INDICE
Rivista trim estrale di studi sul Valdèm one
Anno I, num ero 1 - aprile / m aggio 2000
Editoriale
pag. 3
In attesa di registrazione presso il Tribunale
di Patti
CONTRIBUTI
FFG Ed i tori – Sa n t’ Agat a Militello (M e)
Responsabili editoriali:
F. Gen t ile, A . Fon t an a, S. Fid aca ro
L’Etna, dal Mito al Grand Tour
Direzione, redazione e am m inistrazione:
via M edici 154 – Sa n t’ Agat a Mi l i tel l o
t el./ f a x 0941722860
E-m ail: p a l eo ka st ro @f f g.i t
ht t p:/ / w w w.f f g.it / p aleoka st ro
Il Sarcofago di Martini, eco di Medioevo
nelle campagne dei Nebrodi
Sede elettiva:Castello medievale dei Lancia,
Brolo (Me)
Venanzio Marvuglia? Troppo moderno!
pag. 5
di Franz Riccobono
pag. 13
di Antonello Pettignano
pag. 17
di Angelo Pettineo
Direttore: Nuccio Lo Ca st ro
Beni Etno-antropologici in Sicilia,
tre punti, una proposta
Com itato di redazione: Maria D’ Am ico,
An tonello Pet t ignano, Angelo Pet t ineo,
Franz Ricco bono
pag. 29
di Sergio Todesco
Segreteria di redazione: Arm an do Fon t an a
Sperlinga, come nido d’aquila sulla roccia
Collaboratori: Francesco Alaim o, Lucia Arcifa,
Peppino Ardizzone, Antonino Bilardo,Franco
Brancatelli, Lucia Calandruccio, Gloria Calì,
Peppino Ciccia, Luisa Coco, Elisa D’Arrigo,
Salvatore Di Fazio, Gianfranco Ferlito, Nella
Faillaci, Strina Foti, Ninuzzo Germ anà, Enrico
Giacobbe, Francesco Ingrillì, Stefania Lanuzza,
Michele Mancuso, Nico Marino, Raim ondo
Marino, Claudio Masetta, Sara Natoli, Angela
Pipitò,Tindaro Pintagro, Shara Pirrotti,
Annalisa Raffa, Antonino Ragonese, Angelo
Restifo, Nino Saporito, Mario Sarica,Totò Serio,
Rosario Term otto, Sergio Todesco, Giovanni
Travagliato, Sebastiano Triscari, Anthony Vella
di Raimondo Marino
pag. 41
RUBRICHE
Resp. Marketing, Pubblicità e
Servizio Abbonam enti: Fran co Gen t ile
Tesi di Laurea: L’Abbazia di S. Filippo di Fragalà
a Frazzanò, di Benedetto Di Fazio
pag. 49
Il Racconto: Le salamandre, di T. Pintagro
pag. 53
Figure d’Artista: Pietro Cordici
pag. 55
Libri
pag. 58
Eventi culturali
pag. 62
Grafica e im paginazione: Sa lvin o Fidaca ro
Un num ero: L. 10.000
Num ero arretrato: L. 16.000
Abbonam ento annuo (4 num eri + eventuali
supplem enti): L. 40.000 = Euro 20,66
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bancario intestato a:
Paleokastro-FFG, V. Medici 154
98076 Sant ’Agata Militello (Messina)
M ESSINA
FRAGALA’
M ARTINI
M OTTA D’AFFERM O
Stam pa: Ar t i Grafiche Zucca rello - S. Agat a M.
In copertina: Sperlinga (En), Castello medievale
(Foto Raim ondo Marino)
SPERLINGA
ETNA
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vietata senza l’autorizzazione scritta
dell’Autore e dell’Editore
I m ateriali inviati in redazione non potranno
essere restituiti
1
In dice
Angelo Pettineo
VENANZIO MARVUGLIA?
TROPPO MODERNO!
Fatti e documenti sull’inedita facciata
della Matrice di Motta d’Affermo
"...quanto voi scrivete separatamente,e quanto mi fan sapere i
deputati della facciata della
Venerabile Madrice Chiesa di
S.Maria degl Angioli per dire
all Architetto Marvuglia di fare designo all’ antica cosa assai
sco(nve)niente perch non puossi
dire ad ingegno cossi virtuoso e
famoso di fare prospettiva all antica
o alla moderna, alla romana o alla
napolitana.Serenate l animo vostro
e quello dei Deputati....
Palermo,li 8 Agosto 1809
Preposito Giovanni Castelli
dei Principi di Torremuzza
1
Per una prima informazione storica, filosofica
ed artistica: AA.VV.,La Sicilia nel Settecento,atti del
convegno di studi tenuto a Messina nei giorni 2-4
ottobre 1981,Messina 1986.
2
Sulle riforme varate nel Regno delle Due Sicilie,
a partire dall’espulsione dei padri Gesuiti (1766): F.
Renda, Il riformismo di Bernardo Tanucci, Catania
1969; Sul nuovo ordinamento degli studi: L.
Sampolo, La Real Accademia degli Studi di
Palermo,Palermo 1988,passim.
3
Sugli eventi legati alla costituzione siciliana del
1812 vi è un’ampia bibliografia. Per una prima
informazione: D. Mack Smith, Storia della Sicilia
medievale e moderna,Bari 1968,pp.449-476.
4
Per il ruolo paradigmatico di una di queste
Accademie cfr.C.Filangeri,L’Accademia palermitana del buon gusto e gli accademici del 1718,in «Atti
dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti di
Palermo»,Conferenze 1998-1999,Palermo 1999.
5
Per una panoramica sui principi ispiratori e le
iniziative architettoniche sintomaticamente legate
all’atteggiamento riformista cfr. Ettore Sessa, Le
architetture dell’ordine sociale in Sicilia nel secolo
dei Lumi,in «L’architettura del Settecento in Sicilia»,
a cura di Maria Giuffrè,Palermo 1997,pp.193-211.
6
Cfr.Luigi Sarullo,Dizionario degli Artisti siciliani,
Palermo 1993,vol.I,pp.290-293.
7
Cfr. S. Boscarino, Sicilia Barocca architettura e
città 1610-1760,Roma 1981,pp.89-194.
8
Cfr. Arc. Gioacchino Arangio, Memoria, Motta
d’Affermo 1916, p. 6, dattiloscritto presso l’Archivio
Parrocchiale. Trascriviamo l’incisione che tuttora
rimane leggibile sul posto: "AEDIFICIUM ANNO
1453 CONDITUM, DEHINC DIRO FULMINE SCISSUM,CITOQUE RESTAURATUM ANNO 1853 ".
9
Gli Albamonte detenevano la baronia ormai
da tempo ma non avevano alcun titolo ufficiale del
possesso. Sotto il regno di Alfonso d’Aragona
(1416-1458) si era palesata l’intenzione che "terre e
privilegi goduti da un barone per trent’anni gli
venissero attribuiti per legge,anche se illegalmente
acquisiti," pur di poterli assoggettare alla tassazione.Nel 1452 si promulgò la legge che "attribuiva al
possesso de facto dei feudi il valore di prova di proprietà" :cfr.D.Mack Smith,Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari 1968, p. 120, 138. Giovanni
Albamonte ufficializzava l’attribuzione della baronia con solenne investitura del 1453 e non escludiamo che questi abbia voluto dare l’imprimatur al
La storiografia contemporanea ha sufficientemente chiarito come gli ultimi decenni del secolo XVIII ed i primi del XIX abbiano segnato in tutta
l’Europa un fondamentale momento di transizione verso la civiltà moderna.
