardine: consideriamo, ad esempio, l'Apeiron di Anassimandro o la sfera di Parmenide. Prima di ogni filosofia, incontrando ciò che la realtà non è, oltre, fino a giungere a prima di un ego oggetto di conoscenza: il pre-riflessivo, quello che non è riflessione.
In occidente, partendo da Platone e Aristotele in poi, si è affermato e radicato il concetto logico-filosofico che l'essere e il non essere sono alternativi nel senso che una cosa-evento, un ente (quale può essere un uomo) può essere o non essere ma mai entrambe le cose insieme (principio del terzo escluso: tertium non datur). Noi occidentali (ad oggi praticamente quasi tutti gli abitanti della terra) li siamo rimasti. Ci siamo auto incatenati a questo dualismo che si rivela abbastanza efficiente dal punto di vista pratico ma non altrettanto da quello esistenziale visto che procura profonde angosce all'umanità che teme la morte (il non essere che annulla l'essere). L'antico pensiero orientale asseriva invece che non esistono né l'essere e neppure il non essere liberando, in tal modo, l'uomo (cioè l'io, l'ego) sia dal peso della vita che da quello della morte. In conclusione, dice l'antico pensiero orientale, non vi è essere né non-essere né unità né dualità. Che altro dire ancora? «L'Essere è generato dal Non -essere» dice il Tao Te Ching. Cosa significa? «All'inizio era il nulla». A nostro avviso questa affermazione non significa che il Nulla, come ente separato, sia dislocato in un tempo primordiale, ma significa che esso, come condizione di possibilità di ogni ente, è sempre «all'origine di ogni ente. In altri termini, ci sembra che la relazione tra Nulla ed enti sia analoga a quella tra Caos {huntun) e «ordini», per la quale il Caos non è la negazione o la assenza di ordine, ma la condizione di possibilità di ogni ordine. Ci sembra importante notare a questo proposito che il termine hunmang, normalmente reso con «Caos primordiale», sia stato di recente tradotto, molto opportunamente, con «Ordine Caotico Primordiale» Severino dice che Parmenide, quando afferma che solo l'essere è, nega l'esistenza delle singole cose. Quindi l'albero, la casa, la stella non sono (sono solo maya direbbero in Oriente). La tesi di Parmenide è che l'Essere è uno, immobile, isotropo (uguale in tutte le direzioni) e continuo mentre è la molteplicità illusoria.
L'essere è. Il non essere non è. L'Essere collegato alla Verità e il Non Essere collegato alla Non Verità. Un vero e totale dualismo, caro Parmenide! Poi arriva anche la semplificazione totale se aggiungi che il pensiero e l'essere sono la stessa cosa.
Essere, Verità, Realtà, Uno, Tutto. Non essere, Opinione, Apparenza, Molti, Nulla. Tutte vuote parole? L'essere è uno solo in quanto al concetto (eidos), e invece molteplice quanto all'evidenza dell'esperienza sensibile (energeia). (Proclo parlando del pensiero di Parmenide) E' come se in mezza al nostro essere ci fosse un non essere.
Anselmo d'Aosta e Cartesio dicono, nella prova ontologica, che esistere è meglio che non esistere senza però dimostrarlo. Per l'antico pensiero orientale invece essere e non essere non sono due valori opposti in cui uno è meglio dell'altro.
L'essere e il non essere si danno nascita fra loro. (Tao The Ching) Scrive Anassimandro nel primo frammento filosofico pervenutoci: « Principio degli esseri è l'infinito ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la dissoluzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo » oppure <<Da dove viene la vita degli esseri, là anche si compie, secondo una legge necessaria; poiché tutti debbono pagare reciprocamente il fio e l'ingiustizia nell'ordine del tempo>>.
Anche un canto rigvedico conferma: «Solo il Questo respirava immobile, non c'era altro. Allora non c'era né l'essere né il non essere, né l'aria né di sopra il cielo [...] non c'era né morte né immortalità, né giorno né notte. » Chi cerca è solo un concetto. Ciò che viene cercato è solo un concetto. Bisogna annientare i concetti nell'essere. Conosciamo i concetti ma non il silenzio.
Il senso autentico dell'essere non è la verità... è la vita! Il vero contrario del puro essere non è il nulla ma l'essere in concreto.
L'essere si fenomenizza.
Nessuna risposta può dissipare il mistero del nostro rapporto con l'essere.
L'essere e il non essere non si escludono a vicenda. Anzi! Dice Severino che nulla, di ciò che appare, appare così come è nel tutto; e tutto ciò che appare è immutabilmente nel suo concreto dimorare nel tutto. Nemmeno l'apparire, ossia la stessa comprensione astratta dell'essere, appare così come essa dimora nel tutto: la comprensione astratta dell'essere comprende astrattamente anche se medesima: l'apparire -in cui l'essere necessariamente si rivela -non coglie la concreta relazione in cui esso stesso si trova col tutto. Tutto ciò che appare (e dunque lo stesso apparire) differisce pertanto dall'essere: ma nel senso che ciò che appare è l'essere stesso in quanto astrattamente manifesto, ossia è l'essere stesso nel suo nascondersi nell'atto in cui si rivela. In Ritornare a Parmenide si dice appunto che ciò che appare è "l'esito di una comprensione astratta della totalità immutabile". Ciò che appare non aggiunge dunque nulla all'essere (cioè all'immutabile): appunto perché ciò che appare è l'essere. Eppure ciò che appare differisce dall'essere: appunto perché l'essere, apparendo, non si rivela in tutta la sua pienezza.
Il pensiero di Anassagora presenta analogie con quello di Empedocle, secondo cui nulla nasce e nulla perisce, ma nascita e morte sono solo termini convenzionalmente utilizzati dagli esseri umani per identificare mescolanza e disgregazione delle parti dell'Essere: "insieme erano tutte le cose e l'intelletto le separò e le pose in ordine". Il nous era stato quindi la vera causa del mondo e del divenire cosmico.
Tutto che si concepisce che è, non è più di quanto non è... (Cusano) La conoscenza cerca la totalità dell'essere, senza riuscirci mai! Infatti l'essere è così generale che nessuno lo potrà mai conoscere.
La differenza ontologica è così la differenza tra l'essere e l'esserci, ossia tra l'essere in quanto tale e l'essere in quanto astrattamente manifesto. [...] La differenza ontologica è un evento interno all'immutabile: l'apparire attuale, in cui si disvela l'eterno, è un momento dell'eterno."
La percezione sensibile umana coglie il divenire dell'essere. La intuizione mistica umana coglie la vera essenza dell'ESSERE.
Il palco che divide l'esistenza dalla non esistenza è molto instabile, ciò che non esiste non vuol dire che non c'è, come ciò che non c'è non vuol dire che non esiste. Attraverso questa separazione binaria dell'esistenza noi abbiamo costruito solo un criterio delle verità, sgretolando la conoscenza in tante briciole di menzogne. E' l'essere a parlare in noi e non noi a parlare dell'essere.
La razionalità fa a pezzi l'Essere! Infatti, per capirlo, lo divide.
Meditare è andare oltre … ove accade che l'essere è vissuto come non essere e il non essere è percepito come l'essere.
Dopo aver eliminato il mio essere ho eliminato anche il mio non-essere.
Gorgia scrive:
Nulla è; (ontologia) Se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile; (epistemologia) Se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile agli altri. (dialettica) Parmenide ribatte: solo l'essere è mentre il non essere non è.
Taoismo: Essere e non essere si danno nascita fra loro. Relazione dialettica fra essere e non essere presente anche nel Sofista di Platone.
Dice Nisargadatta (e sembra Merleau-Ponty): "Lo stupore di fronte all'infinita portata dell'essere nella sua inesauribile creatività e trascendenza, l'assoluta impavidità che nasce dalla scoperta della natura illusoria ed effimera di ogni modalità della coscienza. Riconoscere la fonte come fonte, l'apparenza come apparenza, e se stessi come la fonte, coincide con l'autorealizzazione". È nella natura dell'essere, vedere l'avventura nel divenire, come è nella natura del divenire cercare la pace nell'essere. Questo alternarsi di essere e divenire è inevitabile; ma la dimora è oltre.
Ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa tutt'uno, è il rovescio e il dritto del medesimo pensiero. Essere e non essere si danno nascita fra loro. In quanto assolutamente opposti, l'essere e il nulla sono indiscernibili, quando vediamo l'essere il nulla è subito là, e non al margine. (Merleau-Ponty) L'essere non è mai semplicemente uguale a se stesso ma è sempre anche altro da sé.
Egualmente, in verità, mio caro, tutte queste creature, pur nascendo dall'essere, non sono coscienti del fatto che provengono dall'essere. Tutte quante, che siano tigre o leone, lupo o cinghiale, verme o farfalla, mosca o zanzara, qualunque cosa esse siano, mantengono la loro individualità. (Chandogya Upanishad) Ciò che percepiamo è l'Essere sempre intrecciato con il Non Essere. L'Essere infatti è pieno di buchi, di fessure, di trasparenze che svelano il Non essere. Ma l'Essere è più grande di quanto percepiamo in quanto l'Essere non si rivela mai in tutta la sua essenza che è l'Assoluto. Assoluto che non percepibile né dai sensi, né dai concetti e neppure dalle idee. Assoluto chiamato Brahman dagli induisti, Apeiron da Anassimandro, Dharmakaya dai buddisti (tra i quali primeggia Nagarjuna -150 d.c. -e la sua dottrina Madhyamika -Via di mezzo ove si afferma che ogni fenomenoevento sia fisico che mentale, è di per sé vuoto -anatta ed ha un senso solo in rapporto a tutti gli altri fenomeni -eventi senza per questo dar luogo a dualismo). L'Assoluto è altresì chiamato Uno da Plotino, Tao dai Cinesi e Nagual dagli sciamani atzechi come ci racconta Don Carlos Castaneda.
-ETICA DELLA RELAZIONE* La tradizione cristiana parte da un "Ama il tuo Dio e quanto più amerai il tuo Dio, non ucciderai". In essa è presente una derivazione dall'alto. Io non uccido te in nome di Dio, mentre in Oriente io non uccido te in nome tuo o in nome di quella relazione per la quale, se io uccido te, uccido una parte di me stesso.
(Pasqualotto)
Può esistere una morale che non si basa sull'io, sulla sua libertà, sulla sua responsabilità, sul premio e sulla pena?
L'antico pensiero orientale si basa sul fatto che, se si capisce e si penetra a fondo l'interdipendenza di ogni fenomeno con ogni altro fenomeno, se si comprende la stretta relazione di tutto con tutto e, di conseguenza, di tutti con tutti, non si compie soltanto un'operazione intellettuale, ma anche un'operazione etica che ci mette nelle condizioni di mutare il rapporto con gli altri esseri. Quando si realizza che ciascun essere dipende dagli altri esseri, si capisce anche chiaramente che il comportamento compassionevole risulta necessario per la sopravvivenza di tutti. Infatti il bene di uno solo a scapito degli altri non porta da nessuna parte mentre una buona relazione giova a tutti visto che tutto è interconnesso con tutto. Dall'etica di Budda fino al teorema matematico di John Nash "nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme" e ai recenti neuroni specchio, il messaggio che ne esce è sempre uguale: facciamo tutti parte di uno stesso tessuto d'insieme ed è quindi naturale e spontaneo aiutarsi a vicenda. Questa è l'etica della relazione. Come ben si comprende, qui non sono necessari premi e punizioni per incentivare un io recalcitrante a fare il bene e ad evitare il male ma ciò viene spontaneo in base a un rapporto di profonda empatia con tutti e con tutto.
Ognuno di noi non è nessuno se non sa di essere figlio della propria madre e del proprio padre, fratello della propria sorella, del proprio fratello, nipote del proprio nonno, e dei propri zii. Chi siamo noi indipendentemente da questa rete di relazioni? (Antico detto cinese) F -FAZANG * Nato nel 643 in Cina scrisse il Trattato sul Leon d'oro dove si celebrano sue concetti fondamentali quali l'interconnessione i tutti gli elementi della realtà e la relazione fra l'uno e i molti: non c'è mare senza onde e non ci sono onde senza mare! L'Uno (l'oro) (Li) e i Molti (il leone) (Shih) "sono" nel senso che ciascuno è qualcosa di definito che non si confonde con l'altro; ma, contemporaneamente, "non sono" nel senso che ciascuno, per sussistere come qualcosa di definito, ha bisogno dell'altro.
La mente (xin) di Fazang e l'anima (psyché) di Platone funzionano come un "campo" in cui interagiscono -distinti ma complementari -i due poli opposti denominati Li (Uno) e Shih (Molti) da Fazang e on (essere) e me on (non essere) da Platone.
-FELICITA'*
Sii felice
Se vuoi dare felicità, sii felice! Cogli l'Unico che tutto muove E rimetti tutto a Lui Astieniti dal desiderio e dalla paura Abbandona ogni controllo E ogni senso di responsabilità "Non avere fame, non avere sete, non avere freddo. Chi gode di questo stato può rivaleggiare in felicità con dio stesso" dice Epicuro. Questo è il piacere catastematico cioè durevole e tipico di chi si accontenta del poco: non si deve sciupare ciò che si sta godendo con ciò che ci manca! Non bisognerebbe avere rimpianti. Non disturbare la perfezione, la divinità dell'attimo presente con la tensione ansiosa verso il futuro o con il rimpianto malinconico verso il passato.
La felicità è qualcosa di individuale. È una sensazione positiva, piacevole, che appartiene all'io. La gioia appartiene invece a una condizione che riguarda il noi: l'io insieme all'altro, la relazione. Si trasmette e la si riceve, ma riguarda sempre un insieme di relazioni. Apparteniamo a una società troppo complessa perché non venga considerata la condizione degli altri. Come fa uno a essere felice se ogni giorno vede persone che soffrono? Capita, a volte, di essere felici senza sapere il perché... spero che possa capitare a tutti voi! La felicità è direttamente o inversamente proporzionale alla conoscenza? Insomma è più felice chi sa o chi ignora..?
La felicità non è qualcosa di già pronto che trovi per caso o che compri o che qualcuno ti regala. Proviene dalle tue azioni, dalle tue relazioni e dalle tue sensazioni.
La felicità totale, la beatitudine, risulta del "vivere l'Indicibile"-in realtà non definibile -di cui parlavano S. Francesco: essere completi in sé stessi, implica non desiderare più nulla. Il bene ed il male appaiono come ombre indissolubili.
La felicità, la possibilità di vivere una vita felice è strettamente dipendente dalla nostra natura: saremo felici nella misura in cui sapremo realizzare la nostra natura, ciò che noi siamo veramente.
La vita perfetta è la vita del pensiero e della verità (questo pensano i filosofi greci). Noi siamo il nostro intelletto che è parte dell'intelletto divino (dualismo?) infatti una parte della nostra anima non è mai discesa in terra ma è sempre rimasta nell'intellegibile, nel mondo delle idee (questo dice Plotino). Platonicamente noi siamo la nostra anima razionale! Ogni individuo persegue sempre quello che egli crede essere la sua felicità.
Il principio della massima felicità di Bentham dice: "Coloro che insegnano la moralità del sacrificio vogliono che gli altri si sacrifichino per loro". L'uomo è l'essere che necessità di un onorevole futuro per poter vivere nel presente.
Tutti cercano la felicità, ma credono di trovarla per mezzo di oggetti o di persone esterni. La presenza del vero Sé è la sola, vera felicità.
Dicono esista l'uomo più felice della terra: sarebbe il monaco buddista Ricard . Perché è felice? L'unica risposta che si dà è "l'altruismo": la sua beatitudine risiede nella sua capacità di disinteressarsi a se stesso, ai suoi problemi, ai suoi pensieri. Riesce a non concentrarsi sul suo ego, fonte di infelicità, stress e negatività. "Dire sempre 'io', 'io', 'io', tutto il giorno è deprimente. Ed è una condizione infelice, perché riduce tutte le cose belle presenti a semplici strumenti".
-FENOMENOLOGIA* Quattro parole segnano la fenomenologia: il fenomeno -l'apparire (l'apparenza) -la coscienza -la relazione (interdipendenza senza alcuna realtà isolata). Cioè, a dire, il fenomeno è l'apparire alla coscienza di una profonda relazione! "La mia è una fenomenologia relazionistica che vorrebbe tener conto di tutta la storia del pensiero fenomenologico e superare l'esistenzialismo". (Paci) La fenomenologia è la filosofia della coscienza in quanto scienza delle essenze che trova il suo fondamento nell'originaria e primigenia coscienza.
La filosofia, vista storicamente, è la coscienza che si sviluppa. Dove c'è coscienza, lì c'è filosofia.
Le cose esterne sono, in ultima analisi, eventi della mia coscienza compresa la materia.
Se ogni fenomeno è in divenire significa che ogni fenomeno è impermanente, un processo transitorio. Ma anche ogni attimo è impermanente! Cosa resta? Nulla di nulla: anche lui impermanente.
La fenomenologia era per Husserl il ritorno alle "cose stesse" -spiega Paci in un fondamentale articolo di "Aut Aut" del 1957 -ma non è facile comprendere cosa intendesse Husserl per la "cosa stessa". La 'cosa' non consegue al giudizio: è anteriore al giudizio sul mondo, alla separazione 'giudicativa' tra soggetto e oggetto.
La fenomenologia di Husserl ci invita a ritornare alle cose stesse superando le parole che sono solo dei surrogati della realtà. Distinzione fra noesis (l'atto mentale) e noema (il fenomeno a cui l'atto è diretto). Merlea-Ponty va oltre questa distinzione. Però non dobbiamo separare le cose da come esse ci appaiono: l'importanza dell'apparenza! Il compito della fenomenologia è quello di analizzare ciò che appare alla coscienza nel suo apparire: il fenomeno. Si deve tener conto della maniera soggettiva dell'apparire del fenomeno: non abbiamo mai a che fare con le cose senza tener conto del loro modo di apparire soggettivamente.
Rapporto di correlazione tra il soggetto e le cose. La fenomenologia è indagine di correlazione. Kant parla del fenomeno e del noumeno. Nietzsche, rifacendosi a Kant, dice che la cosa in sé non è conoscibile mentre solo il fenomeno appare alla nostra coscienza.
La coscienza è riferita ad oggetti ed è sempre coscienza di qualche cosa.
Intendere è tendere verso qualche cosa e questo è ciò che fa la coscienza verso le cose. Husserl usa il termine "evidenza" per dirci della intenzionalità della coscienza: seguire la tensione verso l'evidenza.
Descrizione, semplice descrizione dell'evidenza senza pregiudizi. Dobbiamo ridurre l'essere degli oggetti al loro apparire soggettivo e contingente per l'uomo; questa è la riduzione fenomenologica, la riduzione dell'essere degli oggetti al loro apparire.
Abbiamo poi l'epochè husserliana che è la sospensione del giudizio riguardante l'essere degli oggetti indipendentemente dalla coscienza.
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La fenomenologia resta un processo di lavori in corso e di costante rinnovamento. L'essere è l'apparire in senso fenomenologico.
Husserl filosofo trascendentale: Kant scrive: « Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori ».
La fenomenologia è analisi della coscienza intenzionale e non si da alcuna coscienza intenzionale che sia isolata. Un oggetto qualsiasi non è mai isolato ma è una potenzialità della mia coscienza. Non è mai isolato in quanto un vaso, ad esempio, mi rimanda alla terra di cui è fatto, al fuoco che l'ha cotto, all'acqua che può contenere o all'aria che lo riempie quando e vuoto …. Un contesto di continui rimandi husserliani. Gioco di rimandi che formano un orizzonte per Husserl.
Gli orizzonti, a loro volta, rimandano ad altri orizzonti. E tutti gli orizzonti di orizzonti formano il mondo in senso fenomenologico.
Non è più il mondo come insieme di cose una accanto all'altra ma irrelate: non è il grande contenitore con dentro tutte le piccole cose separate l'una dall'altra. No, l'orizzonte di orizzonti (e quindi di rimandi) è il mondo della vita (LEBENSWELT).
Anche il mondo che la scienza pretende di indagare in maniera vincolante, questo grande oggetto contenete tutti gli oggetti, ebbene anche questo presunto mondo scientifico si riferisce all'apparire.
Ricordiamo ancora che un oggetto qualsiasi non è mai isolato ma è una potenzialità della nostra coscienza nel suo apparire ad essa.
Nel Buddhismo ogni fenomeno sorge e sparisce in dipendenza di qualche altro fenomeno. Ovvero: ogni fenomeno è, contemporaneamente, condizionato e condizionante, per cui deve essere sempre considerato in relazione, e mai come realtà isolata. Certo, può essere considerato isolatamente se lo si astrae dalla rete di relazioni in cui è inserito, ma una tale operazione di isolamento risulta legittima solo se viene effettuata sapendo che essa consiste in una parziale e contingente "estrazione" di parti da un tutto organico: ogni "estrazione" di una parte è possibile solo a condizione che non si dimentichi mai la sua natura di parte, ossia il fatto che la sua qualità intrinseca è di essere priva di sostanzialità, di essere senza sé (anatta) e di essere impermanente (anicca).
La fenomenologia opera una rivoluzione fra apparenza e realtà: è una ontologia del nuovo, dell'apparire. Alla base della rivoluzione fenomenologica c'è l'idea che i fenomeni (gli aspetti apparenti ed esperibili delle cose) lungi dall'essere mere apparenze, portano all'esistenza e alla luce cose nuove rispetto ai costituenti di base di cui pure ogni cosa è fatta.
Così la melodia è cosa nuova rispetto ai suoni che la costituiscono, una persona è una cosa nuova rispetto all'organismo che la costituisce, il mondo della vita pullula di cose nuove rispetto alle basi fisiche.
Kant scrive che i sensi non sbagliano, non ingannano. Con ciò vuol significare non che giudichino in maniera sempre corretta ma, più semplicemente, che non giudicano. Su questa posizione fu seguito da Goethe, Mach, Nietzsche e dal fenomenalismo (o fenomenismo: la concezione per cui gli oggetti fisici non esistono in quanto cose in sé, ma solamente come fenomeni percettivi o stimoli sensoriali; da non confondere con la fenomenologia) che sostiene che le sensazioni (dalle quali derivano i concetti e dai quali derivano le parole) sono all'origine della conoscenza e non il meccanicismo newtoniano o la pura logica.
-FIBONACCI*
Leonardo Fibonacci è stato uno dei più grandi matematici di tutti i tempi. Nacque a Pisa intorno al 1175 e imparò la matematica seguendo il padre che era il rappresentante dei mercanti pisani nella città portuale di Bejaia, in Cabilia, ora una regione dell'Algeria. Oggi sembra fantapolitica, ma nei «secoli bui» del medioevo per un cristiano era normale vivere in un paese musulmano senza timore alcuno che qualche fanatico potesse tagliargli la gola in quanto infedele.
In Cabilia il giovane Fibonacci venne a contatto con la matematica, la geometria e l'algebra araba, in parte derivata da indiani e persiani, a quel tempo di gran lunga più sviluppata e approfondita di quella europea.
Fibonacci, però, non si limitò ad apprendere gli insegnamenti dei grandi matematici arabi, ma andò oltre sviluppando sue proprie teorie in un libro fondamentale per la diffusione della matematica nella cultura occidentale: il Liber Abaci, pubblicato nel 1202.
Tra le altre «cosucce» contenute nel Liber Abaci (come l'introduzione del concetto del numero zero e della numerazione decimale in Europa, il calcolo degli interessi, la conversione di misure diverse), viene per la prima volta riportata una serie di numeri che sarà chiamata Sequenza di Fibonacci o Numeri di Fibonacci.
Partendo da 0 e da 1, ogni numero successivo è la somma dei due precedenti. Quindi i primi numeri della sequenza sono 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 243 ecc. Un semplice giochino matematico? Assolutamente no, perché il rapporto di un Numero di Fibonacci con quello che lo precede tende rapidamente a 1,61803... (è un numero irrazionale) che è il rapporto della sezione aurea (che, tra le varie definizioni, è pari al rapporto tra la diagonale e il lato di un pentagono regolare, come avevano scoperto già alla Scuola Pitagorica greca oppure è pari al rapporto fra la diagonale di un mezzo quadrato sommata alla metà del lato del quadrato e il suo lato intero).
In arte e in architettura la sezione aurea descrive il rapporto più bello ed estetico che esista: utilizzato già da Fidia per le sue statue armoniose, lo si ritrova anche nell'Uomo vitruviano di Leonardo. Sembra che sia stato utilizzato sia per costruire le piramidi che il Partenone. Anche la struttura dell'uovo rispetta questo rapporto.
I Numeri di Fibonacci sono una costante anche in natura. Per esempio le spirali dei semi di girasole sono disposte secondo i Numeri di Fibonacci, così i petali di alcuni fiori (rose, gerani) e le scaglie dell'ananas, le spirali delle conchiglie dei Nautilus (e delle estinte ammoniti) e delle galassie.
Da rimarcare anche che i rettangoli (in base ai quali venne costruito l'ottagonale del misterioso Castel del Monte da parte di Federico II) hanno come rapporto fra i due lati il mitico numero aureo della successione di Fibonacci. Puro caso?
Lo zero, introdotto in Europa da Fibonacci, era sempre stato rifiutato dalla nostra civiltà perché assimilabile al nulla, al tanto temuto non essere! Lo zero nasce in India sulla base del concetto di vuoto (sunya) e viene poi diffuso dagli arabi in tutti i loro territori.
-FILOSOFIA * Il termine filosofia viene creato forse da Pitagora o forse da Eraclito. Pasqualotto propende per questa seconda ipotesi. Comunque la parola significa ricerca della saggezza per entrambi (dove l'accento è posto sulla ricerca).
Con la chiusura dell'Accademia platonica di Atene nel 529 per imposizione militare di Giustiniano i filosofi greci fuggono in Persia e la filosofia passa nei monasteri e diventa teologia con una morale tipicamente cristiana.
Parmenide afferma che solo l'essere è. Gorgia invece dice che solo il non essere è. I due si contraddicono platealmente. La stessa faccenda capita spesso in filosofia. Per tale motivo un mio carissimo amico si proclama deluso dalla filosofia: come ci si può interessarsi a una materia ove non c'è una verità certa? In realtà proprio questo è il bello della filosofia! La filosofia vuole insegnare a pensare in proprio, a dubitare, per poter concludere che: "è anche così ma non è solo così". La filosofia è dubbio! Noi uomini invece abbiamo una idiosincrasia per il dubbio: vogliamo solo certezze. Una cosa, un concetto, o è così o non è così: una donna o è in cinta o non è in cinta, non può essere leggermente in cinta! Siamo tutti vittime inconsapevoli del principio eleatico platonico aristotelico del terzo escluso: un ente non può, nello stesso tempo, essere e non essere, o è oppure non è. Dimentichiamo però di utilizzare il concetto fondante del prospettivismo molto caro sia all'antico pensiero orientale che alla meccanica quantistica. Questo principio ci insegna che la verità è prospettica e probabilistica. Prospettica significa che la verità su un dato ente si ottiene solo e unicamente sommando gli infiniti diversi punti di vista rispetto a quell'ente. Probabilistica significa che la verità intorno alla posizione delle particelle subatomiche (quali sono gli elettroni) non è tipo duale (l'elettrone, in un dato momento, o è qui o non è qui) ma è molteplice contemporaneamente: l'elettrone può essere nel punto A con la probabilità di x su mille, può essere nel punto B con la probabilità di Y su mille und so weiter … DUBITATE GENTE! DUBITATE! Bisogna in primo luogo che la filosofia riconosca la finitudine umana e non la fugga, e fondi il valore della vita umana proprio sulla finitezza propria dell'uomo. È dovere dell'uomo impegnarsi nella propria vita. La morale è tutta qui: è scelta, decisione, impegno per il proprio destino. Anzi, in un certo senso l'esistenzialismo riscopre la morale platonica "fare ciascuno il suo". Fare ciò che è nostro: essere la nostra sostanza. Così tutti noi, essendo noi stessi, possiamo autenticamente coesistere.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma è ciò che siamo. (Pessoa)
La filosofia è il pensiero in cui si autorivela l'Essere nella sua originaria indivisione (Brahaman, Apeiron, Dharmakaya, Uno, Tao, Nagual) e nel suo infinito strutturarsi in forme e figure.
La filosofia come scienza rigorosa: il sogno è finito. Questo dice Husserl che poi aggiunge che bisogna liberarsi da ogni presupposto quali credenze comuni di tipo scientifico o filosofico sospendendo il giudizio anche rispetto all'esistenza del mondo e alla dualità fra soggetto e oggetto. Si pone anche la realtà tra parentesi perché nulla è scontato. Il mondo acquista significato solo attraverso l'io. L'io però richiede gli altri e il mondo (visto che è relazione).
Con il termine esistenzialismo si intende (solitamente) una esplicita volontà di rottura con la tradizione dell'intellettualismo della filosofia occidentale (si pensi alla invettiva anti-socratica di Nietzsche o a quella anti-hegeliana di Kierkegaard).
La filosofia è reimparare a vedere il mondo. (Merleau-Ponty)
La filosofia è piena di ossimori, di aporie, di antinomie ... e questo la rende interessante.
Nessuno è ancora riuscito a trovare una filosofia che sia al tempo stesso credibile e coerente! La filosofia si occupa dell'intero mentre la scienza si occupa della parte. La filosofia è dunque meta-scientifica.
La filosofia è l'interrogativo sparso nello spettacolo del mondo. (Merleau-Ponty)
La filosofia è l'arte di contraddirsi reciprocamente senza annullarsi ma, al contrario, arricchendosi.
La comparazione filosofica produce un trasformazione sia nei termini comparati sia nel soggetto che compara.
I problemi fondamentali della filosofia non sono fattuali ma semantici (significato delle parole). Questa pare essere l'opinione di Wittgenstein.
Filosofare è andare oltre il "senso comune". Anche quando questo sembra credibile.
Filosofare è mettere in discussione tutto ciò che ci è stato insegnato: nulla escluso.
Filosofare è provare empatia per le persone e per il mondo, nonostante tutto. Siamo tutti filosofi. Vi è però il buon filosofo che sa di aver una visione approssimata della realtà mentre il cattivo filosofo non si rende neppure conto di avere un visione della realtà perché la scambia con realtà stessa.
Filosofia comparata come liberazione dall'allucinazione dei dogmi e totem culturali in cui si vive; filosofia comparata come temperanza intellettuale; filosofia comparata come sguardo globale e non settario, fuori da qualsiasi centrismo, provincialismo, esotismo. Una filosofia comparata più intenta a contemplare la bellezza e la profondità del mare, che non a misurarne l'altezza delle onde. Pasqualotto però dice che volendo sostituire la formula «filosofia comparata», pensa che si possa sostituirla con «filosofia come comparazione».
Le tre questioni indecidibili del Budda: il mondo è finito o infinito? Che cosa succede all'anima dopo la morte? Esiste o non esiste l'Assoluto? Nessuno può rispondere ne ora e ne mai.
Kant e le quattro antinomie: il mondo è finito o infinito? La materia è divisibile all'infinito o esisto parti indivisibili? Esiste la libertà oppure è tutto determinato? Esiste un essere necessario che è causa del mondo?
Tutto è relativo è una contraddizione nei termini diceva Russell. Infatti tutto è un assoluto e un assoluto non può essere relativo. Russell parla sempre da logico.
La filosofia ci aiuta a diventare più consapevoli e critici nei confronti della nostra esperienza.
Il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla, e l'uomo ha in sé, silenziosamente, i paradossi della filosofia, perché per essere davvero uomo bisogna essere un po' più e un po' meno che uomo. (Merleau-Ponty) La filosofia sembra avere il segreto desiderio e scopo di giungere al suo compimento mediante la dissoluzione di tutte le contraddizioni, per ottenere la completa trasparenza di sé nell'autocoscienza, per poter un giorno giungere a proclamare il compimento dei tempi e la fine della storia (Hegel). Questo segreto progetto, forse addirittura inconscio, sembra riverberarsi dalla filosofia alle altre forme culturali (scienza, religione, ecc.), le quali si contendono, assieme alla stessa filosofia, lo scettro di detentrici della conoscenza della vera essenza della realtà.
In ogni esperienza di liberazione vi è una forte componente di violenza. Pensiamo all'immagine platonica della caverna: il filosofo libera gli schiavi incatenati con violenza. E LA VIOLENZA E' TIPICA DI OGNI PRESUNTO ASSOLUTO.
Il filosofo è mezzo scienziato, mezzo artista e interamente sacerdote. (Emo) Non possiamo vivere senza essere assoluti, non possiamo vivere senza essere relativi.
In filosofia non ci dovrebbe essere necessità alcuna di una autorità a cui conformarsi. (Galilei)
La filosofia insegna la relatività di tutti i fondamenti.
La filosofia è un'anticipazione dei pensieri e delle pratiche future. Ha la funzione d'inventare le condizioni dell'invenzione. (Serres) Senza la misericordia, gli altri lasciti non valgono niente. Sì, la filosofia ha fatto il pieno di sophia, scienza e intelletto, ma, strana mezza misura, non ha ancora cominciato a provare, con amore, philia. Il sapere e la totipotenza (da una singola cellula a un intero organismo) non possono fare a meno di una infinita pietà. Altrimenti, divengono mostruosi. Dunque, sarà l'amore ad assicurare la felicità individuale e la sopravvivenza collettiva anche e ancor di più nell'era dell'antropocene. (Bellusci) I sistemi filosofici cambiano come i costumi, le religioni e le disposizioni. Così essi si mostrano come prodotti storicamente condizionati. (Dilthey) La filosofia deve cercare la connessione interna delle sue conoscenze non nel mondo ma nell'uomo. (Dilthey) I filosofi dellʼavvenire, gli spiriti liberi, non saranno dogmatici e non avanzeranno pretese di universalità sulle proprie deduzioni, accettando in questo modo lʼalterità e la contraddittorietà e permettendo alla conoscenza di mutare senza costrizioni. I filosofi dell'avvenire sono simili allʼartista anche per lʼatteggiamento leggero e gioioso che seguirà dal loro modo di approcciarsi alla conoscenza: non essendo filosofi dogmatici non saranno appesantiti da pretese di universalità e potranno utilizzare gli strumenti della scienza per formare una gaia scienza. Questo pensa Nietzsche.
Non è qui il caso di indugiare a stabilire se abbia avuto ragione Hegel a considerare il pensiero orientale una forma di pensiero infantile, non ancora pienamente sviluppato, o se abbiano avuto ragione molti pensatori cinesi e giapponesi a considerare la passione per la teoria una malattia infantile che colpisce la vita dello spirito spesso con esiti anche letali. Di fatto il pensiero orientale, almeno per quanto riguarda quelle sue espressioni sedimentate nei testi taoisti classici e nei testi prodotti dalla tradizione del buddhismo chan e zen, mostra una radicata e costante diffidenza nei confronti delle pretese avanzate dall'impulso a fare teorie, e manifesta invece un'altrettanto radicata e costante predilezione per tutti quei modi e tutte quelle circostanze in grado di produrre un rapporto diretto con l'esperienza, privo di mediazioni intellettuali e culturali. Il rapporto con la realtà è quindi preferito al rapporto con i concetti, o almeno con quei concetti che pretendono di sostituirsi alla realtà.
Secondo Dilthey, la filosofia della filosofia è la capacità di ripercorrere la storia filosofica senza cadere nel dogmatismo o nel relativismo e tenendo sempre presente l'impossibilità di pervenire ad una definizione univoca dell'essenza della filosofia.
L'idealismo della libertà e della personalità, secondo Dilthey, annovera tra i suoi estimatori il trio delle meraviglie Socrate, Platone e Aristotele. Ebbe anche dalla sua la più antica filosofia cristiana con Paolo di Tarso nonché il grande Kant (devi quindi puoi!). Questa concezione filosofica è contraria sia al panteismo che al naturalismo (l'uomo è determinato dalla natura essendone parte) che ebbe invece grande successo presso Democrito, Protagora, Epicuro, Lucrezio, Carneade, Hobbes, Hume e Comte. Ma il pensiero cristiano fu anche contro l'idealismo oggettivo (Uno -tutto deterministico in quanto il singolo è determinato dalla totalità) di Averroè, Cusano, Giordano Bruno e Spinoza. Anche Eraclito, Parmenide e gli stoici seguirono l'idealismo oggettivo insieme con Leibniz, Schelling e Hegel.
Il positivismo logico è una corrente filosofica nata nella prima metà del 1900 con il circolo di Vienna e basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico della scienza (rigore che poi, forse, non esiste). Centrale in questa corrente filosofica è il cosiddetto principio di verificazione secondo il quale un singolo enunciato o una singola proposizione, se non possono essere verificati, sono profondamente privi di senso anche se magari non sono falsi.
La filosofia è il costante tentativo di fornire soluzioni sempre mutevoli all'enigma della vita. La filosofia non è dunque la risoluzione sistematica di un qualche problema ma piuttosto essa rappresenta l'atteggiamento dell'uomo di fronte all'enigma della vita. Dobbiamo rendere la filosofia stessa oggetto della filosofia. (pensiero di Dilthey) Per Severino tutto è eterno. Non basta: solo in superficie si crede che le cose vengano dal nulla e che nel nulla alla fine precipitino, perché nel profondo siamo convinti che quel breve segmento di luce che è la vita è esso stesso nulla. È il nichilismo. È l'omicidio primario, l'uccisione dell'essere. Ma è una contraddizione: ciò che è non può non essere, né può essere stato o potrà mai essere nulla. Una contraddizione che è la follia dell'Occidente, e ormai di tutta la terra. Una ferita che necessita di numerosi conforti, dalla religione all'arte, tutti affreschi sul buio, tentativi di nascondere, medicare il nulla che ci fa orrore. Per fortuna ci attende la Non Follia, l'apparire dell'eternità di tutte le cose. Noi siamo eterni e mortali perché l'eterno entra ed esce dall'apparire. La morte è l'assentarsi dell'eterno. Abbiamo tutti nel sangue il nichilismo. (...) Tutto è eterno significa che ogni momento della realtà è, ossia non esce e non ritorna nel nulla, significa che anche alle cose e alle vicende più umili e impalpabili compete il trionfo che si è soliti riservare a Dio.
La filosofia (la civetta di Atena) è lo Spirito Assoluto che pensa a se stesso tramite l'autocoscienza umana. (Hegel) Tra le cause che alimentano continuamente lo scetticismo, una delle più importanti è l'anarchia dei sistemi filosofici. Tra la coscienza storica della loro illimitata molteplicità e la pretesa, di ciascuno di essi, di possedere una validità universale sussiste una evidente contraddizione che rinvigorisce gli scettici.
Sconfinata, caotica, la molteplicità dei sistemi filosofici sta dentro e fuori di noi. In ogni epoca, da quando esistono, essi si sono combattuti ed esclusi reciprocamente come fossero dei bambini litigiosi. E, probabilmente, così sarà per molto tempo ancora.
Con ogni verosimiglianza né Parmenide né Zenone o Melisso ebbero la più vaga idea di ciò che in epoche successive cominciò ad essere chiamato 'filosofia', e perciò non ebbero nemmeno la possibilità di delineare una loro filosofia. Così essi possono essere stati, al massimo, dei filosofi inconsapevoli e involontari, dunque meramente virtuali dunque Filosofia Virtuale. L'epiteto 'virtuale' serve dunque, anzitutto, a ricordare a noi stessi che tanto Parmenide quanto Socrate e molti altri presocratici furono filosofi in maniera del tutto inconsapevole e involontaria per la semplice ragione che non seppero -anzi, non poterono nemmeno desiderare -di essere filosofi.
I contrasti che si instaurano tra i diversi sistemi metafisici non sono da attribuire ad una presunta incapacità dell'uomo e della sua ragione quanto, piuttosto, al fatto che ognuno di tali sistemi è fondato sulla multiformità della vita e, poiché la vita non può mai essere colta nella sua interezza, ogni sistema riesce a rendere ragione solo per alcuni parziali aspetti sempre in riferimento al contesto storico e sociale. I filosofi sono persone strane che creano i problemi dal nulla e che, poi, non sono capaci di risolvere.
La metafisica è un'illusione, una malattia infantile e infettiva del pensiero e del linguaggio. (Odifreddi) "Filosofia è l'amore per ciò che sta in luce penetrando l'oscurità delle cose" dice Severino.
Il mito guarda la parte mentre la filosofia guarda il tutto: "principio di tutte le cose è l'acqua" dice, ad esempio, Talete. C'è qualcosa di identico nella diversità delle cose: l'archè.
La filosofia nasce come cosmologia: si interroga su quale è l'ordine del mondo e quale è il ruolo dell'essere umano in questo mondo. Dunque dualismo fra uomo e cosmo.
Sostanza, essenza, causa ed io. Su questi quattro concetti si basa la filosofia. Peccato però che si tratti di quattro aporie! La cosa più feconda che può capitare a un filosofo è di sbagliare.
Le filosofie sono opere d'arte che regalano immagini del mondo: di quel qualche cosa che percepiamo ma che non conosciamo.
Il valore della filosofia è pensare l'impensato.
Il legame tra l'uno e il molteplice, tra il fisico e il metafisico, tra apparenza e realtà. Questa è la sfida e il dramma perenne dell'essere umano sia come persona singola che come collettività.
Ogni uomo ha un suo sogno: questo sogno è la sua filosofia. (Martinetti)
L'uomo che ha gustato una volta i frutti della filosofia, che ha imparato a conoscere i suoi sistemi, e che allora, immancabilmente, li ha ammirati come i beni più alti della cultura, non può più rinunciare alla filosofia e al filosofare. (Husserl) La pretesa della metafisica di offrire una spiegazione assoluta e globale della realtà è illegittima essendo essa stessa un prodotto storico. Non vi sono filosofie che valgono sub specie aeternitatis. Sofismo e Illuminismo: saper mettere in dubbio le proprie convinzioni basate sulla tradizione e sull'autorità. I sofisti però sembrano mettere in campo una specie di prostituzione della cultura facendosi pagare (prima la filosofia era stata solo aristocratica).
Tommaso Campanella (1568) dice che il sentire è farsi oggetto. Le cose comunicano fra di loro con immediatezza e tutto è in tutto.
L'interpretazione realista del platonismo afferma che il nome rappresenta la natura stessa della cosa designata: stretta corrispondenza fra pensiero e realtà. In conclusione che rapporto c'è fra voces e res, fra le parole e le cose, fra linguaggio e realtà, fra pensiero e essere?
Gli universali sono ante rem come le idee platoniche (realismo di Guglielmo di Champeaux e di Duns Scoto)? Sono nelle cose (come dice Aristotele) e la nostre mente da qui li estrae e li generalizza (in re -realismo moderato di Abelardo e di Tommaso)? O infine questi universali sono solo nella mente di chi li pensa (post rem -nominalismo di Roscellino e di Guglielmo di Ockham che esalta l'individuale a detrimento dell'universale e quindi vi sarebbero tre dii )?
Il pensiero di Tommaso si riassume dicendo che non tutto ciò che è oggetto del pensiero esiste così come è pensato. Non bisogna ipostatizzare i concetti e credere che ognuno di essi abbia una corrispondenza nella realtà: insomma la prova ontologica di Anselmo dell'esistenza di Dio non è una vera prova.
Schopenhauer dice: la mia volontà va identificata con la volontà dell'intero universo visto che la mia singolarità è un'illusione causata dal mio apparato soggettivo di percezione spazio temporale. Ciò che è reale è una immensa volontà: ma attenzione, la volontà cosmica è perversa! Il suo pessimismo lo porta a vedere la volontà perversa come origine di tutte le nostre sofferenze. La causa della sofferenza è l'intensità della volontà: meno esercitiamo la volontà e meno soffriamo. Non c'è però da raggiungere alcuna unione con Dio (anche se dice che lo Spirito Santo gli ha dettato alcune parti del suo libro Il mondo come volontà e rappresentazione). Si raggiunge il nulla e basta: ci si rifugia nella non esistenza! Nulla di positivo. Nella sua vita fu un enorme egoista. La volontà per lui era superiore alla conoscenza (come in Nietzsche e Bergson).
Certamente la fuoriuscita dalla metafisica verso una filosofia dell'avvenire ha in Heidegger, come in Nietzsche, i caratteri di un esperimento affrontato non nello spirito della redenzione, ma in quello del gioco: la forza che spinge a sondare terreni inesplorati non sembra affatto essere una volontà eticamente fondata, ma un'opzione esteticamente goduta. La logica e la terminologia della metafisica nelle sue varie e lunghe ramificazioni sembra non vengano attaccate e demolite solo perché hanno indotto disastri umani che vanno dallo sfascio della psiche alle aberrazioni totalitarie, ma soprattutto perché provocano disgusto: perché sono orride a vedersi tutte le loro forzate volute con cui hanno cercato di conciliare soggetto e oggetto, di dedurre prassi giuste da teorie vere, di escogitare sintesi tra forme e vita perché nauseante è l'odore di marcio che emana dalle celle dei loro concetti, delle loro categorie e dei loro schematismi, dove hanno costretto a languire il mondo e l'anima; perché ributtante è il sapore pesante che le loro parole disseccate gettano. (Pasqualotto) La filosofia non è possesso intellettuale ma è spossessamento: essa non è al di sopra della vita ma è al di sotto. (Merleau-Ponty) Filosofia soggettivista: Agostino, Cartesio, Leibnitz (quest'ultimo riteneva le sue esperienze sarebbero rimaste immutate anche se il resto del mondo fosse stato annullato!), Kant, Fichte, Schelling.
La necessità è qualcosa che esiste nel pensiero e non nelle cose.
La filosofia è la mutua riconversione del silenzio e della parola. E' difficile capire che cosa è un filosofo, lo si deve sapere per esperienza. Comunque il filosofo non deve trascurare ciò che è piccolo, difettoso, illogico, debole, umano abbandonando ogni superbia.
Talete dice che l'anima è principio di movimento. Ora sappiamo che l'atomo e, al suo interno, sia l'elettrone che il nucleo si muovono. Anche loro hanno forse un'anima?
La Philosopihia perennis afferma che esiste da sempre e per sempre un'unica verità che si esplica e determina in molti e diversi modi in tempi e luoghi tra loro lontani e, a volte, lontanissimi. Forse però la filosofia muta con il mutare delle conoscenze e delle convinzioni umane. Filosofia interculturale. Filosofia prospettica. Filosofia comparata. Demolire ogni presunzione di verità e di identità ASSOLUTE. Filosofia interculturale fondata sulla comparazione. Soggetto che compara pensieri diversi. Tra variabili interconnesse che si condizionano a vicenda. La comparazione produce trasformazione sia del soggetto che compara e sia nei termini comparati. Non vi può però essere né una prospettiva privilegiata e neppure una sintesi delle molteplici prospettive. Vi è invece un orizzonte sempre aperto che consente il prodursi di una serie illimitata di confronti trasformativi.
La comparazione, dice Pasqualotto, è la modalità fondamentale del confronto senza sintesi forzate, del dialogo tra realmente differenti. Il pensiero in qualche modo deve condursi fino al limite in cui rimettere in discussione i propri stessi presupposti, fino al punto da esporre al rischio essenziale le proprie radici: pensare l'altrove significa anche ripensare se stessi.
Non filosofia comparata ma filosofia come comparazione.
Fra la Religione/Teologia e la Scienza esiste quella terra di nessuno chiamata Filosofia. Comunque, dice Panikkar, la nozione stessa di filosofia è già un problema filosofico.
Pensiero orientale orientato verso il pratico mentre la filosofia occidentale è più teoretica in cerca di verità eterne. La filosofia orientale è interessata molto anche al corpo (joga)!!! La filosofia occidentale non si occupa quasi mai del corpo e, se lo fa, spesso è solo per denigrarlo.
La filosofia è dunque il pensiero in cui l'Essere viene percepito nella sua originale indivisione e nella sua reversibilità. Intreccio fra gli opposti complementari: concavo e convesso, identità e differenza, unità e molteplicità. Questa è la nuova filosofia secondo Merleau-Ponty.
Forse è opportuno rinunciare alla presunzione di una conoscenza metafisica che pretenda di dare risposte definitive ai quesiti ultimi.
Dobbiamo non solo praticare la filosofia ma anche renderci conto della trasformazione che essa reca con sé nello spettacolo del mondo e nella nostra esistenza.
Sogno una visione filosofica colma di leggerezza che si gode lo spettacolo del mondo sempre nuovo, mai oggettivo e che esprime prospettive senza bisogno di certezze.
L'ermeneutica resta -scrive Ferraris -un canone cognitivo essenziale anche se gli preferisce l'epistemologia. Ma, aggiungono i realisti, la diversità delle interpretazioni si articola comunque sull'asse della ricerca della verità e questo è il canone al quale l'ermeneutica non può comunque sottrarsi e che tutti i pensatori hanno accettato, da Platone fino a Heidegger. È un'opinione. Pienamente legittima e pienamente contestabile, che deve però superare un ostacolo non da poco: quello che Immanuel Kant chiamò il "noumeno", la cosa in sé e la sua incomunicabilità. Con il noumeno non si comunica dall'esterno ma neppure dall'interno; il noumeno cioè non è conoscibile neppure da se stesso. Leibniz l'aveva chiamato "monade"; poteva comunicare soltanto col Creatore. Ma il Creatore altro non è che un'invenzione degli uomini per dare un senso al loro transito terrestre. (Scalfari) -FILONE D'ALESSANDRIA * Nasce fra il 15 e 10 avanti Cristo da ricca e influente famiglia ebraica. Al nonno era stata concessa la cittadinanza romana da Cesare. Ebbe la miglior istruzione possibile: conosceva la grecità e l'ebraismo. Fu a Roma regnante Caligola nel 40 dopo Cristo a capo di una ambasciata per protestare contro le persecuzioni verso gli ebrei. Scrisse numerose opere quasi tutte pervenuteci: soprattutto un grande commentario alla Genesi. Influenzò Plotino e anche la patristica. Fu contro il materialismo: fu trascendentalista contro l'immanentismo. Fu di forte religiosità e di intenso misticismo. Era convinto dell'ispirazione divina della Bibbia. Mosè e Platone le sue guide (con l'invenzione della filosofia ancella della teologia). Ma non parla mai di Gesù pur essendo suo contemporaneo. Per lui Dio è uno e non mai trinitario. Dio è ineffabile e il linguaggio non è uno strumento sufficiente per esprimerne l'essenza. Noi siamo una nullità di fronte a Dio. Itinerario a Dio. Muore nel 45 o 50 dopo Cristo senza aver mai scritto alcunché su Gesù (lui pure ebreo) pur essendo stato anche un valente storico. Nel suo trattato "De Providentia" (II 107), Filone riferisce che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio, da cui si può dedurre che ciò avveniva nel periodo della predicazione di Gesù, senza farne menzione in nessuna delle sue opere.
Ad indicare le azioni terapeutiche in greco ci sono due termini: therapeia e iatrike. Il primo indica un'azione di cura che tiene in conto la persona nella sua complessità e si occupa anche delle dimensioni spirituali dell'esperienza, mentre il secondo termine riguarda specificatamente l'attività esercitata dai medici per curare le affezioni del corpo. Si può dire che a questa distinzione corrisponde nella lingua inglese quella fra care e cure. Filone di Alessandria definiva se stesso terapeuta e spiegava questa qualifica dicendo che egli trattava l'anima come i medici trattano il corpo -FISICA * Per Nietzsche la fisica è soltanto una delle interpretazioni del mondo e, quasi, un ordine imposto ad esso e non già una spiegazione del mondo. John S. Bell è lo scienziato che si chiedeva se gli oggetti del mondo reale, incluse le particelle elementari, avessero proprietà intrinseche che esistono indipendentemente dal fatto che si misurino. Per le teorie quantistiche, non ne hanno: misurare le proprietà di particelle non rivela un valore preesistente, piuttosto ne "crea" uno.
Einstein diceva che, anche se nessuno guarda la luna, la luna esiste ugualmente. Con ciò voleva significare che lo stesso discorso vale anche per gli atomi e le sue componenti. Ma qui sbagliava! Un atomo non osservato è un fantasma che prende corpo solo di fronte a un sistema di interazione.
La fisica consiste nel fuggire dalla prigione dei pensieri ereditati e cercare modi diversi di concepire il mondo, nello sbarazzarsi del nebuloso lago dei nostri sogni vani, che riflettono la realtà proprio come le montagne si riflettono in un lago. (Rovelli) Sembra di sentire il filosofo Merleau-Ponty quando dice che la vera filosofia consiste nel reimparare a vedere il mondo. Ricordiamo sempre che i cosi detti concetti scientifici quali energia e atomo non sono certo oggetti reali dotati di una esistenza effettiva nello spazio e nel tempo ma sono solo strumenti pratici, concetti approntati dalla mente per cercare di capire il misterioso mondo che ci circonda.
Le teorie scientifiche non vanno considerate come rappresentazioni della realtà esterna ma solo come strumenti per cercare di gestire questa strana realtà.
Vi sono molte analogie tra i principi alla base della meccanica quantistica e la filosofia buddista (e induista), uno di questi afferma che non si può studiare un sistema prescindendo dall'osservatore. L'oggetto non può essere isolato dal resto del mondo e la sua osservazione modifica l'oggetto stesso. Non possiamo affermare che un sistema esista fino a che non l'osserviamo, questo processo fa collassare la funzione d'onda nello stato in cui noi lo vediamo. In parole povere è l'osservatore che crea la realtà che osserva e questa dipende dal modo in cui egli sceglie di osservare. Nel Buddismo vi è il concetto di Maya, tutto è illusorio e la realtà ultima la si può percepire ponendosi in uno stato di profonda meditazione. Dobbiamo abbandonare il buon senso per comprendere quello che succede a livello atomico. (Feynman) La fisica è il marchingegno dietro l'illusione che ci sia il mondo. (Gefter)
In natura esistono tre costanti fondamentali: la forza di gravita, la velocità della luce e la costante di Plank. Le prime due sono presenti nella Relatività Generale mentre le ultime due sono presenti nella meccanica quantistica. Le due teorie però configgono fra di loro. Bisognerebbe trovare una nuova teoria che le contenga tutte e tre. Si spera che essa possa essere la GRAVITA' QUANTISTICA.
L'assoluta necessità della contingenza di ogni cosa.
"Per noi umani si tratta di concetti completamente contro intuitivi" dice il fisico Giuseppe Carleo parlando della meccanica quantistica che si basa solo sulla probabilità.
In un certo istante … nulla si muove! Nell'istante seguente arriva un nuovo mondo, una nuova realtà! Domanda: cosa significano istante, nulla, mondo, realtà?
Alla velocità della luce (che è una forma di energia) il tempo e lo spazio si annullano mentre la massa (che è anch'essa una forma di energia) diventa infinita. Chiunque voglia ragionare su Dio (se Dio esiste e se si può ragionare su di lui), dovrebbe tenere conto di questo enunciato.
Un corpo che ruota deforma la trama dello spazio-tempo torcendola nella direzione del suo movimento (così suggeriscono le teorie di Einstein). Ma si tratta di influenze minime, che però alterano anche la velocità di rotazione della terra (il cui valore all'equatore raggiunge i 1.600 chilometri all'ora) per meno di un miliardesimo di grado ogni secondo.
Le tre caratteristiche della meccanica quantistica sono: l'indeterminismo probabilistico (il caso), la granularità corpuscolare (quanti e fotoni) e l'interconnessione relazionale (ogni cosa esiste solo in rapporto ad ogni altra cosa).
La fisica quantistica sta dimostrando che quel mondo naturale che si credeva così materialmente reale sta svanendo nella "irrealtà" della sua consistenza fisica.
Democrito bandiva le qualità degli oggetti come frutto dell'abitudine e della convenzione. "Non conosciamo nulla di reale: infatti la verità sta nel profondo".
Einstein non se la sentì di seguire Dio che giocava a dadi: non poteva esserci potenzialità nell'oggetto della conoscenza scientifica! (Heisenberg)
La materia è solo una nostra sensazione. (Nietzsche e Mach)
La teoria quantistica (probabilità di posizione e probabilità di energia) dice di sé di essere soggettiva in quanto l'osservazione modifica l'osservato.
Secondo l'interpretazione della scuola di Copenaghen della teoria quantistica è impossibile una netta separazione fra l'Io e il Mondo.
Nella fisica quantistica succede che, a volte, i fenomeni precedano l'energia necessaria per costituirli. I fenomeni, per esserci, dunque prendono a prestito energia dal futuro che poi restituiscono.
La nuova fisica:
Non si sa da che cosa sia costituito il 90% dell'universo! Non si sa cos'è l'energia (cioè la materia)! Guardando le particelle le modifichiamo! Le particelle esistono solo se da noi osservate! Mater è la radice di materia che, non scordiamoci, è anche energia! Dunque l'energia come madre di tutto e di tutti.
"Ogni percezione deriva da un mutamento (uno scambio energetico)" dice la fisica moderna confermando l'intuizione dell'antichissimo Libro dei Mutamenti.
Proviamo ad immaginare due punti situati nello spazio-tempo ad una distanza di un milione di anni luce, l'idea classica che ne abbiamo è l'immensità oceanica che li separa, ma proviamo ad applicare la teoria della relatività, immaginiamo di poter distorcere lo spazio-tempo, di curvarlo, di contrarlo, potremmo ridurre quell'infinita distanza a poche decine di millimetri, ed anche molto meno, sino a cancellarla. Sembra inverosimile, eppure è fisicamente possibile anche se non dagli esseri umani ma da entità fisiche. La prospettiva classica dello spazio ne viene sconvolta.
Gli eventi appartenenti al passato nello spazio tempo non sono un panorama rigido, fissato una volta per tutte, bensì dinamicamente ancora in evoluzione interattiva.
Ogni cosa sarebbe fatta da atomi.
Ogni atomo sarebbe fatto fa elettroni, protoni e neutroni.
Ogni protone o neutrone sarebbe fatto da quark.
Ogni quark sarebbe fatto da stringhe.
Le stringhe sarebbero elastici piccolissimi che vibrano.
Ogni cosa sarebbe quindi una oscillazione di stringhe impercettibili.
Pura energia che danza da sola... questo sarebbe il Tutto! Quando non stai guardando ci sono onde di probabilità.
Quando stai guardando ci sono particelle di esperienza.
Strisce potenziali di realtà fino a quando noi non scegliamo.
Il mondo confuso, nebuloso degli atomi può concretizzarsi materialmente solo se c'è osservazione. In assenza di un'osservazione, l'atomo è un fantasma! (Bohr).
Niente nasce e niente muore: tutto si trasforma e dove c'è trasformazione c'è Ki, c'è energia.
Una ricerca che sta scuotendo il mondo della fisica ha dimostrato che la funzione d'onda è qualcosa di reale e tangibile: l'elettrone esiste davvero in un'infinita di punti lungo la sua orbita, come tante infinite realtà diverse, che vengono ridotte a un'unica realtà solo quando l'osservatore porta l'elettrone a collassare in quel punto esatto.
Non a caso, uno dei padri della fisica quantistica, Werner Heisenberg, aveva definito "principio di indeterminazione" uno degli assunti di base di questa teoria. Nella sua versione stringente, tale principio sostiene che non è possibile determinare con esattezza il moto e insieme la posizione di una particella. Ciò in quanto il semplice atto di osservare una particella quantistica la modifica e ne cambia le proprietà.
Se il mondo sub-atomico vive in una realtà indeterminata finché non c'è un osservatore esterno che la fa collassare in uno stato determinato, allora -volando (ma nemmeno tanto) con la fantasia -potremmo sostenere che l'intero universo vivrebbe in uno stato di indeterminazione quantistica se non ci fossero osservatori intelligenti che lo osservano. Il che, detto in maniera più rude, vuol dire che, se non ci fossimo, l'universo non sarebbe quello che è. I filosofi si divertono molto con queste domande che imbarazzano tremendamente i fisici, e rappresentano questi paradossi con un esempio: "Che rumore fa un albero che cade nella foresta, se non c'è nessuno in ascolto?". Tra 100 miliardi di anni i buchi neri divoreranno tutta la materia (energia) dell'universo... per poi evaporare, senza lasciare traccia.....E il gioco della creazione ripartirà, forse, dall'altra parte dei buchi neri...uguale e diverso.....
Tutti i componenti della materia sarebbero inanimati senza una massa: è il bosone di Higgs che li costringe a interagire tra loro e ad aggregarsi. Per questo in una delle descrizioni più celebri paragona il bosone di Higgs ad un personaggio famoso che entra in una sala piena di persone, attirando intorno a sé gran parte dei presenti. Mentre il personaggio si muove, attrae le persone a lui più vicine mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale e questo affollamento aumenta la resistenza al movimento. Vale a dire che il personaggio acquisisce massa, proprio come fanno le particella che attraversano il campo di Higgs: le particelle interagiscono fra loro, vengono rallentate dall'attrito, non viaggiano più alla velocità della luce e acquisiscono una massa.
-FORMA (gestalt) *
La forma è vuoto e il vuoto è forma (non sono identiche ma sono in relazione perché senza l'una non esiste l'altro). Ciò significa che ciò che appare come forma è in realtà vuoto di auto consistenza mentre il vuoto è condizione di possibilità di ogni forma.
La forma è l'ombra del senza forma: il vero nulla riflette le ombre di se stesso come uno specchio autoriflettente.
Affascinato dai nomi e dalle forme (NAMA e RUPA), che sono per natura diversi e molteplici, tu distingui e separi ciò che è uno.
Lo sfondo (dal quale emerge la forma) è più confuso, più indefinito del fondamento, è un qualcosa con cui le nostre azioni e le nostre parole un po' si mischiano e insieme un qualcosa contro cui esse si stagliano. Nondimeno, è una realtà oltre la quale non si può andare. Il fondamento sembra sempre richiedere un ulteriore terreno; se parliamo di sfondo, siamo meno tentati di cercare fondazioni ulteriori. E' naturale che dietro lo sfondo non ci sia nulla, è una specie di limite allo sguardo; allo stesso tempo però rimane irraggiungibile, non lo possiamo toccare, è sempre oltre, sfuma come sfumano i limiti dello spazio visivo.
I nomi sono utili per comunicare ma irreali in sostanza.
Se ci si aggrappa ai nomi, si verrà da essi ridotti in schiavitù. E' indipendente chi non è attaccato a nulla.
Come i fiumi che scorrono spariscono nel mare, perdendo nome e forma, egualmente colui il quale conosce, liberatosi da nome e forma " dall'individuazione", penetra nel Purusa divino (Spirito Universale) che è più in alto di ciò che è in alto. (Mundaka Upanishad) Noi siamo schiavi di nomi, forme, concetti, parole: getta via tutto ciò che ha forma e nome e salta … nel vuoto così pieno! Ciò che ha un inizio e un termine, non ha spazio in mezzo. È vuoto. Ha il nome e la forma che la mente gli dà, ma è privo di sostanza e di essenza.
Non attaccarti ai nomi e alle forme, ignorali. Il tuo attaccamento è la tua schiavitù. Continua a camminare.
La creatura umana è un nome, una forma. Anche il fiore lo è. Lasciar andare la presa del nome e della forma significa lasciar andare il corpo e la mente.
La stabilità esiste solo nel senza forma. Cioè nel vuoto -nulla!
Sin dalla nascita sei ammaestrato come un burattino a credere al tuo nome e alla tua forma.
La pareidolia è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale.
Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò che sono.
Viviamo di convenzioni. Il pieno e il vuoto sono solo costruzioni mentali, concetti: non esistono separatamente. Forme e colori sono solo stati neuronali: vediamo ciò che accade all'interno della nostra testa e non la fuori. La coscienza è interazione di campi d'energia all'interno del cervello.
In quanto nasce senza forma e col compito di darsi una forma, proprio per questo l'essere umano è chiamato ad aver cura di sé. Ma è proprio necessario darsi una forma?
-FREUD * L'io non è mai padrone in casa sua! In sintesi, per Freud, noi siamo composti da tre parti: un inconscio pulsionale (ES o cavallo nero platonico detto anche anima concupiscibile) dove ci sono le esigenze della specie (sessualità e aggressività); un inconscio sociale (SUPER EGO o cavallo bianco platonico detto anche anima irascibile) dove ci sono le esigenze della società e un IO (auriga platonico detto anche anima razionale) che deve tenere a bada queste due istanze contraddittorie. Una persona è equilibrata quando l'io riesce a tenere in equilibrio questi due inconsci contraddittori: pulsioni naturali e divieti sociali (morale eteronoma e non autonoma) non vanno d'accordo. L'io, di conseguenza, è sempre nevrotico perché mediatore del conflitto fra pulsioni e divieti. Quando invece l'io viene sopraffatto, soppresso dai due mondi avversi si parla di psicosi ovvero di follia. Freud si occupa solo di nevrosi.
Freud, seguendo Platone, divide la persona o, per meglio dire, la sua menteanima in tre parti: Io, Super Ego e ES. Ma, come ci insegna anche Nicolò Cusano: "L'intelletto non potrà cogliere se steso (o qualunque altro oggetto intellegibile) nella sua essenza, se non in quella verità che è l'unita infinita di tutte le cose". In conclusione Freud divide razionalmente invece di cogliere, intuitivamente l'interconnessione dell'Uno Tutto.
L'uomo ha barattato gran parte della sua felicità (derivante dal soddisfacimento delle pulsioni) con un po' più di sicurezza (data dal rispetto delle regole sociali).
Dopo lo squarcio iniziale, la psicoanalisi ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare (apologia della difesa) … Ma certo, questo è il suo limite: l'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno. Bardato, corazzato. La coscienza stessa far parte per intero del sistema di fortificazioni. Sembra essere uno dei bastioni più forti … E l'essenziale, ovviamente, è che le armi siano ben fatte, adeguate. Se non sono tali in partenza, bisogna renderle adeguate: con la psicoanalisi, appunto. Altrimenti disarcionamento, se non disastro.
[…] Ma dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all'orizzonte. Accogliere chi? Un ospiteinterno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più ricco e, alla fine, forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie. (Fachinelli) G -GIORDANO BRUNO* Giordano Bruno si considerava un angelo mandato sulla terra per rompere l'oscurantismo generato da secoli di potere temporale della chiesa. Perse la sua battaglia ma si batte con molto vigore e in modo teatrale. Fu anticristiano viscerale perché, per lui, Gesù fu un cattivo mago mentre lui pensava di essere un buon mago. Voleva fondare una religione naturale e magica tipo quella egiziana. Bruno non crede alla creazione divina ma crede nella unica materia -vita -universale senza anima individuale immortale ma con una grande anima unica universale sottoposta a reincarnazione a seguito del merito o del demerito (Induismo). Nega anche l'antropocentrismo cristiano. Afferma poi che l'infinito che non ha rapporto con il finito. Quindi Gesù Cristo sarebbe allo stesso finito come uomo e infinito come Dio e ciò è impossibile. Ogni uomo deve sperimentare il suo percorso verso Dio non esistendo una via più vera di un'altra. La verità è in movimento come la realtà. Noi dobbiamo sempre alzare liberamente gli occhi al cielo per essere veri filosofi e per vedere gli infiniti mondi finiti. Fortissimo intreccio fra filosofia e autobiografia. Valorizzazione del corpo e della corporeità. Probabilmente sbagliando per eccesso di materialismo, anche se si tratta di un materialismo pieno di vita.
-GIUSTIZIA* Esiste un profondissimo iato tra la giustizia e l'amore: infatti sono due concetti inconciliabili. La giustizia è relativa al tempo e al luogo. Si incomincia infatti con il codice di Hammurabi che predica la legge del taglione (occhio per occhio e dente per dente). Si consideri anche la schiavitù, la poligamia (sempre coniugata al maschile!), la guerra santa, la pena di morte e altre simili assurdità ritenute consone alla giustizia. In realtà la giustizia è, forse, una vendetta mascherata e codificata. L'amore invece è apertura e disponibilità verso l'altro, gli altri. L'amore non si vendica perché è relazione profonda con tutti e con tutto. Purtroppo però la compassione attiva (karuna) è per pochi mentre la vendetta è per tutti.
Se la giustizia scompare, non ha più valore la vita degli uomini sulla terra. (Kant) Platone però afferma che è impossibile definire la giustizia.
Non vi è sistema legale o giuridico, per quanto perfetto, che possa funzionare, se il cuore rimane cattivo.
Dice Gesù: "Non giurate, non giurate per nessuna cosa al mondo". (Mt 5,(33)(34)(35)(36)(37) Tutti, a parole, vogliamo la giustizia. Nessuno afferma di non volerla. Tutti sono convinti di essere nel giusto. E, tuttavia, ognuno afferma la sua giustizia, quasi sempre con la forza. Forse, la giustizia, è solo una vuota parola come tante altre! Anche se la speranza di giustizia è, forse, una condizione dell'esistenza umana.
La giustizia come conformità alla necessità e alla leggi naturali, immanenti all'essere e al suo ordine, propria del mondo greco anteriore alla scoperta socratica della coscienza individuale e della libertà morale con la quale ognuno diventa legislatore di se stesso.
Per gli ebrei la giustizia è la fedeltà al patto da cui discende la pia osservanza delle leggi date da Dio al popolo eletto. "Come è vero che io vivo -parola del Signore Dio -, io regnerò sopra di voi con mano forte, con braccio possente e rovesciando la mia ira" (Ez 20,33). Mi chiedo: questo è un discorso da dio o da uomo?
La giustizia romana è invece un insieme molto avanzato di leggi ordinatrici garantite dalla spada, dalla forza.
Nella modernità la giustizia si è trasformata nel rispetto delle leggi. Ma le leggi sono fatte, di solito, per difendere alcuni interessi, quasi sempre quelli dei più forti. Dice ad esempio Adam Smith: "Il governo civile, in quanto viene istaurato per la sicurezza della proprietà, viene in realtà instaurato per la difesa dei ricchi contro i poveri, cioè di coloro che hanno qualche proprietà contro coloro che non ne hanno nessuna […] ".
Secondo le parole di Desmond Tutu, l'ubuntu distingue l'idea della giustizia occidentale (orientata alla punizione dello sconfitto e alla soddisfazione del vincitore) dallo spirito della giustizia africana orientata invece alla riconciliazione, alla reciproca accettazione, al riconoscimento dell'umanità delle persone, per farla riemergere quando questa è umiliata dal crimine non solo patito ma anche commesso. A noi l'ubuntu fa pensare a una forma di spirito comunitario, inteso in senso benevolo, comprensivo, pacificatore. Il fare giustizia diventa allora un processo salvifico tanto di chi ha subito il torto quanto di chi lo ha commesso. La giustizia richiede di risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricomporre le fratture e riabilitare tanto le vittime che i criminali, anch'essi degradati nella loro umanità. (Zagrebelsky) -GODEL* Il teorema di Gödel afferma che nessun sistema logico matematico può essere dimostrato come privo di contraddizioni se non in termini di un sistema superiore, cosicché si potrebbero accumulare sistemi matematici all'infinito senza comunque poter giungere alla meta al di là di ogni dubbio.
Gödel dice che qualche verità sfuggirà sempre al processo di dimostrazione: ci sarà sempre qualche verità non dimostrabile. Se, invece, un sistema non sarà così potente da comprendere l'autoreferenzialità, per questo stesso motivo non sarà completo e dunque gli sfuggiranno sempre alcune verità. In altre parole, il pensiero formale sarà pure limitato, ma fra le sue limitazioni c'è quella di sapere di essere limitato! Conoscere i propri limiti, non è forse l'espressione più alta della consapevolezza?
Il principio del terzo escluso non vale per la dimostrabilità perché le formule di Gödel costituiscono un forma di terzo gaudente fra i due litiganti della dimostrabilità e della refutabilità.
Gödel ha distrutto il sogno di una matematica assiomatizzata. Pur tuttavia fra i matematici è ancora diffusa la convinzione che esista un mondo esterno di concetti e teoremi che è nostro compito esplorare. La matematica, se è completa, può contraddirsi.
Odifreddi asserisce (a proposito del teorema di Gödel) che gli usuali sistemi matematici non possono dimostrare la propria mancanza di contraddizioni (ciò però non significa che queste contraddizioni esistano veramente).
-GORGIA* Gorgia: niente di assoluto ma tutto di empirico! Grande tecnico della parola: era avvocato e politico. La piccola parola muove grandi eventi. Non prendere mai nulla troppo sul serio: giocare! Andrebbe liberato dalle stroncature platoniche e seguenti. Gorgia andrebbe, forse, riscoperto.
Gorgia affronta da par suo due questioni che, in seguito, sono divenute ricorrenti in filosofia: il tema della dubbia affidabilità di ciò che percepiamo e il tema della dubbia affidabilità di ciò che comunichiamo o ci viene comunicato, in altre parole il tema della verità! ESSERE! NULLA E'. Non c'è niente di assoluto. Nessun ente esiste (Ontologia) (Oggettività) CONOSCERE! SE ANCHE QUALCOSA FOSSE NON SAREBBE COMPRENSIBILE. Se anche ci fosse qualcosa non sarebbe comunicabile (Gnoseologia) (Soggettività)
Gorgia sembra venirci a dire: "Amico, ti sembrerà strano, ma ti sto comunicando in modo efficace che ogni tentativo di comunicare è strutturalmente e invincibilmente inefficace".
Gorgia non si impegna formalmente nello svolgimento di queste tesi, anzi non si impegna formalmente nemmeno nel sostenerle, optando per una provocazione intellettuale che affida all'uditorio il piacere e la responsabilità di intraprendere la ricerca di una congrua via d'uscita a partire dalle sue tesi dirompenti. In conclusione, non ci tiene ad avere ragione perché gli interessa molto più la domanda che la risposta! Si è invece sempre pensato che la domanda senza risposta non abbia valore.
La strada la dovrebbe tracciare l'uditorio, o i lettori, mentre l'autore potrebbe ben sentirsi appagato al pensiero di aver allertato e affinato con ciò stesso i sensori di tanta gente.
Forse Gorgia si nasconde nel niente, nel non pensabile, nel non comunicabile, per sfuggire alla recondita paura di dover rendere ragione del suo sapere di non sapere.
Gorgia dice che dal non essere non può nascere nulla (sbagliando?).
Parmenide afferma che pensare è essere sono la stessa cosa essendo inscindibili visto che il pensiero è sempre e solo pensiero dell'essere. Gorgia gli risponde che ci sono dei pensati che non hanno alcuna realtà e quindi non esistono. Gorgia quindi non solo divide essere e pensiero ma anche parola e pensiero visto che non solo l'essere non sarebbe comprensibile ma neppure comunicabile.
-GUERRA * "Il papa? Quante divisioni ha?", aveva chiesto Stalin nel 1935, battuta mitica e inevitabile quando ci si interessa al potere reale del Vaticano. Tuttavia ottant'anni dopo la Santa sede è sempre al suo posto mentre il sistema sostenuto da Stalin è scomparso definitivamente cacciato dalla sua stessa storia.
La questione si ripropone di nuovo con papa Francesco, che prende regolarmente delle posizioni scomode rispetto ai dogmi della sua chiesa, senza però che sia ancora possibile giudicarne l'impatto reale e duraturo. Come nel caso della dichiarazione netta, categorica, senza appello, contenuta in Politique et societé, il libro-intervista con il sociologo Dominique Wolton: "Nessuna guerra è giusta".
A piccoli passi la chiesa cattolica, ancora prima dell'arrivo del papa attuale, aveva cominciato ad abbozzare la rottura con la dottrina della "guerra giusta" definita da Agostino d'Ippona (sant'Agostino) nel quinto secolo, sviluppata da Tommaso d'Aquino (san Tommaso) nel tredicesimo secolo e in seguito da altri autori cattolici, al punto da far parte del catechismo della chiesa cattolica.
Ma nessuno lo aveva fatto in modo così netto come Francesco in questo libro: "Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di 'guerra giusta'. Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma si può parlare di 'guerra giusta'? O di 'guerra di difesa'? In realtà la sola cosa giusta è la pace".
Delegittimare la guerra, l'idea può far sorridere in un momento in cui potrebbe scoppiare un conflitto nucleare tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord o mentre infuria in Siria o nello Yemen, o ancora non si è spenta in Afghanistan e rischia di riaccendersi in Ucraina. Insomma, in un periodo in cui la guerra occupa un posto importante come, peraltro, è sempre accaduto anche nel passato.
Tuttavia questo dibattito non è solo teorico o semplicemente teologico. Sul lungo periodo, che è quello della chiesa, la questione non sembra più porre problemi: sono ormai finiti da secoli i tempi delle crociate, quelle vere, quelle che si facevano in nome di Cristo e benedette dal papa e dai vescovi (benedizioni peraltro non scomparse, se nel 2015 la chiesa ortodossa ha benedetto l'intervento russo in Siria).
Così in nome di alcuni princìpi generali, che hanno trovato la loro traduzione nel campo politico, si sono potute giustificare molte guerre, anche quelle che a distanza di tempo appaiono oggi ingiuste, come per esempio le guerre coloniali o neocoloniali.
La presa di posizione del papa non basterà ovviamente a mettere fine alle guerre o a impedirne di nuove. Francesco però stabilisce un termine, apre una via e una riflessione che impiegherà del tempo, molto tempo a dare i suoi frutti.
Ma non è necessario essere cattolici o attirati da Francesco per essere sensibili al suo discorso: "Non c'è guerra giusta". In futuro ci saranno ancora delle guerre, alcune forse inevitabili a causa di un contesto difficile, altre puramente difensive, ma almeno non saremo più costretti a sentirci dire che sono "giuste" così come capiremo, forse, che nessun potere può essere buono perché altrimenti non sarebbe più potere.
-GUGLIELMO DI HOCKAM *
Guglielmo di Hockam (1280) dice che l'ambito delle verità rilevate è sottratto radicalmente al regno della conoscenza razionale e, quindi, la filosofia non è l'ancella della teologia che non è scienza ma è tenuta insieme solo dalla fede. La ragione, per quanto concerne Dio, ha un posto irrilevante, superata dalla immensa luminosità della fede.
A proposito della Trinità scrive: Che un'unica essenza semplicissima sia tre persone realmente distinte è cosa che nessuna ragione naturale può persuadere ed è affermata solo dalla fede cattolica come ciò che supera ogni senso, ogni intelletto umano e quasi ogni ragione.
Il papa è fallibile e deve servire e non assoggettare. La sua autorità ha solo carattere pastorale e non è né sacra e neppure temporale. Bisogna tornare alla povertà evangelica.
Fu il principe dei nominalisti: gli universali sono solo nomi e non una realtà e neppure hanno un fondamento nella realtà. Gli universali sono solo forme verbali mediante le quali la mente umana costituisce una serie di rapporti di esclusiva portata logica. Vengono quindi meno le leggi universali, la struttura gerarchica dell'universo e si passa a una conoscenza scientifica empirista e probabilistica: se una cosa è già accaduta molte volte è probabile (ma non necessario) che accada ancora.
A seguito del suo famoso rasoio (entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem) cadono anche concetti quali essenza e sostanza, causa e effetto, tempo e spazio, intelletto agente e intelletto possibile. Insomma bisogna liberare il nostro pensiero dalla facile confusione fra entità linguistiche ed entità reali, tra gli elementi del discorso e gli elementi della realtà. Sancì la fine della scolastica e del medioevo dogmatico e aristotelico.
Sbagliò solo a concepire il mondo come un insieme di elementi individuali senza alcun vero legame tra di loro. Gli mancò infatti il concetto fondamentale di relazione.
H -HAMMURABI* « I poveri, le vedove e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono protette contro i maltrattamenti del marito. In favore dei lavoratori viene alzato il salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali » codice di Hammurabi (che, peraltro, afferma anche occhio per occhio e dente per dente). Siamo nel 18° secolo avanti Cristo.
Hammurabi, re di Babilonia, assicurò (come molti altri) che il codice legale gli era stato consegnato da dal dio Marduk. I babilonesi erano molto più legati alla vita terrena che a quella ultraterrena tipica degli egiziani. Le prime divinità furono la terra e il sole indispensabili all'agricoltura. Sorsero poi due triadi: cielo, terra e acqua da un lato e sole, luna e venere dall'altro.
Occhio per occhio! Dente per dente! "Così il mondo divenne orbo e sdentato" dice, più o meno, Gandhi.
-HEGEL *
Fu una specie di Cristoforo Colombo della filosofia: voleva viaggiare per mari sconosciuti (le apparenze, i fenomeni) per approdare alla terra della verità. E' un grande ordinatore come Aristotele.
Il pensiero dialettico di Hegel è quello che più di tutti, in occidente, insiste sull'esigenza di scorgere "la cosa" da più lati, secondo una modalità prospettica.
Il movimento dialettico in Hegel è costitutivo.
L'Essere è reale e concreto solo nella sua totalità. L'idealismo della filosofia consiste nel non riconoscere il finito come un vero essere. Il finito è solo in quanto rimanda ad altro da sé, non è in se stesso, ab-solutus, autonomo ma rimanda alla necessaria trama di relazioni che lo determinano.
Bisogna acconsentire anche a non essere, per essere pienamente: la necessità di uscire da sé per poi rientrarvi ed essere, infine, pienamente se stesso. Ogni esserci è dunque al contempo in sé e fuori di sé: è nodo di una infinita rete, che sussiste solo in quanto insieme strutturato di nodi in relazione reciproca.
L'opera costruita dal pensatore tedesco Hegel cambia il linguaggio della riflessione filosofica. Senza più necessità di assoluto resta la ricerca di una forma che organizzi e interpreti il disordine. (Scalfari)
Hegel era assolutamente certo che la sua opera, disseminata nei molti libri da lui scritti a cominciare dal primo sulla Fenomenologia dello Spirito, avesse chiuso l'epoca dei sistemi filosofici. Ne conosceva tre che l'avevano preceduto: Platone, Aristotele, Kant. Forse anche Descartes ma non era certo che potesse esser definito un sistema vero e proprio. Poi era comparso lui nel teatro della mente ed aveva costruito un'architettura completa e definitiva, fondata sullo Spirito e sulla Dialettica.
L'uomo è in sé (logica: essere, essenza, concetto). L'uomo esce da sé (natura: meccanica, fisica, organica) . L'uomo torna in sé (spirito: soggetto, oggetto, assoluto composto da arte, religione e filosofia). L'assoluto è la sintesi dei due precedenti così come il concetto lo è dei suoi due antecedenti: essere e essenza.
La filosofia è lo Spirito Assoluto che pensa a se stesso tramite l'autocoscienza umana. Da rimarcare che, nonostante per Hegel il pensiero orientale fosse puerile, l'asserzione sulla filosofia di cui sopra, sembra copiata dall'Oriente ove si dice che il Brahman è il Tutto visto da una sua parte cioè dal presunto ego (givatman).
Altro non si poteva dire che lui non avesse detto salvo negare tutto senza affermare nulla.
Hegel non pronunciò mai la parola "nichilismo" e negò risolutamente la dignità filosofica del relativismo. Il suo principio dell'identità tra il razionale e il reale (che nella realtà però non esiste! n.d.r.) era infatti il pilastro sul quale poggiava l'assolutezza del suo sistema e della dialettica (che è sviluppo mediante contraddizione) che lo permeava. Dal superamento di essere (la permanenza) e del nulla (l'impermanenza) nasce il divenire. La vita che si trasforma è la dialettica.
Naturalmente i filosofi che vennero dopo di lui continuarono a produrre architetture mentali che descrivevano nuovi teatri e nuovi scenari, ma si trattava piuttosto di rimaneggiamenti, classificazioni, emendamenti e restauri ma la struttura rimase l'hegelismo e la triade dialettica combinata con la filosofia della storia, con lo stato etico e con lo Spirito assoluto che fu il suo modo di insediare la metafisica e la trascendenza.
Il pensiero continuò a produrre idee, concetti, metodi di ricerca, e il linguaggio cambiò radicalmente. Cambiò con Leopardi, cambiò con Nietzsche. I prodromi di quel mutamento venivano da lontano; erano cominciati con gli "Essais" di Michel de Montaigne e poi con i "Pensieri" di Pascal.
Hegel: solo il Tutto (l'Assoluto spirituale) è reale e vero! Ogni predicato se preso per definire l'intera Realtà, il Tutto, diviene auto contradditorio. L'apparente esistenza in sé delle cose finite è un'illusione. L'Assoluto è puro essere senza attributi (tesi). Ma il puro essere senza attributi è il nulla. Quindi l'Assoluto è il nulla (antitesi).La sintesi fra le due affermazioni è che l'Assoluto è il divenire che comprende nulla e essere. Ma che cosa è che diviene? Continue modifiche nel ragionamento dove niente è completamento superato: essere, nulla, divenire etc. L'intera conoscenza ha struttura triadica: percezione sensoriale dell'oggetto (tesi), critica scettica dei sensi ove l'oggetto diviene puramente soggettivo (antitesi), la sintesi è nell'auto coscienza in cui soggetto è tutto, conosce solo se stesso!. Solo il Tutto è vero perché nulla di parziale è completamento vero. Ciò che è vero e reale in noi è la nostra partecipazione al Tutto (e più diventiamo razionali e più la partecipazione aumenta). Il tempo una pura illusione di chi non sa di essere il Tutto ed è sempre vissuto sulla terra, anzi intorno al mediterraneo.
Pare che l'Universo stia imparando la filosofia da Hegel. La ragione è la sostanza dell'universo … ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale: quindi il Tutto è reale e razionale … Peccato che la moderna teoria quantistica lo smentisca completamente: il mondo non è né reale e neppure razionale! Glorifica lo stato nazionale e la guerra …. Lo stato diventa un fine non più un mezzo come per Locke.
Nelle sue "Lezioni sulla filosofia della storia", Hegel sostiene che la storia è il banco del macellaio su cui vengono fatte a pezzi le speranze, i sogni, le aspettative dei popoli e degli uomini. Bisogna però entrare in questa macelleria per cercare di cambiarla dandole un senso.
Secondo Hegel nella storia dialettica dello spirito umano, l'Oriente corrisponde solo all'età dell'infanzia mentre la Grecia all'adolescenza, Roma all'età virile e la Germania all'anzianità costruttiva. In quel frangente aggiungeva che «gli Orientali non sanno ancora che lo spirito, o l'uomo in quanto tale, è libero in sé, e poiché non lo sanno essi non sono liberi».
-HEIDEGGER *
Heidegger non riconosce alcuna dignità filosofica a ciò che i pensatori orientali hanno prodotto. Scrive infatti: "Lo stile dell'intera filosofia europeo occidentale -ma non ce ne sono altre, né in Cina, né in India -è determinato dalla duplicità "(l') essere -essente.
Vattimo dice che Heidegger è un umorista della filosofia visto che fa una critica dirompente e dissacrante degli apparati tradizionali metafisici: attività decostruttiva dove la metafisica non è più redenzione ma semplice gioco.
In Essere e Tempo Heidegger prende congedo dall'oggettivismo metafisico di origine greca rivolgendosi alla fenomenologia e all'esistenzialismo.
Mi pongo il problema di cosa sia l'essere perché i concetti che ho ereditato in merito all'essere non sono soddisfacenti: l'essere non può essere descritto come un oggetto ma è un progetto gettato. Se l'essere è oggettività, io sono tutto tranne oggettività non essendo un puro occhio sul mondo. Per me il mio essere è l'esistenza. (Heidegger parla sempre dell'esserci). Io sono al mondo come un progetto gettato visto che non ho scelto io di nascere. La vera caratteristica umana non è l'oggettività ma la progettualità. Il nostro essere nel mondo è interessato perché io non posso mai guardare il mondo se non dal mio particolare punto di vista (prospettivismo).
Noi non siamo certo uno specchio che riflette le cose intorno a noi, nessuna oggettività pura che Heidegger chiama metafisica. Noi non siamo al mondo per osservarlo ma siamo al mondo per progettarci.
Qual è l'unica caratteristica specifica di ogni uomini? E' la propria morte.
L'uomo è il pastore dell'essere. Il linguaggio è la casa dell'essere.
Diventa nazista perché pensa che Comunismo e Capitalismo si ispirano entrambi all'oggettivismo metafisico che lui vuole combattere. Immagina che il nazismo riporti i tempi della Grecia preclassica. Nonostante tutto comunque Heidegger può essere annoverato fra i fondatori della vera democrazia visto che fa leva sull'esserci dell'uomo e non sull'essere oggettivo. C'è progettualità in Heidegger che si basa sul dialogo interpersonale; noi siamo un colloquio (quindi relazione).
Heidegger: dissoluzione del soggetto e dell'oggetto come poli privilegiati della millenaria storia della filosofia occidentale. Il vaso, la brocca non può essere colta dal pensiero lineare. Essa è contemporaneamente tutto ciò che la costituisce (terra, acqua, aria, fuoco-energia) e tutto ciò a cui può servire: contenere acqua che viene dalla fonte che richiama la terra, che richiama la pioggia, che richiama il cielo etc. etc. Noi però valutiamo solo una cosa alla volta. Essa è, nella sua semplicità di cosa, l'immensa compresenza di tutti i suoi possibili significati e delle sue possibili funzioni. Il pensiero rappresentativo è incapace di indicare questa immensa compresenza perché sempre pone innanzi a sé un aspetto per volta.
Di cosa è fatta la ciotola? Buddismo e Heidegger se lo chiedono e si rispondono che fatta da tutti gli elementi: acqua, aria, fuoco, terra. Ogni cosa è condizionata da tutte le altre ma, allo stesso tempo, condizionante per tutte le altre: interazione cosmica. Essendoci questo, c'è anche quello! Non esiste elemento che non sia relativo ad un altro: la rete di perle di Indra.
Heidegger ci invita a metterci in ascolto dell'Essere. Sono dispiaciuto dei pensieri perturbanti del mio ego che hanno arrecato problemi al mondo. Chiedo quindi a tutti gli esseri di perdonare questi miei pensieri perturbanti. Ringrazio tutti gli esseri di avermi concesso il perdono. Sono quindi ora nella giusta condizione per sprigionare tutto l'amore possibile, unico antidoto verso l'egoismo perturbante.
