ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI MUSICALI
“FRANCO VITTADINI” PAVIA
DIPLOMA ACCADEMICO DI II LIVELLO
BIENNIO INTERPRETATIVO
PIANOFORTE
IL LIRISMO ITALIANO DI
CHOPIN
Tesi di Laurea di: Lucia Brighenti
Relatore: Prof. Ugo Nastrucci
Anno Accademico: 2018/2019
Indice
1.
Introduzione ................................................................................................................................................. 2
2.
Varsavia e Italia agli inizi dell’800 ................................................................................................................. 3
3.
2.1.
L’italianità visibile agli occhi .................................................................................................................... 3
2.2.
Musicisti italiani a Varsavia ..................................................................................................................... 5
2.3.
L’opera italiana e Bellini ........................................................................................................................... 6
L’arte di Chopin ............................................................................................................................................ 8
3.1.
Gli inizi di Fryderyk Chopin ....................................................................................................................... 8
3.2.
Chopin e Bellini ....................................................................................................................................... 11
3.3.
Le influenze del belcanto: opinioni storiche........................................................................................... 13
3.4.
Analogie compositive col belcanto italiano ........................................................................................... 15
3.5.
Testimonianze degli allievi ..................................................................................................................... 23
4.
Composizioni “italiane” .............................................................................................................................. 26
5.
Le Quattro Ballate ...................................................................................................................................... 30
5.1.
Ballata n. 1 op.27 ................................................................................................................................... 32
5.2.
Ballata n. 2 op. 38 .................................................................................................................................. 35
5.3.
Ballata n. 3 op. 47 .................................................................................................................................. 39
5.4.
Ballata n. 4 op. 52 .................................................................................................................................. 43
6.
Conclusione ................................................................................................................................................ 47
7.
Bibliografia e Sitografia .............................................................................................................................. 48
1
1. Introduzione
«Egli è e rimane il genio poetico più ardito e più fiero del tempo»1.
Già nel 1839 Schumann riconosceva la suprema poeticità di colui che spesso viene
chiamato “il poeta del pianoforte”, Fryderyk Chopin. Ma quali sono le caratteristiche che lo
rendono tanto poetico e lirico? Da dove provengono queste caratteristiche?
Chopin è indubbiamente il compositore polacco per eccellenza, nonostante la maggior
parte della sua vita l’abbia trascorsa fuori dal suo paese natale e non fece mai alcun tentativo
di tornarvi. Eppure le sue composizioni, con enfasi sulle Mazurche e sulle Polacche, fanno parte
di quel bagaglio culturale patriottico di cui tutta la Polonia va fiera.
L’assimilazione dello spirito polacco e della sua tradizione musicale da parte di Chopin
è indubbia, ma ritenerla l’unica influenza di vero rilievo nella sua musica sarebbe
approssimativo. Fryderyk era un vero appassionato di opera e del canto; a Parigi, ma anche già
a Varsavia, frequentava regolarmente il Teatro e fu sempre affascinato dai grandi interpreti
della sua epoca, come Giuditta Pasta. Sono tutti fatti che sicuramente hanno lasciato qualche
tipo di impronta sul compositore polacco. Ma quanto impatto ha avuto la cultura italiana su
Fryderyk?
In questa tesi ho cercato di analizzare i contatti che Chopin ebbe con la cultura italiana
fin dall’infanzia e gli elementi compositivi riconducibili all’Italia ed all’italianità, prendendo in
considerazione sia i suoni brani più lirici e di dimensioni minori, come i Notturni, sia
composizioni di più ampio respiro e di grande poeticità narrativa, come le Ballate.
1
ROBERT SCHUMANN, La musica romantica, Milano, SE, 2016, p. 127.
2
2.
Varsavia e Italia agli inizi dell’800
«Sogno a volte la mia casa, a volte Roma; ora la felicità, ora la disperazione»2. Così
Chopin scrive in una delle sue ultime lettere a Julian Fontana nell’Agosto del 1848. Nonostante
nelle sue lettere tra gli anni 1829 e 1831 parli spesso di viaggiare in Italia per approfondire i
suoi studi, il progetto non andò mai in porto, principalmente a causa della situazione politica
italiana. Dunque egli non fu mai in Italia, se non per quel breve soggiorno di qualche settimana
a Genova con George Sand di ritorno dal viaggio a Maiorca nel 1839, e meno che mai a Roma.
Ma Fryderyk ebbe contatti, soprattutto durante la sua infanzia a Varsavia, con l’Italia: con
l’arte, la letteratura, la lingua e molte figure italiane di rilievo.
Fin dal Medioevo lo scambio tra Polonia e Italia era notevole. A livello universitario si
registrano un consistente numero di studenti polacchi in università italiane, quali Bologna,
Padova e Ferrara, ma anche vari docenti italiani nelle università polacche di Cracovia e di
Varsavia, quali Giovanni De Sacchis di Pavia, Giovanni Silvio Siculo Amato di Palermo,
Costantino Claretti di Pistoia, Sebastiano Ciampi da Siena. L’interesse di questo paese per
l’italianità è anche confermato dall’introduzione dell’insegnamento dell’italiano sin dalla
fondazione dell’Università di Varsavia nel 1816.
2.1.
L’italianità visibile agli occhi
Nel 1596 Varsavia divenne capitale della Polonia ed il sogno era di farla diventare una
“Nuova Roma”: «La res publica deve avere […] la sua Roma, la sua città principale […]»3. Furono
eretti edifici ad opera di artisti italiani come il Castello Reale, il Palazzo Kazimierzowski (dove
Chopin visse con la famiglia per circa dieci anni) e la Villa Reale del re Giovanni III Sobieski a
Wilanów. Anche il Teatro Nazionale (che oggi non esiste più) era su progetto di un italiano,
l’architetto Bonawentura Solari, e le decorazioni della Sala da Ballo in acquarello furono
2
Lettera a Julian Fontana del 18 Agosto 1848.
JERZY MIZIOŁEK e LEONARDO MASI, L'italianità di Varsavia ai tempi di Chopin, in Chopin e l’Italia, Varsavia,
The Fryderyk Chopin Institute, 2015. p. 18.
3
3
progettate da Antoni Brodowski, professore di pittura all’Università di Varsavia ed amico della
famiglia Chopin, su modello di alcuni affreschi della Domus Aurea romana. Nel 1833 questo
teatro venne sostituito da un altro edificio, il Teatro Wielki, eretto dal livornese Antonio
Corazzi (poi distrutto durante la II Guerra Mondiale).
Altri edifici emblematici di questa influenza italiana che Chopin conosceva e
frequentava con regolarità sono: il Teatro sull’Acqua, nel parco di Łazienki, un teatro a cielo
aperto a immagine di quello di Ercolano; la Chiesa di Sant’Anna dei padri Bernardini, a quei
tempi sede del Conservatorio, con la facciata del chiostro modellata sul teatro romano di
Marcello e la facciata della chiesa realizzata da due architetti di formazione italiana, Stanisław
Kostka Potocki e Chrystian Piotr Aigner; ed infine, la Colonna di Sigismondo III, un unicum
europeo in quanto eretta fuori dall’era dell’Impero Romano in onore di un sovrano, su modello
delle colonne romane di Traiano e di Marco Aurelio, e soprattutto della colonna di Antonino
Pio (è completamente liscia come quest’ultima), che a quei tempi ancora esisteva.
In una delle sue ultime lettere alla famiglia del 1847, Chopin ricorda la Heca (il Circo),
un edificio in legno a tre piani, di forma simile al Colosseo di Roma ed utilizzata per spettacoli
circensi.
Figura 1. Teatro sull’acqua, Parco di Łazienki, Varsavia.
4
2.2.
Musicisti italiani a Varsavia
La corte di Sigismondo III Vasa dal 1596 fu un ambiente ricco di musicisti italiani. Questo
contatto musicale italo-polacco prolificò ancor di più sotto Stanisław August Poniatowski, un
grande mecenate artistico che mantenne a corte un’orchestra tra i cui maestri di cappella si
ricordano Pietro Persichini e Gioacchino Albertini. Proprio in quegli anni il teatro pubblico di
Varsavia godeva di una programmazione molto intensa, e le compagnie operistiche italiane
ebbero una grande popolarità tra il pubblico con molte opere in italiano tradotte e poi
rappresentate in polacco.
Nel 1795, con la perdita dell’indipendenza, e poi nel 1815 con la nascita del Granducato
napoleonico di Varsavia, la vita musicale della città si trasformò: con la rilevanza sempre
maggiore della borghesia, divennero sempre più importanti i generi da salotto, soprattutto la
musica da camera e la lirica romantica vocale; artisti stranieri di certo non mancarono, in
quanto facevano tappa a Varsavia durante le loro tournée in Russia; e per quanto riguarda
l’opera venivano rappresentate soprattutto opere comiche italiane, con particolare
predilezione per Rossini.
Chopin, essendo assiduo frequentatore dell’opera e dei salotti borghesi, venne a
contatto con le opere di Rossini in varie occasioni: fu alla prima rappresentazione de Il Barbiere
di Siviglia nell’ottobre del 1825, scrivendo in una lettera al suo caro amico Jan Białobłocki «Il
Barbiere di Siviglia fu eseguito Sabato al teatro […]. Mi è piaciuto moltissimo»4; nel giugno del
1830 ascoltò, eseguite dalla cantante tedesca Henriette Sontag, arie di Rossini tratte da Il
Barbiere di Siviglia e La Gazza Ladra. È indubbia la sua familiarità con le opere del compositore
pesarese, da cui ne trasse anche ispirazione: a seguito della prima de Il Barbiere compose una
polacca su tema dell’opera (non fu mai pubblicata e si perse il manoscritto); dopo la prima de
La Gazza Ladra scrisse un’altra polacca Les Adieux utilizzando per il trio il tema della cavatina
“Vieni fra queste braccia”; ed infine, per l’ultimo concerto varsaviano dell’11 ottobre 1830,
scelse Chopin stesso il programma da affiancare al suo Concerto op. 11, proponendo il
Guillaume Tell e una cavatina da La dama del lago, entrambe opere ancora sconosciute in
Polonia.
4
Lettera a Jan Białobłocki del 30 ottobre 1825.
