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IL DAIMONION DI SOCRATE Testimonianze platoniche. Nell’Apologia di Platone, Socrate risponde all’accusa di asebeia con il racconto stesso della sua vita: essa diviene il paradigma di una religiosità che non si manifesta solo sul piano normativo-sacrale della polis1, ma investe l’interezza dell’individuo che realizza se stesso in conformità ad un dictat divino di natura intima e per ciò stesso eticamente più valido. Il daimonion assume un ruolo di primo piano nella vita del filosofo non solo nel rapporto con il trascendente, ma anche quale motivo ispiratore e voce guida al compimento del suo destino individuale; in quanto tale esso è in relazione con il daimon, la forza divina non facilmente identificabile a prima vista, che interagisce con l’umanità come una potenza misteriosa coincidente con il destino dell’uomo. Socrate parla piuttosto diffusamente del daimonion in Ap.31c-d, 40a-b-c e 41d; Eutiphr.3b; Alc.I 103a; Resp.496c; Phaedr.242b; Euthyd. 272e; Theaet. 151a; Theag. 128d, 129 b-c, 129e, 131a. 1 Cfr. H. G. Gadamer, Religione e religiosità in Socrate, in L’anima alle soglie del pensiero, Napoli, 1988, pp. 11-40. 1 Ap.31c-d: Ἴσως ἂν οὖν δόξειεν ἄτοπον εἶναι ,ὅτι δὴ ἐγὼ ἰδίᾳ μὲν ταῦτα συμβουλεύω περιιὼν καὶ πολυπραγμονῶ, δημοσίᾳ δὲ οὐ τολμῶ ἀναβαίνων εἰς τὸ ὑμέτερον συμβουλεύειν τῇ πόλει. Τούτου δὲ αἴτιόν ἐστιν ὃ ὑμεῖς ἐμοῦ πολλάκις ἀκηκόατε πολλαχοῦ λέγοντος, ὅτι μοι θεῖόν τι καὶ δαιμόνιον γίγνεται φωνή, ὃ δὴ καὶ ἐν τῇ γραφῇ ἐπικωμῳδῶν Μέλητος ἐγράψατο. Ἐμοὶ δὲ τοῦτ’ἔστιν ἐκ παιδὸς ἀρξάμενον, φωνή τις γιγνομένη, ἣ ὄταν γένηται, ἀεὶ ἀποτρέπει με τοῦτο ὃ ἂν μέλλω πράττειν,προτρέπει δὲ οὔποτε. Toῦτ’ἔστιν ὅ μοι ἐναντιοῦται τὰ πολιτικὰ πράττειν, καὶ παγκάλως γέ μοι δοκεῖ ἐναντιοῦσθαι· εὖ γὰρ ἴστε, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, εἰ ἐγὼ πάλαι ἐπεχείρησα πράττειν τὰ πολιτικὰ πράγματα, πάλαι ἄν ἀπολώλη καὶ οὔτ’ἂν ὑμᾶς ὠφελήκη οὐδὲν οὔτ’ἂν ἐμαυτόν. Può certo sembrare strano che io me ne vada in giro a consigliare queste cose in privato, intromettendomi nei fatti altrui, mentre non oso presentarmi in pubblico alla vostra assemblea per dare consigli alla città. La causa di questo è ciò che voi mi avete spesso sentito dire in più luoghi e cioè che in me c’è un che di divino e di demonico, che anche Meleto ha riportato nell’accusa facendosi beffe di me. Questa cosa ha avuto inizio in me fin da bambino, è come una voce che, quando si manifesta, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, mai che mi incita. E’ questa che si oppone a che io faccia politica e fa benissimo, mi sembra. E infatti voi sapete bene, Ateniesi, che se io da tempo mi fossi messo ad impegnarmi nell’attività politica, già da tempo sarei morto e non sarei stato di beneficio né a voi né a me. Il brano è tratto dalla prima parte dell’Apologia: Socrate sta pronunciando la sua difesa (17a-35d); dopo aver confutato l’accusa di corrompere i giovani (24c-26b) e di non credere negli dei riconosciuti dalla città (26c-27e), riflette sulle cause che gli hanno attirato l’ostilità dei concittadini, dando rilievo alla sua opera educativa, che ha determinato in Atene un imponente 2 fenomeno di proselitismo, la cui portata, a livello di rinnovamento delle coscienze, è tale da condurre al processo per corruzione e per asebeia.2 L’evento determinante nella vita di Socrate, che è anche il motivo centrale della sua difesa, è il responso dell’oracolo di Apollo che lo avvia a quell’indagine sulla conoscenza che caratterizzerà tutta la sua vita.3 L’aver consacrato la propria esistenza ad un’inchiesta che gli è stata perniciosa, come egli stesso ricorda ( Che io possa essere considerato come uno che è stato donato alla città dal dio, lo potete vedere anche in ciò: infatti non appare