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Copioni, frammenti e attori

Un uomo, in toga, guarda in avanti. La posa nobile, la cassa piena di rotoli ai suoi piedi ne farebbero un buon esempio di oratore, raffigurato accanto ai suoi discorsi. Invece l’iscrizione ci dice che è un attore. Anche per lui, come per gli oratori, dunque, un segno distintivo sono i rotoli: copioni. O più probabilmente sono frammenti di copioni – un testo senza parti corali, formato solo delle parti dialogate, per esempio. Oppure una antologia di prologhi, o di canti lirici. In ogni caso: testi incompleti. Comunque, in apparenza, testi. Accanto ai testi e agli attori spesso ci sono maschere. Ma possono esserci anche solo i rotoli. Sembra una testimonianza sulla importanza del testo –di importazione greca. Prevalenza della parte più nobile: in apparenza. E viene in mente quanti problemi porterà questo rapporto complicato – attore e testi – in tutti i secoli successivi.

Mirella Schino Copioni, frammenti e attori Un uomo, in toga, guarda in avanti. La posa nobile, la cassa piena di rotoli ai suoi piedi ne farebbero un buon esempio di oratore, raffigurato accanto ai suoi discorsi. Invece l’iscrizione ci dice che è un attore. Anche per lui, come per gli oratori, dunque, un segno distintivo sono i rotoli: copioni. O più probabilmente sono frammenti di copioni – un testo senza parti corali, formato solo delle parti dialogate, per esempio. Oppure una antologia di prologhi, o di canti lirici. In ogni caso: testi incompleti. Comunque, in apparenza, testi. Accanto ai testi e agli attori spesso ci sono maschere. Ma possono esserci anche solo i rotoli. Sembra una testimonianza sulla importanza del testo –di importazione greca. Prevalenza della parte più nobile: in apparenza. E viene in mente quanti problemi porterà questo rapporto complicato – attore e testi – in tutti i secoli successivi. Ma qui c’è un altro elemento dell’iconografia, un piccolo segno concreto, materiale, misterioso come è l’arte dell’attore stessa: la cesta. La cassa, che lascia intravedere i suoi rotoli come lo scrigno di un tesoro lasciato socchiuso a far brillare i diamanti. La capsa dei papiri: cioè i testi, ma presi nel loro insieme. Non si prende quasi mai in considerazione il fatto che il rapporto di un attore col testo, e allo stesso modo il rapporto di un attore col personaggio, non è mai un rapporto uno ad uno, ma è sempre (a seconda dei periodi in forma leggermente più o meno accentuata) il rapporto con un insieme. Questo insieme ha anche un nome tecnico, si chiama “repertorio”, lo si potrebbe chiamare ipertesto, ma forse così si perderebbe la sua concretezza, la materialità. Perché allora di questo insieme, tanto concreto e materiale, evidente quanto la cesta piena di rotoli ai piedi degli attori, tanto spesso non viene valutato il peso, l’ importanza, le conseguenze? La risposta è semplice: perché per farlo bisognerebbe spostarsi dai problemi letterari a quelli dell’arte materiale dell’attore. Nel teatro latino, nel periodo della Commedia dell’Arte. Nel teatro elisabettiano. Nel teatro ottocentesco: i problemi della comprensione dell’arte materiale dell’attore diventano più pressanti in tutti i periodi in cui gli attori sono i padroni del loro lavoro, in cui non ci sono autori, intellettuali o direttori che intervengono e organizzano, che allestiscono. In tutti i periodi in cui non solo l’interpretazione ma l’intera organizzazione materiale del teatro passa nelle mani dei raggruppamenti degli attori, gli spettatori ammirano, ma poi sono in difficoltà a giudicare i percorsi. In tutti questi periodi (che sono poi la maggior parte della storia del teatro) diventerebbe necessario spostare lo sguardo, abbandonare i problemi letterari, e cercare di guardare il teatro da un punto di vista differente, dal punto di vista della cesta. La cassa, o cesta, insegna che l’idea che il teatro viva per costruzione di singole “opere” è solo una illusione da spettatore. Forse è un modo per rendere lo spettacolo omogeneo alle altre arti. L’unità di misura del teatro d’attore, invece, non è mai un’opera singola: per capire come funziona, bisogna ragionare piuttosto in termini di frammenti e di insieme: Forse il problema dei frammenti è ancora più difficile da capire dell’importanza dell’insieme. Si potrebbe porlo così: più nel teatro ha importanza l’insieme del repertorio, più quello che resta nella memoria dello spettatore sono frammenti, flash, immagini, scene staccate dalla storia. Scene particolarmente brillanti, quelle che restano a luccicare nel ricordo dello spettatore, e che si saldano tra loro del tutto indifferenti alla cornice originale, alla storia da cui sono nate. Ma anche il lavoro dell’attore si articola in frammenti, e non parte tanto da un testo nel suo insieme quanto dalla costruzione di piccoli punti fermi, piccole specialità che possono essere riutilizzate di frequente (e c’erano attori