5
Due momenti di rilievo
nella scena musicale varsaviana
vanno assolutamente citati per
l’impatto che ebbero sul giovane
Chopin: i recital del 1819 della
cantante Angelica Catalani e i
concerti del 1829 del virtuoso
Niccolò Paganini in occasione
dell’incoronazione
dello
zar
Nicola I a re di Polonia. Oltre a
rimanere
ammaliato
dalle
incredibili capacità canore della
Figura 2. Orologio d’oro regalato da Angelica Catalani al giovane
Chopin.
Catalani durante uno dei suoi
quattro concerti a Varsavia, Chopin, di appena dieci anni, ebbe anche l’occasione di conoscerla
personalmente. La soprano, dopo averlo sentito suonare, stupefatta dal giovanissimo talento,
gli regalò un orologio con incisa la dedica «Madame Catalani à Fréderic Chopin âgé de 10 Ans».
Dieci anni più tardi giunse a Varsavia il grandissimo violinista italiano, Paganini, il quale fu una
vera ispirazione per Chopin con la sua tecnica strepitosa e gli effetti sonori che questa gli
permetteva di produrre. Fu proprio in seguito a questo ascolto che Fryderyk, appena ventenne,
cominciò a lavorare sui suoi Studi op. 10, un’opera altamente rivoluzionaria per quanto
concerne la tecnica pianistica e gli effetti sonori ricercati.
2.3. L’opera italiana e Bellini
Rossini fu colui che diede lo stampo alla struttura dell’opera italiana dell’800, che si
mantenne per più di mezzo secolo. Anche se non fosse stato un atto intenzionale da parte del
pesarese, sicuramente la sua fama fece in modo che accadesse.
Nell’opera italiana vi fu un ritorno ad alcuni aspetti del Barocco, come il ricorso ad una
tessitura ritmica omogenea, un rifiuto dell’articolazione ben definita del Classicismo e la ricerca
di passaggi fluidi tra una frase e l’altra; ed un passo indietro rispetto alle conquiste mozartiane
nel creare arie in una forma idonea allo svolgimento di azioni complesse. Si ritorna anche ad
6
una divisione tra l’espressione dei sentimenti e la rappresentazione di una vicenda, proprio
come avveniva nell’opera tardobarocca.
La struttura convenzionale di un episodio era in cinque parti: scena, tempo d’attacco,
cantabile, tempo di mezzo e cabaletta. Il tempo d’attacco e il tempo di mezzo preparavano
rispettivamente per il cantabile e la cabaletta, utilizzando uno schema metrico abbastanza
libero, per permettere di impostare lo scenario seguente con maggior successo. Il cantabile e
la cabaletta, entrambi in forma strofica, formavano quella che veniva chiamata aria bipartita in
cui la prima parte, lenta e di carattere lirico, rappresentava la piena espressione di pathos
cuore dello stile italiano, e la seconda parte, di carattere più brillante, in cui la seconda
ripetizione della melodia veniva ornamentata con figurazioni virtuosistiche, spesso
improvvisate dal cantante stesso, era una perfetta chiusa esplosiva.
Bellini, nonostante riconoscesse il primato di Rossini ed accettasse le forme istituite dal
maestro, non volle mai passare alla storia come imitatore del pesarese, ma piuttosto come
genio innovatore. E lo conseguì, diventando il padre del belcanto, «il supremo maestro dello
stile elegiaco, di quel lirismo capace di trasformare anche le scene d’azione». 5
Il compositore catanese, già dal suo primo successo, si allontanò da alcune tendenze di
quei tempi: cercò di eliminare quegli svolazzi virtuosistici che Rossini utilizzava alla fine delle
frasi, creando arabeschi che, nella loro massima semplicità, mettessero in mostra il potenziale
espressivo di ogni nota; utilizzò un’orchestrazione semplice, che egli stesso giustifica per la
natura delle sue cantilene; ricorse ad abbellimenti semplici, quali le appoggiature, non solo
come mezzo espressivo ma anche in funzione armonica; ed infine applicò questo stile lirico
anche agli assiemi e ai recitativi. Ma ciò che Bellini riuscì a padroneggiare come nessun altro,
escluso Chopin, fu l’abilità di prolungare lunghe linee melodiche. Per ottenere quest’arco
melodico lungo e proteso in avanti, egli ricorse ad alcuni tecniche: lo sfasamento della struttura
ritmica grazie al ricorso a spostamenti di accenti, pause e sincopi; la creazione dell’impressione
di un discorso sempre nuovo e continuo, evitando la ripetizione simmetrica di gruppi melodici;
l’utilizzo delle appoggiature in maniera tale da essere dissonanti rispetto all’armonia, e creando
un senso di direzione verso la risoluzione; ed infine, sequenze armoniche che ritardano le
cadenze conclusive.
5
CHARLES ROSEN, La generazione romantica, Milano, Adelphi Edizioni, 2013, p. 668.
7
3. L’arte di Chopin
Chopin fu estremamente originale e perseverante nei suoi ideali sia come compositore
che come pianista. Non cedette mai a pressioni esterne che lo incitavano a diventare un
compositore operistico (in particolare da parte del suo maestro Joseph Elsner e da altri suoi
amici connazionali) né a tutte quelle critiche che ritenevano non avesse abbastanza suono per
le grandi sale da concerto. Rimase sempre fermamente convinto che il pianoforte era lo
strumento perfetto per lui e dal quale avrebbe tratto successo, ed esplorò e rivoluzionò molti
aspetti della tecnica e del suono del pianoforte, a partire dall’uso del pedale e diteggiature a
quei tempi ritenute completamente errate, come l’utilizzo del pollice sui tasti neri. Liszt, ne La
Vita di Chopin, piuttosto che criticarlo per questo fatto come fece Schumann e altri studiosi
anche recenti, accusandolo di non essere in grado di gestire le grandi forme, scrive:
«Racchiudendosi nell’ambito esclusivo del pianoforte, Chopin diede prova di una delle qualità
più preziose in un grande scrittore e senza dubbio delle più rare in uno scrittore comune: la
giusta valutazione della forma ove gli è dato eccellere»6.
3.1.
Gli inizi di Fryderyk Chopin
Chopin mostrò molto precocemente una sensibilità particolare per la musica, e all’età
di sei anni i genitori decisero che aveva bisogno di un’istruzione strutturata e metodica. Fu così
che Wojciech Żywny, violinista, e non pianista, di origine cecoslovacche, divenne il primo
maestro del giovane prodigio. Żwyny fu colui che introdusse Chopin alle opere per tastiera di
Johannes Sebastian Bach, per le quali ebbe un amore e uno studio che lo accompagnarono
ogni giorno della sua vita e il cui studio sempre raccomandò ai suoi stessi allievi. Fu grazie a
questo studio continuo che Chopin divenne, secondo Charles Rosen, «il massimo maestro
nell’arte del contrappunto dopo Mozart»7. Il suo primo maestro fu anche eccezionale nel
«riconoscere che si trovava di fronte un genio», scegliendo di guidarlo piuttosto che imporgli
6
7
FRANZ LISZT, Vita di Chopin, prefazione di Piero Rattalino, Firenze, Passigli Editori, 1983, p. 35.
ROSEN, La generazione romantica, p.323.
8
rigide regole (per esempio, non tentò mai di cambiare le diteggiature intricate e inusuali che il
giovane Fryderyk utilizzava) e lasciando ampio spazio all’improvvisazione. Alla fine del 1817
Chopin era già conosciuto a livello locale come un talento eccezionale, “un vero genio musicale.
Non solo suona con assoluta facilità e magnifico gusto le composizioni più difficili, ma è già
compositore lui stesso di danze e variazioni che stupiscono anche i conoscitori”. Le lezioni con
Żywny furono interrotte alla fine del 1822 e, terminato l’ultimo anno di scuola, Chopin fu poi
incoraggiato a proseguire i suoi studi musicali alla Scuola Superiore di Musica di Varsavia.
Joseph Elsner, di origine tedesche ma assolutamente polacco di animo, fu il mentore e
insegnante di composizione (contrappunto e armonia) di Chopin per i tre anni a venire. Un
proficuo compositore che sperimentò ogni genere: sinfonie, quartetti, cantate, messe,
l’oratorio The Passion of Our Lord Jesus Christ ritenuto dal compositore Maurycy Karasowski il
suo capolavoro, variazioni per pianoforte, rondò, danze, e ventisette opere. Elsner «insegnò
[al giovane Fryderyk] la cosa più difficile da imparare, quella più raramente appresa; a essere
esigente con se stesso, a tener conto dei vantaggi che non si ottengono se non a forza di
pazienza e di lavoro»8, senza soffocare la sua originalità con costrizioni, consapevole di avere
davanti un talento eccezionale.
Al 1827 risale la stesura della sua
prima partitura orchestrale, le Variazioni
op. 2 su “La ci darem la mano” di Mozart,
le
quale
gli
valsero
la
famosa
esclamazione di Schumann: «Giù il
cappello, signori, un genio.[…] Credevo
di vedere il «Là ci darem la mano» di
Mozart, attraversato da cento accordi;
mi sembrava che Leporello ammiccasse
e Don Giovanni volasse dinanzi a me nel
bianco mantello»9. Elsner, attento a non
montar la testa al giovane talento,
Figura 3. Joseph Elsner (portrait by Maksymilian
aspettò
Fajans, after 1853).
8
9
fino
all’esame
finale
per
LISZT, Vita di Chopin, p. .
SCHUMANN, La musica romantica, p. 17.
9
esprimere la sua reale opinione riguardo al ragazzo: «Ha attitudini eccezionali. Genio
musicale…»10.
Nel 1828 il pianista e compositore Johann Nepomuk Hummel arrivò a Varsavia per una
serie di concerti, e in quest’occasione si conobbero di persona, facendo una buona impressione
a vicenda. Hummel fu uno dei pianisti dell’epoca (assieme a Field, Kalkbrenner e Moscheles)
che ebbe maggior influenza su Chopin, in particolare con la sua maniera di suonare brillante,
le sue improvvisazioni poetiche e alcuni elementi romantici del suo stile. L’ammirazione di
Chopin negli anni non andò scemando, facendo studiare a molti suoi allievi opere di Hummel,
quali i concerti, la Sonata op. 81, il Rondò op. 98. Chopin ebbe anche l’occasione di ascoltare
nel 1832 in concerto a Parigi John Field, compositore e pianista irlandese, padre del Notturno.