Cambiando me stesso, cambio anche il mondo e gli altri che ne sono parte essendo tutto interconnesso; il mondo intero è una nostra creazione; quando c'è un problema accusiamo sempre qualcuno o qualcosa di esterno mentre invece noi siamo parte del problema.
Non vi è dunque mai una sola risposta ma tante quanti sono gli esseri dell'universo.
Grazie di tutto! La capacità di ringraziare è considerata da molti la chiave per accedere alla dimensione più spirituale della vita. Concediamoci di provare riconoscenza: la nostra vita passerà a una dimensione più ampia e positiva.
Ho'oponopono è semplicemente "accogliere tutto quello che hai proiettato ''fuori'' fin dall'infanzia. Per poi vedere che effettivamente non sei mai nato, solo un concetto passeggero … ma intanto è ben sciogliere un po' la matassa in cui ci siamo aggrovigliati, se no è una fuga. Quelli che si considerano spirituali e colti lo denigrano appunto perché non vogliono accogliere la loro ''Ombra'' che accolta diventa.. LUCE!!!" (Isabella di Soragna) -HUME * Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine in proposito. Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni, che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non guardando più lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni della filosofia, oscure ma tranquille.
La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza.
Hume, da vero nominalista, dice che quando abbiamo trovato una rassomiglianza tra parecchi oggetti applichiamo a tutti lo stesso nome che sarebbe l'universale.
Rifiuta poi l'idea di un IO! Secondo lui una persona non è altro che un flusso di percezioni, un fascio di impressioni, di idee in continuo movimento. A tale proposito Ricoeur osserva che Hume dimentica il fatto che, comunque, ci deve essere qualcuno, ossia un soggetto, che cerca l'io e che trova solo fasci di percezioni. Questo soggetto Kant l'avrebbe chiamato l'io trascendentale che accompagna ogni nostra rappresentazione. Da sottolineare però che pure l'io trascendentale non è qualcosa che permane identico perché la sua identità dipende dai suoi oggetti.
"La supposizione che il futuro assomigli al passato non è fondata su argomenti di nessun genere ma è interamente derivata dall'abitudine" scrive Hume.
La legge di Hume o ghigliottina di Hume (anche detta problema dell'essere e del dover essere), è un principio per il quale bisogna operare in ogni momento la distinzione e la separazione tra «ciò che è» e «ciò che deve essere»; in termini più formali, quindi, nell'economia di un discorso vanno separate le proposizioni descrittive (ovvero che dichiarano ciò che una cosa è) da quelle prescrittive (ovvero ciò che deve essere), rimarcando che filosofi della morale in passato hanno trasformato l'iniziale è nel deve, mutando quindi la descrizione in un precetto.
Nel Trattato sulla natura umana si legge infatti: « In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l'autore va avanti per un po' ragionando nel modo più consueto, e afferma l'esistenza di un Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule è o non è incontro solo proposizioni che sono collegate con un deve o un non deve; si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve, esprimono una nuova relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati; e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile ovvero che questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa completamente differenti. » Hume era partito con la convinzione che il metodo scientifico portasse alla verità, tutta la verità, solo la verità. Finì poi col persuadersi che una convenzione non è mai razionale dato che noi non conosciamo nulla di certo.
Dubbio scettico sia intorno ai sensi che alla ragione: restano solo le abitudini? Lo scetticismo di Hume si basa interamente sul rifiuto del principio di induzione senza il quale nessuna scienza è possibile se non nel solo campo della probabilità.
Noi riteniamo che la natura obbedisca a leggi costanti identiche per il passato, il presente e il futuro. Sulla base di questo presupposto pensiamo che il sole, che siamo abituati a veder nascere ogni giorno, sorgerà anche domani sebbene non ci sia nulla certezza di ciò.
Hume: empirismo (a posteriori, esperienza, in contrasto con il razionalismo a priori), scetticismo (in contrasto con il dogmatismo: Platone), illuminismo.
In campo morale vi è, come base, il principio della simpatia intesa come facoltà di condividere le passioni e i sentimenti degli altri.
Per Hume la religione è ricondotta al sentimento di timore e speranza che ciascun uomo prova naturalmente di fronte alle forze della natura e al mistero della morte.
-IKIGAI
Nella lingua giapponese esistesse una parola per indicare una pienezza di senso concretamente vissuta (nelle lingue europee non c'è nulla del genere). Stiamo parlando dell'ikigai, inteso come un'energia vitale capace di tradursi in salute psichica e fisica in proporzione alla sua intensità. A pensarci bene, è logico: chi non percepisce un senso profondo nella propria esistenza e non sa quale sia il suo scopo, o perché affronti ogni nuova giornata, vivrà con minor energia ed entusiasmo di chi invece ne ha preso coscienza e ogni giorno si dedica a ciò che lo rende felice e gli procura gioia e soddisfazione.
L'Ikigai, semplificato al massimo, significa: fare ciò che ci piace, fare bene ciò che ci piace, fare del bene al mondo facendo ciò che ci piace e, per ultimo, trarre vantaggio da tutto ciò. In tal modo si da anche una risposta a una delle domande più antiche e pressanti: che senso ha la vita? Dunque l'Ikigai come filosofia di vita! -ILLUMINAZIONE -ILLUMINISMO* Illuminazione significa realizzare che l'illuminazione non è qualcosa da raggiungere! L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell'illuminismo. (Kant) Nel medesimo senso va assunto il termine "bodhi" con cui la tradizione buddista ha indicato il culmine dell'itinerario di liberazione dall'ignoranza che l'uomo è in grado di costruirsi e di seguire. Bodhi, infatti, significa propriamente risveglio e indica l'uscita dal sonno della ragione (n.d.r.; sarebbe forse meglio dire "intelligenza" come fa Kant) e, contemporaneamente, segnala che tale uscita è possibile ad ogni individuo senza che debba intervenire qualche potenza ad esso esterna e superiore, ossia senza che sia necessaria una illuminazione dal di fuori e dall'alto. In tal senso risveglio sarebbe preferibile a illuminazione in quanto allude a un processo si rischiaramento virtualmente infinito e non a chiarimento avvenuto completamente una volta per tutte. (Pasqualotto)
Liberatevi dalla ricerca di una inesistente perfezione, e "adattatevi" ad accettare (se non ad apprezzare) i vostri limiti e ad agire di conseguenza. Questa è l'illuminazione, anzi la non -illuminazione! L'illuminazione è trascendere il dualismo tipico della percezione umana. L'illuminazione è trascendere l'io tipico prodotto del dualismo.
La liberazione autentica è quella che scioglie e dissipa l'idea fallace di essere monadi isolate.
La liberazione non è "della persona" ma è "dalla persona". (Nisargadatta Maharaj) Pierluigi Piazza riflette sul suo incontro con U.G. e scrive: "Non sono migliorato e non è migliorata la mia vita, ma una domanda si affaccia alla mia mente: Io (ma cos'è questo Io? n.d.r) e la mia vita dobbiamo proprio migliorare? Cosa vado cercando, cosa c'è che non va in me o nella mia vita? E che senso ha cercare una vita sempre più piena, sempre più ricca? Non è forse la vita soggetta ad alti e bassi? Che pretesa una felicità perenne! Questa continua ricerca mi impedisce di gustare le piccole grandi cose che già possiedo (chi possiede? n.d.r.) e ne ho tante; Dio se sono tante, e quasi non le vedo! E tutto questo continuo cercare, tutto questo agitarsi, che rumore, che disordine, che chiacchierio continuo che turba il silenzio e la pace che ci sono già! Non c'è un'illuminazione da acquisire, anzi non c'è proprio nulla da acquisire, semmai c'è da tralasciare. Tralasciare le montagne di cose inutili che ci turbinano nella testa, tralasciare le montagne di cose inutili che accatastiamo fuori di noi. Ho capito cos'è un illuminato; un illuminato è un uomo vero, vero perché vive dell'essenziale, vero perché né mentalmente né fuori di sé si contorna di cose futili. E' un uomo con i piedi saldamenti piantati per terra, che non si illude di raggiungere una perfezione che non esiste, che accetta totalmente i suoi limiti e le sue debolezze, che non si lascia soggiogare da modelli culturali. E' fedele a se stesso e quindi completamente in pace con sé e con il mondo. Non alimenta conflitti in sé e quindi neanche fuori di sé. Un illuminato è la normalità fatta uomo e questa normalità si può indicare come il "Miracolo dei miracoli", mentre per la cultura e per la vecchia personalità è una "Calamità". Non scherza U.G. quando dice: "Perché cerchi questa cosa (l'illuminazione), essa è la fine di te per come sei solito conoscerti e sperimentarti. Non puoi volere una cosa del genere, ed il cumulo di romanticherie che hai in testa non c'entra niente con quello che c'è qui." E vero, l'illuminazione è la morte civile, eppure per qualche strano motivo, in un certo momento della nostra vita, ognuno di noi la cerca. E comunque nessuno è immune da questa ricerca, lo ha detto U.G., ma questo, giuro, l'avevo già pensato prima di leggerlo su uno dei suoi libri, sia che stiamo cercando una bella macchina, una bella donna, un posto di potere, l'illuminazione o qualsiasi altra cosa, il principio è lo stesso. Non siamo soddisfatti di ciò che abbiamo. Per qualche strano motivo pensavo che la ricerca dell'illuminazione fosse più nobile delle altre ricerche, ora so che non è vero, tutte nascono dalla nostra insoddisfazione. E forse la via d'uscita, se mai ci sarà una via di uscita, consiste proprio nel riuscire ad accettarci così come siamo, non con uno sforzo volitivo, che sarebbe ancora una pretesa della vecchia personalità, bensì con una comprensione più grande e più matura verso noi stessi. In questo "Comprendere" forse troveremo che non dobbiamo accettare solo noi stessi ma il mondo intero, perché in definitiva, noi siamo il mondo e questo sarà forse l'apice del nostro amore". L'entità personale (l'io, l'ego, se mai esistessero) e l'illuminazione (se fosse vera illuminazione) non potrebbero mai stare insieme. In realtà, non esistono né l'una e né l'altra. La vera illuminazione consiste nel fatto che nessun io ha alcuna illuminazione! Se credi veramente che vieni e che vai, questo è il tuo errore. Lascia che ti mostri il sentiero dove non si viene e non si va.
L'illuminazione non fornisce la perfezione, offre semplicemente la possibilità di vivere accettando l'imperfezione.
Abbandonare qualche cosa nella speranza di ottenere qualcos'altro, non è abbandonare. Per ottenere l'illuminazione devi diventare sempre più piccolo fino scomparire.
Come posso stare attaccato a una piccola parte (il mio io) quando sono la totalità?
La tua natura essenziale è la stessa natura essenziale del cosmo (energia che non si sa bene cosa sia). Questa natura essenziale può essere chiamata verità (Occidente), oppure Natura del Buddha (Buddismo) o ancora, nello zen, Nullità, mano sola, faccia originaria.
Non sono le risposte a rispondere ma è il silenzio. Le altre persone e cose non sono più viste come separate da noi stessi ma come il nostro proprio corpo (non dimentichiamo mai però la misoginia del buddismo e dello zen) .
Wu wei, il non agire significa non inseguire le illusioni della mente. L'alienazione dipende da quanto la vita di una persona è condizionata da mete esteriori (soldi, successo e bisogni vari …) invece che dalla riflessione sulla natura del vero Sé.
Prendere coscienza del mistero della vita fa molta paura all'io. L'attaccamento alle proprie idee e preconcetti è troppo forte per potercene liberare.
Dietro qualsiasi discussione vi è attaccamento al giusto e allo sbagliato, al bene e al male, al mio e al tuo. Liberiamoci! Per far esperienza dell'illuminazione bisogna essere disposti a liberarsi, ad abbandonare ogni cosa.
L'illuminazione e la vita ordinaria sono la stessa cosa.
L'impermanenza è il vero volto della realtà. Ma noi consideriamo il dubbio come una debolezza! Invece il "SO' DI NON SAPERE" vale per Socrate come per il Buddismo Zen (Boddidarma).
La pratica zen ci chiede di arrenderci all'incertezza della vita di ogni momento anche se all'io il dubbio provoca disagio. Il nostro corpo e la nostra mente non sono due ma non sono neppure uno!
Realizzare l'interdipendenza di tutte le cose senza dualità alcuna.
Gli opposti sono solo nella nostra mente e non c'è nulla da raggiungere: se arrivi all'illuminazione vuol dire che non è l'illuminazione. In realtà non c'è un'esperienza dell'illuminazione perché non c'è nessuno ad averla. Abbiamo però sempre l'aspettativa di una grande esperienza futura che risolverà tutti i nostri problemi! Cerchiamo qualche cosa che metta fine ai nostri problemi ma è proprio questa ricerca che ci da pena. Dobbiamo quindi smettere di cercare. Voler capire la propria mente è impossibile come voler vedere i propri occhi. (Nisargadatta Maharaj) La nostra natura originaria è già perfetta e il processo di illuminazione consiste semplicemente nel diventare ciò che già siamo fina dall'inizio.
-INFERNO*
Nelle culture indigene primitive, come quelle africane, che pure erano infarcite di riti e divinità, l'idea che l'uomo potesse essere punito dopo la morte pare non sia mai esistita. Chi moriva veniva semplicemente rimosso dai ricordi della comunità. Solo ai capi era concesso qualche ricordo.
Comunque, già nel II millennio a. C., si fece strada, in alcuni testi egizi, una concezione dell'aldilà senza ritorno, dove una sorta di giudice celeste metteva sui piatti della bilancia le azioni negative e positive compiute dal defunto sulla terra. E, per chi non fosse stato meritevole, si aprivano le porte degli inferi, un mondo raccapricciante del tutto simile al nostro inferno.
Nella Grecia omerica la situazione era diversa. Ricordiamo il celebre episodio in cui Ulisse incontra, nel tenebroso Averno, il guerrieri Achille che vorrebbe tornare in vita. Si tratta però solo di un'ombra vagante senza scopo fra le altre ombre senza consistenza.
Neppure nell'Antico Testamento c'è traccia di un inferno dantesco. Vi è infatti solo l'accenno a un fosso profondo nella terra, un sepolcro senza ritorno dove sono confinati tutti i morti: buoni e malvagi insieme.
Solo a partire dal II secolo a.C. inizia a comparire nell'ebraismo l'immagine dell'inferno come luogo di punizione individuale fra tormenti e pene.
La miccia era ormai accesa e la concezione di una fornace ardente dove regnano tenebre ed eterna dannazione, è ormai consolidata soprattutto per il Cristianesimo. Solo Origene cercò di rendere la pena temporanea ma fu dichiarato eretico ed esiliato.
Anche per l'Islam l'inferno è temporaneo e non eterno nell'ottica che, alla fine, tutto si può perdonare.
In conclusione, l'Inferno è stato inventato dall'uomo anzi, dalla cattiveria dell'uomo che ne ha poi attribuito la paternità alla divinità di turno. Il suo scopo è quello di terrorizzare l'uomo stesso.
-INFINITO*
Termine introdotto da Anassimandro come Apeiron (infinito ma anche indefinito).
Pascal pensa che il finito sia nulla e l'infinito sia tutto mentre per la grecità l'infinito era imperfetto e il finito il perfetto.
Nell'infinito si annulla la differenza fra la parte e il tutto ma anche fra il discreto e il continuo.
Cantor dimostra che di infiniti ce ne sono infiniti, nel senso che dato uno se ne trova sempre uno più grande: infinito + 1, infinito + 2, infinito + 3, etc. etc.
L'infinito è un insieme i cui sotto insiemi possono anch'essi essere infiniti.
L'infinito è un tutto che non è maggiore di una sua parte.
Mentre Kierkegaard parla del "ciarpame della finitezza" esaltando quindi l'infinito, a loro volta, i greci consideravano perfetto il finito e imperfetto l'infinito.
-INFORMAZIONE*
L'informazione classica è informazione su qualcosa mentre l'informazione quantistica è la cosa stessa.
Wheeler suggerisce che la nozione ultima in termini della quale possiamo meglio comprendere il mondo non è quella di materia, o energia, o spazio e tempo. È la nozione di informazione. Il mondo non esiste se non come informazione relativa che ciascun elemento del mondo ha sugli altri. Il mondo alla radice è relazione, reciproca informazione. It from bit era lo slogan di Wheeler per dire che l'universo fisico non è fatto di materia (it) ma di informazione (bit): l'informazione è ciò che costituisce il mondo! Quindi la realtà è virtuale. Non più dalla materia all'osservatore ma dall'osservatore alla materia tramite l'informazione. Se gli osservatori creano la realtà, da dove vengono? Vengono dalla fisica e dall'universo che è un circuito autoeccitato.
-INDIVIDUO* L'ego è un cosmo che si auto ritiene individualizzato così come un fiocco di neve è acqua individualizzata dalla nostra mente.
Il taoismo e il buddismo superano il concetto di individuo a favore della relazione.
I più vivono come se avessero ciascuno una loro mente. (Eraclito)
Gli uomini vivono in una specie di sogno ove credono di essere un individuo concreto e reale separato dagli altri. (Eraclito)
Tutti gli esseri e me stesso siamo una sola cosa. (Eraclito)
Compie poi, nel 1911, quella che lui stesso chiamerà la rivoluzione copernicana della rivoluzione copernicana. Infatti, se il criticismo kantiano, che Nishida conosce bene, ha operato il mutamento di prospettiva per cui invece di supporre che le strutture mentali si modellino sulla natura, si suppone che il mondo fenomenico si adatti alle forme a priori della sensibilità e alle categorie dell'intelletto, Nishida riporta il baricentro della conoscenza dalla parte del reale poiché «l'esperienza pura può andare oltre l'individuo» e «non è che essendoci il singolo individuo c'è l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo». Paradigma dell'individuo e paradigma della relazione. Nel primo caso si pone l'accento su una individualità che si ritiene ben delineata e circoscritta anche se, forse, in realtà così non è visto che, probabilmente, tutto è relazione. E' relazione un vaso che, per essere costruito, necessita dei quattro antichi elementi (terra, acqua, fuoco e aria) ma serve anche dell'uomo che, a su volta, è composto chimicamente parlando, anche da atomi di idrogeno costituitisi all'inizio dell'universo e cioè 14/15 miliardi di anni orsono. Dunque, semplificando, per fare un vaso serve un universo intero! Ma è relazione anche la persona umana e, dunque, il suo presunto "io" visto che il tutto nasce dalla relazione fra i genitori che nascono dalla relazione dei nonni. La persona necessita poi del respiro e del cibo che sono relazione con il mondo. Necessita anche la società intesa come famiglia, scuola, chiesa, amicizie e quant'altro per sviluppare il pensiero che è quindi lui pure relazione. Infine pure l'universo intero è relazione come dice la meccanica quantistica. Dunque, tutto è relazione! -INQUINAMENTO* Correva l'anno 1960. Frequentavo la scuola elementare di un piccolo paese sperduto nella povertà della antica pianura padana. Durante la ricreazione ero uso osservare un torrentello che scorreva attiguo al cortile della scuola. Mi godevo la presenza di diversi pesci di cui mi ritenevo amico. Li salutavo felice e poi correvo a giocare con i compagni.
Un giorno però, tutto cambiò! I pesci non guizzavano più felici e liberi contro corrente. Mi sembravano stanchi e svogliati: a malapena si reggevano in acqua. Alcuni poi se andavano a pancia in su trascinati dalle correnti. Non capivo. Perché i miei amici pesci era così tristi e malandati?
Da bimbo puro e innocente, chiamai la maestra, massima autorità esistente in loco, e le chiesi: "Cosa sta succedendo, Maestra?" "Ma niente, approfittiamone, bimbi scendete in acqua e catturate più pesci possibili per le vostre famiglie … ".
Non capii ma partecipai ugualmente a quella razzia di pesci agonizzanti.
Poi venne il mio nonno preferito a prendermi all'uscita da scuola. Gli mostrai, triste, la mia parte di bottino. Lui apprezzò. Io no. Mi vide turbato e mi chiese: "Perché non sei felice? I pesci sono fatti per essere presi e mangiati …" "Ma questi pesci non erano più vivi … erano già morti o quasi … capisci nonno?" "Credo che tu ti sbagli, bambino mio. Non esistono pesci di questo tipo. I pesci sono vivi fino a che no non li prendiamo e li mangiamo".
Però io non rimasi convinto e non li mangiai quella sera i pesci quasi morti … di inquinamento (questo lo capii molto tempo dopo).
Dati attuali (2016) a proposito dell'inquinamento: informazione generale diffusa dall'organizzazione sanitaria mondiale: il 92% delle persone sul globo, cioè oltre 9 persone su 10, respirano aria troppo inquinata, aria che danneggia la loro salute respiro dopo respiro. I morti che ne conseguono sono una decina di milioni, uccisi da solfati, nitrati e carbone che penetrano in minuscoli corpuscoli nel nostro corpo, fino a ucciderlo.
Nel 2016 la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera è balzata a una velocità senza precedenti al livello più alto mai registrato in 800mila anni: questo l'allarme lanciato oggi dalla Meteorological Organization, l'Organizzazione meteorologica mondiale, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di meteorologia. "Il repentino cambiamento registrato negli ultimi 70 anni" nelle concentrazioni di CO2 è "senza precedenti", ha segnalato la Wmo. "Senza rapidi tagli nelle emissioni di CO2 e di altri gas serra saremo nella direzione verso pericolosi incrementi delle temperature per la fine di questo secolo, ben oltre i target fissati dagli Accordi di Parigi", dice il segretario generale Wmo Petteri Taalas, "le future generazioni erediteranno un pianeta ben più inospitale" di quanto fosse quello arrivato alle generazioni che ci hanno preceduto di quello che abitiamo oggi. Bisogna agire adesso, anzi ieri, perchè "la CO2 resta in atmosfera per centinaia di anni e negli oceani anche più a lungo", prosegue Taalas, "e le leggi della fisica ci dicono che affronteremo un clima più caldo e più estremo nel futuro".
Le stime si basano sui dati di 4.300 città in cento Paesi, relativi al 2016, diversi sia sull'inquinamento atmosferico, con i tassi di polveri sottili e ultrasottili, che su quello indoor, causato dall'utilizzo di stufe a carbone o a legna per cucinare e riscaldare gli ambienti. Dati che risultano sostanzialmente stabili negli ultimi anni.
Secondo la stima, l'aria inquinata è causa del 24% di tutte le morti per attacco cardiaco, del 25% degli ictus letali, del 43% delle morti per malattie polmonari ostruttive e del 29% dei tumori al polmone. Il peso maggiore è per il Sud Est dell'Asia e per il Pacifico Occidentale, che hanno più di due milioni di morti, mentre la regione europea dell'Oms ne conta circa 500mila.
Il 7% delle morti avviene in bambini e ragazzi sotto i 15 anni. "L'inquinamento dell'aria ci minaccia tutti, ma i più poveri e i più marginalizzati sopportano il peso maggiore -afferma Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell'Oms -. E' inaccettabile che più di 3 miliardi di persone nel mondo, la maggior parte donne e bambini, stiano ancora respirando fumi tossici ogni giorno dall'uso di stufe a casa. Se non agiamo subito non raggiungeremo mai l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile".
Ovviamente, sottolinea il rapporto, sono le grandi città ad avere l'aria peggiore, e questo riguarda anche quelle europee, dove a seconda del livello di inquinamento si perdono dai 2 ai 24 mesi di vita per colpa dello smog. "Molte delle mega città del mondo superano i livelli indicati dalle linee guida dell'Oms per la qualità dell'aria di oltre cinque volte -sottolinea Maria Neira, uno degli autori del rapporto per l'Oms -, e questo rappresenta un rischio grave per la salute".
Ma i "grandi" (e questa volta non sono più la maestra e il nonno ma sono invece le multinazionali che comandano il mondo) continuano a dire che non sta succedendo niente di particolare e che tutto va per il meglio.
-INTERCONNESSIONE-INTERDIPENDENZA**
In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, che sta a significare che il senso profondo dell'essere umano si realizza solo attraverso l'umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri. (Mandela) È un'espressione in lingua bantu che indica "benevolenza verso il prossimo". È una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro. Appellandosi all'ubuntu si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, "io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo". L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l'umanità intera, un desiderio di pace.
Sia Confucio che i suoi allievi coltivano l'ideale di costruire l'umanità attraverso l'armonia. E come? Attraverso le relazioni: le cinque grandi relazioni che, secondo Confucio, costituiscono l'umano.
La consapevolezza del primato della relazione ha portato i fisici contemporanei a parlare del primato dell'energia sulla materia, cioè sulle particelle, le quali non possono più venire identificate, se non come tensione continua, come energia di legame. Le particelle subatomiche non sono entità separate, ma strutture energetiche interconnesse in un processo energetico dinamico e continuo. Al livello subatomico le interrelazioni e interazioni fra le parti che compongono il tutto sono più fondamentali delle parti stesse. C'è un moto ma non ci sono, in definitiva, oggetti che si muovono; c'è attività ma non ci sono attori; non ci sono danzatori, c'è solo la danza! La relazione è un pensiero dell'io? Come potrebbe se l'io stesso è solo un pensiero?
Il concetto di relazione è fondamentale sia nel pensiero buddista (ove la relazione in continuo mutamento tende a sostituire l'io) che nella meccanica quantistica (ove è uno dei tre principi fondamentali insieme alla casualità e ai quanti). Ma anche il recente concetto di neuroni specchio si basa sulla relazionale: infatti noi siamo sintonizzati con gli altri e impariamo a condividere i gesti e gli atteggiamenti (i films su questo si basano). Infine possiamo dire che noi siano nati con la cultura greca, nella quale l'individuo si riconosce unicamente nella comunità: i greci ricavavano la propria identità dalla relazione che è una delle migliori traduzioni della parola LOGOS. Logos intende significare principalmente il carattere connettivo di ciò che garantisce la relazione di contrasto complementare fra tutte le cose.
L'equilibrio di Nash (siamo in matematica) è possibile a condizione che si instauri una cooperazione tra i giocatori, vale a dire che tutti agiscano non col fine di ottenere il miglior risultato per sé, ma di ottenere il miglior risultato per il gruppo, e quindi, indirettamente, ottenendo un risultato migliore anche per sé. Poiché tuttavia spesso la razionalità collettiva contrasta con quella individuale, è nella maggior parte dei casi necessario un accordo vincolante tra i giocatori (e quindi una istituzione che vigili su tale accordo) ed una sanzione nei confronti di chi non lo rispetta, riducendo quindi il profitto del singolo se esso si allontana dalla combinazione di strategie che garantisce a tutti il miglior risultato, affinché nessuno trovi preferibile defezionare.
Identità come relazione per Platone, Tommaso D'Aquino, Hegel e Buddismo.
Al di fuori dei rapporti non siamo! Essere è essere in relazione; essere in relazione costituisce l'esistenza. Esistiamo solo nel rapporto; al di fuori di esso non esistiamo, l'esistenza non ha significato. Non è perché pensiamo di essere che accediamo all'esistenza. Esistiamo perché siamo in rapporto con altri; ed è la mancanza di comprensione del rapporto che causa conflitto. (Jddu Krishnamurti) Non solo le cose ma anche i pensieri esistono solo in quanto si costituiscono attraverso relazioni.
Eraclito dice che la natura (Physis), che è energia diffusa o forza che fa crescere, ama nascondere il nesso, la relazione tra la sua essenza e i suoi modi particolari. Dall'Uno tutte le cose, da tutte le cose l'Uno . Ciò sembra concordare con quanto afferma il Tao: le diecimila creature ed io siamo l'Uno dice Zhuangzi (chiamato anche Chuang Tzu).
Il primato che in Occidente è stato tradizionalmente attribuito alla categoria di sostanza, l'Oriente antico lo ha trasferito a quella di relazione, spostando dunque il centro della riflessione dal soggetto al predicato.
Fa zang (643-712), fu autore di un Trattato sul leone d'oro. Questo sutra deve la sua importanza al fatto che riprende ed approfondisce un tema già affrontato e sviluppato negli insegnamenti originari del Buddha, quello della interconnessione tra tutti gli elementi della realtà.
In principio era la Relazione, la Relazione era presso Dio e la Relazione era Dio. Vangelo di Giovanni 1,1,14
Potremmo anche dire "In principio Dio creò la Relazione" invece del cielo e della terra.
"In principio era la Relazione". (Buber e poi Mancuso)
Noi uomini siamo relazione a immagine di Dio.
L'uomo è relazione. (Kierkegaard)
Ogni io è semplicemente un riflesso del Tutto e delle sue relazioni: l'io è il Tutto mediato dalla nostra mente! L'aspetto fondamentale dell'individualità è quello di essere in relazione in continuo divenire. L'esempio paradigmatico di questo fatto risiede nella presa di consapevolezza del Sé tramite il riconoscimento dell'altro da sé. Negando di essere identico ad un altro, il Sé non solo afferma la sua individualità ma, nello stesso tempo, ne afferma anche la dipendenza dalla relazione con un altro diverso da sé. In questo modo, viene dunque tolta ogni validità all'idea di una consistenza stabile della sostanza individuale. L'essenza dell'individuale può essere colta solo come funzione della sua radicale relatività rispetto a ciò che le circonda. Ciascuna cosa, e quindi anche ciascuna coscienza individuale è, nello stesso tempo, medesima ed altra rispetto a tutte le altre con cui interagisce e non esiste nulla indipendentemente da questa interazione. (Nishida interpretato) Considerato che ogni cosa è in relazione a qualcosa di altro, gli scettici pirroniani traevano la conclusione che nulla è in sé e per sé.
Secondo Kant "se sopprimessimo il nostro soggetto tutte le relazioni fra gli oggetti sparirebbero"! Whitehead sostenne che fra le entità elementari e le loro relazioni vige implicanza reciproca: nel senso che le entità costituiscono le proprie relazioni e ne sono costituite, ovvero, più precisamente, che ogni particella riunisce in sé le influenze di tutte le particelle che la precedono temporalmente e trasmette i suoi caratteri a quelle che le succedono. Un simile relazionismo si ritrova fra i principi fondamentali del materialismo dialettico, secondo il quale ogni fatto o evento va indagato "nella sua connessione generale con la totalità del mondo", studiando le cose nella loro "universale azione reciproca" (Engels).
Simone Weil scrive: «Lo sguardo e l'attesa sono l'attitudine che corrisponde al bello. Fin quando si può concepire, volere, desiderare, il bello non appare. Questa è la ragione per cui, in ogni bellezza, c'è contraddizione, amarezza, assenza irriducibili». Se si sostituisse a "bello" e "bellezza" la parola "relazione", il significato dell'intera frase manterrebbe intatta la sua validità: perché in ogni relazione -intellettuale, affettiva, spirituale -sono presenti la contraddizione e l'amarezza che essa ingenera, e paradossalmente è sempre operante anche l'assenza. Ogni realtà posta in relazione deve infatti negarsi, "fare posto", per lasciar essere la relazione e farne trasparire il carattere simbolico; se così non fosse, non ci sarebbe mai uno spazio vuoto, un luogo atto a contenere l'incessante movimento della relazione. Se fosse tutto pieno non ci sarebbe relazione alcuna, solo oggetti inerti e sconnessi. Sono necessari dunque il vuoto, l'apertura, perché si diano le cose stesse -perché le cose o sono in relazione, o non sono. Io sono "io" in virtù di un "altro" da me, che mi fa essere perché mi determina, ma che non può riempire tutti i vuoti; è in quella distanza, ovvero nell'assenza dell'altro che io posso muovermi e determinarmi.
La realtà umana è relazione. L'io è relazione così come l'Assoluto è relazione.
La verità è una relazione tra esperienze. (James)
I concetti portano l'impronta della civiltà del loro tempo e, quindi, devono sempre essere pronti a subire una correzione da parte dei fatti. Comunque non si può supporre che ai nostri concetti corrispondano elementi di stabilità assoluta, la dove la ricerca è in grado di trovare soltanto delle stabilità nel legame tra le relazioni. (Mach) Le cose sono unite da legami indivisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella. (Galileo) Ciò che ci è dato conoscere è solamente qualcosa di condizionato, qualche cosa che presuppone una relazione fra il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto. (dice Nietzsche) Tutto ciò che esiste, esiste come relazione! Sia esso il tempo o lo spazio, sia esso una cosa, un evento, un fenomeno, un vivente, una persona (se tu mi ascolti io esisto) o Dio stesso (senza di voi che Dio sarei?). Anche i concetti quali verità, bontà, giustizia, amore sono pura relazione. La realtà stessa è relazione. Tutto è relazione! Ma cos'è una relazione? Prendiamo, ad esempio, due punti: A e B. Sia A il soggetto e B sia l'oggetto. Congiungiamoli con una linea. La linea è la relazione. Cosa significa ciò? Per spiegarlo meglio poniamo che il soggetto A guardi l'oggetto B. Guardare è instaurare una relazione fra soggetto A e oggetto B. Relazione che non potrebbe sussistere senza uno dei due protagonisti: l'oggetto non potrebbe essere guardato se non ci fosse il soggetto e il soggetto non potrebbe guardare l'oggetto se non ci fosse l'oggetto. Detto ciò si rileva che la mentalità dualista occidentale attribuisce molta importanza (forse troppa) a soggetto e oggetto mentre il pensiero orientale tiene più in considerazione la relazione cioè, nella fattispecie, il guardare (anche la moderna meccanica quantistica ha questa posizione).
Non solo non vi è alcun soggetto autonomo, ontologicamente solido e stabile; non vi è nemmeno alcun "assoluto": dal momento che ogni elemento del reale è un aggregato di cause impermanenti e interdipendenti, nulla è davvero ab-solutus, sciolto e libero da condizionamenti, ma ogni elemento appare e si dissolve in una rete infinita e ininterrotta di relazioni.
Piove. Le gocce d'acqua scendono dal cielo provenienti dalle nubi. L'acqua nutre erbe, fiori, piante, animali e uomini che, senza di essa, non vivrebbero. La pioggia in eccesso scorre nei torrenti e poi nei fiumi che vanno tutti a finire nel mare. Dal mare poi l'acqua, scaldata dal sole, evapora e ritorna in cielo. Si formano le nubi. Poi piove e il giro ricomincia. Interconnessione globale.
Ogni misurazione è un'interazione, è una relazione fra due fenomeni che li modifica entrambi. Dopo la relazione della misurazione soggetto e oggetto sono entrambi cambiati.
Il carattere insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) di elementi che, letteralmente, non sono nulla una volta isolati, ma che acquistano senso soltanto all'interno di una rete di relazioni e di relazioni di relazioni. Allora, da Eraclito e Chuang-tzu fino alla meccanica quantistica, il Tutto lo si pensa come un percorso, innervato da queste sinapsi, intrecci, giunture che interagiscono le une con le altre.
Agostino insegnava che il Logos è prima di tutto relazione: «Come il Figlio dice relazione al Padre, così il Verbo dice relazione a colui di cui è il Verbo». Il concetto di Logos come relazione è stato ripreso da altri, fra cui il teologo contemporaneo Vito Mancuso o lo storico della filosofia Giangiorgio Pasqualotto.
I pomodori (o gli uomini!) che litigano fra di loro non si accorgono che provengono tutti dalla stessa pianta. L'interdipendenza universale, la rete di Indra.
OGNI COSA E' IN OGNI COSA conferma anche Anassagora parlando di semi che costituiscono il nostro mondo e gli altri mondi. All'inizio i semi erano mescolati in un migma caotico e solo l'intelletto cosmico mette ordine: caos e cosmos! Aristotele riprenderà questi concetti e chiamerà i semi di Anassagora col nome di "omeomerie", vale a dire entità le cui parti sono simili al tutto: frattali, verrebbe da dire! Le qualità di una "cosa" non dipendono solo dalla cosa stessa ma anche dai sensi che la percepiscono.
Per il mistico orientale, tutte le cose e tutti gli eventi percepiti dai sensi sono interconnessi, collegati tra loro e sono soltanto differenti aspetti o manifestazioni della stessa realtà ultima. Ricordiamo al proposito che la meccanica quantistica si basa anche sul principio relazionale (oltre a quello corpuscolare e a quello probabilistico): "La realtà è ridotta a interazione. La realtà è ridotta a relazione" come scrive Rovelli.
Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato.
Non esiste fatto, oggetto, persona che possa considerarsi avulsa dal tutto. La vita del singolo e l'esistenza dell'umanità, l'intero mondo, sono una trama fitta, in cui ogni passaggio, ogni segmento, ogni punto di incontro è in qualche modo una consonanza, e deve risuonare in armonia con tutto il resto. E' questo lo spirito stesso del midrash (metodo di interpretazione delle scritture). (Limentani)
A livello subatomico regna la interconnessione quantica ove le cose sono un tutto ininterrotto.
Tutti i pianeti del sistema solare si influenzano a vicenda: ciò fa si che le loro orbite non siano perfettamente ellittiche.
Immaginiamo di tirare un sasso nell'oceano al largo della costa della Gran Bretagna. Dopo il tonfo iniziale, le increspature si dissipano ed apparentemente svaniscono. Ma, certo, non spariscono realmente: diminuiscono di dimensione, e si mischiano ed interferiscono fra loro, ma non svaniscono. Due settimane dopo, sulla baia rocciosa della Terra del Fuoco sulla costa Argentina, una delle piccole onde che si infrange sulla spiaggia é forse un'impercettibile frazione di un micron più alta a causa del sasso che abbiamo tirato.
Ogni spiegazione del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto.
Ciò che è "la fuori" apparentemente dipende, da un punto di vista rigorosamente matematico e filosofico, da quello che noi decidiamo "qui dentro" (Zukav) Dentro e fuori l'universo nessuna cosa di per sé esiste ma ogni cosa esiste solo in rapporto a tutte le altre cose. Noi però continuiamo a parlare di un tale fiore, di una data stella, di quella bella nuvola! La vita ci appare in sostanza come un unico evento, una specie di gigantesca fiamma che brucia lentamente e da cui partono mille e mille fuochi e fuocherelli individuali, che non sono però mai fisicamente disgiunti dalla fiamma principale. (Nisargadatta Maharaj) Ecosofia di Naess: le persone e gli organismi non possono essere isolati dal proprio ambiente anche perché un organismo è un'interazione e non un'entità costituita per sé.
Siamo in un mondo in cui la legge fondamentale è la relazione. Interconnessione globale dove l'io impallidisce, sbiadisce.
Ogni ente è quello che è perché in rapporto con altri enti dai quali è anche costituito fin dall'inizio.
Ogni cosa-evento condiziona ed è condizionata: una reciproca implicazione che connette tutti gli elementi della realtà. Essendoci questo, c'è anche quello e viceversa. Non esiste elemento che non sia relativo ad altro.
L'elettrone non può essere separato dalla totalità dello spazio che è il suo campo. La separazione è un'illusione. Le singole particelle non sono entità individuali così come noi stessi non lo siamo. Ogni cosa interpenetra ogni altra cosa: tutta la natura è una unica rete infinita. Frammentazione, separazione, spazio e tempo sono solo un'illusione nata dalla nostra limitata percezione della realtà.
Tutto ciò che esiste non è indipendente dal resto, non è un'isola. Tutto ciò che esiste è relativo a qualche cosa d'altro, è relazionale. Tutta la realtà è una rete infinita costituita di nodi in movimento continuo.
Ciascuno di noi non esiste in sé e per sé ma esiste in quanto frutto di infinite relazioni. L'io è frutto di infinite relazioni e il vuoto è una condizione di possibilità: le cose esistono solo su uno sfondo. Il vuoto è forma e la forma è vuoto.
L'universo della gente comune e anche quello di Newton è un universo di cose mentre quello di Einstein è un universo di relazioni e di aventi (meccanica quantistica).
E' dal materialismo che ci dobbiamo liberare noi occidentali! (Zambrano)
Tutto è un costante flusso di energia. Data la syllapsis universale, operando su se stessi si cambia il mondo. Se si vuole cambiare il mondo bisogna cambiare prima se stessi. (come dice anche Cartesio).
Connessione dinamica fra opposti complementari.
La simpatia cosmica degli stoici secondo la quale le parti si condizionano a vicenda.
Soggetto e oggetto sono l'uno nell'altro e non è mai possibile separarli.
Ogni cosa evento è determinata da un nesso infinito di cause: struttura relazionale e unitaria della realtà. Nesso, rapporto, logos infinito di cause.
L'uomo è figlio di questo universo così come questo universo è figlio dell'uomo. L'uno genera l'altro, come il seme l'albero e viceversa, in un apparente paradosso inesplicabile. Ognuna delle due "singolarità" non ha creata l'altra, altrimenti avrebbe duplicata se stessa, ma si è semplicemente riflessa.
La caratteristica più importante della concezione del misticismo orientale -si potrebbe quasi dire la sua essenza -è la consapevolezza dell'unità e della mutua interrelazione di tutte le cose e di tutti gli eventi, la constatazione che tutti i fenomeni nel mondo sono manifestazioni di una fondamentale unicità. Tutte le cose sono viste come parti interdipendenti e inseparabili di questo tutto cosmico, come differenti manifestazioni della stessa realtà ultima. Le tradizioni orientali si riferiscono costantemente a questa realtà ultima indivisibile, che si manifesta in tutte le cose e della quale tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell' Induismo, Dharmakaya nel Buddhismo, Tao nel Taoismo. Poiché trascende tutti i concetti e tutte le categorie, i Buddhisti la chiamano anche Tathata o Essenza assoluta. Nella vita ordinaria, non siamo consapevoli di questa unità di tutte le cose, ma dividiamo il mondo in oggetti ed eventi separati. Questa divisione è utile e necessaria per muoverci nel nostro ambiente quotidiano, ma non è un aspetto fondamentale della realtà. E un'astrazione e un'illusione ideata dal nostro intelletto che distingue e classifica.
Lo scopo principale delle tradizioni mistiche orientali è quello di rimettere ordine nella mente guarendola e acquietandola attraverso la meditazione. Il termine sanscrito per "meditazione" è samadhi, che significa letteralmente "equilibrio mentale", alludendo allo stato mentale equilibrato e tranquillo nel quale si sperimenta l'unità fondamentale dell'universo.
Il percepito non si da mai nella sua inseità ma in un contesto relazionale.
Noi non siamo semplicemente «circondati» da esseri e da cose con cui saremmo liberi di decidere se entrare in relazione: siamo invece intimamente relazionali, poiché la matrice dell'essere di ciascuno è data dall'energia vitale che scaturisce dalla rete di relazioni entro il cui spazio morfogenetico ciascuno di noi diviene e che con il suo agire contribuisce a strutturare.
Il bambino in origine non esiste come essere discreto, ma in un'identificazione primaria con la figura materna. La relazione con l'altra persona che mi accoglie è dunque la struttura matriciale dell'essere: ossia «io all'inizio sono insieme a un altro essere umano, non ancora differenziato». La relazione con altri è struttura ontologica dell'esserci, poiché il ci che segna il modo di essere di un ente è sempre «l'esserci con altri». La sostanzialità relazionale è «assolutamente ineludibile», perché è un dato fenomenologicamente evidente anche quando l'ente che noi siamo si ritira in se stesso. Questa datità evidente diventa per le filosofie della relazionalità la questione primaria da pensare.
Nessun solipsismo: ciò che esiste, qualsiasi cosa sia, dal momento che esiste, coesiste intrecciato con tutto il resto.
L'ontologia è relazionale e non a-relazionale. Va superata la concezione dell'uomo individuo indipendente e autonomo rispetto agli altri e soggetto autonomo in grado di bastare a se stesso.
-INVARIANTE** L'Assoluto è puro essere senza attributi (tesi). Ma il puro essere senza attributi è il nulla (antitesi). Quindi l'Assoluto è il nulla (sintesi). (Hegel)
Reale per Einstein significava indipendente dall'osservatore, e l'unico modo per capire che cos'era indipendente dall'osservatore era confrontare tutti i punti di vista possibili e sperare di trovare quelle rare chiavi di volta che non cambiano dall'uno all'altro. Quello che è reale è quello che è invariante. (Gefter) La Gefter ci racconta di come si sia trovata in piena adolescenza ad affrontare una domanda che le avrebbe cambiato la vita, questa domanda gliela pose suo padre: "Come definiresti il nulla?". Per quanto possa sembrare astratta e filosofica, questa è la domanda che portò poi la ragazza a studiare la relatività einsteiniana, la meccanica quantistica e ad intervistare numerosissimi fisici contemporanei sulle loro più complicate teorie, pensate per dare una spiegazione a tutte le cose. Il tutto con un unico fine: stabilire se la realtà fosse riconducibile stabilmente (cioè in maniera invariante) presso qualcosa (per esempio lo spazio, il tempo, le particelle, la luce) o se il reale non fosse nient'altro che nulla.
Il nulla è, per la Gefter, "uno stato infinita, illimitata omogeneità". Questo stato non è quindi una mancanza d'essere, non è non-essere come l'avrebbe definito Parmenide. Al contrario, il nulla è come un qualcosa privo di bordo, ma un qualcosa privo di bordo che si estende quindi all'infinito non è qualcosa: è indefinibile, è, appunto, nulla. Il processo tramite il quale il nulla diventa qualcosa è quando gli poniamo dei bordi, cioè un confine che lo racchiuda e lo definisca in un'altra conformazione finita.
È come se tu costruissi un castello di sabbia sulla spiaggia e poi lo distruggessi. Dove va a finire il castello? La 'cosità' del castello era definita dalla sua forma, dai confini che lo differenziavano dal resto della spiaggia. Il castello e la spiaggia, il qualcosa e il nulla, sono solo due configurazioni differenti.
Torniamo ora al discorso invariante/non invariante. La disperata ricerca della Gefter verte, quindi, su quelli che sembrano i migliori candidati ad essere gli invarianti per ogni osservatore, ad essere cioè, come si è detto, la realtà ultima. Inesorabilmente, ella si ritrova a cancellare dalla sua lista qualsiasi cosa e questo lo fa grazie, come ho accennato prima, al parere dei migliori fisici odierni.
Un caso noto di dipendenza dall'osservatore è quello di spazio e tempo. La relatività ristretta di Einstein ci ha mostrato infatti come la misura di entrambi dipenda dal moto dell'osservatore, per questo si verifica, ad esempio, una "dilatazione del tempo": ogni orologio in moto rispetto a noi marcia più lentamente. Tutto sembra dipendere dall'osservatore. L'osservatore è quindi destinato a crearsi una sua personale realtà? Il nulla è l'unico invariante? L'osservatore crea qualcosa dal nulla? Ma come è possibile? Come fa?
Dialogando con Carlo Rovelli, fisico italiano, la Gefter capisce che Wheeler aveva torto nel pensare che l'universo si componesse della somma di informazione conferita da una moltitudine di osservatori. Al contrario pare esserci UN solo "occhio" per universo: ogni osservatore crea il proprio universo (!!!!!!).
Da dove si crea questo universo? Dal nulla. Il nulla è lo stato di simmetria perfetta, privo di alcun tipo di informazione. Si acquisisce informazione dal nullatrasformando il nulla in qualcosa -quando gli poniamo un bordo. "Il bordo rompe la simmetria, producendo informazione". Noi produciamo qualcosa misurandolo, come quando apriamo la scatola e vediamo se il gatto di Schrödinger è vivo o morto: prima di misurare può essere sia uno che l'altro, perché è in uno stato di sovrapposizione.
Non essendoci quindi alcun tipo di invarianza da osservatore a osservatore, ma concludendo la "relatività" di ogni cosa, solo il nulla resta in comune per tutti; così la Gefter conclude che "il nulla è realtà ultima".
Al termine del libro c'è questo dialogo molto significativo, direi, che ribalta la visione realista per come l'abbiamo sempre pensata:
"Conosci la storia della caverna di Platone?" chiese papà. "Tutti i prigionieri sono incatenati nella caverna e non possono vedere il mondo reale esterno, ma solo le ombre sulla parete … La si ritiene una cosa negativa, come se loro non riuscissero mai a conoscere la realtà. Ma la verità è che bisogna essere inseriti entro un sistema di riferimento limitato perché vi sia una qualsiasi realtà! Se non fossi incatenata al tuo cono di luce, vedresti il nulla."
In un certo senso la realtà non esiste, almeno secondo la nostra concezione classica che fa riferimento a "qualcosa che sta là anche se non la guardi"; invece da questo nuovo punto di vista siamo noi a creare la realtà. È strano, dobbiamo essere "incatenati" a qualche punto vi vista per vedere qualcosa.
Queste conclusioni sono molto forti e inquadrano la fisica e la scienza in generale non più come analisi di una realtà già data, ma come "marchingegno dietro l'illusione che ci sia un mondo". L'idea di creare un mondo misurando (non immaginandolo a proprio piacimento come una favola, ricordiamolo) è piuttosto inquietante, questo perché speriamo sempre che ci sia davvero qualcosa di reale oltre a delle ombre, qualcosa di fisso, invariante, come pensava Platone quando scriveva il mito della caverna e pensava che il Bene, l'idea del Bene fosse l'incondizionato, l'assoluto che esisterebbe anche se noi non esistessimo.
Ognuno di noi è convinto di esistere separato dal resto del mondo: qui ci sono io e la c'è il mondo. Ma non è così! Noi siamo nel mondo, siamo del mondo. Siamo strutture transeunti (anicca) senza un vero sé (anatta) che fanno totalmente parte del mondo relazionale che ci circonda, ci avvolge, ci nutre. Noi siamo l'universo che guarda e riflette su se stesso come dice anche Wheeler.
Siamo incastonati dentro l'universo. Questo significa che non possiamo fornire una descrizione coerente dell'universo senza descrivere noi stessi. Il senso dell'io, l'attaccamento all'idea di individualità e personalità è talmente radicato e ramificato nella storia delle tradizioni occidentali, che molto probabilmente sarà l'ultima certezza a scomparire. Prova ne sia che anche nei rari casi in cui tali tradizioni hanno prodotto formidabili esempi di riduzione dell'io -come nelle mistiche ebraiche, cristiane e islamiche -, ciò è avvenuto, sì, sciogliendo le pretese del'io individuale, relativo, empirico, ma in riferimento e favore di Dio, ossia di un super-io inteso come massima unità, d'amore o di potenza. Anche in questi casi, cioè, l'idea di un sé forte e centrale non muore, ma si trasfigura, passando dalla forma particolare, personale, egoica, a quella universale del Sé assoluto: in termini vedantici il jivatman (anima individuale) scopre di coincidere con l'atman (Spirito universale). Anche in questi casi di suprema realizzazione spirituale l'idea che vi sia qualcosa di veramente atta, ossia di qualcosa sta in sé e per sé, autonomo, incondizionato, assoluto continua caparbia a sussistere … anche se tutto è invece costituito solo da relazione quale funzione costitutiva. Anche l'Assoluto (oltre all'io) è anatta e quindi relazione. (Pasqualotto)
La realtà è nulla! Nulla è reale! Questa è una delle interpretazioni della
La visione della struttura relazionale e armonica della realtà consente due importanti esercizi spirituali. Quando infatti l'io non è più visto come atomo, ma come parte organica e inscindibile della realtà, come nodo di una rete di connessioni infinitamente avvolgenti, il porsi dal punto di vista della Totalità, dell'Assoluto, permette sia di relativizzare l'importanza di problemi, dia atteggiamenti o di desideri che visti da una prospettiva individualistica possono essere sopravvalutati (n.d.r. proprio come fece Giobbe), sia il vedere come l'evento particolare, apparentemente inspiegabile e causa di sofferenza, acquisti invece un suo senso e vada pienamente accettato nel suo contribuire alla perfezione del Tutto. Il primo tipo di esercizio filosofico consiste dunque in uno sguardo dall'alto sulle cose del mondo, poiché è solo dal punto di vista della Totalità e dell'Assoluto che le cose possono essere comprese nella loro giusta dimensione. Ma la visione del Tutto interrelato produce anche un'altra fondamentale forma di esercizio filosofico, e cioè quella della rinuncia a combattere con il mondo. (Hadot) Consideriamo l'opinione di alcuni grandi pensatori occidentali in merito all'ego: Cartesio, Spinoza, Hume, Kant, Fichte, Hegel, Stirner, Nietzsche, Schopenhauer, Freud, Jung, Wittgenstein . Cartesio è il massimo esponente della "filosofia dell'io". Però fonda l'ego su un presupposto non coerente. Infatti dice: "Penso, dunque sono". E qui Cartesio rimane intrappolato nelle sue stesse parole scambiandole per la realtà. Infatti avrebbe dovuto limitarsi a dire: "Penso e dunque penso di essere" oppure "Penso e quindi esistono i pensieri". Invece, impropriamente, deduce, semplificando troppo, che esiste l'io. Spinoza, nel suo razionalismo monista, afferma che materia e pensiero sono attributi di Dio e nega sia il libero arbitrio che la finalità, e, dunque, nega l'io stesso. Hume mette in campo il suo empirismo scettico per affermare che "noi non siamo altro che un fascio o una collezione di differenti percezioni". Kant basa il suo ragionamento sull'Ich denke che non può essere ridotto a un io empirico ma va visto come strumento di conoscenza trascendentale comune a tutti gli esseri pensanti. Fichte introduce l'acquisizione che l'io si a sempre e soltanto in rapporto a qualcosa di originario che non è mai, in alcun modo, riconducibile alla singola autocoscienza (dunque un'io intrinsecamente relazionale). Ma è con Hegel che abbiamo una più distesa e completa messa in crisi della centralità dell'io quando dice che "L'autocoscienza è una idealità pura … senza realtà perché essa stessa, l'oggetto di sé, non è un oggetto, non essendovi alcuna differenza dell'oggetto e di sé". Max Stirner, considerato il cantore più fervido e coraggioso dell'io autonomo e assoluto, scrive però: "Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, esso poggia sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire: Io ho fondato la mia causa sul nulla". Per Schopenhauer l'idea di un io risulta solamente come lavoro del rappresentare e, quanto tale, è una costruzione dell'intelletto con pretese di verità: "l'egoismo pratico considera e tratta la persona propria come reale e tutte le altre come puri fantasmi". Nietzsche nega decisamente l'io asserendo che esso non è il proprietario dei pensieri ma uno dei tanti pensieri. Freud vede l'io come un fenomeno precario "spinto dal'Es, stretto dal Super-io, respinto dalla realtà". Ancora più marcata appare poi la riduzione di pretese operata da Jung, per il quale "La personalità cosciente è un segmento più o meno arbitrario della psiche collettiva". Infine anche Husserl e Wittgenstein non concedono spazio all'io. Il primo nega la legittimità dell'idea di un io autonomo e assoluto e alle sue aspirazioni monadiche. Il secondo scrive: "Io non denomina nessuna persona". A questo punto, una volta constatato che -con la parziale eccezione di Cartesio -pressoché l'intera tradizione filosofica occidentale, nelle sue più significative espressioni, ha evitato di fare dell'io il centro privilegiato di ogni evento del pensiero e della vita, ci si può chiedere come e dove si sia formata all'interno della civiltà occidentale, un'idea tanto forte di identità. Forse una possibile risposta potrebbe essere trovata nell'ambito della politica economica. In particolare nel pensiero di Hobbes ove giganteggia la guerra perenne di tutti contro tutti in un esasperato e selvaggio individualismo a cui solo lo Stato può porre rimedio. Concludendo possiamo riassumere che la relazione ha la meglio sull'ego nella filosofia (anche Platone, Tommaso e Hegel la pensano così) mentre in economia e in politica accade il contrario. E il mondo è molto più interessato all'economia che alla filosofia. (Una libera interpretazione degli scritti di Pasqualotto) Io uso la parola "io" per rendere più semplice la conversazione con un altro io. Ma è solo una questione di linguaggio perché, in realtà, non ci sono i due io! (U.G.) Buddha dice che la vita è sofferenza e che si soffre perché si desidera. Cosa si desidera? Si desidera soddisfare e salvaguardare un presunto "Io" ben identificato e autonomo che, in realtà, forse è invece solo relazione! E si teme la morte di questo presunto io che, forse, essendo relazione non è mai stato quello che pensiamo.
Buddha non nega l'esistenza dell'io ma dimostra che è relazione con ciò che pensa o che dubita e non sostanza come invece conclude Cartesio.
Gli uomini, in generale, tendono a rinforzare sempre più quella fortezza che è l'io. Ora il problema non è quello di raderla al suolo, ma quello di aprirla, cioè di mostrare che questa fortezza è costituita in realtà da una rete infinita di relazioni. Quindi è un superamento dell'io, non è un annichilimento dell'io. Un superamento dell'io vuol dire che l'io ci deve essere, però dev'essere, come dire, relativizzato, cioè dev'essere consapevole di essere impermanente e di essere una funzione relativa con tutto ciò che lo circonda. (Pasqualotto) E' interessante a questo proposito ricordare anche quanto consiglia Meister Eckhart a chi intende realizzare se stesso: "devi prima di tutto abbandonare te stesso … perché soltanto chi abbandona la propria volontà e se stesso, ha abbandonato davvero tutte le cose".
Jung dice che in ognuno di noi vive anche un altro che ci è sconosciuto e che, forse, potremmo chiamare il perturbante.
L'io va forse inteso come uno specchio che restituisce immagini che non gli appartengono e si configura non solo come una superficie che restituisce il medesimo diversamente declinato ma come luogo che va attraversato.
Il sé diventa un vedere senza il vedente, un pensare senza il pensante.
Prego sempre Dio affinché liberi il mio io dal mio io.
Il mio supposto sé soggettivo è in realtà un oggetto di conoscenza! L'io va interpretato semplicemente come una finzione che svolge una funzione di relazione e non come una sostanza a se stante.
Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro che l'io sia ciò che pensa; al contrario considero l'io come una costruzione del pensiero, dello stesso valore di materia, cosa, sostanza, individuo, scopo, numero; quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo del divenire, una specie di stabilità e quindi di conoscibilità. (Nietzsche) Per Nietzsche l'io è un epifenomeno (come l'ombra che ha bisogno di un corpo e della luce per essere percepita), uno dei molti idoli eterni prodotti dalla metafisica del linguaggio (quali verità, sostanza, causa). In realtà però l'io non ha consistenza ontologica ma svolge solo una funzione regolativa illudendoci dell'esistenza di una certa stabilità e conoscibilità nel mondo del divenire.
Non è che essendoci il singolo individuo c'è l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo e l'esperienza è più fondamentale delle distinzioni individuali. (Kitaro) Il narcisismo è la peggior idolatria perché il proprio "io" diventa il solo adorabile: esclude ogni altro idolo, non permette di cadere in schiavitù di altri idoli ma chiede a tutti di essere suoi schiavi.
Il mio io deve essere superato perché non è dall'io che sgorgano i pensieri ma è dal pensiero che nasce l'io.
Sia nella tradizione brahamanica che nel senso comune induista, la fede nell'essenzialità dell'io, nella pienezza di sé della coscienza individuale, è la più radicata e diffusa e, quindi, la più difficile da estirpare da parte del buddismo. Infatti l'attaccamento all'io è alla base di ogni altro tipo di attaccamento: il soggetto che si pensa autonomo, autofondante e autosufficiente, proietta infatti questa pretesa autonomia sulla realtà che ritiene «esterna» a sé, e ne fa così un mondo separato, un oggetto dotato anch'esso di un sé autonomo. Se hai un io, sei essere portato ad arrendersi a un'autorità più alta. Se non ce l'hai, non hai bisogno di obbedire a nessuno.
L'io non esiste mai senza l'oggettualità, la realtà a noi esterna. La riflessione sull'io è perciò, nello stesso tempo, quella con il suo rapporto con una realtà esterna.
Noi non siamo un flusso di esperienze individuali, ma siamo un campo dell'essere e colui che pensa al campo, che è un'insieme, ne fa parte. L'io è un'intuizione empirica indeterminata. Non c'è l'io puro (Leib) che abita il corpo (Körper). Queste sono alcune considerazioni intorno all'Ego tratte dal pensiero filosofico di Merleau-Ponty. Che poi afferma anche: <<Questa sarebbe la descrizione dell'Essere alla quale saremmo condotti se volessimo veramente ritrovare la zona pre-riflessiva dell'apertura all'Essere. E perché questa apertura abbia luogo, perché noi usciamo decisamente dai nostri pensieri, perché niente si frapponga fra noi ed esso, occorrerebbe correlativamente svuotare l'Essere -soggetto di tutti i fantasmi di cui la filosofia l'ha riempito.
Alan Watts scrive: <<Il taoismo, il confucianesimo e lo zen sono espressioni di una mentalità che si sente completamente a suo agio in questo universo e che vede l'uomo come parte integrante delle cose che lo circondano. L'intelligenza umana non è un remoto spirito imprigionato, ma un aspetto dell'intero organismo complicato ed equilibrato del mondo naturale>>.
La Madukya Upanishad recita poi: <<Non vi è né nascita, né dissoluzione, né aspirante alla liberazione, né alcuno che sia in schiavitù>>. E infine: <<I così detti esseri viventi sono l'assoluto che segue cause circostanziali>>.
Pasqualotto ci propone un suo ragionamento intorno all'io in tutta la filosofia occidentale scrivendo: <<Con la parziale eccezione di Cartesio, pressoché l'intera tradizione filosofica occidentale, nelle sue più significative espressioni, ha evitato di fare dell'io il centro privilegiato di ogni evento del pensiero e della vita>>.
<<L'io non è serio>> scrive Merleau-Ponty immedesimandosi nel dolce pensiero di Montaigne. E aggiunge: <<Quando io tento di cogliere me stesso, si presenta tutto il tessuto del mondo sensibile, e gli altri che sono inclusi in esso>>. Addirittura lo paragona a un abisso: <<Se non ci fosse questo abisso del sé non esisterebbe nulla. Solo, un abisso non è un nulla, ha i suoi margini i suoi contorni>>.
Il problema non è più l'io ma che cosa è questo io.
<<E' come se delle marionette danzanti pensassero di essere dei ballerini, anziché semplici burattini, ed è a causa di tutta questa illusione che diventiamo sempre più invischiati in questi cordami>>. Questo passo del testo sacro indiano La Baghavad Gita scritta nel terzo secolo avanti Cristo da un anonimo, ci prospetta l'uomo come un semplice burattino i cui fili sono tirati dalla Necessità. Da rimarcare che anche Platone ci porta, più o meno, lo stesso esempio della marionetta nel passo ove scrive: <<Proviamo a raffigurarci ciascuno di noi quanti siamo esseri viventi come una marionetta costruita dagli dèi o per gioco o per uno scopo serio: questo non lo sappiamo, bensì sappiamo che queste sensazioni che albergano in noi ci tirano come corde o funicelle>>. In conclusione, fin dall'antichità classica occidentale e orientale, il pensiero filosofico tende a vedere l'uomo, e il suo prezioso ego, come un semplice burattino nelle mani di divinità lontane e, forse, un po' assurde per l'Occidente o, d'altra parte, per l'Oriente, nelle mani della Necessità che tutto costringe.
<<Mach descrive austeramente l'"io" come "quel complesso di ricordi, disposizioni, sentimenti, legato a un determinato corpo". Inoltre: "Colori suoni, calore, pressioni, spazi, tempi ecc. sono connessi fra loro in modo molteplice e a essi sono legati disposizioni, sentimenti e volizioni. Da questo tessuto emerge ciò che è relativamente più stabile e durevole, imprimendosi nella memoria ed esprimendosi nella parola">>. E ancora: <<L'io non è delimitato nettamente, il suo confine è abbastanza indeterminato e spostabile ad arbitrio>>. Mach ci porta quindi a rinunciare all'idea di un "io" ben determinato e indipendente dal mondo. Ciò anche in seguito a una sua esperienza visionaria giovanile: <<In un sereno giorno d'estate all'aperto il mondo insieme al mio io mi apparve come una quantità di sensazioni compatta; nell'io questa compattezza era semplicemente maggiore>>.
<<All'analisi riflessiva è essenziale muovere da una situazione di fatto. Se essa non si desse immediatamente l'idea vera, l'adequazione interna del mio pensiero a ciò che io penso, o anche il pensiero in atto del mondo, le occorrerebbe, far dipendere ogni "io penso" da un "io penso di pensare", quest'ultimo da un "io di pensare che penso" e così via >> scrive Merleau-Ponty. Alla fine, il cartesiano cogito ergo sum, pare una delle tante instabili nuvole antropomorfiche che si sciolgono in cielo per poi riformarsi un po' dopo, un po' più in là. Nulla di serio, anche se su di esso si regge buona parte del nostro moderno pensiero occidentale. Cartesio avrebbe forse dovuto a limitarsi ad un semplice: esiste il pensiero. Chi è infatti che "cogita"? Io? Io chi? Forse l'io è solo una convenzione sociale utile per lo sviluppo e la crescita dell'uomo sia come specie (filogenesi) e sia come individuo (ontogenesi). Ma pur sempre una convenzione sociale.
<<La frammentazione che deriva da questo collasso di tanti ego chiusi nel loro buco nero fatto di realtà illusorie, è alla radice delle discordie fra gli uomini, delle guerre, e dell'indifferenza dell'uomo nei confronti della salute del suo pianeta>>. Il dramma delle monadi umane ognuna chiusa in se stessa e nella sua illusione mondana forse inconsapevole che <<I così detti esseri viventi sono l'assoluto che segue cause circostanziali>> e ancora <<L'individuo è nato schiavo perché la natura dell'io è schiavitù>>. Una delle Upanishad, la Madukya recita: <<Non vi è né nascita, né dissoluzione, né aspirante alla liberazione, né alcuno che sia in schiavitù>>.
Affinché io sia in e-stasi nel mondo e nelle cose, è necessario che niente mi trattenga in me stesso lontano da esse: nessuna "rappresentazione", nessun "pensiero", nessuna "immagine" e nemmeno quella qualificazione di "soggetto", di "spirito" o di "Ego" in virtù della quale il filosofo vuole distinguermi assolutamente dalle cose>>. Non siamo, dunque, distinti dalle cose e dal mondo. Il confine è solo una finzione scenica semplificativa.
<<Merleau-Ponty non oppone dualisticamente l'iniziativa dell'uomo a quella dell'Essere ma le concepisce nella loro intima unità: nell'azione dell'uomo ne va dell 'Essere, e reciprocamente l'Essere non può concepire la propria teleologia e divenire consapevole di sé senza il fare e il pensare dell'uomo>>. Questo scrive Sandro Mancini nel suo omaggio al nostro filosofo.
Questo ribadisce anche Heisenberg <<La scienza naturale non descrive e spiega semplicemente la natura; essa è una parte dell'azione reciproca fra noi e la natura; descrive la natura in rapporto ai sistemi usati da noi per interrogarla. E' qualcosa questo, cui Descartes poteva non aver pensato, ma che rende impossibile una netta separazione fra il mondo e l'Io>>. Noi ne siamo del mondo. Il mondo è in noi. C'è un avvolgimento reciproco che rende pressoché impossibile una netta distinzione. Come abbiamo visto eminenti personaggi della scienza quali Monod, Mach e Heisenberg concordano fra loro e con Merleau-Ponty nel togliere importanza all'Ego e alla sua presunta esistenza separata dal mondo e dalle cose. Questa "moderna masnada" anti Ego trova, come già abbiamo visto, grande conforto nell'antico pensiero orientale. Infatti, non sono solo alcune eccelse menti occidentali a pervenire alla conclusione dell'impossibilità di separare l'uomo dalla natura dato l'intrinseco coinvolgimento dell'uno nell'altro. Anche il pensiero orientale era giunto alle stesse idee in tempi molto antecedenti. Leggiamo infatti: <<Il taoismo, il confucianesimo, e lo zen sono espressioni di una mentalità che si sente completamente a suo agio in questo universo e che vede l'uomo come parte integrante delle cose che lo circondano. L'intelligenza umana non è un remoto spirito imprigionato, ma un aspetto dell'intero organismo complicato ed equilibrato del mondo naturale>>.
Anche Giangiorgio Pasqualotto conferma l'assonanza fra occidente e oriente nel negare la reale consistenza dell'identità propria dell'io scrivendo: <<Non sembra allora arbitrario concludere che l'esercizio del pensiero umano, a Est come a Ovestalmeno nei suoi esponenti più significativi -non solo non è mai riuscito di produrre una convincente e sostenibile teoria dell'identità relativa, ma addirittura, in certi casi, è riuscito ad elaborare e trasmetterci fondamentali teorie dell'identità relativa o, meglio, relazionale: da intendersi non in senso debole -come si trattasse semplicemente di una identità determinata che si mette in relazione con altre determinate identità -, ma in senso forte, intendendo cioè ogni identità in quanto formata, intessuta, costituita, in ogni momento della sua vita, di alterità>.
<<La soggettività non attendeva i filosofi come l'America ignota attendeva, nelle nebbie dell'Oceano, i suoi esploratori; essi l'hanno costruita, fatta, in vari modi. Ciò che i filosofi hanno fatto è forse da disfare. Heidegger pensa che essi hanno perduto l'essere da quando l'hanno fondata sull'autocoscienza>>. Dunque, dice Merleau-Ponty, la soggettività è una costruzione filosofica incominciata con la grecità. Non è una "scoperta" di qualcosa che c'era già. Ed è una costruzione che ci ha imprigionati nell'io penso, il pensiero di essere un io è diventato l'essere: cogito ergo sum. Giustamente Heidegger fa notare che l'autocoscienza si crede di essere l'essere anche se non lo è. Infatti è solo un "esserci". <<Perfino il filosofo che oggi rimpiange Parmenide e vorrebbe restituirci i nostri rapporti con l'Essere quali erano prima dell'autocoscienza, deve proprio all'autocoscienza il suo senso e il suo gusto dell'ontologia primordiale. La soggettività è uno di quei pensieri che non si possono elidere, anche e soprattutto se li si supera>>. Abbiamo dunque capito che il pensiero non è l'essere ma, come dice Franz Rosenzweig nel libro La stella della Redenzione, il pensiero è solo uno dei tanti quadri che si possono appendere alla parete bianca dell'essere. Non accade più di credere che <<la parete era considerata dipinta ad affresco, cosicché parete ed immagine venivano a costituire un'unità, ora invece la parete in sé è l'unità>>. Ciò che era successo da Parmenide ad Hegel e cioè considerare la parete bianca (l'essere) e l'affresco (il pensiero) come unica cosa, non ha più senso essendoci tanti quadri diversi da appendere e poi togliere quando e se lo si vuole. Il pensiero diviene un ingrediente, pur se fondamentale, dell'essere nel mondo.
Anche il filosofo Merleau-Ponty è concorde con Rosenzweig quando afferma: <<Nella proposizione "Io penso, Io sono", le due affermazioni sono si equivalenti, altrimenti non ci sarebbe Cogito. E' però necessario intendersi sul senso di questa equivalenza: non è l'Io penso a contenere eminentemente l'Io sono, non è la mia esistenza a venir ricondotta alla coscienza che ne ho, ma viceversa l'Io penso a essere reintegrato al movimento di trascendenza dell'Io sono e la coscienza all'esistenza>>.
Merleau-Ponty va anche oltre parlando di <<Quella bruma individuale attraverso la quale percepiamo il mondo>>. Ricorda poi anche che << L'equivoco è essenziale all'esistenza umana, e tutto ciò che noi viviamo o pensiamo ha sempre più di un senso>>.
In queste frasi di Merleau-Ponty, l'io si va dissolvendo quasi come una bruma autunnale, una nebbia senza consistenza. Lo strano è che attraverso questa dissolvenza dell'io, questa fragilità intrinseca, noi dovremmo cogliere il mondo. Cosa non semplice quella di capire il mondo attraverso "una bruma individuale" soprattutto se consideriamo anche che tutto ciò che pensiamo ha sempre più di un senso. Siamo quasi fantasmi (brume individuali) che percepiscono altri fantasmi ancora più vaghi (l'equivoco è essenziale alla vita umana).
<<Non sono quindi, come dice Hegel, un "buco nell'essere" ma una fessura, una piega che si è fatta e può disfarsi>>. L'ego visto come una piega. Stupenda immagine. Pensiamo a una tovaglia (l'essere) sulla quale si forma una piega (l'io). Fin che la tovaglia resta a riposo, la piega resta disegnata più o meno alta e orgogliosa. Se la tovaglia viene, per qualche motivo, tirata da una parte o dall'altra, la piega sparisce. L'essere riassorbe l'io. Così come il mare riassorbe la sua onda.
In merito all'Io consideriamo anche quanto scrivono David Bhom (fisico quantistico) e Jiddu Krishnamurti (filosofo apolide): <<E l'"io"… perché l'umanità ha creato questo "io" che, inevitabilmente, deve causare conflitti? "io" e "tu", e "io sono migliore di te", eccetera, eccetera.>> dice Krishnamurti. Gli risponde Bhom: <<Penso che fu un errore commesso molto tempo fa, o, come Lei l'ha definita, fu una svolta sbagliata, per cui, avendo essa esteriormente introdotto la separazione fra varie cose noi dobbiamo poi continuare a farlo … non per cattiva volontà, ma semplicemente per il fatto di non conoscere nulla di meglio>>. L'ego potrebbe dunque essere stato originato da una scelta sbagliata ma inevitabile visto che non fu trovata, in quel tempo remoto allorché l'uomo divenne tale, una scelta migliore. Dice Alan Watts: <<L'inganno sta nella falsa premessa metafisica alla radice del senso comune; è l'inconscia ontologia ed epistemologia dell'uomo medio, la sua tacita presunzione che egli sia un "qualcosa">>. Siamo qualcosa? O vogliamo solo afferrare la mente con la mente? <<Io, veramente è nessuno, è l'anonimo; è necessario che esso sia così, anteriore a ogni oggettivazione, denominazione, per essere l'Operatore, o colui al quale tutto ciò accade. L'Io denominato, il denominato Io, è un oggetto. L'Io primario, di cui quest'ultimo è l'oggettivazione, è lo sconosciuto al quale tutto è dato da vedere o da pensare, al quale tutto fa appello, di fronte al quale … c'è qualcosa. E' dunque la negatività, -che non è afferrabile, naturalmente, in nessuno, giacché essa non è niente>>. Merleau-Ponty ci parla di un certo IO che è nessuno perché anteriore a ogni denominazione e, come tale, è negatività intesa come differenziale tra il vuoto e le cose che ci stanno intorno. Un Io sfuggente, anonimo, quasi un niente. <<L'io è un'intuizione empirica indeterminata. Io non possiedo le chiavi del mondo e nemmeno quella del mio Io. Posso cogliere soltanto un'Erscheinung. Così come posso cogliere l'unità dell'Io soltanto nelle sue produzioni>>.
<<Siamo obbligati a scegliere se chiuderci in certezze vuote, oppure accettare questa incertezza profonda del nostro sapere>>. Tra le certezze vuote di Rovelli credo si possa annoverare anche questo sfuggente Io oggettivo. Se Rovelli ha ragione, sarebbe forse opportuno accettare l'incertezza intorno al presunto vero "io" con serenità. Ci si limiterebbe a un "io" fungente dell'Erscheinung, senza certezze, così, solo per gioco, senza un inizio e senza una fine, "sempre di nuovo".
Merleau-Ponty scrive anche:<<L'universalità e il mondo si trovano nel cuore dell'individualità e del soggetto. Non lo si potrà mai comprendere finché si farà del mondo un objectum. Viceversa, lo si comprende subito se il mondo è il campo della nostra esperienza, e se noi non siamo altro che una veduta del mondo, giacché allora la più segreta vibrazione del nostro essere psicofisico annuncia già il mondo, la qualità e l'abbozzo di una cosa, e la cosa l'abbozzo del mondo […] In definitiva, che cosa sono io nella misura in cui posso intravedermi fuori da ogni atto particolare? Io sono un campo, sono un'esperienza>>. Il mondo è dentro il soggetto non essendo un oggetto separato, è invece un campo ove il mio ego, lui pure visto come campo, fa la sua esperienza, anzi per meglio dire: io sono quell'esperienza.
L'ego è forse, nel suo complesso, ciò che in economia viene detto un optimum locale: non è cioè il meglio in assoluto ma comunque permette una transitoria posizione prospettica. Noi uomini, invece, ci siamo affezionati troppo all'ego e ci siamo fermati lì: non vogliamo (o non possiamo?) andare oltre.
Concludiamo questo paragrafo dedicato all'Ego ancora con una riflessione di Merleau-Ponty: <<Per possedersi, occorre cominciare con l'uscire da sé>>. Solo mettendoci in discussione come ente autonomo e distaccato dal mondo, forse, solo così, potremo avvicinarci e capire cosa veramente è questo presunto fondamentale Ego. Uno scarto fra il niente che io sono e l'essere: <<Non essere niente e abitare il mondo è la stessa cosa […] sono autorizzato a dire che io sono il mondo>>.
Si dice di Dio: nessun nome può nominarti. Ciò vale per me: nessun concetto mi esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi esaurisce: sono solo nomi.
[…] Proprietario del mio potere sono io stesso, e lo sono in quanto so di essere unico. Nell'unico il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore dal quale è nato. Ogni essere superiore a me stesso (ossia ogni fondamento) sia Dio o l'uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, esso poggia sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma e io posso dire: io ho fondato la mia causa sul nulla. (Stirner)
Noi non vorremmo mai che le nostre cose si rompessero. Soprattutto se a rompersi siamo noi stessi! Chi vi parla ha una forte ripugnanza a pronunciare una parola, il pronome di prima persona "io". (Trevi) Le questioni fra il mio io e il mio Dio (se esiste un io, se esiste un Dio e se i due sono veramente distinti …) saranno o non saranno affari miei? L'io che sa che tutto è impermanente, non può trarsi fuori dal flusso dell'impermanenza, ma deve rendersi conto che tale carattere coinvolge anche se stesso.
………… Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Leopardi vuole forse significarci che è bello smarrire la propria coscienza individuale, il proprio io?
La rivoluzione "spaziale" indotta dalla pratica zen interessa non solo il soggetto e gli oggetti, ma coinvolge anche il rapporto, nel soggetto, tra coscienza e contenuti della coscienza; ovvero, detto altrimenti, tra io e super-io: di solito, infatti, quest'ultimo viene immaginato al di fuori o, più spesso, anche al di sopra dell'io, il quale funziona da osservatore e controllore esterno e onnipresente, come se fosse un occhio di telecamera che sovrintende a ogni gesto e a ogni parola. Questa situazione è detta nello zen «afferrare la mente con la mente», ed è dichiarata impossibile o, meglio, possibile ma disastrosa nei suoi effetti, in quanto conduce alla paralisi o alla follia: infatti la coscienza della coscienza è impossibile, così come è impossibile che il fuoco bruci se stesso, che una lama tagli se stessa o che l'occhio si veda.
Vi è poi un secondo fondamentale ambito in cui lo zen, assieme a molte forme di misticismo, incontra i limiti del linguaggio: è l'ambito del discorso sulla riflessione, mediante il quale il soggetto, l'io presume di cogliersi e di dirsi come unità nello spazio e come identità nel tempo. La pratica della meditazione consente al punto in cui il soggetto non può venir nominato: non perché venga annullato in una morta indifferenza, ma perché viene superato nell' esperienza delle infinite connessioni -e, quindi, delle infinite differenze -che lo costituiscono e che non possono mai venire enumerate in modo completo e definitivo.
Il soggetto, proprio in quanto non risulta mai come qualcosa di specifico e indipendente, non può mai conoscersi dandosi come oggetto della propria conoscenza.
Il narcisismo è l'innamoramento di sé: tuttavia, mentre per Freud il narcisismo è un fenomeno causato da funzioni carenti dei genitori, per il Buddhismo sarebbe endemico alla condizione umana: esso va combattuto non tentando di sostituire al falso sé un vero sé "superiore" -come intende fare, per esempio, la psicologia transpersonale -ma va superato rendendosi consapevoli che il sé, come entità autonoma, non esiste.
L'ignoranza consiste nel considerare l'io come il centro o il culmine di ogni azione e pensiero: quasi sempre, infatti, le parole sbagliate vengono pronunciate con il fine, più o meno implicito, di rafforzare la posizione dell'io rispetto al resto del mondo.
In verità, l'io astuto, senza amore, l'io che vuole il suo utile nell'utile di molti: questa non è l'origine del gregge, bensì la sua fine. (Nietzsche) Tu devi voler bruciare te stesso nella tua stessa fiamma: come potresti voler rinnovarti senza prima essere diventato cenere! (Nietzsche) E' l'ignoranza che ci porta a identificarci con il corpo, con l'ego, con i sensi e con tutto ciò che non è l'Atman. E' saggio colui che vince questa ignoranza. (Sankara)
Si potrebbero rappresentare graficamente le differenti interpretazioni dell'Io nel seguente modo:
Lo schema A indica la situazione dell'individuo ancora immerso nell'ignoranza e nella sofferenza. Tale individuo è caratterizzato da due condizioni: l° credere di essere il centro dell'universo; 2°credere di poter diventare sempre più potente, fino al punto di coincidere con l'Assoluto, rappresentato dalla circonferenza.
Lo schema B indica la situazione dell'individuo realizzato secondo il Vedanta: l° non presume più di essere al centro dell'universo, ma si conosce come parte di esso; 2° è completamente compenetrato dell'Assoluto: si identifica con questo, ma non perché si immagina espanso fino a coincidere con la circonferenza che rappresenta l'Assoluto, ma perché realizza che l'intera circonferenza ha la potenza di concentrarsi in lui stesso, come in qualsiasi altro punto ad essa interno.
Lo schema C indica -con le due circonferenze solo tratteggiate -la situazione dell'individuo "risvegliato " secondo il Buddhismo: l° non presume di essere al centro dell'universo, perché si conosce come un composto di stati condizionati e impermanenti; 2° egli "scioglie" anche la circonferenza che rappresenta l'Assoluto, perché ha scoperto che ogni Assoluto, così come ogni sua determinazione, è vuoto di auto consistenza e di eternità. Ogni assoluto è quindi anatta e anicca! L'io non è qualcosa che sta al disopra e controlla gli skandha -come normalmente riteniamo per colpa dell'avidyõ (ignoranza), che ci fa attribuire alle cose e alle persone un'esistenza indipendente, inerente, a sé stante (che in realtà non è mai esistita).
Vogliamo veramente continuare ad esistere per sempre? Vogliamo viaggiare per sempre con la nostra traballante identità? (Nozik)
Noi siamo altri a noi stessi né più né meno di quanto lo sono gli altri.
La salvezza personale (eterna o meno) potrebbe essere pura vanità …
Apprendere la via autentica è apprendere se stesso. Apprendere se stesso è dimenticare se stesso. Dimenticare se stesso è essere inverato da tutte le cose. Essere inverato da tutte le cose è libertà nell'abbandonare corpo e spirito di se stesso e corpo spirito altrui. E' risveglio che riposa da ogni traccia di se stesso, è risveglio che perpetua il non lasciare traccia di se stesso. (Dogen) Chi ha stima del proprio sé, quello originale, non lo addobba di cose aggiunte, ma lo spoglia perché manifesti tutta la sua purezza. Il grande Sé cancella il piccolo sé.
Per Nietzsche la nozione di soggetto è un puro "pregiudizio grammaticale". Quando ci rendiamo conto che non è l'ego che agisce diventiamo l'energia stessa.
Non arriveremo al nostro vero essere finché non saremo liberi dal concetto di sé! Quando ti chiederanno: "dove eri prima di nascere e dove andrai quando morirai?" .. tu rispondi; "l'ego è una convenzione sociale, una mera invenzione della mente atta a rassicurarci"…. Ma, se Dio non esiste e l'ego è una invenzione della mente … chi siamo o cosa siamo veramente noi?
"Io … non sono mai esistito". E il senso di libertà sarà totale. Anzi si suole dire che "sarai oltre la libertà".
Siamo quello che crediamo anche inconsciamente.
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Ogni essere è se stesso e ogni essere è altro a se stesso: indagando se stessi non si perviene a un nucleo interiore saldo e puro tipo il cogito ottenuto da Cartesio. Si è sempre se e altro da sé … contemporaneamente! Siamo l'Inconcepibile, che tuttavia si rivela a noi con mille colori, ma è solo luce unica incolore.
Il sé è un'invenzione dei filosofi: si vuole personalizzare il principio senza tempo e senza spazio, si vuole chiamare onda il mare, si vuole chiamare piega la tovaglia.
La neurologia ci dice che il sé consiste di molte componenti, e l'idea che sia unico ed unitario potrebbe benissimo essere un'illusione.
Ho costruito un muro intorno a me, un muro, che sono io stesso.
Chi è questo io sempre presente che, però, non è me? Essere nati vuol significare superare la cresta dell'inesistenza, essere una fluttuazione dello spazio, come un'onda del mare che ci porta sulla riva, però non siamo mai giunti alla battigia, siamo rimasti solo sull'onda fluttuante, mentre sogniamo la terra promessa. Abitiamo l'involucro del tempo e non sappiamo che stiamo solo giocando alla vita.
L'io ha un senso solo se riesce a superarsi nell'amore.
Tanto l'io umano quanto i corpi esterni sono complessi di sensazioni: noi possiamo conoscere solo sensazioni. (Mach) E' l'illusione del libero arbitrio che crea l'illusione dell'io.
La collina dell'ego: l'io è come una collina che, ovviamente, è tutt'uno con la terra intera (cioè con l'energia primigenia). Ma questa collina pensa! E qui incominciano i guai. Infatti l'ego decide subito di difendere la propria identità contro le altre identità (l'io si afferma opponendosi). Fortifica quindi la propria collina con mura e bastioni (le certezze, i dogmi!) e chiude le poche porte (possibili aperture vero gli altri). Ovviamente anche gli altri fanno la stessa cosa: tutte le colline divengono fortificate e chiuse in se stesse. Ma non solo ci si difende, si passa anche all'attacco. Ci si arma di potenti cannoni (cattiveria) e si inizia a sparare sulle altre colline con motivazioni spesso risibili. Io sparo a te, tu spari a me in una guerra continua. Il mio dio contro il tuo, la mia patria contro la tua, la mia famiglia contro la tua! Nessuno è felice! Si capisce che c'è qualche cosa che non va! Qualcuno si chiede: "Perché non cambiare smantellando questo modo di pensare e di essere?" Sarebbe bello poter abbattere le mura, aprire le porte e non sparare più sugli altri! Sarebbe bello cessare le guerre d'egoismo e praticare l'arte del dono empatico! Sarebbe bello spianare anche le colline e ritornare alla unica grande madre terra!" "Tu sei pazzo" rispondono in coro le varie colline fortificate..."Tu sei proprio pazzo!" "IO CHI SONO?" è la domanda fondamentale di ogni filosofia, di ogni religione.
Forse l'errore di fondo della filosofia e della religione occidentale è quello di dare una grandissima importanza all'io umano che, in realtà, è invece solo una finzione scenica: utile per sopravvivere certo...ma non per avvicinarsi al mistero dell'infinito.
L'io è una trappola per uomini! Non continuare ad insistere ad essere qualcuno significa essere liberi di essere nessuno. (Nisargadatta Maharaj).
Non serve "migliorare l'ego" come cercano di ottenere le terapie di sviluppo personale per arrivare all'illuminazione, ma, forse, serve solo trovare un modo di disidentificarsi dal falso, dopo aver avuto l'appercezione della realtà sempre presente.
(Isabella di Soragna).
"Il solo problema è l'identificazione a un'entità immaginata. Sparita l'identificazione cosa rimane? Siamo tutto e siamo nulla. Anche questi concetti poi svaniranno come tutto il resto e quello che siamo veramente brillerà senza che ce ne accorgiamo, le azioni si faranno da sole e al meglio. Il sogno potrà svolgersi non solo senza interferenze di un "io", ma anche senza una coscienza inventata." (Isabella di Soragna)
Tutti sanno che l'onda si perde nel mare. Pochi sanno che anche il mare si perde nell'onda. Ogni volta che un pensiero nasce, nasce un io. Tu sei quello che è precedente all' "io sono".
Nessuno possiede se stesso....nessuno conosce se stesso...l'io che possiede è anche l'io che è posseduto....l'io che conosce è anche l'io che è conosciuto...andando più al fondo poi, l'io è solo una finzione...
La filosofia e la logica occidentale produsse la concezione dell'io "che pone di fronte a sé un qualcosa da scoprire o da interpretare, un oggetto inerte a cui egli impone le sue leggi".
"Tentativo di dare all'Io il suo senso originario", di essere cioè una costruzione artificiale della cultura occidentale che ha bisogno "dei due poli invarianti dell'ego e della cosa", (l'uno come "unità invariante di vissuti intesi come atti individuali di un io-polo", l'altra "come unità invariante di tutte le qualità o le determinazioni individuali di un ente qualsivoglia"), costruzioni vuote e separate, "inventate dalla cultura filosofica e scientifica dell'Occidente sulla base di un logos che fonda, ordina e struttura ogni cosa".
Ogni volta che nasce un pensiero, io sto nascendo. Non vi è nessuna entità permanente, io è solo una parola. Qualunque cosa ci fosse prima della conoscenza "io sono" è la verità. Tu sei quello che è precedente all'io sono. Lo Rosenzweig dice l'Io non è il Tutto perché l'Io ha paura. E se invece avesse paura perché non sa di essere il Tutto?
Io è solo una piccola piega del grande lenzuolo cosmico che prima o poi verrà stirata.
L'io è una utile finzione scenica....ma non esiste una vera continuità dell'io che attraversa i vari tempi: passato, presente e futuro...solo la nostra immaginazione né fa un'unità.
Sartre afferma che l'inferno sono gli altri. Senza gli altri però non vi è neppure un io.