umano che io non mi sia dato cura di tutte le mie cose e per tanti anni abbia insistito nel trascurare le cose di casa mia, per prendermi cura delle vostre, avvicinandomi a ciascuno individualmente, come un padre o un fratello maggiore, per convincervi a coltivare la virtù4 ), riceve legittimazione in quanto compimento della missione affidatagli dal dio ( la mia missione per conto del dio5 ); è evidente che l’agire in conformità alla volontà divina ( secondo la volontà del dio6) coincide con l’azione eticamente giusta ( ma solo a ciò deve badare quando agisce, se compie azioni giuste o ingiuste, cose degne di un uomo buono o malvagio7). Nel 399 a.C. il poeta Meleto, l’artigiano Anito e il retore Licone trascinano Socrate in tribunale con un’accusa sostenuta da Meleto stesso. Essa, secondo quanto dice Socrate stesso in Ap. 24c, recita così: “Socrate è colpevole di corrompere i giovani e di non onorare gli dei che la città riconosce, bensì nuove divinità.”Leggiamo il testo dell’accusa anche in Senofonte, Mem.,I,1: “Socrate è colpevole di non onorare gli dei che la città riconosce, ma di introdurre nuove divinità; è anche colpevole di corrompere i giovani.” e in Ap. Socr.10: “(…)i suoi avversari lo accusarono di non onorare gli dei che la città riconosce, ma di introdurre nuove divinità e di corrompere i giovani.” La versione di Senofonte è la stessa riferita da Favorino, citato da Diogene Laerzio, II,40: “ Quest’accusa ha sottoscritto e giurato Meleto, figlio di Meleto, del demo di Pitto, contro Socrate, figlio di Sofronisco, di Alopece: Socrate è colpevole di non onorare gli dei che la città onora e di introdurre nuove divinità; è colpevole anche di corrompere i giovani. Pena, la morte.” 3 Della storia parla Socrate stesso ( Ap.20e-21a ) : quando il suo amico Cherefonte chiede all’oracolo di Delfi se il filosofo è da considerarsi l’uomo più sapiente, la Pizia ammette che non vi è nessuno che lo sia più di Socrate. Il responso dell’oracolo spinge Socrate ad avviare la sua inchiesta con l’obiettivo di confutare l’opinione del dio: ma, con un evidente paradosso, l’iniziale intento confutatorio diviene il motivo ispiratore di tutta la sua attività di filosofo. 4 Platone, Ap. Socr., 31b: “ὄτι δ’ ἐγὼ τυγχάνω τοιοῦτος οἷος ὑπὸ θεοῦ τῇ πόλει δεδόσθαι, ἐνθένδε ἂν κατανοήσαιτε· οὐ γὰρ ἀνθρωπίνῳ ἔοικε τὸ ἐμὲ τῶν μὲν ἐμαυτοῦ πάντων ἠμεληκέναι καὶ ἀνέχεσθαι τῶν οἰκείων ἀμελουμένων τοσαῦτα ἤδη ἔτη, τὸ δὲ ὑμέτερον πράττειν ἀεί, ἰδίᾳ ἑκάστῳ προσιόντα ὥσπερ πατέρα ἢ ἀδελφὸν πρεσβύτερον πείθοντα ἐπιμελεῖσθαι ἀρετή.” 2 5 Platone, Ap. Socr. 30a: “ἤ τὴν ἐμὴν τῷ θεῷ ὑπερεσίαν.” 6 Platone, Ap. Socr. 22a, 23b: “ κατὰ τὸν θεὸν.” 7 Platone, Ap. Socr. 28c: “ ἀλλ’οὐκ ἐκεῖνο μόνον σκοπεῖν ὅταν πράττῃ, πότερον δίκαια ἢ ἄδικα πράττει, καὶ ἀνδρὸς ἀγαθοῦ ἔργα ἢ κακοῦ.” 3 E’ l’idea di fondo che anima tutta l’Apologia e quindi la storia di Socrate: il dio stabilisce per ognuno il compito specifico da svolgere nella vita, determinando in questo modo una sorta di destino personale dell’uomo (Così è, in verità, o Ateniesi: dove uno si collochi, ritenendo che sia la migliore posizione, oppure dove si venga collocati da un superiore, lì deve rimanere, a mio avviso, a costo di correre dei pericoli, senza considerare la morte o null’altro di maggiore importanza del disonore.8) A questo scopo il daimonion è il custode dell’esistenza di Socrate e ne salvaguarda la vita ogni volta che il filosofo sta per prendere decisioni che mettano a repentaglio la sua incolumità: ed è per questo motivo che lo ha tenuto lontano dall’attività politica. L’astensione dalla vita politica diviene a questo punto l’argomento centrale dell’Apologia. Socrate sente di dover giustificare la scelta di svolgere la propria opera in forma privata ( ὅτι δὴ ἐγὼ ἰδία μὲν ταῦτα συμβουλεύω) privilegiando il ruolo di educatore impegnato nella formazione della classe dirigente ateniese.9 A sostegno della valutazione che il monito ha operato proprio bene tenendolo lontano dalla scena politica per farne salva la vita, Socrate riferisce di due episodi significativi della sua passata attività pubblica, quello delle Arginuse e quello di Leone di Salamina, nei quali ha rischiato la vita, contravvenendo ad ordini considerati ingiusti. 