A questa condizione generale corrisponde quella particolarissima del clima
culturale siciliano che assume posizioni marcatamente riformiste1 a partire
dalla laicizzazione degli studi (1779) 2 fino all’abrogazione, rivoluzionaria
quanto illusoria, del secolare regime feudale (1812) 3 , clima instaurato anche
attraverso l’azione combinata del dilagante enciclopedismo, del pensiero
filantropico e dei rapporti, purtroppo ancora poco indagati, tra intellettuali
europei, viaggiatori del Grand Tour e frange illuminate dell’aristocrazia isolana che avevano fatto tesoro di un’impegnata militanza entro le accademie.4
In campo artistico questo sentimento revisionista cerca di razionalizzare
il fasto esuberante del tardo barocco con la sobrietà e la compostezza delle
forme neoclassiche, ed in ambito squisitamente architettonico5 questa tendenza è incarnata con autorevolezza e capacità indiscusse da Giuseppe
Venanzio Marvuglia.6
Tuttavia, proprio nella pratica dell’architettura, questa sintesi, estrema
quanto approssimativa, non basta a restituire esattamente un intenso periodo nel quale i contenuti del "nuovo" stentano ad affermarsi per la ritrosia e
la diffidenza di ambienti conservatori e poco inclini alla sperimentazione, sia
che si tratti di affermati progettisti come di committenze eterogenee. Se a
queste componenti aggiungiamo la costante complessità del cantiere che si
arrabatta tra mille impedimenti logistici, deficienze finanziarie e retaggi culturali delle maestranze, comprendiamo bene come la lettura di un semplice
fenomeno architettonico vada impostata con grande cautela, senza estremismi cronologici e stilistici, anzi, diluendola per interi decenni, ossia per i
tempi insospettatamente lunghi del medesimo cantiere, dove si alternano
ripensamenti ad entusiasmanti fasi costruttive.7
La descrizione degli eventi che portarono alla fabbrica della facciata della
Matrice di Motta d’Affermo, a parte l’intrinseco contributo all’arricchimento del catalogo marvugliano, sintetizza efficacemente gran parte di quanto
abbiamo premesso ed offre un significativo spunto per misurare il grado di
consapevolezza che, solo all’inizio dell’Ottocento, induceva pochi committenti siciliani alla liberalità verso il riconoscimento dell’indipendenza e della
dignità creativa dell’artista. Nell’isola, infatti, il ruolo dell’architetto si era
defilato dalle maestranze solo a partire dalla fine del secolo XVI ma raramente gli stessi artefici avevano potuto svincolarsi dalla pacifica subordinazione ai gusti della committenza. Questa condizione diviene prassi nella
maggioranza delle architetture chiesastiche che avevano abdicato alla dottrina conciliare post-tridentina e alla suggestione dei modelli romani, anche
18
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
cantiere della Chiesa Madre, datandone la fondazione.
10
Sull’origine e le prime vicende feudali di Motta
d’Affermo: A. Pettineo, La Motta di Sparto, alias di
Fermo: un insediamento tra potere feudale e
monachesimo greco, in «Miscellanea Nebroidea»,
S.Agata di Militello 1999.
11
Sull’assetto dell’interno è molto utile la descrizione fattane dal vicario episcopale durante la visita del 1597: Archivio Vescovile di Cefalù, da questo
momento A.V.S.,Visite Pastorali,b.104,fasc.343.
12
D’altra parte era stata costruita a spese
dell’Università, come si dice in un documento del
1570: "Detta major ecclesia fuit edificata pro
Universitate et libera a iure patronatus". A.V.C.
Visita pastorali,b.103,fasc.319.
13
La Soprintendenza ai BB. CC. e AA. di Messina,
dal 1980 al 1998 si è occupata dei restauri al monumento attraverso la dedizione degli architetti R.
Scimone, G. Crimi e dell’Ing. Stopo. Con gli ultimi
lavori,nel 1995,durante lo scavo della pavimentazione, sotto la navata centrale sono state trovate
due fosse comuni e atre tombe che,disposte assialmente rispetto alla dimensione principale della
chiesa, testimoniano la vetustà di questa parte. La
cripta dell’ala destra (meridionale) é costituita da
ambienti sapientemente congegnati, anche per
colmare il dislivello esistente in questo versante
prima dell’ampliamento con le navate laterali.
Calandosi all’interno si può notare la risega di fondazione di una vecchia parete, trasformata in una
sottomurazione stilofora.
14
La datazione di tale intervento é fatta sulla
scorta delle Visite pastorali tenute dal 1649 al 1658,
in cui si ripete cronicamente che la chiesa era "in
fabbrica ". Un’operazione così duratura non può
che far pensare alla tripartizione usuale. Questo in
considerazione del fatto che nel 1645 il vicario apostolico aveva interdetto tutti gli altari laterali per l’inefficienza e il disordine.Durante la visita del 1649
la situazione é molto diversa: intanto si menziona,
perché gran parte dei progettisti siciliani del Sei-Settecento si era formata in
seno alle stesse comunità religiose, fautrici ed attuatrici di poderose ed esemplari imprese costruttive .
I fatti che ci apprestiamo ad illustrare si articolano su più livelli: quello di
Venanzio Marvuglia, artista raffinato, versatile ed accondiscendente più di
quanto possa lasciare pensare il suo prestigio che, diversamente, gli avrebbe
consentito uno sdegnoso distacco dalla petulante e lontana committenza,
impreparata all’asciutta applicazione della maniera neoclassica; quello di
Giovanni Castelli, "Preposito" dell’Oratorio dei padri filippini di Palermo,
cadetto dei Principi di Torremuzza, nonché marchesi di Motta, intermediario colto per la commissione del progetto; quello della locale "Deputazione
per la Fabbrica della Facciata", riottosa alle innovazioni quanto affezionata
alla magniloquenza persuasiva delle vibranti superfici barocche; infine, quello delle maestranze adibite alla realizzazione del progetto, troppo virtuose di
scalpello, riluttanti alla semplicità della forma e cronicamente ritardatarie sui
tempi di realizzazione delle opere.
Ad ogni buon conto, riteniamo utile inquadrare l’intervento marvugliano
riepilogando con un breve excursus gli eventi e le principali fasi costruttive
che hanno riguardato l’edificio in questione.