Io, che dubito molto del mio io, sono abbastanza sereno e felice... Altri, che sono sicuri del loro io e lo difendono anche a cannonate, sono un po' meno sereni e felici, mi pare...
Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. (detto zulu)
L'io è anche l'altro, l'altro è anche l'io.
Saper cogliere se stessi come elementi di un sistema infinito, come nodi di un'orditura infinita, uno degli infiniti casi di connessione e non il centro dell'universo: troppa hybris! Troppa tracotanza che trasforma una connessione nel centro delle connessioni.
Chi sei?-gli chiese qualcuno. "Nulla di percepibile o di concepibile: né questo né quello"-fu la risposta.
Per possedersi, occorre cominciare con l'uscire da sé.
Io non sono altro che una semplice veduta sul mondo.
Alcuni luoghi alti del pensiero sia orientale che occidentale testimoniano l'impossibilità di porre l'io quale fondamento fisso e sicuro della vita e della realtà. Ognuno è qualcuno solo in rapporto ad altri.
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Husserl mette in crisi le aspirazioni monadiche di un io assoluto e autonomo.
Il soggetto non appartiene al mondo ma è un limite del mondo.
Imparare a ed essere vuoti di sé e non pieni di sé.
L'io è un sogno molto appiccicoso e insistente dal quale ci si potrebbe o forse, per meglio dire, ci si dovrebbe svegliare.
Vi sono milioni di bolle e una di quelle è il tuo sé individuale: rompi la bolla e torna alla tua vera natura. La vera comprensione rompe la bolla.
La cura sui che non si riduca a un intimistico rafforzamento del sé autoreferenziale ma miri, all'opposto, al suo trascendimento. La vera comprensione è che non esisti. L'ego è il figlio di una donna sterile: non esiste. È solo una falsa proiezione di una mente ignorante. (Isabella di Soragna)
Far svanire il concetto di identità separata per far sorgere la possibilità di un'esperienza integrale oltre la distinzione fra io e non io.
Finché credi di fare qualcosa o di ottenere un risultato, significa che sei nelle grinfie dell'illusione. Dimentica l'illusione, sii Quello. Vai in fondo, sempre più in fondo a te stesso, finché sparisci. Quando l'"io" scompare, rimane solo e sempre "Quello". Perché preoccuparsi?
Freud fu molto incerto su questo tema che pose al centro delle sue riflessioni. Oscillò a lungo sulla conoscibilità dell'Es, cioè del mondo dove si agitano gli istinti. Sono conoscibili gli istinti? Chi può entrare nella caverna del profondo da essi abitata? Solo l'Io potrebbe tentarlo, ma che cos'è l'Io se non una creazione artificiale, una sorta di sovrano simbolico che riassume una quantità infinita di organi, di cellule, di gas, di minerali, di liquidi e miliardi di miliardi di atomi e di particelle elementari? Noi uomini ci chiamiamo Io, la nostra mente ci ha dato questo nome che nasconde sotto il suo mantello un universo in continuo movimento e in continua mutazione. "Tutto si muove, tutto cambia, si muovono perfino le Piramidi d'Egitto e anch'io mi muovo e cambio ad ogni attimo. Io non racconto di me ma racconto un passaggio". Così scriveva Montaigne nella prima pagina dei suoi "Essais". (Scalfari)
Liberiamo la nostra mente dalle parole e dalle spiegazioni perché in definitiva non c'è nulla da spiegare. Semplicemente i contorni dell'individualità si dissolvono e la sensazione di limitatezza non ci opprime più.
Nessun uomo è un'isola. L'essere umano è costituito dalle sue relazioni.
La voluttà di essere nessuno di fronte al mondo nella ripulsa della tragicomica vanità dell'io tolemaico che si reputa il centro dell'universo. L'essere nessuno permette di cogliere il respiro delle cose mentre si trasfigurano quando la dualità non è ancora nata, prima che l'io sorga e cioè quando è ancora disperso in ogni cosa fuori.
L'io è la coscienza di una coscienza, è il rapporto del finito con l'infinito e con gli altri finiti, è il rapporto del rapporto.
Come tu sei, così è il mondo.
L'io si afferma opponendosi.
Quando ci rendiamo veramente conto che non è l'ego che agisce, diventiamo l'energia stessa in modo che ogni tipo di gioco non è più personale.
Non pensare nemmeno per un attimo di essere il corpo. Non nominarti, non darti una forma. La realtà è nel buio e nel silenzio.
L'insieme è la base del nostro essere. Poi però, a un certo punto, si sono imposti i singoli elementi sull'insieme. Il singolo è diventato la nuova unità esistenziale e l'ego ha preso il sopravvento su tutto il resto.
Vogliamo essere l'individuo separato ma vogliamo anche naufragare nell'infinito e così non troviamo pace.
Non solo non c'è un 'sé' individuale, ma neanche nessun altro 'sé. Nessun sé, nessun 'altro'. Tutto è composto della stessa 'sostanza' di vacuità". E' solo quando non sono pensato che sono quello che sono: nulla.
Non c'è "io sono" tranne che nel pensiero.
Al potere serviva l'io per poterlo colpevolizzare.
"Alla nascita siamo stati scaraventati in questo mondo senza possibilità di scelta e l'unica certezza ce abbiamo è quella che un giorno moriremo" QUI E' L'EGO CHE PARLA! Chi nasce? Chi muore? Chi scaraventa? Chi è scaraventato? Non ad ogni dualismo! (Nisargadatta Maharaj)
Io non sono né questo e né quello! Sono semplicemente l'Assoluto ineffabile.
Io sono un centro di percezione. Un tizzone incandescente, fatto turbinare, sembra un cerchio. Cessato il movimento, ritorna tizzone. Così, l'"io sono" in movimento crea il mondo. L'"io sono" immobile diventa l'assoluto.
Nome e forma, coscienza e incoscienza sono categorie al di fuori di me. Io sono ciò che sono.
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"Io sono". Esamina a fondo questa frase, perché è la responsabile di tutti i guai. L'"io sono" non è un'idea innata". Avresti potuto benissimo vivere senza. È sopraggiunta, a causa della tua identificazione con il corpo. Ha creato un'illusione di separazione dove non ce n'era alcuna. Ti ha reso estraneo al tuo mondo. Senza l'"io sono" la vita prosegue lo stesso. Ci sono momenti in cui siamo calmi e felici senza l'"io sono". L'"io sono" ci tiene alla sua continuità perché è falso. La realtà non ne ha bisogno: sapendosi indistruttibile, è indifferente alla distruzione delle forme e delle espressioni. Facciamo ogni sorta di cose per rafforzare e consolidare l'"io sono": tutto invano, perché l'"io sono" comunque si rigenera ad ogni momento. È un lavoro incessante, e l'unica soluzione radicale è dissolvere in modo definitivo il senso estraniato di "iosono-così-e-così ". Resta l'essere, non l'essere-te.
Ci piace immaginare noi stessi come qualcosa di separato dal mondo. Ma noi siamo relazioni dell'universo, strutture transeunti che l'universo momentaneamente asseconda e poi dissipa. Non c'è nessun "io" separato dal corpo e dal mondo. I tre appaiono e scompaiono insieme.
Ho notato l'emergere in me di un nuovo me stesso, indipendente dal vecchio. In un certo senso, i due coesistono. Il vecchio continua a fare le sue cose come prima; il nuovo non lo disturba, ma nemmeno s'identifica con lui. Qual è la principale differenza tra il vecchio e il nuovo? Il vecchio insegue tutto ciò che è definito e spiegato. Vuole che le cose si adattino verbalmente l'una all'altra. Il nuovo non tiene alle spiegazioni verbali: accetta le cose come sono, e non cerca di ricollegarle alle cose ricordate. L'uno è schiavo delle abitudini. L'altro no. L'uno concettualizza, l'altro è svincolato da ogni sorta di idee. Quando riconoscerai l'"io" per quello che è, un grappolo di desideri e paure, e il "mio", come il ricettacolo di tutto l'occorrente, in cose e persone, per evitare il dolore e assicurare il piacere, vedrai che l'"io" e il "mio" sono falsi e infondati. Creati dalla mente, la dominano finché sono presi per veri; non appena se ne dubita, dileguano.
Entri nella realtà solo se abbandoni le idee di "io" e "mio". Allora ristabilisci il tuo stato normale e naturale, nel quale non sei né il corpo né la mente, né l'"io", né il "mio". È la pura consapevolezza di essere, senza essere questo o quello, e senza identificarti con alcunché di particolare o generale.
Nessun "io" sopravviveva, per cui lottare. Anche il nudo "io sono" dileguò. Poi notai che tutte le certezze abituali erano scomparse. Prima ero sicuro di moltissime cose, ora è il contrario. (Nisargadatta Maharaj)
L'io è un espediente intellettuale per faccende pratiche dice lo Zen.
Il concetto di io, come qualsiasi altro concetto, è, tanto per Nietzsche quanto il buddismo zen, assolutamente contingente, relativo e convenzionale. Non deve essere cristallizzato in qualche cosa di stabile e di fisso. Ne consegue che anche la dualità soggetto oggetto è del tutto fittizia. Altrettanto fittizia è la volontarietà dell'azione visto che noi non siamo né fissi e neppure autonomi. Si agisce senza intenzione e senza finalità. Servono nuove domande e nuove risposte.
Amare non è un dovere ma una possibilità: l'egoismo è un errore gnoseologico non una colpa morale.
Bisognerebbe saper cogliere la connessione universale che tutto e tutti ci lega, sentire in modo cosmico, percepire l'immensa prospettiva, l'attimo eterno, l'assoluta tranquillità del momento presente, sentire il presente come eternità.
Tu ed io siamo la stessa cosa pur senza cessare di essere ciascuno se stesso.
L'io ha utilità solo per sbrigare faccende pratiche. Infatti sia lo zen che Nietzsche cercano di spiegarne la sua non sostanzialità e il suo carattere di mero espediente.
L'uomo senza qualità di Musil è preceduto da una analoga affermazione da parte dello zen che lo paragona al vuoto dalle infinite potenzialità: è come un cerchio senza circonferenza, sunya! L'inconsistenza della sostanzialità dell'io condivisa anche dal buddismo zen. Inconsistenza che frantuma la vecchia dualità fra soggetto e oggetto.
Chi agisce senza intenzione e senza finalità è veramente libero! L'interconnessione universale dell'eterno ritorno! La gaia saggezza! Ogni cosa è budda e budda è in ogni cosa (jijimuge)
Ricordate la storia del geocentrismo? Per circa due millenni la terra è stata ritenuta ferma al centro dell'universo secondo il dettato del pensiero aristotelico -tolemaico fatto proprio anche dalla chiesa. Sembrava una evidenza chiara e indubitabile. Il sole sorgeva ad est e tramontava a ovest: lui si muoveva e non la terra. Anche e sacre scritture confermavano che era il sole a muoversi e non la terra. Dunque credevamo di essere di fronte a una realtà evidente, a una verità indiscutibile. I pochissimi che osavano dubitare o dissentire correvano seri rischi. La inquisizione vigilava. Ora, per nostra fortuna, l'inquisizione non può più permettersi di bruciare vivo chi parla di infiniti mondi finiti. Di conseguenza possiamo permetterci di avanzare qualche dubbio su un'altra realtà evidente, su un'altra verità indiscutibile: l'io! Il tanto amato ego potrebbe essere, come già lo fu il geocentrismo, un abbaglio. Potrebbe essere che l'io è solo una convenzione sociale, un pensiero e non ciò che pensa.
L'IO CRISTIANO!!! Il professor Giuseppe Savagnone, in un dibattito a cui partecipa anche Odifreddi, (Processo a Gesù) dice: "… alla fine sulla montagna non c'è più la Quando una persona è nello stato di avidya «confonde il mondo astratto delle cose e degli eventi con il mondo concreto della realtà». Crede che tutti gli elementi della realtà siano permanenti, ma è anche e soprattutto crede nell'esistenza di un io.
«All'origine di ogni forma di brama sta la falsa opinione che vi sia un io separato e autonomo come soggetto del bramare». In definitiva, la sofferenza è causata dall'ignorare che non c'è alcun elemento chiamato «io». Dunque, è chiaro che non ci sia proprio nulla da acquisire. Nemmeno la buddhità, il risveglio, si possono acquisire, poiché anch'essi sono vacui.
K -KANT*
Si beveva un litro di vino Bordeaux al giorno. Pranzava sempre con ospiti. Visse fino a 80 anni.
I tre postulati della ragion pura pratica (la morale) sono: libertà, immortalità dell'anima ed esistenza di Dio.
Importante è l'avvertimento kantiano della necessità di passare dalla metafisica alla critica, cioè dalla pretesa di indicare un principio assoluto della realtà alla disamina delle strutture a priori con cui viene interpretata l'esperienza.
Il criticismo kantiano ha operato un mutamento di prospettiva, una rivoluzione copernicana per cui, invece di supporre che le strutture mentali si modellino sulla natura, si suppone che il mondo fenomenico si adatti alle forme a priori della sensibilità (spazio e tempo) e alle dodici categorie dell'intelletto.
Molte prove a favore non bastano a rendere vera una proposizione mentre una sola prova contraria serve a falsificarla. Anticipa quindi Popper.
E' fuor di dubbio che vi sia una forte componente kantiana nel pensiero di Nietzsche. Di quel Kant che ha compreso profondamente la natura dell'apparenza e ne ha riconosciuto la necessità e l'utilità.
Kant scrive che i sensi non sbagliano, non ingannano. Con ciò vuol significare non che giudichino in maniera sempre corretta ma, più semplicemente, che non giudicano. Su questa posizione fu seguito da Goethe, Mach, Nietzsche e dal fenomenismo che sostiene che le sensazioni (dalle quali derivano i concetti e dai quali derivano le parole) sono all'origine della conoscenza e non il meccanicismo newtoniano.
Allo stesso modo di come, nella matematica e nella meccanica, vengono introdotte alcune idee che facilitano i nostri compiti, così Kant ha introdotto un dispositivo nella forma del concetto di Ding an sich, come una x alla quale corrisponde una y, l'io, quale referente della nostra organizzazione spirituale. In questo modo risulta possibile gestire l'intero ambito del reale tramite soggetto e oggetto.
Domande senza risposta comuni a Buddha e Kant:
Il mondo inteso come universo è finito o infinito?
L'anima è mortale o immortale?
Esiste Dio o non esiste?
Con il legno storto dell'umanità non è possibile fare sempre qualche cosa di dritto.
Siamo proprio sicuri che l'imperativo categorico kantiano non nasconda un imperativo ipotetico? Del tipo: è giusto fare il bene (imperativo categorico) perché così io riceverò del bene (egoismo e quindi imperativo ipotetico). Alla fine si tratterebbe dell'universalizzazione della propria convenienza come dice Schopenhauer.
Il suo più importante libro Critica della ragion pura, all'inizio, nel 1781, non fu capito da nessuno. Scrisse allora i Prolegomeni per spiegarlo meglio ma complicò ancora di più la faccenda.
Fu il grande filosofo dell'illuminismo: l'uscita dell'umanità dall'infanzia in cui si ha sempre bisogno di qualcuno che ci guidi e ci dica cosa fare e come fare.
Bisogna pensare con la propria testa sulla base della pura ragione cercando però anche di mettersi nella testa degli altri usando il metodo critico.
La ragione applicata all'esperienza. Questa è la filosofia critica di Kant.
La ragione senza intuizione è vuota. L'intuizione senza ragione è cieca. Le intuizioni -sensazioni senza ragione sono vuote mentre la ragione senza i sensi è cieca.
L'analitica e la dialettica: la prima è la logica della verità mentre la seconda è la logica dei fenomeni, dell'apparenza quest'ultima pure necessaria. Infatti tutti vediamo la luna più grande quando è all'orizzonte di quando è allo zenit. Ciò è semplicemente dovuto a un nostro comune difetto visivo: vediamo piccolo ciò che sta in alto e grande ciò che sta in basso. Vi ricordate la statua di Fidia?
La rivoluzione copernicana di Kant: non dobbiamo chiederci come sono le cose in se stesse ma come sono le cose per poter essere conosciute da noi. Invece di partire dall'oggetto, partiamo dal soggetto. Se vuoi conoscere il mondo, devi prima conoscere l'uomo che secerne spazio e tempo (forme pure della sensibilità umana e non più proprietà del mondo), materia e causa (categorie). Però, forse, non esiste il tempo, non esiste lo spazio, non esiste la causa e neppure la materia, forse. Se non nella nostra piccola mente.
Io penso è la base di tutto il pensiero kantiano. Ma esiste questo io che pensa? E, se esiste, è conoscibile? Questo soggetto Kant l'avrebbe chiamato l'io trascendentale che accompagna ogni nostra rappresentazione. Da sottolineare però che pure l'io trascendentale non è qualcosa che permane identico perché la sua identità dipende dai suoi oggetti.
Fenomeno è la cosa come appare a noi. Noumeno è invece la cosa in sé. Grande è la differenza fra i due per Kant. L'antico pensiero cinese invece dice che tra fenomeno e noumeno non esiste alcun impedimento ma solo relazione intrinseca. (lishi wuai)
A chi appare il fenomeno? Al genere umano.
Il mondo è determinato dai nostri concetti.
Pensiamo di essere liberi perché ci conviene pensarlo. In caso contrario la vita umana sarebbe incomprensibile.
Kant: cosa posso conoscere? (critica della ragion pura) Ciò che sta nello spazio e nel tempo. Non osso però conoscere l'anima, il mondo e Dio. Stiamo parlando di gnoseologia: vero e falso.
Come mi devo comportare? (critica della ragion pratica) La morale. L'etica del dovere. Devi, quindi puoi. Siamo contemporaneamente il giudice e l'imputato. Kant era favorevole alla pena di morte. Giusto e sbagliato.
Cosa posso sperare? (critica del giudizio). Estetica: Bello o brutto.
Cos'è l'uomo?
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Limiti della conoscenza umana: interno ed esterno.
Esterno: noi conosciamo sempre e solo il particolare e mai l'universale! Interno: Critica della ragione pura! La validità della conoscenza non si fonda sulla conoscenza degli oggetti in sé ma sulle forme a priori del soggetto.
Critica della ragion pratica: l'universalità della legge morale non poggia su una dimensione metafisica ma sulla ragione umana.
Una delle famose aporie di Kant consiste nel chiedersi se il mondo, l'universo è finito o infinito. Solo due opzioni, quindi. Il pensiero orientale invece allarga il discorso. Infatti, oltre alle due classiche opzioni binarie ove la terza via è preclusa, aggiunge anche la possibilità che il mondo, l'universo possa essere allo stesso tempo finito e infinito. E ancora, che sia né finito e neppure infinito.
Noi non potremo mai conoscere l'ambito delle cose in sé. Kant ha ragione anche secondo la recente metascienza! Kant respinge tutti i vecchi argomenti metafisici intorno a Dio e all'immortalità e li sostituisce con una motivazione etica: ci deve essere Dio per ricompensare i giusti che hanno sofferto su questa terra.
L'uomo è cittadino di due mondi, dice Kant... dimenticando di aggiungere che l'uomo deve imparare a camminare con un piede in ognuno dei due mondi! Ogni uomo è un fine e mai un mezzo.
Kant è autore della nascita del sistema solare da una nebulosa ma poi si lascia andare alla fantasia più sfrenata affermano che i pianeti più lontani dal Sole sono abitati da persone migliori di noi.
Nella Critica della ragion pura vuol dimostrare che la conoscenza si basa sia sull'esperienza (empirismo sintetico) che sull'a-priori, sull'innatismo (tipo la logica e la matematica a priori). Giudizi sintetici a priori.
Tempo e spazio non sono concetti come le 12 categorie ma sono pure intuizioni.
Applicando le categorie e lo spazio tempo alle cose non sperimentate si ottengono le quattro antinomie: il mondo è limitato o è illimitato? Ogni sostanza è o non è composta da parti semplici? Esiste la libertà o è tutto necessitato? C'è o non c'è un Essere assolutamente necessario?
La ragione può solo formulare e non dimostrare l'esistenza di Dio, l'immortalità dell'anima e la libertà che si giustificano solo da un punto di vista morale per ricompensare la virtù dei giusti in questa vita.
Kant smonta le tre prove dell'esistenza di Dio: quella ontologica (l'esistenza non è un predicato!), quella cosmologica e quella fisico-teologica.
Agisci secondo una massima tale che tu possa allo stesso tempo volere che essa divenga una legge generale.
Nietzsche liquida il contrasto fra noumeno (cosa in sé) e fenomeno asserendo che siamo ben lontani dal conoscere abbastanza per poter pervenire a una tale distinzione. L'obiettivo polemico di Nietzsche sono i teorici della conoscenza i quali sono rimasti penzoloni prigionieri nei lacci della grammatica.
Kant è un euclideo puro e duro, purtroppo per lui! Infatti, secondo lui, gli assiomi di Euclide valgono come necessità, a priori, del pensiero. Il grande Kant non era riuscito neppure a immaginare la geometria iperbolica o quella ellittica (nessuna delle quali rispetta il V° postulato del vecchio Euclide).
Morendo Kant mormora: "Es ist gut" (Va bene, sta bene).
-KITARO -NISHIDA*
Nishida (1870-1945) è stato il primo pensatore giapponese che ha cercato di elaborare un sistema di pensiero originale e coerente per integrare l'esperienza e la logica del buddhismo (Buddismo Zen della scuola Rinzai) con le categorie della tradizione filosofica europea. Intorno alla sua figura e al suo pensiero è nata e cresciuta la cosiddetta «scuola di Kyoto». Nishida, quando afferma di poter «distinguere tra l'Occidente che ha considerato l'essere come fondamento della realtà e l'Oriente che ha adottato il nulla come fondamento», o di poter dire che «la cultura giapponese non è una cultura del nous, intellettuale [ma] una cultura delle emozioni» non sfugge alla tentazione di contrapporre, in maniera troppo semplicistica, due "mondi" la cui identità è ben lungi dal poter essere definita da simili categorizzazioni.
Compie poi, nel 1911, quella che lui stesso chiamerà la rivoluzione copernicana della rivoluzione copernicana. Infatti, se il criticismo kantiano, che Nishida conosce bene, ha operato il mutamento di prospettiva per cui invece di supporre che le strutture mentali si modellino sulla natura, si suppone che il mondo fenomenico si adatti alle forme a priori della sensibilità e alle categorie dell'intelletto, Nishida riporta il baricentro della conoscenza dalla parte del reale poiché «l'esperienza pura può andare oltre l'individuo» e «non è che essendoci il singolo individuo c'è l'esperienza, ma essendoci l'esperienza c'è il singolo individuo».
Conoscere se stessi nella negazione di se stessi è il punto di partenza della sua filosofia.
L'idea che ciò che unifica e ciò che è unificato siano due cose distinte è opera del pensiero astratto, mentre nella realtà concreta ciò che unifica e ciò che viene unificato non si possono separare. Per questo la modalità fondamentale della realtà è di essere uno e insieme molti, molti e insieme uno, qualcosa che possiede la differenza nell'uguaglianza e l'uguaglianza nella differenza. Una realtà che, come quella appena descritta, è davvero uno e molti, deve per forza essere automoventesi senza pause. Uno stato di quiete è uno stato che esiste indipendentemente e che non si contrappone ad altro, cioè è lo stato dell'uno che esclude i molti. Ma in tale stato non può costituirsi la realtà.
Nishida non cerca mai di dividere e di categorizzare, non crea un modello gerarchizzante di gradi ontologici, non mira ad un'unità metafisica, ma ad un'unità organica che, necessariamente, deve trovare ragione della propria coerenza all'interno di se stessa. Questa è la forza che produce l'unificazione, identica per ogni forma ed eternamente generatrice.
Scrive alla fine il libro Il sistema autoconsapevole dell'universale, opera in cui analizza il concetto di autoconsapevolezza sia nel suo aspetto noematico (oggetto della conoscenza) che nel suo aspetto noetico (soggetto della conoscenza) affermando come attraverso il movimento della coscienza il Sé possa arrivare a vedere il Sé nel Sé. Quando il Sé si vede nel Sé diventa tutt'uno con ciò che è visto, per cui può dimenticare se stesso e rendere possibile un vedere senza vedente.
Per Nishida non vale il principio plotiniano che afferma: «escludi tutte le cose», ma piuttosto «accogli tutte le cose», incorporandole nel proprio «vero Sé»: anche il brutto, anche il doloroso, anche l'abietto. Accogliendo ogni cosa, ogni cosa viene trasformata e a sua volta trasforma il sé che la accoglie.
L'unico vero modo per conoscere davvero le cose stesse, è «conoscere diventando>>.
Nel 1926 Nishida introduce la "logica del luogo" tentando di portare l'autoconsapevolezza nel cuore del nulla assoluto.
Da un lato Nishida vorrebbe dire ai monaci buddhisti che «invece di studiare il sanscrito, bisognerebbe prima esaminare se si può dare la propria vita alla pratica e alla diffusione dell'insegnamento del Buddha», dall'altro vorrebbe dire ai missionari cristiani che «invece di studiare la teologia, bisognerebbe esaminare prima se stessi per vedere se la condotta e i pensieri quotidiani sono in accordo con il vero spirito di Gesù Cristo».
Ogni cosa -evento è in comunione con le altre e non sussiste alcuna distanza fra pensato e pensante e tra veduto e vedente. Assenza di ogni dualismo sia in Plotino che in Nishida (che studia Platone, Plotino e Cusano). L'incrocio tra la filosofia neoplatonica e l'esperienza che si ricollega a una matrice buddhista porta alla grandiosa intuizione religiosa e filosofica insieme dell'unità del tutto: il bello si manifesta nel collegamento e unificazione delle cose. I vari fenomeni vanno colti nel loro essere RELAZIONE e UNITA'.
Per Nishida la vera realtà è, in sé, contraddizione e quindi, nella nostra terminologia, conflitto. Egli non accetta la soluzione hegeliana del superamento (Aufhebung) secondo cui la negazione della negazione porta ad un livello superiore, più pieno e più vero, fino alla suprema sintesi, ma porta la tensione ed «il travaglio del negativo» fino alle viscere del reale. L'identità di ciascun ente non riposa su una sostanza stabile ma sulla coesistenza dei contrari per cui più la contraddizione viene colta in profondità più si tocca l'intima coesione della realtà. L'auto-identità dei contrari, o coincidenza degli opposti, si applica ad esempio al rapporto tra il soggetto e l'oggetto, tra il passato e il futuro, tra l'essere e il nulla, la vita e la morte ma anche, in maniera paradigmatica, tra l'Io e il Tu. (Coccia)
Per Nishida il vero universale dialettico […] non deve porsi come meta suprema, come compimento finale a cui essi [gli individui particolari] tendono, ma deve offrirsi come spazio vuoto, come orizzonte aperto in cui essi possano esprimere i loro significati e i loro valori. Non c'è dunque per Nishida, a differenza di quanto sosteneva Hegel, alcun processo per cui il Soggetto si fa Assoluto e in cui le singole sue determinazioni lavorano per realizzare questo progetto di assolutezza: per Nishida il mondo delle cose è assoluto in ogni momento. Il vero assoluto deve essere un'identità assolutamente contraddittoria: trascendenza immanente e/o immanenza trascendente che, per la maggior parte delle correnti del pensiero occidentale, sono considerate come reciprocamente escludentisi. Questo è l'unico modo con cui noi possiamo descrivere Dio in termini logici. Come assoluta autonegazione, Dio contiene un'assoluta autonegazione al suo interno e si relaziona con se stesso alla maniera di una correlazione inversa.
[…] L'assoluto possiede sempre il suo sé in un'autonegazione. Il vero assoluto modula se stesso con il relativo, è autentica totalità dell'uno, possiede se stesso nella vera molteplicità degli individui. Autonegandosi, Dio si colloca ovunque in questo mondo. In questo senso Dio è completamente immanente.
Percepire gli infiniti legami di tutto con tutto, ovvero -per usare una terminologia buddhista, più specifica -della "non ostruzione tra fenomeno e fenomeno"
(jijimuge). Tutto è al tempo stesso nocciolo e guscio, forma e contenuto, uno e molti; e l'uno è nei molti, e i molti nell'uno. Microcosmo e macrocosmo si compenetrano l'un l'altro, si rivelano l'uno attraverso l'altro. Così come ogni singolo fenomeno, che in quanto parte del tutto è già tutto, nell'esecuzione artistica e pure nelle opere compiute ogni dettaglio è rivelatore dell'insieme, esso è già tutto l'insieme a cui appartiene. Non ne è mera parte, ma contiene in nuce l'essenza della totalità, racchiude al livello dell'assoluta immanenza la portata della dimensione trascendente. Per questo, anche nel più piccolo gesto o nel minimo frammento, è già contenuto l'universo, anzi, è Dio stesso che vive; si comprende che «Dio è il mondo e il mondo è Dio».
Nishida riflette intorno alla conoscenza in grado di accostarsi davvero al mondo, e di scoprirvi la presenza di un assoluto che da esso non è distaccato, così come permette di cogliere attraverso l'esercizio dell'arte e nelle opere dei grandi artisti la presenza operante di una trascendenza immanente. Questa è una conoscenza che non si distingue in ultima istanza dall'amore, in quanto «attività in cui l'io coincide con le cose».
L'autentico sentimento religioso è uno stato d'animo assolutamente umile, uno stato d'animo in cui si è completamente rinunciato a sé. La strada per raggiungere la completezza e la perfezione consiste in quella «rinuncia a sé» che si riscontra proprio nei grandi artisti, così come nelle grandi personalità religiose.
Nishida non parla di una ekstasis plotiniana che eleva corpo e spirito a un livello metafisico ma parla invece di una capacità di interiorizzazione che espone a un contatto più intimo con le cose stesse, nel qui e nell'ora dell'esperienza creativa. Dal discorso plotiniano, dunque, viene espunta ogni forma di "metafisicizzazione" dell'esperienza, piegandone il pensiero verso un'immanenza tipica della sensibilità giapponese, che non proietta mai in un altrove trascendente la dimensione di spirito che permea e avvolge ogni elemento naturale ed ogni oggetto d'arte.
L'essenza dell'artisticità non risieda in una soggettività prorompente, nella personalità di genio, bensì nella capacità di farsi uno con le cose che si intendono descrivere, figurare, con le emozioni che si fanno catturare e riprodurre. È già tutto implicito nell'espressione nishidiana del «conoscere diventando» le cose; e forse Nishida aveva in mente la frase di Plotino secondo cui «ogni anima è e diventa ciò che contempla».
Il cosiddetto mondo della realtà non è l'unico mondo datoci. Anzi, bisogna dire che il mondo costituito tramite un simile concetto non è altro che la superficie della realtà. Dietro a un tale mondo c'è il fluire della vera realtà, riempito di una grande vita il cui fondo è sconosciuto. Proprio questa realtà è l'oggetto dell'arte.
Il punto centrale è dunque, una volta di più, la rinuncia all'ego, lo spogliarsi di un io che, quando non coincide con il «vero Sé», si pone come schermo, filtro, ostacolo al contatto con il mondo, perché si attacca ai propri schemi mentali, pensieri e pregiudizi. Invece di accoglierli e al tempo stesso lasciarli fluire -non si tratta infatti di negarli o di rigettarli, poiché ciò costituirebbe una nuova forma di attaccamento ad essi, anche se di segno negativo -rischia di rendere impossibile sia il "farsi" spontaneo dell'arte più profonda e pura, sia il compiersi di ogni atto morale.
Nishida, pur riconoscendo l'eccellenza della cultura occidentale moderna, non ritiene che essa sia l'unica valida.
Sperimentare significa conoscere le cose come sono. Significa conoscerle mettendo completamente da parte i propri artifici ed essere guidati dalle cose stesse. Dal momento che, di solito, quando si parla di esperienza si comprende anche una certa attività mentale, qui si indicherà con "pura" la condizione dell'esperienza come davvero essa è, senza l'aggiunta del benché minimo pensiero o della benché minima riflessione. Per esempio, quando vediamo un colore o sentiamo un suono, l'esperienza pura è quella del momento precedente non soltanto all'aggiunta del nostro giudizio circa la provenienza esterna di ciò che vediamo o sentiamo o a qualunque sensazione che noi proviamo, ma è precedente persino all'identificazione stessa del colore o del suono. Esperienza pura è dunque sinonimo di esperienza diretta. Quando si sperimenta il proprio stato conscio, non c'è soggetto né oggetto; il conoscere e l'oggetto della conoscenza sono la stessa identica cosa. Questa è la più pura forma di esperienza.
-KOAN*
Il koan, originariamente, era un editto imperiale che, come tale, significava una realtà di fatto. Nella tradizione zen è venuto a rappresentare una espressione verbale che tenta di descrivere la realtà per quella che è intimamente. Realtà che però né le parole e neppure i pensieri possono descrivere tutta intera. Viene quindi detta in maniera allusiva che non delimita ma che si limita a suggerire invitando all'esperienza diretta.
I koan sono numerosissimi, ma in realtà potrebbero esseri infiniti, in quanto infiniti sono i modi con cui possono venire spezzati i luoghi comuni, sia linguistici sia concettuali, nei quali l'interlocutore è immerso e dai quali è condizionato: i koan servono a fargli sperimentare direttamente, talvolta in modo brutale, l'inconsistenza e l'impermanenza, ovvero la vacuità di ogni discorso che si pretenda definitivo e di ogni teoria che si voglia assoluta.
Il Koan dovrebbe annichilire i concetti consolidati aprendo nuovi orizzonti.
Bisogna cogliere la realtà intuitivamente, senza usare parole, pensieri o concetti.
Ai Koan non si risponde con la logica duale. Da Leopardi osserva che ogni infelicità umana dipende dal fatto che la Natura ci ha dotato di una potentissima facoltà di desiderare, ma non ci ha fornito i mezzi e le occasioni per soddisfare questi desideri: "La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno […]. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo". In definitiva l'infelicità umana nasce dalla più nefasta delle illusioni, quella che ci fa credere che scopo e senso della vita stiano nella felicità. Ci si deve invece persuadere che "L'uomo (e così gli altri animali) non nasce per godere della vita, ma solo per perpetuare la vita […] il vero e solo fine della natura è la conservazione della specie, e non la conservazione e la felicità degli individui". (Pasqualotto)
Per un certo periodo (1821), Leopardi studia anche il cinese e si stupisce di questa lingua non alfabetica ma riccamente ideografica. Ammira molto anche i concetti di quiete e inattività (wu wei) che egli riconosce come peculiari della cultura cinese. Questi atteggiamenti sono per il nostro poeta -filosofo piaceri naturali che sono invece divenuti insopportabili per l'uomo del suo ( e del nostro) tempo.
-LI SHI Scuola Huayan: Buddismo cinese. Primo patriarca e fondatore fu il monaco Dùshùn (557-640).
LI: il vuoto come condizione di possibilità dei fenomeni, l'Uno, il campo che tutto ingloba, il mare o l'acqua che permette l'esistenza delle onde, l'oro informe dal quale origina la statua del leone, la sub-stanzia di cui sono fatte le cose, la struttura relazionale del mondo, il noumeno.
SHI: i vari fenomeni che ci appaiono, il molteplice, le forme, le onde del mare, le statue tratte dall'oro, le cose, gli individui, l'io.
lishi wuai: tra vuoto e forma, tra l'Uno e il molteplice, tra noumeno e fenomeno nessun impedimento ma profonda relazione.
shishi wuai: tra fenomeno e fenomeno, tra cosa e cosa nessun impedimento ma profonda relazione.
Considerando il dharmadathu (ambito della realtà assoluta, campo del reale, l'autentica natura dei fenomeni) della non ostruzione di shi e shi, non si fa più menzione esplicita a li, perché esso agisce, per così dire, dall'interno: la relazione tra ogni shi, relazione che ne svela la definitiva unione indissolubile, quella è lo stesso li, che non necessita più di essere pensato slegato dai fenomeni.
Li è struttura degli infiniti shi ed esso si svela in quanto Vuoto, Nulla, apertura infinita: orizzonte comprensivo dei fenomeni, condizione del loro interrelarsi e del loro essere pensati, campo infinito in cui assumono le proprie determinazioni. L'autore preesiste all'azione? Al contrario: l'azione è un fatto, l'autore è un concetto mentale. Il tuo stesso linguaggio mostra che l'azione è certa, l'autore no; spostare la responsabilità è un gioco squisitamente umano.
Dato il numero infinito di fattori necessari all'accadere di qualsiasi cosa, si può solo ammettere che tutto sia responsabile di tutto, anche in senso lato. L'uomo è libero? Kant risponde che l'uomo è soggetto alla necessità (non è libero) nel mondo dei fenomeni (la natura) mentre è libero nel mondo dei noumeni (l'essere, il vero essere). Kant si inventa due mondi diversi per far convivere i due opposti. Forse però la situazione è molto più semplice: basta domandarsi chi è libero se non esiste un vero io?
Per il Buddhismo la liberta è il distacco, il non attaccamento, è la liberta "da" e non la libertà "di" fare o non fare, dunque di scegliere.
La libertà è essere aperti alle domande e negletti alle risposte.
Liberati di tutti gli sfondi, le culture e i modelli di pensiero e sentimento. Abbandona ogni auto-identificazione, smetti di pensarti così e così, in un modo o nell'altro, come "questo" o "quello".
Se un mondo assolutamente determinato (Necessità) esclude la possibilità della libertà umana, lo farebbe anche un mondo completamente aleatoria (Caso). In effetti, se gli avvenimenti si susseguissero senza nessuna legge e fossero completamente imprevedibili, le nostre azioni non servirebbero a niente mentre se tutto fosse già preordinato noi non saremmo liberi.
Dice Spinoza che gli uomini credono di essere liberi perché hanno coscienza dei propri appetiti e volizioni anche se non conoscono le cause che determinano la loro volontà.
Dice Kant che libertà è il primo dei tre postulati della ragion pratica (insieme con l'immortalità dell'anima personale e l'esistenza di Dio).
Dalla presunta consapevolezza di essere liberi non deriva automaticamente che si sia effettivamente liberi. Infatti la nostra esperienza della libertà potrebbe essere frutto di una illusione. Fattori ambientali, biologici, genetici, sociali, psicologici possono condizionare l'uomo in modo tale che egli non dovrebbe definirsi libero. Ma ciò non esclude però che l'uomo si senta ugualmente libero. Ricordiamo infine che la presenza di premi e di pene per il comportamento umano si basa sul presupposto scontato della libera volontà: Dio infatti non potrebbe punire (in eterno … ) chi non fosse libero.
La libertà non sta nello scegliere fra bianco e nero ma nel sottrarsi alla scelta.
La vera liberazione non è della persona ma dalla persona.
E' la libertà da se stessi a rendere la vita davvero libera e dunque autentica.
Tutto quello che facciamo è condizionato. L'unica cosa di cui dovremmo veramente sbarazzarci è il desiderio di liberarci dei nostri condizionamenti.
Vivere è l'arte di una liberazione continua da ogni schiavitù di intelletto e volontà, da ogni ignoranza e vizio. Ed è gioia crescere ogni giorno di più in libertà di amare.
L'uomo appartiene contemporaneamente alla natura e alla cultura. La prima lo forgia con le sue leggi deterministiche. La seconda sarebbe un frutto della sua libertà intellettuale (se questa esistesse).
Sempre più si convinceva che tutto avveniva spontaneamente. La decisione individuale era una favola! Paradossalmente il senso di libertà dal peso delle decisioni personali era immenso.
L'uomo pensa di essere libero in realtà è solo un'idea: ogni decisione implica una infinità di antefatti interni ed esterni non controllabili dall'uomo stesso. Libertà significa lasciar andare, e questo alla gente non piace affatto. Ignorano che il finito è il prezzo dell'infinito, come la morte dell'immortalità. La maturità spirituale consiste nella prontezza a cedere tutto. L'abbandono è il primo passo. Ma il vero abbandono sta nel comprendere che non c'è nulla da lasciare, perché nulla è tuo.
-LINGUAGGIO*
Wittgenstein mirò a risolvere (o, meglio, a dissolvere) la totalità dei problemi filosofici semplicemente mostrando come essi si fondano su fraintendimenti del ruolo realmente svolto dal linguaggio nella nostra vita.
Il pensiero gioca con il linguaggio.
L'uso improprio del linguaggio dipende dalla comune propensione a generalizzare il significato dei termini dimenticando che la generalizzazione è utile e legittima, ma riguarda solo i termini e non gli oggetti a cui essi si riferiscono.
Crolla l'edificio del linguaggio inteso come specchio della realtà. Nel linguaggio non facciamo altro che giocare con le parole. Il linguaggio non è più uno specchio: è uno strumento. (Wittgenstein)
Il linguaggio è una metafora visto che esso usa simboli tramite i quali la complessità del reale viene semplificata e resa gestibile. Il linguaggio però non è la realtà.
Nietzsche critica la metafisica del linguaggio soprattutto per aver veicolato l'idea di un io inteso come sostanza dotata di efficacia causale e conclude: "Temo che non riusciamo a liberarci di Dio perché crediamo ancora nella grammatica." (Gori)
Heidegger: Qualche tempo addietro chiamai -più o meno felicemente -il linguaggio la dimora dell'Essere. Ma, se l'uomo grazie al suo linguaggio abita nel dominio dell'Essere, è da supporre che noi Europei abitiamo in una dimora tutta diversa da quella dell'uomo orientale. Giapponese: Posto che le lingue, qui e là, non solo siano diverse, ma siano fondamentalmente altre nell'essenza. Heidegger: Così un colloquio da dimora a dimora rimane sempre quasi impossibile. Giapponese: Ella ha ragione a dire «quasi».
Immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita. Il parlare un linguaggio fa parte di una attività, o di una forma di vita. (Wittgenstein) Sembra cioè che della forma di vita faccia parte in maniera essenziale il linguaggio, ma che essa non si riduca al linguaggio. E' per questo che «se un leone potesse parlare, noi non potremmo comprenderlo»: perché non condividiamo la sua forma di vita e non possiamo immaginare che ruolo avrebbe il parlare lì dentro, che significato avrebbero le parole, ma nemmeno se ci sarebbero espedienti assimilabili alle nostre parole dotate di significato. Un linguaggio non umano ci rimarrebbe totalmente alieno, perché non potremmo capire nulla di quello che succede. Di quello che succede, e quindi di quello che viene detto. Ma anche un linguaggio umano, anche un linguaggio di cui siamo padroni, non ci permette di comprendere gli uomini se non ne condividiamo per niente le tradizioni e la cultura: "Anche di un uomo diciamo che è trasparente. Ma per questa considerazione è importante che un uomo possa essere un completo enigma per un altro uomo. Una cosa del genere si sperimenta quando si arriva in un paese che ha tradizioni che ci sono completamente estranee; e precisamente, anche quando si è padroni della lingua di quel paese. Non si capiscono gli uomini. (E non perché non si sappia che cosa quegli uomini dicano quando parlano a se stessi.) Non possiamo ritrovarci in loro" dice Wittgenstein. «Non possiamo ritrovarci in loro», il nostro agire non si ingrana con il loro, non condividiamo la loro vita, anche nell'ipotesi estrema che ne comprendiamo la lingua. E' la forma di vita, dunque, che è primaria rispetto al linguaggio. Anche la logica e le stesse nozioni di vero e di falso assumono, in questa prospettiva, una valenza profondamente diversa rispetto alla filosofia del linguaggio più classica. Il vero e il falso infatti sono tali nel linguaggio, ma se il linguaggio non è più uno specchio, il vero e il falso non hanno come base la realtà oggettiva, quanto piuttosto una concordanza linguistica che è fondata su (e che a sua volta fonda) il nostro modo di vivere.
Wittgenstein non fu il primo logico a individuare nell'ambiguità e fallacia del linguaggio l'origine dei problemi speculativi e dunque degli errori dell'intera filosofia. In India, con una abilità altrettanto pari, Nagarjuna riuscì a mostrare la vacuità di ogni concetto e di ogni parola. Secondo Nagarjuna, così come insegna il buddhismo, ogni cosa è in relazione con le altre, e nessuna ha senso senza le altre.
Wittgeinstein parla del principio di contestualità, ed afferma un concetto molto simile. Il significato di una parola o di un concetto dipende dal suo contesto. Nagarjuna sosteneva la prammaticità del linguaggio e Wittgeinstein ribadisce la strumentalità della parola affermando che il senso è l'uso.
Il brahman immortale può essere conosciuto per mezzo della purificazione della parola, ottenuto attraverso lo studio della grammatica. Lo studio e l'uso delle forme 'corrette' del linguaggio producono un'energia fausta e favorevole che allontana lo studente dalle inclinazioni impure (ovvero scorrette) della parola, conducendo verso il fine puro della visione dell'assoluto. Gli esseri umani si salvano attraverso il linguaggio, e più precisamente attraverso la comprensione precisa e profonda del linguaggio. Questo significa attribuire al linguaggio un'importanza assai elevata. Bhartṛhari identifica la realtà assoluta con il linguaggio puro e considera il linguaggio il mezzo che pone in relazione il mondo impuro degli affari umani con l'eterno e puro assoluto. L'essere assoluto non si trova al di fuori o al di là del linguaggio, poiché la sua essenza è il linguaggio. Il linguaggio rappresenta il legame tra l'essere come stasi eterna, una, impersonale e l'essere come esperienza contingente, particolare, determinata dal tempo. Il termine che Bhartṛhari usa per riferirsi all'assoluto identificato con il linguaggio è 'suono assoluto' o 'parola assoluta' (sabdabrahman), una realtà ontologica che non si può apprendere a causa dell'ignoranza (avidya).
Fazang (taoista) tratta della relazione tra forma e materia, ed arriva a sostenere che il linguaggio, posto sul piano della verità relativa, possa riuscire a stento a rendere ragione dell'assoluto; il linguaggio è soltanto un mezzo che, come una zattera, dev'essere abbondonato una volta raggiunta la sponda dell'illuminazione trascendente. L'insegnamento mediante le parole risulta essere così anche un noninsegnamento. Molti pensieri d'Oriente sembrano contraddittori rispetto alla forma in cui si presentano, poiché nel contenuto sembrano affermare l'insufficienza del mezzo linguistico e dell'atteggiamento trascendentale per la piena espressione del pensiero. La convenzionalità del linguaggio non significa semplicemente che i linguaggi sono frutto di convenzioni, ma significa che non esiste parola in grado di catturare la realtà.
Secondo lo zen conviene assumere, di fronte al linguaggio, la posizione di neutralità rinunciando sia all'idea della sua onnipotenza che a quella della sua inutilità. Ad esempio, la risposta ad un Koan rinzai non intende rispondere al contenuto della domanda, ma cerca di mostrare la precarietà della domanda o, addirittura, l'assurdità di un domandare che richieda risposte definite e definitive: il koan ha la capacità di spiazzare completamente l'interlocutore, aprendogli però la possibilità di riflettere sui limiti, sullo scopo e sul fondamento del linguaggio.
Il linguaggio frantuma il mondo, lo analizza e lo mette in successione. (Sini) Il mondo però ci è dato tutto insieme in questo preciso istante.
Nietzsche vuole sottolineare lʼarbitrarietà della creazione del linguaggio invitando a riflettere su come lʼapplicazione di un termine a una cosa sia il frutto di una procedura del tutto soggettiva (magari più sociale che soggettiva).
Essendo la natura del linguaggio convenzionale, esso non può portare alla verità in senso stretto: la verità che il linguaggio esprime è infatti quella propria di una metafora. Noi crediamo di sapere qualcosa sulle cose stesse, quando parliamo di alberi, di colori, di neve e di fiori, eppure non possediamo nulla se non metafore delle cose che non corrispondono affatto alle essenze originarie.
Il linguaggio è un'invenzione dell'homo sapiens; anzi la sua più importante invenzione perché senza linguaggio non si può, forse, esprimere il pensiero.
Senza linguaggio non c'è pensiero e senza pensiero non ci sono le cose. Odifreddi, da buon logico dualista e materialista, aborre questa sequenza! Un cattivo o eccessivo utilizzo del pensiero procura all'uomo tensione, angoscia, paura e sofferenza. Wittgenstein era un uomo profondamente tormentato dagli stessi problemi. Egli era fortemente insoddisfatto dell'incapacità della filosofia occidentale nel rispondere alle sue domande. Nel Tractatus Logico-philosophicus egli affermava: "[...] il valore di quest'opera consiste allora, in secondo luogo, nel mostrare a quanto poco valga l'avere risolto questi problemi".
Per Wittgenstein il mondo, il pensiero e il linguaggio hanno la stessa struttura e quindi, per studiare il primo, basta studiare l'ultimo.
"Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere" dice Wittgenstein. Anche il pensiero orientale condivide. Infatti Budda rispondeva con un tonante silenzio a chi gli faceva domande sul trascendente e il taoista Chuang Tzu scriveva: "Di tutto ciò che è al di là dell'universo, il saggio ammette l'esistenza ma non parla".
Oltre un certo limite di complessità il linguaggio diventa indistinguibile dal caos e non produce più significato ma rumore indistinto.
Il linguaggio è soltanto un mezzo per comunicare i pensieri che sorgono dopo che nasce il pensiero "io" che è la radice.
Già Salomone diceva che le cose sono inesprimibili con il linguaggio.
Il linguaggio non descrive la realtà ... ma interpreta e costruisce sia la realtà che l'identità del soggetto.
L'unico linguaggio che può unire l'uomo all'ineffabile Tutto è il silenzio mistico visto che il linguaggio convenzionale è troppo umano! Le idee espresse tramite il linguaggio e le cose reali del mondo corrispondono? La parola "acqua" è veramente l'acqua che sgorga alla fonte?
Se è vero, come afferma Alfred Jeremias, che le varie culture dell'umanità sono in realtà solo dialetti di un unico e identico linguaggio dello spirito, è certamente giusto che gli studiosi dell'uomo si domandino quando e dove questo linguaggio dello spirito possa aver avuto origine. (Coomaraswamy) E' il linguaggio che ci possiede e non siamo noi a possederlo. E' l'essere a parlare in noi e non noi a parlare dell'essere.
Soggetto e oggetto sono due termini tipici del linguaggio: servono per comunicare ma, forse, non sono due realtà distinte, separate.
Il metalinguaggio è il linguaggio in cui si studia un altro linguaggio.
-LOGICA La logica non descrive la realtà: descrive solo se stessa. La realtà infatti è molto più complicata della logica.
L'antico pensiero orientale, ad esempio, proclama, contemporaneamente, sia l'affermazione (A) che la sua negazione (non A). Ma va oltre asserendo anche, contemporaneamente, né l'affermazione (A) e neppure la sua negazione (non A).
La logica quantistica sfida apertamente il principio del terzo escluso: una stessa proposizione può essere vera o falsa a seconda di chi si interroga.
La logica vi porta solo da A a B mentre l'immaginazione può portarvi ovunque.
Nietzsche sostiene che la logica falsifica la realtà visto che i concetti logici che elaboriamo non esistono nella realtà: una linea retta è solo un concetto che non esiste nella realtà.
La logica occidentale si regge sulla dialettica greca iniziata con Zenone di Elea (tesiantitesi -sintesi) e sull'altrettanto eleatico principio del terzo escluso o principio di non contraddizione. Insomma, noi occidentali siamo convinti che una cosa non possa essere contemporaneamente bianca e nera, vera e falsa, esistente e non esistente. Per l'antico pensiero orientale invece solo se le cose sono viste come concrete esistono le contraddizioni mentre se sono viste come nella loro effettiva inconsistenza, le contraddizioni si svuotano perché si rivelano solo apparenti.
Con riferimento alla logica, è sbagliato per Wittgenstein affermare che ci sono delle ragioni logiche per cui -per esempio -la contraddizione non funziona; piuttosto, il fatto è che siccome "bandiamo la contraddizione e non conferiamo ad essa alcun significato" allora la contraddizione non funziona, non può funzionare: il suo mestiere è quello di non funzionare. Questo suo mestiere l'abbiamo deciso noi, in secoli e millenni di pratiche condivise. La logica è completa? Church e Turing scoprirono l'indecidibilità della logica oltre a quella della matematica! Che grande libertà!!!! La logica dice, ad esempio, che: "Tutti i cretesi mentono. Io sono cretese. Quindi … sto mentendo o sto dicendola verità?" Attenzione all'inghippo: la logica non è la vita! Nella vita non esiste un "tutti" così compatto e coeso. La logica è fatta di concetti e di parole alle quali è facile restare impiccati.
Secondo Peano, Frege e Russell la logica è la base della matematica.
Dice il cretese Epimenide (VI secolo a.C.) che tutti cretesi mentono. Ma se tutti i cretesi mentono anche lui, da buon cretese, mente. Ma se Epimenide mente non è vero che tutti i cretesi mentono. E allora? Non se ne esce? Certo che se ne esce. Trattasi infatti di puri ragionamenti astratti dalla realtà, di generalizzazioni astruse. In pratica, infatti, come si potrebbe mai sapere e affermare che tutti i cretesi mentono? Tutto qui.
In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Il barbiere rade se stesso? Il paradosso di Russell (che, in realtà, era già presente in Aristotele e nella Scolastica medioevale): l'insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso se e solo se non appartiene a se stesso. Vediamo di fare un esempio: aggettivi auto logici come ad esempio CORTO (che è coerente con ciò che è: infatti corto è veramente corto) e gli aggettivi etero logici come ad esempio LUNGO (che non è coerente con ciò che è: infatti lungo è corto come parola ma non come concetto). Russell dice, alla fine, che l'etero logico in sé non può stare in nessuna delle due classi. Non è auto logico sicuramente per definizione ma non è neppure etero logico. Ma attenzione! Etero logico è di secondo livello rispetto a lungo e corto sono di primo livello. Tale spiegazione però non convinse i logici contemporanei.
Wittgenstein, in particolare, disse semplicemente che ciò di cui non si può parlare si deve tacere. Alla fine Gödel andò oltre i suoi due maestri Russell e Wittgenstein. La verità è più grande della dimostrabilità: ci sono delle verità indimostrabili. Nessun sistema matematico è completo. Questo dice Odifreddi.
Nella logica ordinaria (booleana) una certa asserzione, a un dato momento, o è vera o è falsa (terza ipotesi è esclusa). Nella logica quantistica l'asserzione può essere contemporaneamente vera e falsa a seconda di chi interroga.
La frase seguente è falsa. La frase precedente è vera. Come se ne esce?
Nella logica del finito o è vero (A) oppure è vero il suo contrario (non A). Nella logica dell'infinito possono essere veri entrambi! Nella logica dell'infinito quindi io sono e non sono allo stesso tempo.
A proposito del pensiero lineare Einstein dice che i concetti ottenuti tramite processi puramente logici sono privi di realtà. La logica è uno strumento limitato e poco affidabile tant'è che ogni sistema logico, se completo, può contraddirsi secondo il teorema di Gödel.
L'uomo crea il vaso così come Dio crea l'uomo. Soggetto, verbo, oggetto. Questa è la nostra logica. E se invece l'oggetto fosse determinante nella realizzazione del soggetto? Apparirà chiaro, dunque, come la forma logica normale "x è y" si trova ancora alla base di gran parte della filosofia occidentale di ogni tempo e, siccome proprio così funziona il linguaggio, anche della filosofia del Novecento.
Odifreddi dice che la logica dovrebbe servire a far piazza pulita delle illusioni metafisiche che sono solo parole impure. La logica agisce in modo dualistico separando il vero dal falso mentre la filosofia sarebbe olistica e monistica.
Un cervello tutta logica è come un coltello tutto lama: fa sanguinare la mano che l'adopera. (Tagore)
La logica è un mezzo non un fine. E' come un vestito: serve a proteggerci. Non si può però fare la doccia vestiti! La logica è come una scala: serve a salire ma, una volta in cima al tetto la scala non serve a godere il panorama o a riparare il tetto! L'esasperata fiducia nella logica porta alla tipica arroganza occidentale.
Con la logica si dimostra, con l'intuizione si inventa. (Poincaré)
La logica senza intuizione è vuota. L'intuizione senza logica è cieca. (Kant) -LOGOS* Logos è tradotto in mille modi: parola, verbo, ragione, pensiero, discorso logico, rapporto, relazione, legare. Forse però non esiste una vera e propria traduzione appropriata.
Nel pensiero greco, il termine indica la «parola» come si articola nel discorso, quindi anche il «pensiero» che si esprime attraverso la parola. Una precisa affermazione del lògos come «ragione» si ha in Eraclito: principio di razionalità universale, legge di armonia e insieme principio dinamico del divenire (anche principio materiale, «fuoco»). In Platone ricopre i significati di «discorso» come espresso nelle parole e come «procedere del pensiero»; in Aristotele è «discorso», con i concetti che esprime, e «facoltà di pensare, ragione». Grande sviluppo ha la teoria del lògos nello stoicismo: in logica (termine, questo, che, come scienza del lògos, è di origine stoica) ha valore centrale la distinzione tra logos interiore e logos esteriore (il primo, oggetto della dialettica, il secondo della retorica); in fisica, il lògos è il principio razionale e fisico («fuoco») che governa la realtà. Nella letteratura sapienziale greco-ebraica la sapienza divina è il lògos, che nel filosofo Filone (c. 30 a. C. -c. 45 d. C.) assume una precisa personalità come prima potenza espressa da Dio, con funzione mediatrice fra il creatore e il molteplice. Nella letteratura cristiana antica il lògos è, secondo il Vangelo di Giovanni, il verbo di Dio (verbum Dei) che si è fatto carne, il Cristo. Nel pensiero moderno la più coerente teorizzazione del lògos come ragione è in Hegel.
Logos può significare anche scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare. I termini latini corrispondenti (ratio, oratio) si rifanno con il loro significato di calcolo, discorso al senso originario della parola che successivamente ha assunto nella lingua greca molteplici significati: «stima, studio (come suffisso), apprezzamento, relazione, legame, proporzione, misura, ragion d'essere, causa, spiegazione, frase, enunciato, definizione, argomento, ragionamento, ragione, disegno».
Secondo Heidegger nella lingua greca antica i verbi parlare, dire, raccontare si riferivano non solo al sostantivo corrispondente logos ma anche al verbo leghein che significava anche conservare, raccogliere, accogliere ciò che viene detto e quindi ascoltare.
Nello sviluppo della cultura occidentale, a suo parere, il valore del pensare e del dire ha prevalso su quello dell'ascoltare mentre l'udire e il dire, come si riproponeva nel dialogo socratico, sono entrambi essenziali «L'udire autentico appartiene al logos. Perciò questo udire stesso è un leghein. In quanto tale, l'udire autentico dei mortali è in un certo senso lo stesso logos».
Lo stesso Heidegger ha individuato il significato di raccolta, nel termine derivato da logos: silloge riportandolo all'interpretazione del logos eracliteo.
Sembra possa attribuirsi ad Eraclito un significato del Logos come "legge universale" che regola secondo ragione e necessità tutte le cose. Agli uomini è stata rivelata questa legge ma essi continuano ad ignorarla anche dopo averla ascoltata. Il Logos appartiene a tutti gli uomini ma in effetti ognuno di loro si comporta secondo una sua personale phronesis, una propria saggezza. I veri saggi invece sono quelli che riconoscono in loro il Logos e ad esso s'ispirano come fanno coloro che governano la città adeguando le leggi alla razionalità universale della legge divina.
Un ulteriore significato del logos inteso come "ascolto" è nella affermazione di Eraclito che sostiene che molti non capiscono la sua "oscura" dottrina poiché si sforzano di ascoltare lui invece che il logos.
Secondo altri interpreti del pensiero eracliteo una dottrina del logos sembra non essere nella sua filosofia. Sia Platone che Aristotele non si riferiscono mai a lui riguardo al logos: per il primo Eraclito è colui che ha sostenuto l'incessante fluire dell'essere e di come ogni cosa sia nello stesso tempo uno e molti, mentre per Aristotele e per Teofrasto il pensiero eracliteo si fonda sul principio incorruttibile del fuoco causa di ogni cosa.
Platone riferendosi a un sapere definito come «credenza vera associata a un logos» identifica in quest'ultimo tre diversi significati:
è l'espressione tramite suoni linguistici del pensiero è l'enumerazione delle caratteristiche di una cosa è l'individuazione della "differenza" (diaphorotes) di una cosa, vale a dire di quel particolare segno che la differenzia da tutte le altre cose e la definisce nella sua realtà specifica Da questi significati ne deriva che per Platone il logos filosofico va riportato nell'ambito del discorso definitorio (il logos apophantikòs o dichiarativo, che serve a stabilire la verità o falsità di una proposizione, di cui Aristotele si occuperà nella sua Logica).
Una vera e propria "filosofia del logos" la si ritrova invece nello Stoicismo. Cleante, richiamandosi ad Eraclito, afferma la dottrina del logos spermatikòs, la "ragione seminale", un principio vivente ed attivo (poioun) che si diffonde nella materia inerte animandola e portando alla vita i diversi enti. Il logos è presente in tutte le cose, dalle più grandi alle più piccole, dalle cose terrene sino alle stelle garantendo così l'unità razionale dell'intero cosmo: «[il logos] attraversa tutte le cose mescolandosi al grande come ai piccoli astri luminosi».
Esiste dunque un comune sentire (una συμπάθεια (sympatheia), "simpatia") universale, una legge naturale seguendo la quale lo stoicismo insegna a «vivere conformemente alla natura».
Dal punto di vista fisico il logos è identificato col fuoco, che contiene in sé le diverse "ragioni seminali" individuali. Alla fine dei tempi avverrà una conflagrazione che consumerà l'intero universo, in cui però si salveranno le "ragioni seminali", per garantire la generazione del nuovo mondo che sarà nuovamente arso secondo un andamento ciclico.
Il logos inteso come "(ratio) "calcolo" e (oratio) "discorso è mantenuto dallo stoicismo che distingue tra il "discorso interiore" (logos endiathetos, oratio concepta) la riflessione razionale e il "discorso profferto", il discorso parlato, (logos prophorikos, oratio prolata).
Plotino riprenderà questa teoria stoica delle ragioni seminali che sono presenti nell'anima del mondo, ne spiegano i movimenti e fanno in modo che gli individui siano diversi tra loro.
Il Giudaismo alessandrino, con Filone Alessandrino come esponente, riprende il logos della tradizione stoica incorporandolo nella sua teologia e connettendolo al tema biblico della "parola di Dio", acquisendo la fisionomia di un agente quasi personale, cosciente, della volontà creatrice e provvidente di Dio; la Parola a cui si unisce o sostituisce, con valore di sinonimo, la Sapienza. Per Filone, che si rifà anche al Timeo di Platone, Dio è trascendente rispetto al mondo, e a far da mediatore tra il primo e il secondo è proprio il Logos, fonte degli archetipi sulla cui base il mondo viene modellato, costituendo da cornice e, in un certo senso, da sintesi a tutte le realtà intermedie: le Idee, la Sapienza, gli angeli, lo Spirito e le potenze; il Logos, infatti è lo strumento con il quale Dio ha fatto tutte le cose ed è la Luce divina offerta agli uomini. Nella dottrina di Filone si riconoscono temi e concetti che poi torneranno nel Cristianesimo.
Nel Cristianesimo il Logos compare all'inizio del Vangelo di Giovanni, dov'è coincidente con Dio creatore e poi storicamente incarnato in Cristo e quindi negli uomini venendo ad «abitare in mezzo a noi». Gli spunti del Vangelo di Giovanni trovano in seguito una loro conclusione nella definizione dei due dogmi, quello della trinità e dell'incarnazione di Dio, formulati nel Concilio di Nicea.
Il termine "logos" in ambito cristiano è reso in italiano come "Verbo", riprendendo con un calco il latino "verbum" o con "Parola".
Alcuni studiosi della Bibbia ritengono che Giovanni abbia usato il termine "logos" in una doppia accezione: sia per rendere comprensibile agli ambienti ebraici, familiari, il concetto della divina sapienza, sia per rimanere connesso con gli ambienti della filosofia ellenistica, dove il "logos" era un concetto filosofico radicato da tempo.
Alcune traduzioni cinesi del Vangelo di Giovanni hanno definito il termine "logos" come "Tao" (letteralmente la Via o il Sentiero) spesso tradotto come il Principio, è uno dei principali concetti della filosofia cinese. È l'eterna, essenziale e fondamentale forza che scorre attraverso tutta la materia dell'Universo, vivente o meno.
Il filosofo e teologo calvinista statunitense Gordon Clark, nella sua traduzione della Bibbia, ha reso "logos" con "logica": «In principio era la Logica, e la Logica era presso Dio, e la Logica era Dio». In tal modo Clark vuole affermare che le leggi della logica non sono un principio secolare imposto sulla visione cristiana del mondo, ma qualcosa già presente nella Bibbia.
Sant'Agostino insegnava che il Logos è prima di tutto relazione: «Come il Figlio dice relazione al Padre, così il Verbo dice relazione a colui di cui è il Verbo». Il concetto di Logos come relazione è stato ripreso da altri, fra cui il teologo contemporaneo Vito Mancuso (1962) o lo storico della filosofia Giangiorgio Pasqualotto.
Nella filosofia contemporanea spesso il termine "logos" è adoperato in senso generico opponendolo al termine mythos. In questa opposizione il mythos corrisponde al pensiero mitico, basato sulle immagini, sull'autorità della tradizione arcaica, su princìpi accettati e condivisi acriticamente, mentre il logos corrisponde al pensiero critico, razionale e oggettivo, in grado di sottoporre al suo vaglio credenze e pregiudizi.
Il termine logos compare come etimo di -logia, suffisso di moltissime parole le quali indicano generalmente discipline e campi specifici di studio, come ad es. teologia, biologia, epistemologia, virologia, ecc. In questo senso il termine può essere tradotto con "discorso razionale su..." o "ciò che si può dire di ragionevole su..." (per replicare i quattro esempi succitati, le discipline indicherebbero ciò che è riconosciuto come discorso ragionevole rispettivamente su Dio, il vivente, la conoscenza e i virus). Etimologicamente quindi, le discipline stanno per il totale delle affermazioni riconosciute come razionali (e quindi argomentabili secondo ragione) sul singolo campo studiato (specificato nel prefisso).
Logos per Eraclito sembra significare principalmente il carattere connettivo di ciò che garantisce la relazione di contrasto complementare fra tutte le cose. Il logos è la mente del tutto.
M -MAESTRO*
Il vero maestro non ti insegna la sua via ma ti aiuta soltanto a trovare la tua via autonomamente. Il vero maestro si è fatto vuoto, il più vuoto possibile. Il vero maestro sa di non sapere. Il vero maestro è nell'atteggiamento di continua e vera apertura dubitando e ricercando sempre. Il vero maestro è quindi sempre disposto a imparare da tutti e da tutto vivendo in relazione con tutti e con tutto. Il vero maestro è semplice e umile evitando di fare proseliti ed evitando ogni atteggiamento ridondante tipo i miracoli.
Il falso maestro ti chiede di fare un percorso per arrivare dove lui è arrivato. In realtà, forse, nessun percorso è stato da lui percorso. Siamo tutti già arrivati senza muoverci e senza maestri. Siamo onde che non necessitano di qualcuno che spieghi loro come si diventa acqua. L'io è diverso ma non separato dal resto.
Vero insegnante e buon maestro non è colui che sa e insegna tante cose ma colui che sa portare il fuoco nel discepolo, fa nascere domande senza offrire risposte già fatte, e sa trasmettere l'amore per la sapienza.
Il maestro è tanto più forte quanto meno mostra la sua forza: la sua personalità è tanto più profonda quanto meno egli aspira a essere una personalità.
Il vero maestro vede tante persone coinvolte in appiccicosi sogni tristi e le vuole svegliare da questa brutta e fallace esperienza. (Nisargadatta Maharaj)
Un vero maestro non pretende obbedienza da nessuno. Infatti se non hai un vero "io" non hai bisogno di obbedire a nessuno. Un vero maestro non ha insegnamento ma ti informa che tu sei già quello. Alla fine risulta chiaro che non c'è maestro, non c'è insegnamento, non c'è allievo.
Cosa ne è di te, caro allievo, una volta che tu abbia messo da parte l'erudizione e la tradizione, una volta che hai deposto le armi della logica e della dialettica, una volta che hai colto la inconsistenza e l'impermanenza di ogni cosa e di ogni idea, compresa quella di «io»? Il Maestro è la più grande illusione, poiché le sue parole sono false, ma le sue parole false ti spingono verso il tuo Sé Reale, dove la comprensione è azzerata. Non vi è alcuna differenza tra il Maestro, il Sé e Quello che sei.
La figura genitoriale può avere una funzione esemplare non autoritaria nella misura in cui riesce a trasmettere maieuticamente un'apertura al piano valoriale, e fa vedere, concretamente, con il proprio modo d'essere, come ci si posiziona esistenzialmente nel mondo, proponendosi pertanto «senza annunci e proclami». (Cusinato), Insomma l'educatore deve essere tale non tramite l'autoritarismo ma tramite l'esempio. Si dovrebbe sempre osservare come uno si comporta (ortopraxia) più che badare a ciò che uno dice o predica (orto-doxia).
Mettere i propri allievi in guardia da parte del loro stesso maestro (Budda, Ario, Pirrone, Pomponazzi, Nietzsche). Non seguitemi, potrei sbagliare! Si ripaga male un maestro se si rimane sempre scolari. (Nietzsche)
Il vero maestro non ha nulla da insegnarti (altrimenti sarebbe un predicatore!): ti dice solo "Tu sei già quello!".
Il maestro che io imito è una mia creazione.
Il saggio è tale in quanto abbandona il punto di vista relativo dell'io individuale per assumere un punto di vista più ampio e variegato.
La luce più riposta, che risplende pacificamente senza tempo nel cuore, è il vero maestro (interiore). Gli altri si limitano a mostrare la via.
Dice Nisargadatta Maharaj: <<Il maestro mi ordinò di concentrarmi sull'"io sono", e di cancellare il resto. Gli obbedii. Non seguii nessun corso di respirazione, di meditazione o di studio delle Scritture. Qualsiasi cosa succedesse, ne distoglievo l'attenzione, puntandola sull'"io sono". Può sembrare fin troppo semplice, rozzo addirittura. L'unico motivo per farlo era che me l'aveva ordinato il maestro. Tuttavia ha funzionato! L'obbedienza è un forte solvente dei desideri e delle paure>>. Il maestro, il discepolo e l'amore e la fiducia che li anima, sono una cosa sola, non tanti fatti indipendenti. Ognuno è parte dell'altro. Senza amore e fiducia non ci sarebbe stato né maestro, né discepolo, né rapporto reciproco. È come pigiare un interruttore per accendere una lampadina. Ottieni la luce perché lampadina, filo, interruttore, trasformatore, linee di trasmissione e centrale elettrica formano un tutto unico. Mancando uno solo di questi fattori, non può esserci la luce. Non devi separare l'inseparabile.
Il saggio non adotta nessuna opinione esclusiva: se stesso è anche l'altro e l'altro è anche se stesso Diffidate da tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire.
Il saggio è benevolo spontaneamente (e senza merito) e non perché confortato da una norma e da una ricompensa.
Il vero maestro non ti umilierà mai, né ti estranierà da te stesso. Ti riporterà costantemente al fatto della tua perfezione intrinseca, e t'incoraggerà a cercare all'interno. Sa che non hai bisogno di nulla, nemmeno di lui, e non si stanca di ricordartelo.
Un maestro di propria nomina s'interessa molto più a se stesso che ai discepoli.
-MALE*
Secondo l'idea ebraico -cristiana il male ha una sua origine: c'è il male perché, a monte c'è stata una colpa. Ciò in uno stretto rapporto di causa effetto. Dice Paolo: "Come a causa di un solo uomo (n.d.r. Adamo) il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato". In tutto ciò vi è una chiara impronta orfica.
La Teodicea (Theos e Dike) sarebbe la giustificazione di Dio di fronte al problema della sussistenza del male nel mondo e del presunto libero arbitrio umano.
Nietzsche scrive che tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.
Il Buddhismo non parla mai di bene e di male in astratto ma, molto più modestamente, di comportamenti positivi o negativi in quanto utili o dannosi.
-MARX*
Si laurea in filosofia con un a dissertazione su Democrito ed Epicuro. Ma si ispira a Prometeo (il più grande santo dell'umanità, secondo lui) che dice: "Io odio tutti gli dei". Prometeo voleva portare la giustizia presso gli uomini. Secondo Marx, la filosofia deve liberarsi di tutte le divinità celesti e terrestri perché la suprema divinità è l'autocoscienza umana.
Quando Marx dice che i filosofi, che hanno fino ad ora interpretato il mondo, ora devono passare a trasformarlo, si riallaccia addirittura, lui ateo, a una tradizione che affonda le radici nel Vangelo cristiano nel senso che la filosofia pratica (il fare) deve avere il sopravvento su quella teorica e contemplativa.
Popper dice che Marx è un falso profeta così come Hegel.
La scure del sospetto filosofico è brandita da tre filosofi (dice Ricoeur): Marx, Freud e Nietzsche. Guardano con sospetto alla tradizione filosofica.
L'alienazione è il distacco fra il lavoro dell'operaio e il prodotto del suo lavoro che diviene di proprietà del capitalista. L'operaio, quindi, non si realizza mai anche perché produce più di quanto egli venga pagato (sfruttamento).
L'uomo crede molto in dio e molto meno in se stesso: anche qui alienazione perché dio non gli appartiene. L'uomo, quindi, non si realizza mai.
Ricordiamo che la parola "rivoluzione" è di origine fisico-cosmica ed è usata da Copernico per indicare il moto della terra che gira su stessa ritornando, dopo circa 24 ore, allo stesso punto rispetto al sole: sappiamo tutti che mezzogiorno ritorna ogni 24 ore. Il vocabolo "rivoluzione, fu poi usato in politica per opporlo a "riforma". Due diverse linee politiche: la prima massimalista, la seconda più moderata. Marx non sembra rivoluzionario, dice infatti: "non ho ricette per l'osteria del futuro".
Marx dice che prima di lui i filosofi si erano dati da fare per capire il mondo mentre lui lo vuole cambiare anche tramite il Manifesto del Partito Comunista del 1848 scritto in collaborazione con Engels. Il testo originale ha solo 23 pagine.
L'uomo doveva essere, secondo lui, forte e la donna debole. La principale virtù è la semplicità. La sua personale caratteristica è la determinazione. Per avere la felicità bisogna lottare mentre la sottomissione porta all'infelicità. La servilità è un difetto non scusabile mentre è scusabile la credulità. Il suo eroe preferito è Spartaco (insieme con Keplero). Strano che non parli di Prometeo.
Abbiamo l'inclinazione a trattare il simile come fosse un uguale. Una inclinazione illogica dato che in sé nulla di uguale esiste in natura. Noi diciamo che 1+1=2. Questa però è pura teoria perché, in pratica, non esistono mai due cose uguali che si possano sommare per ottenere due (cose uguali). I numeri, dunque, potrebbero essere una costante falsificazione. Perché nessuno me lo ha mai detto prima? L'esatta area di un cerchio non potrà mai essere calcolata esattamente. Perché nessuno me lo ha mai detto prima? Ricordiamoci sempre che un teorema (che significa osservare lo spettacolo) è una proposizione dimostrata con regole logiche a partire da assiomi indimostrati (quindi da atti fede?). Perché nessuno me lo ha mai detto prima?
Ogni sistema di regole del pensiero produce affermazioni indecidibili. Questo è stato studiato da molte persone, tra le quali George Boole, Bertrand Russell, Glottlob Frege, ed altri, ma la parola fine ad oggi definitiva è stata data dal teorema di incompletezza di Gödel, il quale ha mostrato che qualunque sistema logico assiomatico -deduttivo (in termini tecnici: assimilabile ad un'algebra di Peano) coerente (cioè privo di contraddizioni interne) comporta inevitabilmente la produzione di teoremi indecidibili.
La parola "matematica" deriva dal greco ta mathemata che significa "quello che può essere imparato" e quindi anche "quello che può essere insegnato".
Non c"è dubbio che la matematica sia un fenomeno antropologico. (Wittgenstein) Ora, quello che possiamo dire della logica lo possiamo dire a maggior ragione della matematica, perché «nell'affermazione che la matematica è logica c'è questo di vero: la matematica si muove tra le regole del nostro linguaggio. E questo le conferisce la sua particolare solidità, la sua posizione inattaccabile e solitaria". Quindi, è il consenso d'azione che spiega il motivo per cui contiamo tutti allo stesso modo. Nel contare non esprimiamo alcuna opinione: che 25 segua a 24 non è una faccenda né di opinione né di intuizione. (Wittgenstein)
Una proposizione matematica costituisce un modello di certezza in quanto "si tratta del modo di procedere che la gente trova più naturale". (Wittgenstein)
Di fronte alla matematica (e alla filosofia e alla fisica) si può essere nominalisti o realisti: Platone è realista (le parole e i pensieri rappresentano le cose e la realtà) mentre il pensiero orientale è nominalista (le parole sono solo parole e non sono la realtà).
Il matematico Zellini si chiede se la Matematica sia una scoperta o un'invenzione. Gli risponde Dedekind dicendo si tratta di una libera creazione della mente umana. Hardy pensa invece che il mondo matematico sia fuori di noi e stia a noi scoprirlo (in questo suo modo di pensare asserisce di essere in compagnia di Platone e di molti altri grandi filosofi non meglio specificati).
La geodetica è il percorso minimo fra due punti dello spazio curvo. Non esiste quindi il segmento di retta tanto agognato da tutti.
Dare una definizione di numero è difficile: sembra che nessuno sia mai riuscito a definire l'esatta natura dei numeri. I numeri nascono in opposizione all'apeiron che è l'infinito indefinito. "Di numeri è fatto l'intero universo" dicevano i pitagorici e gli atomisti mentre Platone affermava che i numeri sono causa della sostanza delle cose anzi, che sono equiparabili ad esse.
L'essere che non ha grandezza non esiste? Il punto esiste? Ma se non esiste il punto può esistere la retta, il piano, le figure geometriche? La differenza fra i "numeri" e le "cifre" è la stessa che fra "significato" e "significante". Cerco di spiegarmi meglio: ----questo è il significato del numero quattro (infatti siamo di fronte a quattro trattini). La cifra può invece essere scritta in diverse maniere: 4, IV (in romano antico), d (in greco antico), + (nei numeri Nasik) eccetera, eccetera … Come alcuni sanno, π (pi greco) è un numero irrazionale pari al rapporto fra circonferenza e diametro di un cerchio qualsiasi (cerchio perfetto che, in realtà, non esiste nella pratica). Lo stesso risultato si può però ottenere dividendo 355 per 113! Attenzione però: questo strano numero, come tutti quelli irrazionali, non si lascia definire nel senso che non si potrà mai conoscere il suo valore esatto! Il triangolo sacro egizio si basa sui numeri 3, 4, 5. Trattasi di un triangolo rettangolo che quindi sottostà al cosiddetto teorema di Pitagora. I tre numeri rappresentano la trinità egizia: rispettivamente Osiride, Iside e Horus. Iside è il principio femminile della natura.
La magia dei quadrati magici: 4,9,2; 3,5,7; 8,1,6. Questo è il quadrato di Saturno a base tre. Pare essere di origine cinese ma è pure il quadrato di Salomone. Quello di Dürer è invece a base quattro : 16, 3, 2 13; 5, 10, 11, 8; 9, 6, 7, 12; 4, 15, 14, 1 (da notare che 1514 è la data dell'incisione). Vi sono anche quadrati magici a base dieci.
SAMSARA significa semplicemente MISURARE.
Il numero degli assoluti è in continua diminuzione mentre la famiglia delle entità relative sta diventando sempre più grande.
Il quinto postulato di Euclide (300 a.c), quello secondo cui due rette parallele non si incontrano mai, è, come tutti i postulati, indimostrabile. Si accetta o si rifiuta solo per comodità.
Per Russell i postulati sono furti intellettuali.
Ogni postulato è un assioma, cioè un'affermazione che è accettata vera senza dimostrazione.
Il numero palindromo 111.111 moltiplicato per se stesso da 12.345.654.321 anche lui palindromo! Il rapporto fra il lato e la diagonale di un quadrato è un numero irrazionale pari alla radice quadrata di due (1,4142…). Per costruire un quadrato doppio di un quadrato dato basta usare la sua diagonale come lato del nuovo quadrato.
L'infinito non può essere definito e quindi resta inconoscibile. (Cusano) Quanti elementi contiene l'insieme di tutti gli insiemi privi di elementi? Se nessuna cosa è uguale ad un'altra, perché si afferma che uno più uno fa due? V1+V2 (diverso da zero) = V1 Impossibile! (direte voi). E invece è possibile: pensiamo a V1 quale velocità della luce … La conoscenza matematica non da certezze. Nulla può dare certezza! La matematica non porta alla verità ma alla spiegazione.
I Ching (Il libro dei mutamenti) è molto significativo perché è il primo ad avere una visione binaria del mondo usando, anziché l'attuale 0 e 1, un segmento continuo ____ e uno non continuo __ __ .
La scrittura greca e quella ebraica non avevano numeri ma usavano, in loro vece, le lettere: le prime nove erano le unità, le seconde nove erano le decine, le terze erano le centinaia. Per i numeri superiori a 999 si usavano stratagemmi quali apostrofi o la M. I numeri attuali sono indiani e sono arrivati a noi tramite l'islam.
Cantor dice che un aggregato infinito è un aggregato che ha delle parti contenenti tanti termini quanti ne contiene l'intero aggregato.
Un numero è una pluralità di pluralità di pluralità.
La conoscenza matematica non è né empirica e neppure a priori: è una conoscenza puramente verbale! Zero moltiplicato per l'infinito produce l'assolutamente indeterminato che contiene in sé tutte le possibilità.
Noi crediamo nella geometria euclidea e nell'esistenza degli oggetti materiali esterni perché sono ipotesi comode e non perché sono verità.
Nella geometria euclidea per un punto esterno alla retta passa una sola parallela. In quella iperbolica per un punto passano infinite parallele essendo la curvatura rivolta verso l'esterno rispetto al punto. In quella elittica non esistono parallele la curvatura rivolta vero l'interno (come sulla terra).
La linea retta euclidea (quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti) è una pura idealizzazione (come l'io) che sulla terra diventa una geodetica.
-MECCANICA QUANTISTICA RELAZIONALE* Se osservatori diversi danno resoconti differenti della stessa sequenza di eventi, ogni descrizione quantomeccanica deve venir intesa come relativa a un osservatore particolare e, quindi, non assoluta ma prospettica perché basata su un certo punto di vista. Dunque siamo di fronte a qualcosa di relazionale: una relazione stretta fra osservatore e osservato. Secondo Bohr, l'indistinto e nebuloso mondo dell'atomo prende corpo nella realtà solo quando lo si osserva. In assenza di osservazione, l'atomo è un fantasma; si materializza solo quando lo si cerca. La realtà sembra proprio nascere dall'osservazione! La realtà è relazione. E tutto ciò ha ormai una convalida sperimentale.
L'idea chiave di Bohr e di Heisenberg che "nessun fenomeno è un fenomeno finché non è un fenomeno osservato" deve valere per ciascun osservatore indipendentemente dagli altri. Ogni osservatore ha il diritto a un suo universo e la verità all'interno di questo universo dipende dall'osservatore! Cosa succede quanto più osservatori lavorano sullo stesso universo? Intanto precisiamo che spazio e tempo sono concetti dipendenti dall'osservatore e non sono assoluti invarianti. Ogni osservatore ha il suo spazio, il suo tempo e il suo mondo. Una descrizione universale e indipendente dall'osservatore dello stato di cose del mondo non esiste! La realtà stessa dipende dall'osservatore! Non esiste un assoluto indipendente dall'osservatore: anche l'assoluto è relazione! Non esiste una singola realtà condivisa da tutti gli osservatori. Si può e si deve parlare del mondo da più di una prospettiva simultaneamente. La fisica quantistica dice addio alla realtà unica e condivisa! Comincia a sembrare che ci sia un universo per ogni osservatore. (Rovelli) L'osservatore osserva il mondo e, così facendo, lo fa accadere! Ma l'osservatore stesso è parte del mondo! L'osservatore e il mondo sono in relazione. Risulta però impossibile per l'osservatore misurare se stesso (cosa che invece cerca di fare con il mondo).
L'osservatore non può osservare se stesso! Teorema di Godel? Conosci te stesso? No! La nostra informazione è troppo limitata per conoscere le proprie origini, il soggetto e l'oggetto della conoscenza.
Nessuna cosa è inserita nel tempo e da esso è modificata ma essa stessa è il tempo. L'energia non è mai immobile, il vuoto non coincide mai con il nulla. Il movimento di negazione, tipico della teologia negativa, che, in alcuni casi, conduce Eckhart a considerare Dio come l'Uno, altrove lo conduce a considerarlo come nulla. Dio è il nulla in quanto è principio senza principio, è il non-fondato.
L'Uno non indica un predicabile. In questo senso, esso è il nulla, ossia totale assenza di distinzione, al di là dell'essere identico a sé stesso, perché in questo caso esso sarebbe ancora qualcosa.
L'uomo che oltrepassa ogni molteplicità, penetra in Dio, non perché si eleva a Dio, ma perché muore a se stesso, rinuncia a sé, ad ogni volontà, ogni desiderio, ed è penetrato così da Dio. Penetrato da Dio, l'uomo penetra in Dio e diviene così uomo nobile, Uno con l'Uno stesso.
Meister Eckhart consiglia a chi intende realizzare se stesso: «devi prima di tutto abbandonare te stesso . . . poiché soltanto chi abbandona la propria volontà e se stesso, ha abbandonato davvero tutte le cose».
"Paolo si alzò da terra e, con gli occhi aperti, vide il nulla … e questo nulla era Dio" dice Meister Eckhart contemporaneo di Dante. Per raggiungere questo nulla, questo silenzioso deserto da dove proviene il Dio Trinitario, la creatura deve svuotarsi, deve previamente essere diventata nulla. "Poiché … la natura di Dio è quella di non essere simile ad alcuno, noi dobbiamo necessariamente giungere al punto di essere niente, per poter essere trasportati in quello stesso essere che egli è" aggiunge il mistico tedesco. A questo punto subentra "indicibilmente grande gioia (la grande gioia di coloro che gustano Dio): stare all'esterno come all'interno, abbracciare ed essere abbracciati, contemplare ed essere la stessa cosa contemplata … e Dio non trova in sé alcuna differenza fra se stesso e quest'uomo." Dio è tutto e nulla poiché essendo totale è indefinibile. Proprio per questo Eckhart nella nota predica "Beati pauperes in Spiritu" invoglia i fedeli a "pregare Dio" affinché li liberi da "dio" (il primo maiuscolo, il secondo minuscolo), dove il primo è il "Dio Eckhartiano" (per così dire), totale ed indefinibile, puro ed assoluto, e il secondo un mero essere superiore, un "sovra-essere", un essere dalle funzioni totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario collettivo, ispirato dalla religiosità naturale. In definitiva, mentre il secondo è l'idea a cui l'uomo ricorre per "chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una "superstizione", il primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in Lui, con Lui e per Lui non vi è altro che Esso.
Riguardo alla coincidenza di pensiero ed essere, dibattuta nell'ambito dell'Ordine domenicano, nella prima quaestio delle Quaestiones parisienses, Eckhart risponde che pensiero ed essere sono la stessa cosa, ma Dio va identificato con l'Uno, nome che si dà a ciò che è ben al di là dell'ente e dell'essere stesso, e Dio è in primo luogo pensiero, da cui l'essere scaturisce.
Nel Prologo all'Opus tripartitum afferma che Dio è l'essere e l'essere è Dio, la creazione attraverso la moltiplicazione è un progressivo allontanamento dall'unità e perfezione originaria, in cui ogni ente è e vive solo in quanto partecipe in qualche modo e forma della natura divina. Meister Eckhart mette l'accento, inoltre, sul fatto che l'apprendimento di questa condizione dello spirito può essere raggiunta solamente dopo lunghi anni di esercizio e la paragona all'apprendimento della lettura e della scrittura. Sebbene a quei tempi (come ai nostri) la preghiera contemplativa fosse fortemente diffusa nella popolazione, la radicalità delle sue affermazioni lo portarono al conflitto con la Curia Romana. Ai tempi moderni le sue indicazioni potrebbero essere ancora difficili da seguire, visto che l'attitudine verso "il tempo" e la razionalità dominano fortemente le condizioni di vita.
Nella teologia negativa di Eckhart, Dio è «al di là di ogni conoscenza». Eckhart contesta quindi che l'Uno abbia le qualità mondane come "bontà" o "saggezza". «Io dico anche: Dio è un Essere? -non è vero; è (molto più) un essere che trascende l'essere e una nullità che trascende l'essere » Se Aristotele poneva il pensiero divino di sé al di sopra dell'essere, ignorando una realtà ancora più alta, Eckhart pone in risalto il pensiero della tarda grecità (Plotino e Proclo) per l'intuizione di un principio oltre il pensiero, che si può raggiungere in un'unità mistica attraverso la filosofia. La ricerca dell'Uno è cosa diversa e più alta della ricerca della verità o del bene, che sono ancora ricerca dell'Essere.
Il pensiero e l'essere divino è la causa degli enti; in quanto è universale e indeterminato, «non è un ente e tende al non-ente». Crea ed è il fine degli enti, per cui è prima e più importante dell'essere per la metafisica, bene e male sono qualità degli enti, mentre vero e falso sono nell'anima che contiene immagini di questi, nate con la mediazione dei sensi, la memoria, la volontà o il giudizio. Poiché non è un ente, e diversamente da questi, l'anima non è determinata a conoscere sé stessa, può puntare al pensiero divino, ma nasce orientata verso gli enti, che le impediscono di pensare ed essere nel pensiero divino, e poi di giungere ad unità con l'Uno, oltre il pensiero.