L’incontro in realtà fu deludente in quanto Field aveva già da tempo passato la sua epoca d’oro
come esecutore, ma Fryderyk continuò ad ammirarlo come compositore. Fu da Field che prese
il genere del Notturno, «una melodia largamente cantabile e ornata, modellata sull’arte dei
grandi cantanti italiani, di carattere dolce, carezzevole, talvolta mesta, accompagnata da
accordi battuti o risolti in ampi arpeggi»11 e lo rielaborò in quello che oggi conosciamo come il
Notturno chopiniano, con la sua concezione della fioritura e le sue arditezze armoniche. Dopo
la pubblicazione dei suoi primi Notturni op. 9, Chopin ricevette una critica molto dura da parte
di Ludwig Rellstab, a difesa del padre del Notturno, John Field:
«Dove Field sorride, Chopin fa una smorfia ghignante; dove Field sospira, Chopin geme; dove
Field scrolla le spalle, Chopin contorce il corpo intero; dove Field mette qualche condimento
nel cibo, Chopin getta una manciata di pepe di Cajenna. In breve, se si mettono le incantevoli
romanze di Field davanti a uno specchio concavo che le distorca in modo che ogni tratto delicato
diventi grossolano, si ottiene l’opera di Chopin. Noi imploriamo Chopin di tornare alla
natura».12
Solo a partire dal 1839, non potendo più ignorare il suo successo, cominciò a scrivere
critiche positive sul compositore polacco.
10
GASTONE BELOTTI, Chopin, Torino, EDT, 1984, p. 8.
BELOTTI, Chopin, p. 359.
12
PIERO RATTALINO, Fryderyk Chopin. Ritratto d'autore, Torino, EDT, 1991, p. 68.
11
10
Chopin assorbì e rielaborò caratteristiche di molteplici compositori, ma la sua capacità
di ricodificare e dar vita a qualcosa di totalmente originale sono eccezionali, rendono difficile
questo discernimento. Alfred Einstein ritiene che Chopin:
«è Hummel con la sua eleganza; è Rossini con la dolce e fiorita qualità del suo canto; è Mozart
con la sua semplicità e ingenuità; è Bach con il contrappunto o i dettagli polifonici; è John Field,
l’allievo di Clementi e compositore di notturni appassionati; è magari il brillante compositore di
rondò e sonate, Carl Maria Weber. Beethoven sembra mancare: Chopin deve aver sentito che
Beethoven, che era ancora uno dei suoi contemporanei, non gli offriva alcun punto di
contatto».13
3.2.
Chopin e Bellini
«Volle essere sepolto a fianco di Bellini e Cherubini, genii tanto diversi, e ai quali tuttavia Chopin
si accostava in egual misura, annettendo altrettanto valore alla scienza dell’uno quanta simpatia
aveva per la spontaneità, lo slancio, il brio dell’altro».14
Così Liszt descrisse le ultime volontà di Chopin. È difficile accertare con certezza
l’esistenza di un’amicizia tra il compositore polacco e Bellini, data la mancanza di
corrispondenza diretta tra i due e opinioni esterne contraddittorie. Alcuni contemporanei
dell’epoca quali Liszt, Schumann e Hiller testimoniano un rapporto di amicizia e ammirazione
(Schumann scrive nel suo saggio sulla Sonata op. 35 di Chopin per la Neue Zeitschrift für Musik
nel 1841: «Sappiamo che Bellini e Chopin, essendo amici, spesso si comunicavano le loro
impressioni e che perciò non rimasero senza un reciproco influsso»15), mentre altri quali
Auguste Franchomme, Elisa Fournier
e Hippolyte Barbedette confermano il contrario,
quest’ultima addirittura scrivendo che «Chopin non amava la musica italiana moderna e che la
sensibilità belliniana lo esasperava».16
Si sa con certezza che Fryderyk e Vincenzo si incontrarono nel salotto della cantante
13
ALFRED EINSTEIN, Music in the Romantic Era, New York/London, W.W.Norton, 1975, p. 215.
LISZT, Vita di Chopin, p. 231.
15
SCHUMANN, La musica romantica, p. 154.
16
CLAUDIA COLOMBATI, «Fryderyk Chopin e l’Italia: un incontro rimasto ideale», p. 22.
14
11
Lina Freppa nel 1833, ma quest’ultimo morì solo due anni dopo. A prescindere dalla questione
incerta dell’amicizia, l’ammirazione per la musica di Bellini da parte di Chopin è indubbia. Il
pianista polacco ascoltò per la prima volta le opere di Bellini al suo arrivo a Parigi nel 1832 (in
particolare La sonnambula e I Puritani all’Opera di Parigi), quando la sua personalità musicale
era ormai già ben formata, ma sicuramente percepì molti aspetti comuni con la sua musica
(entrambi erano grandi ammiratori dell’opera di Mozart e Rossini). Hiller testimonia che
raramente aveva visto Chopin tanto commosso quanto alla rappresentazione della Norma e
che «nel finale del secondo atto, quando Rubini sembrava cantare lacrime, Chopin aveva le
lacrime agli occhi17». Rappresentativa è anche la testimonianza dell’amico Wojiciech Grzymała
che scrive di come Chopin, nelle sue ultime ore di vita, chiese a Madame Delfina Potocka di
cantargli tre melodie di Bellini e Rossini che «ascoltò religiosamente come l’ultimo suono di
questa terra»18. A riguardo, però, è contraddittoria la testimonianza di Maurycy Karasowski in
Frederick Chopin. His life and letters e di Franz Liszt, ne La vita di Chopin, il quale scrive:
«La domenica, 15 ottobre, varie crisi più dolorose ancora delle precedenti durarono molte ore
di seguito. Egli le sopportava con pazienza e con grande forza d’animo. La contessa Delfina
Potocka, presente in quel momento, era vivamente commossa; […] allora egli le chiese di
cantare. Si credette alle prima che delirasse, ma egli ripeté la richiesta con insistenza. Chi
avrebbe osato opporsi? Il pianoforte del salotto fu fatto scorrere sino alla porta della camera di
lui, la contessa cantò con dei veri singhiozzi nella voce. Le lagrime scendevano copiose lungo le
sue guance e mai, certo, quel bell’ingegno, quella voce mirabile avevano raggiunto una così
patetica espressione. Chopin sembrò soffrire meno mentre la ascoltava. Ella cantò il famoso
cantico della Vergine che, si dice, aveva salvato la vita a Stradella. “Com’è bello! Mio Dio, com’è
bello!” disse egli; “Ancora…ancora!”. Sebbene oppressa dalla commozione, la contessa ebbe il
nobile coraggio di rispondere a quell’ultimo desiderio di un amico e di un compatriota; si rimise
al pianoforte e cantò un Salmo di Marcello».19
Oltre a testimonianze orali che suggeriscono un’ammirazione di Chopin nei confronti
di Bellini, ci sono giunte alcune composizioni che traggono ispirazione diretta o rendono
omaggio al compositore catanese: un autografo non datato di uno schizzo per pianoforte,
17
FRÉDÉRICK NIECKS, Frederick Chopin as a Man and Musician, Frankfurt am Main, Outlook Verlag, 2018, p.
235.
18
ALINA ŻÓRAWSKA-WITKOWSKA, La musica italiana nella vita e nell'opera di Fryderyk Chopin, in Chopin e
l’Italia, p. 99.
19
LISZT, Vita di Chopin, p. 233.
12
probabilmente
per
Pauline
Viardot, di due arie della Norma
(“Casta diva” e “Ah, bello a me
ritorna”) che danno vita a un’aria
bipartita di coloratura e una
variazione dall’ Hexameron. Nel
1837, su iniziativa della principessa
Cristina Belgioioso d’Este, in onore
del
recentemente
scomparso
Vincenzo Bellini, fu commissionata
una composizione collettiva, l’
Hexameron, un ciclo di variazioni
sul tema dell’aria alla marcia
“Suoni la tromba” dal finale del
secondo atto dei Puritani. Le
variazioni furono composte da sei
Figura 4. Ritratto di Vincenzo Bellini (Giuseppe Tivoli XIX-XX sec.)
grandi pianisti dell’epoca, quali
Franz Liszt, Sigismund Thalberg, Johannes Peter Pixis, Henri Herz, Carl Czerny e Fryderyk
Chopin. La variazione di quest’ultimo, la sesta, è un momento di puro lirismo in un Largo di 4/4
e presenta il tema con un accompagnamento a terzine che conferisce un carattere di barcarola.
3.3.
Le influenze del belcanto: opinioni storiche
Il dibattito riguardo alla questione dell’influenza dell’opera italiana, ed in particolare
del belcanto, sullo stile compositivo di Chopin iniziò già con i suoi contemporanei, come Liszt
e Schumann, che individuarono e segnalarono questi italianismi in maniera esclusivamente
intuitiva.
Ne La Vita di Chopin di Liszt, la prima biografia del compositore polacco, egli scrive che
le «fioriture» dell’antica grande scuola di canto italiano raggiunsero con le opere pianistiche
una perfezione mai ottenuta con la voce, e, sebbene la sua testimonianza delle ultime volontà
13
di Chopin possa essere romanzata, non è da ignorare il fatto che Cherubini e Bellini appaiono
come suoi modelli. Hippolyte Bardette, d’altro canto, nella sua biografia del compositore
polacco Chopin: essai de critique musicale, cita alcune testimonianze di amici secondo cui il
compositore era irritato dal successo di Bellini.
Nei primi del Novecento, critici come Jean Chantavoine in L’Italianisme de Chopin, e più
tardi Emil Haraszti in L’élément latin dans l’oeuvre de Chopin, considerano le opere di Rossini e
Bellini un’influenza fondamentale ed entrambe affini al gusto del compositore polacco. In
particolar modo, a Bellini viene dato un ruolo di rilevanza maggiore per il suo temperamento
molto simile a quello di Chopin, e per l’influenza che le sue opere ebbero su brani
particolarmente lirici e cantabili ma ricchi di ornamenti del polacco, quali i notturni.
Queste analogie tra le arie col da capo del belcanto italiano e opere di Chopin, quali i
notturni, vennero contestate da studiosi polacchi nel secondo Novecento, quali Józef
Chomiński e Zofia Chechlińska, affermando che l’influenza dominante su Chopin fu la musica
polacca e le opere pianistiche di autori tedeschi come Carl Czerny, Ferdinand Ries, Friedrich
Karlkbrenner, Johann Nepomuk Hummel e August Alexander Klengel.
Ludwik Bronarski, musicologo e musicista di formazione, presenta una conciliazione delle due
fazioni, portano avanti la teoria tracciata da Friedrich Niecks. Egli ammette una certa influenza
dell’opera italiana e dello stile del belcanto sulle opere di Chopin, ma insiste sull’indubbia
originalità del suo stile.