La Matrice di Motta d’Affermo è il risultato di una stratificazione plurisecolare che ha conosciuto stagioni di vero coordinamento progettuale solo
intorno alla metà del ‘600 e nello scorcio conclusivo del ‘700. Un’epigrafe sull’architrave del balcone che si trova nel retro dell’attuale scarsella, fissa al
1453 la fondazione dell’edificio8 ma, con buona attendibilità, riteniamo che
questa data voglia fissare la celebrazione della conferma feudale alla famiglia
Albamonte9. Probabilmente venne edificata, insieme alla Motta10, verso la
fine del ‘300 e rivestì sin dall’inizio connotazioni di ordine politico e simbolico. Fu collocata sul versante del crinale opposto a quello del castello per l’eminenza del sito, per l’estemporanea commutazione degli affioramenti rupestri nella cava utile all’esecuzione della fabbrica e per la ricerca di un piano
d’appoggio geologicamente solido. Consisteva di una semplice aula oblunga
(25,00m x 8,50m), larga quanto consentiva la luce massima delle capriate in
legno, perfettamente orientata e conclusa da un’abside semicircolare11. Oltre
ad essere lo "spazio liturgico" per eccellenza, doveva ricoprire il ruolo non
secondario di sede politica ed amministrativa dell’Universitas12.
La recente introspezione dei locali ipogei ha offerto alcuni dati che, se correlati con quelli acquisiti attraverso i documenti, tracciano, con buona
approssimazione, l’anamnesi della costruzione13. La basilica trinavata che
oggi osserviamo é il frutto di una globale ricostruzione effettuata dal 164914
al 1653 a scapito dell’aula originaria che prestò le sue pareti più lunghe per
impostarvi i colonnati esastili. Questo rifacimento mutuò i modelli tardorinascimentali delle nuove grandi basiliche palermitane15, traducendo nel
doppio colonnato la matrice linguistica e culturale espressa dalla numerosa
serie di chiostri e cortili siciliani del tardo Cinquecento e dei primi del
Seicento16. Tuttavia, l’ordine architettonico, generatore proporzionale della
nuova spazialità, era ancora di gusto tipicamente cinquecentesco: il piedistallo, serrato tra gli aggetti marcati di zoccolo e cimasa, comprendeva un
semplice dado a lacunari; sopra una base, arricciata negli spigoli con piccole
palmette, si ergeva il fusto monolitico della colonna; il capitello corinzio,
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
19
Chiesa madre di Santa Maria degli Angeli;
veduta d’insieme del prospetto
per la prima volta,una navata laterale,citandola a
proposito di un altare ignoto nelle visite precedenti.
Riporto testualmente:"Visito l’altare della Madonna
delli Angeli, fabbricato nella propria cappella... in
testata di l’ala a man sinistra...". Infine, nella visita
del 1658,il vicario afferma:"Visito la Chiesa Madre la
quale é stata nuovamente fabbricata...".
15
Ricordiamo solo la chiesa del Gesù (15971633),S.Ignazio all’Olivella (1597-1622),S.Anna alla
Misericordia (1606-1632), S. Giuseppe dei Teatini
(1612-1645), e la chiesa del Carmine (1627-1667).
16
L’ispirazione di queste opere, di cui la cultura
architettonica gesuitica fu principale interprete,
viene rintracciata nel tardo-quattrocentesco
palazzo romano della Cancelleria, a sua volta
memore della lezione brunelleschiana, filtrata
attraverso l’esperienza lauranesca del Palazzo
ducale di Urbino.Cfr.Giuseppe Bellafiore,La maniera italiana in Sicilia, Palermo 1963, p. 113. Ciò nondimeno bisogna sottolineare una derivazione più
diretta delle esperienze architettoniche "lombarde"
della seconda metà del XVI secolo, alla luce della
fortissima componente di artisti genovesi e milanesi attivi proprio a Palermo.
stretto in un solo registro di foglie, asciuttamente lineari e prigioniere della
superficie cilindrica, tradiva la sensibilità di un artigianato ancora saldamente ancorato al tardogotico. La chiesa, quindi, complessivamente si esprimeva con la severità figurativa dei suoi colonnati, corrisposti in alto dalle
austere capriate in legno.
L’ultimo atto significativo di questo cantiere riguardava l’assetto del portale principale (1657) e, quindi, il diretto precedente alla facciata marvugliana. Il prospetto occidentale della chiesa era caratterizzato da un sensibile dislivello che veniva superato con una scalea monumentale, culminante in un
semplice portale17 che proprio in questa fase si decideva di sostituire con
un’edicola manierista inquadrata da due colonne libere. L’artefice del nuovo
portale fu lo scalpellino Damiano Di Franco18. Quando si varò l’ambiziosa
facciata ottocentesca, il portale venne traslato dove odiernamente si trova,
consentendo l’ingresso laterale alla chiesa.
Il XVIII secolo viene inaugurato con gli ampliamenti del presbiterio e
delle cappelle orientali19. Infine, nell’Agosto del 1715 si completava la costruzione dei corpi orientali con l’apertura di uno spettacoloso balcone panoramico20, accessibile dal retro dell’altare maggiore, elemento che potrebbe apparire inconsueto ma che, diversamente, si trovava già nella cattedrale di
Troina, nelle matrici di Geraci, Tusa, Mistretta e Reitano per assolvere ad
una funzione che tutt’oggi resta ignota21.
Nel terzo decennio del ‘700, gli esterni della chiesa furono certamente
oggetto delle prime attenzioni per la loro ornamentazione: la massa del
20
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
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Chiesa Madre; veduta sul primo ordine del
prospetto, realizzato su progetto del
Marvuglia
17
Come,d’altra parte,testimoniano i recenti rinvenimenti nella Matrice di Mistretta e numerose
sopravvivenze nelle Matrici dell’area nebrodemadonita.
18
Archivio di Stato di Messina, da questo
momento A.S.M. Not Giuseppe Lo Monaco, vol.
1544, f. 45.Il contratto venne stipulato alla fine del
Novembre 1657 sulla base di un disegno che ritraeva l’opera, esibito preventivamente alla committenza dall’artefice.
19
Intorno al 1711 il piano del coro era stato guadagnato attraverso la grande cripta dei sacerdoti,
coperta da una volta a botte.Nel 1712 si predisponeva lo squarcio dell’antica abside, realizzando i
due semipilastri e l’arcata trionfale che dovevano
sancire lo stacco tra la navata e la scarsella. Il contratto definiva minuziosamente le misure, prefigurando il dimensionamento dell’intero corpo di fabbrica, poiché il passo stabilito per una sola parete
(in questo caso quella tra navata e presbiterio)
diventava legge dello spazio cubico per l’imposta
dei pennacchi e della cupola.Infatti,nell’impossibilità di creare la trasversalità del transetto, se non
sacrificando un paio di campate della navata, si
rinunciò al canonico posizionamento della cupola
"Cappellone" si stagliava già sull’abitato e la tripla sovrapposizione dei suoi
cantonali, con un rustico trattamento delle superfici e con la predisposizione degli incastri per piedistalli e capitelli evidenzia ancora oggi l’intenzione,
rimasta sulla carta, di rivestire con intagli di pietra queste membrature; un
primo esplicito passo verso la realizzazione della facciata principale é individuabile nella rendita lasciata dal sacerdote Matteo Lo Conti (1724) per
"ampliari, costruiri, abbelliri et edificari" la Madre Chiesa "cossì per la
Facciata et prospettiva della medesima come per quello che occorrerà, a libero arbitrio del Procuratore" 22, rendita che per i tempi in cui matura ci autorizza a sospettare qualche abboccamento con l’architetto Francesco
Ferrigno23, impegnato nello stesso periodo alla "riforma" della Matrice nella
vicina Tusa (1736-1749) 24, oppure con Giovanbattista Vaccarini, attivo nella
ricostruzione del ponte di Migaido (1750) 25. Tuttavia, i contenziosi su questo legato sancirono per molti anni il fallimento della volontà del testatore26.