Secondo Eckhart, Dio è sine modo, impredicabile come l'Uno di Plotino. L'Io si tiene lontano da questa identità finché utilizza la mediazione della memoria, del giudizio, della volontà e dei cinque sensi, e finché forma il suo contenuto con immagini di enti determinati, che sono finiti e periscono nel tempo. La finitezza nella qualità e nella quantità, nell'occupare uno spazio e un tempo, e il manifestarsi con la mediazione di qualche attributo della coscienza, sono modi dell'ente e non propri del manifestarsi divino, che è immediato, posto non in relazione alle sue qualità appare come l'anima che lo ospita, e con l'infinità di tutti i suoi attributi.
Con questi motivi metafisici, è spiegata la mistica del ritorno all'Uno. Nel momento del ritorno all'Uno, si realizza una teologia negativa che riguarda anche la vita spirituale, le leggi e riti della religione: la perfezione morale e l'imitatio Cristi sono per «l'essere ciò che Dio è», come Lui, non in unità con Esso. La persona rinuncia a tutto ciò che è opera dell'individualità: non sente desiderio o timore; rinuncia ad avere, agire, conoscere; rinuncia all'esercizio della memoria, dei sensi, del giudizio etico o estetico. Il percorso esclude i viaggi, l'impegno politico, l'arte, le scienze e le opere.
Eckhart sente troppo angusto il concetto di "essere" per applicarsi a Dio e giunge così, per conservare a Dio la libertà da ogni limitata categoria, ad associargli piuttosto il "non-essere". Più dell'essere/non-essere Eckhart trova adeguato a Dio il concetto di "intelligere". E se proprio si volesse predicare dell'essere di Dio, la sua pienezza contemplerebbe ogni creatura e la molteplicità non troverebbe più terreno proprio. Ogni particolare sparirebbe in se stesso e si conserverebbe invece solo come predicato di Dio e sua espressione. Tornano immagini tipicamente neoplatoniche: Dio è una sfera infinita che trova il suo centro ovunque e la sua circonferenza in alcuna parte; Dio è fonte di luce da cui emana la molteplicità, e così via. Tutti temi questi che resteranno distanti e incomprensibili ai polemici ed aristotelici scolastici. La metafisica di Eckhart ha il suo corrispondente nella psicologia e nella mistica: l'anima scopre Dio nella radicale negazione di ogni essere e di se stessa, al di là di ogni discorso, in un contatto immediato che si realizza nell' "apex mentis ", nella scintilla dell'anima: progressiva deificazione possibile in virtù della mediazione del Cristo. Condizione di questo cammino verso Dio è vedere " tutte le cose e noi stessi come un puro nulla "; suo esito è la rinascita dell'uomo in Dio, o addirittura, come accade ai mistici e santi, l'unione totale con Dio. In questo culmine della fede, in questo " sprofondare nel punto centrale dell'anima ", l'uomo diventa quasi letteralmente Dio, separato dall'essenza divina solo da ciò: che l'uomo è Dio "per grazia" e Dio è tale "per natura".
Meister Eckhart dichiara apertamente di non trovare alcuna significanza nella sofferenza né tanto meno crede nell'umiltà. Altrettanto negativa è la misericordia se messa in atto per ricevere il premio della vita eterna. Quest'ultima si consegue solo fondendosi con Dio.
Dio è un'essenza simile a niente, e che non può assomigliare a niente. Lo dovete comprendere cosí: in quanto questa potenza è simile a niente, in tanto proprio è simile a Dio. Essa è simile a niente, proprio come Dio è simile a niente.
-MENTE* La mente è la natura operante connessioni, relazioni. È la mente che, distinguendo per attrazione/repulsione, attribuisce senso, valore e disvalore alle cose: generando dunque angoscia, dolore. L'attività della mente deve essere trascesa intuendone l'essenziale illusività, l'inconsistenza: il principio essendo il vuoto senza-senso.
Il Chan cinese accoglie la teoria della mente espressa dal Lankavatara Sutra ove la mente è vista come una sorta di "contenitore-deposito" che produce illusivamente le cose, generando dolore. È la mente, citta in sanscrito (cin. hsin), che, con la sua sete di attaccamento, conferisce senso al irreale, deformandolo in mostro ansiogeno. Shen-hsiu (il monaco dotto) comprende che nulla di ciò che la mente produce ha valore reale. Hui-Neng (il monaco analfabeta) si spinge oltre, scorgendo come neanche la mente abbia sostanzialità: dove cadrà la polvere se nessuna cosa esiste?
Su che cosa deve stabilirsi e dimorare la mente?
Deve stabilirsi sul non-dimorare e là dimorare. Cos'è questo non-dimorare? Significa non lasciare che la mente dimori su nessuna cosa di nessun genere. E cosa significa questo? Dimorare su nulla significa che la mente non si fissa sul bene o sul male, sull'essere o sul non-essere, sul dentro o sul fuori o da qualche parte tra i due, sul vuoto o sul nonvuoto, sulla concentrazione o sulla distrazione. Questo dimorare su nulla è lo stato in cui essa deve dimorare; di coloro che lo raggiungono si dice che hanno la mente che non dimora; in altre parole, hanno la mente di Buddha. (Hui Hai) La mente divide, è duale e, dunque, diabolica. Vuole sempre fare, vuole capire, vuole controllare. Non riesce mai ad arrendersi, a non fare, a non capire. Non riesce dunque a stare in pace. Vuole svuotare la mente, vuole …, vuole … ! Non riesce a non fare nessun esercizio. E invece dovrebbe fare l'esercizio del non esercizio! Siediti e lascia libera la mente. Lei si perde dolcemente, prima o poi … e questa e la via! Il subconscio arriva a capire cose che sfuggono alla comprensione cosciente. Senza avere alcuna impressione conscia se ne può avere una subconscia. La mente cosciente è influenzata dal subconscio. E' il subconscio ad avere un controllo assoluto sul nostro carattere.
La nostra mente non è nata per comprendere se stessa ma per far fronte alle sfide poste dall'ambiente e ai problemi sempre più complessi sollevati dalla convivenza umana. Tuttavia essa si è imbattuta nel problema della propria comprensione, magari a causa di quegli strani individui cui diamo il nome di filosofi. Considero questa la follia delle follie ma penso pure che senza un pizzico di tale follia la vita non sia degna di essere vissuta. (Boncinelli)
A livello cerebrale tutto è soggetto a essere rimaneggiato. Ma, nonostante questo continuo processo di reimpasto, ogni singolo individuo ritiene non solo di essere un fedele custode delle proprie memorie ma pure che queste siano immutabili. Infatti riconoscere che possano essere soggette a cambiamenti significherebbe accettare che la propria individualità e identità siano precarie, ossia porre in discussione la coerenza del proprio "io" e delle nostre esperienze. (Oliverio) La mente di chi è convinto che il mondo sia fatto di semplici cose separate da sé e tra loro, vive in un "inferno" di desideri senza fine, di tensioni a possedere sempre di più, di "ipertensioni'' rivolte a mantenere ciò che riesce a possedere e ad accumulare: una simile mente sprofondata nell'ignoranza-illusione, da un lato, poiché non si rende conto di essere costituita dal mondo, continua a pretendere di conquistarlo, e vive perciò nell'ansia di vincere; dall'altro, poiché ignora di essere, al pari del mondo, impermanente, continua a preoccuparsi dell'immortalità, e vive, pertanto, nella continua paura della morte. Ostinata in queste sue illusioni, la mente accecata dall'ignoranza inventa sempre nuovi simulacri di sostanzialità e di permanenza: non solo beni materiali, ricchezze, monumenti, stati e imperi, ma anche beni immateriali, come Verità Eterne, Principi Assoluti, Nobili Ideali, eccetera, tutti destinati a perire. La mente " risvegliata" , invece, è quella che riesce a cogliere la natura e la funzione universale di anatta e di anicca, e a comportarsi di conseguenza: è quella che riesce a vivere nella consapevolezza che il mondo degli esseri, come l'universo delle cose, non è mai da afferrare e da possedere, per il semplice motivo che ciascuno è già da sempre " afferrato" e " posseduto" dalla rete degli esseri e delle cose, e che nessun "nodo" di questa rete è mai stabile. Questo " risveglio" non è affatto intellettuale o astratto, ma produce conseguenze positive.
Dio ha creato l'uomo oppure l'uomo ha creato dio? Oppure la mente ha creato entrambi?
Lascia che la mente cerchi se stessa: non troverà nulla.
Siamo letteralmente, disperatamente, eternamente intrappolati dentro la nostra mente.
L'illusione (maya) si trova nel nostro punto di vista quando pensiamo che le forme e le strutture, le cose e gi eventi attorno a noi siano realtà della natura, invece di comprendere che sono concetti della nostra mente la quale misura e classifica cioè divide ciò che è uno. Si confonde la mappa con il territorio. La realtà ultima non può essere afferrata con concetti e idee.
Raggiungi lo stadio finale della meditazione, quando il senso di identità va oltre l'"iosono-questo", oltre l'"io sono", oltre l'"io-sono-il-testimone", oltre perfino l'"esserci", fino a raggiungere il puro essere impersonalmente personale. Concentra ogni energia e tutto il tuo tempo nell'infrangere il muro che la mente ti ha eretto intorno.
La grande sapienza tutto abbraccia mentre la piccola sapienza ancora divide. A una mente quieta si arrende l'intero universo.
La mente non può portarti oltre la mente: ogni dualità è sogno! Hua T'ou.... la mente prima che sia agitata da un pensiero.
Non permettere alla tua mente di attaccarsi a nulla, neppure al nulla. La liberazione c'è quando la mente non desidera nulla, non si duole per nulla non rifiuta nulla, non si attacca a niente e non si compiace né si dispiace per alcunché.
Tempo, spazio e casualità sono categorie della mente che sorgono e tramontano con la mente.
Nessuna creatura ha mai posseduto un ego o è nata. Ci sono solo percezioni, vibrazioni in risonanza e poi … nemmeno quelle.
La fine assoluta dell'illusione della mente e quindi del ricercatore: questo spaventa molti perché si crede alla follia o alla demenza. Nulla di più sbagliato. Si funziona con più spontaneità e gioia, come nei sogni, ma non ci si crede più.
Se traccio una linea nel mezzo di un foglio bianco separo la pagina in due parti ma non è la riga che separa, è la mente.
Se non sei in grado di mettere tra parentesi la tua mente, continuerai a confondere la tua logica con la "logica" della Realtà.
La mente non potrà mai arrivarci, anzi deve sparire perché ciò che sono è prima di qualunque concetto, è inconoscibile.
La nostra mente si è adattata per selezione naturale alle condizioni del mondo esterno, che ha adottato la geometria più vantaggiosa per la specie, o, in altri termini, la più comoda. Ciò è pienamente conforme alle nostre conclusioni: la geometria non è vera, la geometria è vantaggiosa.
La mente non si arresta mai: se sia arresta, o è per morte o per illuminazione! Noi pensiamo che la nostra mente (fissa) serva a capire il mondo (variabile) ma la nostra mente è parte del mondo. In conclusione, come dice Eddington, la mente ritrova nel mondo ciò che essa stessa vi aveva posto.
Se la mente non si leva... tutte le cose restano innocenti.
Quando cerchiamo le cose, non vi è null'altro che la mente. Quando cerchiamo la mente, non vi è null'altro che le cose.
Il vero e il falso sono la malattia della mente.
Vedo in giro molte menti vuote, disabitate che si limitano a fungere da magazzino, ricettacolo di idee altrui giuste o sbagliate che siano. Persone senza personalità che rincorrono mete, fini fissati da altri.
Sono giunto a rendermi chiaramente conto che la mente non è altro che monti e fiumi e la grande vasta terra, e il sole e la luna e le stelle.... ...ma il sole, la luna e le stelle non sono altro che mente..... La mente dell'uomo riflette un universo che riflette la mente dell'uomo. (Talbot)
La mente crede di conoscere se stessa ma non è così: nessuno conosce veramente se stesso (uno specchio non può riflettere se stesso se non tramite un altro specchio).
Il corpo è fatto di cibo come la mente di pensieri.
Ognuno di noi è una comunità di 50 mila miliardi di cellule...ma noi, allo specchio, vediamo solo una persona...e diciamo...quello sono io... E' la mente che governa la comunità delle cellule...ma la mente è la comunità, non è fuori! Ogni cellula ha il suo sistema respiratorio, digestivo.
Io non sono la mia idea di me stesso!
Noi tutti abbiamo due menti: una razionale che pensa e l'altra emotiva che sente (molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale). Le nostre emozioni hanno una mente che si occupa di loro e che può avere opinioni del tutto indipendenti da quelle della mente razionale.
Si pensa che la mente sia una struttura diversa rispetto alla natura e che la mente conosca le cose così come sono.... la mente però è parte della natura con la quale ha concausazione reciproca.
La mente umana non percepisce quello che è là ma quello che crede sia là. Le retine non vedono a colori: là fuori non ci sono né luce né colore ma solo onde elettromagnetiche. Tutto è un costante flusso di energia (che non sappiamo bene cosa sia!) Né la mente e neppure il mondo sono fissi: bisogna quindi rinunciare alla presunzione della conoscenza ultima e definitiva.
Un'invenzione della mente può avere tanta forza da «portare lacrime su lacrime».
Tu hai la tua mente personale, intessuta di ricordi, legati insieme dai desideri e dalle paure. Io non ho una mente mia; ciò che ho bisogno di sapere, l'universo mi offre come il cibo che mangio. (Nisargadatta Maharaj) Esiste una mente fissa che osserva il mondo? O forse la mente e il mondo non sono fissi? O forse ancora la mente e il mondo non sono due?
Quando la mente è turbata si produce il molteplice, ma il molteplice scompare quando la mente si acquieta. Unità e interdipendenza di tutti i fenomeni.
La memoria non è un armadio o una specie di frigorifero da cui estrarre i ricordi alla bisogna, per poi scongelarli e utilizzarli a proprio piacimento. La memoria è complessa: non soltanto accumula, registra, immagazzina, archivia. Elimina, riduce, taglia, gonfia, stira, aggiunge, ingigantisce, mescola, confonde. Il fatto è che la memoria inventa. Che la memoria affabula, racconta." (Arpaia) Le menti grandi, parlano di idee. Le menti medie, parlano di fatti. Le menti piccole, parlano di successi. Le menti povere, parlano degli altri. Chi è andato oltre sorride di tutto ciò … -MISTERO DELLA VITA* Tutti gli uomini osservano lo stesso mistero ma lo fanno da punti di vista diversi, molto diversi.
Non si vede due volte lo stesso ciliegio, né la stessa luna contro cui si scaglia un pino. Ogni momento è ultimo, perché unico (Yourcenar)
La coscienza e l'energia! Non sappiamo cosa siano esattamente. Forse il soggetto non è niente di dato e, forse, non esistono fatti ma solo opinioni (opinioni di chi?). Ma continuiamo a parlare di verità. Siamo davvero un bel mistero noi uomini.
Per noi cristiani esiste una vita eterna individuale distinta da quella di Dio. Per l'Induismo il jivatman (l'anima individuale) tende a ritornare all'Atman (anima universale) e quest'ultima tende all'assoluto Brahaman nel quale l'individuo scompare come l'onda nel mare. Per il Buddismo (Sabbe Dhamma Anatta) tutte le realtà, compreso l'io e l'assoluto, sono vuote di un vero sé autonomo e sono, quindi, solo relazione. Tre diverse prospettive di fronte al mistero della vita.
La parole "mistero" deriva dalla radice indoeuropea "mu" che significa chiudere, serrare le labbra, tacere. Dalla stessa radice derivano anche muto, mistico. Ricordiamo anche la radice greca "muo" che ha il significato di cui sopra ed è alla base di tutti i vari misteri della grecità. Il mistero non è risolvibile perché noi stessi siamo il mistero. Il mistero non è un problema ma è pienezza.
Qual è la tua via?
Osservo le cose e le lascio andare. E quando tutte le cose sono lasciate andare, cosa resta? Resta la consapevolezza. E quando lasci andare anche la consapevolezza? Non lo so. Ecco, dove tu non sai, lì c'è l'Assoluto che è l'abisso dell'ignoto. C'è il mistero che non è un problema ma è pienezza. Noi stessi siamo il mistero che, quindi, non è risolvibile. Vivere sereni nel mistero.
Noi non sappiamo né cosa sia la nostra vita, né la nostra morte, né Dio, né noi stessi. (Pascal) L'enigma della vita appare irrisolvibile dal punto di vista della certezza scientifica: l'uomo non può conoscerla (la vita) nella sua essenza, ma deve limitarsi ad alcuni aspetti espressi dalle visioni del mondo. (Dilthey) "Ho bevuto il ciceone" diceva l'iniziato ai misteri Eleusini dichiarandosi così degno della visione suprema concessa da Demetra e cioè la percezione che la molteplicità, la frantumazione sono parte dell'unità divina. Un nuovo e impressionante concetto di realtà si è fatto strada ed è stato battezzato "paradigma olografico". Sebbene diversi scienziati lo abbiano accolto con scetticismo, ha entusiasmato molti altri. Un piccolo, ma crescente, gruppo di ricercatori è convinto si tratti del più accurato modello di realtà finora raggiunto dalla scienza. In un Universo in cui le menti individuali sono in effetti porzioni indivisibili di un ologramma e tutto è infinitamente interconnesso, i cosiddetti "stati alterati di coscienza" potrebbero semplicemente essere il passaggio ad un livello olografico più elevato. Se la mente è effettivamente parte di un continuum, di un labirinto collegato non solo ad ogni altra mente esistente o esistita, ma anche ad ogni atomo, organismo o zona nella vastità dello spazio, ed al tempo stesso, il fatto che essa sia capace di fare delle incursioni in questo labirinto e di farci sperimentare delle esperienze extracorporee, non sembra più così strano.
Che ne sarà di noi alla fine? Cosa ci succederà? … Anche le nuvole se lo chiedono, pensa cosa succede a loro e capirai! Magnifico! Magnifico! Nessuno conosce la parola finale.... Le cose non sono come sembrano … e il bello è che non sono nemmeno in un altro modo.
Ignoranza di te stesso. E poi ignoranza della vera natura delle cose, delle loro cause ed effetti. Ti guardi intorno senza capire, e scambi le apparenze per la realtà. Credi di conoscere il mondo e te stesso; ma è l'ignoranza che ti fa dire: so. Comincia con l'ammettere che non sai e parti di lì.
Ci sono due tipi di illusione: secondaria e primaria. L'ombra del corpo è un'illusione secondaria mentre il corpo stesso è un'illusione primaria.
Tutte le cose derivano dal fato si che il fato attribuisce loro una piena necessità: tale fu l'opinione di Democrito, Eraclito, Empedocle, Aristotele.
Non sappiamo ciò che siamo veramente né lo "sapremo" mai. E' concettualmente impossibile sapere ciò che siamo: non abbiamo che l'alternativa dell'abbandono della ricerca che, assieme all'abbandono del ricercatore, costituisce di per sé il trovare (trovare che significa che il cercatore è il cercato).
Ognuno vede a modo suo l'albero, la nuvola e il mare. Ognuno ha suoi alberi, le sue nuvole e il suo mare. Come sono veramente però nessuno lo saprà mai. Io vedo il mio albero, tu vedi il tuo albero ma ciò che l'albero è in se stesso noi non lo sappiamo né io e neppure tu.
Non puoi ottenerlo pensandoci. Non puoi ottenerlo non pensandoci.
Divorati dal tempo, attraversiamo lo spazio rincorrendo un fine. Come sarebbe bello saper sorridere senza tempo, senza spazio e senza un fine! Molti amici sono sicuri di conoscere la soluzione finale del gioco della vita. Non so se invidiarli o compiangerli... mi limito a sorridere.
Siamo il sogno di un'ombra. (Pindaro) Per Schopenhauer la vita è casualità e assenza di scopo. E' il soggetto che crea nessi fra i fenomeni e crea quindi la trama del mondo.
Creazione continua: per alcuni mistici medioevali islamici ogni singolo ente viene creato ex novo ogni istante! Se l'esistenza di ogni creatura si esaurisse con la disgregazione del suo corpo, se mancasse di ogni creatura un'anima che fosse resa partecipe, in qualche modo, dell'esistenza dell'Artefice del Cosmo, sia pure con modalità incomprensibili dalla nostra limitata mente, l'esistenza più o meno breve di ogni creatura quale senso potrebbe avere? Nessun senso... ma dovendo vivere, viviamo sereni e aperti agli altri... non è che per dare un senso alla nostra vita possiamo inventarci l'Artefice del Cosmo! La parte in ombra è la più importante perché li sta il segreto della vita.
La vita è tutto ciò che abbiamo ma è anche ciò che dobbiamo perdere.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo. (Pessoa)
Il senso finale delle cose non si trova ragionando ma quasi arrivando a "toccarlo" grazie a un'intuizione. (Massimo il Confessore) Come mulinelli di polvere sollevati dal vento che passa, gli esseri viventi girano su stessi, sospesi al grande soffio della vita. (Bergson) Il creatore dell'illusione è anch'esso illusione. Prendi l'essenza del fiore e sii felice, ma sappi che anche l'essenza non è vera. Sii senza forma e senza nome. Se qualcuno ti domanda: ''Come ti chiami?'' rispondi senz'altro, ma sii consapevole che non sei quello. Tutto è illusione ma, per capire l'illusione, è necessaria l'illusione. (Nisargadatta Maharaj) La storia umana è una tensione continua fra presunta razionalità diurna e il gioco senza schemi dell'inconscio.
L'assurdo è l'unico sbocco di una mente libera e intelligente! A ognuno il suo percorso....tanto siamo tutti come torrenti che alla fine arrivano al mare e poi evaporano in cielo! Nonostante i paroloni (logos, caos, cosmos, scienza, Dio) non riusciamo a capire/giustificare le grandi catastrofi! Meglio allora dire "non lo so, non capisco e ....ugualmente faccio quello che posso per dare aiuto, da piccola persona umana che ha un po' di cristiana empatia". Non conta tanto capire tutto (cosa impossibile) quanto darsi da fare per i più sfortunati.
Le azioni di colui che vive pienamente l'Assoluto in totale libertà interiore, manifesteranno esse stesse la mancanza di un'entità separata, per la completa spontaneità del suo agire. (Isabella di Soragna) È proprio l'ignoto, il silenzio vero che mi ha attirato da sempre. Le religioni e le filosofie le ho studiate per riconoscer poi che erano sotterfugi concettuali per non vivere l'Ignoto che siamo. Da ragazzina mi dicevo: "Non posso credere che Dio abbia creato tante complicazioni, tutto è Dio!" Poi scopri di "essere l'Ignoto o l'Inconcepibile (prima di qualunque concetto)" e allora non puoi avere paura: sei sempre a casa, qualunque cosa succeda. (Isabella di Soragna) Il vero senso della vita è che non esiste senso della vita. C'è … la Vita. Dato che lo spazio ed il tempo sono apparenti, non ci può essere un vero senso, che implica evoluzione, scopo. Tutto è come si presenta ora. Il miraggio dell'acqua nel deserto. (Isabella di Soragna) Gli altri sono solo lo specchio delle "nostre" percezioni. Vivendo solo per il nostro limitato corpo-mente a cui ci identifichiamo, ci allontaniamo dalla Realtà che tutto abbraccia, che ne siamo consapevoli o meno. Questo genera conflitti, guerre, come sempre. Non è possibile amare il prossimo se non si scopre che è solo il tuo specchio più o meno deformato. È possibile una trasformazione, ma solo un vero capovolgimento della coscienza, può cancellare il miraggio in cui siamo avvolti. (Isabella di Soragna) La madre è "ma-ya" = il ''pensiero'', la dimensione, il corpo e il mondo. Bisogna uscirne svegliandosi dato che è fatta di sogno, per ritrovare il Padre, l'Ignoto (che è la nostra origine invisibile) l'Assoluto inconcepibile. La Realtà è certezza "assoluta", ma non potremo mai oggettivarla. Anche nei dogmi dell'Immacolata Concezione il 'Padre' rimane ''ignoto'' ma la sua origine è divina mentre colei che ''procrea'' e genera, fa parte dell'illusione come il Figlio da lei generato che deve tornare al padre. Eppure la madre-maya è anche la porta d'ingresso verso il Reale sempre presente. Questo non in senso 'esoterico' ma attuale, da masticare nel quotidiano, iniziando dal risveglio dall'incantesimo (la bella addormentata nel bosco ecc.) e automaticamente il 'Padre' ci accoglie. Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto il sole. (Qoelet 1,9). Fonte di ispirazione per l'eterno ritorno di Nietzsche? L'immortalità temporale dell'anima, dunque l'eterno suo sopravvivere anche dopo la morte, non solo non è per nulla garantito, ma, a supporla, non si consegue affatto ciò che, supponendola si è sempre perseguito. Forse è sciolto un enigma perciò che io sopravviva in eterno? Non è forse questa vita eterna cosi enigmatica come la presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e nel tempo è fuori dallo spazio e dal tempo. (Wittgenstein) Attraversando il mistero della vita mi accorgo che il confine tra l'esistenza e la morte è sfumato, ciò che non esiste non vuol dire che non c'è, come ciò che esiste non vuol dire che c'è, sembra un'asserzione paradossale, tuttavia la realtà non è che una sovrapposizioni di stadi, noi ne viviamo solo una sua parte e crediamo che la nostra visione sia completa, così produciamo deduzioni prevedibili, indubbie, sicure. Io non ho formule, non ho nemmeno risposte ai problemi del mondo, che sono immensi, ho soltanto delle domande, non ho nemmeno certezze, ho dei dubbi da porre a chi crede di avere certezze e poi non le ha. (Terzani) "Chi o cosa sono veramente? Cos'ero prima di essere concepito?" Una volta iniziata questa ricerca, si è catapultati alla rovescia, sempre più all'interno, finché nella notte buia della mancanza di immagini e di concetti "qualcosa" di completamente imprevisto scardina tutto. Ci si rende conto che non si è caduti in nessun baratro, ci si ritrova solo solidamente ancorati -e di nuovo qui è un paradosso -a nessun punto di riferimento. Anche il senso di esistere si rivela falso, una stampella che non è mai esistita, eppure il senso di libertà è indicibile. Da nessuna parte quindi … dappertutto. E il corpo? E il mondo? E le galassie e i milioni di anni? Volatilizzati. Diventano inutili tutte le diverse pratiche, le meditazioni, le devozioni, servite solo a stabilizzare la folle mente ballerina che invano cercava di rimanere in sella, creando ansie e gioie, drammi e successi per distrarre dalla ricerca che avrebbe provato la sua inesistenza. I pochi che scoprono che il più grande inganno è la "creazione mentale" della coscienza, il pensiero "esisto", il primo ologramma che contiene potenzialmente tutta l'ipnosi spazio-temporale, la rifiutano e entrando nel fondo di se stessi, scoprono la frode. Dopo questa rivelazione, poco a poco crolla anche tutta la costruzione del corpo e del mondo come se lo sono costruito, fondato su questo inganno iniziale. (Isabella di Soragna) Si tratta di vedere, senza ombra di dubbio, che c'è un "io" (inventato ma imperante) che si erge a giudice e soprattutto che è il pensiero su un determinato evento, la definizione di un'emozione o di un malessere. A questo punto anche "gli altri" chi sono? Esistono veramente o sono solo figuranti che ci creiamo nel film? Anch'essi fanno parte delle etichette elaborate dal sistema nervoso e cementate dal meccanismo della memoria. Se togli i pensieri, ossia non dai loro importanza, l'aria e l'io-sono che sono gemelli, non creeranno più la separazione: è solo quella che ci fa soffrire. Anche se hai un dolore fisico, è l'interpretazione o il "voglio o non voglio" che genera sofferenza. Anche il pensiero "morte" non farà più paura perché si tratta in definitiva solo di un pensiero o immaginazione e del terrore di abbandonare l'io-sono. Il corpo è indifferente al fatto che uno sia vivo o morto. E' il nostro attaccamento che crea la sofferenza, non la cosa in sé. Non cambia mai nulla. Non succede, non è mai successo e non succederà mai nulla, solo apparizioni inconsistenti. Vederlo con certezza significa già esserne fuori. (Isabella di Soragna) L'antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: 'Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto.' (Nietzsche)
Figure 1
Table
Io allora ho proclamato i morti ormai trapassati più beati dei vivi ancora in vita e più beato di entrambi chi non esiste ancora e non ha ancora visto il male perpetrato sotto il sole. (Qoelet 4,2-3)
L'uomo deve vivere, agire, lottare e morire basandosi solo su congetture.
La mancanza di una risposta definitiva al mistero della vita e dell'universo ha un'origine epistemologica od ontologica? Deriva dai limiti impliciti nella conoscenza umana oppure dal fatto che l'universo e la vita sono, essi stessi, un grande punto interrogativo e quindi una questione ancora aperta? L'uomo è il solo animale che ride e piange perché è il solo animale che collide con la differenza tra come le cose sono e come dovrebbero essere. In ognuno di noi c'è un altro che non conosciamo: il perturbante?
Un uomo che ride ha un aspetto intelligente (molto più intelligente di uno che spiega le sue profonde convinzioni!). Egli emerge, anche se per breve tempo, dall'oceano del timore, della paura, dell'egoismo in cui il destino l'ha gettato e in cui viene abitualmente trattenuto dalla verità.
Viviamo in un mare aperto, sotto l'incalzare dell'onda continua, senza un punto fermo e uno strumento che misuri il peso e la distanza della cose. Nulla sembra più stare al suo posto, molto sembra non avere più un suo posto. Non vediamo la direzione di marcia e di conseguenza solchiamo, in ordine sparso, un territorio sconosciuto senza alcun punto di riferimento certo. (Bauman) L'equivoco è essenziale all'esistenza umana, e tutto ciò che noi viviamo o pensiamo ha sempre più di un senso.
Se cerchi di sbarazzarti di un'emozione, di una sofferenza, di un sentimento d'inferiorità, devi vedere con la più grande chiarezza che non sono mai esistite! Come liberarti di qualcosa che non è mai esistito? Passi anni a cercare di migliorarti quando non c'è nulla da migliorare? Come migliorare un nulla?
Nulla cui aggrapparsi. Solo se lasci tutto, tutto, dietro di te, anche queste parole, ci sei.
Allora dove siamo? Da nessuna parte. Non sapendo assolutamente nulla. Hai passato anni per riuscire a diventare qualcuno, per raggiungere uno scopo: tutto questo è inutile.
Non hai nulla, non sei nulla, ma sappi che non vi è nemmeno il nulla! Allora dove siamo? Esattamente dove sei ora qui. Da nessuna parte.
Qualunque cosa tu faccia in realtà non fai niente. Sei sempre stato dove era necessario. Se rifletti su questo sei totalmente libero. Se non sei da nessuna parte, se non ti aggrappi più a nessuna credenza, a nessun punto di riferimento o concetto vi è … SILENZIO. Allora i pensieri si arrestano ed il silenzio sopraggiunge da sé. Il pensatore è totalmente distrutto.
"Aldilà dell'aldilà di ciò che esiste o non esiste, aldilà di ciò che appare o non appare: SEI TOTALEMENTE LIBERO"… anzi al di qua, anche PRIMA della LIBERTÀ …. POI … TOGLI IL "PRIMA". FELICITÀ SUPREMA INCOMUNICABILE, INCONDIZIONATA, ETERNA.
Se realizzi, senza ombra di dubbio, che ciò che appare come solido e duraturo nel tempo (corpo, mondo) è invece solo un'apparenza che può svanire da un momento all'altro, non manca più nulla, qualunque cosa accada a questo apparire.
Non siamo mai stati "concepiti", non vi è mai stato un inizio: ciò che ci hanno detto che è stato concepito, è il gioco di un ologramma, come l'acqua nel miraggio del deserto che svanisce al momento in cui ci avviciniamo abbastanza. (Isabella di Soragna)
-MISTICISMO*
Il misticismo occidentale vede questo mondo come un ostacolo al raggiungimento del vero mondo che può essere dato solo dall'unione con Dio. Invece per il misticismo orientale taoista questo mondo è l'unico che ci è dato e, seguire il Tao, significa soltanto ricercare i modi migliori per poterci vivere bene. Santità occidentale e saggezza orientale.
Esiste, da sempre, un conflitto, aperto o larvato, del misticismo con la religione istituita. I più sottili tra i religiosi hanno sempre sospettato di questa esperienza personale che salta con facilità il cammino della fede comune, che alla fine incontra il nulla piuttosto che un Dio personale, e quindi è più vicina al nichilismo di una ragione atea che al mistero della vera religione. Profondità vere o profondità demoniache? In fondo, con questi sospetti, si tende a espellere il mistico dalla religione.
[…] Il mistico eccede ogni religione -e perciò il religioso, nel suo fondo, rifiuta il mistico. (Fachinelli) E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? Evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano e sequestrano questi tipi di esperienze. (Fachinelli) "Nella mistica l'anima vede se stessa, vede se stessa in Dio e vede Dio in se stessa". Questo scrive Foucault intendendo significare che la mistica sfugge, in tal modo, alla struttura degli insegnamenti religiosi e dei conseguenti dogmi.
Nell'estasi mistica l'Assoluto, il Brahman incorpora in sé la parte, l'Atman rendendolo insignificante.
Dante, nel suo percorso iniziatico, nel suo viaggio sciamanico, nella sua esperienza estatica, si sente pari a Paolo che viene rapito in paradiso, entrambi quasi pari a Gesù Cristo corporeo risorto. E dice: " … se io m'intuassi come tu t'inmii …". Io divento te e tu diventi me. Cadono gli umani confini. Oltre ogni distinzione egoica.
-MONDO * L'incertezza è strutturale nel cuore del mondo. Questo è uno dei principi della nuova fisica: principio di incertezza o di indeterminazione di Heisenberg.
Il mondo degli oggetti apparenti, il mondo come ci appare, è solo una rappresentazione ma non esaurisce tutta la realtà, è solo 'una' costruzione della mente in cui restiamo intrappolati così che poi siamo incapaci di uscirne per vedere le cose in un altro modo e, quando ci accade di avere dei flash diversi di percezione, li scartiamo o rimuoviamo perché non sono inseribili nell'ordine noto. Ma il mondo che percepiamo è illusorio proprio perché è artificiale. (Don Juan di Carlos Castaneda)
Il mondo è soltanto una realtà fenomenica dipendente dal soggetto che la pone. (Martinetti)
Il mondo non è un oggetto ma un'idea. (Kant)
Nietzsche dice che il mondo è interpretabile in modi diversi e non ha dietro di sé un solo senso ma innumerevoli sensi prospettici.
Nietzsche è dell'idea che il nostro rapporto conoscitivo con il mondo esterno vada definito nei termini di una falsificazione e semplificazione, in quanto risulta mediato dall'apparato sensoriale e dall'intelletto, la cui attività ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la conservazione della specie umana. (Gori) Come se restasse ancora un mondo, una volta toltone l'elemento prospettico! (Nietzsche) Il mondo non è così e così: e gli esseri viventi lo vedono come esso appare loro. Piuttosto, il mondo è costituito da tali esseri vivente, e per ciascuno di essi esiste un piccolo angolo, partendo da quel che esso misura, si accorge di qualcosa, vede e non vede. L'essere manca. Ciò che "diviene", "fenomenale", è l'unica specie di essere.
Il mondo è divenuto per noi ancora una volta infinito in quanto non possiamo sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé infinite interpretazioni.
Chi è nato prima: tu o il mondo? Finché assegni al mondo il primato, ne sei schiavo. Quando capisci che il mondo è in te sei libero. (Nisargadatta Maharaj) Creatore e creato sono la stessa cosa?
Per capire e descrivere il mondo non ci si può sempre servire del linguaggio concettuale. Plotino dice che è un mondo che bisogna comprendere tramite il silenzio.
Il mondo per te esiste solo se c'è la tua coscienza. Se non sei conscio, come nel sonno profondo, non esiste alcun mondo per te. Dunque il mondo è la tua coscienza.
Bisogna saper contemplare il mondo come vacuità. In tal modo si evita la paura della morte.
Il mondo perirà non per mancanza di meraviglie ma per mancanza di meraviglia. (rielaborazione di Chesterton) «Mondo come vacuità», dunque, viene ora a significare: mondo strutturato da elementi interdipendenti, dove l'interdipendenza è consentita e garantita dal fatto che gli elementi sono privi di consistenza autonoma, e in tal senso sono vuoti. Tuttavia «mondo come vacuità» non presenta solo l'accezione per così dire «spaziale» che segnala una costitutiva assenza di limiti chiusi (anatta), ma presenta anche un'accezione «temporale» che connota una costitutiva assenza di continuità, un vuoto di permanenza, in una parola: impermanenza (anicca).
Non separate voi stessi dal mondo e non cercate di ordinarlo dal di fuori visto che voi ne fate parte. Ma attenzione: il mondo non è una pura illusione della mente nel senso che non esiste. No, il mondo esiste ma senza le divisioni che noi percepiamo.
Il percettore del mondo è prima del mondo, o sorge con esso? Io sono nel mondo o il mondo è in me? Quando ti convinci che il mondo è una tua proiezione, ne sei libero. (Nisargadatta Maharaj) Il mondo è reale ma la nostra visione non lo è. Bisogna cercare di conoscere l'Immutabile. Vai all'origine di tutto ciò che è. E tutte le domande troveranno risposta. (Nisargadatta Maharaj) Non c'era niente prima che il mondo nascesse. E non c'è niente neppure adesso. La mente, istintivamente e inconsapevolmente, però pensa e pensando crea: mondi, idee, cause, effetti e amori … che belli gli amori … ! Non possiamo sapere come sia realmente il mondo. Non siamo in grado di accedere alle cose in sé. (Avanzini) … e potremmo aggiungere che solo i più stolti pensano di aver capito cos'è il mondo e come stanno veramente le cose.
Tanti osservatori, tante diverse percezioni del mondo. (Avanzini) I fisici credono a modo loro in un "mondo vero": sistematizzano gli atomi in maniera fissa, uguale per tutti gli esseri, secondo movimenti necessari. […] Ma i fisici sbagliano.
[…] hanno escluso qualcosa dalla costellazione, senza saperlo: precisamente il necessario prospettivismo grazie al quale ogni centro di forza -e non soltanto l'uomo -costruisce partendo da sé tutto il resto del mondo. (Nietzsche) Il mondo che si estende nello spazio-tempo è solo la nostra rappresentazione.
La materia, il corpo e il mondo sono solo prodotti sensoriali, aiutati dal cervello e sistema nervoso ed è attraverso questi che oggettiviamo, considerando il mondo come "fuori" di noi, cosa che in realtà è all'interno di noi (veramente né interno né esterno, solamente là nella coscienza collettiva). Sri Aurobindo dice che l'apparenza della stabilità del mondo proviene dalla ripetizione costante delle stesse vibrazioni.
Il mondo come grandezza indipendente è una semplice astrazione. L'oggetto sussiste soltanto in relazione al soggetto, come correlato di questo. (Dilthey) La struttura gerarchica della natura si compone di un insieme di scalini in un'architettura che comincia dalla materia, procede con i minerali e le piante, si innalza con gli animali, trova la sua figura mediana nell'uomo e si conclude con una moltitudine di intelligenze superiori (costellazioni, demoni, burocrazie angeliche). Il punto più alto della catena è, a seconda delle interpretazioni, il Bene (Platone), il Motore Immobile (Aristotele), l'Uno (Plotino) e Dio (nella scolastica medievale). La catena dell'Essere pone delle dicotomie irrisolvibili nella definizione della natura. Essa è continua o discontinua? Le sue divisioni sono reali o concettuali? Il principio che la regge è trascendente o immanente? È infinita o finita?
Quello che possiamo vedere non è altro che una piccolissima frazione di quello che ci offre il mondo naturale.
La regolarità delle leggi di natura, che ci meraviglia tanto, è data quindi dallʼelemento matematico che noi introduciamo in esse, il quale deriva dalla presenza delle forme dello spazio e del tempo nell'uomo: "ogni conformità a leggi, la quale ci fa talmente impressione nel corso degli astri e nei processi chimici, coincide in fondo con quelle proprietà che noi stessi introduciamo nelle cose, cosicché siamo noi che facciamo impressione a noi stessi.
Il teorema di non località di John Bell del 1964 prova logicamente l'insostenibilità del realismo ingenuo cioè dell'immagine del mondo come un insieme di oggetti distinti, concreti e indipendenti: il mondo subatomico non è costituito da oggetti distinti, concreti e indipendenti! Bisogna accettare una visione olistica del mondo, in cui tutto ciò che ha interagito nel passato continua a rimanere misteriosamente connesso.
Lo stesso sistema di mondi è stato insegnato dal Tathagata come non essere un sistema di mondi; perciò è [soltanto] denominato un 'sistema di mondi. (Sutra del Diamante)
Il mondo è una semplificazione della complessità della realtà perché senza semplificazione non ci sarebbe l'astrazione e, di conseguenza, il pensiero.
A noi il mondo appare come un insieme di cose mentre per i greci antichi e per i fisici moderni esso è un insieme di eventi.
L'aspetto più sbalorditivo del modello cerebrale olografico di Pribram è ciò che risulta unendolo alla teoria di Bohm. Se la concretezza del mondo non è altro che una realtà secondaria e ciò che esiste non è altro che un turbine olografico di frequenze e se persino il cervello è solo un ologramma che seleziona alcune di queste frequenze trasformandole in percezioni sensoriali, cosa resta della realtà oggettiva? In parole povere: non esiste. Come sostenuto dalle religioni e dalle filosofie orientali, il mondo materiale è una illusione. Noi stessi pensiamo di essere entità fisiche che si muovono in un mondo fisico, ma tutto questo è pura illusione. In realtà siamo una sorta di "ricevitori" che galleggiano in un caleidoscopico mare di frequenze e ciò che ne estraiamo lo trasformiamo magicamente in realtà fisica: uno dei miliardi di "mondi" esistenti nel super-ologramma.
Il mondo, liberato dalle catene della ratio socratica (come pensa Nietzsche), diviene il luogo della danza di molti dei, cioè di molti significati unificanti. Nietzsche riduce il mondo a infinite interpretazioni.
Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa né più grande né più piccola, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità è un grandezza invariabile […] circondata dal "nulla" come dal suo limite; non svanisce né si sperpera, non è infinitamente esteso, ma inserito come un'energia determinata in uno spazio determinato, e non in uno spazio che in qualche punto sia "vuoto", ma che è dappertutto pieno di forze, un gioco di forze, di onde di energia che è insieme uno e molteplice Noi ci diamo diverse ragioni del mondo ma non la vera ragione che nessuno conosce.
Il mondo è solo un pensiero ma ci appare reale perché ci attacchiamo a questo pensiero.
Il mondo ruota intorno agli inventori di nuovi valori. Ma il popolo e la fama ruota intorno ai commedianti: così va il mondo. (Nietzsche) "Il mondo è solo opinione illusoria". (Parmenide) "Il mondo è maya" dice l'antico Pensiero Orientale: E' Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi che esista, né che non esista. Ma attenzione: anche l'illusione è, esiste! Quindi oltre all'essere anche l'illusione è … Il mondo appare illusoriamente ma il mondo non è negato … Come uscirne? La verità è in contrasto con se stessa? La verità non esiste?
Questo mondo è fluttuante … quasi irreale. (Bankei)
Il mondo è una mia rappresentazione. (Shopenhauer)
La sensazione di separazione è illusione creata dai sensi. Noi "pensiamo" che il mondo sia come i nostri sensi lo percepiscono, ma questo è di fatto una grossa illusione che sembra reale solo alla nostra mente. Il mondo, forse, è una allucinazione collettiva.
Ciò che percepiamo non è ciò che esiste (se esiste) ma solo ciò che percepiamo! Questo mondo non è il vero mondo, questa vita non è la vera vita … noi ci limitiamo a pensare di viverla anche perché qui, ora non sta succedendo proprio nulla … e allora, quando non hai più nulla, buttalo via! Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni e lo chiamiamo mondo. (Pirsig) No al Kosmotheoros! Non esiste un essere che giudica il mondo dall'esterno senza esserne parte. Non il soggetto puro e separato che studia o opera su un oggetto distaccato. Il soggetto si forma e si trasforma.
Sperimentiamo continuamente la fragilità del nostro esserci: per continuare a vivere dobbiamo costruire un mondo in cui realizzare le nostre possibilità, ma qualsiasi artefatto umano ha una consistenza fragile, poiché è esposto anch'esso alle forze del mondo. Non solo gli artefatti materiali, ma anche quelli spirituali.
Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer: il mondo è una mia rappresentazione e si basa sulla mia volontà (volontà negata dal pensiero dell'oriente che parla di mero osservare).
Noi amiamo l'illusione del mondo.
Del mondo si può dire che appare ma non che è.
Non considerare il mondo come qualche cosa di separato da te.
Il mondo non è oggettivo ma soggettivo.
Non siamo schiavi né del mondo né del diavolo, siamo schiavi di noi stessi! Il mondo che percepisci lo hai creato tu e non Dio.
Non può esservi nulla di perfetto e definitivo nella conoscenza del mondo. (Cusano) Il mondo, quale è noto a noi, è una realtà costruita socialmente.
Esiste il mondo? Noi tentiamo di descriverlo usando vari linguaggi: poetico, scientifico e altri. Si pone però un problema; ciò che noi diciamo del mondo corrisponde al mondo?
L'uomo e il mondo sono fatti della stessa carne, segnano una continuità dove il soggetto è contemporaneamente oggetto, senziente e sentito, toccante e toccato. (Merleau-Ponty) Il rapporto tra la visibilità del mondo e questa dimensione invisibile (fatta di relazioni, forze energetiche, movimenti intensivi) viene definito "chiasma", intendendo la reciproca necessità e complementarietà, ma soprattutto l'impossibilità di districare una delle due dimensioni dall'altra. Respirare il mondo, magari talvolta sentire perfino che è il mondo a respirare noi.
L'uomo si è dato delle rappresentazioni del mondo esterno utili per sopravvivere fisicamente e psichicamente ma ora egli è prigioniero della sua costruzione anche se intuisce che fuori da questo schema c'è la libertà. (Watts) L'uomo appare come un derivato dal mondo, ma intrinsecamente è l'origine del mondo. Senza l'uomo non c'è mondo … Il mondo acquista significato solo attraverso l'io, l'io acquista significato solo attraverso il mondo. L'avvolto che avvolge! Mi piace un mondo che contenga tutti i mondi possibili. Un mondo di infinite potenzialità, tutte ugualmente realizzabili. L'uomo è e non è ... il mondo è realtà e immaginazione.... "Noi vediamo il mondo così com'è semplicemente perché è fatto così" (pensiero forte: fatti, realismo, positivismo). "La mente crea il mondo" (pensiero debole: interpretazioni, idealismo).
Tutto cambia costantemente! Ma in questo mondo di fantasmi, di ombre c'è che si crede "vivente". Il mondo, i nomi e le forme, li abbiamo imparati e poi li abbiamo creduti come fossero veri. Crediamo di analizzare un fenomeno, in realtà esaminiamo, perfino con strumenti costosissimi … i nostri pensieri.
C'era una volta un mondo ove molta gente moriva di fame e di sete mentre altra gente moriva per aver mangiato e bevuto troppo! Ci sono mondi veramente strani in giro per l'universo! Non separate voi stessi dal mondo...e non cercate di ordinarlo! Sbagliando siamo portati a credere che il mondo esista indipendentemente dalla nostra esperienza e presenza... e invece l'osservatore è determinante! Però non sappiamo che cosa sia l'osservatore! E se osservato (il mondo) e osservatore (l'uomo) non fossero due ma UNO?
Il mondo è complesso, molto complesso! Lo è dal punto di vista fisico, etico, filosofico, politico e religioso. Però molti dividono il mondo in due: dalla nostra parte il bene... dall'altra parte il male. Così nasce l'odio! Se invece tutti dubitassero (visto la complessità!) forse il mondo sarebbe un po' migliore, forse...
Qual'è il filo mediante il quale questo mondo e l'altro mondo e tutti i mondi e tutti gli esseri viventi sono l'un l'altro collegati? (Upanishad)
Il mondo è energia: gioco di energia fra l'uno e il molteplice, fra l'essere e il divenire, fra il caso e la necessità.
Casualità o Causalità? Il mondo quantistico è oggettivamente casuale! Il mondo macroscopico è invece pensato come causale.... Contraddizione tipica di tutte le realtà profonde ... molto profonde! Stephen Hawking: la razza umana non è che un'impurità chimica confinata su un pianeta di dimensioni modeste, orbitante in un sistema solare del tutto ordinario, situato all'estrema periferia di una galassia come tante fra cento miliardi.
La razionalità è limitata perché pretende di classificare il mondo secondo le sole categorie dello spazio, del tempo e della causa. Pensa così di catturarlo e di conoscerlo. E se invece il mondo fosse fruibile anche mediante l'intuizione?
Il problema di comprendere il mondo, inclusi noi stessi e la nostra conoscenza in quanto parte del mondo.
Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, noi cosa siamo? (Rovelli)
L'energia (Ener.Dia) è la sostanza e l'essenza del mondo. Questa frase mi sembrava bellissima... Poi mi sono chiesto: cosa è l'energia, cosa è la sostanza, cosa è l'essenza, cosa è il mondo? Non ho saputo rispondere.
Il mondo, forse, non va pensato come un insieme amorfo di atomi ma come un gioco di specchi basato sulle correlazioni fra le strutture formate dalle combinazioni di questi atomi. Vi ricordate il mito di Indra ove ogni goccia di rugiada si specchia in ogni altra goccia di rugiada? Nessun fenomeno è solo se stesso ma è il riflesso di ogni altro fenomeno.
Il mondo è assolutamente perfetto inclusa la nostra insoddisfazione per com'è e incluso anche tutto ciò che stiamo tentando di fare per cambiarlo.
Il mondo è in te (idealismo puro di Nisargadatta!) e non sei tu nel mondo. Il tuo corpo personale è una parte in cui il tutto si riflette a meraviglia. Tu sei l'oceano di coscienza in cui tutto avviene.
Una volta che tu abbia compreso che tutto viene da dentro, che il mondo in cui vivi non è stato proiettato su di te ma da te, le tue paure cessano. Senza questa comprensione, continuerai a identificarti con cose esterne: il corpo, la mente, la società, la nazione, l'umanità, Dio perfino, o l'Assoluto; ma sono tutte fughe dalla paura. Solo quando avrai accettato di essere il responsabile del piccolo mondo in cui vivi, e osserverai il processo della sua creazione, conservazione e distruzione, sarai libero dalla tua schiavitù immaginaria.
Un tempo pensavamo che il mondo esistesse "la fuori" indipendentemente da noi osservatori che guardavamo senza venir coinvolti. Ma non è così che va il mondo visto che noi ne siamo del mondo. Io e il mondo, noi e il mondo non siamo divisi, non siamo due. Dentro e fuori è tutta una cosa sola. Il mondo, l'universo è venuto all'essere perché ci sono degli osservatori. Il nostro universo è partecipativo.
Il mondo non è che uno spettacolo, scintillante e vuoto. È, eppure non è. Finché voglio vederlo e prendervi parte, è lì. Quando cesso di occuparmene, si dissolve. Non ha causa, è senza scopo. Quando con la mente siamo presenti, non fa che accadere. Il suo aspetto è esattamente come appare, ma non ha profondità né significato. Reale è solo l'osservatore, Atman o Sé, che dir si voglia. Per il sé il mondo è uno spettacolo colorato, di cui gode finché dura, e che dimentica quando è finito. Qualunque cosa accada sul palcoscenico, potrà farlo tremare di terrore o scuoterlo dalle risate; tuttavia è sempre consapevole che è uno spettacolo. Senza desiderio o paura, lo gusta via via che accade.
Il mondo viene dal nulla e ci ritorna.
-MORALE*
Al buddhismo non interessa tanto la teoria o le coincidenze teoriche o teologiche o religiose. Gli interessa quello che con una parola orrenda i nostri studiosi della religione hanno definito l'ortoprassi, cioè la prassi giusta. Per semplificare: a loro non interessa che tu sia cristiano, buddhista, taoista o islamico o cose del genere. Basta che tu ti comporti bene. Basta che tu viva al meglio la relazione, anzi tutte le relazioni possibili.
Manca una definizione riconosciuta di ciò che è giusta e di ciò che è ingiusto. L'intera storia dell'umanità è una lotta per affermare concezioni della giustizia diverse e perfino antitetiche, "vere" solo per coloro che la professano. (Zagrebelsky)
Si può pensare che 'bene' e 'male' potrebbero essere definiti come il rispetto e la negazione della relazione.
Scrive Pasqualotto: "Tanto più profondo è il sapere, tanto più profonda diventa la compassione (karuna) verso tutti gli esseri. Infatti se ci si rende conto che il proprio io e quello degli altri esseri viventi non sono, come ritiene il senso comune, atomi isolati o punti irrelati, ma campi di forze interagenti o incroci di linee, allora si può anche comprendere che tutto quello che accade a un ente, animato o inanimato, condiziona tutti gli altri enti, e viceversa. In questa prospettiva parlare di egoismo e di altruismo non ha allora più senso, per il semplice motivo che non sussiste più né l'idea di ego né quella di altro: l'etica non consiste più in una serie di precetti o di norme che predicano o impongono a ciascun ego il dovere di una relazione amorosa con altri ego; ma consiste nella pratica dei modi di interrelazione, di inter-essere, evidenziati dal conoscere la qualità insostanziale (anatta) e impermanente (anicca) di ogni ego". Ciascuno non è solo in relazione con altri ma è costituito da altri. Bisogna sostituire l'etica ego-logica con quella eco-logica, quella atomistica con quella sistemica, quella sostanzialistica con quella funzionalistica. Sym-patheia! Einstein diceva che l'egoismo è una illusione ottica della coscienza. Ogni azione viene accompagnata, a seconda che sia ritenuta buona o cattiva, dalla nozione di merito e demerito: chi fa una buona azione è motivato dalla speranza di un riconoscimento positivo che può derivare da un'autorità divina, da un'istituzione politica, da un consenso sociale o anche dalla propria coscienza morale; chi fa un'azione cattiva ha un interesse personale il cui soddisfacimento è chiamato "merito" da chi la esegue e "demerito" da chi la subisce. In ogni caso si ha un prevalere di un proprio interesse, di un interesse privato fondato sull'accrescimento della potenza dell'io. Cosa accade, invece, se questo interesse non c'è, è minimo? Cosa avviene quando il senso dell'io è atrofizzato o addirittura assente? Accade che l'azione risulta del tutto disinteressata e, in quanto tale, si pone aldilà del livello in cui può essere qualificata come "buona" o "cattiva": non può essere qualificata come "buona" perché essa è indifferente all'interesse del riconoscimento; non può essere qualificata come "cattiva", dato che è indifferente all'interesse privato che muove ogni azione detta "cattiva". Il livello a cui si pone questo tipo di azione disinteressata fondata sull'assenza dell'io è talmente alto che non ha più bisogno del concetto di responsabilità. Questo concetto è ancora necessario ad una serie di individui che si credono autonomi e, per convivere, hanno bisogno di un'autorità morale, civile o religiosa alla quale rispondere delle loro "azioni", sperando di ottenere meriti, ricompense o assoluzioni, ovvero temendo di ricevere demeriti, pene o castighi. Ma non è più necessario quando non c'è più un io che spera o teme perché ha capito che ogni azione è il risultato di un'infinita rete di cause e che produce un'infinita rete di effetti.
La regola d'oro!
Bisogna, forse, entrare nella logica di un'etica della solidarietà e della responsabilità che sola è capace di servire tutto l'uomo in ogni uomo. (Forte) Nietzsche dice che la moralità è l'istinto del gregge nel singolo mentre l'immorale è ciò che pericoloso per la sussistenza della comunità, del gregge stesso. Questa morale del gregge si affanna ad affermarsi come unica possibile. Comunque, sia la morale che la coscienza hanno lo scopo di tener salda la compagine sociale.
Il carattere generale dell'etica buddhista è dato dal fatto che essa non si limita a prescrivere una serie di norme morali da seguire, ma implica un mutamento di prospettiva nella conoscenza della realtà (gnoseologia). Questo "implica" non significa che prima bisogna trasformare i modi della nostra conoscenza, ma che i vari passaggi di tale trasformazione si accompagnano a mutamenti dei motivi e dei modi del comportamento etico. A questo proposito il Buddhismo Mahayana ha offerto un'immagine assai efficace: conoscenza (panna) e compassione (karuna) stanno insieme come la campana e il suo batacchio. Complementarità tra conoscenza e compassione, fra gnoseologia (ogni cosa evento è anatta) ed etica (compassione verso ogni essere perché ogni essere è interconnesso con tutti gli altri).
Per i taoisti classici, l'assenza dell'intenzionalità morale e dell'idea generale di bontà è nel contempo condizione necessaria e garanzia ottimale della qualità morale dell'azione, perché preserva da ogni sudditanza a norme obbliganti, ma anche da ogni ambizione a premi e a meriti. viene negata l'eccellenza di un'azione che vuole spirarsi ad una norma di eccellenza.
Anche per il buddhismo [come per Freud] non si tratta di negare il piacere: il buddhismo non consiglia di rifiutare le esperienze piacevoli, ma soltanto di rinunciare all'attaccamento ad esse come fonte di soddisfazione ultima.
I dolori e le gioie altrui possano essere vissuti come propri, ma senza sforzo, ossia senza dover obbedire a qualche comandamento religiosamente fondato o a qualche imperativo categorico razionalmente fondato.
Proteggendo se stessi si proteggono gli altri; proteggendo gli altri si protegge se stessi. Questo dice il Buddhismo che propugna una vita sociale e non prettamente individuale sempre comunque ricordando che sia l'io che gli altri sono ANATTA. Ciascun ente, compreso l'essere umano, è composto solo da relazioni! Ciascuno risulta essere qualcuno solo perché è in rapporto con qualcun altro, ossia in quanto luogo di raccolta, di arrivo e di partenza di molteplici funzioni e relazioni. In tal senso, all'idea di " individuo" , corrispondente all'immagine di un punto isolato, si dovrebbe sostituire quella più realistica di una rete di interconnessioni.
Secondo il Buddhismo serve distacco anche dalle regole e dai riti. Ciò significa che le regole non devono diventare un qualcosa a cui attaccarsi, non devono divenire un fine in se ma semplicemente un mezzo. Dare forme morali alla vita è necessario ma aggrapparsi ad esse diventa puro formalismo.
La morale è innaturale ... infatti se fosse naturale non ci sarebbe bisogno di imporla tramite il verbo DEVI. Kant afferma: devi quindi puoi e,quindi, siamo già nell'etica del dovere! La morale è un prodotto della società.
Diffidate di tutti coloro nei quali è forte l'istinto di punire! E' gente di qualità e origine scadente; dai loro volti occhieggia il carnefice. (Nietzsche) Oggettivo dovrebbe essere l'atteggiamento che ispira la modalità meditativa relativa agli stati mentali: le passioni, sia quelle positive come l'amore, sia quelle negative come l'odio, andrebbero osservate ed esaminate come se fossero fenomeni di laboratorio, e non come se fossero nostre creature di cui ci dobbiamo vantare o vergognare.
Ogni desiderio è radicato nella falsa credenza della sostanzialità del soggetto e degli oggetti di cui fa esperienza: in parole povere, ogni desiderio si rivela radicato nell'ignoranza (avijja). Infatti credere di possedere un io unitario e permanente che si rivolge a oggetti dotati di sostanzialità e permanenza alimenta ogni desiderio e incrementa ogni attaccamento: dissolvere questa illusione significa togliere la radice principale della sofferenza, esaurire il "combustibile" che provoca il dolore.
Visto che non è poi così certa la possibilità di sostenere l'esistenza di un "io autonomo", e dato che esso è, forse, il prodotto provvisorio e convenzionale di processi multipli, l'azione che "egli " produce non può mai essere propriamente detta "sua", ma assume un carattere collettivo. Se l'io è, costitutivamente, un essere plurale, anche le sue azioni saranno determinate da una pluralità di fattori che trascendono i limiti della pura soggettività isolata. In tal modo, nel caso esemplare di un'azione delittuosa, a esserne responsabile non è solo il delinquente, ma una quantità innumerevole -benché non determinabile dal diritto -di condizioni ambientali e sociali: ambiente e società risultano indirettamente responsabili dell'azione delittuosa compiuta da un soggetto, anche se costui è l'unico destinatario della pena, data l'ovvia impossibilità pratica di comminarla all'ambiente e alla società. Pertanto, volendo estirpare le radici che hanno determinato il prodursi di un'azione delittuosa, non è sufficiente punire il delinquente, ma è necessario che essa stessa modifichi quegli aspetti della sua struttura e del suo funzionamento che hanno reso possibile l'insorgere del delinquente: la società dovrebbe ritenersi responsabile dell'esistenza del delinquente e, quindi, corresponsabile dell'azione delittuosa. Se tale prospettiva venisse fatta valere su scala planetaria e a livello generale, sia per quanto riguarda i rapporti tra Stati e civiltà, sia per quanto riguarda le relazioni tra civiltà e ambiente naturale, è evidente che potrebbe avere notevoli conseguenze sul piano etico, politico, sociale e persino su quello "ecologico". Nietzsche dice che la virtù non è da ricompensare con un premio e neppure essa stessa è premio a se stessa.
La vendetta ama chiamare se stessa giusta punizione.
Voi non siete grandi abbastanza per non conoscere odio e invidia. (Nietzsche)
La moralità non ci rende felici ma ci rende, forse, degni di essere felici … Ciò che è bene per me non è detto che sia bene anche per l'altro. Anche il bene è prospettico?
Neminem laede, imo omnes, quantum potes, juva. (Schopenhauer) CATTIVERIA: male altrui. EGOISMO: bene proprio. COMPASSIONE: bene altrui. (Schopenhauer) Per Kant il movente dell'agire morale si fonda sulla ragion pura pratica e non sulle passioni mentre per Hume vale il discorso contrario: la ragione è (e deve essere) schiava delle passioni.
Hobbes afferma che i termini buono e cattivo sono sempre usati in relazione alla persona che li usa dato che non c'è nulla che sia bene o male in assoluto (visto che ciò che è l'assoluto è anche inconoscibile).
Per Spinoza la virtù è agire, vivere, conservare il proprio essere (proprio di chi?) guidati dalla ragione e non dalle passioni.
Spinoza dice che una medesima azione può essere buona per una persona, cattiva per un'altra e indifferente per una terza.
Si è portati a pensare che se le cose vanno male una ragione ci deve pur essere: ed ecco la superstizione, gli dei, la legge morale, il determinismo … Amati e amali. Sii felice e rendi felici.
La vera virtù non è qualcosa imposto dall'esterno ma è la propria natura che si realizza (entelechia direbbe Aristotele).
Il mondo non è necessariamente giusto: l'essere buoni spesso non viene ricompensato, nondimeno cerca di fare del tuo meglio.
Il bene e il male sono relativi al tempo e alle circostanze che li giudicano.
Nessuno nasce solo per se stesso.
Impara a gioire e disimpara a fare male agli altri.
Arrabbiarsi con gli altri equivale ad aggredirli con un tizzone ardente fra le mani: come minimo ci si scotta! Perché si uccidono le persone che hanno ucciso altre persone? Per dimostrare che le persone non si debbono uccidere! (Mailer) Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori. (Calvino) Un certo tipo di altruismo serve solo a gratificare l'egoismo.
Se perdono a uno che mi ha chiesto scusa, perdono a uno diverso rispetto a quello che ha sbagliato. Comunque il momento del perdono è un espressione sublime in cui l'umano, trascendendosi, si riconcilia con se stesso.
Il sofista Ippia di Elide (443 a.c.) lancia l'ideale cosmopolita ed egualitario rivoluzionario per la grecità attaccata alla polys e alle caste. Distingue fra legge di natura (valida) e legge umana (non valida). Purtroppo però non sembrano esistere leggi di natura … Trasimaco (2.500 anni orsono) definiva la giustizia come l'utile del più forte: è il più forte a dettare legge secondo i propri interessi. Non mi pare che sia cambiato molto....
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Gli altri sono solo lo specchio delle "nostre" percezioni. Vivendo solo per il nostro limitato corpo-mente a cui ci identifichiamo, ci allontaniamo dalla Realtà che tutto abbraccia, che ne siamo consapevoli o meno. Questo genera conflitti, guerre, come sempre. Non è possibile amare il prossimo se non si scopre che è solo il tuo specchio più o meno deformato. È possibile una trasformazione, ma solo un vero capovolgimento della coscienza, può cancellare il miraggio in cui siamo avvolti.
Vivere senza un perché, lavorare senza un perché, amare senza un perché, celebrare la nostra esistenza con giocosità e in questo modo risolvere dolori e divisioni, ed uscire dall'aggressività.
Il nostro mondo attuale adora tre divinità: il profitto, la razionalità e il materialismo dimenticando che sono esistite anche società basate sul dono e sulla solidarietà, dimenticando che il misticismo unisce l'uomo al Tutto e, infine, dimenticando che la materia è solo energia quindi nulla di materiale! Vorrei fare un parallelo fra la guerra e la schiavitù: entrambe fanno parte della storia dell'uomo, entrambe sono state a lungo difese dal potere sia politico che religioso, entrambe vanno estirpate, sradicate per sempre (senza trovare giustificazioni di nessun tipo).
Finché l'uomo sfrutterà l'uomo, finché l'umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. (Pasolini) Se desideri i soldi più di ogni altra cosa, sarai comprato e venduto. Se sei avido di cibo, sarai una fetta di pane. Ciò che ami, sei.
Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri". (Milani) Se l'uomo non butterà fuori dalla storia la guerra, sarà la guerra che butterà fuori dalla storia l'uomo. (Strada) Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia; è un' ingiustizia dell'uomo nei suoi confronti. Se per forza si intende la forza bruta, allora si, la donna è meno brutale dell'uomo. (Gandhi) Al posto dei leader "che usano il potere soltanto per maltrattare persone e mondo" sostiene la filosofa Buttarelli, oggi servono "guide che vanno individuate, valorizzate e sostenute sulla base del loro agire disinteressato".
Il denaro, gli eserciti, l'immagine, sono nulla di fronte al potere del monopolio dell'etica religiosa. Purtroppo la gente è incosciente e non se ne rende conto. Non c'è uomo che non ami la libertà, il giusto però la esige per tutti, l'ingiusto solo per sé. (Börne) Quando nella vita si sbaglia a chi si deve chiedere scusa? A Dio? A chi è stato vittima del nostro errore? NO...si deve ritrovare, per prima cosa, la pace con se stessi altrimenti è tutto vano.
Forse non si può imporre la bontà a tutti mediante comandamenti o precetti. Puoi e non devi.
In natura vige la legge della collaborazione e dell'equilibrio, non della superiorità e della sopraffazione, noi umani con tutta la nostra evoluzione, dimostriamo invece la tendenza allo sfruttamento indiscriminato, al sopruso sul più debole, alla prevaricazione e all'egoismo, alla distruzione di noi stessi, degli altri e della terra in cui viviamo.
Perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze.(Voltaire)
Nell'ambito della moralità tutto è incerto: alla fine tutto può essere morale ma nulla è morale con certezza.
Non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare che chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate con il vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto un dovere. Panagulis qui dice cose su cui riflettere anche se non tutto è chiaro, anzi … "Il cielo stellato sopra di noi. La legge morale dentro di noi" come dice Kant. Oppure "senza tetto né legge" come dice lo zen?
Nella vita faccio ciò che posso, quando posso e come posso seguendo il pensiero di Platone.
Quello che io do, la do anche a me stesso. Quello che io non do, lo tolgo anche a me stesso. Niente è solo per me … è anche per gli altri.
Amorevole distacco dalle cose. Rapporto moderato con le passioni.
Video meliora proboque sed deteriora sequor.
I sofisti videro nell'utile il massimo valore morale (anche le divinità sono tali perché sono utili). I pragmatisti americani (Dewey, James e Peirce) si rifanno a ciò affermando che una teoria è valida, vera in base ai risultati pratici che produce.
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Chi ha fame non ha bisogno di una filosofia per stimolare il proprio malcontento: il bene è quanto basta per mangiare.
Ritornare là dove in realtà già siamo.
Il fine giustifica i mezzi. Chi giustifica il fine?
Per andare d'accordo nei rapporti interpersonali bisogna trovare una regola per quando non si è d'accordo.
L'a-moralismo buddista porta al di là del bene e del male dice Nietzsche.
Non le cose ma le opinioni intorno alle cose (che non esistono) hanno gettato il turbamento nell'uomo.
Più libertà significa mena giustizia! Infatti chi è più forte e potente chiede più liberta mentre chi è più debole e povero chiede più giustizia...a quando il giusto equilibrio? L'esercizio della propria natura è già felicità senza bisogno di premi esterni dati per aver seguito una certa legge dichiarata, unilateralmente da alcuni uomini, virtuosa.
La prospettiva teologica, teleologica e antropocentrica è una delle tante, non l'unica. Bene e male sono relativi al tempo e al luogo. Va rispettata la finalità interna di ogni cosa. Bisogna sapersi condizionati da una infinita di cause.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas:
Qoelet, Pensiero orientale, Petrarca, Ariosto, Leopardi, Goethe, Calvino, Stirner.
Il santo occidentale impone (devi) mentre il saggio orientale coltiva la libertà (dall'io) e quindi non impone regole e neppure le subisce (puoi).
-MORTE*
Il corpo non muore, muta la sua forma, si dissolve nei suoi elementi costitutivi. Per il corpo non c'è la morte; la morte esiste per il pensiero, perché non accetta l'idea che possa finire. (U.G) Dobbiamo pregare per i nostri morti? Non dovete pregare ma dialogare con loro! Ma loro sono morti e noi siamo vivi. Come si fa? E qui che sbagli: loro non sono morti e noi non siamo vivi. (Nisargadatta Maharaj) Paura della morte è in realtà paura di un mutamento, di quel mutamento radicale che toglie l'esistenza dell'io. Se però consideriamo che l'io è solo una finzione scenica, una maschera vuota e impermanente, allora sparisce la paura della morte. Infatti chi muore se l'io non esiste? Per concludere la morte è solo una modalità della vita.
Quando muore un uomo comune, che cosa gli accade? Dipende da ciò in cui ha creduto. La vita è immaginazione, prima e dopo. Il sogno continua. Per quanto mi riguarda cerco IL PURO ESSERE SENZA ATTRIBUTI. Per me la morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L'attaccamento alla vita è attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Lo stato prima della tua nascita era identico a quello dopo la morte, se ricordi. Piangevo quando nacqui, e morirò ridendo. (Nisargadatta Maharaj) Il bambino non sa che nulla dura in eterno. Normalmente pensa che tutto quello che piace duri e resti per sempre -chiarisce Fulvio Scaparro, psicoterapeuta infantile e psicologo dell'età evolutiva -. Il bambino infatti, come tutti gli esseri viventi, nasce per vivere e almeno fino ai tre anni di vita nega ogni forma di scomparsa definitiva.
L'uomo è violento perché ha timore della morte: cerca di costruirsi uno scudo contro il nulla della morte. Vogliamo distrarci dalla morte senza mai riuscirci.
I morti non sanno niente. (Qoelet 9.5) Diventa ciò che sei e cioè sii consapevole della tua mortalità diceva Nietzsche.
Che ne sarà di me dopo la morte? Nulla, niente visto che l'io non esiste! Cos'è la morte? Un annullamento definitivo oltre il quale non esiste più nulla? L'ingresso in un nuovo tipo di vita? La vita continua o finisce? La vita terrena è solo una pagina di un libro (oriente) o è l'intero libro (occidente)? L'io persevera per tutta l'intera eternità (cos'è poi questa eternità?) o diventa tutt'uno con la forza vitale universale del cosmo? Vige il principio di conservazione dell'energia secondo il quale l'energia non può né crearsi e neppure essere distrutta? L'io è energia che cambia forma? L'esistenza universale è immanente a tutti gli esseri? La morte è forse il ritorno all'eterno flusso dell'energia, un ricongiungimento con la realtà fondamentale (l'Assoluto: Brahman, Apeiron, Darmakaja, Uno, Tao, Nagual) che sta alla base di tutti fenomeni? La morte non è l'estinzione della vita ma la fusione della vita individuale con la grande vita degli universi? L'io persiste o viene assorbito? La morte è la dispersone del sé individuale nel continuum universale? Tutte queste considerazioni sono però inficiate dal dualismo: la morte e la vita, io e il mondo, immanente e trascendente, nulla e tutto, ora e dopo, estinzione e fusione, la parte e il tutto. Eliminando ogni dualismo si elimina anche il problema della morte. Se l'io non esiste come potrà morire?
Tutto ciò che entra nell'esistenza rimane relativamente stabile per un certo tempo e poi esce dall'esistenza. N -NAGARJUNA** Nagarjuna è pensatore e filosofo della sunyata (termine inventato dallo stesso Nagarjuna). Lui afferma che è l'esperienza esistenziale a dimostrare che le cose sono universalmente sottomesse alle leggi dell'impermanenza (anicca) e della mutua interdipendenza. Nulla sussiste di incondizionato, stabile, separato (anatta); né la personalità, né gli elementi di coscienza, né gli eventi e gli oggetti del mondo naturale, né i sentimenti, né i concetti e i sistemi di idee con cui il reale viene descritto.
"Queste mie parole", -dice Nagarjuna, -"sono prive di natura propria e perciò io non vengo meno al mio assunto, né mi si può imputare parzialità alcuna né debbo addurre nessuna ragione per giustificare questa parzialità" Pratica la negazione senza alcuna implicazione assertoria: "Se io avessi una qualche tesi, allora sarei soggetto alla possibilità del controsenso, ma io non ho una mia tesi e quindi non sono soggetto ad alcun controsenso".
Le cose, tutte le cose e tutti gli eventi, non solo non sono così, ma non sono neppure il contrario di così.
La critica di Nagarjuna non lascia trasparire la possibilità di attingimento di una presunta realtà assoluta. L'assoluto è, per Nagarjuna, il ricettacolo capitale della contraddizione, la proiezione eccellente dell'io e della sua sete di permanenza.
Nagarjuna però mette in discussione la possibilità stessa che si dia relazione alcuna, laddove la legge dell'universale interdipendenza fa dileguare la realtà stessa dei relati. Infatti, se concepiamo i termini della relazione come inesistenti in sé (come vuole l'ortodossia dottrinale buddista) dobbiamo anche ammettere che diventa incongruente relazionare cose inesistenti. Questo scrive Pasqualotto. Gli si può obiettare che la relazione intrinseca non ha bisogno dei relati per esistere essendo essa stessa il senso del tutto.
Spesso citato come "il secondo Buddha" dalle tradizioni asiatiche orientali del Buddismo Tibetano e Mahayana (Grande Veicolo), il maestro Nagarjuna (nato intorno al 150 d.C.) fece taglienti critiche alle filosofie Buddista e Brahmanica (pur essendo quest'ultima la sua origine culturale) sul loro sostanzialismo, la loro teoria della conoscenza, e gli approcci alla pratica. La filosofia di Nagarjuna (che fu principalmente un filosofo scettico tipo Pirrone ma usò anche il metodo scettico come Kant) non solo rappresenta uno spartiacque nella storia della filosofia Indiana, ma nell'insieme di tutta la storia della filosofia, poiché affronta certi assunti filosofici che ricorrono così facilmente nel nostro sforzo di comprendere il mondo. Fra questi assunti vi sono l'esistenza di sostanze permanenti, il movimento lineare e unidirezionale della causalità, l'individualità atomica delle persone, la credenza in un'identità fissa o 'sé', le rigide separazioni tra la buona e la cattiva condotta e la vita benedetta o condizionata. Tutti questi assunti sono stati richiamati in una questione fondamentale dalla visione unica di Nagarjuna che è radicata nella intuizione della vacuità (shunyata, nuovo termine coniato da Nagarjuna stesso), un concetto che non significa "non-esistenza" o "nichilismo" (abhava), ma piuttosto la mancanza di una esistenza autonoma (nihsvabhava). Il rifiuto dell'autonomia secondo Nagarjuna non ci lascia con un senso di privazione metafisica o esistenziale, o la perdita di una qualche speranza per l'indipendenza e la libertà, ma ci offre invece un senso di liberazione attraverso il suo dimostrare l'interconnessione di tutte le cose, inclusi gli esseri umani e i modi in cui la vita umana si dispiega nei mondi naturali e sociali. Il concetto centrale di Nagarjuna, della "vacuità (shunyata) di tutte le cose (dhamma)", indirizzato all'incessante cambiamento e quindi ad una natura di ogni fenomeno che non è mai fissa, servì da puntello terminologico del successivo pensiero filosofico Buddista come vessazione degli opposti sistemi Vedici. Il concetto aveva fondamentali implicazioni per i modelli filosofici Indiani della causalità, l'ontologia della sostanza, l'epistemologia, le concettualizzazioni del linguaggio, etiche e teorie di salvezza e liberazione del mondo, e si dimostrò seminale perfino per le filosofie Buddiste in India, Tibet, Cina e Giappone, molto diverse da quelle stesse di Nagarjuna. In realtà, non sarebbe esagerato dire che l'innovativo concetto di vacuità di Nagarjuna, sebbene fosse ermeneuticamente appropriato in molti diversi modi per i successivi filosofi sia nell'Asia del Sud che dell'Est, fu capace di influenzare profondamente il carattere del pensiero Buddista.
La teoria, nella visione di Nagarjuna, era il nemico di tutte le forme di pratica legittima, sociale, etica e religiosa. Egli fu antimetafisico. Si scaglia contro i depositari di ogni visione ontologica dell'esistente, contro i tenaci sostenitori di sostanze e essenze, contro i seguaci dell'idolo dell'identità. Bersaglio diventa chiunque aderisca acriticamente a concezioni del mondo unilaterali e assolutizzanti, a chiunque resti attaccato all'idea che le cose siano, di per se stesse, stabili, autonome e fondate, e che possano essere fatte proprie da un Io stabile, autonomo e fondante. Si deve invece cogliere la reciproca relazione condizionante di tutti gli esseri e di tutti gli eventi.
"Chi pensa che una cosa esiste, ha come conseguenza la dottrina dell'eternità. Chi pensa che una cosa non esiste, ha come conseguenza la dottrina dell'annientamento. Evitiamo quindi sia l'idea di esistenza che quella di non esistenza". Oltre il dualismo. Nella relazione.
Nāgārjuna, paragonava la realtà (saṃsāra) ad un sogno (nirvāṇa). Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. La psicoanalisi, quella seria e non quella ridicola pratica perpetrata dagli accademici, ha da tempo capito che il sogno altro non è che una dimensione della realtà il cui unico plasmatore e creatore è lʼindividuo che sogna. Così come il sogno è una realtà creata dal suo unico abitante, il quale ha dunque pieni poteri creativi nella sua dimensione personale, la realtà esterna è una dimensione creata dalla media di tutte le volontà dei suoi abitanti. Se dunque la realtà esterna è fatta della stessa natura del sogno -come anche Jung ci ha sempre fatto notaresignifica che sogno e realtà sono la stessa cosa ed hanno le stesse potenzialità. La realtà si manifesta per come la plasmiamo noi, su questo non cʼè dubbio. I logici brahminici ragionarono sul fatto che Nagarjuna ci ha detto che la vacuità è la mancanza di natura fissa ed essenziale che esiste in tutte le cose. Ma se tutte le cose sono prive di natura fissa, allora questo includerebbe, o no, la dichiarazione stessa di Nagarjuna che tutte le cose sono vuote? Se uno dice che tutte le cose sono prive di una natura fissa dovrebbe inoltre dire che nessuna asserzione, nessuna tesi, come quella di Nagarjuna che tutte le cose sono vuote, potrebbe esigere il supporto di un riferimento fisso. E se una tesi così fondamentale ed onni-comprensiva deve ammettere di non avere in sé un significato né un riferimento fisso, allora perché dovremmo credervi? Piuttosto, la tesi "tutte le cose sono prive di un'essenza fissa e perciò sono vuote", poiché è una quantificazione universale e quindi riguarda tutte le cose, inclusa la tesi, non confuta se stessa? I Logici qui non stanno tanto facendo l'affermazione che necessariamente lo scetticismo abbandona la sua stessa posizione, come quando una persona dicendo "Io non so niente" inconsciamente testimonia almeno la conoscenza di due cose, e cioè, come usare il linguaggio e la sua stessa ignoranza, come nel caso dell'Ironia Socratica e del Paradosso del Mentitore. È più il peso diretto che una filosofia, che rifiuta di ammettere le essenze universali, debba essere ugualmente auto-contraddittoria, poiché una negazione universale deve essa stessa essere essenzialmente vera per tutte le cose.
Nagarjuna potrebbe rispondere che, in linea di principio, non c'è nulla che potrebbe evitare che io presuma che qualsiasi prova che io uso per verificare un pezzo di conoscenza sia essa stessa sicura oltre ogni dubbio. Così, conclude Nagarjuna, la supposizione che qualcosa può essere dimostrata con riferimento (cioè in relazione) a un certo altro fatto presunto, incorre nel problema che la serie di prove non avrà mai conclusione, e ci lascia ad un regredire infinito. Se c'impegnassimo alla giustificazione opposta e proponessimo di sapere che le cose sono reali, perché sono manifeste ed auto-evidenti, allora Nagarjuna ribatterebbe che noi staremmo facendo un'affermazione vuota. Il vero scopo dell'epistemologia è di scoprire metodi attendibili di conoscenza, il che implica che dalla parte del mondo vi siano i fatti e dalla parte del conoscitore vi siano le prove che rendono quei fatti visibili alla coscienza umana. Se le cose fossero proprio auto-evidenti, ogni prova sarebbe superflua, dovremmo conoscere proprio direttamente se qualcosa è tale com'è oppure no. La pretesa dell'auto-evidenza distrugge, in un ironico modo che era sempre gradito a Nagarjuna, l'esigenza stessa di una forte e ben radicata teoria della vera e sicura conoscenza! La sferzante critica di Nagarjuna non si risolve a un livello superiore di una verità ultima, non si può infatti parlare di risoluzione quanto piuttosto di dissoluzione di qualsiasi volontà di risolvere.
-NATURA** Per gli sciamani dell'Amazzonia (sterminati da una colonizzazione crudele) la sapienza suprema è essere in simbiosi totale con la foresta, conoscere, rispettare, interagire con le sue leggi per una reciproca cura e sopravvivenza. L'Occidente, all'opposto, ha stabilito che l'unico reale scopo che deve perseguire la scienza moderna (asservita all'economia non equa) è conoscere le leggi della natura per meglio sottometterla, dominarla, sfruttarla ai propri fini. In tal modo si distrugge la natura originaria, si rompe la simbiosi originaria delle locali popolazioni. Tutto ciò allo scopo di arricchire enormemente poche multinazionali.
La presupposta linearità della natura è interamente un prodotto del modo in cui la visioniamo, ossia col pensiero. Come dire che … a un martello tutto il mondo sembra … un chiodo! Infatti la natura non procede linearmente, ma tutto succede simultaneamente, dappertutto e subito.
Dividere è nella natura della mente. La separazione va però contro la natura della realtà. La natura è una. La realtà è una. (Nisargadatta Maharaj) Il fondamento delle nostre conoscenze non si trova nella natura ma nell'attività stessa del soggetto. Le caratteristiche di necessità e universalità che noi attribuiamo alle leggi naturali sono in realtà un prodotto del soggetto.
L'ordine e la regolarità dei fenomeni, che noi chiamiamo natura, siamo quindi noi stessi a introdurli. D'altronde, noi non potremmo certo trovarli nella natura, se noi stessi (o la natura del nostro animo) non li avessimo originariamente introdotti.
(Kant)
Noi non facciamo altro che proiettare le nostre concezioni e le nostre idee sulla natura, immaginandola meravigliosamente ordinata. Immaginiamo anche che esista un progetto o un piano, come l'evoluzione. Io non credo che esista nulla del genere. Probabilmente non esiste altra evoluzione se non quella che noi proiettiamo sulla natura, confrontando un elemento all'altro e deducendo che sia la necessaria e diretta conseguenza dell'altro. (U.G.)
Nella modernità siamo cresciuti pensando di essere i proprietari e i padroni della natura, autorizzati a saccheggiarla senza alcuna considerazione delle sue potenzialità segrete e leggi evolutive, come se si trattasse di un materiale inerte a nostra disposizione, producendo tra l'altro una gravissima perdita di biodiversità. (Papa Francesco) La sopraffazione esercitata dall'uomo sulla natura sarebbe giustificata dal comando divino riportato nel libro della Genesi: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" (Gen. 1,28). Questa affermazione, rivestita della autorità della rivelazione, avrebbe determinato lo sviluppo di un'etica del dominio, fortemente antropocentrica, tale da giustificare la finalizzazione e la strumentalizzazione del mondo agli interessi del soggetto umano. (Forte) Il concetto di antropocene, ridotto all'osso, afferma che i processi geologici e l'assetto planetario, che fino a questo momento hanno determinato e condizionato la storia degli umani, oggi sono a loro volta modificati e condizionati dalla storia umana.
La questione dei 'limiti della natura' raggiunge nel Settecento la sua formulazione morale più completa: la natura possiede gerarchie e limiti così come le società umane e la loro alterazione o il loro sovvertimento porterebbe ad un caos cosmologico e politico.
Michel Serres chiarisce che il dato più eclatante e ormai imprescindibile per una riflessione aggiornata sulla condizione umana è l'impatto globale che le attività umane hanno iniziato ad avere sull'ecosistema terrestre e, nella fattispecie, i mutamenti del sistema atmosferico globale, con la conseguenza di un surriscaldamento del pianeta per effetto dell'emissione e della concentrazione dei gas serra. Si tratta di eventi enormi che, se nell'immediato disorientano e 'stressano' i metodi d'indagine e i modelli previsionali delle scienze fisiche e chimiche, annunciano di sicuro una modificazione nello statuto della natura e nei rapporti di dipendenza e possesso che hanno caratterizzato il rapporto uomo-natura dall'Antichità ad oggi.
Gli stoici distinguevano tra le cose che dipendono da noi e quelle che non ne dipendono affatto e ritenevano assurdo pensare di poter cambiare cose come il clima, le epidemie, il giorno della nascita o della morte. Abbiamo imparato dopo, con i progressi della scienza e della tecnica moderne, a renderci padroni e possessori della natura, secondo il precetto di Descartes, ovvero a far crescere in modo esponenziale le cose che dipendono da noi e a far diminuire proporzionalmente quelle che non ne dipendono affatto. Pervenuti al massimo di questo progetto di dominio sulla natura, ci accorgiamo, in una terza fase, di un effetto paradossale: noi dipendiamo alla fine dalle cose che dipendono da noi. Come nel caso delle modificazioni del clima, noi non riusciamo a controllare tutti gli effetti delle nostre azioni, che possono avere effetti di ritorno (come, ad esempio, la riduzione del buco d'ozono) capaci di compromettere nel lungo periodo la stessa sopravvivenza dell'umanità. Per definire questa terza fase, a vent'anni di distanza da Le contrat naturel, Serres ricorre proprio alla locuzione: era dell'antropocene.
Dall'età prometeico -cartesiana del dominio sulla natura passiamo ad un cortocircuito di dominio e dipendenza, dove noi soggetti diveniamo oggetti, vittime delle nostre vittorie, bersaglio degli effetti perversi delle nostre azioni, e l'oggetto globale (la terra assurta all'icona di 'Terra' grazie all'occhio delle tecnologie satellitari e ormai interiorizzata dal nostro immaginario) diventa soggetto perché reagisce alle nostre azioni, come un partner.
Bisogna trattare la natura non più come oggetto, ma come soggetto di diritto. Infatti, siamo ora di fronte al rischio di una catastrofe naturale globale e dell'estinzione della specie umana e altre specie viventi, come epilogo dell'era dell'antropocene. Bisogna stipulare un patto fra BIO e GEA, fra vita e terra dando origine alla Biogea. Oltre ai crimini di guerra, ai crimini contro l'umanità bisogna istituire anche i crimini contro il mondo, contro la terra. La terra va risacralizzata! L'uomo non può più permettersi di considerarsi come non responsabile e incurante delle condizioni di esistenza del mondo, nel quale egli a sua volta esiste, giacché queste condizioni sono state messe in crisi, proprio dalla sua azione.
Il grande paradosso dell'umanità consiste nella circostanza secondo la quale l'estensione delle condizioni di benessere generalizzato, proprie del modo di vivere della civiltà occidentale, su scala globale è insostenibile, in quanto i mezzi attraverso i quali queste condizioni di benessere vengono prodotte e mantenute, se applicati all'umanità intera, provocherebbero inevitabilmente il collasso delle condizioni di esistenza della vita sulla Terra in generale e, di conseguenza, l'estinguersi della possibilità del benessere in quanto tale.
Il modo tradizionale di rapportarsi alla natura da parte dell'uomo occidentale è basato sulle opposizioni binarie, proprie della metafisica classica, secondo la quale un soggetto -padrone spirituale e attivo impone liberamente e indiscriminatamente la sua volontà su di un oggetto -servo materiale e passivo.
L'antropocentrismo è dominante nelle visioni del mondo tradizionali dell'Occidente, che ha sempre considerato l'uomo come superiore, estraneo o indipendente dalla natura.