Altri studiosi più recenti quali Charles Rosen ammettono l’influenza del belcanto
italiano non solo per quanto riguarda le ornamentazioni e le caratteristiche melodiche
dell’opera di Chopin, ma anche a livello strutturale. In riferimento alla Polacca in fa diesis
minore op. 44 (in particolare al ruolo dell’ interludio militare prima del trio a Tempo di
Mazurka), egli scrive:
«La costruzione basata su un processo di accumulazione che distorce una forma prestabilita, la
drammatica interruzione al cui interno si trova una citazione, breve ma letterale, di una frase
tratta da una sezione precedente: tale tecnica deriva a Chopin direttamente dalla sua
esperienza dell’opera italiana. La si può paragonare al modo in cui compositori quali Rossini,
Donizetti e Bellini spezzavano le forme convenzionali interrompendo, per esempio, la
14
tradizionale sequenza lento-veloce dell’aria con un coro, o anche con una scena intera». 20
Il dibattito riguardo all’italianità dell’opera di Chopin è così acceso e contraddittorio
principalmente perché gli studiosi raramente hanno fondato le loro tesi su un’osservazione
stilcritica dettagliata, soffermandosi su aspetti diversi, da elementi esteriori quali la cantilena,
la monodia, il duetto a due voci con accompagnamento minimo, ad elementi estetici ed
espressivi quali la simmetria della melodia o la sua bellezza ed emozionalità.
Alina Żórawska-Witkowska, nel suo saggio La musica italiana nella vita e nell’opera di
Fryderyk Chopin, cerca di definire quelle caratteristiche della musica italiana, in particolare
quelle legate al belcanto, che Chopin tradusse nelle sue opere al pianoforte, e le ricollega tutte
ad aspetti strettamente legati alla melodia: il carattere cantabile, gli ornamenti e le fioriture, il
tempo rubato, il raddoppio di melodie per terze e seste, l’articolazione che indica portamento,
l’utilizzo della forma dell’aria col da capo, composizioni basate su temi italiani, mezzi
compositivi modellati sulla tecnica pianistica di Muzio Clementi e quella violinistica di Niccolò
Paganini. Tutti gli elementi elencati sono riscontrabili continuamente nelle opere di Chopin e
le andremo ad analizzare in dettaglio in alcune delle sue opere. Le composizioni basate su temi
italiani le lasceremo in disparte in quanto già citate in precedenza (le arie sulla Norma di Bellini,
l’Hexameron, le Polacche su tema de Il Barbiere e de La Gazza Ladra) ed opere estremamente
giovanili.
3.4.
Analogie compositive col belcanto italiano
I notturni rappresentano una sintesi di tutti quegli aspetti dello stile belcantistico che
Chopin assimilò e poi trasferì sul pianoforte. Il compositore polacco si avvicinò a questo genere
sin dall’adolescenza, essendo un tipo di composizione che a livello strutturale non presentava
grandi difficoltà e gli permetteva di esplorare e sperimentare l’espressività del canto. Per
esempio, il Notturno op. 9 n. 1 già dalle prime tre battute mostra un chiaro riferimento al canto
operistico, ed in particolare alla pratica in voga a quei tempi di improvvisare, in un’aria,
20
ROSEN, La generazione romantica, p. 333.
15
Figura 5. Notturno op. 9 n. 1 (b. 1-5) di Fryderyk Chopin.
passaggi ornamentali. Ma qui, queste ornamentazioni non hanno alcuno sfoggio di virtuosismo
gratuito e tendente al cattivo gusto come capitava spesso nelle improvvisazioni dei cantanti,
ma diventano un rinforzo del carattere espressivo della melodia, un’ondata di disperazione e
di singhiozzi scaturita dal lamento della prima battuta. Figurazioni del genere, in realtà, sono
riscontrabili anche in altri contemporanei di Chopin, quali Hummel e Field, ma mai se ne
incontrano così presto in una composizione, e in più di dimensioni così modeste.
Per un paragone diretto tra la melodia chopiniana e quella belliniana, di quest’ultimo
prenderemo in considerazione alcune delle sue arie da camera, in quanto «si attestano in una
fase intermedia del processo creativo: tra l’abbozzo melodico e la composizione
drammatica»21. Il compositore catanese era solito abbozzare le sue melodie, che spesso poi
elaborava dando vita a queste romanze, prima di creare le sue vere e proprie arie d’opera.
Proprio perché estranee ai dettami del palcoscenico (ed in particolare all’esaltazione di quei
virtuosismi canori tanto in voga), mostrano l’estetica e l’arte belliniana nella sua forma più
pura. Analizzando a livello superficiale queste composizioni saltano subito all’occhio alcune
analogie, come il tipo di ornamentazione, la lunghezza delle frasi e il tipo di fraseggio, la
21
FRANCESCO CESARI, Nuove acquisizioni al catalogo vocale da camera di Vincenzo Bellini, in La romanza
italiana da salotto, Torino, EDT, 2002, p. 209.
16
Figura 6. Per pietà bell'idol mio di Bellini.
figurazione dell’accompagnamento. Ma ad un’analisi più dettagliata vengono alla luce altre
similitudini interessanti.
Sia l’aria da camera Per pietà, bell’idol mio di Bellini su testo di Metastasio, che il
Notturno op. 9 n. 2 aprono con un salto dal quinto grado in levare al terzo dell’ottava superiore
in battere. Questo salto di sesta (denominato da Artur Szklener «motivo di Chopin») appare
anche in altri notturni come l’op. 9 n. 3 e l’op. 62 n. 2 e Chopin lo sfrutta sia come topos
musicale ma soprattutto come mezzo per costruire una linea melodica a lunga gittata.
Questa lunghezza della linea melodica viene ottenuta anche ritardando le risoluzioni
melodiche e armoniche, creando così l’impressione di continuità. Entrambi cercano di ottenere
lo stesso risultato, ma Chopin sfrutta questa tecnica in maniera più intensa, con doppie note
adiacenti, cambi di direzione del movimento, graduale prolungamento delle frasi e la rinuncia
a cesure musicali univoche.
Figura 7. Notturno op. 9 n. 2 di Fryderyk Chopin.
17
Figura 8. Bellini, Ma rendi pur contento. Pseudopolifonia e passaggio cromatico.
Altro aspetto comune a entrambi è l’alternanza armonica di note forti e deboli (queste
ultime sospensioni delle prime), dando vita a gesti ornamentali di una certa instabilità
all’interno di una melodia fortemente ancorata armonicamente. Nel Notturno op. 9 n. 3, in
battuta 9, appare una figura decorativa in quintina che risolve secondo le leggi armoniche (il
fa risolve sul mi, il mi e il dox sul re#), ma la percezione uditiva della risoluzione è ambigua e
suona più come la risonanza di un cluster arpeggiato, acquisendo una maggior forza espressiva.
Inoltre, sia Bellini che Chopin utilizzano sequenze cromatiche discendenti all’interno di melodie
diatoniche, le quali ne modificano l’aspetto emozionale e svolgono una funzione chiave nella
struttura e nelle cadenze (Figura 8; Figura 9) e la pratica della pseudopolifonizzazione, cioè
l’utilizzo di motivi, nell’ambito di una singola melodia, che suggeriscono un dialogo (Figura 9;
Figura 9. Chopin, Notturno op.27 n. 2. Passaggio cromatico.
18
Figura 10. Chopin, Notturno op. 55 n. 2. Pseudopolifonia.
Figura 10). Quest’ultima è una procedura naturale per gli strumenti monodici (ad arco e a fiato)
o per il canto, ma non per gli strumenti polifonici. Nell’ambito di questi strumenti, Chopin fu il
primo a ridurre consapevolmente le capacità proprie dello strumento per avvicinarlo alla
musica vocale ed a superare il limite intrinseco del pianoforte (l’impossibilità di sostenere
attivamente il suono) con l’utilizzo di espedienti come un’ornamentazione più densa e la
ripetizione di una stessa nota.
Nel Notturno op. 55 n. 2 (battute 35-38) Chopin sviluppa la sovrapposizione di strati,
facendo un uso estremo di figurazioni ornamentali del genere operistico nella forma di un
duetto, con entrambe le voci affidate alla mano destra e arpeggi espressivi di supporto nella
mano sinistra.
Un ultimo aspetto che appare in Chopin, come in Bellini, è il concentrare in una nota
più significati: nel Notturno op. 15 n. 2 in fa diesis maggiore tutto si muove verso la cadenza
Figura 11. Chopin, Notturno op. 55 n. 2 (bb. 34-39).
19
sul la# in battuta 24, che vede la ripetizione di questa quattro volte. Ma la risoluzione è
predisposta sin dall’inizio in quanto il la#, dato il fraseggio, è posto in continua evidenza ma
cambia timbro e funzione grazie all’armonia.
20
21
Figura 12. Notturno op. 15 n. 2 (battuta 1-24).
22
3.5.
Testimonianze degli allievi
Fryderyk, come la maggior parte dei romantici, riteneva che la musica fosse un
linguaggio, un linguaggio indeterminato. Raramente parlava della sua musica, della sua estetica
o delle sue visioni pianistiche e pedagogiche, secondo la testimonianza di George Sand, eppure
quando lo faceva era «con una chiarezza ammirevole e una sicurezza di giudizio e di intenzioni
che, se le esprimesse a cuore aperto, annienterebbero diverse eresie»22. Nel corso degli anni
parigini, Chopin fece una serie di annotazioni sui suoi taccuini personali riguardanti la sua
estetica e il suo metodo di insegnamento che, dopo la sua morte, vennero assemblati e
pubblicati come il Projet de méthode. Scrive che la musica, oltre a essere l’arte che si manifesta
attraverso i suoni, è anche l’arte di esprimere i propri pensieri attraverso i suoni, l’arte di gestire
i suoni, l’espressione delle proprie percezioni attraverso i suoni, l’espressione dei propri
sentimenti attraverso i suoni. Utilizziamo i suoni per creare la musica così come usiamo le
parole per creare il linguaggio, eppure un suono non crea musica così come una parola non
crea un linguaggio. Chopin insisteva sul suonare con naturalezza e semplicità, e non tollerava
né l’esagerazione e i sentimentalismi né l’inespressività e l’aridità.