Intanto, dopo il 1750 un preoccupante dissesto aveva pregiudicato la stabilità della zona Sudoccidentale. Vi si poneva rimedio, scongiurando l’imminente crollo, solo nel 1764, attraverso la dismissione e ricollocazione di quattro delle sei colonne della navatella meridionale e, soprattutto, attraverso lo
spianamento della stessa facciata principale, i cui materiali furono usati per
ricolmare l’antistante terrapieno. Con gli stessi lavori la Matrice venne dotata di volte su tutte le navate per predisporre un successivo e complessivo rivestimento in stucco27.
A tal proposito, intorno al 1770 avevano suscitato clamore le decorazioni
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
21
nell’incrocio degli assi principali arrivando a collocarla sul coro e adoperando così uno schema poco
usuale. Lo spessore dei semipilastri era fissato in 4
palmi (1m), mentre l’altezza fino all’imposta dell’arco in 34 palmi ( ca.8,70m).L’altezza complessiva
era di 43 palmi (11,90m) quindi il raggio dell’archivolto era di circa 3,20m ed il passo della campata
era di 6,20m. A.S.M. Not. Giuseppe Mindeci, vol.
3111,f.35
20
Archivio St orico Parrocchiale di Mot t a
d’Afferm o, da questo m om ento A. P., Contabilità
Chiesa Madre, 1715-1718.
21
Cfr. Cam illo Filangeri, Dall’agorà al presbiterio, storia di architetture della Sicilia, Palerm o
1988, pp. 72-87. Probabilm ente questi balconi
venivano utilizzati solo in eccezionali circostanze com e logge delle benedizioni sul territorio.
22
A.P.,Fascicolo Chiesa Madre Varie,carte sciolte.
23
L. Sarullo, Dizionario..., pp. 174-175.
24
Cfr. A. Ragonese, G. A. Bono, Alesa e Tusa
m em oria di un popolo, Palerm o 1989, pp. 81-82.
25
Cfr. C. Filangeri, Feudalità viva: Migaido, in
«Persefone», anno II, 1966, pp. 19, 26, 32.
26
A.P.,Fascicolo Chiesa Madre Varie,carte sciolte
27
A.S.M.,Not.Giuseppe Mindeci,vol.4903,f.253.
28
Certo si tratta di un’applicazione rara nel
panoram a degli stucchi siciliani.Ne ritroviam o il
precedente più autorevole nel salone principale
di Palazzo Biscari a Catania. Cfr. Anthony Blunt,
Barocco Siciliano, Milano 1986, p. 27, tav. 41. Gli
stucchi di S. Oliva ad Alcam o vengono com unque riconosciuti com e una tra le decorazioni più
riuscit e in provincia. Donald
Garst ang,
Giacom o Serpotta e gli stuccatori di Palerm o,
Palerm o 1990, pp. 218-220.
29
Luigi Sarullo, Dizionario..., vol. I, p. 126. Su
Giovan Francesco D’Alessandro si sofferm a
am piam ente anche Agostino Gallo, incentrando le sue osservazioni sul cim it ero di
Sant ’Orsola presso la chiesa di Santo Spirito, a
proposito del quale dice: "A lui (D’Alessandro) fu
com m essa l’opera grandiosa del Cam po Santo
di Palerm o...". Lo st esso Gallo at t ribuiva al
Chenchi la progettazione di tale cim itero, m a la
dovizia dei particolari su quest ’opera é particolarm ente curata quando parla di Francesco
D’Alessandro. Evidentem ente la notorietà del
Chenchi, alm eno in questo caso, ha finito per
surclassare D’Alessandro. A. Gallo, Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri, soggiornati in Sicilia dai tem pi più antichi fino al corrente anno 1838, Ms. della Biblioteca centrale
della Regione Siciliana, XV.H.14, ff. 927-933.
30
D. Garstang, Giacom o..., nell’attribuzione
cita la Guida d’Italia del Touring Club Italiano,
Sicilia,Milano 1968,p.215.Notizie più circostanziate ha fornito V. Regina, Alcam o, Palerm o
1980, vol. 2°, p. 65., che segnala com e stuccatori
Francesco e Giuseppe Rosso. Le analogie con la
chiesa di Motta, di cui possediam o la docum ent azione per un’indiscut ibile at t ribuzione al
della chiesa di Santa Oliva ad Alcamo e soprattutto la singolarità di alcuni
motivi applicati sulla volta, se non altro per la disinvolta imitazione di analoghe esperienze nella Mitteleuropa28. L’opera, per l’inusuale espressività,
non mancò di alimentare la polemica tra i sostenitori dell’ultimo rococò ed i
fautori del rinnovato sentimento classicista. Probabilmente gli stucchi di S.
Oliva finirono per godere di una fama tanto eclatante quanto effimera, ma
sufficiente per indirizzare i committenti di Motta a Giovan Francesco
D’Alessandro29, ideatore di quel manufatto30. Gli approcci con l’architetto
ebbero luogo attendibilmente verso l’inizio del 1772, poiché nel Settembre
dello stesso anno venne ratificato il contratto d’opera, sulla scorta della puntuale relazione che D’Alessandro in persona si era premurato di fornire31.
Questo raffinato intervento progettuale venne concluso entro il 1776 e fu
l’ultimo cantiere prima della realizzazione della facciata che finalmente ci
apprestiamo a descrivere.
Una circostanza su tutte fu alla base delle radicali trasformazioni che
coinvolsero la Matrice di Motta come numerose altre Matrici della diocesi di
Cefalù32: l’elezione al Vescovado di Gioacchino Castelli, dei Principi di
Torremuzza (1755) 33. I programmi "ristoratori" della cattedra cefaludese
vennero recepiti e attuati con disciplina militare da questa piccola comunità
che, anzi, paradossalmente divisa nella contrapposizione tra gli "affezionati"
della Chiesa Madre e quelli della chiesa di S. Rocco, smaniava nell’aggiornamento dei rispettivi edifici cercando di assicurarsi l’attività degli artisti
migliori del Settecento siciliano. Così, nel 1783, dopo il progetto di Francesco
D’Alessandro per la Matrice, la chiesa di S. Rocco fu completamente rivisitata dall’architetto trapanese Andrea Gigante34.
A completamento del quadro delle committenze richiamiamo direttamente i ruoli di Gabriele Lancillotto Castelli35, "Principe di Torremuzza e
Marchese della Motta", e del fratello Giovanni, "Preposito" dell’Oratorio dei
padri Filippini di Palermo36. Il primo, grazie alla rara erudizione e competenza antiquaria era diventato personaggio di primo piano della cultura isolana, referente di molti intellettuali europei e coordinatore del nuovo Cursus
Studiorum siciliano37; il secondo, intrapresa la carriera ecclesiastica, era
stato più volte vicino a ricoprire cariche vescovili ma aveva prontamente
rifiutato per occuparsi della propria comunità di padri Filippini presso S.