Il concetto di antropocene e la relativa proposta etica contengono anche una valenza decisamente politica: nell'epoca contemporanea, una svolta omeotecnica in direzione dell'estensione del benessere alla totalità dell'umanità, connessa con un nuovo modo di rapportarsi ai non umani, volto alla collaborazione piuttosto che allo sfruttamento, implica necessariamente l'instaurazione di una politica globale, che raduni al suo interno la molteplicità dei differenti collettivi, senza tuttavia imporre loro direttive assolute, ma preservando la loro parziale autonomia e relativa specificità. La civiltà globale teorizzata da Sloterdijk non solo comprende tutti gli agenti umani come dotati di pari diritti, ma include anche il complesso degli agenti non umani, considerati come collaboratori e non come risorse.
Se si definisce intelligente una specie che riesce a sviluppare la capacità di sopravvivere nel suo ambiente, allora bisogna dire che la specie umana, distruggendo la natura in cui vive, non è poi così intelligente come si autorappresenta. (Mainardi) -NEC SPE NEC METU *
Nec spe nec metu
Ho ciò che non desidero Desidero ciò che non ho Paura e desiderio mi opprimono Liberati quindi da desideri e paure Lasciare Fluire con la vita! Lasciar venire ciò che viene Lasciar andare ciò che va Senza desiderio e senza paura
La trama e l'ordito
Desiderio e paura Sono la trama e l'ordito dell'esistenza Il desiderio è il ricordo del piacere La paura è il ricordo del dolore Dukkha (la sofferenza nel buddismo) è causata dalla paura e dal desiderio. Il desiderio di essere, magari in eterno. La paura di non essere. Anche se nessuno ha mai potuto dimostrare che l'essere è superiore al non essere.
Dice Buddha che, in senso relativo, è bene che, per i più, vi sia il timore dell'inferno e la speranza del paradiso. Ma, in senso assoluto, è ancora meglio che non vi sia né timore né speranza, che si realizzi cioè il completo distacco da ogni idea di inferno e da ogni idea di paradiso e, quindi, implicitamente, da ogni idea di un io che teme l'uno e spera l'altro. (Pasqualotto) Nec spe nec metu (Né con speranza, né con timore) è un motto latino che non ha fonte certa. Può essere inteso come invito ad una vita stoica, ad accettare appunto senza speranza né timore gli eventi e le avversità. Secondo Hume, la religione avrebbe la sua genesi nel sentimento del timore e quindi conseguentemente in una speranza di salvezza dopo la morte, pensata come fenomeno ineluttabile e drammatico, e di esorcizzazione della potenza naturale attraverso l'affidamento al Dio, la cui devozione garantisce che la Natura risulti "benigna" per l'uomo e non più nemica incontrollabile senza un ordine che la razionalizzi.
In sostanza si ha sempre speranza e insieme paura, dove c'è l'una c'è l'altra: spero di ottenere quella cosa (ma temo di non averla) e reciprocamente temo quella cosa (ma spero di evitarla). Dal che si può arguire, tanto per cambiare, che l'insicurezza, l'incertezza è in realtà la nostra tonalità ontologica, il nostro fondamentale modo di stare al mondo.
È possibile rintracciare una probabile fonte della locuzione in questione nell'orazione Post reditum in senatu (57 a.C.) di Cicerone. In essa Cicerone esprime il suo ringraziamento al Senato che lo aveva richiamato in patria, mettendo fine al lungo esilio di 18 mesi. Ripercorrendo le vicende passate, Cicerone ricorda che al terrore imposto da Clodio e i suoi complici si erano opposti alcuni magistrati "quos neque terror nec vis, nec spes nec metus, nec promissa nec minae, nec tela nec faces a vestra auctoritate, a populi Romani dignitate, a mea salute depellerent ("che né il terrore né la violenza, né la speranza né la paura, né le promesse né le minacce, né le armi né le fiaccole fecero allontanare dalla vostra autorità, dalla dignità del popolo romano e dalla mia salvezza [Post reditum,7,9]). Comunque anche nell'opera induista Bhagavad Gita (testo del terzo secolo prima di Cristo) si legge: "Questo è l'uomo, o la donna, la cui mente è imperturbabile nel dolore e nelle avversità, che non ha sete di piaceri, ed è libero dalle tre caratteristiche che maggiormente offuscano la mente vale a dire: gli attaccamenti, la paura e la rabbia. Questo è un illuminato. La persona che è distaccata, senza desideri, che non gioisce né si deprime di fronte alla buona o alla cattiva sorte, stabile nella sapienza sopra le turbolenze materiali è, quindi, un illuminato". Il mondo è il luogo dei desideri e delle paure. Desiderio e paura sono la trama e l'ordito dell'esistenza. Paura e desiderio opprimono. Il desiderio è il ricordo del piacere. La paura è il ricordo del dolore. Il desiderio del piacere. La paura del dolore. Il desiderio fondamentale è essere. La paura fondamentale è non essere (anche se nessuno sa bene sé è meglio essere o non essere) . Vai oltre. Superali. Vivi avvero. Sarai libero. Non vivere la paura e il desiderio. Astieniti dal desiderio e dalla paura. (Nisargadatta Maharaj) La varie posizioni di preghiera nelle tre religioni monoteiste imitano quasi sempre quelle del servo impetrante di fronte a un dio irritabile e vendicativo. Il messaggio è quello di sottomissione e paura perenne. Speranza e paura da parte di un uomo colpevole (per le varie chiese l'uomo è sempre colpevole … di che cosa non si capisce bene) davanti a un dio re degli eserciti sempre leggermente alterato (dio ha sempre ragione).
L'uomo, da sempre, vive nel mistero...incerto fra la paura e la speranza. Per uscire da questa situazione, per cercare certezze, ha incominciato a dare un nome al mistero e ad attribuirgli concetti umani esagerati: infinito, eterno, onnipotente, onnisciente ...
La mente ed il pensiero rimangono, ma acquistano solo valore funzionale, ossia quando occorre cimentarsi in qualcosa di pratico, la mente è lì pronta a funzionare; viceversa la mente non indulge a vuoto in fantasie nate dalla paura del dolore e dal desiderio del piacere.
Secondo Freud i sogni sono influenzati da paure e desideri.
-NEURONI* Tutti i colori e le forme che noi vediamo sono semplicemente il modo in cui i neuroni del cervello traducono gli impulsi elettrici del mondo esterno. Interazione di campi d'energia all'interno del nostro cervello. L'universo è un sistema di energia neuronale acceso nella nostra testa. Tutti i mondi sono nella testa. La coscienza è interazione di campi di energia all'interno del cervello. La fuori non ci sono né forme né colori ma solo onde che vibrano. Tutto è solo un costante flusso di energia ma noi vediamo nuvole e montagne. Forme e colori esterni sono dovuti ai nostri neuroni interni: vediamo e sentiamo ciò che accade nella nostra testa. L'universo è solo un insieme di moduli di energia accesi nella nostra testa. La coscienza è interazione di campi d'energia all'interno del cervello.
Il numero dei neuroni del cervello umano è grande quanto il numero delle stelle in cielo...eppure vi è tanta ignoranza in giro … Il sistema nervoso centrale è il creatore, il costruttore di realtà. Il soggetto: il cercatore. L'oggetto: il cercato. L'atto: il cercare. Sembrano tre ma sono uno, anzi sono il vuoto. La realtà è vuota e non vuota allo stesso tempo. Ogni volta c'è dualità c'è stato di sogno. Ogni volta che vedete molteplicità state sognando.
I «neuroni-specchio» sono cellule nervose del cervello che si «attivano» quando vedono qualcun altro compiere un gesto. Per esempio, se guardiamo qualcuno che prendere una tazzina di caffè, nel nostro cervello si attivano le aree necessarie a compiere esattamente quel gesto, anche se noi, nella realtà, poi non lo facciamo. Questi neuroni, quindi, "riflettono", come uno specchio quello che «vedono» nel cervello altrui. Si tratta di una facoltà del nostro sistema nervoso fondamentale per la comprensione e l'apprendimento. Esiste dunque anche una vera comunicazione non verbale, non intenzionale, che continua a scambiare informazioni tra ogni essere umano ed ogni altro a qualche titolo in relazione tra loro.
Si ama per innatismo (i neuroni specchio che ci fanno ripetere i comportamenti altrui senza usare la razionalità) e si odia per cultura (la cultura dell'ego-ismo).
-NEUTRINO* I neutrini che attraversano ogni momento in gran quantità il nostro corpo provengono da luoghi diversi. La maggior parte di essi nasce nel Sole. Altri provengono da regioni diverse dell'Universo dove sono avvenute grandi esplosioni e impiegano centinaia di migliaia di anni per giungere a noi. Anche la Terra ci bombarda di neutrini. Infine anche il nostro corpo produce neutrini! I neutrini ci accompagnano da sempre e sono i responsabili dell'evoluzione del mondo naturale.
Il neutrino, frutto del decadimento beta (è un processo radioattivo in base al quale un neutrone decade in un protone, un elettrone e, appunto, un neutrino o il suo anti), è privo di carica elettrica ma ha una massa, seppur piccolissima, simile a quella dell'elettrone. Praticamente non interagisce con nulla: può viaggiare per milioni di chilometri attraversando anche pianeti senza che nulla lo possa perturbare! Il neutrino mostra tre diverse "personalità" differenti e intercambiabili: infatti ci sono tre tipi di neutrini a seconda di che cosa li origina ma poi cambiano pure personalità. Dunque il neutrino è di natura schivo (non interagisce) ed ha disturbi alla sua bizzarra personalità.
-NICHILISMO* Il nichilismo è una concezione delle cose in base alla quale la realtà sarebbe inesorabilmente destinata a declinare nel nulla, ovvero, dal punto di vista etico, sarebbe indeterminabile o assente una finalità ultima che orienti il corso delle cose e la vita dell'uomo. Dato che l'uomo è limitato e sperimenta ogni giorno questo limite nella morte e nelle sue dolorose anticipazioni, allora egli può essere spinto a considerare -al di là di quanto ne sia cosciente -che il niente sia il vero senso dell'essere. L'affermazione nichilista nega pertanto, in questo senso, vera consistenza alla realtà e di conseguenza esclude che l'uomo possa fare esperienza della verità in quanto tale, considerata come oggettiva e universale.
Per la mentalità e per il pensiero occidentale il nichilismo è associato alla negatività, al pessimismo di Leopardi, alla tristezza di Nietzsche e quant'altro. Invece per l'Oriente la realtà accostata al nulla è una grande intuizione che libera le menti facendo loro intuire che esse stesse sono prive di un vero sé e una permanenza così come lo è anche il nulla stesso.
Vi è però anche un nichilismo costruttivo, positivo ispirato a concezioni filosofiche dell'Occidente, come quelle di Nietzsche e Wittgenstein, e dell'Oriente, come quelle del Buddhismo Chan/Zen e del Taoismo.
-NIETZSCHE* Dai sui scritti è possibile dedurre che egli pensasse che una delle domande fondamentali della filosofia (forse la principale) non fosse "Cosa è la verità?" ma "Cosa facciamo con le nostre verità?", "Quali sono gli effetti delle nostre verità su di noi?". Per questo motivo, Nietzsche mina le basi della vecchia concezione del mondo, che si fondava sul primo di questi interrogativi, sulla fede nell'esistenza di una Verità assoluta e alla quale fosse possibile, prima o poi accedere. (Gori) Nietzsche, dunque, nega gli Assoluti ma, allo stesso tempo, nega anche il nichilismo.
Nietzsche è stato l'unico ad aver descritto la realtà come una polifonia interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete.
Nietzsche accetta il dolore come componente essenziale della vita mentre Buddha vuole eliminare il dolore dalla vita.
Nietzsche critica la fiducia nella possibilità di correggere il mondo attraverso il sapere. Critica quindi il capostipite di tale modello culturale che è stato Socrate il quale inaugura il metodo apollineo della comprensione della realtà mediante concetti. Si dovrebbe invece affievolire la spinta a una eccessiva brama di sapere e riannodare il rapporto tra vita e mito tipica dell'ebro mondo dionisiaco.
La necessità del caso. L'essere del divenire. La molteplicità dell'uno Caos dionisiaco e cosmos apollineo. Impulso creativo, ebbrezza vitale. Razionalità concettuale, forma armoniosa.
Nietzsche fu insieme un filosofo e un poeta. E anche molto altro … Nietzsche non è relativista nel senso negativo del termine visto che il pesante attacco che muove alla metafisica occidentale è stato animato appunto dal preciso scopo di trovare un'alternativa alla deriva nichilistica dell'Europa di fine Ottocento. Il prospettivismo che fonda molta della riflessione matura di Nietzsche si lega quindi a un atteggiamento di tipo pragmatico ove le antiche verità, pur essendo poco affidabili in quanto mere opinioni, vanno comunque considerate per la loro utilità pratica.
Nietzsche osserva che alcune concezioni proprie del senso comune relative all'esistenza di entità sostanziali, del libero volere e del bene valido universalmente non sono che erronei articoli di fede tramandati nel corso della storia evolutiva dell'uomo in ragione della loro utilità per la vita.
L'interesse di Nietzsche riguarda gli effetti che una data concezione del mondo ha sul tipo umano. Per lui, in particolare, efficace è quella RELAZIONE con il mondo che permette all'uomo di evitare di cadere nel baratro labirintico del nichilismo e che, di conseguenza, lo sradica da quella antropologia degenerativa che, secondo Nietzsche, ha caratterizzato la storia culturale occidentale a partire da Platone. Il piano di riferimento, nel momento in cui si vada a definire il valore di verità di una data concezione del mondo, è quindi quello esistenziale: la posizione più vera e che è meglio, per noi, assumere come fondamento della nostra attività pratica, è quella che ci permette di diventare ciò che siamo e che rende possibile la generazione di un tipo umano superiore. Nietzsche attribuisce infatti un valore trasformativo al proprio pensiero prospettico. (Gori)
Nietzsche arriva a considerare la conoscenza come un atto creativo e contesta la posizione della filosofia tradizionale che suole porsi davanti alla vita e all'esperienza (cioè davanti a ciò che chiamiamo il mondo fenomenico) come davanti a un quadro che è stato dipinto una volta per tutte negando che sia ancora in corso d'opera .
"Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze!" Si parla quindi di una filosofia della vita e non di quella della morte e del conseguente dopo vita, altra vita.
Reale, per Nietzsche, è proprio e solo la dimensione dell'apparenza visto che il mondo vero è una costruzione puramente logica che non possiede in alcun modo i tratti della realtà.
Nietzsche fu fortemente critico rispetto al valore che il pensiero tradizionale attribuisce alla dimensione razionale.
L'idea che esista un libero arbitrio è "il più malfamato trucco dei teologi […] mirante a rendere lʼumanità 'responsabile'", e la responsabilità comporta la possibilità di imporre una pena che deriva dalla distinzione tra giusto e sbagliato.
Secondo Nietzsche il fenomenalismo significa che non sappiamo niente della cosa in sé visto che la nostra epistemologia è circoscritta alla dimensione dei fenomeni.
Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.
Nietzsche combatte a fondo sia la volontà del nulla (cioè il nichilismo) che la volontà di verità.
Numerosi sono gli scritti in cui Nietzsche manifesta la sua diversità, la sua inattualità rispetto all'epoca in cui si trova a vivere. Si autodefinisce UOMO POSTUMO. «Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme -una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite». "Non ho che sensazione e rappresentazione. (…) Non possiamo immaginare nulla che non sia sensazione e rappresentazione», per poi concludere che «la materia stessa è data solo come sensazione».
In Nietzsche, al di là delle ostentate dichiarazioni di misoginia esiste, in realtà, un fitto dialogo con il "femminile", o meglio, con i molti modi di essere donna. Gli esempi di "donna" con cui egli aveva confidenza sono sicuramente la propria madre e la propria sorella, ma anche intellettuali come Lou Salomé e Malwida von Meysenbug, due rappresentanti ante litteram del femminismo. Ciò che egli odia delle donne viene completamente dimenticato nell'incontro con Lou Salomé, che -a giudizio dello stesso Nietzsche -è determinante per la nascita dello Zarathustra. Probabilmente è proprio l'esperienza sfortunata con Salomé, la sua "mente sorella", a permettere una nuova valutazione del femminile. "[…] di tutte le conoscenze che ho fatto, una delle più preziose e feconde è quella con Lou. Soltanto dopo averla frequentata sono stato maturo per il mio Zarathustra.
[…] Lou è l'essere più dotato, più portato alla riflessione che si possa immaginare -naturalmente ha anche qualità che danno da pensare. Anch'io ne ho. Tuttavia, il bello di tali qualità è per l'appunto che fanno pensare. Naturalmente solo i pensatori". Nietzsche come filosofo essenzialmente "femminile", perché dotato di quella caratteristica qualità di genio in grado di "ingravidarsi" di ogni stimolo. Il minimo turbamento avvertito dal suo spirito basta a proporre in lui una pienezza di vita interiore e di esperienza di pensieri. Una volta ebbe a dire: "Esistono due specie di genio; quello che soprattutto procrea e vuole procreare e quello che si lascia volentieri fecondare e partorisce".
Vita e saggezza sono un tutt'uno per lo Zarathustra di Nietzsche, costituiscono un riferimento che attrae e respinge, che ci lega attraverso la repulsione, un amore che è tale solo a distanza. La saggezza (la vita) è donna in tutto e per tutto. La donna appare, nelle descrizioni di Nietzsche, come imprendibile, multiforme, talmente profonda da ingannare con la sua superficie. La donna è mutevole e dispersiva, ed è proprio quest'ultima caratteristica a costituire il nucleo di mistero irrinunciabile, la vita che produce la vita. Zarathustra, in definitiva, ha solo la capacità di annunciare l'oltreuomo ma, per generarlo, deve rivolgersi alla donna e alla sua misteriosa capacità generativa.
Il fondamento ontologico del mondo è la volontà di potenza (mentre rinnega la volontà del nulla e quella di verità) intesa come forza volta allo sviluppo della vita in ogni sua forma e non legata alle necessità dell'uomo. La dimensione della volontà di potenza è la dimensione della verità extramorale. La volontà di potenza si estrinseca nellʼuomo e nel mondo, ovvero in ogni forma di vita.
Dilthey critica la volontà di potenza scrivendo: "Un processo spaventoso! Nulla di più ridicolo che un filosofo potesse ciò come scopo proprio della natura con noi uomini come il suo punto più alto." Ma forse Dilthey non aveva ben capito cosa intendesse Nietzsche per volontà di potenza.
Proprio ora, il mio mondo divenne perfetto, mezzanotte è anche mezzogiorno,dolore è anche un piacere, maledizione è anche una benedizione, notte è anche un sole, -andate via o vi toccherà imparare: un saggio è anche un folle. Avete mai detto sì a un solo piacere? Amici miei, allora dite sì anche a tutta la sofferenza. Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate. (forse sono in relazione! N.d.r.)
Gli ideali esistiti sino a oggi [...] sono tutti quanti ideali ostili alla vita, ideali calunniatori del mondo.
Se le foglie appassiscono -che c'è da lamentarsi! Lasciale andare e cadere. (puro zen! N.d.r.)
Io ti conoscerò, Ignoto! tu che penetri profondamente nella mia anima e come tempesta attraversi la mia vita, tu, Incomprensibile, a me affine. Io ti conoscerò, ti servirò.
La verità extramorale è caratterizzata dalla consapevolezza della non libertà del soggetto che però, allʼinterno di questa consapevolezza, raggiunta attraverso la conoscenza di sé trova la leggerezza dellʼagire e quindi una forma di libertà intesa come assenza di delimitazioni morali derivata dalla necessità insita nella volontà di potenza.
All'umanità educata a denigrare vita e mondo, a rifiutare i principi della terra per guardare a vuoti simulacri di conoscenza, Nietzsche contrappone quindi una figura in grado di affrontare compiutamente la realtà che ha di fronte, senza timore di perdersi al suo interno o di rimanere disgustato dagli orrori che in essa potrà incontrare. Lo spirito forte e in salute che «ci redimerà tanto dall'ideale perdurato sinora, quanto da ciò che dovette germogliare da esso, [...] questo anticristo e antinichilista, questo vincitore di Dio e del nulla».
"Per caso" -questa è la più antica nobiltà del mondo, che io ho restituito a tutte le cose, io le ho redente dall'asservimento allo scopo. Lasciate che il caso venga a me: egli è innocente, come un fanciullino.
Nel Crepuscolo Nietzsche svolge una vera e propria diagnosi delle condizioni fisiologico -antropologiche dell'europeo cristiano, figlio della tradizione di pensiero 290 che vede nella razionalità socratica il suo momento iniziale. Socrate, assieme a Platone, è per Nietzsche il primo décadent; in lui, cioè, si manifestano i sintomi di una malattia degenerativa destinata ad affliggere il mondo occidentale. La principale conseguenza di questa malattia è di fatto quell'atteggiamento ostile alla vita che in altri luoghi Nietzsche descrive nei termini di una volontà del nulla. Infatti, secondo Nietzsche «la morale, come è stata concepita finora [...] è l'istinto della décadence stesso», ma soprattutto è «il sintomo di una certa specie di vita; [...] della vita declinante, indebolita, esausta, condannata». L'atteggiamento di condanna della vita che appartiene a questa morale, il suo rivolgersi «contro gli istinti della vita» e l'«attaccare le passioni alla radice», è quindi il prodotto di una determinata fisiologia, che Nietzsche ritiene essersi realizzata per la prima volta all'epoca dei Greci. È proprio in quel mondo, recuperando una sua riflessione giovanile che Nietzsche individua il motivo antitetico al tipo umano declinante e negatore della vita, quel principio del dionisiaco che nella Nascita della tragedia era stato messo a tema parallelamente all'elemento apollineo e che nel Crepuscolo torna a giocare un ruolo di particolare rilievo in quanto promotore di un realismo filosofico che deve essere recuperato. Secondo quanto Nietzsche scrive nel capitolo conclusivo del Crepuscolo degli idoli, il dionisiaco incarna per lui il vero e proprio motivo antitetico alla volontà del nulla. In esso si esprime «il fatto fondamentale dell'istinto ellenico -la sua "volontà di vita"» che già Platone, anticipando in questo il Cristianesimo, aveva rinnegato. Contrariamente a questa tendenza nichilista, la psicologia dello stato dionisiaco consiste in una completa affermazione della vita, in un «dire di sì» alla vita nei suoi aspetti più terribili, e quindi in un «coraggio di fronte alla realtà» che Nietzsche attribuisce ad esempio a Tucidide. Lo storico greco è in effetti qui direttamente contrapposto a Platone proprio in ragione del suo realismo. Egli, a detta di Nietzsche, era in grado di «vedere la ragione nella realtà»; in lui trova espressione «la cultura dei realisti: quell'inestimabile movimento in mezzo all'impostura morale e ideale delle scuole socratiche dilaganti ovunque». In contrasto con la tendenza declinante degli istinti greci, Tucidide risulta essere l'«ultima rivelazione di quella forte, severa, dura fattualità, che stava nell'istinto degli antichi Elleni». Egli si distingue in particolare da Platone, il quale è per Nietzsche «un codardo di fronte alla realtà» che «fugge nell'ideale; Tucidide ha se stesso in proprio potere, di conseguenza tiene anche le cose in proprio potere». La spiritualità forte che Nietzsche individua in Tucidide è l'elemento fisiologico che ha permesso a quest'ultimo di contrastare la malattia della décadence e di mantenersi in uno stato di salute. Tale condizione era propria dei greci nell'epoca della massima espressione del «sentimento tragico», una sensibilità oramai persa proprio per la difficoltà di reggere il peso di terrore e compassione e di essere «noi stessi l'eterno piacere del divenire». L'invito di Nietzsche a recuperare un atteggiamento dionisiaco di fronte all'esistenza consiste pertanto in questa avversione per i motivi pessimisti che si possono ritrovare già in Aristotele, il quale parla di una catarsi delle passioni, del cui peso l'uomo dovrebbe volersi alleggerire. Tutto questo è, ancora una volta, solo espressione di un'incapacità prima di tutto fisiologica di gestire tale carico, la cui espressione più sublimata viene a essere, in epoca moderna, la schopenhaueriana volontà del nulla. Al contrario, secondo Nietzsche «l'artista tragico non è un pessimista, -egli dice precisamente sì perfino a tutto ciò che è problematico e terribile, egli è dionisiaco…» Nello stato dionisiaco l'individuo si libera del principio di individuazione, si rende conto che la sua individualità è illusoria, e "ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno con esso". Possiamo quindi dedurre che il dionisiaco è il mondo della verità extramorale, della verità non più legata al principio di individuazione.
La morte di Dio rappresenta quindi la fine dellʼuniversalità della morale, della credenza in unʼunica verità e lʼinizio dellʼaccettazione dellʼignoto.
L'uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero: tutto il resto è sciocchezza. Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta! Nietzsche misogino?! No! Nietzsche esalta il femmineo ma poi, come capita a tutti, si contraddice.
In Nietzsche si alternano la volontà di potenza e la volontà di amore (forse sono però la stessa cosa per lui ...)
Bisogna ancora avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.
Dapprima furono creatori i popoli, e solo in seguito gli individui; in verità l'individuo stesso è la creazione più recente. Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di essere io. (Chiedo: esiste questo piacere di essere io? Oppure è solo un'abitudine?) Guardali i credenti di tutte le fedi! Chi odiano essi massimamente? Colui che spezza le loro tavole dei valori, il distruttore, il delinquente: -questi però è il creatore.
I metafisici sono coloro che abitano un mondo dietro il mondo (Hinterwelter). (Ma pure i religiosi sono nella stessa situazione!)
Che importa la mia felicità! Che importa la mia ragione! Che importa la mia virtù! Che importa la mia giustizia! Che importa la mia compassione! Il mondo, per noi, è ridiventato infinito, nel senso che non possiamo rifiutargli la possibilità di presentarsi a un'infinità di interpretazioni. E' stato filosofo solo per pochi anni. E' stato un tipo molto solitario ed emarginato. Pur tuttavia ha cambiato radicalmente la filosofia.
La vita non ha scopo. E' solo uno scontro tra forze, tra pulsioni che vogliono espandersi.
DIVENTA CIO' CHE SEI. Questa è la condizione della salute e della felicità. "Non ho potuto fare a meno di essere Dio e di creare il mondo anche se avrei preferito fare il professore universitario" Frase di un pazzo? Il Van Gogh della filosofia … entrambi morti pazzi senza aver venduto una loro opera. Poi il successo infinito dopo la morte. Comunque "tu devi amare il tuo destino anche se questo destino è amaro".
Portofino
Qui me ne stavo e attendevo, -nulla attendevo. al di là del bene e del male, ore della luce godendo, or dell'ombra, tutto semplice gioco, E mare e meriggio, tutto tempo senza meta, e d'improvviso, amica! ecco che l'Uno divenne Due e Zarathustra mi passò vicino.
Il soggetto che, contrapposto al mondo come oggetto, si pone, nei confronti di questo universo di finzione, socraticamente da un punto di vista "giudicante e valutante". L'uomo e il mondo: questo è l'errore, il pensare che esista una distinzione, una contrapposizione tra una coscienza raziocinante e un qualcosa che non lo è. È importante valutare che quest'opposizione, ma anche la sfera stessa della soggettività, non è originaria, "naturale", pur nascendo nei primissimi istanti di vita dell'organismo e nei suoi rapporti d'interazione con il mondo. È invece culturale, ha origini sociali. Pertanto affinché un nichilismo positivo sia possibile è necessario una opera di smascheramento che coinvolga anche la nozione di soggetto stesso, affinché l'uomo possa vincere questa sostanziale senso di alterità nei confronti del mondo inteso come altro a sé.
La necessità del caso. L'essere del divenire.
L'unita del molteplice.
Ci vien da ridere quando troviamo "uomo e mondo" posti l'uno accanto all'altro separati dalla sublime arroganza della paroletta "e".
Pensare è interpretare. Dissonanza, Divergenza, Disarmonia sono parole dionisiache. Assonanza, Convergenza, Armonia sono parole apollinee. Con la filosofia di Nietzsche dopo 1900 anni di cristianesimo, torna la filosofia di Dioniso. La filosofia della vita che trabocca nella sua pienezza! Se questo è nichilismo....
Si ripaga male un maestro, se si resta solo il suo allievo.
Non esistono fatti (positivismo), ma solo interpretazioni.
Il mondo della ratio socratica, su cui si regge tutta la civiltà occidentale, è quello che ha negato l'apparenza delle cose, volendo istituire dei sovramondi e dei sovrasensi, rifiutando la "fedeltà alla terra". Esso è concepito da Nietzsche come un mondo di violenza in cui giocano un ruolo fondamentale l'ego e il condizionamento storico sociale.
Il millenario dualismo ontologico che da Platone giungeva a Kant e Schopenhauer viene definitivamente superato. Non vi è più contrapposizione tra realtà e fenomeno, verità e apparenza. Per Nietzsche la volontà stessa consiste nell'apparenza dell'apparenza: non c'è esistenza distinta dall'apparire. L'unica verità è fenomenica.
Nietzsche fu il punto di svolta: un salto formidabile nel linguaggio e quindi anche nel pensiero che lo crea e ne è a sua volta condizionato. Da allora il pensiero non può che manifestarsi con narrazioni, aforismi, contraddizioni registrate e volutamente non risolte; la preminenza della ragion pratica sulla ragion pura; lo "Zibaldone", ma anche "Zarathustra", la "Genealogia della morale" ed "Ecce Homo" come testi fondamentali. La gabbia dei sistemi era saltata e così pure quella dei generi. E saltò anche la gerarchia dei valori. Per lunghissimo tempo la cuspide della filosofia era stata la metafisica. Poi diventò la critica, poi le si affiancò l'estetica. Infine, dalla fine del Novecento a questa prima decade del nuovo secolo, la nuova cuspide è diventata l'etica. Ma queste gerarchie non tengono più e la ragione sta nella scomparsa dell'assoluto e nella contemporanea scomparsa dell'antropomorfismo che per millenni aveva dominato la cultura. Nietzsche aveva decapitato la metafisica e sgominato i valori opponendo a ciascuno di essi un controvalore. Da Platone fino ad Hegel tutta la storia del pensiero era stata contestata; erano stati risparmiati soltanto Eraclito, Montaigne, Spinoza. Si discute ancora se dopo Nietzsche sia possibile filosofare. Certamente è possibile poiché la storia del pensiero è inarrestabile, ma è cominciato dopo di lui un linguaggio del tutto diverso e il filosofo si è trasformato in un artista che inventa come ogni artista le parole e le forme con le quali esprimersi. (Scalfari)
Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica.
Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distribuzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia primordiale.
Nichilismo: manca lo scopo, manca il perché, tutti i valori si svalutano: sono solo valutazioni umane e transitorie! "Se Dio esistesse, come potrei tollerare di non essere Dio io stesso?". Questa frase di Nietzsche è una bestemmia oppure è una preghiera? L'Oltreuomo, è un uomo in grado di sopportare l'idea che l'Universo non ha un senso.
È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori delle virtù della volontà di potenza (nichilismo attivo).
L'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza, in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" . L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare i propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il Positivismo, con la sua idea di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Il buddismo vuole eliminare ogni dualismo.
Nietzsche legge e commenta testi buddisti (non zen): a volte, ma non sempre, in modo positivo. Gli piace soprattutto l'a-moralismo buddista che collega al suo essere al di là del bene e del male. Nessun senso di colpa: siamo nati innocenti! Nessuna colpa né in sé e neppure negli altri. Nessun peccato cristiano. Nessun barbaro dualismo. Ammira Gesù (forse vede in lui se stesso trasfigurato) ma non il cristianesimo di Paolo. Nietzsche ama Pirrone come uomo mite e paziente, un Budda in carne e ossa. Un santo sapiente senza fede alcuna.
In un appunto della primavera 1884, Nietzsche sottolinea come l'istituzione della verità serva a scongiurare il timore dell'inesistenza di tutto l'accadere. È dunque nella posizione di senso, o meglio nella posizione di un unico senso esclusivo e vincolante, che trova fondamento il potere non solo della verità, ma anche delle visioni del mondo che ritengono di possederla: la metafisica, la morale, la religione, la scienza. Pur con differenti modalità e strumenti, tutte perseguono infatti l'obiettivo di rendere la realtà sensata per l'uomo. In quanto la parola «conoscenza» abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, e non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi: Prospettivismo.
Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti. La relazione dell'uomo con il mondo è mediata dal proprio organismo, il quale elabora il dato sensibile e lo modifica, semplificandone la complessità e riducendolo ad uno schema gestibile. Un'operazione simile a quella descritta da Kant, con la sola -fondamentaledifferenza che Nietzsche non pensa ad un apparato categoriale a priori, ma attribuisce una modalità interpretativa specifica ad ogni singolo soggetto conoscente. Conoscere è quindi schematizzare, semplificare, comunque modificare un flusso di dati rispetto a come esso entra in relazione con il nostro apparato percettivo; pertanto, non è in alcun caso possibile parlare di una determinazione di ciò che le cose sono in sé (sempre che si possa ancora parlare di "cose"), ma solo di quello che esse sono per noi. In altre parole, Nietzsche rifiuta completamente la possibilità di un accesso al livello noumenico, limitando l'ambito descrittivo alla sola dimensione dei fenomeni, che, per questo motivo, perde il carattere di "apparenza" per diventare l'unico luogo di riferimento per l'uomo.
La verità non significa il contrario dell'errore, bensì la posizione di taluni errori rispetto a taluni altri, per esempio che sono più vecchi, più profondamente radicati.
Che la verità abbia maggior valore dell'apparenza, non è nulla più che un pregiudizio morale […]. Non ci sarebbe assolutamente vita, se non sulla base di valutazioni e di illusioni prospettiche; e se si volesse con il virtuoso entusiasmo e la balordaggine di alcuni filosofi togliere completamente di mezzo il «mondo apparente», ebbene, posto che voi possiate far questo, anche della vostra «verità», almeno in questo caso, non resterebbe più nulla! Che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere una sostanziale antitesi tra «vero» e «falso»? Non basta forse riconoscere diversi gradi di illusorietà, nonché, per così dire, ombre e tonalità complessive, più chiare e più oscure, dell'apparenza?
Quale sia il soggetto della singola prospettiva: la domanda relativa a chi o cosa sia ad avere prospettive. Esiste anche una prospettiva non umana? E quella umana una prospettiva singola o del gregge? Ma la prospettiva singola che senso ha se l'io è privo di substrato ontologico? Il soggetto, infatti, non esiste in sé, precedentemente al compimento di un atto, ma è una pura costruzione mentale, che semplicemente deriva dalla nostra interpretazione successiva dell'azione.
L'io stesso è per Nietzsche un'illusione prospettica, una pura nozione concettuale. Il "soggetto" non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l'immaginazione. Per ciò che riguarda il soggetto, Nietzsche conduce da un lato una critica volta a mostrare come l'indicazione di un soggetto agente non sia che frutto di un'interpretazione semplificante e falsante, dall'altro lato un'analisi di ciò che si chiama soggetto, atta a disvelarne la natura plurima, molteplice, complessa.
Sul piano pratico, però, è indiscutibilmente difficile privarsi del riferimento a un soggetto individuale, ed è lecito, a questo livello, parlare di un punto di vista prospettico diverso per ogni uomo.
In realtà però il soggetto non produce prospettive e interpretazioni; sono loro, le prospettive, a costituire quello che il soggetto è.
Secondo Nietzsche, il soggetto non è oltre e al di sopra delle varie prospettive e interpretazioni affettive fisico/spirituali che lo compongono, e delle relazioni tra queste prospettive e interpretazioni. Il soggetto è solo un insieme di prospettive e di interpretazioni. Senza l'elemento prospettico non esisterebbe al mondo reale.
Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi. Se esiste un egoismo nietzschiano è un egoismo prospettico perché il prospettivismo è condizione di esistenza.
In più occasioni, inoltre, Nietzsche sottolinea la necessità di prendere distanza dalle proprie più radicate convinzioni ed abitudini, di osservarle da lontano e di rovesciarle, di sperimentare il loro opposto, per imparare a conoscerle ed a padroneggiare q u e l l a l o t t a t r a i s t i n t i c h e l e p o r t a a l l a l u c e .
Parimenti indispensabile è la necessità di ampliare per quanto possibile le proprie prospettive, di modo da poter relativizzare anche ciò che si presenta sotto di esse. È questa secondo Nietzsche la giustizia, definita come "funzione di una potenza di vasto orizzonte, che va al di là delle piccole prospettive di bene e male, ha dunque un orizzonte più ampio del vantaggio -essa intende conservare qualcosa che è di più di questa o quella persona.
Senza voler fare di Nietzsche un teorico del dialogo e dell'intersoggettività, non possiamo non prestare attenzione al monito di abbandonare il proprio angolo prospettico e la presunzione di detenere la verità assoluta, per prendere coscienza della complessa molteplicità del reale, della pluralità di prospettive ed interpretazioni che giocando e lottando tra loro lo compongono in un equilibrio mai definito e in costante divenire.
Nietzsche contesta proprio l'idea di una conoscenza in grado di estendersi sino al livello noumenico del reale, all'ambito in cui si darebbero «cose, fatti "in sé"». L'idea per cui «in quanto la parola "conoscenza" abbia un senso, il mondo è conoscibile» fa infatti pensare che Nietzsche rifletta sulla necessità di definire un'epistemologia circoscritta alla sola dimensione dei fenomeni e che riconosca tale ambito come proprio limite invalicabile.
Ma soprattutto, una simile epistemologia dovrebbe riconoscere che la conoscenza umana non ha a che fare con "verità" assolute, con "fatti" universali, ammettendo quindi il carattere illusorio e ipotetico della dimensione fenomenica.
Una simile considerazione coinvolge -distruggendolo -tutto ciò che rientra nella descrizione del mondo della metafisica tradizionale, a partire dalla "certezza immediata" del soggetto. Nietzsche osserva che «il "soggetto" non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l'immaginazione (ricordiamoci sempre dell'onda sul mare: fin che c'è mare scorre poi sparisce, fin che c'è vento corre poi svanisce).
Da un punto di vista generale, il fenomenalismo si presenta come uno sviluppo del kantismo in un senso antimetafisico. Il punto di partenza è infatti la filosofia critica di Kant, che sancisce l'impossibilità di conseguire un rapporto diretto con la "cosa in sé", una tesi che apre la strada a un problema fondamentale dell'epistemologia contemporanea, discusso da molti degli autori letti da Nietzsche. Su questo tema il fenomenalismo si pone in maniera agnostica, rinunciando ad affrontare la questione della "cosa in sé" perché oltrepassa i limiti (fisiologici) della conoscenza umana.
Il senso comune assume l'identità come un dato evidente o come un fatto certo, indubitabile. Risponde Nietzsche "Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro che l'io sia ciò che pensa; al contrario considero l'io stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di materia, cosa, sostanza, individuo, scopo, numero; quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si inventa in un mondo del divenire, una specie di stabilità e quindi di conoscibilità".
La vera virtù (opposta a quella tradizionale, convenzionale che è per tutti) è invece la caratteristica di una minoranza aristocratica e nuoce alle masse. La compassione è una debolezza da combattere. Disprezza le masse, le donne (???) e il Cristianesimo. Ama le guerre. Gli sembra impossibile il santo che ama spontaneamente e non per paura dell'inferno. Ama solo gli esseri superiori: ma chi stabilisce chi sono questi esseri superiori e chi no? Odia l'amore? Deve aver avuto un notevole perturbante. E poi, sarà proprio questo il vero Nietzsche?
Nell'uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare...
Kleinpeter si rende conto che Nietzsche, in assonanza con il pensiero del fisico Mach, aveva prestato grande attenzione alle tematiche inerenti alla teoria della conoscenza, riflettendo sulla possibilità che la materia fosse teoreticamente riducibile ad un aggregato di sensazioni e intervenendo nella discussione della nozione di sostanza intesa come un puro e semplice simbolo mentale, per poi spingersi fino ad una più generale relativizzazione della nozione di verità che lo porta a rapportarsi direttamente con il moderno pragmatismo.
-NISARGADATTA MAHARAJ*
La vita
Quando sento che non sono niente è saggezza.
Quando sento che sono ogni cosa è amore. E fra questi scorre la vita. Nel taoismo il nulla non assume una valenza ipostatizzante (concetto astratto che si concretizza), ma è funzionale ad una comprensione relazionale del reale. Non si tratta di un nulla inteso metafisicamente come assoluta negazione dell'essere, ma, al contrario, della condizione costitutiva di tutto ciò che è e, questo senso, dell'essere stesso. Con ciò viene evidenziata la natura dialettica del nulla. Per comprendere che una cosa è ciò che essa è, è indispensabile coglierla in relazione a ciò che essa non è.
Il modo orientale di intendere il nulla è quello di considerarlo come uno spazio aperto nel quale, proprio per l'assenza di qualsiasi determinazione, è consentito l'apparire di tutte le determinazioni possibili. Il nulla è, dunque, una condizione di possibilità.
L'Occidente non sa pensare il nulla puro: lo pensa sempre come nulla -di qualcosa poiché esso risulta sempre pensato in relazione all'ente. L'esser -ente (essente) e il ni -ente (nulla). L'Oriente invece pensa il nulla come essenza dell'essere.
Il Nulla assoluto non ha nome. Da Lui ogni cosa nasce e a Lui ogni cosa ritorna; e questa luce è al tempo stesso perfetta caligo, nube, oscurità -gli opposti coincidono, in Dio, nell'assoluto. Questo Nulla assoluto è l'abisso, l'Abgrund (o l'Ungrund) in cui il pensiero filosofico-religioso orientale davvero può incontrare la radice della mistica speculativa europea. Secondo Nishida alla base della cultura occidentale vi è la considerazione della forma come essere e del divenire come bene e questo la distingue, nell'insieme, da quella orientale. Ma se si colgono alcuni momenti "alti" di entrambe le tradizioni pare vero anche il contrario: al fondo della ricerca di una tradizione non si coglie forse la stessa esigenza dell'altra, ovvero «il "vedere la forma del senza forma, il sentire la voce del senza voce"?». Quest'affermazione può essere fatta valere, forse, se si coglie il nesso che lega l'estetico all'etico, quel nodo che mette il primo ambito in relazione al secondo e ne esalta il lato formativo e trasformativo. Si noti l'assonanza con la voce del greco antico kalokagathìa (καλοκαγαθία) che indica nella cultura del V secolo a.C. l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo e che è data dalla crasi dell'espressione kalós kai agathós 'bello e buono'.
Il pensiero occidentale non sa pensare al nulla senza concepirlo come qualcosa.
Anche noi nasciamo dal nulla e nel nulla ci dissolviamo, come le particelle virtuali, eravamo polvere di stelle, e prima ancora quanti di energia, fluttuazioni di vuoto.
Il Buddhismo non è nichilista perché non è attaccato al nulla ma afferma anzi che anche il nulla, come tutto il resto, è impermanente (anicca) e privo di sé (anatta). Anche il nulla è destinato a cessare! Qualcuno, non ricordo chi, una volta disse: "Un vero nulla non esiste e non può assolutamente esistere. Se si dice che il nulla esiste, deve necessariamente essere qualcosa, altrimenti non esisterebbe! Soltanto ciò che è qualcosa può esistere."
All'inizio dell'inizio, anche il nulla non esisteva. (Chuang-Tzu) "Corriamo verso il nulla" … "Magnifico! Chi sa quali grandi sorprese!" Nulla è mai successo … nemmeno il nulla.
Nessun punto di riferimento, nemmeno il … nulla! Il nulla, il silenzio carico di potenzialità prima dell'inizio. Il tutto, la luce e l'eco dell'esplosione primordiale. Sono qui, ora, così come la vita e la morte che, essendo divise da una solo respiro, si riducono a vuote parole.
Il Nulla è l'ossessione e l'incubo del pensiero filosofico, da Aristotele a Plotino ad Agostino, a Cusano ad Hegel, ad Heidegger, a Sartre, a Kierkegaard che scrive: "La disperazione è il terrore del vuoto, del non essere altro che niente." Intendendo con ciò significare che l'angoscia è la paura del nulla. Leonardo da Vinci scrive : "Infralle cose grandi che fra noi si trovano, l'essere del nulla è grandissima" e Leopardi: "In somma, il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla".
Non disse nulla... e disse la verità! L'angoscia è la paura del nulla … ma perché aver paura del nulla? "Il divenire è il processo del comparire e scomparire dell'eterno. Nulla viene dal nulla, nulla ritorna al nulla!" dice Severino forse sbagliando visto che l'intero universo potrebbe essere stato originato da una fluttuazione del vuoto.
Dal nulla nasce qualcosa e nel nulla questo qualcosa si annienta. La durata dell'universo potrebbe essere quanto il tempo infinitesimale di una di queste fluttuazioni, mentre per noi sembra presentarsi eterno. Vi immaginate quanto possa essere il tempo della nostra vita, se il tempo dell'universo che ci sembra infinito, è solo il tempo di una fluttuazione, un bip infinitesimale?
Ogni ragionamento è una catena senza fine pendente dal nulla. (Timone) Perché vi è in generale l'essere e non il nulla? A parte il fatto che essere e nulla non sono poi così distanti e alternativi, se ci fosse il nulla invece dell'essere chi si farebbe questa domanda?
Non vi è nulla da rifiutare e nulla da guadagnare, poiché tutto è nulla. Sperimentalo! La mente non te lo permette e ti dice che tutto è reale: dille che nulla è reale e sparirà.
Il nulla è tutto. Com'è possibile? La parola ''tutto''ci trasporta e ci attira mentre "nulla" ci fa paura. Il pensiero della propria assenza crea la paura della non-esistenza, anche se ognuno di noi gioisce al momento di sprofondare nel sonno ogni notte. È la paura della morte o meglio dello Sconosciuto.
Nulla esiste, tutto appare come esistente.
Per Anselmo di Aosta Dio è id quo maius cogitari nequi cioè quel quella cosa di cui nulla può pensarsi più grande. E se invece di Dio questa definizione ci descrivesse il Nulla?
Anche le attuali teorie cosmologiche, che cercano di conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale, spiegano l'origine dell'universo come una fluttuazione dallo stato di vuoto. La fluttuazione ha prodotto la singolarità che esplodendo, il Big Bang, porta all'espansione dell'Universo quindi, dopo miliardi di anni, alla nascita del sistema solare.
Invece di ex nihilo nihil fit scritto da Lucrezio sarebbe forse opportuno scrivere ex nihilo omnia visto che, forse, il "Tutto " è nato dal "Nulla" per una casuale fluttuazione del Vuoto.
Oltre ad avere molteplici e sorprendenti proprietà fisiche, il vuoto quantistico non è affatto vuoto. Infatti, come impone il principio di indeterminazione di Heisenberg, è un oceano brulicante di attività, in cui incessantemente si producono fenomeni di creazione e di annichilazione di particelle e antiparticelle.
Resta però una domanda: vuoto e nulla sono la stessa cosa? Sono sinonimi? Oppure esiste solo il vuoto e non il nulla? Oppure è solo una questione semantica (consideriamo reale una astratta parola quale può essere NULLA? Il nulla come alterità di ciò che è? O forse il nulla è un concetto filosofico mentre il vuoto è ciò che sperimentiamo nel mondo fenomenico.
Scrive Merleau-Ponty: "Qui, ciò che si dice dell'essere e ciò che si dice del nulla fa tutt'uno, è il rovescio e il diritto del medesimo pensiero". Essere e nulla sono reversibili. Essere e nulla sono indiscernibili. Sono chiasma.
"Le cose sono e insieme non sono nella loro partecipazione all'essere" scrive Platone nel Sofista: "forzare il non ente ad essere e l'ente a non essere".
Ricordiamo anche che per la mentalità orientale antica raggiungere il 'nulla' (Sunya bindu e Sunya chacra) come stato mentale in questa tradizione permette al soggetto di essere totalmente concentrato su un pensiero o su un'attività ad un livello così intenso che non sarebbe stato in grado di raggiungere se fosse stato "attivo" nel pensare.
Per l'occidente il vuoto è il nulla. Il taoismo invece riflette molto sul vuoto soprattutto su quello della mente quando essa è libera da tutti i pensieri e pronta per nuove esperienze.
L'essere è come uno specchio pulito che riflette ogni cosa o come una parete bianca sulla quale disegnare nuovi segni. Ricordiamo Rosenzweig che parla della parete come "essere" al quale appendere quadri che sono "pensieri".
Il vuoto è dinamico, molto dinamico.
Per alcuni filosofi occidentali il nulla è la negazione di Dio (Cartesio e Kant) per altri è la materia (Plotino e Agostino) e per altri ancora è Dio stesso (Scoto Eriugena) che scrive: "Noi crediamo che Dio abbia creato tutto dal nulla e quel nulla è Dio stesso" e Meister Eckhart che sente troppo angusto il concetto di "essere" per applicarsi a Dio e giunge così, per conservare a Dio la libertà da ogni limitata categoria, ad associargli piuttosto il "non-essere" pensiero quasi zen!!! Nella fisica moderna si parla di vuoto (che comunque non è mai del tutto vuoto secondo la teoria dei campi) e non di nulla.
Nulla è reale e, di conseguenza, solo il nulla è reale.
Non esiste né qualcosa né nulla. (Isabella di Soragna)
Che cosa vuoi conoscere o capire per essere davvero "nulla"? Essere nulla è una falsa definizione, poiché trasformi il niente in qualcosa. Se cerchi di non essere nulla, allora provi ad essere qualcosa no? Essere qualcosa o essere nulla sono concetti falsi. Nessuno dei due esiste in realtà.
La domanda è:" Se qualcosa non esiste e nemmeno il nulla esiste, allora …?" La risposta è il silenzio assoluto. La mente non comprenderà mai che cos'è il silenzio, poiché descrivendolo, lo corrompi.
Senti profondamente che nulla è come appare. Non farti ingannare dalle apparenze: è un miraggio costante. Non dire neppure che il mondo è illusione, "maya", perché anche questo è un concetto. Maya in realtà non esiste, dato che è un'illusione. Allora tutto ciò che deriva da maya non esiste neppure.
Lo stesso dicasi per la Realtà Ultima, l'Assoluto, il Parabrahman, che diventano un porto rassicurante per te, e sono ancora un modo di credere. Non provengono forse dalla mente? Sei tu a dare questi nomi per qualcosa che non riesci a capire.
Se rinunci alle cose materiali, è ancora un inganno dell'ego. Se sei convinto di non aver più alcuna forma, che male ti può fare vivere nel mondo? È il mondo che rinuncerà a te, se mentalmente non hai più identificazioni.
Se vuoi sbarazzarti di qualcosa, significa che credi in un "io" che lo fa. Questo io però non esiste. L'obbedienza, forse, serviva ai potenti per gestire il potere. Tu, sottoposto, povero e debole, devi essere buono e obbediente cosicché io, che detengo il potere, ti possa imporre comportamenti senza problemi.
Gli imperi, le potenze di qualsiasi genere si reggono sull'obbedienza! Senza obbedienza non ci potrebbe essere alcun potere. E infatti: credere, obbedire e combattere! Spesso la divinità si è alleata con il potere nel chiedere obbedienza. Perché? Semplice: erano e sono complici l'una dell'altro! Con l'obbedienza si evitano "complicati" ragionamenti logici. E si comanda e basta.
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-OLOGRAMMA * (A cura di Isabella di Soragna) L'ologramma, per dirla in breve, è il riflesso di una luce emessa da un laser su una pellicola di speciale trasparenza olografica. È un'apparenza trasparente.
Può una apparenza olografica conoscere se stessa? Può un'apparenza olografica conoscere la sua vera natura? No. Perché? Perché non ha una vera natura. E così per te e per me. Perché? Perché non esisti come un'entità solida, come non lo è un ologramma. Ciò che rende solido un ologramma è la luce del laser. Che cosa ti fa apparire solido? La luce dell'Assoluto che non è un'apparenza, ma che appare attraverso tutte le forme evanescenti del mondo manifestato.
Qualcosa che appare, ma non è reale, può forse "sapere" che non è reale? Come fai a sapere se esisti o non esisti? U.G. soleva dire:-Non so se sono vivo o morto. Sono cosciente solo se lo so.-È solo il "sapere concettuale" che può farlo e che rafforza l'illusione.
Non potrai mai trovare ciò che non è mai esistito. Potrai trovare tutte le rappresentazioni che vuoi, tutti i mondi paralleli o non paralleli, fare yoga e meditazioni, contemplare, digiunare, partecipare a tutti i satsang, eppure sarai sempre allo stesso punto.
Non puoi trovare ciò che non è mai esistito. Eppure continui a cercare, ad incontrare guru, finché il cercatore disperato muore. Muore prima o al momento della morte fisica che è una disintegrazione del modello di energia che sembra reale, come un ologramma. E un ologramma sparisce, muore, quando il laser viene spento. Dov'è andato? Da dove è venuto? Non è mai stato reale.
Il ricercatore muore dunque, quando l'energia che ha messo nel credere ad una persona separata, sparisce. Ma il ricercatore, dal momento che è solo un'apparizione fantomatica, non può spegnere l'energia che crea la sua convinzione, come un ologramma non potrà spegnere la luce del laser che gli dà forma.
Puoi riuscire a vedere con assoluta certezza come stanno le cose (non voglio dire che non puoi farci niente) si tratta solo di verificare il semplice fatto che non c'è un "tu" che può cercare o non cercare, morire o non morire, essere o non essere.
Quindi il primo movimento è di indagare se c'è questa persona, ma poi, può un'entità inesistente indagare su una persona che non è mai esistita? Potrà solo rendersi conto che il presunto abitante non ha mai abitato la tua casa, non vi ha mai messo piede.
Qui … scoppierai in una risata. Anche il solo affermare "un giorno il ricercatore morirà" o l'"ego sarà distrutto" è una menzogna, dato che non solo non esiste, ma non c'è realmente nessun futuro in cui potrebbe avvenire.
Quando queste bugie sono messe alla berlina e la convinzione è assorbita nel vivere quotidiano, allora la necessità di cercare viene meno da sola e la vita, senza moti paralleli di pensiero, fluisce secondo le sue regole.
-Sin dall'inizio nessuna cosa è -dicono i saggi.
Nessuna via d'uscita. Non c'è prigione né prigioniero. La vita è solo un sogno evanescente.
Dove si trova la realtà in questo evidente ologramma evanescente che è la coscienza?
Tutto questo si dilegua come per incanto allorché la convinzione del senso di essere si rivela definitivamente un inganno e soprattutto nell'umile vivere quotidiano. Prima dell''io sono' non c'è né consapevolezza, né presenza, non esiste l'adesso: c'è il senza tempo.
Ecco quello che sei.
-Ogni esperienza nasce dal pensiero, quindi tutto quello che esperimentate o potete sperimentare, è un'illusione.--Non sei pronto ad accettare il fatto che devi lasciare la presa, abbandonarti totalmente … uno stato senza alcuna speranza che ti conferma che non c'è via d'uscita. Ogni movimento in ogni direzione … ti allontana da Ciò che sei.-diceva U.G.
La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità della luce, ma l'esperimento di Alain Aspect del 1982 (in merito all'entaglement) rivoluziona il postulato, provando che il legame tra le particelle subatomiche è effettivamente di tipo non-locale. David Bohm, celebre fisico, sosteneva che le scoperte di Aspect implicassero la non -esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire che, nonostante la sua apparente solidità, l'Universo è in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato.
Per Bohm il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è un'illusione. Era infatti convinto che, ad un livello di realtà più profondo, tali particelle non sono entità individuali, ma estensioni di uno stesso "organismo" fondamentale.
Secondo Bohm il comportamento delle particelle subatomiche indica che esiste un livello di realtà del quale non siamo consapevoli, una dimensione che oltrepassa la nostra. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono "parti" separate bensì sfaccettature di un'unità più profonda e basilare, che risulta infine olografica ed indivisibile. E poiché ogni cosa nella realtà fisica è costituita da queste "immagini", ne consegue che l'Universo stesso è una proiezione, un ologramma.
-OM
La sillaba oṁ è tutto l'universo.
Si tratta della contrazione e della condensazione dei suoni che corrispondono alle tre lettere A, U, M e alla risonanza, ossia alla sonorità indistinta che resta pronunciandole, indicata visivamente con il punto (bindu). A ciascuno di questi suoni corrisponde uno stato della realtà. A = stato di veglia allorché si h la conoscenza delle cose esteriori: immediatezza empirica delle cose e dei fenomeni; U = stato di sogno allorché si ha la conoscenza delle cose interiori: si usano i concetti in assenza delle cose e dei fenomeni; M = stato di sonno profondo allorché si è raggiunta l'unità: esiste solo la conoscenza pura;
. (bindu) = stato non duale, stato di non conoscenza (turiya) ove il soggetto e l'oggetto spariscono nella relazione intrinseca.
Questi quattro stati della coscienza sono propri dell'Assoluto Atman/Brahman e appartengono al soggetto empirico solo in quanto questo è una determinazione particolare, una manifestazione specifica dell'Assoluto, un suo Avatar (incarnazione del divino). Ciò anche se il presunto soggetto che esperisce questa comunione profonda, non ne è consapevole. Egli non si rende ancora conto di essere tutt'uno con Brahman e, quindi non riesce ancora a pensare: Io sono il Brahaman! -ONDA* L'attenzione al vuoto di cui sono costituiti tutti i fenomeni conduce alla consapevolezza che ogni elemento e ogni momento della vita non è dotato di un'essenza immutabile nel tempo e nello spazio, ma è costituito da una rete di relazioni mutevoli, la cui esistenza e funzionalità trovano nel vuoto la loro condizione necessaria. Un classico esempio per illustrare tale situazione è quello dell'onda del mare: ogni onda è "vuota " , nel senso che non ha un'essenza propria né limiti precisi e fissi, ma esiste come serie di relazioni mutevoli che la intrecciano con le altre onde, in modo tale che la sua forma e la sua forza risultano condizionate dalle forme e dalle forze di tutte le altre onde che del mare.
Le onde stanno a significare le forme molteplici, i fenomeni empirici che accadono, mutano, si danno alla percezione dei nostri sensi nella loro impermanenza. Onde in relazione le une con le altre. Relazioni di onde, fra onde. Ci sono le onde che si muovono sulla superficie del mare, ognuna diversa, ognuna si crede distinta e dimentica che non solo fa parte del mare... ma è essa stessa da sempre il mare: tutte le onde sono solo lei stessa. Se l'onda potesse esprimersi, direbbe che vede il mare e potrebbe credere di esserne distinta. Se qualcuno le dicesse: "Non vedi che sei il mare, anche se sembri avere una forma definita e ti muovi come se fossi distinta dalle altre?" Sarebbe imbarazzata! In realtà se osserviamo quella distesa d'acqua, è chiaro che NON c'è mai stata un'onda separata dal mare e che scoprendosi come mare unico non può più "saperlo". Se lo sa, significa che è ancora un "qualcosa'' al di fuori, separato da esso. Lo stesso dicasi per la coscienza in cui sembrano apparire montagne, case, alberi, animali, esseri ben distinti uno dall'altro. La coscienza invece è unica, come l'aria a cui attingono apparentemente corpi diversi. Questo è quello che ci hanno fatto credere o meglio siamo noi ad aver creato originali pupazzi che ce lo hanno inculcato e a cui abbiamo incollato un'identità fasulla.
«Come le onde dell'oceano, agitate dal vento, si muovono danzando senza requie, così il flusso della [coscienza] deposito è ininterrottamente agitato dal vento dell'oggettività e si muove danzando e creando onde attraverso la variegate forme della coscienza». Sogni una specie di estasi, ininterrotta. Ma le estasi, necessariamente, vanno e vengono, perché il cervello non può reggere la tensione troppo a lungo. Un'estasi prolungata lo brucerebbe, a meno che non sia di materia purissima e rarefatta. Niente dura nella natura, tutto pulsa, emerge e dilegua. Cuore, respiro, digestione, sonno e veglia -nascita e morte -, a ondate, vanno e vengono. Ritmo, periodicità, armoniosa alternanza degli opposti, sono la regola. È inutile ribellarsi al modello stesso della vita. Se cerchi l'immutabile, scavalca l'esperienza. (Nisargadatta Maharaj) Come ogni flutto sprofonda nell'oceano, così ogni momento ritorna all'origine. La realizzazione consiste nello scoprire la fonte e dimorarvi.
Noi la chiamiamo ONDA ma è pur sempre MARE! E' un'onda la vita! Non ci sono onde senza mare, e non c'è mare senza onde. (Fa zang) -ORACOLO DI DELFI * Ti avverto, chiunque tu sia: Oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l'Universo e gli Dei.
In sintonia con il pensiero orientale che recita:
Questo supremo Brahman, atman universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità é te stesso, perché Tu sei Quello. (Kaivalya Upanishad) Quando si é conosciuto l'atman supremo, che riposa in un posto nascosto, senza parti e senza dualità, quale Testimone, esente dall'essere e dal non-essere, si perviene alla condizione dell'atman universale. (Kaivalya Upanishad) Il conosci te stesso va, forse, inteso nel senso di riconoscere i propri immensi limiti.
Siamo ciò che pensiamo. Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Conosci te stesso. Nulla di troppo. Il difficile è l'amore. E se fossero tutti e tre delle pure aporie? -OSIRIDE, IL DIO CHE RISORGE * La più complessa, ma straordinaria elaborazione del pensiero etico -filosoficoreligioso egizio è senza dubbio la figura di Osiride. Osiride è diverso da tutte le altre Divinità. Osiride è simbolo del dramma dell'esistenza umana: l'ineluttabilità della morte e la speranza della resurrezione. Osiride è il simbolo del Ciclo: Vita -Morte -Resurrezione. E' la "vittima" per eccellenza: viene sacrificato, ma il suo sacrificio e la sua passione, vengono compensati dalla Giustizia e dall'Ordine Universale ristabiliti. Sposo e padre amato, viene soccorso dalla sposa Iside e dal figlio Horos. Osiride non é una Divinità Cosmica, ma un "Figlio di Dio". Non é il Signore dell'Universo; non é Ra il Dio-Supremo nel cui destino solare, attraverso una metafisica apoteosi, il Sovrano si identifica dopo la morte. Osiride é la Divinità in cui é l'uomo comune ad aspirare di indentificarsi. Osiride é la Divinità che conosce il destino dell'uomo e di tutte le creature mortali che fanno parte della Natura; non solamente gli uomini, ma la Natura stessa: vegetazione ed animali. Osiride é la forza della Natura che muore e si risveglia. Osiride é colui che soffre con l'uomo, che conosce la sofferenza e la Morte proprio come l'uomo, ma che poi si riscatta con la Resurrezione. Proprio per questo l'uomo aspira ad identificarsi con Lui perché é il solo, unico Dio che tocca le corde del sentimento.
"Divenire Osiride" dopo la morte, per il genere umano è entrare a far parte del ciclo della Natura. Un concetto che può sfuggire alla comprensione immediata, ma che é presente in molte culture del vicino Oriente: Damuzi dei Sumeri, Attis di Persia, Baal di Siria, ecc.. Non si sa con esattezza fino a quando far risalire il culto di Osiride; con certezza si sa che era presente già nel 2500 a.C. poiché compare nei Testi delle Piramidi; la sua popolarità cresce durante il Nuovo Impero e continua anche in Epoca Tarda fino ai tempi della dominazione romana allorquando, giunto a Roma, diventa Serapide. Come dice R. Clark, mentre Ra, Atum o Ptha danno una spiegazione della loro origine per fornire basi al potere politico, Osiride, invece, tocca i cuori. E' più facile, infatti, spiegare e capire il dramma di Osiride, che comprendere la natura delle altre Divinità. La letteratura Osiriaca é permeata di passionalità, sofferenza, dolore, ma anche di esaltazione e gioia e sono proprio queste caratteristiche che la distaccano e distanziano dai culti delle altre Divinità. Sicuramente il carattere di Osiride nasce all'interno di un antichissimo culto della fertilità e per questo si avvicina più alla Natura che alla Regalità: più agli uomini che ai Sovrani. Osiride é il "ciclo delle stagioni" e il suo culto é una rappresentazione drammatica, perché drammatico é il contesto naturale in cui tale culto é nato. Se per i popoli occidentali i cambiamenti climatici delle Stagioni sono soltanto fenomeni passeggeri della Natura e l'associazione dell'inverno alla Morte é solamente una metafora, per le popolazioni orientali sono da sempre l'espressione di un dramma vero e proprio: é la Natura che muore davvero. Muore perché diventa così arida e bruciata che si stenta a credere che possa rinascere ancora e il dramma di Osiride é la rappresentazione del dramma della Natura. Egli "muore" di morte terribile e violenta proprio come la Natura sottoposta a forze incontrollate, ma poi "risorge" forte e rigoglioso... proprio come la Natura. Per i contadini egizi ed orientali la terra, nella stagione riarsa e rovente, era come il deserto, ossia il Regno della Morte e solo il ritorno delle Acque poteva riportarla alla Vita. Però, mentre il deserto era lì, minaccioso e onnipresente, le inondazioni potevano non tornare, ritardare o arrivare troppo abbondanti. Ecco come era salutato l'arrivo della pioggia: "Salute a voi, Acque che Shu ha portato e bagnerà le membra di Geb (la terra). Adesso i cuori possono perdere la paura e i petti il terrore.." Ed ecco, invece, la preghiera ad Osiride: "Osiride appare ovunque ci sia un traboccare di acque." Osiride, dunque, non é "le Acque" o la "Inondazione" che risveglia la Natura, Osiride é la Forza di riproduzione della Natura vegetale e animale. Le acque del Nilo nutrono il seme e stimolano la sua crescita fino a quando spunterà dalla superficie del terreno come grano. Ecco cosa riporta un testo dei Sarcofagi in cui lo Spirito del Nilo annuncia il risveglio della Natura: "Io sono colui che esegue per ordine di Osiride al tempo della grande piena. Io alzo il mio Divino Comando al sorgere d Osiride nutro le piante e rinverdisco quello che era secco..." Osiride, dunque, é il Signore delle Messi. Nella Teologia é un Dio di quarta generazione: ATUM -SHU/TEFNUT -GEB/NUT Osiride é figlio di Geb, Signore della Terra e Nut, Signora del Cielo: é sposo di Iside e fratello di Seth, eterno nemico e di Nefty. Osiride ha regnato come Sovrano d'Egitto durante l'Età dell'Oro. Le liste Reali iniziano proprio con il Regno-degli-Dei, poi seguono quelle dei Semi-Dei, degli Esseri-di-Luce e infine quelle dei Servitoridi-Horo. Il mito di Osiride é noto a tutti: ucciso dal fratello Seth e ridotto in pezzi il corpo, questo fu ricomposto dalla pietà di Iside e Nefty e dall'opera di imbalsamazione di Anubi, il figlio avuto da Nefty. Benché non completamente riportato in vita, Iside concepì con Lui un figlio, Horo, che si incaricò, appena cresciuto, di vendicare il padre e riportare l'ordine nel mondo distrutto da Seth. L'apice del dramma si raggiunge proprio adesso. Nella sua forma mummificata, Osiride é immobile e impotente, in balia di nemici. Proprio come la vegetazione é in balia degli eventi atmosferici ed aspetta di essere salvato e sostituito. E' il "Vecchio" che verrà sostituito dal "Nuovo" e il "Nuovo" é Horo, suo figlio. Horo é il figlio vendicatore che combatte contro Seth, ossia il deserto, espressione della Natura nel suo momento più drammatico: l'arsura e la siccità. Ma Horo vincerà su Seth e nel mondo tornerà l'ordine precostituito delle cose... le Acque vinceranno sull'Arsura e la Natura tornerà a germogliare, sotto la spinta di Neper, il Genio del Grano. C'é, nella teologia egizia, la tendenza ad accostare i fenomeni della Natura alla funzione ed alla personalità delle varie Divinità: Seth e le tempeste, Hapy e la piena delle acque... Osiride e la forza vegetativa.
-OSSERVATORE* Tra osservatore e osservato esiste una strettissima relazione che frantuma il sogno della fisica classica di poter studiare il mondo dall'esterno, senza coinvolgimento, come se chi osserva non facesse parte anche lui del mondo.
Nella meccanica quantistica si descrive un sistema come esso è visto da un altro sistema considerando le relazioni fra il sistema che osserva e il sistema osservato. La realtà è data dalle interazioni fra tutti questi sistemi. Il mondo è fatto di relazioni e di osservazioni reciproche.
L'osservatore crea una realtà fittizia ma pure l'osservatore non è reale.
I ricercatori del futuro, uscendo dai loro schemi mentali meccanicistici, dovrebbero orientarsi verso un tipo di ricerca che li vedrà occupati in veste di ricercatori "spirituali" nel campo del "sottile", della coscienza cosmica e del campo unificato. Se riusciranno a superare quel LIMEN, un punto liminale o limite di separazione, causato da una soglia sensoriale, psicofisiologica, che procura all'uomo l'illusione 322 ottica di essere Altro dall'essere un unico con il Tutto e di non vedere che Osservatore e Osservato (come asserisce la fisica quantistica) sono UNO. Si tratta quindi di incominciare a riconoscere che esiste una realtà fatta di una certa identità presente tra uomo e cosmo. P -PAROLA ** Vac, la parola vedica, è l'originaria manifestazione del Brahaman, dell'Assoluto. Vac fu prima di tutta la creazione, prima che qualunque essere venisse in essere. Vac è principio vivificatore di tutti gli essere. Vac è il grembo dell'Universo. Vac è rappresentante della realtà universale. Vac dunque si pone come fondamento non solo linguistico ma anche ontologico. Da confrontare con: "In principio era il verbo …".
Ogni parola deve essere pronunciata rinunciando alla pretesa che essa sia quella definitiva. Ogni pensiero deve essere pensato rinunciando all'idea che esso sia quello definitivo.
Il nominare viene inteso come l'essere stesso di ciò che si nomina. A colui per cui la parola è una cosa reale, provvista di natura propria, si potrebbe giustamente imputare la tesi dell'esistenza della natura propria. Ma per noi la parola è una cosa irreale.
Le parole È inutile lottare con le parole Per esprimere ciò che ne è al di là Ogni divisione è nella mente Niente esiste da sé Le parole tentano di descrivere parti del mondo ritenute stabili ma che, forse, non sono né parti e neppure stabili.
Qualsiasi cosa si possa dire che una cosa è, non lo è. Con ciò Korzybski intende significare che le parole usate per parlare di una cosa non sono quella cosa; da qui la nota formula: una mappa non è il territorio che rappresenta.
La parola sopravvive solo se riconvertita in evento. (Ricoeur)
Ognuno di noi è responsabile di ciò dice ma non può esserlo anche di ciò che l'altro capisce.
Ogni termine non esiste autonomamente, ma esiste soltanto in relazione al suo opposto e, tale opposto, non è fisso ma dinamico (relazione dinamica).
Le parole sono utensili, sono manopole, monete, mezzi di scambio; non sono piccole icone delle cose che rappresentano.
Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire. (Merini) Nietzsche riflette a lungo sulla seduzione delle parole e conclude che non bisogna rimanere imprigionati nella trappola delle parole stesse.
Alla parola è strettamente connessa l'illusione che ci sia una cosa che possiede delle proprietà.
Le parole non sono la realtà e la realtà non è solo l'essere.
Le parole prima di tutto. Si, le parole, prima di tutto, bisogna dare ai poveri, agli ultimi perché di parole essi sono poveri. Prima anche del vangelo e dell'eucarestia perché senza un minimo di cultura non c'è modo di poter comunicare, di poter capire, di poter scegliere. Questo pensava Don Milani e questo non era certo l'idea della Chiesa del suo tempo e dei tempi precedenti che esigeva solo obbedienza.
Popoli della terra non distruggete l'universo delle parole che uno non intenda morte, quando dice vita. (Nelly Sachs) Che cos'è la mente se non parola? E che cos'è la realtà non-mente se non parola? E che cos'è la verità assoluta se non parola? Tutto è parola. Ed allora per fuoriuscire dalle parole è solo possibile la negazione dei concetti. E quindi nella realtà non-mente è già presente l'assenza dei concetti, l'assenza delle interpretazioni, l'assenza dei punti di vista ed il pensare non reso proprio.
Le parole non creano i fatti; o li descrivono o li distorcono. Il fatto non è mai verbale.
La rivelazione vedica ci dice in innumerevoli testi che la Parola (vac), non è semplicemente un'invenzione della mente dell'uomo o un mero strumento di comunicazione, o una semplice espressione di ciò che l'uomo è. La Parola vedica (vac) è certamente tutto questo, ma è infinitamente di più. Fondamentalmente essa è importante quanto Brahman e, se compreso correttamente, è Brahman stesso, non nel senso che ogni essere in definitiva 'è' Brahman, ma in modo del tutto particolare: la Parola è la prima manifestazione dell'Assoluto, dal quale scaturì. In ultima istanza Dio non ha nome, perché Egli stesso è Parola. (...). Sarebbe inadeguato parlare di vac esclusivamente come del principio dell'intellegibilità dell'universo, perché essa è anche il principio della pura affermazione che emerge dal nulla assoluto. Vac è proprio la Parola totale vivente, vale a dire la Parola nella sua interezza compresi i suoi aspetti materiali, il suo riverbero cosmico, la sua forma visibile, il suo suono, il suo significato, il suo messaggio. Vac è più che mero significato o suono privo di senso; è più di una semplice immagine o veicolo di determinazione. Era al principio. E' l'interezza della sruti. La sruti è vac." (Pannikar) Nella attuale società la parola diventa solo mezzo e il linguaggio strumento. Questa perdita di significato originario della parola, questa perdita di magia, questo scioglimento di ogni illusione, potenzia la parola come veicolo della volontà di dominio, violento e prevaricatore; i mezzi di comunicazione di massa ne moltiplicano l'eco, cosicché la parola acquista un nuovo potere magico negli slogan della propaganda e della pubblicità. Non più la parola come referente del colloquio personale, ma come cassa di risonanza del comizio politico, delle colonne dei giornali e dei rotocalchi. (Maffiotti)
Come non osservare che la pretesa della parola che dice: "tutto è mortale", è insensata? Essa per essere vera, per dire il vero, deve già fare eccezione per se stessa. Tutto è mortale, sì; tutto diviene nel tempo, salvo evidentemente questo "dire", che si assegna contraddittoriamente a una verità eterna. Ma nel contempo qualsiasi pretesa della parola di dire verità immortali è a sua volta assurda, perché la parola è semplicemente parola (mia osservazione: sia che essa sia umana e sia che essa sia, dall'uomo, attribuita alle varie divinità), segno ed evento legato alla malattia cronica del tempo, cioè a quella malattia mortale che, proprio parlando, essa si assegna e ci assegna. Quale mai verità della parola ha retto al tempo e non è scomparsa alla lunga nell'indifferenza dell'oblio, trasformando la sua illusione di durare immobile per sempre nel vaniloquio dell'insensato e nella radicale contingenza del passato? Materialismo e Spiritualismo: due opposte e correlative superstizioni di parola. Il medesimo abbaglio e un comune paradosso. (Sini) Quando le parole, le memorie ecc. spariscono se viste nella loro limitatezza, etichette ecc. allora ciò che non puoi definire prende possesso dello spazio lasciato libero … sono immagini certo, ma si tratta di verificare, come un laser neutro (non con altre definizioni!) …''chi o cosa sono? '' ''non-so-che-non so''.. rimane una sospensione neutra (il puro essere senza io, ma è ANCORA QUALCOSA!) Le parole sono solo etichette e noi confondiamo le etichette col prodotto invece di ..mangiarlo. Se non c'è spazio-tempo le parole anche loro si dileguano come il corpo e il mondo.
(Isabella di Soragna)
Ogni parole è letteralmente una parabola: essendo messa a fianco o in parallelo alla realtà, essa va interpretata e compresa e si presta, dunque, a essere fraintesa. (Odifreddi) Se ci si rende conto che ogni fenomeno -sia esso di natura fisica, psichica o etica -è in realtà una rete di fenomeni, diventa evidente che ogni definizione certa e definitiva di un fenomeno e ogni sua classificazione conclusiva diventano imprese impossibili; e diventano tanto più impossibili allorché si tenga presente che la rete di relazioni che costituiscono un fenomeno non soltanto è virtualmente infinita, ma è anche in movimento e quindi impermanente, quindi indisponibile a venir catturata da una qualche parola o da qualche definizione. Per un "risvegliato o un puro di cuore, infatti, «ogni parola dice solo provvisoriamente e solo qualche aspetto della cosa e dell'evento a cui si riferisce: ogni parola, anche la più sublime, in quanto necessariamente finita, non può mai pretendere di rappresentare tutta" la cosa, dato che la cosa è un grumo variabile di interconnessioni infinite. Ciò significa in altri termini che la parola non può mai essere piena: la realtà, anche la più piccola e insignificante, è ad essa sempre eccedente.
La parola traccia i limiti delle cose e le mette al mondo.
Le parole vengono inventate dagli uomini. Pitagora, ad esempio, ha inventato parole quali filosofia e matematica mentre Platone ha inventato le parole metodo, pensiero, noumeno e altre ancora. A dimostrazione di ciò si ricordi che, nelle opere di Omero, sono assenti le parole soma e psychè (corpo e anima).
E' la parola che procura l'essere alla cosa. (Heidegger)
Odifreddi dice invece che bisogna evitare la reificazione o ipostatizzazione delle parole e cioè scambiare dei concetti astratti (quali brahman e atman) per degli oggetti concreti. Ma che cosa sono gli oggetti concreti senza una mente che li dice tali? Loro infatti non sanno di essere oggetti concreti! Non dimentichiamo poi che, alla fine, tali oggetti concreti sono solo ammassi di atomi in frenetico movimento che, a loro volta, sono solo relazione di energia, altro che oggetti concreti! Dice Odifreddi che le parole di natura fisica sono sensate mentre quelle di natura metafisica non lo sono. Chiedo: esisterebbe questo dualismo senza il pensiero, senza la mente? La distinzione fra fisica e metafisica che l'ha fissata se non la nostra piccola logica? E se non fossero due? Per lo zen la parola è l'inizio del dualismo: l'uso delle parole è intrinsecamente dualistico. Non bisogna avere fiducia nelle parole perché esse vogliono descrivere le cose come se fossero separate dal resto del mondo quando, in realtà, non lo sono se non per la nostra percezione che suddivide il mondo in parti.
Parlare significa, prima o poi, tradire. Scrivere significa, prima o poi, tradire. Solo il silenzio è senza malizia. Il silenzio è primo e ultimo. (Bobin) La teoria sulla corrispondenza fra parole e cose è solo semantica.
L'unica cosa che lega le parole al loro significato è l'abitudine.
Ogni parola è un insieme relazionale di significante e di significato. Di suono e di immagine, di lettere e di senso. Va osservato anche che tra significante e significato, tra le parole e l'oggetto passa una grande differenza. Infatti fra la parola g-a-t-t-o e l'animale stesso la discrasia è enorme. Per Lacan il significante dell'acqua è il segno tracciato. Sia esso un disegno, un geroglifico, un ideogramma o una parola (acqua, water, eau, wasser). Mentre il significato è l'acqua che bevi. In linea generale, il pensiero orientale (e lo zen in particolare) è molto più attento al significato che al significante: alla cosa percepita che al suo nome. "Ritornare alle cose stesse" direbbe la fenomenologia di Husserl.
Sia la mentalità orientale che le lingue ideografiche si prestano molto bene ad attribuire varie sfumature di significato a ogni segno particolare. Ciò è in totale contrasto con la scrittura e il pensiero occidentale che mirano a dare un solo e dogmatico senso a ogni lettera dell'alfabeto e, quindi, a ogni conseguente parola.
A volte le parole ti scappano e diventano loro le protagoniste.
Due persone che usano la stessa parola non sempre hanno lo stesso pensiero in testa.
Le parole sono solo indicazioni, non sono reali in se stesse.
Le parole ti hanno reso prigioniero, le parole possono liberarti, l'ignoranza venne ascoltando e se ne andrà con l'ascolto. Le parole sono false, solo il significato che indicano è reale.
Vi è uno stato di pienezza che le parole non possono penetrare.
Abelardo nominalista dice che noi attribuiamo un predicato a una parola come significante e non come fatto fisico. E' necessario che i cambiamenti nel significato delle parole procedano più lentamente dei cambiamenti nelle cose che le parole descrivono.
Le parole sono come dita che indicano l'inconoscibile, l'indescrivibile, l'ineffabile. Rifiutate la parole e vedete quello che c'è da vedere.
Non sono gli dèi a creare: è la parola stessa che crea.
Le parole sono solo delle indicazioni, non hanno realtà intrinseca.
Chi dice una parola fondamentale entra nella parola e la abita.
Ma il solo parlar nulla rivela -meno ancora se non trova orecchio compiacente che gli conceda la momentanea illusione. (Michelstaedter)
Ogni misurazione della cosa, anche la più precisa, non da mai la cosa stessa. Ogni parola o concetto attorno alla cosa può risultare utile a noi per usarla ma non per conoscerla. Cercare una parola o un concetto che esprima qualche cosa in modo definitivo è una frustrante illusione.
Le parole influenzano i pensieri e le emozioni.
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Quando pronuncio la parola futuro, la prima sillaba già va nel passato. Quando pronuncio la parola silenzio, lo distruggo.
Quando io parlo di te in realtà sto rivelando il mio modo di essere. Quando tu parli di me in realtà stai rivelandoti.
Le parole sono solo parole (rumori?) ma noi le scambiamo per la realtà. La realtà non può essere compresa tramite parole, insegnamenti e speculazioni.
Hai inventato un mucchio di parole: interno, esterno, sforzo, sé, ecc., e t'industri a sovrapporle alla realtà. Le cose sono come sono, ma ci ostiniamo a incasellarle in uno schema linguistico. L'abitudine è così radicata, che tendiamo a negare realtà a tutto ciò che non sia verbalizzabile. Le parole sono simboli convenzionali. Le parole riflettono uno stato della mente, non la realtà.
Le due rive, il fiume, e il ponte che l'attraversa, sono nella mente. Le parole, da sole, non possono portarti al di là. Deve esserci un'immensa sete di verità, o una fede assoluta nel maestro (n.d.r. fede non condivisa dal Buddha). Credimi, non c'è obiettivo, né strada per raggiungerlo. Tu sei la strada e l'obiettivo, non hai altro da raggiungere che te stesso. (Nisargadatta Maharaj)
-PECCATO ORIGINALE *
In Oriente è sconosciuto il concetto di peccato originale da espiare e il bene e il male vengono considerati, seppur in proporzioni diverse, sempre compresenti. Manca completamente il senso del peccato come colpa da pagare, da espiare.
Forse il peccato originale fu la nascita dell'ego, dell'io, dell'autocoscienza. Il vero peccato originale fu la rottura del tutto indifferenziato delle origini, dell'assoluto (Brahaman, Apeiron, Dharmakaya, Uno, Tao, Nagual) con la conseguente creazione della dualità: uno e molteplice, conoscente e conosciuto, bene e male, uomo e Dio. La conoscenza è divisione della realtà indivisa: ecco la radice dv, diavolo che significa appunto dividere. Però ogni notte, nel sonno profondo, torniamo al paradiso dell'indiviso, di prima dell'ego allorché non c'era separazione, non c'era ancora il tempo e neppure lo spazio. Prima che la linea tracciata sul foglio bianca lo divida in due.
La nascita è solo l'inizio di una 'separazione' (sofferenza) che si ri-unisce nel sonno profondo e alla morte in cui.. si torna a casa … (Isabella di Soragna) La povertà sta diventando una colpa, introiettata nella coscienza collettiva e nel codice politico dominante, così come il migrante si porta addosso il marchio dell'ultima mutazione del peccato originale: il peccato d'origine.
Il peccato originale non è un peccato...è solo una scelta dell'io che si oppone al mondo per affermare se stesso! poi, se è intelligente e libero, l'io supererà la dualità tornando nel tutto.
Siamo nati innocenti non avendo scelto di nascere: nessun senso di colpa dunque. Per Schopenhauer l'idea di un io è solo il prodotto del lavoro del rappresentare: è quindi una costruzione dell'intelletto. L'egoismo pratico considera e tratta la persona propria come la persona reale e tutte le altre come puri fantasmi. Quasi tutti gli uomini si accontentano del mondo come rappresentazione mentre solo alcune persone speciali riescono a vederlo come volontà di vita. Per Schopenhauer IL PECCATO ORIGINALE consiste propriamente nell'affermazione se stessi creando il primo grande dualismo: io-altro da me.
L'espiazione di una colpa originale: anche Pitagora la pensa così da buon orfico. E se la colpa originale fosse semplicemente il paradigma dell'individuazione? Anche Anassimandro sembra pensarla così nel suo famoso frammento filosofico.
Forse però al centro dell'idea religiosa può anche non esserci il senso del peccato ma semplicemente un senso di comunione con tutto e con tutti consapevoli del mistero che ci avvolge e ci compenetra.
-PENSIERO* L'appartenenza reciproca di pensiero ed essere. L'avvolto che avvolge. Essere e pensiero sono inseparabili, essendo entrambi entità concettuali.
Il pensiero è relazione. Pensante e pensato sono concetti utili alla rappresentazione, ma non si danno nella realtà esterna al pensiero.
Il pensiero ha una vocazione apolide, internazionale, anarchica. Esso non sopporta classificazioni fondate su cristallizzate diversità storiche e geografiche.
Serve il congedo del pensiero da se stesso per una realizzazione pacificata dell'ultima realtà, non più dispiegabile discorsivamente.
Il pensiero non può venir inteso come un "genere" qualsiasi, nemmeno quale genere sommo, come, per esempio, quello di "Essere", perché ogni genere, in quanto concetto, è prodotto dal pensiero:"Se il conoscere ha da essere un fare, per necessità consegue che ciò che viene conosciuto subisca. E così l'essere, appunto per questa ragione, essendo esso conosciuto dalla conoscenza, per tanto, per quanto è conosciuto, si muove perché subisca un'azione". Pertanto, si può dire che nel Sofista possiamo attingere all'acquisizione più profonda di tuta la filosofia di Platone: ci può essere conoscenza dell'essere e del non essere solo in quanto il pensiero (logos) è in grado di coglierli nella loro reciproca relazione; poiché essi non esistono all'infuori di questa relazione, il pensiero di dà necessariamente come loro fondamento. (Pasqualotto) Cittamatra: nulla è oltre il pensiero! Capito questo si va oltre anche al pensiero. "Non lo so". Gli aspetti di un pensiero senza pensante! Non solo le cose ma anche i pensieri esistono solo in quanto si costruiscono attraverso relazioni.
Il pensiero complesso coglie la struttura relazionale dell'esperienza perché intende la realtà come composta di relazioni e, in quanto oggetto del conoscere, come vincolata al soggetto del conoscere stesso. Si potrebbe affermare che la primitiva relazione di soggetto e oggetto tende a moltiplicarsi nelle infinite relazioni che sussistono tra gli oggetti e all'interno di ciascuno di essi.
Esiste un ponte, un collegamento fra il puro pensiero e le cose -eventi? I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell'abitudine. (Galimberti) Il pensiero debole di Vattimo intende significare che la filosofia è chiamata ad abbandonare il suo ruolo fondativo e ad intendere la verità non come adeguazione del pensiero alla realtà ma solo come interpretazione.
Dove si ritroverà il pensiero? In quale luogo?
Il pensiero è materia. (U.G.)
Se vogliamo usare un termine politico crudo, il pensiero è fascista: per nascita, contenuto, espressione e azione. Non c'è via di uscita, è un meccanismo che si autoalimenta. (U.G.)
Voglio contraddire le persone in India che dicono che il pensiero dev'essere adoperato per realizzare uno stato meditativo di assenza di pensiero. Non esiste qualcosa come uno stato privo di pensieri: i pensieri ci sono e ci saranno sempre. Il pensiero finirà quando sarete un corpo morto. (U.G.) L'errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L'errore della filosofia occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero. Il pensiero può spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa.
Il pensiero ha la tendenza a costruirsi da solo delle trappole nelle quali rimane poi invischiato e prigioniero ipostatizzando e reificando le più svariate parole del linguaggio: dalla verità all'essere, dall'infinito a dio, dal tempo alla realtà, dalla democrazia alla realtà. (Odifreddi)
Il pensiero puro, in quanto non mischiato alla religione e alla mitologia, sarebbesecondo molti -proprio della sola tradizione occidentale. In realtà, gran parte del pensiero occidentale è permeato da religione -da Platone a Plotino a tutta la filosofia medievale a Cartesio e Spinoza, ad Heidegger. Noi vogliamo imporre il nostro pensiero precostituito e, in base a questo, giudicare il mondo, gli eventi e gli altri. Dovremmo invece lasciarci contaminare da tutto e da tutti senza prendersi mai troppo sul serio.
Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.
(Giordano Bruno)
Il "pensiero critico" è quello che impedisce di raggiungere qualsiasi conclusione definitiva. (Boncinelli)
Il pensiero filosofico e la religione sono due tentativi di consolarsi del fatto che pensiero e realtà non coincidano. (Boncinelli)
Il pensiero che pensa l'essere … pensa il nulla, perché il nulla è l'essenza dell'essere. I fisici, ricercatori di un settore come quello del campo della fisica quantistica, confortati dagli studi delle neuroscienze, hanno scoperto al CERN di Ginevra che la "nuova sostanza primordiale", base della formazione dell'Universo, non è la "materia", bensì l'Informazione. Un campo di Coscienza universale, interamente intelligente. Un "Campo Energetico Unificato", come lo definisce oggi la fisica e che un tempo, circa 5000 anni fa, il mistico indicava con il nome di "Akasha".
Osserviamo che la materia, ovvero il fondamento della visione meccanicistica della realtà, che si credeva "solida", densa, compatta ed intangibile, perdendo la sua consistenza materiale, si trasforma sempre di più in un Pensiero.
Si inventa, con il pensiero, la fede per sentirsi sicuri, per superare la paura di non essere niente. Ci attacchiamo a una illusione?