10 8 Platone, Ap. Socr. 28d: “Οὕτω γὰρ ἔχει, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, τῇ ἀληθείᾳ·οὗ ἄν τις ἑαυτὸν τάξῃ ἡγησάμενος βέλτιστον εἶναι ἢ ὑπ’ ἄρχοντος ταχθῇ, ἐνθαῦθα δεῖ, ὡς ἑμοὶ δοκεῖ, μένοντα κινδυνεύειν, μηδὲν ὑπολογιζόμενον μήτε θάνατον μήτε ἄλλο μηδὲν πρὸ τοῦ αἰσχροῦ.” 9 Il tema dell’allontanamento dalla vita politica è presente anche nella Repubblica ( Resp. 496c ) in cui Socrate, in modo non dissimile, dichiara di non aver preso parte al dibattito politico contemporaneo per impedimento del daimonion dimostrando che l’inazione politica determinata dall’intervento demonico è alla base del suo ripiegamento verso gli studi filosofici. 10 Platone, Ap. Socr. 32: dopo la battaglia delle Arginuse del 406 a.c., i generali si erano rifiutati di soccorrere i naufraghi e di raccogliere i cadaveri; ciò determinò le proteste dei parenti delle vittime che erano riusciti a far intentare contro di essi un processo. Uno dei buleuti, Callisseno, fece mettere ai voti che i generali fossero giudicati in blocco, senza essere ascoltati individualmente. La proposta sembrò illegale a Socrate, che fu l’unico a votare contro: così, con 49 voti a favore e uno contrario, i generali furono condannati a morte. In quella sede molti dei buleuti e altre persone che assistevano al processo chiesero che anche chi era contrario alla condanna fosse condannato a morte insieme ai generali. La propria indipendenza avrebbe potuto portare Socrate alla morte, com’è evidente; ma l’adesione alla proposta della maggioranza lo avrebbe certamente reso complice di un atto di grave illegalità, del quale gli Ateniesi ebbero poi a pentirsi, al punto che lo stesso Callisseno fu incarcerato e riuscì a sfuggire alla condanna solo con la fuga. Il secondo episodio risale al breve periodo di governo dei Trenta. Nel 404 essi condannarono a morte Leonte di Salamina, un uomo molto stimato, ma di note simpatie democratiche; tra i cinque uomini incaricati dell’arresto figurava lo stesso Socrate, il quale, consapevole dell’ingiustificatezza della condanna, si rifiutò di partecipare all’arresto, in ossequio al proprio ideale di giustizia. 4 In sostanza la voce ha distolto molteplici volte Socrate dal fare qualcosa di giusto come impedire alla città di prendere decisioni inique, e ha salvaguardato così la sua incolumità fisica: in questo senso ha fatto bene ( παγχάλως ), ed è stato paradossalmente giusto che lo abbia distolto da un atto giusto. Grazie all’intervento quasi provvidenziale della voce, Socrate può continuare a consacrare la sua esistenza al compimento della missione affidatagli dal dio, riesce a rivendicare la sua indipendenza sia dal governo democratico che da quello dei Trenta e difende la sua posizione critica all’interno della città di Atene. In questo passo Socrate descrive le modalità di intervento del segno demonico che sono sempre di tipo ostativo: esso funziona per lo più come causa impediente che non spinge mai all’azione (προτρέπει δὲ οὔποτε ), ma anzi lo trattiene, o meglio lo allontana ( ἀεὶ ἀποτρέπει....