Ignazio all’Olivella38.
Dunque, la famiglia Castelli, nei rappresentanti più autorevoli del
momento, colse opportunisticamente le velleità rinnovatrici del piccolo centro, fungendo da avanguardia selettiva per ingaggiare nella capitale quanto di
meglio poteva offrire il mercato artistico del momento: Gioacchino, Vescovo
di Cefalù, aveva interpellato di persona Francesco D’Alessandro per i nuovi
stucchi della Matrice; Gabriele Lancillotto aveva riconosciuto in Andrea
Gigante l’architetto che meglio avrebbe interpretato l’ortodossia classicista
per il progetto di S. Rocco; infine Giovanni, come faremo puntualizzare agli
stessi documenti, aveva tessuto una lunga e paziente trama per ottenere da
Giuseppe Venanzio Marvuglia i disegni ed i capitoli per la realizzazione della
facciata della Matrice. Probabilmente il prelato poteva già contare su un’antica frequentazione dell’architetto che è plausibile fare risalire all’attività
marvugliana per la chiesa di S. Ignazio (1760) e l’oratorio dei padri Filippini
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
23
D’Alessandro,fugano ogni dubbio sulla com une
paternità dei due progetti.
31
Per la com plessità e l’interesse dell’argom ento,ci riserviam o di sviluppare questa parentesi in un secondo m om ento, sem pre dalle pagine di questo periodico.
32
Motta d’Afferm o, fino al 1844, prim a di passare alla diocesi di Patti, fu pertinenza della diocesi di Cefalù.
33
Giovanni Castelli, Orazione su’ funerali di
m onsignor Gioacchino Cast elli, Vescovo di
Cefalù, Palerm o 1789. Il Vescovo m ise in fibrillazione tutta la diocesi lanciando la "crociata dei
rim odernam enti" nelle chiese Madri, basti ricordare che durante il suo episcopato furono corposam ente rim aneggiate le chiese Madri di
Tusa, Mistretta, Polizzi Generosa e che neppure
la stessa cattedrale di Cefalù venne risparm iata
dalle trasform azioni.
34
Sull’argom ento si rim anda al saggio m onografico di A.Pettineo,Andrea Gigante e la chiesa
di S. Rocco a Motta d’Afferm o: contributi inediti
sull’influenza dell’am biente artistico palerm itano nel m archesato dei Torrem uzza, Messina
1997.
35
G. Ort olani di Bordonaro, Gabriele
Lancillotto castelli e gli studi di antiquaria siciliana nel sec.XVIII,Palerm o 1939,rist.an.1980; L.
Sarullo, Dizionario...cit., pp. 96-97.
36
Vincenzo Cast elli, Mem orie st oriche di
Giovanni Castelli dei Principi di Torrem uzza,
Palerm o 1816.
37
Lancillotto Castelli ha contatti con Goethe e
Münter nei loro viaggi in Sicilia e la solidità del
suo approccio scientifico con il m ondo antico lo
pone in apertura con afferm ati studiosi europei
t ra cui cit iam o Eckhell, Murat ori, Neum an,
Rasche, Am aduzzi, Oberlin.
38
V. Castelli, Mem orie...cit., passim .
(1763) 39.
Quando nei primi anni dell’Ottocento si concretarono i mezzi per varare
la fabbrica della facciata di Motta, scomparsi Gioacchino e Gabriele
Lancillotto, unico referente nella capitale restava Giovanni che, evidentemente, fu sollecitato alla commissione del progetto.
La prima indicazione su questi passaggi è l’ineccepibile testimonianza di
un documento che ci offre uno spaccato preciso sulla statura umana del
Castelli e su una certa "irrequietezza di paese".
L’8 agosto 1809, Padre Giovanni scrive al procuratore della Matrice per
chiarire alcune circostanze e concludere la sua missiva rilevando all’interlocutore che le sue pressioni e quelle della deputazione per influenzare
Marvuglia sulla natura del progetto erano inopportune, vista l’autorevolezza
dell’architetto40. Pertanto, alla data della lettera il progetto era già stato rimesso all’ideazione marvugliana, ma la disinibita committenza di Motta aveva
palesato la volontà d’interferire sulle caratteristiche della facciata chiedendo
al mediatore che indirizzasse l’architetto all’elaborazione di un "designo
all’antica" (doc. 1). L’atteggiamento irriverente dei finanziatori dell’opera
può essere stato indotto dalla candida rivendicazione di una prerogativa che
ritenevano di loro esclusiva, o, più verosimilmente, considerato lo "stile" e la
notorietà delle opere di Marvuglia, dalla paura di sponsorizzare un prodotto
neoclassicamente disarmante e poco commestibile per un ambiente abituato
alla teatralità barocca.
Il Castelli risponde causticamente sostenendo l’emancipazione dell’artista e invitando la deputazione ad un atteggiamento dimesso e rassegnato.
Nonostante questo rigetto perentorio é probabile che egli abbia comunque
intavolato una discreta esposizione delle esigenze locali perché l’architetto le
prendesse in considerazione, così come di fatto avvenne.
Per tre lunghi anni dopo questa lettera l’impresa della facciata sembra
conoscere una stasi: le parti in causa sono certamente attive, anche se in
modo silente. E’ comprensibile che, in questo lasso di tempo, gli interessi
della deputazione locale siano dirottati verso i gravi fenomeni di dissesto che
interessano i corpi orientali della chiesa, per cui viene chiesta la consulenza
di D. Pietro del Campo41, ingegnere "della città di Capizzi", che suggerisce
argutamente una serie di piccoli accorgimenti tecnici con i quali si può ovviare ai problemi riscontrati42.
Il 7 agosto 1812, Padre Giovanni scrive al nuovo procuratore della
Matrice dicendo che finalmente aveva ricevuto il progetto da Venanzio
Marvuglia e giustifica la ritardata elaborazione per l’anzianità e "li molti affari dell’Architetto". Inoltre, dalla lettera si desume che il grafico sarebbe stato
sottoposto ancora ad un esame della stessa deputazione e alla conferma del
Vescovo di Cefalù43 (doc. 2). I lavori, comunque, dovettero essere intrapresi
tempestivamente poiché già nell’autunno dello stesso anno si predisponevano tutte le carpenterie necessarie al cantiere44. Purtroppo non ci è dato di
documentare questa prima fase costruttiva per la mancanza del contratto di
fabbrica, ma il 28 Marzo 1814, mastro Didima Catalano, scalpellino della
vicina Mistretta e probabile stagliante dell’opera sin dal suo principio, si
obbligava a terminare il primo ordine della facciata, realizzando le doppie
paraste alle estremità del fronte e tutta la trabeazione45. Però quest’ultimo
contratto non sortiva l’effetto desiderato, poiché, esattamente il 15 aprile
24
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
39
Il Castelli era entrato a fare parte della
com pagnia dei padri Filippini nel 1755 ed era
stato ordinato sacerdote nel 1760: ibidem . Per
una valutazione puntuale dell’attività m arvugliana espletata in alcune opere com m issionate dai padri Filippini cfr. Eliana Mauro, La villa
filippina a Palerm o, in «L’archit et t ura del
Settecento in Sicilia», a cura di Maria Giuffrè,
Palerm o 1997, pp. 243-262.