bravissimi a morire, c’erano quelli che venivano considerati specialisti delle scene d’amore. C’erano gli specialisti dell’ubriachezza, della malattia, della rabbia). Anche i personaggi sono solo frammenti, rispetto alla storia nel suo complesso. Così, la somma dei frammenti di un attore produce la sua opera, che non è il singolo spettacolo, ma l’intera sua vita professionale. Dal punto di vista degli attori, l’abitudine al vasto repertorio smussa i confini della serata, favorisce la fusione tra una parte e l’altra all’interno dello stesso ruolo, attenua ancora di più il rapporto con il singolo testo. Talvolta, perfino, alcuni attori particolarmente grandi hanno lavorato al repertorio per costruirlo come un buon insieme, alternanza di riso e lacrime, amori e lazzi. Basterebbe rassegnarsi, per capire, all’idea che gli attori per molti secoli siano stati padroni, e che i testi alla fin fine non siano che materiali come gli altri. Basterebbe rassegnarsi all’idea che nella cesta di un attore ci sia un po’ di tutto. Ma questo non è successo praticamente mai. Ogni volta che i padroni del teatro non sono più autori o intellettuali, ma sono gli attori, ogni volta che l’organizzazione e non solo l’interpretazione passa nelle loro mani, la struttura del lavoro teatrale si assesta dunque fino a basarsi su questi due elementi chiave: l’insieme (cioè il repertorio, o ipertesto) e i frammenti. 2 Quest’attore qui, l’attore con la cesta, è come se costruisse un unico personaggio surdimensionato, che si evolve nel tempo. Diventa lui stesso un’opera d’arte, che è unitaria e al tempo stesso in movimento. Ed è questo il senso per cui, per tanti attori, si è parlato della vita –professionale- costruita come un capolavoro. Perché questo accada, il repertorio –o ipertesto, o cesta- deve venire costruito con grande cura, come un’architettura, come uno spazio al cui interno interagivano tra loro elementi diversi: i personaggi, la natura e le specializzazioni dell’attore, le sue visioni sceniche, persino la sua figura privata. La costruzione del repertorio, la buona relazione tra le sue parti, era un segno determinante di maturità artistica. Ma solo agli occhi degli altri attori, non a quelli degli spettatori, perché questa architettura non veniva esplicitata mai. Quel che lo spettatore poteva vedere, perciò, era solo un mucchietto di testi, che a lui sembravano in genere riuniti alla rinfusa, disomogenei dal punto di vista letterario. Non vedeva la cesta, l’insieme. Vedeva l’attore ammassarli con apparente casualità, mano a mano che la vita glieli porgeva, e doveva essere un po’ come vedere una massaia che ammucchia acquisti nella sua borsa della spesa. E’ facile, allora, specie per un passante ignaro di cucina, non rendersi conto che questo sedano e questo pacco di farina, questo mucchio apparentemente disomogeneo è stato messo insieme pezzo a pezzo per impastare una magnifica cena. I criteri in base ai quali veniva scelto un repertorio rispondevano a necessità materiali e complicate, interne alla storia degli attori. Ma storicamente sono stati quasi sempre criteri diversi, e in genere inconciliabili rispetto a quelli che guidavano invece gli spettatori colti nel selezionare dalla produzione drammatica un’ideale antologia di capolavori. E almeno la capsa del teatro latino contiene rotoli di papiro, frammenti nobili. In periodi successivi la cesta degli attori conterrà di tutto. Per secoli la “cesta” è stato uno degli oggetti più ricorrenti negli aneddoti sul teatro – e uno di quelli meno considerati quando se ne doveva parlare seriamente. Continuava a contenere i testi, naturalmente. Cioè frammenti: le “parti scannate”, le parti di ogni singolo attore, che venivano estratte dalla pièce, e copiate a suo uso e consumo, perché le imparasse a memoria, da sole, rompendo i legami con gli altri personaggi, con la storia. Ma nelle ceste, quelle dell’aneddotica teatrale, non c’era solo quello. Erano il mezzo di trasporto con cui l’attore si portava a teatro tutto quel che gli era necessario: la sua parte, il costume, il trucco, atri testi, tutto mescolato. Stava tutto insieme, parti nobili e parti molli, pezzi casuali e pezzi raffinati. Nella cesta non esisteva la separazione tra “testi”, “frammenti di testo” e “materiali” (come costumi oppure oggetti). E questa mancanza di separazione, una volta che smettiamo di giudicarla sciatteria, dovrebbe farci riflettere parecchio sull’arte dell’attore, e anche su quanto sia difficile capirla, comprenderne e accettarne il funzionamento. 3 Nella cesta svuotata, durante la rappresentazione, i comici più “guitti” ci mettevano a dormire i neonati. Se non avevi dormito nella cesta non eri figlio d’arte per davvero, non appartenevi a quel livello basso che, in realtà, costituiva il filo di continuità di un’arte che si è sempre trasmessa muta. In silenzio. In una iconografia ideale del teatro, un posto d’onore dovrebbe essere dato alla cesta. 4