πράττειν ). Lascia nel vago la definizione della sua natura: si tratta di una voce da cui Socrate si dice ispirato e che parla dentro di lui ( ἐμοὶ δὲ τοῦτ’ἔστιν ), ma non è di natura esclusivamente interiore, come è dimostrato dall’espressione θεῖόν τι καὶ δαιμόνιον, un che di divino e di demonico, che rinvia ad una realtà oggettiva ed in qualche modo esterna. Contribuisce a creare indeterminatezza l’uso del neutro δαιμόνιον, anche altrove usato nella sua funzione aggettivale11. Il demonico opera come un potere “sovra-naturale” di cui Socrate ha consapevolezza fin dalla fanciullezza ( ἐκ παιδὸς ἀρξάμενον ) e della quale ha più volte accennato nel suo vario girovagare pedagogico-dialogico ( πολλάκις... ἀκηκόατε ). E’ pure evidente che è una forza operante in determinati momenti ( ἡ ὅταν γένηται ) e penetra in lui dall’esterno, ma in modo del tutto indipendente dalla sua volontà; né d’altronde il suo intervento sembra a Socrate prevedibile ( ὅταν + cong.) e non è chiaro il meccanismo che è sotteso ai suoi interventi. Non agisce come un ragionamento – la sua opposizione, in quanto forza, è immediatamente operativa (ἐναντιοῦται ) - semmai la sua azione è convalidata da un 11 Plat. Alc. I 103a, Phaedr. 242c, Resp. 496c, Theag. 128d,Euth. 272e. 5 ragionamento a posteriori che porta Socrate a valutare positivamente le conseguenze dell’intervento. Infatti, nonostante la determinazione in negativo della forza, essa consegue effetti benefici per Socrate: come egli stesso ammette ( παγχάλως γέ μοι δοκεῖ ) spesso è stato frenato dalla voce, nonostante una sua precisa volontà di agire (ἀποτρέπει...μέλλω πράττειν )12, ma quel che più conta è che la voce lo ha distolto dall’agire politico, evitandogli così la rovina. Ap.40a-b-c: Ὑμῖν γὰρ ὡς φίλοις οὖσιν ἐπιδεῖξαι ἐθέλω τὸ νυνί μοι συμβεβηκὸς τί ποτε νοεῖ. ἐμοὶ γάρ ,ὦ ἄνδρες δικασταί - ὑμᾶς γὰρ δικαστὰς καλῶν ὀρθῶς ἂν καλοίην - θαυμάσιόν τι γέγονεν. Ἡ γὰρ εἰωθυῖά μοι μαντικὴ ἡ τοῦ δαιμονίου ἐν μὲν τῷ πρόσθεν χρόνῳ παντὶ πάνυ πυκνὴ ἀεὶ ἦν καὶ πάνυ ἐπὶ σμικροῖς ἐναντιουμένη, εἴ τι μέλλοιμι μὴ ὀρθῶς πράξειν. νυνὶ δὲ συμβέβηκέ μοι ἅπερ ὁρᾶτε καὶ αὐτοί, ταυτὶ ἅ γε δὴ οἰηθείη ἄν τις καὶ νομίζεται ἔσχατα κακῶν εἶναι· ἐμοὶ δὲ οὕτε ἐξιόντι ἕωθεν οἴκοθεν ἠναντιώθη τὸ τοῦ θεοῦ σημεῖον, οὔτε ἡνίκα ἀνέβαινον ἐνταυθοῖ ἐπὶ τὸ δικαστήριον, οὔτε ἐν τῷ λόγῳ οὐδαμοῦ μέλλοντί τι ἐρεῖν. Καίτοι ἐν ἄλλοις λόγοις πολλαχοῦ δή με ἐπέσχε λέγοντα μεταξύ· νῦν δὲ οὐδαμοῦ περὶ ταύτην τὴν πρᾶξιν οὔτ’ ἐν ἔργῳ οὐδενὶ οὔτ’ ἐν λόγῳ ἠναντίωταί μοι. τί οὖν αἴτιον εἶναι ὑπολαμβάνω; ἐγὼ ὑμῖν ἐρῶ· κινδυνεύει γάρ μοι τὸ συμβεβηκὸς τοῦτο ἀγαθὸν γεγονέναι, καὶ οὐκ ἔσθ’ ὅπως ἡμεῖς ὀρθῶς ὑπολαμβάνομεν, ὅσοι οἰόμεθα κακὸν εἶναι τὸ τεθνάναι. μέγα μοι τεκμήριον τούτου γέγονεν· οὐ γὰρ ἔσθ’ ὅπως οὐκ ἠναντιώθη ἄν μοι τὸ εἰωθὸς σημεῖον, εἰ μή τι ἔμελλον ἐγὼ ἀγαθὸν πράξειν. 12 A proposito del verbo μέλλω, T. Brickhouse e N. Smith in Socrates on Trial, Oxford, 1989, pp.168-9 e nella lettera al “Times Literary Supplement”, 26 gennaio-1 febbraio 1990, sostengono che Socrate aveva già deciso di intraprendere l’attività politica, quando viene dissuaso dall’intervento del segno, concludendo che la voce interviene sempre impedendo la realizzazione di una risoluzione già presa su basi razionali. Tale tesi è contrastata da G. Vlastos il quale, in Socrate. Il filosofo dell’ironia complessa, Firenze,199 ,pp.379-80, sottolinea che nulla nel testo di Platone ci informa su una decisione già stabile e tanto meno su un’azione già intrapresa. Insomma il monito divino si salda perfettamente con l’intima voce della coscienza di Socrate. 