40
A.P., Fascicolo Chiesa Madre Varie, carte
sciolte. La lettera è ricca di indicazioni sull’interesse e l’attenzione che il prelato riservava a
questa piccola com unità: intanto riferisce del
t rasport o di alcuni m at eriali necessari alla
m anutenzione della Chiesa Madre; poi, lascia
intuire una certa attività per il restauro o, più
probabilm ente,per la sostituzione della vecchia
statua di S. Luca; infine conclude con un post
scriptum relativo all’intenzione testam entaria
del Castelli di devolvere la propria biblioteca ai
Presbiteri di Motta, com e effettivam ente accadde, costituendo il nucleo prim igenio dell’attuale
Biblioteca Parrocchiale. A tal proposito cfr. A.
Pettineo, La Biblioteca S. Luca Evangelista e
l’Archivio storico della parrocchia Maria SS.
degli Angeli, in «Guida al Patrim onio librario
antico delle biblioteche pubbliche e agli archivi
storici ecclesiastici nella provincia di Messina» a
cura di Anna Maria Sgrò, ed. Assessorato BB. CC.
e AA. della Regione Siciliana, Messina 1998,
pp. 75-76, 232-234.
41
L. Sarullo, Dizionario...cit., p. 134.
42
A.P., Fascicolo Chiesa Madre Varie, carte
sciolte. Si tratta di una circostanziata relazione,
datata al 26 aprile 1810,sullo stato dei dissesti e
sugli interventi da predisporre.
43
A.P., Fascicolo Chiesa Madre Varie, carte
sciolte. Nella lettera si specifica che il progetto
sarebbe giunt o a Mot t a t ram it e Vincenzo
Castelli, Principe di Torrem uzza, nipote del prelato e figlio di Gabriele Lancillotto.
44
A.P., Conti d’introito ed esito della Matrice,
fascicolo 1812-13.
1815 (quindi dopo la morte di Venanzio Marvuglia), la deputazione chiamava in causa mastro Gaetano, padre di Didima, per completare i lavori
interrotti arbitrariamente e per sostituire tutto ciò che era "scomposto e malfatto" 46. Simultaneamente, il procuratore della Matrice risarciva 15 onze al
suo predecessore che aveva anticipato tale somma per completare il pagamento delle 30 onze dovute alla " heredità dell’Ingegnero Venanzio
Marvuglia per il designo e li Capituli di Fabrica della Facciata che stassi
faciendo per mastro Dima Catalano in detta Madrice Chiesa di Santa Maria
degl’Angioli...47 (doc. 3). E’ questa la notazione documentaria che fuga ogni
dubbio sul fatto che la facciata, seppure incompiuta, nella parte realizzata
abbia fatto riferimento al progetto marvugliano.
I rapporti fra le maestranze e la committenza furono incresciosi tanto da
sfociare nel 1816 in un vero e proprio contenzioso giudiziario per annose
morosità nei pagamenti48. Il risultato di questa situazione fu il graduale
abbandono dell’impresa che, quindi, si limitò alla realizzazione del solo
primo ordine49. Nello stesso 1816 veniva a mancare Giovanni Castelli, come
si è visto, altro personaggio-chiave della vicenda50. Rileviamo che alle apparenti difficoltà finanziarie si combinarono le diffidenze tecnologiche legate
alla sovrapposizione di un secondo ordine ad un primo che cominciava già a
mostrare segni di cedimento51, e, soprattutto, i latenti malumori verso una
soluzione progettuale che non aveva considerato un’adeguata sistemazione
delle campane. Prova ne sia il fatto che dal 1831 al 1890 la deputazione di
fabbrica, piuttosto che ultimare la facciata con il secondo ordine, di cui peraltro si erano già eseguite alcune colonne52, preferisca dirottare i propri investimenti nella graduale e stentata erezione di una torre campanaria in aperto conflitto con il resto della facciata53.
Alla luce della sicura attribuzione a Venanzio Marvuglia, l’attuale prospetto, nell’unico ordine realizzato, enuncia caratteri esplicitamente inquietanti ed un’aperta discrasia tra l’asciutta applicazione del "verbo neoclassicista" e la "magniloquenza barocca": un telaio gigante di quattro colonne libere su un alto piedistallo, ribattuto nella parete da lesene e controlesene, si
snoda per pronunciare l’aggetto del partito centrale, enfatizzando gli effetti
chiaroscurali ed inquadrando l’edicola più piccola del portale principale; le
specchiature laterali sono vivacizzate da complesse nicchie con catini a conchiglia e da finestre cuspidate che riverberano gli scuri assiali delle navate
secondarie; una coppia di semplici paraste conclude orizzontalmente la composizione del fronte. L’insieme esprime un indiscutibile vigore plastico degno
della migliore tradizione barocca e, onestamente, appare arduo rintracciarvi
elementi che ne facciano intuire la paternità marvugliana, se non per alcune
flebili quanto generiche impostazioni compositive, come le paraste binate o
quelle articolate agli snodi angolari, la semplice trabeazione, l’usuale inquadramento dell’edicola centrale in un ordine gigante, la globale sobrietà decorativa e la compostezza delle membrature54. Purtroppo, il mancato completamento del prospetto ne limita drasticamente ogni esegesi. Comunque, i
documenti a suffragio dell’attribuzione, sia pur laconici, sono esaustivi
soprattutto quando l’ultimo pagamento agli eredi di Venanzio Marvuglia
recita che si stava eseguendo la fabbrica proprio secondo il disegno e i capitoli resi dall’architetto55.
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
25
45
A.S.M.,Not.Gabriele Toscano,vol.5855,f.484.Il
contratto prevedeva per tale completamento il
pagamento di 100 onze e l’utilizzazione della cava
di C.da Dietro Mola che il Principe di Torremuzza
aveva ingabbellato allo scalpellino.
46
A.S.M.,Not.Gabriele Toscano,vol.5856,f.586.
47
A.S.M. Ibidem, allegato ripiegato al f. 587. Una
copia dell’apoca di pagamento, estratta dagli atti
del Not. Gabriele Toscano si conserva ancora presso l’A.P.Conti d’introito ed esito della Matrice,fascicolo 1814-15.
48
A.P.,Fascicolo Chiesa Madre Varie,carte sciolte.
La contesa legale stava nel fatto che la deputazione non riteneva le opere eseguite a perfetta regola
d’arte, volendole rimettere al giudizio di un
Ingegnere o Architetto, mentre Didima Catalano
esigeva il saldo delle fabbriche già eseguite.
49
Nel dicembre 1821 viene commissionata la
"porta maggiore" della chiesa al falegname
Antonio Prinzi e nel marzo 1822 si eseguono le
opere di muratura per porla in opera: A.P. Conti
d’introito ed esito della Matrice,fascicoli 1821-22.