Fryderyk dedicava la maggior parte del suo tempo all’insegnamento (insegnava minimo
cinque ore al giorno, sei mesi l’anno – da Ottobre o Novembre fino a Maggio) ed era la sua
fonte principale di sostentamento economico. Ma, a differenza di Clementi, Hummel,
Kalkbrenner o Czerny, Chopin non creò una scuola pianistica o una tradizione pedagogica, e
non plasmava i suoi allievi a sua immagine e somiglianza come invece faceva Liszt con la sua
imponente personalità. Nessuno degli studenti del pianista polacco raggiunse una vera e
propria carriera concertistica, in parte semplicemente perché la maggior parte della sua
clientela erano fanciulle di famiglie nobili e benestanti il cui statuto sociale impediva loro di
esibirsi in pubblico se non per funzioni sociali, ed in parte a perché, come dice Liszt, «non ha
avuto fortuna con i suoi allievi»23: tre dei suoi allievi più promettenti morirono giovani (Filtsch,
Caroline Hartmann, Paul Gunsberg), altri due rinunciarono alla carriera molto presto (Emilie
von Gretsch, Friederike Streicher), altri due si limitarono all’insegnamento privato (Mme
22
JEAN-JACQUES EIGELDINGER, Chopin: pianist and teacher seen by his pupils, Cambridge, Cambridge University
Press, 2004, p. 4.
23
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 5.
23
Dubois, Mme Rubio), Pauline Viardot era già una cantante di successo quando cominciò lezioni
di pianoforte con Chopin. Solamente Mathias e Mikuli giunsero ad avere un’importante
carriera come insegnanti. Nonostante ciò, grazie ai suoi allievi, ci sono giunte preziose
testimonianze riguardo alle lezioni e la metodologia del pianista polacco, di cui altrimenti non
avremmo notizie.
Le
lezioni
di
Chopin
erano
estremamente richieste (più di quelle di
Liszt o Kalkbrenner) e non economiche in
quanto erano la sua principale fonte di
sostegno; ogni lezione durava tra i
quarantacinque minuti e un’ora, ma, per i
suoi allievi più dotati, potevano durare
varie ore; non accettava bambini o
principianti
ed
erano
a
cadenza
settimanale, oppure due o tre volte a
settimana se gli allievi avevano un certo
talento o la possibilità economica; il suo
insegnamento non era mai improntato
sulla performance da palcoscenico (ad
un’allieva disse «i concerti non sono mai
vera musica e che bisogna rinunciare
Figura 13. Fotografia di Fryderyk Chopin (Louis-Auguste
Bisson – 1849).
all’idea di ascoltarvi ciò che c’è di più bello nell’arte»24) ma piuttosto su un’estetica cameristica;
il suo metodo di insegnamento non era univoco e uguale per tutti, ma cambiava in base
all’allievo, al carattere e alle necessità di ognuno; sedeva sempre al suo secondo Pleyel per
dimostrare, suonando, quello che diceva a parole e non trascurava l’analisi delle forme. Chopin
aveva molto a cuore i suoi allievi ed «è con vera gioia che consacrava tutte le sue forze
all’insegnamento per molte ore al giorno […]. Le sue esigenze, così difficili da soddisfare, la
passione febbrile con la quale tentava portare gli allievi al suo livello, l’ostinazione che metteva
nel far ripetere un passaggio fino a che fosse ben compreso, testimoniano quanto avesse a
24
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 5.
24
cuore i progressi di uno studente. Lo infiammava un sacro fervore artistico, e allora ogni parola
uscita dalle sue labbra risultava stimolante ed era fonte di entusiasmo».25
Per Chopin, il canto era l’essenza della musica: era la base di ogni pratica strumentale,
e più il suonare prendeva ispirazione da modelli vocali, più diventava convincente. Insisteva nel
ricercare, nella profondità del tasto, quel suono sostenuto che si avvicinasse al canto. Sono
numerose le testimonianze dei suoi allievi a riguardo: Lenz dice di prendere ispirazione dalla
celebre cantante italiana Giuditta Pasta per quanto riguarda lo stile; Karasowski testimonia che
Fryderyk amava trovare nell’arte di suonare il pianoforte quello che conosciamo come
portamento nel canto; Mikuli ci riferisce come, per quanto riguardava la realizzazione dei
gruppetti o delle appoggiature, il Maestro incitasse a imitare i grandi cantanti italiani; a
testimonianza di Grestch, durante le lezioni ripeteva continuamente «bisogna cantare con le
dita!»; Maurycy Karasowski scrive:
«Secondo il maestro, il miglior modo di acquisire naturalezza nell’esecuzione era andare
frequentemente ad ascoltare i cantanti italiani, fra i quali c’erano allora a Parigi degli artisti
molto notevoli. Ai pianisti portava sempre ad esempio il loro stile semplice e ampio, come pure
la naturalezza con cui si servivano della propria voce, che appunto per questo sapevano gestire
in maniera straordinaria26».
A livello pratico, per Chopin, l’utilizzo del polso per i pianisti era equivalente alla
respirazione per i cantanti. Infatti, «in ogni punto dove il cantante prenderebbe il fiato, il
pianista che non sia più un principiante […] deve stare attento a sollevare il polso per lasciarlo
ricadere sulla nota che canta con la più grande scioltezza immaginabile27». Questa ricercata
vocalità pianistica traspariva nella sua maniera di suonare: «faceva cantare sotto le sue dita la
frase musicale, con una tale chiarezza che ogni nota diventava una sillaba, ogni battuta una
parola, ogni frase un pensiero. Era una declamazione senza enfasi, semplice e sublime allo
stesso tempo»28.
25
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 11.
26
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 44.
27
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 45.
28
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 42.
25
4. Composizioni “italiane”
Chopin si accostò a generi tipicamente italiani soltanto per due opere tardive, la
Tarantella in La bemolle Maggiore op. 43, pubblicata nel 1841, e la Barcarola in Fa diesis
Maggiore op. 60. La Tarantella è una danza del Sud Italia in 6/8, il cui nome proviene, secondo
la definizione del Concise Oxford Dictionary of Music, dalla città di Taranto, oppure dal ragno
molto comune in quell’area, la tarantola, il cui morso era velenoso. La danza si credeva curasse,
con il suo perpeetum mobile e il tempo in continuo accelerando, il tarantismo, la malattia di
sintomatologia delirante causata dal morso del ragno.
La genesi della Tarantella di Chopin, secondo Bronarski e Kobylańska, risale ad uno
schizzo di quattro battute scritto durante il soggiorno a Maiorca del 1838-39, mentre alcuni
studiosi quali Arthur Hedley e James Huneker commentano che il brano ha ben poco di italiano.
La scelta di comporre un brano del folklore italiano, più che essere un lavoro di profonda
ricerca e sperimentazione di un bagaglio popolare diverso da quello polacco, è probabilmente
dettato da scelte più superficiali:
«l’Italia era di moda, la Tarantella era considerata danza caratteristica del popolo italiano, prima
che di quello napoletano o meridionale, Chopin conosceva, oltre a quella di Rossini, quella che
Auber aveva inserito ne La muta di Portici, quella di Weber nella Sonata in Mi minore op. 70,
fors’anche quella di Liszt, ed indubbiamente quel ritmo incalzante gli piaceva»29.
In una lettera a Julian Fontana del Luglio 1841, Chopin chiede all’amico di controllare
la Tarantella di Rossini e assicurarsi che fossero nel medesimo tempo di battuta. La Tarantella
a cui si riferisce è la Tarantella in La Maggiore La Danza, composta per il basso Lablanche, e più
che volere copiare l’autore pesarese, Chopin voleva assicurarsi di usare il tempo corretto per
quella danza popolare italiana, che Rossini sicuramente aveva utilizzato correttamente. Chopin
non pubblicò mai musica che non ritenesse valida, ma a più riprese si mostrò poco convinto
riguardo alla qualità dell’opera, nonostante si adoperò per pubblicare il brano in tre paesi ed
ebbe abbastanza successo da essere trascritta per violino e pianoforte da Karol Lipiński. Fatto
29
BELOTTI, Chopin, p. 419.
26
sta che il polacco ha còlto perfettamente lo
spirito della danza con l’ostinato ripetersi di
motivi di carattere simile e il continuo
crescere di velocità, creando un’immagine in
cui «par di vedere innanzi a sé il danzatore
piroettare spinto dalla follia, e far girare la
testa persino a noi30».
La Barcarola op. 60, d’altro canto,
composta tra l’autunno del 1845 e l’estate
del 1846, soltanto tre anni prima della morte
del
compositore,
viene
definita
da
Mieczysław Tomaszewski «il pezzo più
italiano di Chopin»31 e da Charles Rosen «una
Figura 15. Partitura de La Danza di Gioacchino Rossini.
delle più impressionanti tra le opere più
lunghe
di
Chopin»32.
La
barcarola
originariamente è un canto che i barcaioli veneziani improvvisavano mentre guidavano le loro
gondole per i canali, ed è caratterizzata da un ritmo in 6/8 o 12/8 che conferisce un moto a
onda che ricorda il dondolare della gondola. Nel periodo romantico furono molteplici i
compositori che si interessarono al genere della barcarola, e più volte fu inserita in scene
d’opera a carattere marino, come nell’Otello di Gioacchino Rossini, nell’Oberon di Carl Maria
von Weber e ne La muette de portici di Auber. Il primo a scrivere una barcarola per pianoforte
solo fu Mendelssohn con il suo
Venetianisches Gondellied op.
19 n. 6, il sesto brano dei Lieder
ohne
Worte,
che
scrisse
proprio a Venezia durante un
soggiorno del 1830. Da questa
Figura 14. Mendelssohn, Venetianisches Gondellied op.19 n.6 (bb. 7-11).
composizione Chopin riprese il
profilo ritmico in battuta 10,
30
SCHUMANN, La musica romantica, p. 177.
ALINA ŻÓRAWSKA-WITKOWSKA, La musica italiana nella vita e nell'opera di Chopin, in Chopin e l’Italia, p. 101.
32
ROSEN, La generazione romantica, p. 502.
31
27
caratterizzato da due biscrome sul quarto tempo, trasformandolo nell’ostinato della mano
sinistra del primo tema della sua barcarola.
Figura 16. Chopin, Barcarole op.60 (b. 4-6).