6 A voi che mi siete amici voglio dimostrare dove mira quanto mi è accaduto. Ebbene, o giudici – perché a buon diritto io posso chiamarvi giudici – quello che mi è accaduto è straordinario. Infatti la consueta ispirazione profetica della potenza demonica nel passato era sempre molto frequente e mi è stata assai di impedimento in faccende di poca importanza, se per caso stavo per agire non correttamente. Ma ora mi è successo quello chε anche voi vedete, proprio ciò che non si esiterebbe a ritenere il più grande dei mali; ebbene il segno del dio non mi ha trattenuto né mentre uscivo di casa, né quando mi sono presentato qui in tribunale, né durante la mia difesa, se pur di poco conto fosse quanto stavo per dire. Eppure altre volte in altri discorsi mi ha trattenuto dal parlare nel bel mezzo; invece ora in questa circostanza in nessun modo mi ha distolto né dall’agire né dal parlare. Quale devo pensare che sia la causa? Vi dirò: forse quello che mi è capitato è stato un bene e abbiamo torto se riteniamo che morire sia un male. Io ho avuto una prova determinante di ciò: ed è che non me lo avrebbe permesso il solito segno, se non fossi stato sul punto di fare qualcosa di buono. Ap.41d: Διὰ τοῦτο καὶ ἐμὲ οὐδαμοῦ ἀπέτρεψεν τὸ σημεῖον, καὶ ἔγωγε τοῖς καταψηφισαμένοις μου καὶ τοῖς κατηγόροις οὐ πάνυ χαλεπαίνω. Ed è per questo che il segno non mi si è per nulla opposto, ed io perciò non ce l’ ho con i miei accusatori e con coloro che hanno votato contro di me. Nell’ultima sezione della sua autodifesa, dopo che è stato pronunciato il verdetto di condanna a morte (35d-38b), Socrate rivolge ai giudici alcune parole di commiato ( 38e-42a ): a coloro che si sono espressi per la colpevolezza dedica una predizione ( χρησμῳδῆσαι ). Egli sa bene che un gran numero di seguaci continuerà l’opera del maestro, attaccando la condotta non corretta dei loro concittadini; e questi potranno sfuggire ai giusti rimproveri non con l’eliminazione fisica degli avversari, ma solo orientando la loro anima verso il bene. A quanti 7 hanno confidato nella sua innocenza, Socrate dice che la sua imminente morte non è di per sé un male: ne è testimonianza il mancato intervento del daimonion, fedele custode della sua vita in altre circostanze. Nel passo riportato si attribuisce un chiaro valore profetico al segno demonico: l’uso del vocabolo μαντικὴ fa pensare all’ispirazione dell’indovino nell’atto della vaticinazione e identifica il demonico con una forza che opera dall’esterno e penetra nell’individuo come un influsso di origine divina. Sempre all’ambito oracolare è da riferirsi l’espressione τί ποτε νοεῖν, dove l’uso del verbo νοεῖν riconduce alla visione dell’interprete del messaggio divino 13. Il daimonion è il segno del dio ( σημεῖον τοῦ θεοῦ )che si manifesta all’uomo per il suo bene, è esso stesso una potenza divina, intermedia tra gli uomini e gli dei, non soltanto una indeterminata “voce” che – sorta nell’intimo – si manifesta come una forza la cui natura non è ben definita. Del segno del dio è sottolineata ancora una volta l’assiduità del suo apparire ( εἰωθυῖα ) a partire già dall’età infantile.14 La modalità attraverso cui si concretizza la sua azione è quella dell’opposizione – talvolta anche vigorosa ( πάνυ...ἐναντιουμένη ) ora all’azione (εἴ τι μέλλοιμι...πράξειν ) ora alla parola ( οὐτε ἐν τῷ λόγῳ οὐδαμοῦ μέλλοντί τι ἐρεῖν ). Dalla non opposizione del daimonion Socrate riconosce che l’accettazione della condanna a morte è un evento necessario; egli sente ormai di aver portato a termine la sua missione.15Altre volte invece esso è intervenuto a distoglierlo da un’azione non corretta: εἴ τι 13 14 Cfr. Plat.,Phaedr. 242c. Cfr. Platone, Ap. Socr.31c. 15 Senofonte in Mem. IV, 8, 1 banalizza le ben più profonde argomentazioni di Platone, rinunciando ad affrontare il discorso sulla morte negli stessi termini; la divinità, più semplicemente, solleva Socrate dall’età più difficile per l’uomo, offrendogli la possibilità di acquisire celebrità attraverso la scelta, coraggiosa, della morte giusta (“Se poi qualcuno, dal momento che fu condannato a morte nonostante andasse dicendo che il daimonion gli indicava le cose che doveva fare e non doveva fare, pensa di accusarlo di essersi ingannato riguardo al daimonion, consideri dapprima che già allora era avanti nell’età, sicchè – se pure non proprio in quel momento – certo non molto dopo sarebbe morto; e poi che rinunciò alla parte più spiacevole delle, nella quale tutti si vedono diminuire le facoltà mentali, e invece si procurò fama per la sua forza d’animo, dopo essersi difeso nel modo in assoluto più sincero, libero e giusto e avendo sopportato la condanna a morte nel modo più sereno e virile.”) 