50
Un ritratto celebrativo di Giovanni Castelli
venne commissionato e realizzato per essere collocato nella sacrestia della Chiesa Madre dalla riconoscente comunità mottese. La tela é ancora conservata e recita che la morte del prelato avvenne il
16 aprile 1816.
51
Ricordiamo che il piano d’appoggio della facciata consisteva principalmente di materiale riportato entro un terrapieno artificiale, realizzato
abbattendo il vecchio campanile e la pristina facciata con i lavori del 1765.
52
Sono state fortuitamente rintracciate durante
la posa in opera dell’impianto fognario urbano,
lungo la via S.Maria,esattamente ai piedi del terrapieno antistante la stessa facciata,ed ivi sono state
lasciate ricolmando lo scavo.
53
I richiami alla costruzione del campanile presso l’A.P. sono molto numerosi e riescono a documentare con esattezza tutte le sue fasi costruttive.
Nel 1837 lo stesso Didima Catalano si obbligava ad
erigere il secondo ordine della torre secondo un
contratto molto preciso: A.S.M., Not. Francesco
Costanza,vol.7917,f.59.
54
Caratteri sommariamente rintracciabili in
tutta l’opera di Marvuglia, mentre, con la dovuta
circospezione,analogie più dichiarate con la nostra
facciata potrebbero essere trovate nei prospetti
dell’Oratorio dei padri Filippini e di San Martino
delle Scale.
55
Questo documento sembra escludere anche l’ipotesi dell’intervento di altre mani alla stesura del
progetto, a partire dal figlio e collega Alessandro
Emanuele che, altrimenti, avrebbe estromesso dal
pagamento tutti gli altri coeredi.Sui possibili collaboratori dell’architetto: Antonino Abbadessa,Tre allievi
di Giuseppe Venanzio Marvuglia,Palermo 1999.
56
Vincenzo Capit ano, Giuseppe Venanzio
Marvuglia, archit et t o ingegnere docent e,
Palerm o 1984, passim .
Dunque, le istanze della committenza si erano fatte strada e da grande
eclettico, come ogni buon neoclassico mirabilmente agile nel disegno, quest’artista, accantonando l’atteggiamento "contegnoso" già dimostrato nella
facciata di S. Francesco di Sales ed in quella dell’Oratorio dei padri Filippini56
, non indugia nell’applicarsi all’esercizio accademico di produrre una facciata che, almeno nelle intenzioni, ricalca modelli romani attestati all’esperienza di Carlo Maderno, di Pietro da Cortona, di Carlo Rainaldi e di Carlo
Fontana, già declinati in Sicilia attraverso opere vibranti e corpulente tra le
quali menzioniamo riduttivamente quelle di Giacomo Amato57, di Giovanni
Biagio Amico, di Rosario Gagliardi e di Paolo Labisi58.
Nonostante il variegato repertorio siciliano, proprio in quest’opera sembra che Marvuglia rispolveri i taccuini del suo soggiorno a Roma (17471759) 59, padroneggiando i giochi volumetrici di Santa Susanna60, di
Sant’Andrea della Valle61, di S. Marcello al Corso62, reinterpretando con saggezza proporzionale e schiettezza gli snodi angolari di S. Maria in Campitelli
63
e mitigando il risultato finale con una vena classicista, ancora d’impronta
cinquecentesca.
Ridimensionando l’ingerenza dei committenti e lasciando margini ad
altre ragionevoli istanze, è lecito ipotizzare che l’architetto, bene informato
sull’eminenza incontrastata del sito ove sarebbe stata realizzata la facciata,
abbia voluto abilitare la possibilità di fruizione delle forme anche da punti
di vista lontani, optando per una soluzione di sicuro effetto plastico che si
prestasse meglio a confermare le dottrine sulla percezione, sull’ottica e sulla
prospettiva64 .
Sarebbe utile circostanziare come quest’opera, travagliata da una lunghissima gestazione, si collochi negli ultimi anni di vita dell’anziano architetto, anni, secondo la missiva del Castelli, ancora segnati da molti impegni
e, soprattutto, dalla stesura incompiuta del suo "Trattato di Architettura
Civile". Certamente, i passaggi documentati relativi alla facciata non possono che alimentare il dibattito sulle dichiarazioni marvugliane65, consapevoli
o compiacenti, perché l’architetto assecondi i desideri del committente66.
Il prospetto della Matrice di Motta d’Affermo è ignorato dalle prime fonti
bibliografiche67 e, quindi, dalle più recenti68, per una serie di fattori la cui
logica tentiamo di sintetizzare: l’incarico del progetto a Venanzio Marvuglia
ha tutta l’aria di essere maturato per canali più confidenziali che non ufficiali, evolvendosi per molti anni, con atteggiamenti controversi, in un centro
lontano dalla capitale, ed approdando materialmente al cantiere solo pochi
mesi prima che l’architetto scomparisse; la fabbrica non verrà mai completata, svilendo le intenzioni progettuali ed innescando, ovviamente, un implicito disagio in chi avesse voluto celebrare quest’evento sostanzialmente fallimentare; infine, la propensione dei cronisti ottocenteschi ad esaltare la razionalità neoclassica ed i prodotti di architettura civile possono aver indotto ad
obliterare un’opera di natura religiosa e di sintassi squisitamente attardata su
posizioni barocche.
Per certo, la decantazione dei fatti aiuta a ponderare la critica di questo
prodotto marvugliano che, apparentemente regressivo rispetto all’evoluzione
dell’architetto, potrebbe essere, viceversa, perfettamente in linea con l’atteggiamento espansivo del suo spirito eclettico, versatile e dialettico.
26
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
/ An g elo Pet t in eo
57
Cfr. Maria Serena Tusa, Architettura barocca a Palerm o, Palerm o 1992.
58
Per una prim a inform azione su quest i
architetti com e su m olti altri non citati per ovvi
m otivi di spazio, cfr. L. Sarullo, Dizionario... cit.,
pp.19-21, 191-193, 244.
59
Cfr. Vincenzo Palazzot t o, Giuseppe
Venanzio Marvuglia e l’apprendistato Rom ano,
in «L’architettura del Settecento in Sicilia», a
cura di Maria Giuffrè, Palerm o 1997, pp. 223230; A. Maniglio Calcagno, Contributo allo studio di Giuseppe Venanzio Marvuglia, in
«Quaderno dell’Ist it ut o di Elem ent i di
Architettura e Rilievo dei Monum enti», a cura di
L.Vagnetti,n.10 e n.11,Palerm o 1964,pp.41-44.
60
Cfr. C. Norberg-Schulz, Architettura Barocca,
Milano 1979,pp.175-176.
61
Cfr. Rudolf Wittkower, Arte e architettura in
It alia 1600-1750, Torino 1972, p. 236; Furio
Fasolo, Carlo Rainaldi e il prospetto di S. Andrea
della Valle a Rom a, in «Palladio», gennaiom arzo 1951.
62
Cfr. R. Wittkower, Arte..., pp. 321-322, considera questa facciata com e una "pietra m iliare
sulla strada del classicism o tardo barocco".