Da questa figurazione del basso, emerge il canto della melodia, modellato sul belcanto
italiano, raddoppiato per terze e poi seste, abbellita in seguito con trilli, anche doppi. La sua
struttura di base prevede due sezioni contrastanti contrapposte (la seconda con due temi), un
ripresa più corta della prima parte e una più lunga della seconda parte in cui riprende il secondo
tema. Interessante è il ritorno al tema iniziale dopo un lungo passaggio che sviluppa il ritmo di
barcarola e si dissolve in una cantilena volante caratterizzata dall’indicazione dolce sfogato.
Questo hapax ha suscitato moltissimi commenti, come quello celebre di André Gide, pianista
amatore ossessionato con quest’opera: «Sfogato: nessun altro compositore ha mai usato
questa parola, ha mai sentito il desiderio, il bisogno di segnare quell’aerazione, quella raffica
di brezza che, spezzando il ritmo, rinfresca e profuma di colpo la parte centrale della sua
barcarola»33. Chopin si riferiva anche prettamente al termine tecnico riferito al canto: i soprani
sfogati sono infatti delle voci molto rare che presentano un registro che si estende dalla
tessitura di contralto fino a quella di soprano di coloratura, arrivando a cantare il mi o il fa
sopra il do acuto (Giuditta Pasta, cantante estremamente ammirata da Chopin, era un soprano
di questo tipo). L’arabesca di questo dolce sfogato arriva proprio fino al mi diesis.
Quest’opera di Fryderyk , nonostante i suoi riferimenti all’arte italiana, è una sintesi
dell’ultimo Chopin, della sua arte compositiva, maturata da tutte le sue esperienze e delle sue
sperimentazioni come compositore e come esecutore. Fu un brano che egli stesso tenne in
grande considerazione e che suonò nel suo ultimo concerto a Parigi, nella Sala Pleyel, il 16
Febbraio 1848. Il suo caro amico Sir Charles Hallé ricorda quell’ultima esecuzione con queste
parole:
33
ANDRÉ GIDE, Notes on Chopin, New York, Philosophical Library/Open Road, 2013.
28
«In occasione del suo ultimo concerto pubblico a Parigi, […] all’inizio del 1848, Chopin eseguì
l’ultima parte della sua Barcarola, a partire dal momento che richiede più energia, in un modo
radicalmente opposto [alle indicazioni dinamiche stampate]; suonò pianissimo ma con
sfumature così meravigliose che veniva da chiedersi se questa nuova versione non era
preferibile a quella a cui si è abituati. Solo Chopin era capace di imprese simili!»34.
Fu un brano che venne considerato uno dei suoi più grandi capolavori ed ebbe una
grande influenza anche sulla generazione francese successiva, come Gabriel Fauré, Claude
Debussy e Maurice Ravel, il quale scrive:
«Nella Barcarolle, quel tema per terze, delicato e leggero, è costantemente rivestito di
affascinanti armonie. La linea melodica è continua. Per un istante una melodia prende il volo,
resta sospesa, e ricade mollemente attratta da magici accordi. L’intensità aumenta. Brilla un
nuovo tema, di un lirismo magnifico, pienamente italiano. Tutto si placa. Dal grave della tastiera
si alza un tratto rapido, fremente, che va a posarsi su preziose e tenere armonie. Il pensiero
corre a un’apoteosi misteriosa…»35.
Alcune caratteristiche della barcarola, come il metro di 12/8, il movimento a pendolo
del basso, la melodia per terze e per seste, si incontrano anche in alcuni Notturni, e soprattutto
nelle Ballate, e proprio per queste caratteristiche comuni a volte viene definito come il suo
notturno più riuscito o la sua quinta ballata.
34
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, p. 66.
35
MAURICE RAVEL, Ravel: scritti e interviste, a cura di Arbie Orenstein, Torino, EDT, 1995, p. 21.
29
5.
Le Quattro Ballate
Tra la fine del diciottesimo secolo e gli inizi del diciannovesimo secolo, vi fu una rinascita
del racconto, con particolare interesse rivolto non soltanto ai contenuti, ma anche a “l’arte di
raccontare” stessa. La corrente del Romanticismo, infatti, mostrava un forte interesse per il
Medioevo, in particolare per le forme letterarie, quali le ballate, e le vicende narrate, che si
manifestò sia tramite la riscoperta e la traduzione di ballate e racconti epici tradizionali, sia
tramite la composizione di nuove, basate su stili e motivi antichi.
In ambito musicale, le ballate erano molto popolari nella letteratura vocale, come
episodi all’interno di opere o come brani accompagnati al pianoforte per uso domestico; ma
Chopin fu il primo a dar vita a delle ballate puramente strumentali, creando un genere per
pianoforte completamente nuovo.
Nel 1841, Schumann, ricordando un commento di Chopin risalente al 1836, dice che
«egli disse ch'era stato ispirato per le sue ballate da alcune poesie di Mickiewicz». Adam
Mickiewicz era uno dei maggiori poeti polacchi del Romanticismo, ma anche un
importantissimo portavoce della libertà nazionale polacca. I due polacchi si conobbero a Parigi,
essendo entrambi parte della cerchia di stimati emigrati polacchi della capitale francese, e
sicuramente Chopin conosceva le opere letteraria del suo compatriota già dalla fanciullezza.
La testimonianza di Schumann ha causato decenni di dibattiti e di studi a riguardo, ma
ormai è opinione condivisa che basare una lettura delle ballate chopiniane su una così stretta
relazione con quelle di Mickiewicz è approssimativo e non essenziale alla comprensione
musicale.
Infatti Chopin nel 1836 aveva appena scritto due delle quattro ballate, perciò il
commento non dovrebbe comprendere le ultime due ballate (cosa che venne altamente
ignorata dai vari studiosi). I poemi di Mickiewicz, che numerosi studiosi hanno forzatamente
cercato di attribuire a ciascuna ballata di Fryderyk, non fanno tutti parte di quelle composizioni
che lui stesso definiva Ballady e Chopin, a differenza di altri compositori romantici quali Liszt e
Berlioz, rifiutava ogni sorta di musica programmatica, motivo per cui non dava mai alcun titolo
alle sue composizioni (tutti i titoli che conosciamo delle composizioni chopiniane, per esempio
il Preludio in Re bemolle maggiore detto “Raindrop” o gli studi op. 10 n. 12 noto come “La
30
Caduta di Varsavia” e op. 25 n. 11 chiamato “Winter Wind”, sono aggiunte degli editori, non
del compositore polacco). Se anche fosse stato in parte ispirato dai poemi di Mickiewicz non
lo riteneva un fattore tanto fondamentale per la comprensione delle sue opere. Infine, e forse
il dato più importante, la narrazione delle ballate di Mickiewicz prese come modelli non
rispecchiano la narrazione musicale di quelle di Chopin: la prima ballata op. 23 dovrebbe
ispirarsi a Konrad Wallenrod, in particolare, secondo Cortot, alla Ballata di Alpuhara, una
ballata spagnola cantata dal protagonista ad un banchetto, in cui un re moro, sconfitto, si
arrende ai nemici cristiani senza prima essersi vendicato scatenando la peste (a parte il termine
ballata, non vi sono altri riferimenti concreti né alla Spagna medievale né alla dualità
mussulmano-cristiana); la seconda ballata si ritiene fosse ispirata a Świtez (in francese Le lac
de willis), ovvero la storia di un gruppo di fanciulle che, nel tentativo di fuggire alle brame dei
soldati russi, si suicidano, gettandosi nel lago e diventando i gigli che si trovavano tutt’attorno
(oppure, secondo Zdzisław Jachimecki, era ispirata alla storia di Undine, generalmente
attribuita alla terza ballata, e quest’ultima inspirata da Lorelei di Heinrich Heine); la terza ballata
op. 47 si dice ispirata da Undine, la traduzione francese per il poema Świtezianka, che racconta
di una ninfa dell’acqua che punisce un amante infedele attirandolo negli abissi del lago con un
terribile vortice (la terza ballata è l’unica interamente in maggiore, escluso il breve episodio in
minore all’inizio della coda, e termina con un’ultima declamazione trionfante e gioiosa del
tema, in netto contrasto con il finale tragico di Undine); la quarta op. 52 si dice ispirata al Trzech
Budrysów, la storia di tre figli, mandati dal padre a fare un viaggio per diventare veri uomini,
un viaggio di ricerca, di avventura e di apprendimento, dal quale ritornano ognuno con una
sposa, e il poema si conclude con tre matrimoni (difficile anche qui conciliare il finale in minore
pieno di tensione della ballata chopiniana con l’immagine di tre felici matrimoni).
Come si può intuire, la questione è poco chiara, piena di contraddizioni e di voci
contrastanti. Più che dare importanza alla questione della diretta ispirazione o meno ad una
data ballata letteraria, è importante soffermarsi sul perché Chopin decise di chiamarle ballate
e che cosa rappresentano musicalmente.
«”Ballata” è un titolo generico, […] l’idea che dando ad un brano un titolo generico come sonata,
notturno, valzer, o anche ballata si indicherebbe intenzionalmente all’ascoltatore qualcosa
riguardo a cosa aspettarsi in termini di tono, forma e approccio. L’area grigia della ballata,
31
ovviamente, riguarda ciò che potessero essere queste aspettative implicite, perché la ballata
era un genere di poesia e musica vocale»36.
La prima ballata venne pubblicata come Ballade without Words, un chiaro riferimento
alla ballata letteraria. La ballata strumentale, essendo un genere completamente nuovo,
ovviamente non aveva una forma definita e comprovata nel tempo, come invece la Sonata. Le
stesse ballate di Chopin mostrano come la struttura formale non fosse assolutamente ben
definita. Ma sicuramente, un aspetto che hanno tutte in comune, è questo riferimento alla
narrazione, ovvero «l’impressione di uno scorrimento continuo, ininterrotto di una melodia
reiterata»37: ciascuna ballata inizia con alcune battute di introduzione (la prima e la terza con
carattere più declamato; la seconda e la quarta come una voce che emerge da dietro le quinte)
quasi a volere invitare il pubblico ad ascoltare una storia; Chopin utilizza il metro fluido e
narrativo del 6/8 (6/4 nel caso della prima); ricrea in musica alcune caratteristiche proprie della
tecnica narrativa, ovvero la forma periodica, il ritornello, e quella crescente tensione narrativa
che ignora le regole formali:
«Non sono tanto le qualità intrinseche dell’opera musicale che ci suggeriscono una narrativa,
quanto la nostra predisposizione – dato il nome del genere - a costruire una narrazione dai vari
modi in cui eventi puramente musicali vengono trasformati nel tempo. Tale narrativa musicale
si baserebbe sul carattere generale e l’intreccio dei temi, sulla trasformazione di successioni
formali convenzionali e sull’organizzazione delle relazioni tonali su ampia scala»38.