8 μέλλοιμι...πράξειν.. E’ significativo qui l’uso dell’avverbio παγχάλως: il monito divino interviene – secondo quanto emerge dall’Apologia – per spingere il filosofo alla scelta dell’azione più opportuna per la sua vita. Ancora una volta il filosofo ha ben presente il suo ruolo: educare i suoi concittadini alla tensione verso la giustizia, che è l’unica virtù che può assicurare l’osservanza del giusto anche nelle decisioni collettive. La fondatezza del concetto di legalità, che è ben radicato in Socrate a prescindere dai moniti della voce demonica, trova conferma nella scelta di sottoporsi al processo capitale, rimarcando il suo atteggiamento di obbedienza alle leggi che garantiscono la sopravvivenza dello stato, anche quando l’errore umano ne può minare la credibilità. La scelta di Socrate perciò è suffragata dal tacito assenso del daimonion che non gli impedisce di concludere la sua vicenda terrena allo scopo di rendere esemplare, attraverso la sua stessa morte, un percorso esistenziale tutto incentrato sul perseguimento dell’ideale di giustizia, come suprema realizzazione della virtù. La latitanza del segno demonico proprio nel momento più cruciale dell’esistenza di Socrate, per quanto possa apparire strana ( θαυμάσιόν τι ), segue questa logica, portata alle estreme conseguenze. Il daimonion ha mancato di manifestarsi già da quando Socrate è uscito di casa, fino al momento del suo discorso; esso avrebbe potuto impedire a Socrate di uscire di casa, o di presentarsi in tribunale, o di tenere il suo discorso con non convincente arroganza. Lo stesso filosofo rifiuta l’ipotesi della fuga, in quanto non accetta l’idea di poter vivere vagando di città in città; così spiega i motivi che lo hanno indotto a non chiedere una pena più mite.16 E’ evidente che Socrate ritiene che il suo compito è tutto interno alla città di Atene, il proprio posto ( τάξιν )17 è in quella data città, in quel preciso ruolo. 16 Platone, Ap.Socr., 37c-e. 17 Platone, Ap.Socr., 29 b. 9 Tale consapevolezza non aveva motivo di vacillare la mattina del processo e, non avendo dubbi Socrate sulla necessità di presentarsi in tribunale, non c’è stato alcun bisogno dell’intervento del daimonion. Per tutti questi motivi Socrate può evitare con convinzione un atteggiamento di perorazione che ritiene indegno della sua personalità: atteggiamento inutile, in quanto la sua esistenza è giunta al punto in cui la scelta della morte è l’unica possibile per un uomo della sua età che sente di non aver più molto da dare e che voglia evitare di allinearsi ad una politica ingiusta e malvagia. Così la sua stessa morte diviene l’estremo compimento della sua missione e, in quanto tale, è un atto giusto. Si chiarisce il rapporto tra daimonion e daimon: il primo è il mezzo insostituibile, di origine divina, attraverso cui si realizza la perfettibilità dell’anima, è emanazione del daimon18 che è il destino personale e la forza che preserva l’individuo. 19 E’ interessante verificare se l’intervento del daimonion sia l’unico elemento che consente a Socrate di operare scelte per il bene, o se esso si affianca ed interagisce con un piano più propriamente razionale. E’ una questione di non secondaria importanza, sulla quale gli studiosi si sono più volte soffermati. 