La memoria è la sola cosa che crea il mondo intero e la memoria è l'ultima cosa che ci connette col mondo fenomenico. Se si capisce che la memoria è soltanto un pensiero, che a sua volta è solo pura Coscienza -il Sé -allora la memoria e con essa il mondo, si immerge nel Sé. (Nisargadatta Maharaj) Prima nasce il pensiero IO poi arriva il pensiero MONDO. Il MONDO è creato dal pensiero IO che proviene dal SE' eterno.
Da ciò che non ha distinzione (sunyata in tibetano) il pensiero crea le cose affettando la realtà. Noi creiamo Golem e Tulpa e poi li crediamo creature esterne e vere.
Se pensi di essere libero, sei libero, se pensi di essere in schiavitù, sei in schiavitù. È il pensiero che crea tutto questo.
Il pensiero è la natura della mente. Separatamente dai pensieri non vi è un'entità indipendente chiamata mondo.
Il pensiero, la vita e l'energia sono la stessa cosa?
Noi siamo tutti i guardiani di un gregge: il gregge dei nostri pensieri. I pensieri vanno e vengono, ma non sono nostri. Lasciamoli venire, lasciamoli andare.
Qualcosa che noi possiamo pensare esiste anche al di fuori del nostro pensiero? Esiste un ponte fra il puro pensiero e le cose? (argomento ontologico di Anselmo)
Forse l'uomo non pensa, forse è il pensiero che pensa.
I pensieri sono, forse, forme di vita e non appartengono a un soggetto.
Il pensiero non cerca la verità... cerca la vita! Il pensiero nasce nel porsi le domande.
"Il pensiero vero è quello in cui Io e Tu si riuniscono" (Lowit trattando di Feuerbach)
Nella storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi avvengono nei punti di interferenza fra diverse linee di pensiero.
Quasi tutti vogliono le stesse cose, quasi tutti pensano le stesse cose... piccole cose rassicuranti, senza rischiare nulla! E se imparassimo a rovesciare il tavolo apparecchiato di certezze?
Io sono pensiero, solo pensiero: senza pensiero non vi è né io né mondo.
Senza il pensiero non c'è materia, non c'è tempo, non c'è spazio e non c'è causalità.
Il pensiero umano nasce nel flusso della vita e non sarà quindi mai in grado di spiegare la vita.
Siamo quello che pensiamo.
Tutto ciò che siamo nasce con i nostri pensieri... Noi creiamo il nostro mondo.
Einstein presupponeva che esistesse una sorta di armonia prestabilita fra pensiero e realtà (così come pensavano anche i pitagorici e gli aristotelici e come pensano molti di noi).
Il pensiero è un'immensa architettura mentale e ogni mente ha la propria perché non c'è mente che somigli ad un'altra come non c'è foglia dello stesso albero che sia identica alle foglie che le sono spuntate a fianco. Di più: la stessa foglia cambia man mano che il tempo passa.
I pensieri vanno e vengono, non sono miei. Lasciamoli venire, lasciamoli andare. Non hanno niente a che vedere con me. (Poonja)
Il pensiero dell'aut-aut (o bianco o nero) potrebbe venir rimpiazzato da una interazione molto più sfumata, fruttuosa e tollerante...
Tutti gli esseri nascono dal pensiero, mediante il pensiero gli esseri vivono e nel pensiero ritornano allorché trapassano. (Upanishad)
Per Fèdida il pensiero prendeva senso solo dal percorso stesso, piuttosto che dal fermarsi in un luogo recintandolo con un atto di proprietà.
Mi piace il pensiero ibrido, meticcio, eretico: non sono solo cristiano ma anche cristiano, non sono solo zen ma anche zen, non sono solo anarchico ma anche anarchico, non sono solo irriverente ma anche irriverente.... e così via … C'è un fiume di pensieri che ti trascina via … esci dal fiume! I Pensieri sono come i Sogni, vivono, quasi sempre, autonomamente e insubordintamente a noi! Dove c'è pensiero c'è dualità. Dove c'è amore non c'è dualità. Il pensiero divide. L'amore unisce.
Convinciti che non ci sono idee che siano tue, e che tutte ti arrivano dall'esterno.
Come le nuvole che si formano, rimangono un istante e si fondono nel vuoto del cielo, i pensieri sorgono, persistono un istante e si riemergono nel vuoto dello spirito. In realtà non è successo nulla.
I pensieri si autodefiniscono IO e, qualche cosa, si comporta come se esistesse. Secondo la concezione comune l'io è anche dotato di libero arbitrio La causalità e il libero arbitrio sono solo finzioni.
Il pensiero compare dalla vita, nella vita ed è ad essa strettamente legato. Il pensiero non riesce però a spiegare la vita e il suo enigma insolubile. Il pensiero non può risalire alle spalle della vita che lo ha generato! Da dove vengono i pensieri? Sono nostri? O forse ciò che avviene non è null'atro che la nascita e la morte di pensieri senza "padrone"?
Il pensiero e il pensatore sono la stessa cosa.
Il pensiero non è specificatamente né soggettivo e neppure oggettivo.
Lo stato naturale non è uno "stato senza pensieri" -questo è una burla che dura da millenni fatta ai poveri Indù. Non sarai mai senza pensieri finché il corpo non sarà un cadavere. Pensare è necessario per sopravvivere. Ma in quello stato il pensiero smette di soffocarti e cade nel suo ritmo naturale. Non c'è più un "io " che legge i pensieri credendo siano i suoi! (U.G.)
Il pensiero è qualcosa prodotto dalla nostra mente che è in relazione con il mondo. L'errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L'errore della filosofia occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero. Il pensiero può spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa.
Se sai riconoscere il carattere vuoto dei pensieri, non appena sorgono, svaniranno. Essi traversano la mente come un uccello in volo, senza lasciare traccia.
Il pensiero e l'essere sono la stessa cosa? Sono distinti? Il pensiero nasce all'interno dell'essere oppure è il pensiero a creare l'essere? L'avvolto che avvolge … Bleuler e Jung dicono che siamo tutti folli che cercano di mostrarsi sani. La nostra specifica follia è ciò che ci individua. Infatti, per quanto riguarda la ragione, siamo tutti uguali perché rispettiamo le stesse regole.
Di notte non funziona la logica di causa effetto, non esiste il tempo e neppure lo spazio secondo la logica usuale.
Gli uomini vogliono espellere la follia da sé senza mai riuscirci perché l'indifferenziato è la loro genesi. La follia è la condizione pre-umana visto che l'uomo si ritiene animale razionale.
Noi non siamo identici a noi stessi dalla mattina alla sera. Oltretutto ognuno di noi è un caleidoscopio di personalità diverse che si mescolano e si sovrappongono: personalità latenti che si manifestano e si impongono momentaneamente. Così a volte siamo buoni e saggi altre volte siamo cattivi e stupidi.
Temi elaborati su di un medesimo sostrato mediterraneo e asiatico, temi orientali che avevano agito sull'ellenismo, temi ellenistici passati nelle civiltà orientali, sono sopravvissuti con continuità nelle officine lontane, al riparo dalle convulsioni del Medioevo e ricominciano a circolare tra i due mondi. Condizionate dal sistema greco -buddhista, queste concordanze e queste identità d'elementi ne favoriscono adesso una nuova migrazione verso occidente. Curioso e il destino di questo esodo e di questo ritorno di tutto un gruppo di forme fantastiche, dopo un lungo soggiorno in culture più stabili. Dopo essere passate per l'India, l'Asia settentrionale, la Cina, ne ritornano trasfigurate, cariche di significati e di leggende, pronte a reintegrarsi nell'epopea dell'Occidente. Ogni tanto farebbe bene domandarsi chi siamo. Per esempio, da un punto di vista psicologico siamo più simili a una collana di perle o a una corda? La collana è fatta di elementi che cambiano restando però sempre uguali e che sono tenuti insieme da un filo continuo, mentre una corda è costituita da fibre che stanno saldamente insieme, anche se non c'è nessuna fibra che corra per intero lungo tutta la corda. L'esperienza comune porta a credere che l'identità personale sia più simile a una collana di perle con il suo filo unico e continuo, ma le prove che vengono dalla ricerca sembrano indicare che assomigliamo di più a una corda. Quindi, nel tempo non ci sono componenti della nostra vita mentale che persistono costanti. E non solo: singole componenti di noi stessi possono manifestarsi autonomamente e prendere decisioni, che erroneamente crediamo essere state prese dal nostro sé completo.
Per gli etruschi (ai quali i romani devono molto) la parola persona (da Perseo) significa maschera.
Il personaggio "cosciente" si guarda a vivere in lotta con se stesso e non gli resta che un compassionevole sorriso.
Una persona inizia a vivere quando impara a vivere al di fuori della prigione del suo Ego. (Einstein)
Quando una persona (chiamiamola A) emette un giudizio su un'altra persona (chiamiamola B), tale giudizio caratterizza molto più A che B, descrive più chi emette il giudizio che è oggetto del giudizio.
L'incontro fra due personalità è come il contatto fra due sostanze chimiche: se c'è una reazione, entrambe si trasformano. (Jung)
Nessun uomo è un'isola completa in se stessa; ogni uomo è un frammento del continente. (Donne)
Al complesso argomento dell'identità personale e della sua costanza o incostanza nel tempo ha dedicato ampio spazio la rivista New Scientist. Se dunque la ricerca ha dimostrato che la nostra identità è più che altro un insieme non continuo di componenti, qualcosa deve tenere insieme tutti questi pezzi, altrimenti non potremmo percepirci come persona unica; qualcosa ci tiene insieme dal punto di vista psicologico, integra tutte le informazioni che provengono dall'interno del corpo e dal mondo esterno, oltre che dalla nostra storia personale, illudendoci di essere un'identità unica. È questo «qualcosa» che «tiene insieme» a costituire ciò che chiamiamo la nostra personalità, il sé, l'identità, che è anche l'agente che pensa i nostri pensieri e compie le nostre azioni.
Si tratta del risultato di un'azione complessa di cui quasi mai ci rendiamo conto, e che dipende dal buon funzionamento del cervello. Ma c'è di più. Oltre all'illusione del sé esisterebbe anche l'illusione di essere gli autori coscienti delle nostre azioni, che invece sarebbero determinate da imperscrutabili meccanismi inconsci, come peraltro già Freud aveva intuito. Dicono in proposito gli psicologi Daniel Wegner e Thalia Wheatley dell'University of Virginia, autori di un classico articolo pubblicato sulla rivista American Psychologist: «Credere che i nostri pensieri coscienti siano la causa delle nostre azioni è un errore basato sull'esperienza illusoria della volontà». E poi, dato che sembra non esserci limite all'incertezza, forse non esiste neanche il presente, che è proprio il tempo nel quale percepiamo la nostra identità corrente.
Diversi studi sulla percezione hanno dimostrato che c'è un piccolo ma significativo scarto tra gli eventi del mondo che ci circonda e la nostra percezione. Un esperimento, chiamato flash lag illusion (l'illusione del flash che resta indietro) dimostrerebbe che il presente che percepiamo è solo una ricostruzione di qualcosa che è appena passato. L'esperimento viene realizzato con un disco rotante sul quale è disegnata una freccia con la punta rivolta verso il bordo del disco. Vicino al disco c'è una luce che si accende ogni volta che passa la punta della freccia e che dovrebbe quindi essere percepita esattamente al suo passaggio. Invece, quello che succede è che la luce viene percepita in ritardo rispetto al passaggio della punta della freccia. Il fenomeno è stato studiato da David Eagleman del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, e dal Terrence Sejnowski del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California. Dato che non è possibile pensare che la nostra mente possa estrapolare il futuro, la spiegazione che i ricercatori danno del fenomeno è che il cervello usa il passato immediato per costruire quello che percepiamo come presente. Viviamo un passo indietro a ciò che realmente accade.
Quando credi di essere una persona, vedi persone ovunque. In realtà non ci sono persone ma solo memorie e abitudini. Nel momento della realizzazione la persona cessa di essere.
Ognuno di noi è stato molti personaggi nessuno dei quali va però cancellato perché ognuno è tanti.
La persona non è un ente esistente in modo autonomo rispetto alle relazioni che lo costituiscono; da ciò deriverebbe la constatazione che gli eventi mentali non sono necessariamente riferibili a un soggetto.
Sei capace di custodire in te l'unità senza dividerti fra fortuna e sfortuna, fra bene e male?
La soggettività deve essere ampia e costruita su connessioni infinite che sono contemporaneamente se ed altro da sé.
E' giusto prendersi cura di sé (epimeleia) senza però prendersi troppo sul serio.
Forse non esistono le presunte differenze spaziali fra le diverse persone e neppure quelle temporali fra la stessa persona: siamo, forse, solo come personaggi di un racconto.
La nave di Teseo: sostituendo tutte le parti la nave rimane la stessa? Ciò vale anche per la nostra persona? Certo! Tutte le nostre cellule vengono sostituite naturalmente entro un certo periodo di tempo. Noi cambiamo continuamente come la nave di Teseo: siamo ancora gli stessi?
Un organismo è un'interazione. La persona non è un ente esistente in modo autonomo rispetto alle relazioni che la costituiscono. La pretesa di qualcosa di porsi in sé e per sé indipendentemente da altro risulta impossibile.
Le nostre esistenze particolari, la vostra e la mia, sono nella mente di Brahma? L'universale non è consapevole del particolare. Esistere come persona è una faccenda appunto personale. La persona esiste nel tempo e nello spazio; ha un nome e una forma; incomincia e finisce. L'universale include tutte le persone, e l'assoluto è alla radice di tutto e al di là. (Nisargadatta Maharaj) Come si forma la persona? Esattamente come l'ombra che appare quando la luce intercetta un corpo; la persona nasce quando la pura autoconsapevolezza è attraversata dall'idea: "io-sono-il -corpo". E come l'ombra cambia forma a seconda di dove si posa, così sembra che la persona gioisca e soffra, sia placida e inquieta, acquisti e perda, concordemente ai modelli del destino. Quando il corpo non è più, la persona scompare senza ritorno; solo il testimone resta, e il Grande Sconosciuto. Il testimone dice: "io so". La persona dice: "io faccio". La prima affermazione è limitata, ma non è falsa. La seconda completamente falsa, perché non c'è nessuno che faccia; tutto avviene da sé, inclusa l'idea di essere colui che agisce. Allora che cos'è l'azione? L'universo è colmo di azione, ma nessuno agisce. Ci sono innumerevoli persone: piccole, grandi e grandissime, che, a causa dell'identificazione, si immaginano di agire, ma ciò non cambia il fatto che il mondo-d'azione (mahadakash) sia un unico blocco, in cui tutto influenza e dipende da tutto. Le stelle ci influenzano profondamente, e noi loro. Ritraiti dall'azione nella coscienza, lascia al corpo e alla mente di agire; è la loro specialità. Rimani come puro testimone, finché anche la testimonianza si dissolverà nel Supremo. Immagina una fitta foresta. Col legno degli alberi si ricavano una tavoletta e una matita per scriverci sopra. Il testimone legge, e sa che mentre matita e tavoletta sono imparentate alla lontana con la foresta, lo scritto non ha nulla a che fare con essa. È solo sovrapposto, e la sua cancellazione è irrilevante. La dissoluzione della persona si accompagna a un senso di grande sollievo; è come liberarsi di un peso. È come lavare una stoffa dai colori che stingono. Prima si scompone il disegno, poi scolora lo sfondo e alla fine la stoffa torna bianca. La persona lascia il posto al testimone, poi anche questi si ritira, e resta la pura consapevolezza. La stoffa che era stata bianca, lo ridiventa; i disegni e i colori si sono impressi temporaneamente. (Nisargadatta Maharaj)
Può esserci consapevolezza senza oggetto? E senza soggetto?
La consapevolezza con oggetto è lo stadio della testimonianza.
L'identificazione del soggetto con l'oggetto, a causa del desiderio o della paura, è la persona.
In realtà lo stato è unico; se è distorto dall'auto-identificazione, lo chiamiamo persona; tinto dall'essere, è il testimone; decolorato e indefinito, è il Supremo. (colloquio con Nisargadatta Maharaj) -PIRANDELLO* Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere.
Ed eccovi dannati al meraviglioso supplizio d'aver davanti, accanto, qua il fantasma e qua la realtà (apparire e essere) e di non poter distinguere l'una dall'altra.
Ognuno di noi vive portando -consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente -una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili. L'uomo infatti è Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche proprie. L'uomo però non può capire né gli altri né tanto meno se stesso. Di conseguenza l'uomo è Centomila perché ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che lo giudicano; Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".
Pirandello dice che la coscienza sono gli altri dentro di te.
"Un lanternino che proietta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo purtroppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercè dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione ".
"Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre che li ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!"
La commedia "Così è (se vi pare)" di Pirandello sostiene che la verità oggettiva non esiste; la verità può solo essere soggettiva perché dipende dal punto di vista di chi la osserva (prospettivismo!). I vari componenti dei salotto borghese, dove la vicenda è ambientata, per porre fine alla controversia su chi sia veramente la signora Ponza, propongono di convocare la donna in questione e determinare chi sia il pazzo, fra il signor Ponza e la signora Frola. Ma anche questo estremo tentativo si rivela fallimentare: infatti l'arrivo della signora Ponza non servirà a far luce sul mistero. La signora Ponza (allegoria della verità) fa il suo ingresso avanzando "rigida, in gramaglie, col volto nascosto da un fitto velo nero, impenetrabile ". Irrompe nel salotto quasi fosse una sacerdotessa di antichi misteri, la fedele del culto dei relativismo: ovviamente ha il volto velato, in quanto la verità è inconoscibile. Quando alla fine, il prefetto le domanda la sua identità, la donna risponde con la celeberrima sentenza: "-Per me io sono colei che mi si crede ", uscendo poi si scena lasciando gli astanti del tutto attoniti e sconvolti per l'epilogo della faccenda, a eccezione di Laudisi, il quale concluderà facendosi beffe delle vanesie pretese di conoscere la verità da parte del sofisticato e gretto parlatorio borghese: "Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti? Ah! Ah! Ah! Ah! ". La risata finale dei Laudisi è la risata dell'autore stesso, che fin dall'inizio conosceva l'inutilità dell'indagine fortemente voluta dai benpensanti del paese e la pochezza della loro curiosità, mossa dal bisogno di catalogare il prossimo entro ruoli ben definiti. Questo modo angusto e chiuso di pensare non può far altro che scontrarsi con una realtà molteplice che sfugge le catalogazioni: il disappunto di chi continua a non capire e non accetta il prospettivismo è tanto ridicolo, che può essere commentato solo con una denigrante risata.
-PIRRONE*
Pirrone fonda lo scetticismo dopo essere stato in Oriente con Alessandro Magno. Rinuncia all'essere (negò ogni forma di ontologia) e alla verità e dice che ogni cosa è vana apparenza. Non scrisse nulla. Dice che ogni cosa è e non è, oppure né è e neppure non è. Il suo criterio è la rinuncia al criterio. Dubitava di ogni asserzione, incluse le sue stesse asserzioni a dubitare di tutte le asserzioni.
All'essere si sostituisce l'apparenza visto che le cose sono indifferenti, immisurabili e indiscernibili. Si deve quindi negare la fiducia sia ai sensi che alla ragione restando senza opinione, sospendendo il giudizio (epochè). Nel suo pensiero sono presenti l'apparire e l'epochè (totale sospensione sia dell'affermazione che della negazione: per un pirroniano una cosa non è né vera né falsa ma neppure più o meno probabile).
Come nella fenomenologia, Pirrone dice anche: IL FENOMENO DOMINA SEMPRE OVUNQUE APPAIA. Chi nega il supremo principio dell'essere deve stare zitto e non esprimere nulla. Questa è l'afasia pirroniana che è il tacere sulla natura delle cose. A questa segue l'atarassia che è la mancanza di turbamento quindi la quiete interiore. L'apatia. Furono pirronisti Arciselao (principio del ragionevole) e Carneade (principio del probabile) che sono due accademici. Filone di Larissa seguace di Carneade apre una scuola a Roma intorno all'87 a,c, e dice che abbiamo solo apparenze che ci danno la probabilità: non perveniamo alla percezione certa del vero oggettivo ma ci possiamo solo avvicinare a essa mediante l'evidenza del probabile (ancora negativo).
Pirrone è scettico e ci dona l'acatalepsia: l'impossibilità di avere conoscenza delle cose nella loro intima natura. La via propria del saggio, diceva Pirrone, è di farsi tre domande. Per prima cosa dobbiamo chiederci cosa sono le cose e come esse sono costituite. Secondariamente, ci chiediamo come noi siamo legati a queste cose. In terzo luogo, ci domandiamo come dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei loro confronti. Riguardo a cosa sono le cose, possiamo solo rispondere che non sappiamo nulla. Noi sappiamo solo come le cose ci appaiono, ma sulla loro essenza intrinseca siamo ignoranti. La stessa cosa appare differentemente a persone differenti, e di conseguenza è impossibile sapere quale opinione è corretta. La diversità di opinioni fra i saggi come fra gli ignoranti, dimostra ciò. Noi possiamo avere opinioni, ma la certezza e la conoscenza sono impossibili. Di conseguenza il nostro atteggiamento verso le cose (la terza domanda) deve essere la completa sospensione del giudizio. Non possiamo essere certi di nulla, neanche delle affermazioni più banali.
Pirrone non nega la realtà ma nega qualsiasi definizione di essa.
Pirrone fu molto amato da Nietzsche.
Timone (scettico) nega la possibilità di avere principi generali evidenti di per sé (gli assiomi, i postulati di Euclide). Quindi tutto dovrà essere provato tramite qualche cosa d'altro come in una catena senza fine pendente dal nulla. Niente dunque può essere provato! Ricordiamo anche che lo stesso Socrate affermava di non sapere nulla. Arciselao (scolarca) portò l'Accademia su posizioni scettiche: non espose alcuna teoria ma si limitò a criticare quelle altrui. Suo successore fu Carneade che nel 156 a.C. fu a Roma a dimostrare prima un concetto e dopo il suo contrario. Si scontrò con Catone il vecchio che odiava la filosofia e le mollezze. Seguì poi Clitomaco che, interpretando Carneade, scrisse che la probabilità dovrebbe guidarci nella pratica visto è ragionevole agire secondo la più probabile delle ipotesi possibili.
-PITAGORA* Pitagora, se mai è esistito come persona, ha posto il numero come archè: tutto è numero! Si dice fosse originario di Samo (vicino a Mileto) e fosse stato allievo di Anassimandro. Avrebbe poi inventato le parole matematica e filosofia e il concetto di ordine cosmico: l'armonia delle sfere celesti che ha influenzato il modo di pensare fino a Einstein. Dialettica fra cosmos e caos.
Il termine stesso di 'filosofia' è di origine pitagorica; lo stesso dicasi del termine 'armonia' in senso largo […] L'essenza e la forza di questa visione risiedono nel suo carattere unificante; essa riunisce religione e scienza, matematica e musica, medicina e cosmologia, il corpo, lo spirito e l'anima in una sintesi ispirata e luminosa. Nella filosofia pitagorica, tutte le parti componenti si incatenano; si è in presenza di una superficie omogenea come una sfera, per cui non si sa da dove cominciare […] Tuttavia il concetto di armonia non aveva esattamente il senso che noi attribuiamo all' 'armonia': non si tratta del gradevole effetto che produce un accordo […] bensì di qualcosa di più austero: l'armonia non è altro che l'adattamento delle corde agli intervalli della gamma ed inoltre la figura della gamma stessa. Ciò significa che la legge dell'universo è l'equilibrio, l'ordine, non la voluttà. In senso ampio l'armonia è un particolare tipo di rapporto che lega assieme tutti gli enti di un cosmo gerarchico, dalle stelle ai minerali.
Pitagora era rimasto molto spiazzato davanti ai numeri irrazionali (quale la radice quadrata di due) ma anche noi, tutt'ora, lo siamo. Sarebbe stato un mistico, un mago, un taumaturgo e un matematico che fondò una setta cenobitica che accettava anche le donne e questo gli fa molto onore.
Decretò che la scoperta dei numeri irrazionali quali sono il rapporto fra il lato e la diagonale del quadrato (1,4142 …) e del pentagono (1,1618 … numero aureo della serie di Fibonacci), dovesse rimanere segreta per non turbare la presunta armonia della matematica e del mondo intero. A tal punto, aveva forse sospettato che il numero potesse non essere l'archè di tutte lo cose.
Insegnava da dietro a una tenda e gli allievi dovevano solo ascoltare per ben cinque anni. La verità è tale perché ipse dixit. Quasi un immortale che parlava ai mortali. Poi, dopo cinque anni di formazione, si diventava amici di Pitagora e si condivideva la sapienza filosofica. Si varca la soglia e si entra a far parte di una setta filosofica esoterica e aristocratica. Tutti possono varcare la soglia (anche le donne): la filosofia è per tutti e per nessuno come dice Nietzsche.
I Pitagorici dicevano che il tre è il numero di tutto perché ogni cosa è determinata da un principio, da un mezzo e da un fine.
La sua parola di base era ARMONIA intesa come musica, matematica, geometria, cosmologia, politica, nutrimento, dialettica, danza, pedagogia. La filosofia stessa è Armonia pitagorica fra la vita e la morte e fra tutte le estremità in contrasto.
Anche Eraclito parla di armonia dicendo: Armonia invisibile della visibile è migliore.
Alla base dell'armonia sta il verbo armozein che significa connettere, collegare quasi stessimo parlando del Logos stesso che è rapporto, nesso oppure parlassimo di Sylapsis ch vuol dire riunire.
La trasmigrazione delle anime Pitagora la aveva appresa in India?
-PLATONE* che di nome faceva Aristocle
Chi è capace di vedere l'intero è filosofo, chi no, no.
Platone, verso la fine del Sofista, riconosce al Non-essere (me on) la stessa necessità dell'Essere (on): «A questo punto bisogna dire con fermezza che il nonessere ha una sua stabile natura; di conseguenza, come al grande è stato dato di essere grande, e al bello di essere bello, allo stesso modo al non-essere è stato dato di essere». Platone riconosce la legittimità del genere "diverso" (eteron) dimostrando come esso sia logicamente necessario per intendere il genere "essere".
Secondo Paci, Platone ha sostenuto una teoria relazionale dell'essere. È noto che per Platone il non essere non è pura e semplice negazione ma ha un suo essere che consiste nella alterità. Intorno ad ogni idea c'è dunque una molteplicità di esseri e questo implica la loro dialettica. Paci nota a questo proposito che tale concezione relazionale dell'essere non è accettabile con facilità perché è contro il dogmatismo ontologico che tradizionalmente si attribuisce a Platone. La koinonia o relazione in senso metafisico è invece per Paci la categoria che smaschera l'illusione dell'irrelazionismo, e che rivela la richiesta talvolta disperata che abbiamo di comunione e di amore.
Nell'amore vi è la tendenza a possedere per sempre l'oggetto del desiderio: "Amore è anche amore dell'immortalità". Alti e bassi di Platone! Ci sono indizi che portano a pensare ad un influsso della cultura egizia anche su Platone, non solo riguardo a questioni di carattere mitologico, religioso, o spirituale (ad es. sull'anima o sull'aldilà), ma anche a questioni politiche.
Il mito della caverna platonico con la sua ricerca della verità e del Bene pare assimilabile alla caccia al bue -toro raffigurata in dieci vignette risalenti al dodicesimo secolo e dipinte nella Cina del pensiero Chan. In entrambi i percorsi si passa dal buio dell'ignoranza alla luce del risveglio da portare, infine, a tutti gli altri in un atteggiamento sia gnoseologico che morale (conoscenza e virtù).
Il platonismo considerava il mondo dei concetti più perfetto e più reale di quello degli oggetti. Platone era dualista? Pare proprio di si visto la netta cesura anche fra anima e corpo (però la professoressa Linda Napolitano sembra darne una lettura non dualista).
Pasqualotto scrive un articolo ove accumuna Platone a Fa zang: Filosofia greca e pensiero cinese, alcune comparazioni filosofiche. Sempre Pasqualotto, a pagina 111 del libro Illuminismo e illuminazione, avvicina il mito della caverna platonica con i dieci quadri (alla ricerca del toro) dipinti da Kuo-an monaco buddista del XII secolo appartenuto alla scuola Ch'an. In entrambi i casi si cerca la verità per poi condividerla con gli altri.
Materialismo e Spiritualismo; due opposte e correlative superstizioni di parole. Il medesimo abbaglio e un comune paradosso. Presa tra queste irresolubili opzioni ideologiche, in questo incomprensibile e insostenibile dualismo platonico -e poi cartesiano -di corpo e anima, in questa duplice superstizione iscritta nel linguaggio, così come da Platone lo intendiamo e lo frequentiamo, certamente la filosofia soccombe al tempo e non ne viene a capo. (Sini)
Analogie tra Platone e le Upanişad:
L'albero rovesciato perchè ha le radici in cielo.
Il mito del carro alato.
L'uomo simile alla marionetta.
Il sole come simbolo di verità.
Le classi sociali.
La trasmigrazione delle anime.
La vera conoscenza.
L'Uno e i molti.
Idea è una parola che deriva dalla radice greca id-, a sua volta riconducibile al verbo orao (vedere). A partire da Platone, il termine indica qualcosa che si può vedere non tanto con gli occhi del corpo, bensì con l'intelletto. Sta dunque a indicare l'oggetto di una intuizione intellettuale (Noesis).
Platone afferma che è impossibile definire la giustizia in astratto e aggiunge che lo potrebbe fare solo il giusto perché ha una natura conforme alla giustizia! Pura tautologia …
Il dualismo ontologico platonico riguarda la fondamentale frattura tra mondo delle idee e mondo materiale. Il rapporto tra primo e secondo è un rapporto tra originale e copia. Il mondo delle idee, l'iperuranio, è eterno incorruttibile, perfetto, di contro il mondo nel quale viviamo è imperfetto e corruttibile.
Mito della caverna: gli uomini stavano incatenati in una caverna, col viso rivolto verso una parete sulla quale venivano proiettate delle ombre provenienti da oggetti che si trovano al di fuori della grotta. Per gli uomini quelle ombre rappresentavano l'unica realtà e questa per metafora è la situazione in cui noi ci troviamo: osserviamo delle copie credendole originali. Un giorno però , un uomo riesce a liberarsi ed esce fuori dalla caverna. Si rende conto che quelle che osservava erano soltanto delle ombre e che esiste tutto un altro mondo pieno di luce e realtà. L'uomo torna nella grotta per rivelare la sua scoperta, ma la gente non gli crede e lo accusa di dire il falso. Tanto è radicata in noi la certezza di ciò che ci circonda da render vana persino l'evidenza. Questo dualismo si ripercuote anche sulla teoria della conoscenza di Platone (dualismo gnoseologico). Infatti, la conoscenza che deriva dal mondo per questo filosofo è doxa (opinione) priva di qualsiasi certezza, mentre la vera conoscenza è quella derivante esclusivamente dall'intelletto. ed in realtà non è neanche una vera e propria conoscenza, bensì una reminiscenza (ricordo) che l'anima ha del mondo delle idee. Nella dottrina platonica, accanto al profondo dualismo tra cose e idee, mondo sensibile e mondo intelligibile, troviamo un dualismo ancora più netto fra corpo e anima. Il corpo (mortale) è infatti per Platone fonte di illusione e di errore, a causa dei sensi, mentre l'anima (immortale) consente di conoscere la verità perché è originariamente partecipe del mondo delle idee. L'anima infatti, prima di essere unita al corpo (dal demiurgo ovviamente), ha vissuto nell'iperuranio, dove è venuta a contatto e dunque a conoscenza delle idee. Ecco perché Platone afferma che "conoscere è ricordare", è reminiscenza (anàmnesi). L'anima è quindi il tramite per riconoscere attraverso le cose sensibili la verità universale delle idee. Strettamente legata alla dottrina delle idee e alla tesi dell'immortalità dell'anima è il tema del famoso amor platonico, così spesso frainteso o distorto nel linguaggio comune. Detto in breve, l'amor platonico è essenzialmente il desiderio (eros) dell'anima di far ritorno nell'iperuranio per contemplare ancora la bellezza ineguagliabile delle idee.
La scrittura fa male e rovina la memoria. Platone la condanna fermamente. Non sembra che avesse gran capacità di prevedere il futuro … Nel pensiero platonico l'anima è il principio di mantenimento e di coesione dei corpi che sarebbero altrimenti soggetti a un incessante cambiamento e infine a un vero disintegramento. Cosa che però accade costantemente sia al corpo che alla mente, carissimo Plato! L'idea del bene è aldilà dell'essere, trascende l'essenza. Primato ontologico, gnoseologico ed etico del bene nel mondo intellegibile così come il sole lo ha in quello sensibile.
Popper scrive che Platone era un totalitario che ha tradito lo spirito veramente democratico del suo maestro Socrate e della città di Atene. Platone infatti vuole creare l'uomo nuovo per una nuova società dove comandano i filosofi e non il popolo.
Socrate si occupò di Morale intellettualistica, Platone di Trascendenza, di Idee. Aristotele si occupò invece empiricamente di Fisica, di Logica (quindi di realtà immanente e di fenomeni).
Platone sintetizzò la logica di Parmenide (realtà e apparenza) e il misticismo orfico di Pitagora. Dice che il filosofo ama la bellezza in sé (la verità) e non le cose belle (opinioni). Le singole cose non sono reali. La parola gatto intesa come classe universale dei gatti (quindi idea) è eterna e reale (dice Platone) mentre i singoli gatti sono solo apparenza.
Per Platone la miglior vita per l'uomo non è la vita della sola intelligenza ma la vita mista di intelligenza e di piacere! Platone dice che gli esseri umani sono in realtà balocchi nelle mani di Dio. Questo concetto, cioè che la nostra vita è, in realtà, un divertimento divino nel quale noi svolgiamo liberamente la nostra parte nella misura in cui la nostra volontà è assorbita in quella di colui che conduce il gioco.
L'Eros platonico è la metafora della filosofia in quanto condensa in se l'essenza stessa del sapere: la sua natura tensionale e desiderante cioè "erotica"! E' difficile trovare l'artefice e il padre di questo universo e, una volta trovatolo, è impossibile parlarne a tutti.
Gli astri contempli, mio Astro: potessi farmi cielo stellato, per guardar a te con mille occhi! Platone influenza Freud:
Anima concupiscibile e ES froidiano per designare gli istinti, le pulsioni, l'irrazionale.
Anima irascibile e SUPEREGO froidiano per designare gli obblighi (più o meno razionali) imposti dalla società.
Anima razionale e IO froidiano che devono mediare fra le due esigenze di cui sopra.
Il rischio è bello (Platone si riferisce al credere nell'immortalità dell'anima).
Le IDEE esprimono le FORME spirituali e le ESSENZE delle cose. Sopra di loro ci sono i RAPPORTI numerici che sono i principi primi o supremi.
I molti sono l'uno e l'uno è i molti.
Le stelle hanno l'anima. Il mondo ha un'anima.
L'UNO -bene e la Diade indefinita di grande e piccolo (male). L'UNO -bene, idea, regola, nomos è superiore al dio-demiurgo che non crea dal nulla.
La maieutica socratica da origine all'anamnesi platonica che è reminiscenza.
Dualismo radicale fra anima e corpo: il corpo è la tomba dell'anima e quindi bisogna liberarsene.
Il vero filosofo desidera la morte e la filosofia è esercizio di morte.
Fuggire dal mondo per rendersi simili a Dio? Platone attacca Omero e la poesia perché dice che bisogna pensare per concetti e non per immagini (come fa anche l'Oriente). Una vera rivoluzione (forse anche sbagliata).
Il vero poeta è il filosofo: la poesia filosofica platonica è collegata alla ricerca del vero.
La famiglia e la proprietà verrà conservata solo per la classe più bassa mentre i guardiani e i filosofi-governanti non potranno averla.
A proposito dei filosofi-governanti viene spontaneo chiedersi: chi li sceglierà? Sembra infatti di cogliere una chiara auto candidatura di Platone per il ruolo in questione! Eugenetica : si alleveranno in comune solo i figli delle coppie migliori! Gli altri al macero senza però farlo sapere. Si fingerà anche l'estrazione a sorte per gli accoppiamenti. Platone non ebbe chiaro il concetto di individuo e badò molto di più alla collettività che al singolo.
Il vero filosofo è colui in cui l'anima razionale ha il sopravvento su quelle irascibili e concupiscenti. Da buon aristocratico vuole il governo dell'aristocrazia e scambia la democrazia con la demagogia. Forse però un po' di ragione Platone l'aveva …
Platone pensava che l'abisso tra le idee e la vita potesse essere attraversato dal ponte del dialogo.
La più bella descrizione di come funziona la scienza, e dei suoi tempi lunghi, l'ha data Platone, nella sua "settima" lettera, inviata a Siracusa ai familiari di Dione, quando descrive l'attività del vero "cercatore di verità": «Dopo molti sforzi, quando nomi, definizioni, osservazioni e altri dati sensibili, sono portati in contatto e confrontati a fondo gli uni con gli altri, nel corso di uno scrutinio e un esame cordiale ma severo fatto da uomini che procedono per domande e risposte, e senza secondi fini, alla fine con un improvviso lampo brilla, per qualunque problema, la comprensione, e una chiarezza di intelligenza i cui effetti esprimono i limiti estremi del potere umano». Magari fosse così semplice …
Inventò le parole metodo che è composto da meta (oltre) e hodos (via); noumeno (ciò che è pensato cioè l'idea che diventerà poi per Kant la cosa in sé); pensiero (noesis).
Per Platone le idee sono realtà pure, cioè non miste, ingenerate e incorruttibili e dunque eterne, in se stesse unitarie e semplici, vale a dire dotate di un'unica forma, sempre identiche a sé, immobili e immutabili, cioè sottratte a ogni forma di mutamento e alterazione, indivisibili, e infine intelligibili, vale a dire coglibili solamente attraverso la facoltà intellettuale e razionale dell'anima. Le idee non sono quindi "nostre" perché sono superiori a noi originando direttamente dall'Iperuranio.
-PLOTINO*
Noi però, quando guardiamo al di fuori di Colui dal quale dipendiamo, ignoriamo di essere un'unità e siamo come delle facce, numerose all'esterno, che hanno verso l'interno una testa unica in comune. Ma chi potesse voltarsi o avesse la fortuna di essere tirato da Atena, vedrebbe come un dio se stesso l'universo: certo, egli non vedrà dapprima se stesso come universo, ma in seguito, poiché non sa dove collocare se stesso e come segnare i confini del proprio io, rinuncerà a delimitarsi rispetto all'Essere universale e raggiungerà l'universo intero senza aver bisogno di farsi avanti ma restando immobile dove il tutto ha il suo fondamento.
L'Uno è nulla (di determinato e quindi condizione di possibilità per ogni determinazione) e non ha bisogno di nulla! (Pasqualotto)
Non essere non indica una negazione dell'essere, ma l'assenza di ogni determinazione, la quale funziona come condizione di possibilità per ogni determinazione. In tal senso il "non essere" può essere fato equivalere all'Uno.
Mentre non è in nessun luogo, non c'è nessun luogo in cui egli non sia; questo è l'Uno indefinibile (che ignora il mondo) di Plotino. Non avremo più memoria della nostra personalità! Spogliati di tutto; elimina tutto: sottraiti da tutto. Solo così l'Anima (terza ipostasi cioè una rappresentazione concreta di una realtà astratta o ideale cioè una personificazione) può tornare all'Uno non duale (prima ipostasi) che sta sopra l'Essere e il Nous (seconda ipostasi). Questa tangenza con l'Uno è chiamata Estasi. L'Estasi non è un tipo di scienza o di conoscenza razionale o intellettuale (ma attenzione: non è neppure irrazionale o incosciente). E' invece un contemplare che implica uno stretto contatto senza distinzione di soggetto -oggetto fra chi contempla e chi è contemplato. Nell'Uno si perde il "sé" e perdendo il "sé" si supera ogni dualismo.
Ammonio Sacca Di Alessandria (che non scrisse nulla) fu maestro molto ascoltato e seguito da Plotino (che non scrisse nulla) che stette presso di lui per dodici anni desiderando sperimentare direttamente la filosofia praticata dai Persiani (I Magi) e quella dominante fra gli Indiani (I Gimnosofisti già incontrati da Pirrone).
Nel 243 partecipò a una spedizione militare in oriente al seguito di Gordiano III. Fu una disfatta e Plotino non tornò più ad Alessandria ma andò a Roma dove iniziò a tenere lezioni alle quali partecipò anche Porfirio che scrisse le Enneadi riorganizzando gli scritti del maestro.
La filosofia plotiniana non è emanazionismo (anche se Pasqualotto parla di emanazione dall'UNO e ritorno all'UNO), non è panteismo dinamico, non è neppure creazionismo giudaico ma è contemplazione (theoria) creatrice (poiesis).
Il Bene della Repubblica viene identificato con l'Uno di Parmenide. Il Bene per l'uomo consiste nel ritornare alla propria origine ovvero al principio di tutto ciò che è, all'Uno impersonale che è potenza, energia infinita e indefinita dalla quale tutto proviene. Quasi mai l'uomo è consapevole di ciò e riesce quindi a cogliere l'unicità del molteplice. La scienza infatti distingue e separa mantenendosi così nel duale, anzi nel molteplice. Essa quindi non permette di raggiungere l'Uno che è ineffabile e indescrivibile. Ed è per questo motivo che la contemplazione dell'Uno non può né essere spiegata e tantomeno insegnata.
Quanto al rapporto Uno e pensiero, Plotino nega all'Uno il pensiero quale dualità di soggetto -oggetto e molteplicità di contenuti, ma non esclude la possibilità di un'autocoscienza coincidente con l'essere stesso dell'Uno. Ma ricordiamo però anche che l'Uno è aldilà dell'essere.
L'intelligenza crea già dualità fra soggetto che pensa e oggetto pensato.
L'anima è invece addirittura molteplice visto che ognuno ha la sua (anche se pare di capire che conservi la propria unicità immateriale del tipo atman e brahman).
Il mondo materiale e sensibile si presenta come privazione dell'essere cioè come nulla e quindi come mancanza di forma.
Per Plotino non è l'anima che è nel corpo ma è il corpo che è nell'anima.
Partiamo dall'UNO assoluto che è al di là dell'essere e dell'intelligenza. L'UNO è infinitudine cioè immateriale potenza produttrice, infinita (concetto positivo di infinito) spirituale energia creatrice (quasi l'Apeiron di Anassimandro).
Come definire questo UNO? E' semplicemente ineffabile! Plotino dice però anche che è Bene (ma non l'Amore gratuito dell'Agapè e neppure il bene -piacere di Epicuro).
L'UNO non si sdoppia in pensante e pensato perché questo processo comporterebbe la rottura dell'unità e ci sarebbe dualismo.
L'UNO assoluto è al di là dei contrari che in lui si dissolvono. L'UNO assoluto è causa sui.
Perché e come dall'UNO sono derivate le altre cose? Perché diventa prima Intelligenza, poi Anima e infine materia? Pensiamo all'esempio di cerchi concentrici originati dal centro che è l'UNO: la plotiniana processione dall'UNO.
Le cose procedono dall'UNO a seguito dell'attività dell'UNO.
Il Nous, l'intelletto è la seconda ipostasi che procede dall'Uno e qui troviamo già il dualismo fra chi pensa (e questa è la caratteristica tipica del Nous infatti l'Uno se vuole pensare deve farsi Nous) e ciò che è pensato (l'essere è il contenuto del pensiero).
Ma allora che rapporto c'è fra pensiero e essere? Sono la stessa cosa? L'essere è superiore al pensiero? Il pensiero è superiore all'essere? O, più semplicemente, si avvolgono vicendevolmente: l'avvolto che avvolge! L'intelligibile è molteplicità che non può però cogliere l'infinitudine della prima ipostasi.
Il Nous è anche vita spirituale oltre che essere e pensiero ove ogni idea è ogni altra idea visto che il Nous è uno-molti vale a dire unità-molteplice e molteplicità-unica . Il Nous è infinito perché possiede ogni cosa e in ogni cosa ci sono tutte le altre cose (teorema del tutto in tutto di Anassagora).
Il Nous è il bello ed è anche eterno come la prima ipostasi.
La terza ipostasi, l'Anima è principio di movimento: l'Uno doveva diventare Nous per pensare e Anima per generare tutte le cose in movimento del mondo visibile: il cosmo.
L'Anima è la causa stessa che produce il sensibile. L'Anima incorporea ha commercio con il sensibile. Tutte le anime particolari sono presenti nell'unica anima universale distinte pur senza essere separate (Thai chi tu cinese!).
Da una parte l'Anima tende alla contemplazione del Nous e dall'altro tende a creare il mondo sensibile, la physis che è logos che somministra alla materia sensibile le forme.
Con l'Anima ha fine la serie delle ipostasi del mondo incorporeo e intellegibile perché sotto di lei esiste solo il mondo fisico ove la materia sensibile, pur essendo immagine di quella intellegibile (il modello), comporta il male e il negativo perché l'Uno perde la sua spinta: mancanza e privazione del positivo quindi non essere. Mancanza di ogni spessore ontologico proprio della materia.
E' come il cerchio di luce che si affievolisce fino a diventare oscurità. Secondo Plotino il mondo non è pero nato male (come dicono gli gnostici) ma è la più bella immagine dell'originale essendo il mondo nell'Anima che è nel Nous che è nell'UNO.
L'equazione uomo = anima risale a Socrate, Platone poi la elabora e Plotino la porta al suo estremo: l'uomo vero è solo l'anima separabile e separata. L'attività dell'anima è la libertà che i estrinseca nel seguire la virtù che porta al bene.
La libertà risiede dunque nell'immateriale.
Plotino rifiuta la resurrezione della carne come materialismo. Ritorna quindi alla metempsicosi di Platone. Lo scopo è quello di unire l'anima (incorporea visto che per Plotino la materia è male) al Divino incorporeo. Sembra di parlare di Atman e Brahaman.
Immune da qualsiasi alterità, l'Uno è presente sempre a noi, ma noi possiamo essergli presenti appunto solo quando eliminiamo l'alterità.
L'anima deve spogliarsi anche della parola, del discorso e della ragione discorsiva, di tutto ciò che fa da impaccio o in qualsiasi modo la divide dall'Uno, perfino della conoscenza riflessa del proprio essere: Spogliati di tutto; elimina tutto; sottraiti da tutto.
Spogliandosi di tutte le cose, mediante l'astrazione metafisica, l'anima giunge a se stessa, giunge all'essere -Nous che poi trascende fino a raggiungere il non essere nel significato di "Ciò che è al di sopra dell'essere e non essere: l'UNO". Questa tangenza con l'UNO è l'estasi che è oltre la distinzione razionale fra soggetto e oggetto essendo unificazione totale con esso: contemplante e contemplato non sono più due perché si perde se stessi. Pensiero in cerca di unione.
Per chi è andato oltre ogni cosa, la realtà corrisponde al prima di ogni cosa: qualcosa che è al di là dell'essere. L'UNO! Tutta la realtà è contemplazione creatrice e silenzio: anche la natura, che fa parte dell'anima, è contemplazione e silenzio: la contemplazione non ha limiti e neppure ciò che è contemplato.
Il ritorno all'UNO avviene tramite l'estasi (eliminazione dell'alterità) che è contemplazione. Stiamo parlando di pura speculazione filosofica autarchica e non di religione teurgica.
L'estasi plotiniana non dipende da un dono di Dio (come in Filone d'Alessandria) ma è opera della pura capacità umana secondo un'antica convinzione greca.
Dunque l'estasi è unificazione con l'UNO ASSOLUTO oltre il pensiero e l'essere. Tipico pensiero orientale?
UNO (bene, ineffabile, infinito, non duale, non persona) -NOUS (duale, essere, pensiero, vita, bello) -PSYCHE' (natura, logos che contemplando produce). L'UNO BENE viene ora raggiunto nel silenzio di una fuga da solo a SOLO.
Il Neoplatonismo di Plotino (henologia cioè la metafisica dell'Uno diversa dall'Ontologia che è la metafisica dell'Essere aristotelico) divenne poi base sia per una evoluzione politeistica con Giamblico (dopo il 300), Giuliano Imperatore (363), Proclo, Ipazia nonché di una evoluzione cristiana con Origene cristiano (che fu udiore di Ammonio insieme con Origene pagano) con anche Agostino e Boezio.
-POLYMATHIA* "La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina; la grande parola è luminosa, la piccola parola è prolissa". (Zhuang-Zi)
Il taoismo dice no alla cultura formale, alla sapienza superficiale (polymathia), alla tradizione delle conoscenze sacre e immutabili. Segui ancora le antiche tracce??? La grande sapienza tutto abbraccia la piccola sapienza distingue.
La sapienza superficiale (polymathia) concepisce la realtà come un insieme di cose irrelate e fisse fra le quali anche un certo ego che invece e una struttura dinamica e relazionale e non è un nucleo saldo e puro come lo pensa Cartesio. Non trasformare l'ego che è solo un caso particolare di connessioni dell'energia-tao-physis nel centro di tutte le connessioni. E' saggio dire che tutte le cose sono una sola, compreso l'io. L'unico vero io è la vita eterna.
La sapienza superficiale crea un mondo illusorio: non bisogna comportarsi come figli dei padri.
-POMPONAZZI*
Pomponazzi dice che l'anima non può strutturalmente fare a meno del corpo giacché, privata del corpo, non potrebbe svolgere la funzione sua propria non avendo alcuna possibilità di agire senza il corpo. Per fede però accetta l'immortalità dell'anima. Doppia verità! La virtù, la morale hanno più valore nel caso della mortalità che in quello dell'immortalità ove si fa il bene per avere una ricompensa.
L'anima è materiale se paragonata all'immateriale ed è immateriale se paragonata al materiale.
Nel De Incantationibus scrive che tutti gli eventi possono essere spiegati con il principio della naturalità senza eccezione alcuna (esclude quindi i miracoli). Include nel naturale anche l'influsso delle stelle e dei pianeti.
Nel De Fato scrive che, come filosofo naturale, appoggia gli stoici che ponevano il fato come sovrano ma come cristiano nega il fato e si affida alle verità di fede.
Supera infine anche Aristotele dicendo che l'esperienza è l'unica vera maestra.
Pomponazzi dice che l'immortalità dell'anima individuale serve per poter indurre gli uomini alla virtù tramite premi e punizioni eterne. L'uomo saggio invece è virtuoso pur dubitando che l'anima individuale sia mortale.
-PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO *
Il principio di contraddizione si estende all'universo dei rapporti umani, e specialmente del discorso, ma non alla vera natura delle cose. Per chi segue la via di mezzo affermare l'identità o la contraddizione nel cuore delle cose, sono solo dei punti di vista della mente. Identità, contraddizione, differenza, opposizione e finanche relatività sono dei punti di vista della mente. (Bugault)
La logica quantistica sfida apertamente il principio del terzo escluso: una stessa proposizione può essere vera o falsa a seconda di chi si interroga.
Nagarjuna afferma che negare che l'universo è finito non significa affermare che l'universo è infinito. Anzi rincara la dose asserendo anche che l'universo può essere contemporaneamente finito e infinito oppure né finito e neppure infinito. In tal modo viene annientato il principio del terzo escluso ove si asserisce che se A è B significa che non è vero che A non è B. Nagarjuna va al di là della logica del vero e del falso affermando il non senso di entrambi i due contradditori.
Il pensiero che poggia sul principio di non contraddizione è un pensiero che semplifica il reale, perché non è in grado di coglierne l'intrinseca complessità. È un pensiero che contrappone l'uno al molteplice non riuscendo a coglierne l'intrinseca e armoniosa relazione. Secondo il principio del terzo escluso un elettrone deve o essere in dato luogo o non essere in quel dato luogo. E invece non è così! L'elettrone ha un atteggiamento probabilistico: secondo una certa percentuale di probabilità è in un dato luogo e per una certa altra probabilità è in un altro luogo! Nessuna certezza.
Il paradigma di semplicità è un paradigma che mette ordine nell'universo, e ne scaccia il disordine. L'ordine si riduce a una legge, a un principio. La semplicità vede sia l'uno, sia il molteplice, ma non può vedere che l'Uno può essere nello stesso tempo Molteplice.
Il principio del terzo escluso si basa sul ragionamento duale che impone "o è così o non è così" mentre il prospettivismo si limita ad asserire che "è anche così ma non è solo così".
-PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE * -PRINCIPIO DI IDENTIFICAZIONE * Ogni identità non si costituisce, in un primo tempo, in sé e per sé, e poi, in un secondo tempo, entra in relazione con una identità diversa, ma essa si costituisce, fin dall'inizio, da relazioni con identità diverse che, a loro volta, si costituiscono in modo relazionale. (Pasqualotto)
Ogni individuo, prima considerato auto sussistente, si rivela invece sostenuto da tutti e sostegno esso stesso. (Ghilardi)
La diversità è costitutiva dell'identità. Un sapere fondato sull'identità conduce a una visione atomistica, dove ciò che conta è la separazione di un essere dall'altro, mentre una sapienza fondata sulla funzione costitutiva della diversità conduce a una visione complessiva, dove ciò che conta sono le relazioni tra gli esseri.
La comprensione dell'identità è insita nella differenza perché tutto ciò che possiamo esperire o pensare è solo in quanto è in relazione con tutto ciò che ad esso è esterno, estraneo, diverso. Determinazione reciproca. Relazione determinante.
La giusta lotta va condotta contro la resistenza a comprendersi nell'unità con l'altro, riconoscendo al contempo la sua dissomiglianza; è quella che vuole la liberazione dall'ente particolare, individuo: dal momento che esso non è se non grazie alla trama di relazioni di cui è parte. (Pasqualotto)
Nella cultura orientale, dal buddismo al taoismo e allo zen, la figura e il ruolo dell'individuo non sono affatto centrali.
Nishitani approfondisce i concetti dell'individualità e della relazione. Egli afferma, in linea con il pensiero del maestro Nishida Kitaro, che dal punto di vista della sūnyatā non esiste nessun Sé definito e sostanziale ma solo un nodo di relazioni nella trama della coproduzione condizionata di tutti gli esseri. Rifacendosi a Nietzsche, di cui è un attento critico fin dal periodo degli studi con Heidegger, concepisce il Sé solamente come una maschera che, a sua volta, è una maschera per altre maschere che, in definitiva, non si appoggiano a nulla.
Un ruolo essenziale è giocato dal concetto di individualità e dalla nozione di persona. La verità come fondamento, ossia la validità euristica dell'attività intellettiva individuale nella sua funzione trascendentiva, pone il concetto di persona come dato irrinunciabile per il rapporto umano con Dio. La nozione agostiniana della "confessione", del viaggio nell'interiorità personale quale modalità di incontro con il divino: la nozione di io è necessaria nell'incontro con Dio. Quest'ultimo è un principio personale, cui deve corrispondere un io individuale.
Frontalmente al contrario, la cultura chan disintegra tale nozione di soggetto, in quanto l'io così inteso è precisamente la scaturigine del dolore, della sete illusiva umana. Non riuscire ad abbandonare la propria individualità vuol dire non poter evadere dalla ruota del sasmara.
Queste due opposte visioni dell'individualità tradiscono due differenti paradigmi ontologici di partenza: uno, quello del Chan, dove il principio non può additarsi altrove che in un neutro processualismo vuoto, innanzi a cui il pensiero, essendo in esso i contrari non contraddittori, naufraga; un secondo, proprio di Anselmo, nel quale il principio, essendo un Dio personale, è determinato, e ad esso il pensiero deve corrispondere, anzi: il pensiero stesso è il luogo della connessione umana a Dio. Poiché la capacità razionale è lo strutturarsi stesso dell'individualità, ecco vediamo svelarsi la scaturigine delle due differenti concezioni dell'io umano sopra schizzate: i due differenti paradigmi ontologici che esse presuppongono.
Individuazione? Ma cosa vuol dire? L'individuo è unico e pure è il tutto. La filosofia comincia quando questo uno -singolo scopre che ha in sé relazioni tipiche, essenziali con tutto il resto. Nessun fatto è solo individuale, nessun fatto è solo universale. (Paci)
La mentalità comune è portata a credere che l'individuo venga prima della relazione nel senso che la relazione si instaura, a posteriori, fra due o più individui già esistenti. Ma cosa è un individuo? E' qualche cosa di indiviso, di chiuso in se stesso, di ben individuato e di autonomo. Costui, con una deliberazione del suo libero arbitrio, decide di entrare in rapporto relazionale con altri da lui. La sua identità personale è condizione fondamentale per sviluppare la socialità. Questo però, dice il professor Adriano Fabris ordinario di Filosofia Morale presso l'Università di Pisa, è un modo sbagliato di ragionare e di pensare. E' sbagliato sia da un punto di vista antropologico che da quello cristiano. Infatti il Cristianesimo si basa sul principio di persona (e non di individuo). Cosa è la persona? Etimologicamente è la maschera teatrale nel senso che è ciò che sta davanti agli occhi. Comunque il termine persona proviene del latino persōna, e questo probabilmente dall'etrusco phersu ('maschera dell'attore', 'personaggio'), il quale procede dal greco πρóσωπον [prósôpon]. Il concetto di persona è un concetto principalmente filosofico, che esprime la singolarità di ogni individuo della specie umana in contrapposizione al concetto filosofico di "natura umana" che esprime ciò che hanno in comune. Ma la persona rimanda alla relazione che si instaura, magari tramite un semplice saluto, con l'alterità: ciao, buon giorno, pace a te! La persona è quello che è perché è inserita in una relazione che è primaria rispetto a tutto il resto. Noi non siamo mai padroni di noi stessi e della nostra identità (che nega la relazione perché impegnata ad affermare se stessa contro tutti essendo, quasi sempre, una identità chiusa). L'identità aperta invece è più rischiosa perché mette a rischio la relazione stessa. I narcisisti, gli egoisti, i prepotenti, gli ignoranti rendono difficili le relazioni perché tendono a chiudersi. Le persone aperte invece facilitano le relazioni perché tendono a comunicare (mettere in comune). Ci sono quindi relazioni malate che uccidono la relazione e relazioni sane che creano altre relazioni.
Ogni identità non si costituisce, in un primo tempo, in sé e per sé, e poi, in un secondo tempo, entra in relazione con una identità diversa, ma essa si costituisce, fin dall'inizio, da relazioni con identità diverse che, a loro volta, si costituiscono in modo relazionale. (Pasqualotto) Noi occidentali crediamo che l'individuo sia costituito come un atomo, come qualcosa di isolato, in grado di stabilire un rapporto con altri individui, ovvero con altri atomi, con altre cose isolate. In Oriente, e in particolare nel buddhismo originario e nel taoismo, la concezione dell'individuo è completamente diversa. La concezione colà dominante insiste nel considerare che ciascuna cosa, e quindi anche gli individui, è in sé plurale, differenziata. Ne segue che l'altro non viene mai categorizzato da queste concezioni come qualcosa posto al di fuori di noi, ma è sempre, innanzi tutto, un essere presente dentro di noi, se non addirittura dentro qualsiasi altra cosa. (Pasqualotto) A proposito della permanenza dell'identità nel tempo vale il paradosso della nave di Teseo: se vengono progressivamente sostituite tutte le parti della nave, alla fine si potrà dire che è ancora la nave di Teseo? In termini ontologici: un'entità, una volta che sia stata modificata nella materia presupponendo che non vari nella forma (anche se ciò è pressoché impossibile), è ancora la stessa entità? La domanda vale, ovviamente, per qualsiasi tipo di identità e la risposta è chiaramente NO.
L'individuo sarà colto come una realtà relativa, come una certa fase dell'essere che suppone prima di essa una realtà preindividuale e che, dopo l'individuazione, non esiste in modo affatto isolato, poiché l'individuazione non esaurisce improvvisamente le potenzialità della realtà preindividuale, e, d'altra parte, ciò che l'individuazione fa apparire non è solo l'individuo ma la copia individuo -ambiente. L'individuo è pertanto relativo in due sensi: perché non è tutto l'essere, e perché risulta da uno stato dell'essere in cui non esisteva né come individuo né come principio di individuazione. (Simondon)
In definitiva, seguendo le indicazioni di Simondon -più volte riprese da Deleuze -, si potrebbe dire che l'individuo, in ogni fase della sua esistenza, non può mai venir considerato come un semplice punto irrelato, come un atomo, ma deve sempre venir colto come un centro di relazioni.
Il relazionismo ha un valore ecosofico, perché aiuta a scalzare la tendenza di vedere gli organismi o le persone come qualcosa che può essere isolato dal proprio ambiente. Parlare di integrazione tra gli organismi e l'ambiente dà origine ad associazioni sbagliate, perché un organismo è un'interazione. (Naess) Ciò che deriva da questa impostazione è la necessità di cogliere ciascun organismo, fin dal suo sorgere e in ogni momento della sua esistenza, come un sistema dinamico di relazioni attive con il suo ambiente, superando così l'idea semplicistica di organismo come entità costituita di per sé in modo autonomo, la quale soltanto in seguito e in modo accidentale si mette in relazione con il suo ambiente.
Mediante il processo di individuazione ciascun individuo si riferisce a caratteristiche che lo distinguono dagli altri, sia dai gruppi a cui non appartiene, sia dagli membri del proprio gruppo. (Pasqualotto) E' all'antropologia, soprattutto ad alcune sue recenti forme di riflessione critica, che dobbiamo riconoscere il merito di aver radicalmente messo in questione la legittimità ed il valore del concetto di "identità" inteso in senso stretto, ossia nel senso in cui pretende di descrivere compiutamente realtà chiuse, autonome, indipendenti nello spazio e statiche, immobili nel tempo. (Pasqualotto)
Noi non siamo solo un individuo, un piccolo atomo autonomo, un impero nell'impero. No, noi siamo un universo di relazioni.
L'individualità si costruisce tramite separazione. La persona si costruisce tramite relazioni.
Il principio di individuazione è ciò che permette ad una qualsivoglia individualità esistente di presentarsi, per l'appunto, come individualità, ovvero, in termini aristotelici, come sostanza singola o prima. Il principio di individuazione svolge un ruolo di rilievo nel contesto della disputa sugli universali e più in generale nel rapporto che sussiste tra forma, materia e categoria. Come già accennato si può far risalire tale principio sino ad Aristotele. Lo Stagirita affermava che la sostanza realmente dotata di esistenza (dunque individuabile) è solo ed esclusivamente la sostanza singola, o sostanza prima, ovvero l'individuo dato dall'unione di forma (determinazione categoriale universale) e materia (che conferisce le peculiarità individuali). Un'importante ripresa del dibattito sul principio di individuazione si è verificata tra i secoli XII e XIV conseguentemente alla riscoperta di Aristotele e all'applicazione delle dottrine aristoteliche alla ontologia scolastica. Particolarmente rilevanti sono in questo contesto le posizioni di Duns Scoto e Guglielmo d'Ockham. Il primo avendo una concezione realista degli universali proponeva una ulteriore mediazione tra materia e forma che consentisse il sussistere della sostanza singola, essa consisteva di una proprietà che doveva sommarsi alla quidditas e alla materia cui diede nome di Ecceità. D'altro canto Ockham sostenne la perfetta inutilità del principio di individuazione in quanto, per la sua posizione nominalista, considerava l'universale come pura determinazione concettuale e dunque le uniche realtà esistenti sarebbero state quelle individuali.
Per Arthur Schopenhauer il concetto di principium individuationis è strettamente connesso a quello di principio di ragione. Per Schopenhauer la Volontà di vivere ("Wille zum leben") che finisce per auto-limitarsi nella concatenazione di spazio, tempo e causalità, è da principio infinita e libera. "In realtà la volontà non è in grado di limitarsi se non come atto volontario dell'individuo che decide liberamente di negarla. La volontà raggiunge la sua massima espressione nell'uomo capace di autocoscienza e fornito di ragione e capace in alcuni casi di elevarsi al di sopra del principio di causa e conoscere la cosa in se'. Le "limitazioni" di spazio e tempo come qui sopra viene accennato non sono nient' altro che le forme della rappresentazione e quindi il modo in cui l'uomo può conoscere il mondo intuitivamente." Fattasi oggetto, la Volontà perde la propria infinità ed è a quel punto che sorgono gli individui, apparentemente differenziati e irrimediabilmente separati l'uno dall'altro. "La volonta non perde il suo essere infinito diventando individuo o cosa determinata. Ogni cosa è manifestazione della volontà per Schopenhauer ed ogni cosa è la manifestazione dell'idea platonicamente intesa se conosciuta. È il principio di causa, che è semplicemente la forma della nostra intuizione, che conosce il mondo in quanto molteplicità." Il principium individuationis è per Schopenhauer "la forma del fenomeno", cioè come esso appare in esteriorità. Il principium individuationis può allora essere definito come l'illusione del numero e della differenziazione, aspetto del Velo di Maya. E questa differenziazione, pur se solo illusoria, porta i fenomeni a scontrarsi l'uno con l'altro, poiché non comprendono di essere, in fondo, la medesima volontà oggettivata." Che i fenomeni di scontrino l'un l'altro perché non si rendono conto di essere una medesima volontà sembra quanto meno bizzarro. La conoscenza conduce l'uomo alla possibile liberazione e comprensione di essere una manifestazione tra le tante della volontà e a potersi elevare negando la volontà stessa. In forma più semplice ciò che intende Schopenhauer per principium individuationis è la "Molteplicità" "determinata, in modo assolutamente necessario, dal tempo e dallo spazio e che è pensabile solo in essi".
Quando Nietzsche, nella Nascita della Tragedia Greca scrive che lo spirito dionisiaco annulla il principio di individuazione, annulla cioè le categorie civili, statali, morali, intende allora riferire come nell'ebbrezza del Satiro, che è la verità, l'uomo colga l'orrore, l'atrocità, della propria esistenza. Il principio di individuazione, riflesso dell'istinto apollineo, tuttavia è necessario -al fine che l'uomo non si autodistrugga nel proprio lacerante grido (Iakchos) di dolore.
Ma, perché è l'ebbrezza ad esser considerata come verità, e non invece la ragione, il principio di individuazione? Nietzsche è chiaro: "la musica precede l'idea", così Dioniso precede Apollo. Qui, compaiono già le linee che portano a comprendere il complesso discorso nietzschiano: la musica, infatti, precede l'idea a causa della propria immediatezza. Ciò ch'è immediato è senz'altro vero, perché è conosciuto senza i filtri della ragione; in tal senso, Nietzsche parla di conoscenza tragica contrapponendola alla conoscenza ideale, che con la logica ha creato la menzogna. Quindi, il principio di individuazione, in quanto apollineo, non può costituirsi come verità poiché non coincide con la realtà, ma con una "immagine di sogno simbolica". Ciò che pare singolare nel pensiero di Nietzsche ne La nascita della Tragedia è il fatto che il suo principium individuationis che trionfa nello stato apollineo è rappresentato dalla capacità di contemplare la "bella parvenza" sia nel nello stato di veglia sia nel sonno, attraverso la visione dei sogni. Tale contemplazione solare caratteristica di Apollo pare aderente alla contemplazione descritta da Arthur Schopenahuer che diversamente descrive tale contemplazione come ciò che spezza e va oltre il principio di individuazione. Da ciò si evince che la contemplazione schopenhaueriana che libera l'uomo dalle catene del principio di ragione (principio di individuazione) nel perdersi nell'oggetto contemplato, rappresenta per Nietzsche invece il trionfo di questa individuazione (la contemplazione della scultura rappresenta per Nietzsche l'apice di questo stato apollineo). Lo stato dionisiaco a sua volta strappa il principio di individuazione e rende l'uomo partecipante alla forza della natura primigenia. Come non accostare questo stato dionisiaco al concetto di volontà di Schopenhauer? Nietzsche considera però apprezzabile pienamente la volontà ed anzi solo vivendola nella sua pienezza può rendere l'uomo veramente libero e creativo. Ad ogni modo sia per Nietzsche che per il suo maestro Schopenhauer la musica rappresenta l'arte più perfetta attraverso la quale la volontà per Schopenhauer e la forza primigenia di Dioniso per Nietzsche hanno la possibilità di vivere nella loro pienezza. Ciò in cui però i due filosofi non sembrano mai spiegarsi pienamente è il modo nel quale queste forze riescano a rivelarsi nelle opere d'arte figurative (e quindi non immediate dal punto di vista espressiva come la musica). Il principio d'individuazione nei due filosofi sembra spezzarsi vivendo due stati diversi: Schopenhauer nella contemplazione libera dell'oggetto e Nietzsche nella liberazione ebbra di Dioniso nel vivere pienamente la volontà, e proprio in quei due frangenti in cui l'uomo sembra avere la facoltà di creare artisticamente. In tal senso, se ciò che accomuna più individui di una specie è la forma, la materiacapace di recepire i contrari -individua la forma, spiegando a un tempo la distinzione nell'essere e il mutamento della cosa. Nell'Alto Medioevo, quando il mondo latino ancora non conosce che parte degli scritti logici di Aristotele, il problema dell'individuazione dell'ente è affrontato a partire dall'Isagoge di Porfirio e attraverso la mediazione del Commento di Boezio; esso interessa così il problema degli universali nonché, sul piano teologico, la dottrina della Trinità (ogni persona andando individuata e distinta dall'altra al di là di ogni composizione materiale). In generale, gli autori altomedievali rintracciano il principio di identificazione di un ente nei predicati accidentali che ne determinano la differenziazione numerica. A partire dal sec. 12°, con il processo di traduzioni che porterà alla conoscenza dell'intero corpus degli scritti aristotelici nonché di alcune fondamentali opere dell'esegesi araba, l'individuazione torna a essere considerata sul piano metafisico.
Fondamentale è la posizione di Avicenna che, introducendo fra l'altro il concetto di 'forma della corporeità', rintraccia l'individuazione delle sostanze sensibili nell'estensione spaziale che si realizza attraverso la materia, la quale rende possibile ricevere l'insieme degli accidenti. Per Averroè il sostrato per la ricezione degli accidenti è piuttosto dato dalla forma, che finisce così per costituire il principio di individuazione. L'apparente contraddizione tra le soluzioni adottate si deve alla complessità e all'ambiguità delle soluzioni aristoteliche. Nello stesso Aristotele gli interpreti moderni hanno sottolineato il ruolo della forma e non solo quello della materia nell'individuazione. Alle interpretazioni arabe (l'ilomorfismo ➔ universale ripreso in ambito francescano) vanno aggiunte poi quelle ebraiche che, al pari delle prime, influenzarono la riflessione della scolastica cristiana. In essa il problema dell'individuazione ha implicazioni in almeno tre questioni filosofiche e teologiche: l'immortalità personale e la resurrezione dei corpi, da una parte, e la natura delle sostanze spirituali, dall'altra. Queste ultime, prive di materia, sono in genere pensate come individui nel loro essere specie. Per il francescano Bonaventura da Bagnoregio il principio di identificazione è l'insieme o la comunicazione di materia e forma che costituisce l'ente (la materia è solo possibilità, in tal senso a individuare è il composto e l'angelo non è necessariamente una specie), mentre per Tommaso d'Aquino esso è dato dalla materia quantitate signata. A individuare la cosa come tale non è quindi la materia prima e comune, pura potenzialità, ma la materia estesa, ossia la materia che, entrando in composizione con la forma, è di volta in volta sottoposta a una determinazione quantitativa. Il problema di come intendere la materia signata e di come qualificare il complesso rapporto tra materia e quantità sarà poi affrontato dal tomismo. Si distinguono così le opinioni di Francesco Silvestri, che riprende Capreolo, di Tommaso de Vio e di Crisostomo Iavelli. Alternativa rispetto a quella di Tommaso è la soluzione di Duns Scoto che cerca di riconoscere in modo più deciso l'originalità dell'individuo attraverso il concetto di haecceitas, la determinazione stessa della singolarità di un individuo, irriducibile ad altri concetti metafisici.
Dalla filosofia moderna agli sviluppi attuali.
Alla riflessione di Duns Scoto va accostata quella di Suárez che riconosce il principio di individuazione nell'entitas:
ogni sostanza singolare è tale in sé stessa, per il suo essere ente, e lo è sia nel caso della sostanza semplice, sia in quello della sostanza composta, nel qual caso l'individualità richiede insieme la materia e la forma. Gli sviluppi della nozione nel pensiero moderno che va via via emancipandosi rispetto all'aristotelismo dipendono, comunque, dagli ambiti di interesse delle varie scuole: la filosofia cartesiana, dominata dall'atto del cogito, in sé stesso individuante, sembra abbandonare la questione del principio di identificazione, il cui problema è invece affrontato dagli autori che tenteranno di conciliare la singolarità dell'ente, rivendicata dal nominalismo, con la sua intelligibilità universale. Spinoza elabora il principio come negazione; Leibniz, che al principio di identificazione dedica la sua tesi di baccellierato (Disputatio metaphysica de principio individui, 1663), elaborando la soluzione nominalista, giunge alla concezione dell'individuo come determinato dall'insieme dei suoi predicati (omne individuum sua tota entitate individuatur), che sono però infiniti e dunque conoscibili nella loro totalità soltanto da Dio. Infine, per Locke -le cui soluzioni verranno poi riprese per es. da Schopenhauer -il principio di identificazione va ricercato nelle determinazioni spazio-temporali. In psicologia il principio di identificazione interessa il concetto di coscienza di sé. In un senso del tutto particolare il principio di identificazione è inteso da Nietzsche, in cui la critica ravvisa un principio ontologico applicato al problema della distinzione dell'essere umano (Mensch) dal resto del mondo, laddove carattere individuante dell'uomo è la sua «volontà di potenza» e un principio etico: l'atteggiamento dell'uomo e le sue scelte di fronte all'eterno ripetersi dell'identico, fanno dell'individuo quello che è. In logica, da Leibniz in poi, la questione è legata a quella dell'identità degli indiscernibili, ma le riflessioni sull'individuazione nella filosofia analitica sono varie, e spesso vengono ripresi i concetti aristotelici di forma e di genere (si sviluppa la nozione di predicati sortal). Con Frege viene posto in primo piano il problema dell'individuazione di oggetti astratti; con Strawson il concetto di individuazione viene intrecciato con quelli di referenza e di predicazione.
-PROSPETTIVISMO* Pur partendo da un particolare punto di vista, il prospettivismo è consapevole del fatto che ogni punto di vista -compreso, quindi, il proprio -è prodotto da un incessante -e, quindi, mai definitivo -confronto con gli altri infiniti punti di vista.
La metafisica occidentale è costruita, almeno fino a Nietzsche, su una assoluta volontà di verità che è gran seduttrice dei filosofi. Nietzsche invece propone una forma di sapere prospettico ove esistono indefinite interpretazioni e descrizioni del mondo apparente che è l'unico esistente.
Alan Watts ha scritto molto bene che "non riuscirai a capire le tesi di base della tua civiltà, se la tua civiltà è la sola che conosci". Il fine della comparazione speculativa (e non solo) non è il rifugio o la fuga esotista verso un altrove ricercato a partire dal rigetto delle proprie radici storico-culturali; tale fine risiede bensì nell'acquisizioneproblematizzata sofferentemente con tutto ciò che un confronto radicalmente implica -della propria identità a partire da un incontro con un non-stesso. Non si pensa, quindi, alla possibilità di "convertirsi" a un pensiero altro da parte di un occidentale: non è strutturalmente possibile: ma risulta preziosa l'intuizione di ciò che non comprendiamo pienamente in quanto non ci appartiene.
Questo discorso risulta chiaro se applicato al presente piccolo studio: non è pienamente, per noi parlanti l'occidente, comprensibile un pensiero che non si fondi sul concetto di verità; ma una visione -come quella chan -che addita l'essenziale impermanenza delle creature, in quanto tutto è privo di senso, mostra la fragilità e relatività, e insieme il valore, del nostro pensare e della nostra cultura. Non può, oggi, che apparire come profondamente salutare il riscoprire come l'Occidente è un accidente; senza dubbio il più splendido degli accidenti, e con ogni probabilità l'umanamente migliore, ma pur sempre un accidente.
Il concetto stesso di individuo, il cui valore, abbiamo visto, la cultura cristiana con Anselmo fonda sul corrispondersi di un principio del mondo personale all'io singolare, può salutarmente essere fatto reagire con la concezione buddhica di anattā quale è reinterpretata nel buddismo chan: a partire dalla vuotezza meravigliosa del reale, l'io si mostra come non più che la proiezione onirica di uno stato ansiogeno consistente in un infinito impulso desiderativo, radice del dolore, la cui scaturigine consiste precisamente nel ritenere la verità come sostanziale: in altre parole nel rimanere invischiati nella rete egotica di attrazione/repulsione che attribuisce senso a un dato processuale in sé assolutamente, e meravigliosamente, privo di senso.
Prospettivismo
Vedo lo stesso mondo che vedi tu Ma non allo stesso modo A seconda di come pensi di essere Così pensi che sia il mondo Il sostantivo "Prospettivismo" rappresenta un neologismo di Nietzsche anche se egli deriva questo termine da "una visione prospettica" di Teichmuller. Comunque già Zhuagzi (quello del sogno della farfalla, vissuto in Oriente nel IV secolo a,c,) aveva un pensiero prospettico (il santo, il saggio non adotta alcuna opinione esclusiva) mentre Lama Govinda afferma che il modo orientale di pensare consiste soprattutto nel girare intorno all'oggetto della contemplazione … una impressione sfaccettata cioè pluridimensionale che si forma dalla sovrapposizione di singole impressioni ottenute da punti di vista differenti.
In noi esiste, erroneamente, la presunzione che la realtà, qual è per noi, debba essere e sia per tutti gli altri. Invece la mia realtà è diversa dalla tua che è diversa da quella di ogni altro; infinite realtà, infinite prospettive sulla realtà.
Le sei fasce vibrazionali buddhiste sono sei modi simbolici cui l'energia originaria può vibrare, ogni vibrazione crea esseri che vedono il mondo in un certo modo, dunque vivono in mondi diversi. Queste sei fasce sono chiamate LOKA e sono: esseri infernali, spiriti affamati, animali, uomini, divinità gelose, divinità celesti. "Un giorno, presso un fiume, si incontrarono i rappresentanti delle sei Loka. Ognuno vide una cosa diversa: l'essere infernale vide fuoco e ghiaccio, lo spirito affamato vide carne e sangue, l'animale animali e pesci, l'uomo acqua da bere, il dio geloso un campo di battaglia, il dio celeste un paradiso di luce. Ognuno vide secondo ciò che era e vide il mondo per come lui era. Ricordate le macchie di Rorschach?
Dal prospettivismo nasce l'etica di relazione dove ogni individuo si rende conto di essere in relazione con gli altri e capisce che non può perseguire l'egoismo autarchico ma deve tener conto di ogni diversa visione prospettica altrui dando inizio a un'etica pluralistica e veramente democratica tra spiriti liberi.
La legge della relatività di Einstein va inquadrata nel prospettivismo nel senso che ogni fenomeno va considerato nel suo particolare sistema di riferimento. Come a dire che il numero 6 può essere letto anche come 9 se si varia il punto di vista! Oppure si può dire che un elefante ha la proboscide se visto davanti e invece ha la coda se visto da dietro: diversi orizzonti portano a diverse realtà che però convivono. Concludendo: è anche così ma non è solo così! Il mondo è divenuto per noi ancora una volta infinito in quanto non possiamo sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé infinite interpretazioni.
Il prospettivismo di Nietzsche porta a compimento il prospettivismo ante litteram implicito nella svolta copernicana di Kant il cui senso sta nel fatto che il soggetto si sceglie liberamente la propria posizione di fronte all'essente.
Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico. (Nietzsche)
Nietzsche accetta in pieno l'idea che l'ambito delle apparenze sia la dimensione delle prospettive mentre la sua riflessione lo porta a rifiutare l'idea che vi sia un altro mondo epistemico oltre a quest'ultimo, e che quindi si possa concepire l'esistenza di una realtà non prospettica che può essere rivelata per via razionale. (Gori) Nietzsche esalta il principio dell'educazione alla modestia intellettuale che abbandoni ogni pretesa di avere nella categorie il criterio della verità ovvero della realtà e ammetta invece la possibilità che il nostro non sia che uno solo tra gli innumerevoli sguardi possibili sul mondo.
Ma chi o che cosa ha le visioni prospettiche? Non certo l'io visto che per Nietzsche è esso stesso solo un'illusione prospettica. Sarà allora la specie umana ad avere le visioni prospettiche. Anche perché noi uomini solo di quella specie possiamo avere esperienza. Nietzsche però si chiede anche quali potrebbero essere le prospettive non umane o oltre umane. Infatti dice che ogni centro di forza, e non solo l'uomo, costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza. Ma anche ogni istinto è una specie di sete di dominio e ciascuno ha la sua prospettiva che vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti. Quindi i soggetti del prospettivismo nietzschiano sono i centri di forza, gli istinti e la specie. Non è il soggetto che produce prospettive e interpretazioni ma sono queste a costruire quello che il soggetto è.
Il pensiero prospettivistico di Nietzsche potrebbe avere la forza di trasformare gli uomini aiutandoli a uscire dalla morsa del nichilismo. Il suo prospettivismo non è infatti né mero relativismo e neppure nichilismo epistemologico.
Due giovani monaci inesperti vedono un elefante per la prima volta: una è davanti e vede la proboscide, l'altra è dietro e vede la coda. Uno dice "ha la proboscide". L'altro ribatte "ha la coda". Se uno dei due non si sposta, non si muove, non cambia prospettiva continueranno a litigare per sempre invece di capire che: "E' anche così (ha la proboscide), ma non è solo così (visto che ha anche la coda)! Ci vuole una mente libera e calma per essere in grado di considerare le cose da diverse angolazioni e punti di vista.
Cusano dice che il punto prospettico che produce ordine e direzione nella realtà sensibile, sottraendosi al suo piano di immanenza, è anche la direzione verso cui le singole prospettive degli enti guardano come alla propria verità. Rispetto a un universo così prospetticamente costituito è chiaro che il sapere stesso deve assumere un andamento e una struttura prospettiche. E non si tratterà, come si è detto, di una molteplicità di cui il sapere dovrebbe liberarsi per accedere alla verità: la molteplicità è invece il modo stesso in cui la verità si offre nella forma del discorso.
Ogni visione del mondo (Weltanschauung) tende ad avere la pretesa di essere quella universale anche se così non è e non sarà mai. Bisogna saper rinunciare all'inestinguibile aspirazione ad una soluzione per l'enigma del mondo e della vita attraverso un sapere universalmente valido.
Le visioni del mondo si sviluppano in condizioni diverse. Il clima, le razze, la nazioni, determinano attraverso la storia e la formazione di stati, le delimitazioni, condizionate temporalmente, secondo epoche ed età. La realtà, per la propria stessa natura, può essere vista soltanto da una determinata prospettiva e, la prospettiva, a sua volta, costituisce un elemento essenziale della realtà. La realtà non ha una fisionomia propria indipendente dal punto di vista dalla quale la si considera. La sola prospettiva falsa è quella che pretende di essere l'unica vera. Il sole che vediamo è ben diverso dal sole degli astronomi o da quello dei fisici.
Ci sono infiniti modi di guardare la stessa cosa o di descriverne la struttura.
Il mondo è la somma di tutti i possibili punti di vista (delle monadi): geometrale di Leibniz. Quando all'inizio del XVIII secolo Leibniz introduce per la prima volta nella storia della filosofia un riferimento alla tematica in questione, il termine "prospettiva" vale come garanzia e condizione di possibilità dell'armonizzazione dei diversi punti di vista monadici: che ogni monade abbia una visuale diversa rispetto alle altre non significa che veda qualcosa di diverso, bensì soltanto che vede diversamente, vale a dire "prospetticamente", lo stesso universo.
Nel tentativo di comprendere il mistero della vita, l'uomo ha seguito molti approcci differenti. Tra questi vi sono la via delle religioni, la via del potere, la via della scienza, la via dei poeti, la via dei filosofi, la via degli sciamani, la via dei mistici. Queste vie hanno prodotto descrizioni molto differenti del mondo sia verbali che scritte che mettono in rilievo aspetti molto diversi. Sono tutte valide e utili nel contesto in cui sono sorte. Tutte quante però sono solo descrizioni o rappresentazioni della realtà e sono quindi limitate: nessuna riesce a dare un quadro completo del mondo. Solo la molteplicità delle visioni si avvicina alla verità raggiunta solo dal geometrale ossia l'insieme di tutte le infinite prospettive.
Tre gradi di latitudine capovolgono tutta la giurisprudenza, un meridiano decide della verità. In pochi anni di dominio le leggi fondamentali cambiano, il diritto ha le sue epoche, l'entrata di Saturno nel Leone segna l'origine del tale crimine. Ridicola giustizia, delimitata da un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là. (Pascal) In età moderna, con Montaigne, la scoperta del Nuovo Mondo ed i conseguenti problemi etici e antropologici portano a un orientamento prospettivistico del filosofare. In seguito, Leibniz ha sottolineato come una stessa città vista da diverse angolature appaia totalmente differente, pressoché moltiplicata prospettivamente. Usando le parole di Goethe: "Nella stessa città, un evento importante sarà raccontato, alla sera, diversamente che al mattino". La necessaria prospetticità è stata anche oggetto del pensiero gnoseologico della corrente storica dell'Illuminismo.
Il punto di vista filosofico di Nietzsche afferma che tutte le intuizioni e le idee nascono da una particolare prospettiva. Questo significa che esistono molti possibili schemi concettuali, o prospettive in cui può essere fatto il giudizio della verità o del valore. Questo viene spesso portato implicitamente a dichiarare che non esiste un modo di vedere il mondo che sia "veritiero", ma non significa necessariamente che tutte le prospettive siano egualmente valide. Secondo Nietzsche, il prospettivismo rinnega un oggettivismo di tipo metafisico come qualcosa di possibile e afferma che non ci sono valutazioni oggettive in grado di trascendere la formazione culturale o da designazioni soggettive. Ciò significa che non ci sono fatti oggettivi e che non è possibile la comprensione o la conoscenza di una cosa in sé. Questo divide quindi la verità da un singolo o particolare punto di vantaggio e significa che non esiste l'assolutismo gnoseologico o etico. Questo porta alla costante rivalutazione o trasvalutazione dei valori (filosofici, scientifici ecc.) secondo le circostanze di prospettive individuali. La verità viene così formalizzata come una totalità generata dall'incorporazione di differenti punti di vantaggio tutti assieme. R -RAGIONE* E' a partire dall'età moderna che in Occidente diviene largamente prevalente la convinzione secondo cui il principale organo di conoscenza dell'uomo sia la ragione, intesa come facoltà del tutto individuale, discorsiva e calcolante, e che essa comprenda la realtà non già mediante un processo di purificazione (khatarsis) del proprio occhio interiore, processo coinvolgente l'intero essere umano e culminante nella contemplazione (theoria, contemplatio), come era stato per i filosofi greci e romani, ma attraverso un'opera di costruzione, di elaborazione, di fabbricazione della verità a partire dai propri concetti. (Vicentini)
La ragione si unisce infine alla sorte di tutti quegli altri mostri astratti come l'Obbligo, il Dovere, la Morale, la Verità e i loro predecessori più concreti, gli Dei, che furono usati un tempo per incutere timore nell'uomo: svanisce! (Feyerabend) Due eccessi: negare la ragione o non ammettere che la ragione. (Pascal) Il paradosso più alto della ragione è quello di voler scoprire qualche cosa che trascende il pensiero. Ma che cosa è questo sconosciuto contro il quale la ragione, nella sua passione per il paradosso, entra in collisione? E' lo Sconosciuto! (Kierkegaard) Non si può dire che tutto abbia un senso (razionalismo) oppure che nulla abbia senso (scetticismo) ma che c'è del senso. (Merleau-Ponty) L'uomo di oggi raramente si innalza al di sopra di se stesso perché si è lasciato assorbire dalla tecnica e si lascia illudere dall'eccesso di razionalità.
La ragione apollinea (che in psicologia viene chiamata Ego) è solo un sistema di regole da cui non può nascere nulla di nuovo. Per creare bisogna attingere al dionisiaco indifferenziato originario detto anche subconscio: bisogna recuperare la follia che ci abita. Non si crea opera d'arte se non attraverso un sacrificio dell'io e un attingimento dalla follia.
"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Era la sfida che Pascal, alle soglie della stagione illuministica, lanciava al mondo dei libertini. Si trattava appunto di rompere la presunzione libertina, alla quale Pascal rimproverava di aver scelto solo una parte dell'uomo: l'intelletto quale unico portatore della ricerca e della verità; l'intelletto contro la vita del cuore e dei sentimenti, intesi come vibrazioni dell'animo ma non come luogo di conoscenza, non come spazio di cognizione. Pascal voleva ritrovare l'unità dell'umano e questo nella profondità del cuore, secondo l'accezzione biblica del termine: il cuore appunto come luogo della piena sapienza, come spazio di un conoscere che va ben più a fondo del solo intelletto. Anche Marcuse accusa l'occidente di aver costruito l'uomo a una dimensione: la dimensione del solo intelletto appunto.
-RAPA NUI* Quella raccontata qui è solo una favola: la favola dell'umanità.
Iniziamo descrivendo il luogo ove si svolge la favola: si tratta di una piccola isola coperta da una fitta foresta di palme e dispersa in mezzo all'Oceano Pacifico. Qui sbarcarono, dopo un viaggio lunghissimo su delle piccole canoe provenienti da ovest, poche decine di polinesiani. Portavano con sé semi, piante, animali. Correva, all'incirca, il sesto secolo della attuale era. Forse molti altri tentativi erano già stati fatti ma questo era il primo e, forse, non l'ultimo che centrava il bersaglio di giungere a Rapa Nui (il grande scoglio).