5.1. Ballata n. 1 op.27
Nella prima ballata, come anche nella seconda, si ha maggiormente il senso della
tecnica del ritornello, rispetto alle ultime due ballate, anche se non in maniera letterale: il
tema viene presentato per intero all’inizio del brano, dopo una breve introduzione in
recitativo, ma quando questo ritorna a mo’ di ritornello non viene ripresentato nella sua
36
JONATHAN BELLMAN, Chopin’s Polish Ballade: op. 38 as Narrative of National Martyrdom, Oxford, Oxford
University Press, 2010, p. 94.
37
ROSENi, La generazione romantica, p. 365.
38
JIM SAMSON, Chopin, the four ballades, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 14.
32
Figura 17. Chopin, Ballata n. 1 op. 23 (bb. 1-10).
interezza, ma soltanto comprendente le prime quattro battute. La ballata si apre con otto
battute introduttive, incerte e riluttanti a livello tonale (si aprono con un arpeggio in La bemolle
maggiore, la seconda abbassata di Sol minore cioè l’area tonale della scala napoletana , e segue
del materiale appartenente a Re maggiore, la dominante di Sol), fino a giungere alla
presentazione del tema nella tonica di Sol minore. Il primo gruppo tematico è formato dalla
combinazione di due motivi: una figura arpeggiata e un sospiro, dato da seconda discendente
o ascendente. Inizialmente i due motivi rimangono relativamente indipendenti, come se
fossero voci differenti, ma dopo qualche battuta (b. 14-15) si avvicinano e si fondono
temporaneamente in un’unica linea. A terminare questa prima sezione della ballata emerge
un tema di natura cadenzale, derivato dal motivo di seconda discendente del tema principale,
che porterà alla presentazione del secondo tema. Questa transizione è un eccellente esempio
di polifonia eterofonica, tecnica in cui due voci, apparentemente separate, disegnano uno
stesso motivo con ritmi diversi. Chopin si destreggiava con abilità nell’uso di questa tecnica, la
Figura 18. Chopin, Ballata n. 1 op. 23 (bb. 34-37. Polifonia eterofonica).
33
Figura 19. Chopin, Ballata n. 1 op. 23 (bb. 138-143. Polifonia eterofonica).
quale compare in forma ancora più complessa nella sezione scherzando in cui il sospiro di
seconda del tema principale viene presentato come ottave parallele sfasata tra le due mani.
Il secondo gruppo tematico non ha carattere così giustapposto e contrastante, come invece
avveniva nella forma sonata tra primo e secondo tema. La prima volta che viene presentato, in
Mi bemolle maggiore, ha anch’esso un carattere sommesso, ma sarà questo il materiale
tematico che Chopin utilizzerà per entrambi i punti culminanti che si presenteranno nel corso
della ballata, prima dell’esplosiva coda finale.
Il primo tema, come detto in precedenza, è quello che si ripresenta a mo’ di ritornello
due volte, in forma ridotta e su un pedale di dominante; l’ultima volta che si ripresenta ha
anche funzione di transizione, per aprire la strada al climax dell’intero brano, la coda in Presto
con fuoco costituito da materiali tematici completamente nuovi.
La coda è caratterizzata da elementi tradizionali ed elementi innovativi: è di stampo
operistico, ispirata agli stretti finali di più voci, e rimane sulla tonica per tutta la sua lunghezza,
ma utilizza materiali tematici completamente nuovi e, verso la fine, crea come un recitativo
accompagnato con un andamento che alterna ritenuto e accelerando. L’utilizzo di nuovo
materiale tematico per la coda è un espediente che Chopin utilizzerà più volte, in particolare
in altre due ballate, la seconda e la quarta, in due scherzi e nella Barcarola.
34
La struttura di entrambi i temi della Ballata in Sol minore è operistica, con l’andamento
cadenzale e la lunghezza delle linee melodiche; si scorgono schemi poetici che spesso erano
riscontrabili nelle opere italiane, come la fioritura cadenzale a termine del primo tema e ad
introdurre il tema cadenzale che è direttamente modellata sulla pratica operistica. Charles
Rosen scrive a riguardo «egli [Chopin] fu pari a Bellini e i prestiti dal teatro italiano rendono la
Ballata in sol minore la più operistica delle quattro, la più apertamente melodrammatica»39.
Figura 20. Chopin, Ballata n. 1 op. 23 (bb. 32-33).
5.2. Ballata n. 2 op. 38
«Mme Viardot mi ha raccontato che Chopin le aveva suonato spesso l’Andantino dell’inizio, ma
mai il seguito. Lo eseguiva senza nessuna sfumatura nella dinamica, salvo le due indicate
esplicitamente, che accentuava molto»40.
Anche Schumann ricorda come la prima volta che Chopin gli fece ascoltare la Seconda
Ballata terminasse in modo diverso dalla versione pubblicata (in Fa maggiore, non in La minore)
e che mancasse della parte del Presto con fuoco. La struttura di questa ballata è originale e
senza precedenti nelle opere di Chopin per due motivi: la questione della tonalità (l’Andantino
inizia in Fa Maggiore, il Presto con Fuoco inizia in La minore senza una convenzionale
modulazione e dopo aver toccato molto brevemente varie tonalità si stabilizza in La minore
per la coda finale fino alla fine) e il fatto che l’Andantino funzioni come brano anche da solo,
39
ROSEN, La generazione romantica, p. 369.
40
EIGELDINGER, Chopin seen by his pupils, pp. 65-66.
35
senza il resto della Ballata (le testimonianze che dicono come Chopin era solito farlo è prova
non indifferente), eppure il resto della Ballata da solo non ha alcun senso.
Figura 21. Ballata n. 2 (Andantino).
36
La ballata op. 38 inizia con un primo tema dai toni pastorali con venature di siciliano
che nasce dal risuonare in lontananza della sua nota di apertura (il do), dando la sensazione di
un lontano racconto in cui «l’ideale passato bucolico è presentato nella forma di una “c’era
una volta” descrizione cantata, con punteggiature mormorate o consenso dall’ascoltatore»41.
Nonostante il tema sia strutturalmente in frasi di quattro battute, Chopin decise di correggere
il suo fraseggio originale più articolato, per assicurarsi di rendere chiara la sua visione di moto
ininterrotto, di una lunghissima linea melodica con pochissime fluttuazioni dinamiche. Nel
fraseggio originale, la lunga frase iniziale di otto battute era in realtà divisa in due frasi, una
melodia solista dell’ampiezza di un’ottava, e una risposta più semplice e statica, dell’ampiezza
di una quarta, che, secondo Jonathan Bellman, ricorda un coro responsoriale .
L’intero Andantino è in Fa Maggiore, ma il La minore appare già comincia ad apparire
di soppiatto, anche se senza mai modulare: dopo diciassette battute (due ripetizioni della
prima frase del tema) in Fa Maggiore e senza alcun segno dinamico, arriva il primo
cambiamento armonico, la prima indicazione dinamica e il primo accordo in La minore, per poi
tornare subito alla dominante di Fa in pianissimo, come all’inizio; una sorpresa più marcata
arriva dopo la ripresa della prima parte del tema, dove anziché risolvere sulla tonica
Figura 22. Ballata op. 38 (Presto con fuoco).
41
BELLMAN, Chopin’s Polish Ballad, p. 147.
37
discendente come ci si aspetterebbe, sale al la superiore con un altro accordo di la minore in
crescendo e dando la sensazione di un’interruzione della frase precedente; la coda a seguire
sembra insistere sulla nota La che Chopin sottolinea con dei diminuendi sulla nota stessa.
Il Presto con fuoco certamente arriva come di sorpresa, per il brusco cambio di
dinamica, di carattere e di tonalità, ma Chopin ha trovato il modo di suggerirci a un livello
inconscio questo cambio al La minore. Citando Charles Rosen, «l’attacco della Seconda Ballata
è un modello di come si possa far scaturire una tonalità da un’altra senza le rituali modulazioni
e contrapposizione previste nell’esposizione di una sonata». Questa nuova tonalità in realtà
dura soltanto sei battute, per poi attraversare il mi bemolle maggiore e dar vita ad una
progressione armonica che ci riporta alla prima tonalità di fa maggiore.
Il ritorno del tema dell’Andantino in Fa maggiore viene interrotto e deviato da una
pausa coronata, iniziando uno sviluppo basato sul primo tema dai toni più tempestosi e
instabili, attraversando numerose tonalità lontane (re bemolle maggiore, sol bemolle
maggiore, mi maggiore e do maggiore). Il Presto con fuoco ritorna, stavolta il re minore per poi
tornare al la minore, e dalla sedicesima battuta si può finalmente affermare che il la minore sia
diventata la tonalità principale, proprio quando Chopin ripresenta, nel turbinio del Presto, il
Figura 23. Ballata op. 38 (bb. 156-164).
38
tema dell’Andantino con toni decisamente drammatici (bb. 156-164). Da questo passaggio ci
accorgiamo di come i tempi dell’Andantino e del Presto siano praticamente identici. Segue una
lunga coda, a mo’ di stretta operistica come nella prima ballata, in cui la tonalità in cui apre (la
minore) non viene mai abbandonata e basata su un nuovo materiale tematico, fino al ritorno
del tema del Presto e, sulla risonanza della sua ultima nota, di una reminiscenza del tema
dell’Andantino, stavolta in la minore.
5.3. Ballata n. 3 op. 47
Figura 24. Ballata op. 47 (bb. 1-11)
La terza ballata è la più serena delle quattro, una barcarola narrativa caratterizzata da
un lirismo grazioso ed un continuo moto ondeggiante, minacciato brevemente dai toni più
turbolenti dell’episodio centrale che sorge dalle sonorità acquatiche e liriche precedenti. È un
racconto che tarda a prendere l’avvio, con qualche fluttuazione di intensità nel mezzo, ma il
cui ritmo narrativo incalza solamente appena prima della fine. Il brano apre con una melodia
di otto battute, che, tramite l’utilizzo di un particolare contrappunto, passa da una voce all’altra
nei vari registri: il soprano apre le danze, per poi passare la melodia al tenore che funge anche
da basso dell’accordo che sostiene (b. 3); la melodia viene trasportata poi un’ottava più in
basso per poi tornare al soprano. Il passaggio da una voce all’altra avviene in modo così
naturale e dissimulato grazie ad una tecnica che Chopin sicuramente riprese e rielaborò da J.S.