18 Come è stato osservato da P. Chantraine in Aspects du vocabulaire grec et de sa survivance en français, Paris, 1954, daimon appartiene a quella serie di vocaboli che subiscono, nello sviluppo diacronico della lingua, un’evoluzione che corrisponde ad un mutamento anche di ordine culturale. In Omero troviamo il termine δαίμων quando non si vuol ripetere il nome di una divinità già nominata in precedenza, oppure quando non si vuole definire con determinatezza, nella individuazione personale, una divinità. Talvolta però δαίμων è una potenza misteriosa che coincide con il destino dell’uomo (cfr. P.Chantraine, ib.: « le mot figure ainsi dans l’Odyssée pour designer de faòon vague la divinitè, ou, plus généralement, una puissance mystérieuse, bienfaisante ou malfaisante, qui intervient dans les affaires humaines ; si bien qu’en quelques passages daimon se confond à peu près avec la notion du destin ».). Una prima evoluzione del termine è attestata in Esiodo, che nelle Opere e i giorni individua i δαίμονες come gli uomini dell’età dell’oro dopo la morte. L’aspetto più importante della testimonianza di Esiodo è la funzione assegnata ai demoni: essi sono guardiani degli uomini, ovvero svolgono un compito di controllo sui mortali. Questi sono i demoni ἐσθλοί, cioè naturalmente ben disposti nei confronti dell’umanità. 19 Una delle prime testimonianze nella quale troviamo il termine neutro δαιμόνιον è di origine pitagorica: proviene da Aristosseno, citato da Stobeo ( frgt 41, ed. Wehrli e Diels ): “Riguardo alla sorte dicevano le cose seguenti: che una parte di essa ha un che di demonico( τί καὶ δαιμόνιον ), poichè si manifesta ( γένεσθαι ) come un’ispirazione da parte della divinità ( παρὰ τοῦ δαιμονίου ) per alcuni uomini verso il meglio o verso il peggio e com’è evidente in seguito a ciò alcuni sono fortunati, altri hanno cattiva sorte.”. E’ facile fare un accostamento tra questo frammento e alcuni passi platonici, a partire da Ap. 31c, in cui ritroviamo un’espressione analoga ( θεῖόν τι καὶ δαιμόνιον ) ; troviamo qui anche il verbo γίγνομαι più volte usato da Platone per rappresentare la manifestazione del fenomeno demonico. Inoltre il riferimento ad una sorta di ispirazione di origine divina ( παρὰ τοῦ δαιμονίου ) è assimilabile alla natura del segno che si manifesta più volte nel corso della vita di Socrate. 10 In un suo scritto 20, G. Vlastos ha dimostrato che non esiste alcun conflitto tra la fiducia di Socrate nelle sue capacità razionali e il suo prestare ascolto ai segnali del daimonion, a cui si affiancano anche sogni e altri responsi oracolari, sicchè esso stesso diviene una sorta di oracolo personale. Pertanto tra l’affermazione fatta da Socrate nel Critone: “…così non ora per la prima volta ma sempre io ho dato ascolto a null’altro che a quel ragionamento che, secondo la mia riflessione, mi sembrava il migliore”21e l’importanza che egli attribuisce al potere dissuasivo del suo daimonion non c’è contraddizione, in quanto, secondo le conclusioni a cui perviene lo stesso Vlastos, i due elementi di giudizio a cui Socrate fa appello appartengono a piani diversi ma complementari. Gli ammonimenti del daimonion richiedono, per interpretarne il senso e riconoscerne la validità, l’attivazione delle facoltà razionali da parte di Socrate, che attraverso la sua attività elenctica può ravvisare il senso del segnale demonico e confermare a posteriori la giustezza del suo intervento. Secondo il suo personale sistema religioso, Socrate ravvisa nel daimonion una fonte di conoscenza di tipo etico ( “ …as a source of moral knowledge apart from reason and superior to it…”) la cui utilità viene riconosciuta dall’interpretazione che ne dà lo stesso Socrate, attraverso l’analisi razionale del suo messaggio. In questo senso si sana l’apparente contraddizione tra i due processi conoscitivi22. Socrate è stato prescelto dalla divinità perché realizzi il proprio compito personale rendendo alla portata dei cittadini ateniesi ciò che il dio stesso desidera che essi facciano per il bene della loro città: il conseguimento della virtù, ovvero la realizzazione del giusto, attraverso la cura della loro anima. 