I polinesiani si ambientarono subito e la popolazione prosperò per diversi secoli. Finché non si incominciarono a costruire i Moai, quelle enormi statue monolitiche che voltano le spalle al mare.
Cosa rappresentavano i Moai e perché venivano costruiti? Probabilmente rappresentavano gli antenati e le divinità. Il loro scopo sembra quello di trattenere sull'isola il Mana (l'energia magica) di quei grandi personaggi che erano gli antenati divinizzati.
Il vero problema consisteva però nello spostare queste enormi statue che pesavano decine di tonnellate per decine di chilometri. Come fare? Forse si tagliavano le grandi palme per usare i tronchi, che venivano così distrutti, come mezzo di trasporto. Quindi: più Moai meno palme! E alla fine le palme finirono … Era stato distrutto un ecosistema per innalzare statue che celebravano il potere terreno e ultra terreno.
Nel periodo di decadenza si arrivo alla guerra fra clan, allo schiavismo e, forse, anche al cannibalismo fra gli abitanti di Rapa Nui.
Servono spiegazioni per questa favoletta? Ecosofia di Naes! -REALTA'**
Ogni realtà (dhamma) è impermanente (anicca) e senza un vero sé (anatta).
Ogni realtà (dhamma) risulta condizionata dalle altre -virtualmente infinite -realtà! L'Oriente vede la generazione del reale non come creazione, ma come una semplice interazione; a questo, anche, è dovuta la possibilità di esimersi dal richiamo ad una causalità trascendente al mondo e di spiegazione della realtà come un processo immanente. ( La realtà è un sistema infinito di relazioni. E' complessa perché prodotta da correlazioni infinite e indefinite perché mutevoli. In un simile contesto, cos'è la verità?
Il filosofo Paci dice che non possiamo avere nessuna visione della realtà che non sia filtrata dalla nostra "singolarità", dal nostro essere un Io.
Nietzsche è stato uno dei pochi pensatori ad aver descritto la realtà come una polifonia interpretativa il cui fondamento risiede nello sguardo dell'interprete.
La realtà
Non posso descriverti la realtà Perché è al di là di ogni spiegazione Il desiderio fondamentale è essere La paura fondamentale è non essere Il mondo e la mente sono stati dell'essere L'assoluto non è uno stato dell'essere Gli uomini credono che la loro visione del reale sia unica e permanente e credono di vedere l'unico mondo possibile. In realtà numerosi mondi sono a disposizione della percezione umana. Nel mondo moderno l'abitudine e l'educazione fissano una particolare distribuzione dell'energia, da cui nasce una certa percezione di realtà. Lo sciamano insegna a rompere questa distribuzione e dunque a cambiare i parametri ordinari di percezione. Ciò vuol dire entrare in mondi inimmaginabili.
L'oggetto è intrinsecamente vincolato al soggetto, e viceversa. Solo in quanto in rapporto al soggetto, l'oggetto è ob-iectum, gettato davanti, così che identificare l'oggetto di conoscenza con l'oggetto in se, con la realtà che è tale perché autonoma e autosufficiente, dunque perché assoluta, è un errore gnoseologico. Dunque la realtà non è assoluta ma è relazionale.
La realtà non è deterministica.
La realtà è nulla! Nulla è reale! Questa è una delle interpretazioni della meccanica quantistica relazionale.
L'uomo immagina che la realtà sia stata creata da una volontà simile alla sua. Nella realtà nulla è veramente intellegibile sia perché tutto è relazione e sia perché il caso è un importante protagonista.
La Realtà contiene i concetti, ma nessun pensiero potrà mai afferrarla.
La Realtà pervade l'universo, ma nessuno può penetrarla: è non-duale, testimone di tutto, senza separazione. È in unità con qualunque oggetto di conoscenza, non si può pensarla, poiché è ciò che sta pensando.
La realtà consiste nell'azione e nella reazione particolare di ogni individuo verso il tutto. (Nietzsche) Dunque la realtà è relazione.
La nostra concezione della realtà tende a ridurre il mondo a semplici formule logiche. (Nietzsche)
Ciò che noi oggi consideriamo reale non è altro che una interpretazione delle cose dotata di una particolare utilità.
Il cosiddetto mondo della realtà non è l'unico mondo datoci. Anzi, bisogna dire che il mondo costituito tramite un simile concetto non è altro che la superficie della realtà. Dietro a un tale mondo c'è il fluire della vera realtà, riempito di una grande vita il cui fondo è sconosciuto. Proprio questa realtà è l'oggetto dell'arte. (Nishida Kitaro) Chi sta per cadere nel burrone si attacca ai fili d'erba. Fa parte della natura umana credere più nelle speranze che nella realtà. (Angela) E' la realtà stessa a conoscersi, a riflettersi o a vedersi per mezzo dei singoli soggetti, che sono di fatto gli effetti, i risultati di questa autoriflessione del mondo su di sé.
La realtà, che è Unità tutta interconnessa, trascende il linguaggio ordinario.
Kant dice che noi non conosciamo la realtà per come è in sé (noumeno), ma appunto per come noi la recepiamo (fenomeno).
L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose. (Calvino)
Forse esistono molte realtà date tutte insieme e noi ne percepiamo solo una: la nostra realtà anzi, la nostra prospettiva sulla realtà.
E' il sistema nervoso che struttura la realtà. Infatti noi percepiamo come materia solo della vibrazioni. Tutte le cose sono abitudini della percezione.
In tutte le cose noi vediamo un confine che separa una cosa dall'altra. Ebbene, questo confine non esiste! Serve a noi per capire perché capire è dividere. C'è una sola cosa e ciò che sembra essere una pluralità è semplicemente una serie di differenti aspetti di questa sola cosa prodotta dall'illusione.
Non posso descriverti la realtà perché è al di là di ogni spiegazione. La realtà è lo stato senza nome. (Nisargadatta Maharaj) Ritenere che tutta la realtà sia «vuota» significa ritenere che essa abbia una struttura che è relativa, relazionale, e, nel contempo, transitoria, impermanente.
Conoscere la realtà al di là di ogni preconcetto e di ogni pregiudizio, come pure al di là di ogni indagine storica e di ogni discussione filosofica: in questo senso di radicale epoché la meditazione del buddhismo zen appare come una ripresa di quella «visione intuitiva» (vipassana) che caratterizzò il buddhismo delle origini.
Qualsiasi cosa venga detta non è mai del tutto aderente alla realtà.
Tutto ciò che si pensa sulla vita non è la realtà, ma è una costruzione mentale che l'uomo utilizza per vivere, perché la realtà sta ben oltre tutte le costruzioni mentali.
Tutto quello che noi pensiamo appartiene al mondo dei concetti ma la realtà non è un concetto.
L'impermanenza dell'intera realtà: è impossibile catturare, con un'immagine o un concetto, anche il più piccolo frammento di esistenza. In tal senso si potrebbe dire che l'haiku è una forma di poesia mistica, in quanto, comunicando l'impermanenza di un evento, comunica nel contempo anche l'impermanenza del linguaggio che lo descrive, ed esplicita dunque l'intrinseca, ineludibile, ineffabilità di ogni fenomeno.
La realtà, in quanto eccedente la parola, diventa ineffabile, impossibilitata a trovare una sua traduzione adeguata, degna, perciò, di non essere spiegata fino in fondo: diventa, cioè sublime, divina e sacra.
Secondo Bergson occorre decidersi: o il reale crea il possibile (quello che è già accaduto era possibile) oppure il possibile crea il reale. Bergson sceglie la prima alternativa. Quasi tutta la filosofia moderna e contemporanea ha invece scelto la seconda via: Heidegger, la volontà di potenza, la progettualità del soggetto quale homo faber. Bergson invece afferma che nel nostro presente attuale, che sarà il passato di domani, è già contenuta l'immagine del domani, anche se in realtà non siamo in grado di determinarla. Se nella prospettiva delle ideae ante res il possibile eccede il reale, in quella delle ideae cum rebus è il reale che sorprende il possibile costringendolo a ristrutturarsi in continuazione. Domanda: ma siamo proprio sicuri che il possibile diventi il reale? E se non fossero due distinte posizioni ma fossimo al cospetto dell'avvolto che avvolge? E se sia il possibile che il reale fossero solo concetti della mente così come lo è anche l'io?
La dualistica questione del possibile che crea il reale (Heidegger) e del reale che crea il possibile (Bergson) è una problematica relativa alla mente della persona umana. Nell'unica vera realtà che è l'invariante, l'incondizionato, il non personale e non duale, la questione non si pone neppure anche perché nessuno la pone.
Ogni realtà è sia condizionata che condizionante. Ogni realtà è sia insostanziale (anatta) che impermanente (anicca ).
Noi cerchiamo di liberare l'anima dal peso della realtà. Al suo livello più profondo la realtà non è altro che una sorta di super ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente.
Tutto quanto ti capita è una TUA percezione
Non nego la realtà ma sono scettico su qualsiasi definizione di essa. (Pirrone)
Non esiste una sola realtà! La percezione della realtà varia da individuo a individuo a seconda dei sentimenti, degli scopi e delle rappresentazioni personali.
La nostra storia prevede altri percorsi, ciò che la metafora della meccanica quantistica ha esportato nel mondo della cultura contemporanea, gli stati sovrapposti dell'esistenza, mentre la realtà che noi conosciamo è unidirezionale segue solo un tragitto. Sembra un paradosso poter affermare che noi non siamo mai nati, che siamo vivi solo per il nostro sistema di riferimento e potremmo non esserci se osservati da altri piani dimensionali, abitiamo una realtà nebulosa, tuttavia reale per noi forse senza alcuna origine, che fluttua fuori da tempo, attraversa la curvatura del tempo e si annichilisce nel vuoto oltre l'eternità. Inoltre, non esiste un solo tempo, ma tempi diversi, mentre noi non siamo neanche un punto, ma la sua metafora.
L'esatta natura della realtà, sostiene Wheeler, dipende dalla partecipazione di un osservatore consapevole. In questo modo è possibile far risalire alla mente la responsabilità della creazioni retroattiva della realtà.
Davies afferma: "… che secondo Bohr l'indistinto e nebuloso mondo dell'atomo prende corpo nella realtà concreta solo quando lo si osserva, In assenza dell'osservatore, l'atomo è un fantasma che si materializza solo quando lo si cerca".
Se non ci fosse il tempo stringeremmo ogni cosa in un lampo d'infinito. La realtà nella sua essenza profonda non appartiene ai sistemi integrabili. Le realtà sono instabili, sono disseminate in un ibrido di esistenza ed inesistenza, tuttavia i loro frammenti di certezza tendono a decadere e dissiparsi nel vuoto. Così la vita nasconde nelle strutture più profonde l'indefinito, il virtuale e sembra strano che da questa fantasmatica apparenza possa essersi concepita l'esistenza.
La realtà è un gioco infinito di forme in continua metamorfosi, gioco in cui siamo immersi e coinvolti anche noi.
Poiché la nostra rappresentazione della realtà è molto più facile da afferrare che non la realtà stessa, noi tendiamo a confondere le due cose e a prendere i nostri concetti e i nostri simboli come fossero la realtà.
La realtà è solo il fluire delle nostre rappresentazioni. (Enesidemo)
Quale luogo stiamo attraversando? Dove sono finiti i nostri morti, forse sia noi che loro non siamo mai nati, o nati e morti; come il paradosso del gatto di Schròdinger che è vivo/ morto. Se si sposta il criterio dell'osservazione tutto cambia di prospettiva, potremmo essere o non esserci, forse viviamo in stati ibridi sovrapposti, ma ne percepiamo solo uno che definiamo reale. C'è consentito di osservare la realtà da un solo angolo di visuale. E' come se esistessimo solo quando qualcuno ci osserva, mentre scompariamo dalla vita quando quel qualcuno di cui non sappiamo niente della sua esistenza volge lo sguardo altrove. La nostra natura nebulosa e vaga acquista tonalità dense di colore, invece siamo meno consistenti del vuoto.
Un tempo pensavamo che tutto fosse in qualche modo progettato, disegnato a priori, cioè che una qualsiasi organizzazione vivente non poteva che derivare da una complessità superiore. Oggi, invece, si abbracciano ipotesi del tutto contrarie: dalla disorganizzazione si va via via strutturando la complessità. È proprio lo squilibrio, la dissipazione dell'energia ad offrire l'opportunità stessa dell'esistenza. L'universo è condannato alla morte poiché dissipa la sua energia spargendola verso l'infinito, ma è questa transizione che volge verso il suo decadimento ad offrirci l'opportunità di esistere. Il vuoto si espande e l' universo si affretta, finché un giorno tutte le stelle si spegneranno e sarà l'era della notte, l'epoca del buio eterno. Ma se osserviamo la realtà da un punto di vista quantistico le cose potrebbero apparirci ben diverse, ciò non vuol dire che non sia vera questa realtà, ma è solo una delle tante realtà, le realtà esistono insieme, siamo noi che ne viviamo soltanto una.
Se il tempo è relativizzato, vuol dire che noi transitiamo soltanto l'ombra della realtà. La realtà è una metafora, ci troviamo dinanzi a diverse curve temporali che s'intersecano e divergono, come la geometria del caos che segue traiettorie indistinte. Supponete di rappresentare il tempo attraverso una curva, ciascun tempo avrà una sua curvatura, immaginate che dentro una di quelle curve ci sia la nostra vita, noi vediamo solo una parte di una delle traiettorie, un dito d'universo, questo frammento d'orizzonte è ciò che osserviamo, le altre dita o curve ci saranno precluse.
Non si può conoscere la Realtà, si può solamente dimenticare l'"io" ed automaticamente essa è ed è questa la nostra vera natura.
Le anime sono presenze virtuali, hanno ragione sia i credenti, che gli atei, perché sono presenze ed assenze, la loro vita come la nostra dipende solo dal punto di vista in cui ci situiamo quando la supponiamo. La realtà è confusa! Nello scoprire l'unica realtà dietro i tanti riflessi si vedrà che nessuna parola, pur sublime, renderà giustizia a Quello.
Ciò che appare è visione del non manifesto. (Anassagora) L'apparenza non è opposta alla realtà! Ne è invece la sua prima manifestazione.
Tutto ciò di cui facciamo esperienza è una realtà virtuale generata dal nostro cervello. E poiché i nostri concetti (innati o appresi che siano) non sono mai perfetti, percepiamo simulazioni necessariamente imprecise, che ci forniscono l'esperienza di un ambiente assai diverso da quello in cui ci troviamo realmente. ne abbiamo ottimi esempi: i miraggi e le illusioni ottiche; il sentire la terra ferma sotto i nostri piedi nonostante il suo moto sia rapido e complesso; il percepire ad ogni istante un unico universo e una singola copia del nostro sé cosciente quando sappiamo che ce ne sono molte.
I realisti pensano che la realtà sia la fuori... forse però esistono solo scariche elettriche!... esiste solo la realtà virtuale. Tutto ciò di cui facciamo esperienza è una realtà virtuale generata dal nostro cervello. Percepiamo quindi simulazioni, simulazioni imprecise: il percepire ad ogni istante un unico universo e una singola copia del nostro ego cosciente è forse un errore perché potrebbero esistere sia molti universi che molti io. Se osserviamo la realtà da un punto di vista quantistico le cose potrebbero apparirci ben diverse, ciò non vuol dire che non sia vera questa realtà, ma è solo una delle tante realtà, le realtà esistono insieme, siamo noi che ne viviamo soltanto una.
La realtà sembra essere decisamente molto più ampia e variegata della sezione a noi visibile, e delle modalità a noi percepibili. il binomio "passato -futuro" è relativo alle modalità della nostra osservazione, non una caratteristica intrinseca dell'esistenza, la quale invece lascia spazio ad infiniti diversi flussi tra "passato e futuro"e ci impone, penso io, una profonda revisione del nostro modo di interpretare la realtà. (Zamboni) Per Musil la possibilità è ciò che è potrebbe benissimo non essere, o essere diversamente da come è; la realtà non ha nulla di necessario né tantomeno di definitivo ma è solo il concreto quanto momentaneo cristallizzarsi degli infiniti possibili che prima furono e che poi saranno. Da qui il non dare maggior peso a ciò che è rispetto a ciò che potrebbe essere.
L'uomo vede il mondo sorpassare se stesso nell'attimo stesso in cui tenta di giudicarlo, rapito dall'indefinibile indeterminatezza del reale.
In noi esiste, erroneamente, la presunzione che la realtà, qual è per noi, debba essere e sia per tutti gli altri. Invece la mia realtà è diversa dalla tua che è diversa da quella di ogni altro; infinite realtà, infinite prospettive sulla realtà.
Ciascuno vuole imporre agli altri il mondo che ha dentro: gli altri devono essere come lui li vede! Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere.
La realtà non è obiettiva, essa è solo consensuale.
Le cose diventano reali solo dopo che si è imparato a mettersi d'accordo sulla loro realtà.
Nulla che sia percepibile è reale. Non c'è una realtà unica condivisa da più osservatori. Ognuno è costretto a farsi un mondo di cartapesta solo per se stesso.
Ciascuno può percepire della realtà soltanto ciò che è in grado di riconoscere e comprendere.
Odifreddi dice che la complessità del reale rende difficile, se non addirittura impossibile, una sua conoscenza esaustiva e ostensiva. Da sempre dunque si è cercato di ridurlo e classificarlo in un progressivo percorso di semplificazione e astrazione (divisione direi). La rappresentazione della realtà è stata ridotta dapprima a concetti e ideogrammi. Poi si è arrivati alle lettere e ai numeri.
L'idea che la realtà va studiata per conquistarla, per sottometterla, per governarla a nostro piacimento è una nostra invenzione occidentale, in particolare degli ultimi secoli.
-RELATIVISMO* Se io avessi un io … sarei, per scelta, relativista. Ma vista che non credo di avere un io, sarei nichilista. Stupidaggini! Vuoti concetti! Liberi dall'io, non si può essere né relativisti e neppure nichilisti. Solo chi ha un io molto strutturato pensa al relativismo e al nichilismo.
La cultura sofistica, servendosi della critica della nozione di verità perviene ad una forma radicale di relativismo. Non solo non esiste una verità assolutamente valida, ma l'unico metro di valutazione diviene l'individuo: per ciascuno è vera solamente la propria percezione soggettiva. Analogamente tale visione relativistica del mondo viene applicata al campo dell'etica... Non esistono azioni buone o cattive in sé; ciascuna azione deve essere valutata caso per caso. (Cioffi) Il relativismo è l'atteggiamento del pensiero che consideri la conoscenza come incapace di attingere una realtà oggettiva e assoluta. Il Relativismo culturale, ad esempio, è la tesi per cui culture diverse presentano costumi e valori diversi, su cui nessuna scienza può pronunciare giudizi di valore. Il Relativismo etico, è la tesi per cui i principi e i giudizi etici sono relativi alle norme stabilite dagli individui o a quelle vigenti in determinate culture, cosicché non esisterebbe alcuna morale universale. Per i dogmatici di tutte le religioni e culture il relativismo è il nemico da abbattere.
Chi è relativista sostiene che una verità assoluta non esiste, oppure, anche se esiste, non è conoscibile o esprimibile o, in alternativa, è conoscibile o esprimibile soltanto parzialmente (appunto, relativamente); gli individui possono dunque ottenere solo conoscenze relative, in quanto ogni affermazione è riferita a particolari fattori e solo in riferimento ad essi è vera.
Per i sofisti, nessun atto conoscitivo raggiunge la natura oggettiva delle cose, né rappresenta una verità assoluta valida per ognuno. Per Protagora la conoscenza è sempre condizionata dal singolo soggetto che percepisce e pensa, e non esistono criteri universali che consentano di discriminare la verità e la falsità delle conoscenze soggettive, né un bene ed una giustizia assoluti, che possano valere da norma definitiva per i comportamenti etici.
Un ulteriore punto di vista, di cui Ludwig Wittgenstein fu il principale sostenitore, è che, poiché tutto viene filtrato dalle percezioni umane, limitate ed imperfette, per forza di cose ogni conoscenza è relativa alle esperienze sensibili per l'uomo.
Il relativismo è una posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva. In Europa se ne riconosce la prima comparsa all'interno della sofistica greca; in seguito posizioni relativiste furono espresse dallo scetticismo antico e moderno, dal criticismo, dall'empirismo e dal pragmatismo.
Per il filosofo Nicola Abbagnano l'antica sofistica, lo scetticismo, l'empirismo e il criticismo sono manifestazioni di un relativismo che tenta di crearsi una tradizione. Ma in realtà la corrente detta Relativismo, per Abbagnano, è nata come fenomeno moderno, legata alla cultura del XIX secolo. Manifestazione estrema la dottrina di Oswald Spengler nel suo libro Il tramonto dell'Occidente (1918-1922 dove è affermata la relatività di tutti i valori della vita in rapporto alle epoche storiche, considerate come entità organiche, ognuna delle quali cresce, si sviluppa e muore senza rapporto con l'altra: « Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso. Non vi è alcuna morale umana universale » Tra le varie civiltà non è possibile alcuna comunicazione, poiché non vi sono valori comuni tra esse; per cui anche la civiltà occidentale è quindi destinata ad estinguersi.
Ci sono cristiani che organizzano preghiere contro il relativismo. Non sarebbe, forse, meglio amare il prossimo scevri da piccole ideologie divisive? Meglio i comportamenti (orto-praxia) che le ideologie (orto-doxia).
I critici del relativismo sostengono che se, come affermano i relativisti, nessuna rappresentazione umana può aspirare al rango di "oggettività", allora neanche il relativismo stesso può aspirarvi; pertanto esso si contraddirebbe qualora pretenda di essere nel vero. Attenzione però … il relativismo, forse, non pretende di essere nel vero, ma esprime semplicemente un punto di vista, una prospettiva.
-RELAZIONE
La prima e più importante relazione è quella con il fondamento originario e sconosciuto: il Vuoto, il Nulla, l'Uno -Tutto o Dio che dir si voglia.
La relazione non è semplicemente fra l'uno e l'altro (estrinseca) ma è costitutiva del loro stesso esserci, della loro essenza.
L'antico pensiero orientale non è nichilistico ma relazionalistico. E' il nulla a consentire alle cose di avere forma. Tale forma è, per ciascuna, il suo essere tale solo in relazione ad altro. Relazionismo universale con conseguente impossibilità di esistenze individuali separate.
Alcuni (realismo strutturale ontico) sostengono che esistono solo le relazioni e non le sostanze, altri (realismo strutturale epistemico) dicono che noi possiamo conoscere solo le relazioni ma che le sostanze esistono anche se sono inconoscibili. Il realismo strutturale ontico sembra proporre una metafisica spinoziana in cui ci sarebbe una sola sostanza piena di relazioni.
Tutte le cose sono collegate le une con le altre, e sacra è la loro connessione: nessuna, si può dire, è estranea all'uomo. Perché tutte sono organicamente coordinate e insieme concorrono a formare l'ordine stesso dell'universo. (Marco Aurelio) Il termine "relazione" comporta l'assunzione, da parte di ogni elemento, della presenza di tutti gli altri, in quanto nessun è termine in sé isolato: nel momento in cui si dà l'apertura all'altro che lo determina ponendosi in rapporto reciproco con l'altro, immediatamente il vincolo relazionale stabilisce quella rete infinita di relazioni che è metafora, immagine rappresentativa del carattere dialettico del reale; e relazione indica propriamente che per ogni elemento ne va dell'essere e del manifestarsi degli altri. (Ghilardi)
Ogni identità non si costituisce, in un primo tempo, in sé e per sé, e poi, in un secondo tempo, entra in relazione con una identità diversa, ma essa si costituisce, fin dall'inizio, da relazioni con identità diverse che, a loro volta, si costituiscono in modo relazionale. (Pasqualotto) Quando l'ego ha il sopravvento sulla relazione, accade che un io accusa l'altro di essere colpevole di qualche cosa, anzi, di qualsiasi cosa. Incolpare l'altro significa distruggere la relazione per salvaguardare la propria immagine dell'ego. E' vero: in ogni fatto, in ogni cosa isolata, si rivelano legami con tutte le cose, con tutti gli altri fatti. (Paci)
Ubuntu è un'etica, un'ideologia dell'Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.
Il tai chi tu (taijitu) è relazione intrinseca.
Il respiro (Ki, prana, pneuma) è la prima e più importante fra le relazioni che il vivente ha con il mondo. Il Respiro è l'energia primigenia senza la quale non vivremmo.
L'atomo è costituito principalmente da relazione visto che la sua massa effettiva è inconsistente: il 99% dell'atomo è vuoto! Il pensiero normale è incapace di cogliere l'armoniosa e strettissima relazione esistente fra l'uno e il molteplice. Il pensiero complesso riesce invece nell'intento.
L'insegnamento buddista sviluppa una poderosa articolazione argomentativa per dimostrare l'inaggirabile relazionalità universale. (Pasqualotto) Confucio dice che si realizza la propria umanità solo in relazione con altri esseri umani.
Noi, tanto se siamo, quanto se diventiamo, siamo e diventiamo in relazione l'uno con l'altro. (Platone) Il nostro cervello è composto principalmente da cento miliardi di connessioni neuronali che non sono altro che relazioni fra segnali elettrici.
Tommaso d'Aquino, nella sua riflessione teoretica sulla Trinità, afferma che la singola persona divina è definita elusivamente attraverso le sue relazioni e aggiunge anche che essa è in quanto relazione. Forse non sarebbe fuori luogo estendere il concetto alla persona umana.
Paticcasamuppada è un termine in dialetto pali che significa "genesi interdipendente" a significare che ogni elemento della realtà viene visto come condizionato e condizionante allo stesso tempo. Al cuore di questa teoria sta infatti il senso di reciproca implicazione che connette tutti gli elementi della realtà.
Ogni cosa è quello che è -scrive Paci -ma è anche l'indice delle altre. (...) La correlazione -che spiega perché il 'relazionismo' di chi scrive queste righe ha dovuto rifarsi alla fenomenologia che proprio nei testi inediti di Husserl si è dichiarata relazionistica anche se tale era fin dall'inizio -significa in altre parole: se ritorno all'io nell'io trovo tutto il resto e lo trovo fondato sull'esperienza mia ed altrui Attraverso il relazionismo Paci ha delineato una filosofia sensibile ai problemi dell'esistenza, aperta ai molteplici significati dell'esperienza, sempre incompiuta e in 'corso', capace di accogliere le problematiche della scienza, consapevole dei propri limiti teoretici ma diffidente dalla 'verità' assoluta.
Il relazionismo è la dottrina filosofica che, opponendosi a ogni sostanzialismo, risolve l'essere nelle sue relazioni. Tutto è relazione! A partire dal semplice atomo fino all'universo intero. Infatti l'atomo è relazione in quanto, essendo composto quasi per il 99,99% da vuoto, ha consistenza solo grazie alle relazioni (o forze) fra il nucleo e gli elettroni e alle relazioni interne al nucleo. Per l'universo vale invece il concetto di interdipendenza cosmica di tutti i fenomeni che è una delle tre leggi fondamentali della meccanica quantistica. Unità e interconnessione cosmica ribadita anche dall'antico pensiero orientale. Anche il tempo è relazione e pure lo spazio è relazione! Non solo il mondo (l'atomo e l'universo) è retto dalla relazione ma pure l'individuo è relazione. Si pensi, ad esempio, che l'esistenzialismo del filosofo Paci è la relazione, intesa come condizione di esistenza di tutti gli avvenimenti che costituiscono il mondo (Dall'esistenzialismo al relazionismo). Evento è anche l'io, che si conosce come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze. L'Io infatti si riconosce solo in quanto confrontato con un Altro, e sono quindi gli altri a dare conformazione e identità al nostro Io, e questo processo è fruttuoso, forte e orientato se il soggetto sa e si impegna a stringere "Relazioni". Lo stesso filosofo Paci definiva il suo pensiero Relazionismo (il suo relazionismo è "concreto" e non logico -astratto: dunque esistenzialistico) intendendo il suo continuo impegno intellettuale di ricerca di senso, anche e soprattutto mediante la Relazione. La Relazione per Paci è qualcosa di fondamentale e ulteriore che cambia la nostra vita. Paci scriveva che la Relazione prescinde i due soggetti che la intrecciano, è un concetto "nuovo", "terzo" che è tanto più significativo quanto più i soggetti sono disposti a farsi mutare consapevolmente da essa, e dal lavoro di riflessione che ne segue. La relazione va cercata, coltivata, resa e mantenuta continuamente autentica, anche se conflittuale. La riflessione, infine, come salvezza dall'irreversibilità del tempo, ricrea e analizza il passato per ricercarne ancora il senso, e proiettare questa ricerca nel futuro di un progetto. Epochè, riflessione e relazione costituiscono, riassumendo, il lavoro esistenziale di ricerca di senso.
Fenomenologia: il fenomeno è l'apparire alla coscienza di una relazione.
Paticcasamuppäda (pali): 'sorgere dalla condizione precedente', 'originazione dipendente'. Forse vuole significare la connessione globale, il rapporto di reciproca dipendenza e non sequenza causale. Dunque, un enorme processo di relazioni interconnesse: "vedo migliaia di elementi interconnessi che hanno concorso alla formazione di questa ciotola: terra, acqua, fuoco, aria, e molti altri" dice Ananda interrogato dal Buddha. Si parla di relazionismo dinamico! Senza relazione non si può esistere: "essere" significa essere in relazione … Non sembra che la maggior parte di noi si renda conto di questo fatto, e cioè che il mondo è relazione con tutto il resto.
L'idea di relazione è presente in Eraclito (frammento 26: quando si addormenta l'uomo mette in relazione la vita con la morte -mia libera interpretazione); in Platone Sofista 259a; in Spinoza che per Pasqualotto è addirittura un Buddha, un risvegliato; in Hegel Scienza della logica (passim).
Anche nel Canone Pali del buddismo hinayana (il più antico) si celebra la relazione come costitutiva di ogni realtà fisica o metafisica.
Il Neo -relazionismo nell'arte
La relazione è trasformazione. Le diversità si manifestano in quanto in relazione le une con le altre. Soltanto dal confronto scaturisce il movimento e di conseguenza la trasformazione. La forma iniziale di un processo si modifica in una forma finale che la contempla in uno sviluppo organico: la trasformazione è metamorfosi. D'altro canto essa realizza le diversità poiché stabilisce relazioni tra le nuove forme che si sono create nel tempo. La relazione è energia. Durante questo processo dinamico avviene uno scambio energetico. Il lavoro termodinamico è energia, ma lo sono altrettanto il pensiero, la parola ed il sogno. L'atto contemplativo e la meditazione sono energia. L'operazione di osservare è relazione ed energia: non esiste l'osservatore assoluto che osserva l'oggetto natura, ma il ricercatore è nella natura, così come la natura è nel ricercatore. Nell'atto di conoscere, avviene la trasformazione, conseguenza dell'interazione che si stabilisce tra essi. La relazione è valore. La trasformazione per sua stessa natura, sviluppa contenuti che sono gli effetti delle diversità trasformanti, ma anche la causa della continuità del processo. Ogni evento è in relazione con gli altri, sia presenti che passati o futuri. La comprensione di questo meccanismo, comporta nell'essere umano la consapevolezza della totale responsabilità della propria esistenza. Questa consapevolezza è valore.
Preso atto di quanto enunciato, stabiliamo in questi sette punti il Manifesto del Neo-Relazionismo:
1. Tutto è relazione, l'esistenza è relazione, l'uomo esiste in quanto relazionante.
L'arte è intuizione dell'interrelazione che pervade l'Universo,
è metamorfosi, perché trasforma una forma in un'altra. L'opera d'arte è la realizzazione di uno stato transitorio, è contemporaneamente effetto di un processo e causa di un altro. La trasformazione continua attraverso la contemplazione da parte dell'osservatore ed innesca in lui un processo di elaborazione dei contenuti. L'opera d'arte è una chiave che permette di sintonizzare la propria vibrazione armonica con quella del Tutto. Traghettando l'individuo che la osserva nel mondo delle proprie intuizioni ed emozioni più intime, l'opera si relaziona con il fruitore in modo unico.
3. L'artista ha il dono di sentire, elaborare e trasformare i segni dell'Universo. Egli sa ricordare, lasciando che immagini e simboli, provenienti dai propri livelli di coscienza, affiorino; li accoglie, li elabora e li integra, attende che emergano naturalmente in superficie e li offre agli altri. Egli, tramite la qualità e l'intensità della sua opera, non solo crea un'opportunità di crescita per elevare se stesso, ma riesce anche ad innalzare coloro che entrano in risonanza con la vibrazione irradiata dalla sua arte.
4. L'artista si pone al servizio dell' Umanità attraverso l'arte. Riconosce il proprio dono con umiltà e lavora con obiettivi sempre molto elevati e puri, cioè costantemente focalizzati sull'amore incondizionato per la Natura, l'Universo e l'Umanità intera. 5. L'artista è sempre animato da un grande spirito di ricerca, supportato dall'esperienza diretta. Di conseguenza, egli riconduce nel quotidiano i contenuti mistici, relazionando tra loro Spirito e Materia. Il desiderio di rimettersi costantemente in gioco induce al cambiamento e consente all'artista di approfondire la conoscenza del proprio essere.
6. L'artista manifesta empatia nei riguardi dell'ambiente e di tutti gli esseri viventi. Egli percepisce il senso profondo della vita e di conseguenza entra in connessione con gli altri, sentendone e condividendone a fondo le esperienze emozionali. 7. L'artista sviluppa senso di gratitudine verso ogni manifestazione dell'Universo. Accoglie l'esperienza spogliandone il contenuto da qualunque forma di giudizio ed assaporandone quindi la bellezza nella sua essenza. Egli è perciò consapevole del fatto che ogni situazione comporta un' evoluzione personale.
-RELIGIONI** Buddismo e grecità non hanno testi sacri.
La Jewish Enciclopedia sostiene: «La credenza che l'anima continui ad esistere dopo la dissoluzione del corpo è argomento di speculazione filosofica e teologica e di conseguenza non è espressamente insegnata in alcun punto della Sacra Scrittura». Anche Papa Benedetto XVI, parlando della Chiesa antica, ha tenuto a precisare: «Per la Chiesa antica è significativo che non esisteva alcuna affermazione dottrinale circa l'immortalità dell'anima».
Il credo niceno-costantinopolitano parla della resurrezione della carne ma non fa cenno alla immortalità dell'anima.
Il cristiano, per vocazione, è fratello di ogni uomo, specie se povero, e anche se nemico. (Papa Francesco) La teoria cristiana dell'essere stabilisce che Dio è creatore del mondo: la creazione è un atto libero di Dio che dal nulla (ex nihilo) pone nell'essere altri enti da se stesso diversi. Questo nega che il mondo abbia carattere panteistico e nega alle cose qualsiasi attributo divino. In altri termini Dio ha la sua natura e le cose la loro, e non si confondono, e quindi neppure si amalgamano altrimenti non avremmo né Dio né la cosa/anima, ma un terzo elemento che non sapremmo neppure come definirlo. La mia religione è, prima di tutto, domanda. Le risposte mi interessano poco, soprattutto se preconfezionate e dogmatiche asserendo che "E' Dio che parla!".
Nietzsche attacca la pretesa di morali e religioni di migliorare l'uomo attraverso pratiche di addomesticamento e di allevamento. Tutte le religioni, infatti, vogliono cambiare l'uomo che però non sembra cambiare mai.
Gesù, forse, non era dualista: diceva, infatti, ama il prossimo tuo come te stesso (visto che non siete due?).
Forse l'umanità non è costituita da molti esseri … ma da molte illusioni egoiche. Tu sei quello! O le religioni sono strumenti di pace e di empatia o non sono e spariranno! La pace passa attraverso l'educazione al rispetto religioso dell'alterità.
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E quei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me. (Lc 19,27) Verrà e manderà a morte quei coltivatori ad affiderà ad altri la vigna. (Lc 20,16) Chi sono mia madre e i miei fratelli? (Mc 3,33) Voi siete delle tombe imbiancate. (Mt 23,27) E la gente lo pregò di andarsene. (Mc 5,17) Ogni causa, pensiero, personaggio grande si impone, schiaccia, compenetra, seduce, porta a conseguenze immani, inani (inutili), incommensurabili. Anche nei migliori vi sono tesori di malizia, di impurità e di passioni meschine.
Il vero religioso ha tre caratteristiche: è sempre luminoso, gioioso, non melanconico; è pieno di amore verso gli altri ed è molto tollerante con il prossimo.
Nella lunga strada, che mi condusse dall'ateismo all'agnosticismo, l'acquisizione del senso del mistero fu, io credo, determinante. (Millu)
Molti miti assomigliano ai Vangeli. Incominciano con una catastrofe […] e poi tutto finisce con un ritorno trionfale della vittima, spesso paragonabile a una resurrezione […] oggi anche molti cristiani sono persuasi che sia insostenibile rivendicare una singolarità assoluta al cristianesimo.(Girard) Desideriamo tutti intensamente, ma non sappiamo esattamente che cosa, dal momento che è all'invisibile e all'inaccessibile che noi aspiriamo. (Girard) Secondo l'autore anche Gesù ha provato questo desiderio! Cullmann fa notare che la dottrina dell'immortalità dell'anima risale al II secolo e che deriva dalla analoga dottrina ellenica, presa a prestito dal cristianesimo. Scrive: « [Esiste] una differenza radicale fra l'attesa cristiana della risurrezione dei morti e la credenza greca nell'immortalità dell'anima... Se poi il cristianesimo successivo ha stabilito, più tardi, un legame fra le due credenze e se il cristiano medio oggi le confonde bellamente fra loro, ciò non ci è parsa sufficiente ragione per tacere su un punto che, con la maggioranza degli esegeti, consideriamo come la verità... Tutta la vita e tutto il pensiero del Nuovo Testamento [sono] dominati dalla fede nella risurrezione... L'uomo intero, che era davvero morto, è richiamato alla vita da un nuovo atto creatore di Dio. » L'unica vera competizione fra le religioni, se mai ce ne debba essere una, non è quella che riguarda chi ha ragione o chi è il depositario della verità ma fra chi riesce a donare più amore e serenità al mondo.
Se le influenze degli astri fossero reali e concrete, tutto sarebbe predeterminato e non i sarebbe posto per il libero arbitrio. Le colpe e i meriti non sarebbero nostri ma dovute alle stelle. A meno che per influenza delle stelle non si intenda semplicemente l'interrelazione cosmica.
Pierre Teilhard de Chardin è stato un gesuita, filosofo e paleontologo francese. Il punto Omega è un termine da lui ideato, per descrivere il massimo livello di complessità e di coscienza, verso la quale sembra che l'universo tenda nella sua evoluzione. Ma l'universo tende veramente verso qualche cosa? Oppure siamo noi uomini a cercare un TELOS?
Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l'un l'altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa. (Martini) La vera differenza non è fra chi crede e chi non crede ma fra chi pensa e chi non pensa. (Bobbio) L'illusione dell'immortalità permea invisibile ogni nostro gesto, ogni nostra scelta, ogni nostro pensiero. Se l'uomo fosse davvero, intimamente, consapevole della propria transitorietà, impazzirebbe, sosteneva Freud. E sapete perché? Perché l'ego non vuole morire! Si è fermamente convinti che l'essere sia molto meglio del non essere e non si vuole rinunciare all'essere.
La religione a cui ciascuno di noi appartiene è molto più un incidente di nascita che una questione di scelta personale. (Hertzberg) Signore e Signora sono normali appellativi di Dio e della Madonna (che non è però sua moglie). Re e Regina sono ricorrenti appellativi di Dio e della Madonna (che non sono però sposati). Si parla poi del Regno dei cieli … Nulla di democratico in tutta questa faccenda. Solo Re, Signori, Padroni e così via.
La festa ebraica delle Luci dura otto giorni e inizia al tramonto del 24 dicembre.
Tutti i fiumi scorrono verso il mare e il mare non si riempie mai; sempre i fiumi tornano a fluire verso il luogo dove vanno scorrendo. Ogni discorso resta a mezzo, ché l'uomo non riesce a concluderlo. … Ciò che è stato e ciò che sarà, ciò che è stato fatto e ciò che si farà. Niente di nuovo sotto il sole. (Qohelet) Cacciari dice che la parola AMEN rende testimonianza della nostra apistia (mancanza di fede) anzi, per meglio dire, del nostro credere incredulo (apistos pistos) o della nostra scarsa fede (oligopistia).
Soltanto nella dimensione ebraica il dolore può essere pensato come scandalo, perché soltanto in tale dimensione il dolore è innaturale e si può aspettare, con fiducia e certezza, la sua totale sparizione. In questo c'è un'esperienza di senso irriducibile, perché un greco avrebbe preso per folle chiunque gli avesse detto che ci può essere un'esistenza senza dolore. Gli ebrei invece credono in una terra senza dolore ove tutti i perduti, gli anonimi siano recuperati nella dimensione dell'immortalità e della salvezza universale. Per il greco invece il dolore non ha bisogno di giustificazione essendo scevro da ogni imputabilità. Esiste senza perché. Bisogna solo dire si alla terra con tutto il suo dolore. Per Buddha invece il dolore è superabile eliminando l'attaccamento all'io dovuto all'ignoranza.
Il male ha una sua origine; c'è il male perché c'è stata una colpa. La formula paolina, che indica che col peccato è entrata nel mondo la morte, è una formula di causaeffetto.
A vantaggio di un mondo "vero" -«irraggiungibile, indimostrabile, impromettibile», scriverà Nietzsche -si priva infatti di valore quella che è l'unica dimensione entro cui ci si muove, l'ambito del "reale" che per Nietzsche coincide con l'esperibile (in altri termini, il piano della nostra effettiva "conoscenza").
Genius loci era originariamente una entità naturale legata ad un luogo e fatta oggetto di culto nella religione romana.
Baal è una divinità adorata da quasi tutti i popoli del vicino oriente, di origine semitica o hittita. Il suo nome significa: signore, padrone, possessore. Baal era lo spirito della fertilità, il principio maschile cui era sacro il toro. Il culto di Baal, quantunque severamente proibito dalla legislazione mosaica e severamente rimproverato dai profeti, fu una tentazione costante anche per gli israeliti.
Lo shintoismo è la religione storica del Giappone. Prevede l'adorazione di Kami, un termine che si può tradurre come divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali (animismo).
Teodicea (Theos -Dikè) è la giustificazione di Dio di fronte al problema della sussistenza del male nel mondo e del libero arbitrio umano.
Teologia apofatica (non dire) è una teologia secondo la quale Dio è del tutto inconoscibile attraverso la razionalità. In quest'ottica, l'approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l'adorazione del mistero, prescindendo da ogni indagine razionale dell'essere divino.
La teologia negativa è il modo di pensare Dio e di parlarne per viam negationis. Dio si pone al di là di ogni cosa creata e per questo nessuna definizione può essere a Lui adeguata. La teologia negativa è, dunque, il riconoscimento dell'impossibilità di poter dire alcunché di positivo rispetto a Dio.
Pascal e Spinoza già tre secoli fa sostennero l'immanenza del Trascendente e per questo furono e tuttora sono scomunicati e ignorati.
La religione è sempre stata permeata da una volontà di dominio sulla gente, la filosofia non dovrebbe invece seguire questa strada. Purtroppo però la filosofia, a volte, cerca stabilità, influenza, dominio, validità universale quasi fosse una religione.
L'influenza dell'invisibile è la categoria fondamentale della vita religiosa elementare.
Nelle visioni del mondo religioso si conserva sempre un nucleo oscuro che nessuna mente umana, teologi compresi, non potrà mai spiegare.
A livello primitivo la religiosità non sta in alcuna contraddizione con l'esistenza sensibile. Anzi essa ne è il completamento psicologicamente necessario. (Dilthey)
Le religioni si attribuiscono validità oggettiva e concepiscono la loro nascita come rivelazione (dove l'uomo conta poco e niente) o illuminazione (dove l'uomo è invece centrale).
Vi è una bella differenza fra il Gesù che soffre, si sacrifica e muore e la chiesa che domina e impone.
Se oggi metà del mondo è cristiano o musulmano, non è perché il monoteismo ha conquistato i cuori e le menti di metà delle genti, bensì perché ha conquistato militarmente le loro terre con spade a croce e scimitarre a mezzaluna, sull'esempio della conquista mosaica della terra promessa.
La visione religiosa del mondo nasce fondamentalmente come tentativo di attribuire alle divinità la responsabilità di quanto accade nel mondo e come volontà di ingraziarsi tali divinità.
I sacerdoti, nel tentativo di spiegare il comportamento della natura e, con l'obiettivo, non meno importante, di mantenere il popolo ingenuo e controllato, inventarono tutta una panoplia di divinità, demoni e altri esseri mitologici ai quali attribuirono la causa e l'origine di tutto ciò che succedeva. Le divinità e i demoni equivalevano alle leggi e alle forze della fisica attuale.
Gli uomini hanno inventato una tecnica che si prefigge di influenzare, tramite le preghiere, le offerte, la subordinazione, una realtà incomprensibile. Essi vorrebbero avere le forze di questi esseri superiori unendosi ad essi. Nasce così la teurgia praticata da guaritori, sciamani, maghi e sacerdoti.
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C'erano sulla terra i giganti a quei tempi -e anche dopo -quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. (Genesi 6) I giganti nella Bibbia !!! La religione nasce circa novantamila anni fa con il culto dei morti. Un cacciatore della zona dell'attuale Israele morì. I suoi compagni scavarono una buca in una grotta e lo adagiarono appoggiando, sul braccio ripiegato, la testa di un cinghiale. Perché lo fecero? Pensavano forse di fargli cosa gradita anche da morto sperando in una vita successiva?
Gli ebrei tenuti schiavi in Egitto nel 1.200 a.c. erano poche migliaia. Mosè forse non fu una persona ma un movimento religioso. La frase "Io sono colui che è" è molto simile a quella trovata sulla piramide di Sais "Io sono tutto ciò che è". Rapporto stretto fra Akenaton e Mosè?
Il testo originale della Torah è scritto a mano, a inchiostro su pergamena, ed è privo di punteggiatura. L'assenza di vocali determina una grande libertà di interpretazione e molteplici possibilità di combinazioni tra lettere. Facciamo un piccolo esempio: prendiamo due consonanti, ad esempio C e S. quali parole possiamo ricavarne? CASO, COSA, CASA, CASI, COSE, COSI' … etcetera etcetera … Ma attenzione! Non finisce qui. Infatti le lettere ebraiche sono anche cifre: C, ad esempio, significa anche il numero "tre" mentre S significa pure "trecento". Ecco profilarsi la CABALA! Rapporto fra cifre e lettere perché le lettere fungono anche da cifre: gematria. La parola ADAM, uomo, si scrive ADM ed ha un valore numerico di 1+4+40=45. Il numero 45, tradotto in lettere, si pronuncia MA e significa COSA? L'uomo dunque sarebbe solo una domanda senza essenza propria.
Nell'arcipelago delle Andamane, Puluga è l'essere supremo. Il tuono è la sua voce, il vento il suo respiro, l'uragano il segno della sua ira, poiché egli punisce col fulmine chi non rispetta i suoi comandamenti. Puluga sa tutto ma conosce i pensieri degli uomini soltanto di giorno. Fu Puluga a creare il mondo e il primo uomo chiamato Tomo. L'umanità si moltiplicò, ma dopo la morte di Tomo dimenticò sempre più il suo creatore. Finchè l'ira di Puluga scoppiò e un diluvio sommerse la terra. Solo quattro persone si salvarono. Puluga ebbe pietà di loro, ma gli uomini continuarono a dimostrarsi ribelli. Dopo aver ricordato per l'ultima volta i suoi comandamenti, il dio si ritirò, e da allora nessun uomo l'ha più visto. Si potrebbe riassumere dicendo che la divinità si è rotta le scatole dell'umanità … Apocalisse non significa distruzione finale o fine dei tempi ma semplicemente disvelamento cioè sollevamento del velo (di maya?). Questa rivelazione di Giovanni (???) è fatta sotto forma di grandioso e drammatico poema, nel quale si annuncia il regno della giustizia divina in terra. Stranamente compare anche il famoso numero della bestia: 666! La religione è la malattia infantile della filosofia? Einstein e Russell sembrerebbero confermarlo.
Ci sono mondi veramente strani in giro per l'universo! Sul pianeta Arret vivono uomini che dicono di avere parlato con dio... Questo dio lo descrivono come fosse uno di loro: potente, sapiente, giusto... Il loro dio, chiaramente antropomorfo, avrebbe dato loro delle regole: non uccidere, non rubare... Quasi nessuno però le rispetta! Eppure molti, a parole, si dicono seguaci di questo loro dio.. Insomma un vero rompicapo! Per fortuna da noi non è così... Il purgatorio non è sempre esistito. La sua nascita ufficiale risale alla fine del XII secolo. Prima di tale periodo esistevano solo la pena eterna o il premio eterno. Dopo di tale periodo si instaurò questo luogo ove, soffrendo e pagando, ci si poteva riscattare. Nasce la contabilità dell'aldilà. La monarchia del Papa-Re comanda su questo e sull'altro mondo. La religione della paura.
La religione cristiana nasce come messaggio d'amore ma poi si va, via via, burocratizzando: sembra scordarsi dell'input amoroso iniziale per trasformarsi in un puro potere spesso repressivo e sempre di pura conservazione. Pensiamo al dogma dell'infallibilità del Papa: esisterebbe dunque un uomo infallibile in questo mondo! Cosa difficile da credere anche se il documento che vorrebbe sancire tale dogma si chiude così: "Se qualcuno avrà quindi la presunzione di opporsi a questa nostra definizione, Dio non lo voglia!: sia anatema". Siamo nel 1870.
Più il cammino religioso diventa maturo e più tace di se stesso. Il cammino religioso parte dal conoscere meglio se stesso prima di volersi cimentare a salvare il mondo. Conoscere se stesso non significa però affermare se stesso ma dubitare di se stessi. Apprendere se stesso è dimenticare se stesso.
Quando un uomo segue la via del mondo, o la via della carne, o la via della tradizione (cioè, quando crede nei riti religiosi e nella lettera delle scritture, come se fossero intrinsecamente sacre), la conoscenza della Realtà non può sorgere in lui. (Samkara) L'abitudine a considerare la verità come qualcosa relegabile in una religione educa l'uomo alla comoda grettezza di ritenere che la verità coincida con le sue idee, i suoi dogmi e le sue tradizioni. Senza mai alcun dubbio in merito.
Non desiderare la donna e la roba degli altri: gli ultimi due comandamenti del decalogo ebraico sono veramente preclusi a un dio qualsiasi esso sia. Non possono essere che miseramente umani, anzi grezzamente ed egoisticamente maschili. Se Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, "resta da vedere se questa affinità" per citare la studiosa seicentesca Marie de Gournay "si riduca essenzialmente alla barba". I vangeli sono, forse, documenti a carattere apologetico propagandistico e non storico scritti in greco e non in aramaico che era la lingua di Gesù. Scritti in epoche e condizioni diverse e con obiettivi spesso discordanti ove Gesù appare come ebreo osservante (frequenta il tempio) e assai riluttante, però, a precisare il proprio ruolo.
Il paganesimo pre-cristiano fu superato mediante la venerazione dei santi.
Saulo di Tarso trasforma Gesù da Messia di Israele a Messia Katholikos cioè universale. Cambia quindi il corso del Cristianesimo visto che il popolo giudaico rifiuta di accettare Gesù come Messia. Si supera la tradizione che voleva una religione collegata a un popolo. Una vera rivoluzione.
L'impresa di conciliare il Cristianesimo con la ragione è ardua. Paolo di Tarso infatti invita a credere nonostante sia assurdo mentre Tertulliano invita a credere proprio perché è assurdo (credo quia absurdum). Anselmo d'Aosta dice di credere per capire e non il contrario (credo ut intelligam anziché intelligo ut credam). Anselmo cerca poi di dimostrare l'esistenza della sola ragione ma fallisce miseramente in quanto pensare a Dio come l'essere più grande possibile non significa che Dio esista.
Iside con in braccio il figlioletto Horus: la nostra Madonna con in braccio Gesù?
Affermazione, negazione dell'affermazione, negazione della negazione. Nascita, morte, negazione della morte (il cristianesimo direbbe resurrezione).
Nel cristianesimo il nirvana è la carità.
La religione è il rapporto tra l'uomo è il trascendente qualunque nome essa prenda. La filosofia invece riguarda il rapporto fra l'uomo e la realtà che lo contiene.
Se tu vivi il sacro e disprezzi l'ordinario, galleggi ancora nell'oceano dell'illusione.
La preghiera non è lo sciocco passatempo dei vecchi. Correttamente compresa e applicata diventa un potente strumento di azione. Questo scrive Gandhi che, forse, intende dire che la vera preghiera non è per sé ma per gli altri e, in tal modo, si supera l'egoismo.
Su una stele cinese dell'anno 781 si legge: "Il messia ha mostrato ai viventi la via del cielo, quale è stata predisposta dal venerabile del cielo".
" … il giusto sarà flagellato, torturato, legato, … e da ultimo, dopo aver sofferto ogni male, sarà crocefisso" … Non è un profeta che parla ma Platone nella Repubblica.
Secondo Odifreddi il razionalismo panteista (tutto è Dio) costituisce l'unica risposta sensata alle domande sul senso ultimo delle cose e del mondo. In tale solco si sono mossi, secondo lui, Eraclito, Pitagora, Anassagora, Platone, gli stoici, Plotino, Giordano Bruno, Spinoza e Bergson.
Il panenteismo consiste nel vedere l'universo come parte dell'Essere supremo, quindi differente dal panteismo, che identifica Dio con tutto ciò che esiste. Al contrario, il panenteismo sostiene che Dio pervade il mondo, ma è anche oltre il mondo. Egli è immanente e trascendente, relativo ed Assoluto. Questo ricomprendere gli opposti è detto dipolarismo. Per i panenteisti, Dio è in ogni cosa, e ogni cosa è in Dio.
Un uomo sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta: un silenzio che parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto, con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante, ed esse rispondono. Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l'ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro. (Cervo Zoppo -Sioux) L'antico testamento gronda di sangue. Il Salmo 137.9 recita: « Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia! ». Poveri bimbi di Babilonia. "Fu volere di Dio che quelle città si ostinassero a combattere affinché gli Israeliti potessero sterminarle senza usare loro pietà". Anche dopo la svolta cristiana, il pacifismo del messaggio evangelico cedette ben presto il passo a un atteggiamento belligerante.
"Basta che si tratta di una guerra giusta" sosteneva Agostino mentre Tommaso alza ancora il tiro parlando di "una spada sguainata come per ordine di Dio". "Non vi siano né ricchi né poveri nella comunità." (Deuteronomio) "IO VI DICO: OGNI RICCHEZZA PUZZA DI INGIUSTIZIA" Luca 16,9 "Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno" Atti degli Apostoli 2,42-47 "La ricchezza è il segno del successo" Sapete chi lo ha detto? Il primo Concilio Lateranense del 1116... "Avendo Dio, in questo secolo, privilegiato i ricchi e potenti rispetto ai poveri, onorando i primi si è pienamente rispettosi del piano divino" (Bonaventura da Bagnoreggio).
"Mulier taceat in ecclesia". Paolo: nelle assemblee le donne tacciano e stiano sottomesse, se vogliono imparare qualche cosa chiedano ai mariti; capo della donna è l'uomo perché l'uomo è l'immagine e la gloria di Dio. Ci sono tante religioni quanti sono gli esseri pensanti.
Se mai ci fosse un aldilà, questo movimento detto "io" sarebbe assente. (U.G.)
Confucio afferma, più o meno, lo stesso pensiero di Gesù senza però parlare di un dio trascendente: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (così, solo per immanenza umana). Nel pensiero cinese non ci sono le contraddizioni assolute (bene e male) ma gli opposti complementari (chiaro e scuro).
Lo Spirito Santo è il perfetto sconosciuto (forse l'Assoluto?) che fa parte del mistero trinitario. Quello che per primo ne ha parlato è stato il tredicesimo apostolo, Paolo di Tarso (il vero fondatore della religione cristiana vissuto dal 5/10 al 64/67), che in una sua lettera alla comunità di Efeso fece per l'appunto un cenno a questa terza persona trinitaria. Prima d'allora praticamente non se n'era mai parlato, gli apostoli avevano Dio come Padre e Gesù come Figlio.
Gli occidentali cercano la perfezione nel futuro, nell'aldilà mentre la mentalità orientale vuole la eventuale perfezione qui e ora: l'illimitato è già perfetto?
Egli, nella sua unità, è ogni cosa. Così chiamare tutte le cose con il suo nome o chiamarlo con il nome di ogni cosa. (Hermes)
Giuliano il Teurgo (chi agisce sugli dei) è contemporaneo di Marc'Aurelio (120-180) ed è forse l'estensore degli Oracoli Caldaici. Sono di ispirazione babilonese (mentre il Corpus Hermeticum sarebbe di origine egizia) anche se vicini al neopitagorismo e neoplatonismo. Giuliano dice però di averli ricevuti dagli dei. Che novità!!!! Vi si parla di monade triadica: Padre, potenza, intelletto. Dio, secondo gli oracoli (ma anche secondo il Corpus Hermeticum) si raggiunge con una sorta di unione soprarazionale che si ottiene facendo il vuoto dentro di noi, vale a dire svuotando l'anima e l'intelletto dai contenuti e dai pensieri legati al sensibile e al finito. Nel "Fiore dell'intelletto" si legge che Dio si nutre del silenzio.
Maimonide 1135-1204 (seguendo Averroè) scrive che l'intelletto agente (Dio) è unico mentre quello passivo è diviso perché ogni uomo ha il suo. Ne consegue che l'immortalità non è mai del singolo uomo (intelletto passivo) ma riguarda solo l'intelletto agente di cui facciamo parte.
Alessandro D'Afrodisia, aristotelico del 200 d. C., chiama l'Intelletto che viene da fuori con il nome di attivo e immortale al contrario di quello nostro individuale che è mortale: l'immortalità è impersonale!!!! Wyclif (1320) oppone all'autorità del papa e della chiesa quella della Bibbia. L'uomo è direttamente in contatto con Dio senza intermediari di sorta. Il capo della chiesa è Cristo e non il papa. Le opere non sono sufficienti alla salvezza: la predestinazione è volontà di Dio. Si vede già Lutero! Lutero toccò il culmine della sua vita di riformatore negli anni che vanno dal 1510, quando cominciò a condannare la simonia della Chiesa di Roma con la vendita delle cosiddette indulgenze e fu scomunicato dal papa mediceo Leone X, fino alle tesi di Wittenberg del 1517 e fino al 1520. Ma poi il suo pensiero cambiò e altrettanto i suoi atti. Volle essere il sovrano assoluto della sua Chiesa, diventò conservatore, prepotente, si sposò, si mischiò con la politica e alla fine decise che i luterani dovevano far guerra non soltanto ai cattolici ma a tutte le Chiese protestanti, da quella di Calvino e agli Ugonotti francesi. Decise infine che i luterani dovevano essere soltanto l'unica religione della Germania.
Ficino (1433) filosofo fondatore dell'accademia platonica fiorentina, traduttore, mago (come gli antichi Magi di Gesù che erano dei sapienti che sfruttavano i benefici celesti) e sacerdote. Ermete Trimegisto, Zoroastro e Orfeo sono tre profeti in linea con Gesù così come Pitagora e Platone. L'amor platonico e l'amor cristiano sono simili e portano all'indiamento. Amando Dio abbiamo amato noi stessi! Amor Dei intellectualis (Spinoza). Esalta la divina mania e il divino furore.
Apocatastasi è il ritorno allo stato iniziale, alla purezza iniziale prima del peccato: tutti quindi si salvano, diavoli compresi. (Origene e Gregorio di Nissa).
Abbiamo l'idea che dobbiamo salvarci … ma dovremmo salvarci dall'idea che dobbiamo salvarci.
Namastè: la parte divina che è in me si inchina alla parte divina che è in te.
Siamo tutti proiettati nell'aspettativa di un gran finale d'amore e beatitudine ….
Tanto più si usa il verbo DEVI, tanto più ci si allontana dal divino e ci si avvicina all'umano.
Bonaventura da Bagnoreggio (1217) scrive un pezzo degno di nota: abbandona i sensi e le operazioni intellettuali, le cose sensibili e quelle invisibili, l'essere e il non essere, e, per quanto ti è possibile, abbandonati fiduciosamente con Colui che è sopra ogni essenza e scienza. E venne un tempo in cui l'uomo inventò l'arte di creare gli dei.
Gli orfici si proclamavano figli della terra e del cielo stellato: dalla terra veniva il corpo e dal cielo l'anima. Con l'Orfismo si incomincia a ragionare della presenza nell'uomo di qualcosa di divino e non mortale (concezione dualistica di anima e corpo): l'anima appartiene alla stirpe degli dei.
La reincarnazione presuppone un EGO suscettibile di reincarnarsi. Ma, forse, questo EGO non esiste. Il grappolo di memorie e speranze definito "io", immagina di durare per sempre, e inventa il tempo per accogliere la sua falsa eternità. Per essere, il passato e il futuro non mi servono. Ogni esperienza, dalla nascita alla morte, è un prodotto dell'immaginazione. Io non immagino, perciò non sono nato e non morirò. Solo quelli che si reputano nati, possono pensare di rinascere. Tu m'imputi di essere nato, davvero non ne ho colpa! (Nisargadatta Maharaj) L'immortalità dell'anima razionale non è, per Aristotele (come dice Russell), personale ma è una partecipazione all'immortalità di Dio. Anche Averroè pare pensarla allo stesso modo.
Quando si incontrano due principi non conciliabili, l'uno chiama l'altro folle o eretico.
Quando chiedo qualcosa, non sto pregando. Quando non chiedo niente, allora prego davvero.
Ad Auschwitz ci hanno maltrattato, umiliato, massacrato ma soprattutto ci hanno rubato l'anima senza che dio facesse nulla. Vangelo di salvazione individuale e razionalità eziologica greca non sono in linea con il pensiero orientale non dualistico perché senza un vero ego.
Nel testamento dei 12 patriarchi (scritto nel 109 prima di Cristo) ci sono frasi già cristiane: amatevi l'un l'altro di vero cuore e bandite ogni odio.
La preghiera fa bene a chi prega. SIGNORE e AMORE sono in contrasto fra loro: signore presuppone rispetto mentre amore presuppone empatia.
Erasmo da Rotterdam affermava (circa cinquecento anni orsono) che la filosofia di Gesù è l'amore mentre la filosofia della chiesa è il potere. Con ciò evidenziava una potente aporia mai sanata.
Si predica l'amore ma si pratica l'egoismo. Paolo dice che senza la resurrezione il cristianesimo non sta in piedi. Penso che Gesù non sarebbe d'accordo e direbbe che senza amore il cristianesimo non sta in piedi.
"EGLI è mio" dal Cantico dei cantici. "Tu sei quello" dalle Upanishad.
Differenze di prospettiva.... Epicheia e apocatastasi! Basta giustizia...solo amore.
Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri. (Giovanni 13,(34)(35) Il terribile è che proprio la più alta forma della religiosità (lasciare andare tutto ciò che è terreno) possa essere la forma più alta di egoismo. (Kierkegaard)
L'obbedienza non è richiesta da Dio ma dagli uomini.
Fra tutti i concetti umani...quello dell'inferno è il più cattivo, vendicativo e stupido. Per rinforzarlo lo si attribuisce poi a dio.
Se esiste una conoscenza post mortem e quindi libera dal corpo, ebbene, questa conoscenza deve essere totalmente diversa da quella terrena che è basata sui sensi e sull'immaginazione. Questo è il pensiero di Pomponazzi.
Tutto ciò che vorrei fare è dissacrare il sacro e rendere sacro il bisogno... Gesù ha messo al centro la carità non il potere, non i dogmi, non la ricchezza. La chiesa ha rovesciato la frittata....peccato! Non sono mai stato attratto dalla religione formale e dogmatica. Però parlo spesso con il Grande Vecchio dei suoi misteri.... e ci divertiamo come pazzi... senza capirci mai! Come puoi amare dio che non vedi se non ami l'uomo che vedi? (Giovanni) Anche questo è vangelo! Ogni comportamento è vangelo! Il vangelo è solo amore! Se mi racconti altro non è vangelo. La strada mi arricchisce, continuamente. Lì avvengono gli incontri più significativi, l'incontro della vera sofferenza, l'incontro di chi però ha ancora tanta speranza e allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare dei diritti. (Don Gallo) Come l'ape sugge il miele da fiori diversi, il saggio accetta l'essenza delle diverse Scritture e vede solo il bene in tutte le religioni. (Srimand Bhagavatam) Il mio cuore può adottare qualunque forma. E' un monastero di monaci cristiani, un tempio per gli idoli, e per la Ka'ba dei pellegrini, e per le tavole della Tora, e per il libro del Corano. (Ibn-al-'arabi) In origine c'era un messaggio universale e interclassista del cristianesimo; ruolo rivoluzionario: liberazione dalla schiavitù, uguaglianza, pacifismo radicale. Ma ben presto tutto cambiò.
Dice Padre Gianfranco Magalini missionario in Etiopia: "Vivendo in mezzo a tanta sofferenza e povertà, ho imparato a guardare il mondo dal basso, a partire dagli ultimi (poveri, ammalati, soli, piccoli, lontani da Cristo). Se vedi il mondo con i loro occhi e le loro sofferenze e necessità, riesci a rovesciare tante priorità della vita in occidente..."
Sappi che quando imparerai a perdere te stesso, tu raggiungerai l'Amato. Non vi è altro segreto da imparare, e più di questo io non so. (Abd Allah Ansari di Herat) Il dio della chiesa è fatto di dogmi e di potere mentre il dio dell'intuizione mistica è, forse, la semplice energia primigenia.
Gli dei sono l'indifferenziato, sono il nostro subconscio... personalità latenti e inespresse dentro di noi, nel nostro profondo che la nostra ragione non sa cogliere appieno.
La creatività attinge all'indifferenziato che ha più forza della ragione. Gli dei sono l'indifferenziato...magma indistinto...energia pura mai domata.
Fondamentale per l'uomo è la persuasione che le entità buone e felici siano separate da quelle cattive e tristi: le buone in cielo e le cattive sotto terra...e invece...L'uomo è entrambe le entità fuse insieme! Finalmente ho raggiunto il mio traguardo e risolto il segreto della mia anima: Io sono quello a cui rivolgevo le preghiere, quello a cui chiedevo aiuto. Sono quello che ho cercato. Sono la stessa vetta della mia montagna. Guardo la creazione come una pagina del mio stesso libro. Sono infatti l'Unico che produce i molti, della stessa sostanza che prendo da me. Poiché tutto è me, non vi sono due, la creazione è me stesso, dappertutto. ( Gli esseri sovrumani (elemento comune a tutte le religioni) esistono solo in quanto l'uomo li coltiva (CULTO).
Gesù si circondava di donne: le stimava...le amava! Buddha invece no! Diceva che avevano un cervello talmente piccolo che stava fra l'indice e il pollice quando le due dita quasi si toccano... "La dea autonoma, imperiosa, ribelle; la dea che non ebbe madre né padre ed è, nella sua intima essenza, madre, nutrice, generatrice universale; la dea che assume tutte le forme..." La Potnia mediterranea è la grande dea ancestrale, la femminilità del divino! Era contemporaneamente la Vergine, la Madre e la Prostituta divina. Maga e forse anche androgina...Era la Terra stessa provvida di doni per l'uomo del paleolitico che la adora e la teme attonito. La Femmina atavica, Signora di ogni cosa...La Misteriosa creatura che dona la vita! « Quando (enu) in alto (eliš) il Cielo non aveva ancora un nome, E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome, Nulla esisteva eccetto Apsû, l'antico, il loro creatore, E la creatrice-Tiāmat, la madre di loro tutti, Le loro acque si mescolarono insieme…".
Sul pianeta Arret esistono costruzioni molto grandi che troneggiano rispetto alle altre: si è portati a pensare che ci abitino dei Giganti! Invece non ci dorme nessuno. Sono state costruite, con notevoli sacrifici, per rendere omaggio a un Tale La Chiesa ha sempre guardato con un po' diffidenza all'amore, dando molta più importanza alla verità.
In nome della verità è ricorsa alla violenza delle condanne a morte rimasta in vigore, formalmente, fino al 2001.
Giovanni Battista Bugatti, boia dello Stato Pontificio dal 1796 al 1865, portò a termine 516 esecuzioni. Gestire il sacro conferisce potere.
Nello Stato della Chiesa la pena di morte fu praticata sino al 1870: l'ultimo giustiziato fu Agabito Bellomo, condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9 luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude.
Gesù ci ha lasciato un'eredità meravigliosa: l'amore (soprattutto verso le donne). L'enorme valore del suo insegnamento perde forse importanza se, per ipotesi, Gesù fu "solo" un uomo come noi?
Quando ho detto che i procedimenti usati dalla Chiesa non erano quelli degli Apostoli, poiché oggi si usa la forza e non l'amore.. quando ho detto questo, non avevo torto. Ho sbagliato quando ho creduto di chiedere proprio a Voi, di condannare un sistema di arbitrio, di sopraffazione, di violenza..che mortificazione..chiedere a chi ha il potere di riformare il potere! Che ingenuità! (Giordano Bruno, bruciato sul rogo dall'inquisizione della chiesa romana il 17 febbraio 1600) I cristiani, se non sono accoglienti, non dicano che sono cristiani. (Don Gallo) Che senso ha essere cristiani e razzisti contemporaneamente? Che senso ha essere cristiani e difendere la ricchezza e il potere?
La dove esiste dualità, ivi l'uno adora l'altro.
E' un gioco impari!
Considero inutile e insensata la maggior parte dei dissidi tradizionali tra teisti, atei ed agnostici. Di fatto, siamo tutti di fronte alla sbalorditiva immensità della natura cosmica, che possiamo benissimo chiamare divina, se questa ci piace oppure no: quale che sia la nostra scelta. L'esistenza non smetterà comunque di fornire le sue sterminate meraviglie. (Zamboni) "Forse, forse...E' un turbine di contraddizioni quello da cui siamo avvolti: ora pare che un Dio creatore, che si rivela, troneggi lassù e uomo e mondo siano ai suoi piedi, ora pare che, ancora una volta, sia il mondo a sedersi sul trono del potere e Dio e l'uomo non siano che sue figliazioni, ora invece è come fosse l'uomo nella posizione più alta a dispensare a Dio e al mondo la legge a modo suo, lui, la misura di tutte le cose. .... Forse, forse...Non c'è alcuna certezza, c'è solo una ruota di possibilità che gira. Un sé si accavalla ad un altro, un forse ne cancella un altro." (Rosenzweig) La chiesa ci ha educato più al timore che all'amore... Le divinità non sono altro che riflessi dell'unica realtà ultima: EGLI E' IN VERITA' TUTTI GLI DEI! Lo scopo dell'occidente era di raggiungere la santità: uomini sfiduciati ma pieni di fede. Lo scopo dell'oriente era quello di raggiungere la saggezza: uomini senza fede ma pieni di fiducia.
Finché tu uomo mi immagini, io Dio sono.... Proprio ciò che si presenta come la più alta forma di religiosità, è la forma più alta di egoismo" (Buber rielabora Kierkegaard). "La storia della Chiesa deve essere propriamente chiamata la storia della verità". (Pascal, pensiero 469). Peccato che una cinquantina di anni prima fosse stato bruciato vivo Giordano Bruno.
"Tutti gli uomini si odiano naturalmente l'un l'altro" (Pascal, pensiero 261). Ma Gesù dice ben altro … "Non sarei cristiano senza i miracoli, dice Agostino" (Pascal, pensiero 447). Forse sarebbe meglio dire: senza amore non sarei cristiano … L'uomo ha, da sempre, nei confronti della divinità due atteggiamenti principali: le teurgia e la divinazione. La teurgia vorrebbe influenzare l'atteggiamento della divinità nei confronti degli uomini. La divinazione vorrebbe interpretare il pensiero divino. -dio è il tutto e il nulla contemporaneamente, senza contraddizione...
-l'essere di dio non è diverso dal suo non essere Dio, se esiste, non ha certo creato la religione.
Agostino dice che tutti gli uomini, dopo il peccato originale, sono destinati all'inferno e a nulla valgono le loro buone azioni: si salvano solo coloro che sono prescelti da Dio. Pelagio invece afferma che le buone azioni sono fondamentali per salvarsi. Secondo voi, chi dichiarò eretico e chi santo la chiesa ?
Il dovere dell'uomo è qui, ora, fra gli uomini... a prescindere dall'esistenza di Dio che non si può ne dimostrare e neppure negare.
Le religioni e le filosofie le ho studiate per riconoscer poi che erano sotterfugi concettuali per non vivere l'Ignoto che siamo. Noi siamo l'Ignoto o l'Inconcepibile (prima di qualunque concetto)! Da allora non ebbi più paura..... e spesso sorrido all'ignoto. Isabella di Soragna... da me rivisitata.
Alcuni sono sicuri che Dio esiste.
Altri sono sicuri che Dio non esiste.
Nessuno però sa dimostrare la sua idea. Prima di Platone l'idea dell'anima si concretizzava nella visione cosmologica del soffio vitale (pneuma) che si particolarizzava nel singolo individuo. Tale visione è molto simile a quella orientale ove il soffio vitale è il prana. Con Platone l'anima assume un carattere decisamente individuale e personale: il corpo e l'anima sono due realtà eterogenee in cui il corpo (corruttibile e mortale) è radicalmente separato dall'anima (incorruttibile e immortale). Questa concezione, ripresa dalla tradizione patristica e scolastica, è arrivata fino ai tempi nostri. E se Platone avesse combinato un grosso guaio? Caro Dio, oggi un tale (di cognome fa Ruini) ha affermato che Tu gli hai regalato, fin dall'infanzia, la certezza della Tua esistenza. Ora ti chiedo: perché non l'hai regalata anche a me e a tanti altri sbandati come me? Noi ti cerchiamo fra le stelle, fra le parole, fra le persone, fra i concetti... senza trovarti. Per caso, Tu hai dei prediletti? Sarebbe gradita risposta chiara! Ciao caro Dio. Un tuo affezionato.
Wittgestein giudica le dottrine religiose come insiemi di enunciati privi di significato logico: sono afferrabili solo tramite una intuizione mistica. L'immortalità temporale dell'anima dell'uomo, dunque l'eterno suo sopravvivere anche dopo la morte, non solo non è per nulla garantita, ma, a supporla, non si consegue affatto ciò che, supponendola, si è sempre perseguito. Forse è sciolto un enigma perciò che io sopravviva in eterno? Non è questa vita eterna così enigmatica come la presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e tempo è fuori dello spazio e tempo". (Wittgenstein) La parola "religione" deriva dal latino e significa "legare" cioè, forse, mettere insieme tutte le energie per essere luce a se stessi (al di là dei dogmi e dei riti e di ogni autorità esterna perché non può esserci un'autorità spirituale). Se non si è liberi dalla tradizione e dalla cultura non si può praticare la vera religione! Il papa critica la falsa religiosità che copre il desiderio di potere. Ma qual'è il potere più grande, se non quello di stabilire cosa sia bene e cosa sia male per l'uomo? Il potere di far sentire in "peccato mortale" un uomo, e di rimettergli i peccati, è infinitamente più grande di qualsiasi potere temporale.
Il mito fondamentale dell'induismo è che il mondo è Dio che gioca a rimpiattino con se stesso.
"Quale persona assennata crederà che ci siano stati un primo secondo e terzo giorno, di sera e di mattina, senza sole luna e astri (Gen. I, 5 segg)? E il primo giorno anche senza cielo? Chi è tanto sciocco da credere che Dio a mo' di agricoltore abbia piantato il paradiso nell'Eden verso oriente (Gen., 2, 8) e in questo abbia creato l'albero di vita visibile e sensibile, sì che chi ne avesse gustato il frutto con i denti corporei avrebbe ricevuto la vita? E ancora, chi potrebbe credere che uno possa partecipare del bene e del male per aver masticato il frutto preso da questo albero (Gen., 2, 9)? -Origene, I princìpi, IV, 1.
Il misticismo orientale afferma che Dio non è una entità, ma uno stato di consapevolezza.
"Le chiese credono che la parola di Dio sia scesa tra gli uomini in modo tale da essere inequivocabilmente conosciuta, e da dover quindi avere chi la rappresenta in modo esclusivo. Io invece non lo credo. Penso piuttosto che la parola di Dio sfrecci davanti ai miei occhi come una stella cadente, la cui fiamma, senza che me lo possa mostrare, è testimone di un meteorite; io, per parte mia, posso solo dare testimonianza della luce, non posso mostrare la pietra e dire: è questa." (Buber) Da millenni l' umanità è stata educata dalle varie Religioni del mondo, attraverso riti e cerimoniali vari, a credere all'esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la "Teologia morale" ha potuto tenere in scacco l'individuo, parlandogli di Giudizi universali, di condanne e di Peccato Originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva per le sue miserevoli "colpe". Riscattarsene oggi, con un DNA così preformato, è quasi un' impresa disperata. (Marchi) Da sempre il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo di un "Grande Progettista" geniale, di un "Grande Orologiaio" distaccato, di un "Grande Orchestratore" esterno, di un "Grande Architetto" costruttore, di un "Grande Regista", direttore dell'Universo. E ciò ha continuato ad avvenire, nonostante la ricerca abbia ormai dimostrato largamente che tutti i sistemi viventi (dato che neanche un atomo è materia inerte) abbiano mostrato un grado di assemblarsi da soli veramente strabiliante, a seguito di una trasformazione "autoorganizzata" o "auto-arrangiata"che lascia sbalorditi. Il concetto è difficile da accettare perché sfida il programma subdolo di una cultura millenaria che lo ha 410 spacciato per la nozione più eretica e blasfema che si possa immaginare. E poi perché in quella dualità si annida il business dell'intermediazione, il più scandaloso affare di tutti i secoli. Un affare che è la madre di tutte le atrocità compiute dall' umanità, perché toglie dignità a qualsiasi cosa creduta altro da noi stessi e al nostro stesso simile. Quando invece siamo un "Singolo Organismo" o Campo di Coscienza Universale, Un Intatto interamente intelligente. (Marchi)
La "caduta del mito di Dio e della Creazione", è stata determinata dal punto di incontro tra il misticismo orientale e la fisica quantistica. Finché la fisica non è scesa nei meandri del mondo subatomico, non è stato possibile comprendere le Sacre Scritture, ed in particolare quelle dei testi himalayani. Quando invece è discesa nelle profondità dell'invisibile, ho scoperto che tempo e spazio perdevano di significato. La verifica mi è stata data dal fatto che il misticismo orientale ha percorso questa strada, partendo dall'invisibile, mentre la scienza occidentale è partito dal grossolano del mondo materiale o visibile per incontrarsi con essa sul piano del "sottile". La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. Costituisce l'emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che l'ha provata e che non è ancora in grado di emozionarsi è come una merce avariata, come una candela spenta. E' l'esperienza del mistero, spesso mischiata con la paura, che ha generato la religione. La conoscenza di un qualcosa che non possiamo penetrare, delle ragioni più profonde di una bellezza che si irradia, che sono accessibili alla ragione solo nelle sue più elementari forme, è questa la conoscenza e l'emozione che stanno alla base della religione; in questo senso, e in questo solamente, io posso definirmi profondamente religioso. (Einstein) Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista. (Camara) La miglior preghiera è quella chi si fa senza parole cercando di confonderci con il silenzio di Dio.
Ogni idea che noi abbiamo di noi stessi, del mondo esterno e di dio... è solo umanamente e intimamente nostra.
Nessun dio potrà mai dirci chi è lui, cosa è il mondo e chi siamo noi... Ci dobbiamo arrangiare...possibilmente AMANDO GLI ALTRI!
Molti individui frequentano i vari templi di varie religioni per cercare benefici per il proprio ego.
Il mondo non è ancora compiuto: in esso ci sono ancora riso e pianto, le lacrime non sono ancora asciugate da tutti i volti. (Rosenzweig) "Dio cresce insieme con la crescita umana" dice Socino.
Spegniamo i fuochi dell'inferno.... La sacra trinità egizia: Osiride (il maschio fatto a pezzi) , Iside (la luna o la mucca con le corna, principio femminile della natura che nel suo grembo tutto accoglie) e Horus (il figlio). I tre vengono comparati con i numeri 3 4 5 dell'altezza, della base e dell'ipotenusa del triangolo rettangolo sacro.
La religione è istinto e sentimento oppure dogmi e riti?
La Maddalena scrollava, alta, con fierezza, i lunghi capelli biondi, e continuava a seguire il suo Amore, bella, come stendardo fiammeggiante d'ori trapunti: era già santa, però non ancora molto pratica dei modi che s'addicono a quel grado e, le volte che alzava i suoi occhi mordenti verso i signori, le mogli impallidivano. (Don Lasagna)
Noi siamo palloncini colorati sfuggiti di mano alla terra, niente altro! Noi siamo un soffio d'aria, niente altro! (Don Lasagna) Attraverso i secoli, solo pochi uomini hanno compreso con chiarezza che tutto è vanità, solo umana vanità.
L'uomo raggiunge la più vera libertà quando rientra nell'armonia del Tutto. (Giordano Bruno) Se voi mi date testimonianza, allora io sono Dio, e altrimenti no. (Is 43,10 Bibbia Ebraica citata da Rosenzweig) Papa Francesco azzarda e modernizza i concetti. Modifica il modulo e i ruoli, perfino di Dio, il suo fuoriclasse. Che da uno e trino diventa duale, maschio e femmina. Da gerarchico a paritario. Da sacrale a sensuale: "Non solo l'uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio", ha esordito con nonchalance mercoledì 15 aprile 2015, "ma anche l'uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio".
"Possano tutte le vecchie confessioni continuare ad esistere e ad agire confessando che esse esprimono una nostalgia e non un dogma" (Horkheimer LA NOSTALGIA DEL TOTALMENTE ALTRO anche se poi Horkheimer parla anche di nostalgia della perfetta giustizia: si deve poter sperare che il cattivo non la faccia franca o giù di li).
Non è possibile provare l'esistenza di Dio tanto meno è possibile rappresentarlo.
Non conta credere in Dio ma conta comportarsi adeguatamente nel mondo.
Tutta la rappresentazione di un Dio uno e trino che nella figura del figlio visita la terra è puro mito così come lo sono il mito di Er ho quello di Atlantide. I miti sono utili ma restano miti.
Insieme al pensiero di Dio muore anche il pensiero di una verità assoluta.
Padre, Figlio e Spirito Santo: tutti maschi! Il Tao invece è madre … Bernardo Ochino dice che il papato è un'opera diabolica.
Ciò che è mistico non consiste nel modo in cui si configura il mondo, ma nel fatto che è! (Wittgenstein)
Pensare di vivere eternamente in paradiso mentre altri uomini sono eternamente condannati alle pene dell'inferno è di una cattiveria tragica. Un Dio buono non potrebbe mai concepire una cosa del genere. Solo uomini vendicativi possono aver inventato l'inferno.
Gnosi ermetica: l'uomo deve indiarsi già in questa vita terrena.
La Bibbia lo chiama Satana, lo combatte e quindi lo mantiene. Anche la beatitudine si rivela un concetto e quindi ci deve essere un "qualcuno" che sperimenta e di qui divisione, illusione. Tutto ciò significa spezzare l'unità.
Crizia (parente di Platone morto nel 403 a.c.) dice che gli dei sono uno spauracchio introdotto per frenare i malvagi e per far rispettare le leggi che di per sé non hanno la forza necessaria per imporsi.
La grecità era cosmocentrica mentre il giudaismo (e quindi anche il cristianesimo) sono antropocentrici essendo l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per i greci le molte divinità erano sottoposte alla legge di natura mentre il Dio giudaico cristiano crea la legge: Dio è nomoteta. Si passa anche dall'intellettualismo greco al volontarismo cristiano. La provvidenza biblica è personale cosa impensabile per i greci: l'uomo si salva da solo non con la volontà e la fede ma con la conoscenza. La concezione giudaico cristiana rovescia i termini della questione: solo la fede ci salverà. Timore e tremore. Nessuna sicurezza dell'uomo può essere assoluta se non ha un aggancio con l'Assoluto.
Se l'uomo Adamo era fatto a immagine e somiglianza di Dio, come ha potuto peccare contro Dio? Se l'uomo è libero il peccatore è il solo Adamo. Ma se l'uomo è libero Dio non è più onnipotente. L'eros greco è mancanza e quindi salita dell'uomo tramite la bellezza mentre l'agape, il nuovo amore cristiano, è discesa di Dio, è dono. L'umiltà (sconosciuta a i greci) diventa la virtù dei cristiani. "Senza il mio aiuto non potete fare nulla" dice Gesù negando l'autarchia predicata dai filosofi ellenistici. Per i greci bisognava liberarsi del corpo mentre nel giudaesimo e cristianesimo abbiamo addirittura la resurrezione dei corpi (che essendo tali devono stare in qualche posto ma lo spazio e il tempo si annullano alla velocità della luce …).
Plotino scrive che la vera resurrezione non è quella del corpo ma quella dal corpo.
In Occidente diciamo: "Io aderisco a questa religione perché credo a questi dogmi". In Oriente invece, per esempio, nel buddhismo invece si dice: "Seguite questa via perché vi può portare ad essere liberi dal condizionamento". I miti rivelano una fede primitiva nell'ordine e nella successione causa ed effetto che è in armonia con la credenza che sia necessaria una ragione per l'esistenza di qualsiasi cosa. Ma sarà proprio così?
Religione e spiritualità sono diverse: ci può essere religione senza spiritualità (tipo la normale malvagità cristiana) e spiritualità senza religione (tipo lo zen).
Sono stati fatti milioni di morti in nome e per conto di un qualche dio. La pena di morte fu sostenuta da Gerolamo, Agostino, Tommaso. Fu formalmente abrogata solo nel 2001 dallo stato del Vaticano mentre venne attuata fino al 1870.
Ma Dio non ride mai?
Fin che ci ostineremo a dividerci fra cristiani, buddisti, islamici etc. etc. … non avremo futuro.
Bisogna capire l'intima relazione che c'è tra ognuno e ogni cosa: non siamo mai divisi, non siamo mai due.
Ricordiamo anche la sgradevole giustezza di coloro che sono deliberatamente e metodicamente religiosi.
YHWH non è sessuato, non si accoppia come un dio pagano e non ha una compagna, essendo l'unico Signore (e anche su questa parola ci sarebbe molto da discutere per le sovrapposizioni fra religione e potere che suggerisce). La sessualità diventa così una caratteristica tipicamente umana e quindi peccaminosa. "Vuolsi così la dove si puote e più non dimandar…". Questo è, forse, il manifesto del medioevo. Dio vuole e può tutto e tu, diavolo o uomo che sia, non fare altre domande ma esegui la volontà di Dio.
Bibbia pagana: Inni Orfici, Oracoli Caldaici ed Ermete Trimegisto. Anche l'interpretazione politeista di Giamblico con i suoi Misteri Egiziani in cui si insegna la teurgia meta -razionale (evocare la divinità per influire su di essa). L'ultimo paganesimo, dice Reale era però anche assetato di soteriologia, di voglia di salvezza, di redenzione. In questo atteggiamento paiono rientrare tutte le grandi religioni (induismo incluso?) tranne il Neoplatonismo.
Non credo nei miracoli, essi per me non esistono e non possono esistere. Se su questi si poggia la credibilità del messaggio di Gesù allora lo si riduce di molto. Invece quel messaggio è di una profondità assoluta, tanto da divenire una guida per l'umanità. (Mimma De Maio) Eppure è la cosa più diffusa tra i credenti, credere nei miracoli, pensare ai miracoli, avere sulla punta della lingua il miracolo. Infantilismo della religione, superficialità del rapporto col divino, povertà dello spirito, immaturità del pensiero. La Chiesa sostiene la logica del miracolo per interesse, per tenere buone le persone e sottomesse, sperando in un intervento divino che risolva le immancabili difficoltà della vita. Sostenendo la logica dei miracoli l'uomo non maturerà mai e la Chiesa non avrà assolto al suo compito di guida del credente a Dio. La fede è evoluzione del credente in Dio non statica attesa di un evento. (Mimma de Maio) Gesù ci ha dato come compito di crescere nella dimensione dello spirito per divenire figli di Dio. Il miracolo non porterà mai su questa strada, come mai ha fatto in 2000 anni. Questa credenza invece farà rimanere sempre in uno stadio primitivo di religiosità del prodigioso.
Tutto quello che il cristianesimo della Chiesa di Roma ha diffuso sui demoni e sui miracoli, sull'attesa della venuta del Messia, sul Paradiso e sull'Inferno, sul giudizio universale, serve per tenere sottomesse le persone e creare una forte attesa intorno alla religione. Tutto questo però crea un clima di deresponsabilizzazione perché ci si affida all'intervento di Dio e alle sue promesse e non si agisce nel mondo, si pensa che basti seguire la religione, che è quello che vuole la Chiesa.. Invece tutto questo è sbagliato, nulla avverrà, perché lo dicono i vangeli se si leggono con intelligenza e correttamente, se si esce dalle interpretazioni false e scorrette, utili solo alla Chiesa su cui ha poggiato la sua politica di dominio. Ora lo sappiamo. E sappiamo che solo con il nostro impegno nel bene possiamo migliorare il mondo e facendo questo costruiamo anche la nostra destinazione dopo la morte (Mimma de Maio).