39
Bach, in cui le note iniziali del soggetto sono legate alla prima nota dell’episodio (ad esempio,
quando la melodia passa dal basso al soprano il primo termina su un mi bemolle, assieme al mi
bemolle di accompagnamento del soprano, che poi si trasforma nella melodia). Questa tecnica
viene realizzata su una scala ancora maggiore quando la melodia ricompare poco più avanti,
arrivando ad abbracciare quasi la totalità della tastiera, ovvero più di sei ottave.
Figura 25. Ballata op.47 (bb. 34-47).
Le battute che portano a questo ritorno del tema si soffermano sul do maggiore e
mostrano un tipo di contrappunto tipico del romanticismo in cui la voce principale e la
secondaria disegnano il medesimo motivo, ma sfasate tra loro. L’effetto che ne scaturisce è di
una linea melodica ben definita dai valori più larghi nella mano sinistra, ed una linea
ornamentale fluida che sale e riscende di tre ottave.
Segue la seconda sezione, con una figurazione che da questo senso di onde grazie al
disegno ad ampi intervalli discendenti sul terzo e primo movimento della suddivisione dei 6/8
e una pausa sul secondo. L’intera sezione è caratterizzata da ambiguità ritmica e sfasature
40
armoniche: infatti il basso comincia in battere (b. 54) mentre la mano destra è di poco differita,
in maniera tale che all’inizio della battuta successiva la mano sinistra sta già suonando la tonica
(fa) mentre la mano destra deve ancora risolvere l’accordo di dominante. Questa sfasatura
continua fino alla battuta 73, in cui finalmente la parte acuta si omologa al periodare del basso,
dando vita al primo climax della ballata.
Figura 26. Ballata n. 3 op. 47 (inizio seconda sezione).
Ritorna poi lo stesso tema ondeggiante nella medesima tonalità di prima, ma stavolta,
dopo aver proposto le due frasi del tema, avviene un magico cambio di armonia che ci riporta
nella tonalità iniziale di la bemolle maggiore, da cui si apre una sezione di coloratura
belcantistica. Il ritorno alla tonalità di impianto crea un maggior senso di appagamento che di
sorpresa, grazie alla tecnica di Chopin di indugiare con insistenza su un solo accordo (do
maggiore che si trasforma con un effetto mirabile in la bemolle maggiore, con un mi che
diventa mi bemolle) prima di modulare. Questo senso di appagamento è reso ancora più
intenso dal fatto che l’ambiguità ritmica e le sfasature armoniche presenti per tutta la sezione
precedente sono finalmente risolte e la voce acuta e quella grave sono nuovamente in
sincrono.
Il punto di incremento di tensione arriva solamente dopo che Chopin ha esposto tutto
il materiale tematico, ripartendo con l’esposizione del tema ondeggiante alla sottodominante
re bemolle maggiore che poi si trasforma in do diesis minore, dando vita a quello che potrebbe
essere paragonato ad uno sviluppo classico con tutte le sue caratteristiche: modulazioni
continue, frammentazioni dei temi e nuove combinazioni di questi, crescita tensiva e
41
drammatica e fine dello sviluppo con un pedale di dominante che riporta all’ultima
presentazione del tema principale, stavolta in fortissimo con carattere trionfale e gioioso, nel
vero e proprio climax dell’intera ballata.
Figura 27. Ballata n. 3 op. 47 (sezione di belcanto).
La forma di questa ballata è alquanto originale, soprattutto nel collocare la sezione di
sviluppo dei temi principali così a ridosso della conclusione, e per il fatto che il ruolo della
dominante, tranne prima dell’ultima ripresa, viene marginalizzato e spesso sostituito dalla
dominante di fa minore nei momenti cruciali.
42
5.4. Ballata n. 4 op. 52
La quarta ballata si accomuna alle altre ballate per quanto riguarda la presenza di due
gruppi tematici che vengono presentati separatamente e si contaminano a vicenda nel corso
della composizione, e la coda finale basata su un materiale tematico completamente nuovo,
proprio come avviene nella prima e nella seconda ballata. Ma qui, a differenza che nelle altre,
sfrutta con ancora più maestria la tecnica della variazione, «con uno sfoggio di contrappunto
e una trasformazione coloristica che rendono questa una delle pagine più commoventi di tutta
la musica ottocentesca»42.
Figura 28. Ballata n. 4 op. 52 (Introduzione e tema)
42
ROSEN, La generazione romantica, p. 379.
43
La ballata inizia con sette battute di introduzione che si aprono come un canto che
proviene da lontano, sulla ripetizione di un sol in ottava nella mano destra. L’armonia di questo
breve numero di battute viene percepita in modo ambigua: vi sono una serie di cadenze
sospese sulla dominante di fa, ovvero do maggiore, e sebbene si percepisca sia una dominante,
la continua ripetizione della cadenza fa maggiore/do maggiore rende il do maggiore molto più
forte e stabile di quanto ci si aspetterebbe; inoltre, anziché suggerire la tonalità di fa nel modo
minore come apparirà nel primo tema, il fa appare in modo maggiore.
Il tema principale, secondo Rosen «una delle invenzioni più originali di Chopin43»,
appare in fa minore e fluttua tra gli accordi del relativo maggiore (la bemolle), la
sottodominante minore (si bemolle) e la sua dominante (fa maggiore), senza una netta
cadenza sulla tonica. Anche il tema, come l’introduzione, è caratterizzata da quattro note
ripetute che trasmettono un certo pathos emotivo, grazie anche al climax armonico posto
sull’ultima delle quattro note. Dopo aver presentato il tema per intero, già appare la prima
variazione: lo stesso materiale tematico viene riesposto quasi inalterato se non con l’aggiunta
di qualche elemento decorativo. L’episodio che segue è anch’esso basato sul primo tema, ma
la sua importanza è soprattutto nell’ambito armonico, in quanto rafforza la tendenza
dell’intera ballata a gravitare verso la sottodominante. La progressione da sol bemolle alla
tonica apre alla seconda variazione del primo tema, con carattere maggiormente
Figura 29. Ballata n. 4 op. 52 (Variazione I tema).
43
ROSEN, La generazione romantica, p.381.
44
contrappuntistico, «una sorta di Auf dem Wasser zu singen slavo in doppie note…44» che,
attraverso una transizione che sfocia nel secondo tema. Questo tema, in si bemolle maggiore,
ha carattere sia di barcarola che di corale. Convenzionalmente qui ci si aspetterebbe uno
sviluppo, ma la sezione che segue, nonostante abbia le caratteristiche modulanti tipiche di tale
sezione, non ne ha la rilevanza necessaria (tensione e instabilità strutturale) per essere definita
tale, ed appare più come un largo ponte tra l’esposizione e la ripresa.
Figura 30. Ballata n. 4 op. 52 (Ripresa).
44
JEAN-JACQUES EIGELDINGER, Venezie immaginarie. Appunti sulle barcarole di Chopin, in Chopin e l’Italia, p.159.
45
È in questa sezione che le note ripetute dell’introduzione e del primo tema permettono
una fusione dei temi in la maggiore, che porta alla riapparizione dell’introduzione, in contesto
modulante, e del primo tema, nell’inaspettata tonalità di re minore. Questa tecnica della
ripresa che comincia nella tonalità “sbagliata” era un espediente utilizzato già da Haydn e
Beethoven, ma mai con tanta maestria: a battuta 219 ci ritroviamo nell’introduzione senza
esserne immediatamente consapevoli, nella tonalità sbagliata; a battuta 139 finalmente
ritorna la tonalità corretta, sfruttando le terze minori del tema, ma anche qui non ne abbiamo
immediata consapevolezza. Questa capacità di condurci da una parte all’altra senza
permetterci di averne coscienza crea quell’atmosfera di tristezza meditativa e rassegnata
melanconia, quasi come fosse un sogno. La ripresa presenta un’altra variazione del primo tema
in forma di canone ed è seguita da un’ulteriore variazione di chiaro riferimento belcantistico
nelle fioriture liriche e delicate che emergono nella mano destra.
Figura 31. Ballata n. 4 op. 52 (estratto della variazione belcantistica del I tema).
Il secondo tema riappare, in re bemolle maggiore, con carattere di maggior fervore e ci
porta all’unico momento in cui appare una dominante di rilievo strutturale, illusoriamente
mantenuta sospesa con gli accordi in pianissimo a battute 203-210, prima dell’esplosione
virtuosistica finale della coda.
46
6. Conclusione
L’influenza italiana ha sicuramente lasciato la sua impronta su Chopin, in particolare la
proiezione alla tastiera del pianoforte di quello che era il belcanto operistico.
Le testimonianze dei suoi allievi, le quali tutte raccontano di quanto Fryderyk insistesse
sul “cantare” alla tastiera e sul cercare ispirazione nei grandi operisti italiani dell’epoca, sono
prova di quanto egli amasse e ricercasse nel suo strumento queste sfumature di belcanto. Ma,
come Fryderyk assimilò e rielaborò in modo originale le caratteristiche della musica popolare
polacca nelle sue Mazurche, così egli assimilò e rielaborò le caratteristiche del belcanto
italiano, dando vita a uno stile completamente unico e originale.
La sua maniera di comporre, ricca di figurazioni liriche a mo’ di improvvisazione come
era consuetudine all’epoca nell’opera italiana, e di suonare, mai con un suono aggressivo; la
sua capacità di sfruttare lo strumento, allontanandolo da quella che era la visione
convenzionale del tempo riguardo alle sue capacità timbriche ed espressive, e facendolo
approdare per la prima volta nella categoria di strumento lirico e cantabile; le sue
sperimentazioni e approdi a nuove tecniche (pedalizzazione, diteggiature…) per creare nuovi
effetti timbrici; l’utilizzo, nelle sue composizioni, di forme prevalentemente di dimensioni
minori e ritenute di minor importanza, per dargli nuova vita ed elevarle alla pari di generi di
più ampio respiro sono tutte caratteristiche proprie a Chopin e alla sua genialità, rendendolo
degno dell’intramontabile successo che ha ancora oggi non solo tra pianisti, ma anche tra il
pubblico di qualsiasi età e background, e dell’influenze che ebbe, così in vita, come anche dal
momento della sua morte, nella storia del pianoforte e della musica.
47
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