63
Cfr. R. Wittkower, Arte..., p. 236; C. NorbergSchulz, Architettura... , p. 95-96; Giulio Carlo Argan,
Santa Maria in Campitelli, in «Commentari», XI,
1960,pp.67-76.
64
Atteggiamento memore dei certi stimoli culturali romani, dovuti al nascente scientismo del sec.
XVIII: cfr. Vincenzo Capitano, Gli interventi di
Giuseppe Venanzio Marvuglia nelle preesistenze
architettoniche, in «L’architettura del Settecento in
Sicilia»,a cura di Maria Giuffrè,Palermo 1997,p.231.
65
In "Elementi di Architettura Civile del Sig. Arch.
D.Giuseppe Venanzio Marvuglia,lettore della Regia
Università de’ Studi di Palermo e da me D.Vincenzo
Trombetta suo discepolo, appresi nell’anno 1782"
ms. presso la Biblioteca Comunale di Palermo, ai
segni 4 Qq D.69, lo stesso Marvuglia dice:
"Architettura civile è la scienza di bene edificare conforme al desiderio del fondatore.Fondatore è quello
che a sue spese vuol che si costruisca l’edificio".
66
Cfr.A.Maniglio Calcagno,Contributo...,p.46;V.
Palazzotto, Il rilievo nel ‘700: Giuseppe Venanzio
Marvuglia 1729-1814,Palermo 1990,pp.12-13.
67
Tra le fonti più rappresentative ricordiamo:
Agostino Gallo, Notizie..., manoscritto presso la
Biblioteca centrale della Regione Siciliana, ai segni
XV.H.14., f. 1060; Giuseppe Bozzo, Marvuglia in
«AA.VV.,Le lodi dei più illustri siciliani trapassati nei
primi quarantacinque anni del secolo XIX»,
Palermo 1851.
68
Oltre alle già riportate notazioni bibliografiche è d’uopo rim andare alle m onografie di
Salvatore Caronia Roberti, Venanzio Marvuglia,
Palerm o 1935 e di Giovanbattista Com andè,
Marvuglia, Palerm o 1958.
in alto
Missiva di Giovanni Castelli al procuratore
della Matrice Rev. S. Zingone, 8 agosto 1809
(A.S.P. Chiesa Madre di Motta d’Affermo - doc 2)
a destra
Apoca di pagamento di V. Marvuglia per l’esecuzione del disegno del prospetto della
Matrice, 26 aprile 1915 (A.S. Messina - doc 3)
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
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27
DOCUMENTI
DOCUMENTO 1, Archivio Storico Parrocchiale di Motta d’Affermo, fasc. Chiesa Madre Varie, carte sciolte.
Missiva di Giovanni Castelli nella quale si scrive al Rev. Sebastiano Zingone, Procuratore della Matrice, sostenendo l’inopportunità di influenzare l’architetto Marvuglia sull’impostazione del progetto della facciata.
Caro mio D. Sebastiano = Ho fatto fare la diligenza pelli mattoni e canali; ma nihil inveni. Puglia non sa niente e il
Catacais di S. Stefano restò gelido dopo le vostre più calde premure.
Sento quanto s’è convenuto pella statua di S. Luca e quidi bisogna aspettarsi la decisione del Procuratore. Quanto voi scrivete separatamente; e quanto mi fan sapere i deputati della facciata della Venerabile Madrice Chiesa di S. Maria
degl’Angioli per dire all’Architetto Marvuglia di fare designo all’antica è cosa assai sco(nve)niente perché non puossi dire
ad ingegno cossi virtuoso e famoso di fare prospettiva all’antica o alla moderna, alla romana o alla napolitana. Serenate
l’animo vostro e quello dei Deputati. Statevi bene.
Palermo, li 8 Agosto 1809
E resta che io scappi presto da questa valle di lagrime per trasferirsi costà i libri che crescono in dies e de’ quali il chiacchierone dovea far l’inventario.
Preposito Giovanni Castelli dei Principi di Torremuzza
DOCUMENTO 2, Archivio Storico Parrocchiale di Motta d’Affermo, fasc. Chiesa Madre Varie, carte sciolte.
Missiva di Giovanni Castelli nella quale si scrive al Rev. Giuseppe Cuva, procuratore della Matrice, comunicando l’ultimazione del disegno della facciata e giustificando il ritardo dell’architetto Venanzio Marvuglia per diversi motivi.
Caro mio D. Giuseppe = Ho ricevuto finalmente il disegno dell’Architetto Venanzio Marvuglia pella riforma della facciata della V.le Madrice Chiesa e quindi bisogna aspettarsi l’arrivo che farà in questa il nipote mio Vincenzo corrente mese
per consegnarlo nelle vostre mani e per conchiudersi l’affare - Quanto Voi lamentate per il ritardo si spiega pelli molti affari e per la vecchia età dell’Architetto - Siatene inteso Resta a voi farmi sapere quanto converrete per il principio dei lavori della prospettiva dietro il congresso della deputazione sul medemo disegno - il Vescovo colla sua autorità confermi le nostre intenzioni - Statevi bene. Mi offro: e riv.vi sono.
Palermo, li 7 Agosto 1812
Preposito Giovanni Castelli dei Principi di Torremuzza
DOCUMENTO 3, Archivio di Stato di Messina, N.D., Not. Gabriele Toscano, vol.5856,allegato ripiegato al f. 587.
Apoca di pagamento all’eredità di Venanzio Marvuglia per l’esecuzione del disegno e l’elaborazione dei capitoli di fabbrica utili alla realizzazione della facciata che nello stesso momento si stava eseguendo.
Gesù Maria Madre delli Sette Dolori
A dì ventisei Aprile 3 Indizione
Milleottocentoquindeci 1815
Il Rev. Sac: D. Giuseppe Cuva di questa terra di Motta da me Notaio appieno conosciuto, alla presenza degli infrascritti
testimoni divenendo alla presente qual passato Procuratore, a petizione, richiesta ed istanza del Rev. Sac: D. Antonino
Cuva qual Procuratore della V.le Madrice Chiesa Santa Maria degl’Angioli esistente in questa suddetta terra in virtù di
elezione (...) da me notaio parimente conosciuto, presente e stipulante, a che con tale notazione fa istanza e domanda in
ogni miglior modo e maniera, giusta la forma della legge,(...), per fatto di verità e acciocché la verità istessa in ogni futuro tempo comparisse, dice e dichiara di essergli state pagate e compensate dal sopraddetto Rev. Sac. Antonino Cuva la
somma di onze quindici a complimento delle onze trenta, quelle stesse che dal sac. D. Giuseppe furono pagate di sua propria cassa al Rev. D. Giovanni Castelli in conto di tante dovute alla heredità dell’Ingegnero Venanzio Maravuglia per il
designo e li capitoli di fabrica della facciata che stassi faciendo per Mastro Dima Catalano in detta Madrice Chiesa di Santa
Maria degl’Aangioli.
(...)
Testimoni D: Rosario Toscano e Sebastiano Ganguzza
28
Venanzio Marvuglia? Troppo m oderno!
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