I miracoli raccontati nei vangeli non sono fatti veri sono simboli del cambiamento che avviene in noi se seguiamo il messaggio di Gesù. Ti dico anche che possono pure avvenire delle guarigioni, ma queste sono dovute alla situazione psicologica di forte tensione ed emozione che si crea in un ambiente di forte attesa. Sono guarigioni naturali che ora la scienza ha anche dimostrato possibili. (Mimma de Maio) «Se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema. » (quinto concilio ecumenico di Costantinopoli del 553) -RETE DI INDRA* Secondo i Veda l'universo è strutturato come la "Rete di Indra" (re degli dei), rappresentata come un mondo di sfere che sulla loro superficie lucida rispecchiano le altre sfere, per cui le immagini di ogni cosa si specchiano in ogni altra cosa.
L'esperienza dell'interrelazione cosmica che accomuna lo zen a molte altre forme di misticismo trasforma non solo le prospettive del pensare, ma modifica anche, necessariamente, lo stile dell'agire: questo non solo perché ogni minima cosa su cui agiamo è in realtà un universo, ma soprattutto perché ogni nostra azione, anche la più piccola, influisce, benché in modi per lo più indiretti, su un'infinita quantità di esseri e di cose. Avere la consapevolezza che ciascuna cosa è connessa a tutte le altre non implica ritenere che essa si identifichi immediatamente con le altre, ma che ciascuna cosa, nella sua particolarità, nei suoi caratteri specifici, è costituita da tutte le altre.
L'immagine del ji ji mu ge (cin.: shi shi wu ai) : letteralmente questa locuzione significa «consistenza di sé senza ostruzioni» e richiama l'immagine contenuta nel celebre Avatamsaka Sutra, di una rete di gioielli in cui ciascun gioiello è, certo, se stesso per la propria luminosità, ma tale luminosità dipende in realtà da quella di tutti gli altri gioielli. Ciò significa che la trasparenza, ossia il vuoto di ciascun gioiello è il fattore fondamentale che permette ad esso di essere quello che è: paradossalmente, infatti, ciascun gioiello è se stesso solo in quanto si lascia attraversare dai raggi e dai riflessi che provengono dagli altri gioielli i quali, d'altra parte, hanno la medesima caratteristica di essere luminosi grazie alla loro trasparenza, cioè di esser qualcosa grazie al loro vuoto, di essere consistenti grazie alla loro inconsistenza. Questa metafora permette di cogliere assai bene la funzione del vuoto, il quale, da un lato, mette in risalto i limiti e le differenze di ogni elemento, ma, dall'altro, fa risultare vuoti di consistenza, ossia relativi e impermanenti, tali limiti e tali differenze. Ciò significa, tra l'altro, che chi sa realizzare in sé il vuoto mentale riesce a cogliere più nettamente di chiunque altro la forma impermanente di un albero visto che il vuoto è il carattere più universale. "Nel cielo di Indra, si dice esista una rete di perle, raccolta in modo che, se tu guardi una di esse, tutte le altre vi si riflettono. Allo stesso modo ogni oggetto nel mondo non è solo se stesso, ma implica ogni altro oggetto e, di fatto, è ogni altra cosa" (Upanishad) L'universo è come un'enorme rete che si estende all'infinito in ogni direzione, la rete di Indra, per includere ogni aspetto dell'esistenza, senza eccezioni. Al punto di intersezione di ogni nodo della rete c'è una lucente gemma dalla superficie riflettente. Ciascuna gemma riflette ogni altra, generando una vasta rete di sostegno che include tutto. Per quanto il loro numero sia infinito, nessuna gemma esiste senza le altre o può essere considerata a sé stante. Ciascuna di esse è interdipendente dalla presenza di tutte le altre. Se ne appare una, appaiono tutte. Se non ne appare una, non ne appare nessuna. Se comparisse un puntino nero su una qualunque delle gemme, comparirebbe su tutte.
Immaginate una rete di ragno multidimensionale, coperta di primo mattino di gocce di rugiada. E che ogni goccia di rugiada contiene il riflesso delle altre gocce. E in ogni goccia di rugiada riflessa i riflessi di tutte le altre gocce di rugiada in quel riflesso e così all'infinito. Questa è la concezione buddhista dell'universo in un'immagine. (Watts) L'immensa prospettiva che sconvolge i canoni e le esperienze tradizionali cogliendo l'interconnessione del cosmo: la rete di Indra! È una metafora molto antica, tramandatoci dalla tradizione buddhista. Contiene una verità fondamentale per capire cos'è la vita e il nostro rapporto col mondo: l'interdipendenza di tutte le cose. In fatto che siamo legati gli uni agli altri da legami indissolubili, che si estendono a tutti gli altri esseri e a ogni elemento dell'universo.
Thich Nhat Hanh parla di "interessere", cioè del fatto che più che "essere" possiamo "inter-essere" insieme a tutti gli altri e le altre cose con cui interagiamo.
Diane Rizzetto, una maestra di meditazione, ci dà una bella interpretazione della rete di Indra, spiegandoci che "la mia vita e la vostra sono il continuo attualizzarsi di una solitudine assoluta e un'assoluta intimità". È il nostro destino di esseri umani, quali creature completamente autonome, eppure definite solo in relazione con tutte le altre. Siamo di fronte al paradosso insito in qualsiasi attività spirituale o di ricerca interiore, compresa la meditazione.
Dunque la rete di Indra non è solo una spiegazione affascinante della realtà, uno stimolo intellettuale, ma una sfida personale con la quale misurarci giorno per giorno. Siamo in grado di vedere quanto dipendiamo dagli altri? E quanto le nostre azioni si ripercuotono all'infinito nel tempo e nello spazio? Come ha detto sempre Thich Nhat Hanh, quando compiamo un'azione che fa bene a noi stessi, facciamo del bene al mondo. Quando compiamo un'azione che fa male a noi stessi, facciamo del male al mondo.
Lo zen usa una metafora efficace per indicare la consapevolezza di questa relazione biunivoca: nel bere il tè non c'è in realtà il tè bevuto da una parte e, dall'altra, chi beve il tè, ma vi è !'«esperienza del tè» -ossia un " campo" che comprende sia il tè sia chi lo beve. Ciò non significa affatto che si produca una " confusione" , una situazione in differenziata dove tutto è uguale a tutto per cui non è più possibile distinguere il tè da chi lo beve: anzi, una volta che un'esperienza -quella del bere il tè come qualsiasi altra -venga vissuta allo stato "puro", ossia senza distrazioni, interferenze, discriminazioni, pregiudizi e preconcetti, si ha un tipo di conoscenza diretta in cui le cose, ma anche gli stati d'animo, le parole, gli eventi e le persone sono sempre ben distinti tra loro e dal soggetto che li conosce, ma non risultano mai separati, né, di conseguenza, opposti. A questo punto l'intera realtà appare formata non da un insieme di atomi indipendenti, ma da una rete di interrelazioni che mantiene le differenze senza tuttavia trasformarle in divisioni. Nella tradizione del Buddhismo mahayana vi è un'opera straordinaria, l'Avatamsakasutra, dove questa visione della realtà viene indicata con le metafore della «rete di Indra», della «collana di gioielli» o della «ghirlanda di fiori»: tutte per indicare che ogni elemento della realtà esiste solo in quanto è in relazione con tutti gli altri elementi, così come accadrebbe in una rete infinita di cristalli, dove la luminosità di ciascun cristallo dipende sempre dalla sua capacità di riflettere la luce di tutti gli altri, senza che si possa mai separare la luminosità di uno da quella degli altri. Ciò significa che se si vuole conoscere un elemento di qualsiasi realtà, non è possibile conoscerlo isolatamente, perché, eliminando le relazioni, si eliminerebbe l'elemento stesso.
-RICCHEZZA* Immaginatevi un mondo con poche e piccolissime isole di prosperità, immerse in un mare di povertà e stagnazione. Ci stiamo dirigendo lì! <<La scandalosa realtà di un mondo ancora tanto segnato dal divario tra lo sterminato numero di indigenti, spesso privi dello stretto necessario, e la minuscola porzione di possidenti che detengono la massima parte della ricchezza e pretendono di determinare i destini dell'umanità. Purtroppo, a duemila anni dall'annuncio del Vangelo e dopo otto secoli dalla testimonianza di Francesco, siamo di fronte a un fenomeno di "iniquità globale" e di "economia che uccide">> (così dice la lettera che papa Francesco ha inviato al vescovo di Assisi nel giorno di Pasqua 2017).
Il governo civile, in quanto viene istaurato per la sicurezza della proprietà, viene in realtà instaurato per la difesa dei ricchi contro i poveri, cioè di coloro che hanno qualche proprietà contro coloro che non ne hanno nessuna […] ". (Adam Smith La Ricchezza delle Nazioni) Spesso mi domando: ma i poveri ci saranno sempre? Sembrerebbe di sì, sembrerebbe anzi che siano aumentati, in sintonia con l'aumento della popolazione. Il potere non va mai d'accordo con la povertà. (Scalfari) Mi fa male pensare che i teorici dell'economia immaginano probabilmente soluzioni ideali e intanto, fino ad oggi, nessuno nel mondo, è riuscito a fare qualche cosa di significativo. Intanto la differenza fra privilegiati ed esclusi va crescendo. E' una sfida terribile al senso di giustizia perché questo stato di cose provoca sofferenze immani per uomini, donne e, specialmente, bambini.
Nel neoliberismo contemporaneo, il monismo che caratterizza la cosmovisione occidentale moderna (e che diverse volte, fra Ottocento e Novecento, è stato sul punto di saltare) si è fatto sclerotico: nessun altro mondo umano è altrettanto sviluppato e desiderabile quanto il nostro, tant'è vero che continuamente impiantiamo 'progetti di sviluppo' destinati a portare ovunque i nostri modi e i nostri valori. Nessuna forma di conoscenza è altrettanto vera e affidabile quanto la Scienza, ed è giusto e inevitabile che questa, prima o poi, soppianti tutte le altre. La forma-stato, con i suoi confini e con la democrazia rappresentativa, è la sola organizzazione politica accettabile. Il solo modo possibile di produzione e sussistenza è quello capitalista-industriale, incentrato sul nesso di tecnica, merce e plusvalore. L'intelligenza è per definizione quella che si sviluppa negli umani scolarizzati e si manifesta come capacità logico-deduttiva. La veglia raziocinante è l'unico stato cognitivamente affidabile e moralmente corretto: tutti gli altri devono essere sanzionati oppure squalificati. Per finire, niente esiste prima, al di là o dopo l'individuo, inteso come l'ente conchiuso, monadico, razionale, nel pieno possesso delle sue facoltà intellettuali, mirante alla massimizzazione del suo utile e partecipe solo di rapporti estrinseci che non ne modificano l'essenza. Questa la fiction che fonda il diritto e quasi tutta la grande filosofia borghese, e che oggi ci strangola. Questa costruzione di noi stessi come individui isolati, egoisti e competitivi, unita alla più sonora ignoranza "ecologica" delle relazioni, delle connessioni e dei rapporti di interdipendenza fra enti, ci rende estremamente pericolosi. (Consigliere) La miseria non è fatalità, viene da noi, dalle nostre assurdità, dalla nostra capacità di pensare ed attuare la condivisione. (Abbè Pierre) Nel Tao Te Ching si coltiva la critica alla proprietà con l'invito a seguire la via del cielo che è quella di diminuire a chi ha in eccedenza e di aggiungere a chi non ha a sufficienza. Giustizia distributiva.
L'attaccamento alle proprie opinioni, ai punti di vista, alle proprie certezze è la radice dell'attaccamento alle cose materiali.
L'accumulo di capitale è diventato l'unico metro di paragone per giustificare la bontà intrinseca della propria vita terrena … Siamo forse prostrati davanti dio denaro?
Il mercato privo di regole si impadronisce della vita delle persone senza che loro se ne accorgano.
Nel mondo attuale 62 controparti possiedono la stessa ricchezza (per lo più depositata nei paradisi fiscali ove non viene tassata) della metà della popolazione più povera. Oltre a ciò emerge che la ricchezza detenuta dall'1% della popolazione mondiale, i 'paperoni' del pianeta, supererà nel 2016 quella del restante 99% degli abitanti. La denuncia arriva dal rapporto 'Grandi disuguaglianze' messo a punto da Oxfam, la confederazione internazionale (composta da 17 organizzazioni di diversi paesi), attiva sul fronte umanitario e su quello dello sviluppo. Per Oxfam "l'esplosione della disuguaglianza frena la lotta alla povertà in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare".
Quando, in economia, il criterio è il guadagno più alto e facile possibile e nel tempo più breve possibile, allora il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso, giocando sulla vita degli uomini e dei popoli.
Non si può continuare a pensare che il PIL (ricchezza prodotta da una nazione) continui a crescere all'infinito! Nessuna cosa materiale può farlo! Il cervello paga il prezzo della povertà. In presenza di povertà, scende infatti il quoziente intellettivo delle persone.
I ricchi pensano che Dio sia contento della loro ricchezza. I poveri non ne sono altrettanto convinti, ma devono tacere.
Se do da mangiare ai poveri, mi chiamano santo. Se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare mi chiamano comunista. (Camara) Il capitalismo globale ha forse occupato ogni spazio cancellando la morale: l'uomo è ridotto a mezzo di produzione. Denaro e potere hanno azzerato tutti gli altri valori. "Il liberismo è stato smentito dalla storia" dice Massimo Muchetti editorialista economico del Corriere della Sera e aggiunge "Infatti tutti gli stati, anche i più sedicenti liberisti, sono intervenuti massicciamente durante la crisi in corso (2008) per evitare fallimenti di aziende".
Chi afferma che ogni persona che nasce dovrebbe avere pari opportunità di crescita è utopista, è comunista, è liberista, è cristiano, o è semplicemente un sognatore? Teoria dell'equilibrio di John Nash: "Unilateralmente possiamo solo evitare il peggio, mentre per raggiungere il meglio abbiamo bisogno di cooperazione". Italo Calvino semplifica dicendo "a volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma almeno possiamo evitare il peggio".
La società del denaro non coglie la bellezza del mondo e neanche il suo affanno, riduce l'uomo a un salvadanaio che si può rompere troppo facilmente, lasciando solo dei cocci. L'uomo non merita di diventare un contenitore di monete. (Andreoli) Quando in una società contano solo il profitto e il denaro e l'etica scompare, quella società non ha futuro.
Si continua ad abolire le feste e a incrementare il tempo lavorativo...bisogna produrre di più e consumare di più! La nuova divinità, adorata da quasi tutti, si chiama PIL! E il dolce riposo, il libero pensiero, la meditazione creativa? Questa civiltà, forse, non vuole uomini pensanti ma automi produttivi e consumatori.
Le pagine di storia sono piene del lamento dei poveri! La geografia politicaeconomica conferma il grande malessere della maggior parte del mondo. E noi cosa facciamo? I filosofi misticheggianti?
Ipotizziamo uno stato composto da 10 persone che ha una ricchezza di 10 unità complessive. Se la ricchezza è concentrata in una sola persona e gli altri nove non hanno nulla (indice Gini pari a 1), lo stato non è certo democratico. Lo è totalmente se invece ognuno ha la sua dose media di ricchezza (indice Gini pari a zero). Quindi se uno ha 10 e gli altri zero, non è democrazia! Se ognuno ha qualcosa (almeno per soddisfare i bisogni primari), vi è un inizio di democrazia! Se la ricchezza si concentra, la democrazia vacilla.
Il 20% della popolazione terrestre consuma l'80% delle risorse disponibili! " I poveri? Non mi riguardano..." dice tale Romney che è candidato presidente degli Stati Uniti. Che sia questo il succo del pensiero della destra conservatrice? "Il mondo governato dal denaro è fallito, riprendiamoci l'amore". (Winterson) Possiamo moralmente considerare soddisfacente una comunità che, per la sua intima costituzione, rimette a pochi individui tutto ciò che c'è di meglio mentre richiede alla maggioranza di accontentarsi di qualità di secondo ordine? Platone, Aristotele e Nietzsche sono d'accordo. Gli stoici, i cristiani e i democratici sono contrari. Ogni uomo è o non è fine a se stesso? Oppure molti devono lavorare per la ricchezza e la felicità di pochi? Trasimaco o Gesù? Ogni uomo deve stare al suo posto (Platone, Aristotele e la Chiesa) o deve aspirare al cambiamento? Conservare o innovare? In ogni epoca c'è stata una gran ricchezza di argomenti teorici per sostenere le tesi economiche più convenienti: prima la Chiesa è contro gli interessi sui prestiti poi, dopo Lutero, cambia idea.
Un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E' una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali. (Latouche) Il taoismo dice "La via del cielo è quella di dare di più a chi ha poco e di meno ha chi ha troppo". Giustizia sociale naturale del taoismo. La via degli uomini è invece è il contrario di quella del cielo: la ricchezza si accentra in mano a pochi.
La diseguaglianza genera violenza. Questo non è comunismo, è solo la verità. (Papa Francesco) Liberté, Égalité, Fraternité: nessuna delle tre asserzioni però ha senso senza le altre due. Non c'è liberta senza uguaglianza e fratellanza! "La distanza tra ricchi e poveri in Africa ma anche in tutto il mondo rappresenta uno scandalo", dice Papa Francesco. E ancora: "La convivenza fra ricchezza e miseria è uno scandalo, una vergogna per l'umanità".
Il mondo è ora governato dall'economia (cioè i più forti) e non più dalla politica (tutti, almeno si spera).
-RORSCHACH* Il test di Rorschach si basa su dieci macchie di inchiostro che, di per sé, non hanno alcun significato preciso. L'osservatore però tende ad attribuire loro significato in base alla propria personalità. Il soggetto osservante reagisce a uno stimolo esterno secondo la propria personalità. Proietta all'esterno quello che ha nella sua mente.
Le macchie sono simmetriche perché la mente umana è simmetrica. Si tratta di un test di tipo proiettivo.
La mente proietta all'esterno ciò che ha al suo interno. Dunque non esiste una realtà esterna unica e oggettiva. Ogni soggetto percepisce un suo mondo particolare che dipende dalla sua stessa natura. Ognuno vede secondo ciò che è e vede il mondo per come lui è. Il soggetto tende quindi a esternare le relazioni con le persone che hanno segnato la sua vita e con le esperienze che ne sono conseguite. Se una persona è ottimista darà descrizioni delle macchie positive. Se invece la persona è pessimista descriverà il mondo in modo negativo. Emergono dunque le capacità relazionali dell'individuo e, quindi, la sua personalità. Grazie alle macchie, che altro non sono che stimoli ambigui poi rielaborati dalla mente, si riesce dunque a fare una psicodiagnosi dell'individuo. Valutando il nostro rapporto, la nostra relazione con queste misteriose macchie emerge che esso riflette il nostro rapporto, la nostra relazione con il mondo e la sua realtà. Ogni individuo tende a creare una sua visione di ciò che gli sta di fronte, sia esso una macchia d'inchiostro o l'intero universo. E poi scambia la sua visione per la verità! S -SABBE DHAMMA ANATTA'** Nel Buddismo si dice (in pali che è lingua dialettale e quindi non dotta come invece è il sanscrito) SABBE DHAMMA ANATTA. Giangiorgio Pasqualotto dice che è una delle frasi più profonde dell'intero pensiero umano. Significa che tutte (sabbe) le realtà (dhamma), tutto ciò che esiste sia esso fisica o metafisica (persone, anime, cose, eventi, pensieri, coscienza) è privo di un vero sé (anatta), non essendo dotata di sostanzialità, di indipendenza, di autonomia, di autoconsistenza .
Nessuna cosa-evento è autonoma, indipendente, isolata. Ciascuna cosa esiste perché è relazione in continuo cambiamento. SABBE DHAMMA ANATTA Sabbe (tutti) Dhamma (tutto ciò che esiste a qualsiasi livello: dai pensieri alle cose) Anatta (privo di sé): tutte le realtà sono prive di sé!!!! Quindi nessuna cosa è indipendente, atomo isolato, monade autonoma ma ogni cosa esiste solo come relazione in continuo mutamento. Il buddismo qui esposto si allontana dall'induismo che invece affermava il grande sé e il piccolo sé. Per il buddismo la coscienza pura non ci può essere perché la coscienza è sempre relazione cioè coscienza di qualcosa.
In molti passi del canone buddista è ribadito che ogni elemento (dhamma) -e con ciò si intendono enti materiali, contenuti psichici ed anche puri eventi -è privo di un sé, di una sostanza o essenza propria, fissa e assoluta. In particolare ciò è detto in estrema sintesi nella frase del Dhammapada "Sabbe dhamma anatta" cuore della famosa teoria dell'anatta (non sé nel dialetto pali) che coinvolge in primo luogo la qualità del presunto nucleo immortale della personalità definito anima in occidente e atman in sanscrito.
-SAGGEZZA ORIENTALE * Il satori è un momento di non mente! Viene meno l'autocoscienza … Serve il congedo del pensiero da se stesso per una realizzazione pacificata dell'ultima realtà, non più dispiegabile discorsivamente.
La vera salvezza per il buddismo consiste nell'essere non più consapevole di se stesso. E qui, per noi occidentali, casca l'asino e non si rialza mai più! Incominciamo a chiedere, a chiederci: "Ma chi si salva se io non sono più consapevole?" In questo ultimo ragionamento c'è sempre un "io" di troppo, un "io" ineliminabile che non vuole tramontare e mollare la presa! L'antico pensiero orientale non è nichilistico ma relazionalistico. E' il nulla a consentire alle cose di avere forma. Tale forma è, per ciascuna, il suo essere tale solo in relazione ad altro. Relazionismo universale con conseguente impossibilità di esistenze individuali separate.
Abbandonarci alla Totalità lasciando che faccia quello che c'è da fare senza più preoccuparci del nostro non essere perfetti. (Lin-chi) Nel buddismo la sapienza di un illuminato viene spesso paragonata a un grande specchio rotondo, il cui simbolo è un cerchio. Uno specchio infatti non ha ego, non ha mente: se si presenta un fiore, lo riflette; se si presenta un uccello, lo riflette. Ogni cosa si rispecchia così com'è: non c'è una mente discriminante che faccia da filtro. E una cosa appare, lo specchio la riflette; se scompare, la lascia scomparire. L'indifferenza del saggio corrisponde a una trasformazione totale del rapporto con il mondo.
Il dramma dell'esistenza umana consiste nel persistere a ritenere il finito autonomo e permanente quasi fosse un assoluto che, comunque, lui pure, l'assoluto, è relazionale in quanto non autonomo e non permanente.
Il nirvana, se mai esiste, significa semplicemente l'assenza di un io che lo percepisca e se ne impadronisca.
La gnosi per i Veda è liberatrice mentre per noi cristiani è più un problema che una risorsa: conta più la fede.
Mente e cuore che sono divisi nel pensiero occidentale perché una sede dei pensieri e l'altro dei sentimenti (Pascal docet), per l'Oriente sono invece costituiti dalla stessa energia vitale primigenia.
Bisogna sapersi allontanare da come il mondo appare a prima vista, cioè dalla visione banale delle cose.
Anche l'universale è privo di sé (anatta).
Illuminazione significa essersi sbarazzati dell'ignoranza causata dall'attaccamento al presunto io.
Se sono ancora anche minimamente identificata a un "corpo", se credo di possedere un nome, dei beni materiali o affettivi, continuerò a preoccuparmi e ad avere paura di perderli, ma se mi convinco che sono solo apparizioni passeggere che vanno e vengono tra sonno, sogno notturno e "sonno "di veglia, dove sono allora? (Isabella di Soragna)
Chi sa non parla. Chi parla non sa. Nella tradizione orientale è privilegiato il silenzio rispetto alle parole. L'anima individuale (jivatman), se vuole trovare se stessa, deve, paradossalmente, uscire, perdersi nell'intero universo e poi in esso ritrovarsi, scoprire che, in definitiva, essa coincide con l'anima universale (atman), con l'Assoluto, con il Brahman.
Nel Taoismo e nel Buddismo ogni ente è considerato essere quello che è non solo perché in rapporto con altri enti, ma perché è costituito, fin dalla sua origine, dagli altri enti con i quali con i quali è quindi in strettissima relazione. Anche la fisica quantistica ha la stessa interpretazione della realtà.
Risvegliarsi è prendere coscienza che tutto quello che percepiamo è un'illusione creata dalle nostre sensazioni (dalle quali derivano i nostri concetti) e che la sola Realtà è la Vacuità.
Noi occidentali meditiamo su un testo (sacro) mentre gli orientali meditano mettendo al centro il loro respiro che è la relazione più importante fra l'io e il mondo.
Quando il non-sapere passa dalla testa al cuore, muore il filosofo e nasce il mistico.
Bisognerebbe saper stare serenamente all'interno dell'infinita complessità della natura ammettendo di non conoscere la verità ultima e accettando di non essere eterni, anzi, di non essere che una finzione scenica.
In origine non c'è distinzione tra le cose e l'io: come si può dire che il mondo oggettivo è un riflesso del sé, così il sé è un riflesso del mondo oggettivo. Non c'è un io separato dal mondo che l'io vede […]. Cielo e terra hanno un'identica radice, tutte le cose sono un corpo solo. Gli antichi saggi dicevano: «Questo sei tu», Tat tvam asi! La filosofia indiana descrive il contenuto della scoperta del Sé come divino in termini mitologici usando la frase "Io sono Brahaman" o "Quello sei tu" a indicare che la conoscenza dell'Io è un avverarsi della propria originale identità con Dio. Ma questo non implica ciò che "il proclamarsi Dio" significa in un contesto ebraico cristiano, dove il linguaggio mitico è solitamente confuso con il linguaggio di fatto, così da non esservi chiara distinzione fra Dio come è descritto nei termini del pensiero convenzionale e Dio qual è in realtà. Un indù non dice "Io sono Brahaman" con il sottinteso che egli è personalmente responsabile dell'intero universo ed è informato di ogni particolare del suo operato. Da un lato, egli non parla di identità con Dio a livello della sua personalità superficiale; dall'altro il suo Dio -Brahaman -non è responsabile dell'universo in modo personale. (Watts)
Siamo avatar -maschere di Dio.
Cerchiamo di stare tranquilli aspettando l'ignoto.
La pace è rispetto di ogni uomo.
La grande esperienza dell'epoca delle Upanishad è la scoperta che l'essenza irriducibile dell'uomo è identica all'essenza irriducibile dell'Universo.
Lo scopo della vita è la fusione della coscienza individuale nella coscienza cosmica. (La Bhagavad Gita) Nell'attimo stesso in cui rifiutiamo il fluire delle cose, desiderando che esse vadano come vogliamo noi, ecco sorgere il dolore, che non è male di per sé, ma lo è in quanto offusca la bellezza e la grandezza delle cose così come sono. (Piazza interpreta U.G.) nella loro assolutezza, vanno invece considerate sempre nel campo delle molteplici relazioni in cui sono coinvolte e a partire da cui emergono.
Chi sogna non sa di sognare. Solo chi si sveglia capisce di aver sognato. Ma poi sogna di non sognare … Qual è la tua via? Osservo le cose e le lascio andare. E quando tutte le cose sono lasciate andare, cosa resta? Resta la consapevolezza. E quando lasci andare anche la consapevolezza? Non lo so. Ecco, dove tu non sai, lì c'è l'Assoluto che è l'abisso dell'ignoto. C'è il mistero che non è un problema ma è pienezza. Noi stessi siamo il mistero che, quindi, non è risolvibile. Vivere sereni nel mistero.
Che differenza c'è fra la coscienza dell'io sono e la coscienza più generale? Non ti perdere nei mille rami delle mille domande ma vai dritto alla radice, all'unica domanda che conta e rimani fermo lì finché non muore colui che cerca, il cercatore; allora ti troverai al di là, nell'ignoto che tu sei.
Quale dottrina occidentale ha mai insegnato una concordanza così rigorosa del microcosmo con il macrocosmo […]? Si ha l'impressione che i filosofi cinesi non intendano come quelli dell'Occidente l'idea stessa di comprendere o di conoscere, che non si propongano la genesi intellettuale dell'oggetto, che non cerchino di coglierlo, ma solo di evocarlo nella sua perfezione primordiale; proprio per questo essi suggeriscono e, nel loro caso, non si può distinguere il commento e ciò che è commentato, l'avvolgente e l'avvolto, il significante e il significato; proprio per questo, inoltre, nei loro testi il concetto è allusione all'aforisma, così come l'aforisma è allusione al concetto. (Merleau-Ponty) Non è male fruire delle cose o delle situazioni ed essere felici: il guaio è l'attaccamento a ciò che ci procura la felicità.
Tutto è perché tu sei … ma visto che tu non sei … cosa resta?
OM (il suono che diede inizio a tutto) MANI (gioiello, nirvana) PADME (loto, samsara) HUM (la sapienza) Il Mantra sta ad indicare che il Nirvana non va cercato al di fuori del Samsara, ma nel suo "cuore", nella quotidianità.
Ti diverti perché le cose non sono mai le stesse, senza sapere che anche noi non siamo mai gli stessi. Né il mondo e neppure la mente sono fissi.
La calma del saggio è come l'immobilità apparente di una trottola che gira vorticosamente. Essa si muove troppo velocemente perché gli occhi possano vedere, perciò appare immobile. Così è l'apparente inazione del saggio. (Romana Maharashi) Non vi è felicità in nessun oggetto del mondo. Solo a causa della nostra ignoranza, noi immaginiamo di ricavare felicità dagli oggetti. (Romana Maharashi) Nell'induismo più antico, quello dei Veda, non vi è traccia di un paradiso, soprattutto di una ricompensa personale.
Mantieni anzitutto in pace te stesso e così potrai pacificare gli altri: l'uomo operatore di pace giova più dell'uomo dotto.
Il farsi vuoti è condizione di saggezza.
Data la sylllapsis universale, operando su di sé, si cambia il mondo.
Che la sapienza si arresti a ciò che non può sapere … è il culmine. (Chuang Tzu: il sogno della farfalla!!!) La grande sapienza tutto abbraccia, la piccola sapienza distingue; le grandi parole compongono i contrari, le piccole parole discutono di futilità. (Chuang Tzu) Le creature sono parziali: non vedono quello che l'altro vede, capiscono solo quello che in sé conoscono. Vedono l'io come affermazione e l'altro come negazione dell'affermazione. Non capiscono che l'io e l'altro si generano a vicenda.
Se le creature sono distinte, è la distinzione che non è poi così distinta.
Il santo mira allo splendore del confuso e del dubbio. Pertanto non s'ingegna ma si rimette a ciò che è invariabile (INVARIANTE!). (Chuang Tzu) C'è il principio, c'è quel che è prima che vi sia il principio, c'è quel che è prima di quel che è prima che vi sia il principio. (Chuang Tzu) Gli antichi davano un limite alla sapienza. Qual'era? Alcuni pensavano che il culmine, il limite estremo e insuperabile, fosse il momento in cui ancora non v'era materia. Venivano poi quelli che pensavano che fosse il momento in cui v'è materia, ma prima che vi siano le barriere di separazione, prima che vi siano affermazione e negazione. (Chuang Tzu).
Il risveglio è semplicemente il rendersi conto che si può vivere di illusioni oppure no.
La via autentica è da sempre presente pur essendo al di là delle contraddizione che pure ne fanno parte.
A quel modo che un mago crea esseri in realtà vuoti, così tutti gli esseri creati sono vuoti così come colui che li crea. (Nagarjuna Maharaj) Se dai un calcio a un albero in fiore verrai ricoperto di petali.
Si muove la bandiera, il vento o la mente? Nessuno si muove! C'è grande pace oggi.
Samsara significa che "è necessario fare qualcosa". I saggi che incarnano la vacuità senza cambiamenti e senza forma, non vedono nulla di simile. La caratteristica più importante della concezione del misticismo orientale -si potrebbe quasi dire la sua essenza -è la consapevolezza dell'unità e della mutua interrelazione di tutte le cose e di tutti gli eventi, la constatazione che tutti i fenomeni nel mondo sono manifestazioni di una fondamentale unicità. Tutte le cose sono viste come parti interdipendenti e inseparabili di questo tutto cosmico, come differenti manifestazioni della stessa realtà ultima. Le tradizioni orientali si riferiscono costantemente a questa realtà ultima indivisibile, che si manifesta in tutte le cose e della quale tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell' Induismo, Dharmakaya nel Buddhismo, Tao nel Taoismo. Poiché trascende tutti i concetti e tutte le categorie, i Buddhisti la chiamano anche Tathata o Essenza assoluta: Nella vita ordinaria, non siamo consapevoli di questa unità di tutte le cose, ma dividiamo il mondo in oggetti ed eventi separati. Questa divisione è utile e necessaria per muoverci nel nostro ambiente quotidiano, ma non è un aspetto fondamentale della realtà. E un'astrazione e un'illusione ideata dal nostro intelletto che distingue e classifica. Lo scopo principale delle tradizioni mistiche orientali è perciò di rimettere ordine nella mente guarendola e acquietandola attraverso la meditazione.
Il termine sanscrito per "meditazione" è samadhi, che significa letteralmente "equilibrio mentale", alludendo allo stato mentale equilibrato e tranquillo nel quale si sperimenta l'unità fondamentale dell'universo. Per gli Indù, Brahman è il filo unificatore della rete cosmica, la base ultima di tutto l'essere. Nella tradizione buddhista il nucleo centrale dell'Avatamsaka-sutra, uno dei più importanti testi del buddhismo Mahayana (Grande Veicolo), e la descrizione del mondo come una rete perfetta di mutue relazioni, nella quale tutte le cose e tutti gli eventi interagiscono l'uno con l'altro in un modo infinitamente complesso. La rete cosmica svolge un ruolo di primo piano anche nel buddhismo tantrico o Vajrayana ("Via del Diamante"), un ramo del Mahayana che ha avuto origine in India intorno al terzo secolo d.C. e che attualmente costituisce la scuola più importante del buddhismo tibetano.
I testi sacri di questa scuola sono chiamati Tantra, un termine la cui radice sanscrita significa "tessere" e che allude all'intreccio e all'interdipendenza di tutte le cose e di tutti gli eventi. I mistici orientali nella meditazione profonda arrivano ad uno stato in cui cade completamente la distinzione tra osservatore e osservato, dove soggetto e oggetto si fondono in un tutto unico indifferenziato. Questa è quindi la comprensione definitiva dell'unità di tutte le cose. Essa viene raggiunta in uno stato di coscienza nel quale la propria individualità si dissolve in un'unità indifferenziata, dove si trascende il mondo dei sensi.
Quando i mistici orientali ci dicono che essi percepiscono tutte le cose e tutti gli eventi come manifestazioni di una fondamentale unicità, ciò non significa che essi asseriscano che tutte le cose sono uguali. Essi riconoscono l'individualità delle cose, ma nello stesso tempo sono consapevoli che tutte le differenze e tutti i contrasti sono relativi all'interno di un'unità che tutto comprende. Gli opposti sono concetti astratti che appartengono al mondo del pensiero e in quanto tali sono relativi.
Il mistico trascende questo mondo dei concetti intellettuali, e nel trascenderlo diventa consapevole della relatività e del rapporto polare di tutti gli opposti. Egli si rende conto che buono e cattivo, piacere e dolore, vita e morte, bello e brutto non sono esperienze assolute che appartengono a categorie diverse, ma sono semplicemente due facce della stessa realtà. Raggiungere la consapevolezza che tutti gli opposti sono polari, e quindi costituiscono un'unità, è considerato nelle tradizioni mistico-spirituali dell'Oriente una delle più alte mete dell'uomo.
L'intero insegnamento buddhista -e di tutto il misticismo orientale -ruota attorno a questo punto di vista assoluto che viene raggiunto nel mondo di a-cintya, o "nonpensiero", nel quale l'unità di tutti gli opposti diviene una esperienza viva. Dice una poesia Zen:
Al crepuscolo il gallo annunzia l'aurora A mezzanotte, il sole risplendente Poiché tutti gli opposti sono interdipendenti, il loro conflitto non può mai finire con la vittoria totale di uno dei poli, ma sarà sempre una manifestazione dell'azione reciproca tra l'uno e l'altro polo. Una persona virtuosa non è perciò quella che affronta l'impossibile compito di battersi per il bene e di sconfiggere il male, bensì quella che è capace di mantenere un equilibrio dinamico tra il bene e il male. Questa idea di equilibrio dinamico è essenziale per il modo in cui l'unità degli opposti è sperimentata nel misticismo orientale. Non è mai un'identità statica, ma sempre un'interazione dinamica tra due estremi.
Nel Taoismo esiste il simbolismo dei poli archetipici yin e yang: all'unità soggiacente allo yin e allo yang viene dato il nome di Tao. Una delle principali polarità della vita è quella tra il lato femminile e quello maschile della natura umana. Nel misticismo orientale si cerca di realizzare un'unità tra questi due aspetti della natura umana.
In molte tradizioni orientali, l'equilibrio dinamico tra le modalità di coscienza maschile e femminile è lo scopo principale della meditazione ed è spesso illustrato in opere artistiche. Nel Buddhismo tantrico, la polarità maschio/femmina è spesso illustrata con l'aiuto di simboli sessuali. La saggezza intuitiva è vista come la qualità passiva, femminile, della natura umana, l'amore e la compassione come la qualità attiva, maschile, e l'unione di entrambe nel processo di illuminazione è rappresentata con estatici amplessi sessuali di divinità maschili e femminili.
I mistici orientali affermano che si può avere l'esperienza dell'unione della propria mascolinità e della propria femminilità solo quando si è raggiunto un livello superiore di coscienza, nel quale il mondo del pensiero e del linguaggio è trasceso e tutti gli opposti appaiono come un'unità dinamica.
Nel misticismo orientale la conoscenza poggia saldamente sull'esperienza e sull'osservazione. Nel Taoismo, questo concetto di osservazione è racchiuso nel nome stesso col quale si indicano i templi taoisti, kuan, il cui significato originario è quello di "osservare".
Nel buddhismo Ch'an, la scuola cinese dello Zen, spesso si parla dell'illuminazione come della "visione del Tao", e in tutte le scuole buddhiste il vedere è considerato come il primo passo del conoscere. E' importante ricordare, a tal proposito, anche le parole del mistico yaqui Don Juan, protagonista dei romanzi di Carlos Castaneda: "La mia predilezione è vedere ... perché un uomo di conoscenza può conoscere solo vedendo". L'importanza attribuita al "vedere" va intesa in senso metaforico. Quando i mistici orientali parlano del "vedere", essi si riferiscono a un tipo di percezione che può anche comprendere la percezione visiva, ma che sempre la trascende in maniera sostanziale per divenire un'esperienza non sensoriale della realtà. Ciò che essi vogliono sottolineare quando parlano di vedere, guardare o osservare, è il carattere empirico della loro conoscenza.
Nell'Oriente mistico le varie forme dell'arte sono modi di meditazione. Esse sono intese come vie di realizzazione di sé attraverso lo sviluppo della modalità intuitiva della coscienza. La musica indiana non si impara leggendo le note, ma ascoltando l'insegnante che suona; i movimenti del T'ai Chi non vengono imparati seguendo certe istruzioni verbali ma ripetendoli più e più volte in perfetta sincronia con il maestro; le cerimonie giapponesi del tè sono ricche di movimenti lenti e rituali. La calligrafia cinese richiede un movimento spontaneo e sciolto della mano. Nella meditazione profonda, la mente è totalmente attenta e vigile. Tale stato di coscienza è simile allo stato mentale di un guerriero che attende l'attacco con estrema vigilanza. In Giappone, infatti, la forte influenza dello Zen sulla tradizione dei samurai dette origine al bushido, "la via del guerriero", un'arte della spada in cui l'intuito spirituale dello schermidore raggiunge la più alta perfezione.
Il T'ai Chi Ch'uan taoista, che fu considerato la massima espressione dell'arte marziale in Cina, fonde i lenti e ritmici movimenti con l'assoluta prontezza della mente del praticante in una specificità unica. I mistici orientali sono perfettamente consapevoli del fatto che tutte le descrizioni verbali della realtà sono imprecise e incomplete. Essi sono interessati principalmente a fare esperienza della realtà e non a descrivere tale esperienza.
La ricca immaginazione indiana ha creato un gran numero di divinità maschili e femminili. Tuttavia, chi in India è dotato di intuizione profonda sa che queste divinità sono creazioni e della mente, immagini mitiche che rappresentano i molteplici aspetti della realtà.
I mistici cinesi e giapponesi preferiscono spesso accentuare la natura paradossale della realtà ed evidenziare i limiti comunicativi del linguaggio verbale utilizzando il linguaggio fattuale. Perciò i Taoisti si servono frequentemente di paradossi. Dai Taoisti questa tecnica è passata ai buddhisti giapponesi e cinesi che l'hanno ulteriormente sviluppata (con i cosiddetti koan, o "sfide interiori" del buddhismo Zen).
In Giappone, esiste anche una forma speciale di poesia estremamente concisa che viene spesso usata dai maestri Zen per puntare direttamente all'essenza assoluta della realtà. Questa forma di poesia spirituale ha raggiunto la perfezione nello haiku, un tipo di componimento poetico classico giapponese di esattamente diciassette sillabe:
Le foglie che cadono giacciono una sull'altra la pioggia batte sulla pioggia Splende il sole Brilla la bianca luna La mente è chiara Ronald Laing scriveva negli anni Sessanta: "La nostra civiltà non reprime soltanto gli istinti e la sessualità, ma anche ogni forma di trascendenza. Il nostro stato normale e ben adattato non è molto spesso che una rinuncia all'estasi, un tradimento delle nostre più vere potenzialità. Molti di noi riescono fin troppo bene a costruirsi un falso io per adattarsi a una falsa realtà. Negli ultimi anni però ciò che era stato rimosso da questa cruda eclissi del sacro ha cominciato a riemergere sotto forma di una nuova sensibilità religiosa, connotata da esiti spesso ambivalenti. Da un lato la moda dell'occulto, le sette suicide, il fascino dell'esotico e dell'esoterico, la sottomissione a sedicenti guru, le superstizioni millenaristiche. Dall'altro la ricerca di un'autentica esperienza spirituale, vissuta in prima persona, senza intermediari attraverso un lavoro interiore che coniughi insieme contemplazione e azione. In tale prospettiva l'incontro con la spiritualità orientale rappresenta per alcuni occidentali una preziosa occasione per riscoprire attraverso un terreno religioso vergine, non dominato da pregiudizi e da antiche ferite, la dimensione del sacro, celata nell'intimo di ciascuno.
Così il viaggio in Oriente diviene un ritorno alle fonti del proprio spirito, come scrisse Tagore in una bella poesia: "Sono le vie più remote che portano più vicino a te stesso. Il viandante deve bussare a molte porte straniere per arrivare alla sua e bisogna viaggiare per tutti i mondi esteriori per giungere infine al sacrario più segreto, all'interno del cuore". Il saggio che procede in solitudine, ben attento, non turbato da biasimo e lode, come un leone che non sobbalza ai rumori, come vento che non è trattenuto da una rete, come un loto non zuppo per l'acqua, guida per gli altri e da nessuno guidato, è quello che i saggi riconoscono come un muni. (dal Sutta Nipâta, 212) -SAN GIORGIO* E' un santo paradigmatico per le religioni: ha compiuto gesta talmente eclatanti da essere squalificato da santo. Dal 1969, infatti, non è più riconosciuto come tale! Eppure era partito fortissimo con storie e avventure da valergli un fama indelebile. Visto però che si era esagerato nell'attribuirgli meriti improponibili, si è trovato detronizzato. Una vera disdetta in cui lui non è però colpevole di nulla visto che hanno fatto tutto i vari apologeti. Ma andiamo con ordine. Pur in assenza di fonti storiche certe, sembra sia vissuto in Cappadocia a cavallo fra il terzo e quarto secolo. Si favoleggia del fatto che morì tre volte e resuscitò due volte. Non contento resuscitò anche altre due persone morte da quasi cinquecento anni, le battezzò e poi le fece sparire. Ma la faccenda per cui Giorgio è più famoso consiste nell'uccisione del drago libico che carbonizzava con il fiato tutte le persone che incontrava ( e lavarsi un poco i denti? Non poteva, visto che i draghi non sono mai esistiti! Come potrebbe uno che non esiste lavarsi i denti …). Giorgio intervenne e, dopo aver chiesto la preventiva conversione a quelle popolazioni (non si fa nulla senza ricompensa …), fece fuori il drago inesistente ma con il fiato pesante. Dopo di ciò Giorgio divenne uno dei santi più venerati sia del cristianesimo orientale che di quello occidentale. Divenne patrono di città, paesi e villaggi nonché di varie categorie di persone. Gli si dedicarono chiese in ogni dove. Lo si festeggiò, fin dal quarto secolo, il 23 aprile. Il nome di san Giorgio era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe.
Come detto, nel recente passato ci si accorse di aver un poco esagerato nella narrazione intorno a Giorgio. Si fece allora una rapida marcia indietro consigliando di celebrare solo la sua memoria. Già, ma quale tipo di memoria? Se togliamo draghi e resurrezioni, cosa resta di lui? E cosa resta dell'Apologia? E cosa resta della religione?
-SCETTICISMO* Alcuni ricercatori propongono una loro teoria. Le loro conclusioni vengono controbattute da altri studiosi: costoro vengono definiti scettici. Si sente dire: gli scettici negano... ma la frase è errata, gli scettici non negano, perché negare vuole dire affermare una verità opposta. Lo scetticismo è invece la filosofia del dubbio, non della negazione. Lo scettico autentico non nega una teoria perché ha dei pregiudizi, ma perché esige che chi sostiene determinate tesi, le dimostri come inequivocabilmente vere. E ciò risulta impossibile …
Lo scetticismo si forma come scuola di pensiero in epoca ellenistica. La scuola proponeva il dubbio come unica azione logica possibile e come filosofia di vita. Le virtù che gli Scettici insegnavano erano l'Afasia (l'arte del silenzio), l'Epochè (la sospensione del giudizio) e l'Atarassia (l'imperturbabilità dell'anima). Storicamente lo scetticismo non ha mai avuto fortuna nella storia del pensiero umano: l'uomo ha bisogno di certezze come punti di riferimento, anche a costo di sbagliare, per evolvere. Dal dubbio fine a se stesso non si può costruire nulla … o almeno così pensano in molti.
Lo scetticismo passa poi al servizio della chiesa. Col Cristianesimo vengono proposte delle verità che vanno accettate per fiducia (fede), l'antitesi di quanto propugnato dallo scetticismo. Un certo atteggiamento scettico viene proposto dal Cristianesimo nei confronti dei suoi avversari: l'impossibilità di questi di affermare tesi assolutamente convincenti è la dimostrazione che le uniche verità sono quelle di fede.
Lo scetticismo oggi propone la filosofia del dubbio come filosofia della tolleranza. Ho delle idee, ma dubito di esse, perché è probabile che i miei interlocutori possano avere le loro buone ragioni. Quindi li rispetto. Lo scettico, oggi come allora, è contro la credulità, il dogmatismo, la superstizione, specialmente se questi limitano la libertà del singolo individuo. Lo scettico può essere favorevole al sapere scientifico ma nello stesso tempo critica la fiducia assoluta nei confronti della Scienza. In sostanza lo scettico è aperto a tutto, ma nello stesso tempo, ne dubita.
In ultima analisi lo Scetticismo ha lo stesso valore di una spezia, come il pepe. Non si posso preparare pietanze a base di pepe, nulla si può generare dal dubbio fine a se stesso. Ma il pepe rende saporite altre pietanze, così il dubbio rende positivi gli altri pensieri, cancellandone gli estremismi e gli eccessi causati dal dogmatismo.
-SCIENZA* E' una chiara imprudenza supporre che la scienza possa fornire una conoscenza certa della verità su una cosa qualsiasi. (Oldroyd)
La finitezza del conoscere umano si manifesta in due direzioni, quella di un limite soggettivo e quella di un limite oggettivo. Il limite soggettivo consiste nel fatto che ognuno di noi osserva il reale dal proprio punto di vista (prospettivismo). Ogni esser umano ha dunque la propria visione della realtà: nessuna visione è quella assoluta. C'è però anche un limite oggettivo della conoscenza, quello che ci obbliga a cercare l'universale a partire dal particolare (induzione e deduzione), a cercare di ricostruirlo a partire dalle tracce che ne individuiamo.
La scienza non cerca la verità, ma la maniera più efficiente di modificare il mondo.
Bergson pensa che la scienza sia incapace di cogliere l'essenza profonda della realtà.
Né l'empirismo e neppure il razionalismo ci danno certezze! Non esistono certezze assolute se non nelle menti deboli. Per tutti gli altri esistono dubbi e ragionevoli certezze probabili.
Ogni nuova filosofia o scienza si è sorretta sulla fede nella verità di certe idee prima che queste potessero essere verificate. La fede quindi anticipa la certezza ed anzi in certi casi crea la sua stessa verificazione. (James) Porre un limite alle pretese della scienza, negare il principio scientista, per cui tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche lecito (tipo la bomba atomica … n.d.r.) diventa urgenza richiesta dalla tutela della qualità della vita di tutti. (Forte)
Supponiamo ora che abbia chiesto: «Come so che vedo e che vedo rosso? Ossia, come so che faccio ciò che chiami vedere e vedere rosso?» Poiché noi usiamo le parole "vedere" e "rosso" tra noi in un gioco che giochiamo insieme. (Wittgenstein)
La scienza non è una costruzione teorica indipendente dal modo in cui viene edificata, è anzi una risultante di molteplici pratiche intersoggettive, sociali, politiche. In particolare, è il dibattito innescato dalle ricerche nel campo della fisica quantistica, con la scoperta del principio di indeterminazione e la constatazione dell'inevitabilità dell'intervento soggettivo nell'osservazione oggettiva, a portarci al cuore del problema. In effetti, ciò che l'idea di forma di vita contesta, è proprio quella separatezza tra il soggettivo e l"oggettivo che costituisce l"obiettivo polemico comune di alcune riflessioni sui fondamenti della scienza da un lato, e della critica all'indipendenza del sapere scientifico dall'altro. (Kuhn, Feyerabend)
Il compito non è tanto di vedere ciò che nessuno altro ha ancora visto ma pensare ciò che nessuno altro ha ancora pensato riguardo a quello che chiunque vede.
Per quanto strategicamente efficace, il riferimento alla scienza come unica impresa conoscitiva affidabile denota la persistenza della cosmovisione colonialista, secondo cui solo la nostra cultura ha prodotto un'ontologia, un'epistemologia, un'etica, dei percorsi di conoscenza e delle forme umane degne e desiderabili. Il che ci riporta alla condizione di partenza: la nostra civiltà è un disastro planetario, ma non possiamo che portare avanti i suoi lineamenti fondamentali perché, nonostante tutto, è l'unica sensatamente fondata.
L'immagine del mondo secondo la Bibbia riprende la concezione babilonese della terra piatta. Questa non solo è di dimensioni finite ma anche di forma quadrangolare. Poi Aristotele, Tolomeo, Silvestro II e Dante concepiscono la terra sferica al centro del mondo (geocentrismo). Copernico toglie infine all'uomo la sua centralità nell'universo e mette in discussione le Sacre Scritture. Grandiosa infine la visione dell'universo di Giordano Bruno: infiniti mondi finiti (come dicevano anche Leucippo e Democrito)! Superando così, in un solo passaggio, geocentrismo, eliocentrismo e antropocentrismo. Ora si è giunti alla concezione di infiniti universi basata sulle fluttuazioni quantistiche del vuoto! Altro che terra quadrata e finita … Sono stati necessari circa quindici miliardi di anni di evoluzione stellare per produrre il carbonio e l'ossigeno indispensabili per la vita umana.
Oggi la temperatura media dell'universo è di circa 270 gradi sotto zero, corrispondente ad appena 3,15 gradi sopra lo zero assoluto temperatura alla quale le molecole e gli atomi di un sistema sono tutte allo stato fondamentale (ovvero il più basso livello di energia possibile) e il sistema ha il minor quantitativo possibile di energia cinetica permesso dalle leggi della fisica. Questa quantità di energia è piccolissima, ma sempre maggiore di zero. Questa energia minima corrisponde all'energia di punto zero, prevista dalla meccanica quantistica per tutti i sistemi che abbiano un potenziale confinante. Serve una quantità di energia infinita per raffreddare un corpo fino allo zero assoluto. Il raggiungimento dello zero assoluto è contrario all'aumento di entropia nei sistemi isolati.
Per l'idealismo oggettivo di Dilthey i fenomeni del mondo da una parte sono soggetti alle leggi fisiche, e dunque possono essere analizzati dalla scienza, ma dall'altra, rimandano alla connessione vitale che lega ogni cosa alla totalità e che non può essere indagata dalla scienza. E proprio la concezione di una totalità mai scomponibile e analizzabile attraverso il procedimento scientifico implica, nell'ovvia esclusione della possibilità di una conoscenza della realtà perfetta ed esaustiva, che ogni forma di conoscenza possa rendere ragione solo di singoli aspetti della totalità ma mai di questa nella sua dimensione complessiva.
Guardate che tutto questo vale solo all'interno della pratica della filosofia, ovvero nel linguaggio. Lì vinciamo noi (filosofi). Finché ci invitano a parlare ne smaschereremo sempre le contraddizioni in termini. Nella pratica vincono loro (fisici). Nel fare. (Sini)
Forse il riso si sarà allora alleato con la saggezza, forse allora ci sarà, se non altro, una 'gaia scienza'. Quello che Nietzsche intende per gaia scienza è un'alleanza del riso con la saggezza, una scienza quindi che, comprendendo i propri limiti, ha la leggerezza del riso, poiché non si prefissa più come scopo il determinare le leggi Già nei testi che, secondo la Chiesa, sono ispirati da Dio, si legittima la schiavitù. Il Decalogo ordina di «non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino» con ciò riconoscendole "proprietà" legittime e anzi da rispettare. La Bibbia vietava agli ebrei di avere schiavi ebrei, ma consentiva loro di fare schiavi i pagani. Paolo nella Lettera agli Efesini dice «Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo» (6,5) e nella Prima lettera a Timoteo: «Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio» (6, 2). E in effetti i nobili romani, benché convertiti, continuarono ad avere schiavi.
Nel Medioevo cristiano la pratica della schiavitù era prevista e codificata. Il traffico di schiavi fu poi pratica costante dello Stato della Chiesa in età moderna, come attestano il fitto scambio epistolare di vari papi con funzionari vaticani per la compra-vendita di esseri umani, soprattutto turchi: a titolo di esempio citiamo la lettera con cui Innocenzo X informa nel 1645 mons. Raggi di aver ordinato «al Principe Nicolò Ludovisio generale delle nostre galere che le provegga di 100 schiavi Turchi». E ancora nel 1794 tal Colelli ricopriva la carica di «intendente pontificio per gli schiavi».
Solo nel 1839, con l'enciclica In supremo, Gregorio XVI condannò come "delitto" la schiavitù in quanto tale, ormai bandita dai maggiori paesi europei. E tuttavia pochi anni dopo un'Istruzione del Santo Ufficio approvata da Pio IX, dichiarava "Non contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato" (1866). La condanna di ogni forma di schiavitù fu invece ripetuta dal Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 1965).
In conclusione la Chiesa non ha abolito fin da principio la schiavitù anzi l'ha praticata per secoli, ha giustificato la sua conservazione e ha speso la sua influenza per perpetuarla. E quando si è decisa a condannarla non ha ammesso di aver predicato l'errore per quasi due millenni. Né potrebbe, senza doversi riconoscere umanamente fallibile anziché divinamente ispirata… Una spia di tale contraddizione, e del tentativo di tenere insieme, occultandole sotto una apparenza di "continuità", dottrine contrastanti fra loro, può vedersi anche nel Catechismo attuale (1992) che riporta a fronte il decimo comandamento odierno, molto sobrio («Non desiderare la roba d'altri») e il testo assai più inquietante, anche per l'attuale asserita parità uomo-donna, del decalogo biblico da cui deriva: «Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
-SCOTO ERIUGENA*
Giovanni Scoto Eriugena (irlandese dell'815, neoplatonico, grecista, realista, pelagiano e panteista) diceva che la vera religione è la filosofia. Includeva nella Natura non solo ciò che è ma anche ciò che non è! Natura divisa in quattro classi: ciò che crea e non è creato (Dio come inizio di tutto); ciò che è creato e crea (le idee); ciò che è creato e non crea (le cose la cui materialità è però illusoria!); ciò che non è creato e non crea (Dio come fine ultimo, Dio inconoscibile agli uomini e anche a se stesso!). DIO alla fine: non ci sarà altro che Dio senza però dissoluzione dell'individualità che verrà trasfigurata).
Quindi l'inizio (la creazione dal nulla che è però ancora Dio) è uguale alla fine! (da dove viene la vita degli esseri, li anche si compie …). La creatura non è essere distinto da Dio! No alla dualità! Il Logos è il principio che porta i molti all'Uno. La trinità ama se stessa in noi e in se stessa (Spinoza!). Il suo panteismo che rifiuta alle creature una sostanziale realtà, è contrario alla dottrina cristiana. Tutti si salveranno! (apocatastasi). Fu ripetutamente dichiarato eretico ….
Scoto Eriugena, ispirandosi a Dionigi l'Aeropagita, dice: quando arriverai a ragionare perfettamente, ti sembrerà abbastanza chiaro che la affermazione e la negazione, che ora ti appaiono contrarie tra loro, non si oppongono assolutamente l'una all'altra quando vengono riferite alla natura divina, bensì sono completamente e sotto tutti i punti di vista in mutua armonia. Scrive Dionigi: la Causa buona di tutte le cose si può esprimere con molte parole e con poche, ma anche con l'assenza assoluta di parole; infatti per esprimerla non c'è è parola, né intelligenza, perché è posta sovra sostanzialmente oltre tutte le cose.
-SENECA * La vera saggezza consiste nel rendersi conto di non esserlo.
Seneca (contemporaneo di Gesù) dice che i grandi mali non stanno nelle cose quanto nella valutazione che noi ne diamo. Pertanto non vanno modificate le cose ma il nostro modo di pensarle: ciò che conta non è cosa guardi ma come lo guardi (simile al trascendentale kantiano?).
Sono sfuggito a molti mali ma non ancora a me stesso.
O come sono ridicoli i confini posti dagli uomini! Seneca scrive che Dio è la mente dell'Universo e che è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (prova ontologica di Sant'Anselmo). Dio è però anche Fato e Provvidenza (tutto è necessitato: un intreccio che lega tutte le cose necessariamente).
Tutto ciò che esiste, esiste nel migliore dei modi possibili (Leibniz) e nessun essere animato è uguale a un altro (sempre Leibniz).
Deus ipse se fecit! (anticipando Plotino). Bene è ciò che conserva e incrementa il nostro essere (Spinoza).
Per Seneca il corpo è ritornato ad essere la prigione dell'anima come per i pitagorici.
Per quanto attiene l'immortalità dell'anima Seneca si rifà a Socrate; forse torniamo al grande nulla, al sonno eterno senza sogni o forse è il passaggio ad una altra vita migliore: "questo giorno che temi che temi come l'ultimo è (forse direi io) quello della nascita all'eternità".
Seneca da valore alla coscienza e all'esame di coscienza come i pitagorici. Seneca va però oltre il tipico intelletualismo greco introducendo la volontà nella filosofia (poi utilizzata anche da Agostino). Dice anche che gli uomini sono tutti peccatori .
Seneca proclama l'uguaglianza fra tutti gli uomini senza schiavi e senza padroni: la virtù è disponibile e fruibile per tutti.
E' libero chi si è sottratto alla schiavitù di se stesso: essere schiavi di se stessi è la schiavitù più pesante scrive Seneca.
-SHANKARA * La filosofia (l'Advaita-non duale e Vedanta-studio dei Veda) che proponeva Shankara (788-820) era potente e in grado di svegliare il monismo mistico attraverso la conoscenza e la consapevolezza intima dell'esistenza. Inoltre affermava che sia l'universo fenomenico sia la nostra coscienza, sia il corpo che le nostre esperienze sono realtà illusoria anche se questo non significa negarle.
La Verità Ultima è rappresentata da Brahman situato al di là del tempo e dello spazio, al di là della causa e dell'effetto. Brahman è immanente e trascendente non solo come concetto panteistico (direi anzi panenteistico) e, pur essendo la causa materiale del cosmo, non è limitato dalla sua proiezione ma trascende la dualità e gli opposti nella forma e nell'essere. La sua natura intima è incomprensibile alla natura umana.
Si può però diventare consapevoli della fondamentale unità dell'essere trascendendo la mente per unirsi all'Assoluto. In realtà la natura, l'universo è in continuo divenire essendo relativo mentre il suo substrato (l'energia) è costante essendo l'Assoluto (saguna e nirguna: con o senza attributi). Con quest'ultimo bisogna identificarsi anziché con il relativo mutevole.
-SOCIETA' * Il buonista ha un'idea ingenua degli uomini: pensa con Rousseau che nascano tutti buoni e che sia la società (e i politici) a corromperli. Ma il cattivista è un pessimista di natura, crede come Hobbes che nello stato di natura la vita degli esseri umani sia destinata ad essere «solitaria, cattiva, brutale e breve», e che per questo, per prevenire la guerra di tutti contro tutti, ci voglia un moderno gigante, un Leviatano dotato di poteri assoluti, un Dio in Terra che ci protegga. Dove sia finito il più ragionevole Locke nessuno lo sa.
Siamo in questo mondo per esercitare la grande compassione e la reciproca comprensione. Solo con il dialogo e lʼempatia si progredisce, e non certo fondando una società fredda e distaccata allʼinsegna dellʼeconomia, mezzo che per eccellenza estirpa la sensibilità dal genere umano. (Divino)
Tratterete lo straniero che abita fra voi come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri. (Levitico 19,33) Maria e Giuseppe in fuga come i migranti di oggi. (Papa Francesco)
Per risolvere i problemi complicati della nostra società è importante trovare soluzioni adeguate. Solo gli ignoranti (oppure i veri geni) possono pensare di trovare soluzioni facili a problemi difficili.
Quella forma di 'volontà di potenza' incarnata nella 'tecnomania' è una nostra malattia che abbiamo diffuso su scala planetaria; e personalmente credo -in modo affatto pessimistico-che tale epidemia non sia reversibile: il futuro sarà tutto occidentale. (Pasqualotto)
L'espressione del sociologo Zygmunt Bauman, "modernità liquida" indica un'epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di "fluidificazione": per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni. Si parte dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all'identità: è l'itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello spazio e l'esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo racchiudono un'idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche, ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.
Sono le persone a possedere la tecnologia (tipo il cellulare) oppure stiamo andando verso un mondo dove la tecnologia possiede le persone?
La tesi genetica (ad esempio: una persona è violenta esclusivamente a causa dei suoi geni) è comoda e conveniente (oltre che deterministica) perché evita di mettere in discussione il contesto sociale e le problematiche di organizzazione del potere e della ricchezza e della loro distribuzione in una data realtà. Insomma l'ambiente è importante così come i geni: un bambino normale, messo in una stanza buia alla sua nascita per un periodo prolungato, diventerà ceco. Allo stesso modo i bambini vanno abbracciati e coccolati pena il loro mancato sviluppo empatico.
Niente è più terribile dell'ignoranza attiva. (Goethe)
Gli effetti prenatali hanno un notevole influsso sugli sviluppi dell'essere umano: una madre stressata metterà, probabilmente, al mondo figli problematici.
Costruire ponti, abbattere i muri, integrare le diversità, promuovere la cultura dell'incontrarsi, del dialogo e dell'ascolto, educare al perdono e alla misericordia, al senso di giustizia, al rifiuto della violenza e al coraggio della pace. (Papa Francesco) La stupidità, di gran lunga prevalente nell'umana specie, si nutre di certezze, di semplificazioni, di generalizzazioni. Solo chi dubita sempre e comunque (soprattutto di se stesso e delle sue idee) si salva in questo miserrimo contesto.
Ridicolizzare l'avversario è, in questa società, più efficace che confutarlo.
Chi vota può anche sbagliare ma chi non vota sicuramente sbaglia. Imperialismo della soggettività, volontà di potenza e rapporto strumentale con la natura si corrispondono. (Forte)
Il nostro comportamento tipico (di uomini) consiste nel difendere noi stessi e offendere l'alterità. Questo vale sia a livello individuale che comunitario. Forse bisognerebbe invece mettere in discussione se stessi e rispettare gli altri. Questo soprattutto in politica.
Agostino parla della lenta erosione della differenza fra uno Stato e una banda di briganti. Già fin da allora.
Il mito del progresso non è che un'altra forma della volontà di potenza della ragione.
Qui il pericolo consiste, io credo, nel dare una giustificazione del nostro modo di procedere, quando non esiste nessuna giustificazione e dovremmo limitarci a dire: facciamo così. (Wittgenstein)
La società è fondata sulla violenza. Infatti il poema che inaugura la nostra cultura, l'Iliade, altro non è che la narrazione, da parte dei vincitori, di un genocidio mentre l'Antico Testamento è un repertorio di guerre e di stragi. Anche la buona novella (il Vangelo) non disdegna la violenza, se è vero che Gesù afferma, di fronte agli apostoli: "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma una spada".
La differenza, che alcuni trovano così minacciosa, può diventare, mediante il dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell'esistenza umana. (Giovanni Paolo II)
Dunque la differenza anche come valore e non solo come contrapposizione fra diverse visioni del mondo o, peggio ancora, come scontro fra verità opposte. Non chiusura sulle proprie presunte certezze ma apertura verso le altrui opinioni.
Il confine segna una diversità (che è giusto che sopravviva) ma una vera divisione. Bisognerebbe essere capaci di capire anche chi è diverso mettendosi nei suoi panni.
Il timore di fronte allo straniero non è motivato semplicemente dal timore che la sua presenza costituisca una minaccia per la nostra sicurezza personale o per il nostro modo di vivere. E' il timore, è la paura che lo straniero faccia nascere la domanda: chi sono io? Perché anch'io sono uno straniero in molte maniere e non amo che mi venga ricordata quella mia identità. (Cox)
Ipotizziamo uno stato composto da 10 persone che ha una ricchezza di 10 unità complessive. Se la ricchezza è concentrata in una sola persona e gli altri nove non hanno nulla (indice Gini pari a 1), lo stato non è certo democratico. Lo è totalmente se invece ognuno ha la sua dose di ricchezza (indice Gini pari a zero). Quindi se uno ha 10 e gli altri zero, non è democrazia! Se ognuno ha qualcosa (almeno per soddisfare i bisogni primari), vi è un inizio di democrazia! Se la ricchezza si concentra, la democrazia vacilla perché la vera democrazia non è solo poter votare ma è anche poter vivere dignitosamente.
Nata per includere, ora la democrazia esclude. Nata per dar voce alle maggioranze contestando il privilegio di pochi, ora è la voce di una minoranza privilegiata del mondo. Nata per aprirsi, ora è attraversata da pulsioni a chiudersi come una cittadella della ricchezza di fronte alla miseria. Così continuano ad aumentare gli esclusi.
La razionalità economica e aziendale è spesso irrazionalità ecologica e sociale.
Il fondamentalismo del mercato fa del mercato il Verbo al cui giudizio oracolare si piegano le scelte politiche quasi fosse, il mercato, la via, la verità e la vita.
Solo la presenza di una comunità può dar conto dell'esistenza di regole.
Un tempo la casa era contenuta nel mondo. Ora la casa contiene il mondo.
Si chiama stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Io, lo Stato, sono il popolo. E' una menzogna. Là dove lo Stato finisce, comincia l'uomo. (Nietzsche)
Per Hobbes la legge trova la sua giustificazione nell'autorità vigente e non certo nella verità di idee eterne che sono solo finzioni.
Nella collettività finora amorfa si fa strada uno spirito di corpo, il senso di una comune appartenenza.
[…] I membri sono convinti di essere i portatori dei più elevati valori dell'universo, gli interpreti della volontà divina o della storia. L'ideologia del movimento ha, come sua caratteristica, di essere una spiegazione completa e facile per tutti e fornisce al movimento: a) una direzione; b) la sua giustificazione; c) le armi concettuali ed emotive di attacco e proselitismo; d) la speranza o la certezza del successo finale". (Alberoni 1968)
La democrazia da spazio all'umano più che ogni altro sistema politico, dunque è la grande arena dell'imbecillità. (Maurizio Ferraris, filosofo, che ha scritto un libro dal titolo: "L'imbecillità è una cosa seria")
Umberto Eco: "Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano messi a tacere".
"Il 90 per cento degli italiani è stupido" parola di Piergiorgio Odifreddi che ha scritto, al proposito, un "Dizionario della stupidità".
Come ci si deve comportare con gli intolleranti? Bisogna tollerarli? O bisogna essere intolleranti verso gli intolleranti?
I bambini sono le prime vittime dell'indifferenza planetaria, della povertà generata da un sistema economico iniquo fondato sul «dio denaro», della «terza guerra mondiale combattuta a pezzi. (Papa Francesco)
Ciò che è meglio per me dovrebbe concordare il più possibile con ciò che è meglio per gli altri, altrimenti non è meglio per nessuno! Ogni singolo deve trovare la miglior strategia rispetto alla miglior strategia di tutti gli altri. (Nash)
La tolleranza (semanticamente) è la posizione pacifica di chi crede di essere migliore, come i genitori tollerano i capricci dei figli o le maestre tollerano un poco di disattenzione durante le lezioni. Il rispetto è invece la comprensione e l'accettazione incondizionata della diversità degli altri senza stabilire una gerarchia tra chi è migliore o peggiore. Insomma chi è tollerante si ritiene superiore dell'alterità mentre chi rispetta no.
Nessun potere è buono. (Pasolini ucciso come una bestia da povere bestie mandate da altre brutte bestie)
Potere e autorità sono fattori determinanti in qualsiasi civiltà esistita.... si potrà mai cambiare?
Verso la differenza (i diversi) o c'è diffidenza o c'è indifferenza ma quasi mai attenzione.
L'educazione moderna non si occupa della totalità della conoscenza ma principalmente della logica e di altre particolarità: frammentazione che si impone sulla totalità.
Levinas dice che bisogna strappare la radice dell'orgoglio umano che è la causa della discordia, delle guerre, di tutte le violenze che rendono triste e tragica la convivenza umana.
Le convenzioni sociali agiscono indipendentemente dai vari attori che sono comunque gli stessi ideatori delle convenzioni stesse (per semplificare: gli uomini si danno delle regole che poi pensano essere di origine divina).
Gli intolleranti vogliono agire sugli altri per cambiarli. I tolleranti cercano di agire su se stessi per migliorarsi.
L'altro deve essere accolto e non fagocitato. (Levinas)
L'esperienza mostra abbastanza chiaramente che, in ogni tempo, gli individui che hanno l'intelligenza più sviluppata e le vedute più larghe formano una minoranza estremamente esigua. (Lamarck)
Foucoult parla di Biopolitica (il potere che si impone sulla vita), Bioetica (la dignità umana è inviolabile e il corpo non è in vendita), Biopotere (rapporto fra potere e corpo umano).
Una strada ricca di esiti nuovi. Tra questi c'è un radicale cambiamento nella considerazione dell'altro, che non è più visto "diverso", "stravagante", "lontano", ma "prodotto di una cultura paritetica", e che porta ad una visione della realtà più ampia, poiché ciascuna realtà, anche la nostra, quella dell'orgoglioso Occidente, diventa "una tra le altre e non più l'unica". Siamo di fronte, come chiaramente si intuisce, ad un tipo di analisi sicuramente valido e anche più adatto alle condizioni in cui ci troviamo, con il collasso della cultura dell'Occidentale e con la deriva dell'Io che dal secolo scorso si protrae al nostro tempo.
La coesistenza, la cooperazione e la solidarietà tra esseri umani sono la vie razionali e relazionali che possono permettere a tutti di vivere meglio a parità di risorse, mentre la via del conflitto ad ogni costo risulta estremamente pericolosa e, sopratutto, impoverente: impoverisce materialmente e mentalmente, restringendo il campo di azione di ogni membro del gruppo. L'ottimismo deriva, in parte, anche dalla considerazione che dopotutto siamo, come specie, ancora vivi, sopravvissuti. il che significa che nonostante la sterminata quantità di attività conflittuali che abbiamo studiato sui libri di storia, la quota di attività cooperative, fondata psicologicamente sulla percezione dell'affinità comune, in qualche modo ha prevalso, e non ci siamo estinti. Almeno per ora …
In nome di che cosa si deve porre un limite al proprio bisogno di godimento? Questo è anche il tema che oggi ritorna prepotentemente al centro del problema dell'orientamento nelle società liquide dell'economia libidinale (orientata all'espansione illimitata del godimento).
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti". Allora perché ci sono appellativi tipo: santità, altezza, eminenza, eccellenza....? Perché ci sono molti poveri e pochi ricchi?
L'individualità si costruisce per separazione: l'io si sviluppa opponendosi. La persona si costituisce nelle relazioni: l'io-tu, il co -uomo, il mondo-del-con. Liberiamoci dagli insegnamenti e dubitiamo di tutto e di tutti, allegramente.
Antistene, cinico, credeva nel ritorno alla natura senza governo, proprietà, matrimonio e religione. Ogni opinione, per lui, è vera e inconfutabile.
La finanza pubblica deve essere sana, il bilancio deve essere in pareggio, il debito pubblico deve essere ridotto, l'arroganza dell'amministrazione deve essere combattuta e controllata e l'aiuto ai paesi stranieri deve essere diminuito per evitare il fallimento di Roma.
La popolazione deve ancora imparare a lavorare invece di vivere di sussidi pubblici.
(scritto da CICERONE nel 55 A.C.)
Ciascun individuo diventa un consumatore telecomandato anziché un libero cittadino grazie al prevalere dell'economia sulla politica.
Siamo diventati mostri digitali, abbiamo le gobbe per colpa degli smartphone. Non ci parliamo più, risolviamo tutto con un tweet, uno status su Facebook o un aggiornamento su LinkedIn.
La novità della società liquida (l'uomo di oggi non ha alcun vero riferimento solido su cui fare leva: manca dio, manca lo stato, manca la giustizia, mancano i valori e tutto il resto mentre l'apparire è divenuto l'unico vero valore) non è rappresentata dall'assenza di autoritarismo, ma dalla mutazione del meccanismo di controllo: la società dell'iperconsumo non orienta attraverso la repressione nel senso della verticalità autoritaria, ma mira a ottenere il consenso orizzontalmente, attraverso il nuovo imperativo della disinibizione e del godimento. La funzione repressiva e ridistributiva viene svolta dal meccanismo dell'invidia e del desiderio mimetico.
La sfida è quella di recuperare una nuova dimensione di verticalità non autoritaria e di orizzontalità non livellante. La famosa onda di Hokusai rende forse questa idea. Questa immagine rappresenta un'alternativa sostanziale non solo al modello della scala del paradiso, ma anche a quello del soggetto erettivo. È un'immagine che esprime bene il processo di formazione della singolarità: questa non prende forma nell'appoggiarsi a un'autorità ideale, e neppure nell'erigersi autoreferenzialmente su se stessa, ma piuttosto nel compiere l'esperienza della caduta e del fallimento. Questa caduta rappresenta metaforicamente un auto trascendimento catartico che costringe la singolarità a una deviazione ontogenetica imprevedibile.
Anche nella scala di Climaco è tematizzato il tema della caduta, ma nei termini di un fallimento senza ritorno, in cui gli uomini rimangono catturati dai demoni e appesi a penzoloni alla scala. L'onda indica il superamento di se stessi, l'andare oltre l'ego senza aggrapparsi al dio di turno. Sfidare il nulla guardandolo diritto negli occhi.
Giustizia e libertà non stanno in un rapporto di identità ma in un rapporto dialettico (e questo Marx non l'aveva ben capito). I ricchi e potenti chiedono libertà mentre i poveri imbelli chiedono giustizia.
Si va verso una società amministrata ove si risponde a stimoli: si consuma non per necessità ma per condizionamento.
"In ultima istanza l'uomo deve far uso delle sue capacità intellettuali e non dipendere da nessuna autorità". (Horkheimer) Prima esistevano la tradizione e la fede, ora esiste solo la scienza. La stragrande maggioranza delle persone non ha personalità e rispetta solo la forza. La logica immanente nella storia va verso un mondo amministrato da pochi e subito da molti. Altro che democrazia.
L'occidente ha inventato cristianesimo, scienza e capitalismo che hanno poi conquistato il mondo intero o quasi. Peccato che nessuno dei tre sembri la soluzione adatta ai problemi dell'umanità.
Predominio dell'economia sulla politica tipica del capitalismo esautorando i singoli stati a favore delle imprese multinazionali. Le persone diventano consumatori indipendentemente da ogni cultura o etnia. Sono forse più importanti i capitali finanziari degli uomini? Sembra proprio di si. La globalizzazione vuole forse rendere generale un punto di vista particolare (quello delle multinazionali)? Esiste veramente una universale libertà di consumo o esiste invece una particolare libertà di arricchimento da parte di poche multinazionali? Comunque la globalizzazione è un fenomeno tipicamente economico: omogeneità delle merci e omologazione dei valori.
-SOCRATE E LO ZEN* Appare interessante notare come la condizione a cui è condotto l'allievo nello zen sia assai simile a quella in cui si trova il discepolo socratico, in particolare Menone, quando, sconcertato dalle domande poste da Socrate, paragona il maestro ad una torpedine: «Perché io sono veramente intorpidito nell'animo e nella bocca, e non so più cosa risponderti». Non solo: assai simile appare anche il procedimento dialogico che conduce a questa condizione di smarrimento. In entrambi i casi infatti, sia nel dialogo socratico che nel mondò zen, il dialogare non è una discussione formale, un semplice scambio di idee su qualcosa, ma investe direttamente e radicalmente gli interlocutori, la loro persona, la loro vita; ciò significa, tra l'altro, che in entrambi i casi non viene affatto valorizzata l'autorità della persona o quella che le deriva dalla sua cultura, né vengono fatte valere le testimonianze a favore della propria tesi tratte da maestri illustri o da testi canonici. In entrambi i casi si è invece soli davanti al problema da risolvere e Socrate, come il maestro zen, non è che la voce di tale problema, la manifestazione sensibile della difficoltà, e non un interlocutore che tenta di convincere delle sue idee. Non è un caso allora che tanto il dialogo socratico quanto il mondò zen [A mondō ( 問 答 , Chinese: wèndá) is a recorded collection of dialogues between a pupil and a rōshi (a Zen Buddhist teacher). Zen tradition values direct experience and communication over scriptures. (Some teachers go so far as to instruct their pupils to tear up their scriptures.) However, sometimes the mondō acts as a guide on the method of instruction. One example of a non-Buddhist mondō is the Sokuratesu-no-mondō, the Japanese translation of the "Socratic method", whereby Socrates asked his students questions in order to elicit the innate truth from assumed facts)] si determinino in un porre domande e non in un semplice scambio di opinioni o in un'opera di convincimento: in entrambi i casi la domanda non viene posta dal maestro con lo scopo di ottenere una risposta adeguata, ma con l'intenzione di scalfire o addirittura frantumare la corazza di certezze che ricopre e paralizza la mente dell'allievo. È in tal modo che il porre domande di Socrate coincide con l'elénchein, col «mettere alla prova», oltre che se stesso, anche l'allievo; proprio come avviene nel mondò: la domanda ha infatti, come primo effetto quello di sconcertare, di disorientare. Ma questo effetto di disorientamento non è prodotto con l'intento, un po' sadico di mettere in difficoltà l'allievo mostrando la sua inferiorità rispetto al maestro: ciò potrebbe accadere solo se il maestro avesse la presunzione di possedere la verità e l'intenzione di trasmetterla all'allievo; in tal caso le domande potrebbero anche non venir poste, in quanto sarebbero sostituibili con semplici affermazioni, oppure potrebbero essere poste retoricamente, per stimolare l'allievo a dare la risposta che il maestro già sa e vuole sentirsi dire. In realtà l'effetto sconcertante nel dialogo socratico e l'effetto-vuoto nel mondò zen agiscono sia sull'allievo che sul maestro: la radicalità del problema li investe entrambi con la sola differenza che il maestro sa di non sapere, mentre l'allievo presume sempre di sapere; il che significa in altri termini che il maestro, a differenza dell'allievo, è stato capace di farsi vuoto. Si potrebbe notare che la presunzione di sapere, nel dialogo socratico, viene demolita dalle continue domande poste da Socrate mentre nel mondò zen vi è spesso una risposta del maestro; tuttavia la risposta fornita dal maestro zen non è, come nel caso di Jòshù, sullo stesso piano della domanda, per cui l'effetto di sconcerto che essa produce nell'allievo è lo stesso che è prodotto dal continuo domandare di Socrate. In breve: le risposte dei maestri zen valgono e funzionano allo stesso modo e con la stessa incisività delle domande di Socrate: in entrambi i casi ciò che viene provocato è un radicale disorientamento, un «non poter fare più appello a nulla». È, insomma, il vuoto. Tuttavia, in entrambi i casi, non si tratta affatto di un'operazione nichilistica, ma di un'operazione purificatrice, di una catarsi: sia Socrate che i maestri zen, infatti, procedono nella loro opera «distruttiva» non per amore della distruzione, ma per poter suscitare una nuova nascita, perché il vuoto prodotto sia a condizione prima e costante della purezza di ogni nuovo «pieno». D'altra parte, in entrambi i casi, non si tratta di un intervento diretto del maestro sull'allievo per condizionare e determinare modi, tempi e contenuti del novum che nascerà: infatti la maieutica di Socrate non predica direttamente il dovere del ghnòthi sautón ma stimola nell'interlocutore le capacità che egli stesso ha di produrlo da sé; così come i maestri zen non insistono mai direttamente sulla necessità di ottenere il vuoto della mente, ma suscitano nel praticante le sue capacità di ottenerlo. E come Socrate poteva pertanto affermare di non essere mai stato maestro di nessuno proprio perché aveva aiutato ognuno a diventare maestro, di se stesso, così un maestro zen ha potuto affermare che «non vi sono maestri zen» non solo perché lo zen non è dottrina, ma soprattutto perché il maestro, aiutando la catarsi dell'allievo, pone le condizioni per le quali l'allievo, secondo le sue capacità, scopra la propria buddhità ossia rinasca, da sé, a se stesso. Vi è tuttavia, tra la maieutica socratica e quella zen una profonda differenza: mentre la tecnica dialogica di Socrate è ancora tutta interna all'orizzonte delle procedure discorsive e delle regole dell'argomentazione logica, le tecniche inventate e praticate dai maestri zen tendono spesso ad andare oltre questo orizzonte fornendo risposte che non sono costituite da una o più parole dotate di senso, e nemmeno, addirittura, da parole in senso stretto. Spesso infatti l'ultima risposta di un mondò è costituita da un'esclamazione, da un urlo o da un semplice gesto.
Socrate scopre o, forse, inventa la coscienza individuale e la libertà -responsabilità morale.
Socrate è razionale: per lui non solo il pensiero è in grado di conoscere l'essere ma anche di cambiarlo. Ottimismo teoretico (tutto deve essere razionale per essere bello) poi smontato da Kant.
Odifreddi dice che Socrate e Parmenide sono due cattivi maestri perché il primo fa vuoti discorsi sul bene e il secondo sull'essere.
Socrate è il primo dualista...energia e materia...il mondo fisico è imperfetto...ombra di quello reale che è perfetto (come la chiesa!). Spiritualismo e idealismo.
Il peccato di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere. Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate.
Sempre sprezzante di ogni posizione che si cristallizzasse in un sistema o in una moda.
Socrate insegnò che non ci sono maestri e, quindi, ciascuno deve partorire se medesimo.
Devi conoscere te stesso per poterti prendere cura di te stesso (te stesso è il tuo io, la tua autocoscienza, LA TUA ANIMA cioè il divino che è in te). Socrate insegnava ai pittori e agli scultori di trattare dell'anima più che del corpo. La virtù è la conoscenza di se stessi. Si sbaglia per ignoranza. Chi conosce il bene lo attua automaticamente senza dover mettere in atto alcuna volontà.
Intellettualismo socratico. Scienza, conoscenza e virtù, libertà (anche se poi Socrate dice che sa di non sapere). Perseguire l'utile dell'anima e non quello del corpo. L'essenza dell'uomo è la sua anima.
La virtù è autarchica e non ha bisogno di ricompense, di premi nell'aldilà avendo già in sé il proprio premio che è la felicità.
Morire è come non essere più nulla oppure come un trasmigrare dell'anima.
Fu un rivoluzionario non religioso (Dio non interviene nella formazione dell'etica e non dispensa premi) e non violento. L'essenza dell'uomo è la psychè, il logos.
Socrate, pur praticando l'oralità dialettica, non scrisse nulla. Il suo allievo Platone usò la dialettica scritta ma disse che le cose più importanti dovevano restare orali, non scritte e quindi dottrine non scritte.
-SOGGETTO-OGGETTO
Soggetto oggetto cessano di significare autonomamente alcunché e divengono semplicemente funzioni reciproche. Non c'è oggetto se non in relazione ad un soggetto (che osserva, isola, definisce, pensa), e non c'è soggetto se non in relazione a un ambiente circostante oggettivo (che gli consente di riconoscersi, definirsi, pensarsi, ecc., ma anche di esistere). L'oggetto e il soggetto, consegnati ognuno a se stesso, sono concetti insufficienti. Appare così il grande paradosso: soggetto e oggetto sono inscindibili, ma la nostra modalità di pensiero esclude l'uno tramite l'altro, lasciandoci liberi soltanto di scegliere, secondo i momenti della giornata, tra il soggetto metafisico e l'oggetto positivistico.
Un oggetto -diceva William James -è un prodotto dell'attenzione a "questo e non a quello". Questi pezzetti di attenzione etichettati con concetti e simboli, assumono lo statuto immaginario di "cose" reali e indipendenti! E siccome "tutte le parole sono dualistiche e separative, questo processo aggrava l'illusione che le cose sono entità indipendenti che aspettano la percezione." A questo punto confondiamo completamente questi simboli con la realtà stessa e l'illusione è confermata.
Ogni cosa è un simbolo, in quanto rinvia sempre ad altro da sé, ovvero agli altri fenomeni che la determinano sul suo stesso piano e all'interno di quel campo assoluto che la accoglie e lascia che essa si determini in quella specifica modalità; e, in quanto simbolo, ogni cosa è in sé paradosso: perché propriamente nessun ente, di per sé, esiste, ma in quanto condizione determinante per l'esistenza di tutti gli altri, visto La pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d'animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia.
Chi vive guidato dalla ragione si sforza, per quanto può, di ricambiare l'odio, l'ira, il dispregio, eccetera, di altri contro di lui, con l'amore, ossia con la generosità.
Dio agisce per le sole leggi della sua natura e non costretto da alcuno.
Tutte le cose e le azioni esistenti nella Natura sono perfette. (Non sembra … forse sono solamente ciò che sono senza aggettivazioni).
È dunque il timore la causa che genera, mantiene ed alimenta la superstizione.
Io metto la libertà non nella libera decisione, ma nella libera necessità.
Spinoza rappresentò l'uomo della tolleranza e della ricerca instancabile, l'avversario di ogni dogmatismo, di ogni chiusura intellettuale e morale, di ogni ortodossia teologica, ecclesiastica o politica che ostacoli o vieti la libertà di pensare e quella, non meno importante, di esprimere le proprie idee.
Per l'identificazione dell'atto di causare se stesso con l'atto di causare le cose la causalità divina è immanente; nella produzione divina si annulla la distinzione di causa ed effetto. Dio non è la causa dell'effetto mondo. Dio è il mondo.
L'impotenza per Spinoza è causata dal fatto che l'uomo si fa guidare da enti esterni a lui non realizzando quindi se stesso: essere eterodiretto. Per Spinoza la ragione combatte contro paura e speranza per arrivare all' amor dei intellectualis con il quale Dio ama se stesso tramite l'uomo.
La materia pensa? Si chiede Locke (sensazione e riflessione) in riferimento allo spinozismo.
L'uomo si crede libero solo per ignoranza.
Ogni definizione è una negazione.
La tranquillità interiore nasce dalla consapevolezza della necessità che sovraintende alla vita e al tutto.
Disperdere la propria individualità nella necessità del tutto. Leibniz non è assolutamente d'accordo: l'individualità vivrà in eterno.
Ogni cosa si sforza di preservare il proprio essere.
Positivo è ciò che ci unisce al tutto e non ciò che lavora a mantenere le apparenze della distinzione.
Ogni cattiva azione è dovuta a ignoranza (anche Buddha, Socrate e Platone la pensano così).
Considera irreale il tempo. (in linea con la più moderna fisica quantistica)
Il saggio si sforza di vedere il mondo come lo vede Dio: sub specie aeternitatis ove il futuro è fissato altrettanto del passato quindi né paura e né speranza! NEC SPE NEC METU Meditatio vitae. E non meditatio mortis come quasi tutti gli altri filosofi a partire da Platone.
Non si arrabbiava mai.
Un uomo che ama Dio non può pretendere che Dio lo ami.
Insiste però sulle idee chiare e distinte … La beatitudine non è la ricompensa della virtù ma è la virtù stessa.
Monismo logico: esiste un solo soggetto che è Dio.
Spinoza (che ammira Epicuro e gli stoici) dice che gli uomini credono di essere liberi perché credono di fare delle cose: come se un sasso prendesse coscienza e credesse di essere libero nel volare.
Physical review letters, 2014
Physics for Scientists and Engineers (3rd Edition) by Giancoli, Douglas C. (Hardcover
Intangibility Matters International conference on the values of tangible heritage, 2017
Industrial Management & Data Systems, 2008
2003
International Journal of Frontiers in Biology and Pharmacy Research
Polymer Degradation and Stability, 2003
The International journal on drug policy, 2010
Mathematics and Computers in Simulation, 2004
EPRA International Journal of Economics, Business and Management Studies, 2025
Revista Iberoamericana De Ciencia Tecnologia Y Sociedad Cts, 2004