20 21 22 G. Vlastos, Socratic piety, in Socrates and Greek religion, pp. 144-166. Plat. Critone, 46b: “ὠς ἐγὼ οὐ νῦν πρῶτον ἀλλὰ καὶ ἀεὶ τοιοῦτος οἷος τῶν ἐμῶν μηδενὶ ἄλλῳ πείθεσθαι ἢ τῷ λόγῳ ὃς ἄν μοι λογιζομένῳ βέλτιστος φαίνηται.” Cfr. Vlastos, op. cit., p. 152: “These two commitments cannot conflict because only by the use of his own unfettered critical reason can Socrates determin the true meaning of any of these signs.” 11 L’estrema conclusione di questo ragionamento è che Socrate, come egli stesso afferma, è stato assegnato ad Atene come un dono 23per il contributo importante che è chiamato a dare attraverso la sua opera di filosofo e – per quanto abbiamo detto fin qui – di interprete del messaggio divino. In un interessante articolo che si occupa proprio del paradosso socratico tra razionalismo critico e obbligazione morale al dictat della divinità, M.L.Macpherran24sostiene che il daimonion interviene con i suoi segnali quando il processo di conoscenza non è conseguibile attraverso le facoltà razionali che si realizzano nel procedimento elenctico di indagine socratica; esso quindi è un canale di conoscenza parallelo ed integrativo al primo 25. Il rapporto dialettico e non conflittuale che si realizza tra le due forme di conoscenza non finisce qui: anche per lo studioso canadese la voce demonica è soggetta ad interpretazione e conferma a posteriori attraverso l’inchiesta socratica. Questo accade specialmente quando il segno demonico si riferisce ad eventi futuri che possono sfuggire ad una ragionevole previsione umana26, oppure nel caso di avvenimenti pregnanti dal punto di vista della scelta morale, laddove le argomentazioni razionali possono apparire fallaci e la guida del fattore extrarazionale e divino è necessaria 27. Il daimonion esplica un potere intermedio tra la divinità e l’uomo, ovvero proviene dalla divinità; il suo ultimo obiettivo è preservare l’uomo proiettato verso il retto agire. Socrate consegna alla descrizione della propria storia personale il compito di dimostrare la profondità del rapporto con il divino, tale da rendere la sua stessa vita l’esempio della realizzazione di quella categoria del religioso che potremmo definire intermedia, che travalica i limiti dell’umanità e si avvicina alla configurazione del θειὸς ανήρ : quella appunto del demonico. 23 Cfr. Ap. 30b, 31a. 24 M. L. Macpherran, Socratic reason and socratic revelation, in Journal of the history of philosophy, XXIX, Berkley, 1991. 25 26 27 Cfr. G. Giannantoni, op. cit., p.116, secondo cui le “ incursioni nel divino” che caratterizzano la filosofia di Socrate sono integrative e non sostitutive dei processi razionali. Cfr. Macpherran, op. cit., pag. 356: “hence Socrates puts great trust in the daimonion, although like many future events, opaque to reasoned calculation .“ Cfr. ibidem: “But then, as it stands, this corse of revision is dangerously incomplete, insofar as all sorts of morally blameworthy actions might be suggested by extrarational promptings..” 12 Eutiphr. 3b. Ευθ. Βουλοίμην ἄν, ὦ Σώκρατες, ἀλλ’ ὀρρωδῶ μὴ τοὐναντίον γένηται· ἀτεχνῶς γάρ μοι δοκεῖ ἀφ’ ἑστίας ἄρχεσθαι κακουργεῖν τὴν πόλιν, ἐπιχειρῶν ἀδικεῖν σέ. Καί μοι λέγε, τί καὶ ποιοῦντά σέ φησι διαφθείρειν τοὺς νέους; Σω. Ἄτοπα, ὦ θαυμάσιε, ὡς οὕτω γ’ ἀκοῦσαι. φησὶ γάρ με ποιητὴν εἶναι θεῶν, καὶ ὡς καινοὺς ποιοῦντα θεοὺς τοὺς δ’ ἀρχαίους οὐ νομίζοντα ἐγράψατο τούτων αὐτῶν ἕνεκα, ὤς φησιν. Ευθ. Μανθάνω, ὦ Σώκρατες· ὅτι δὴ σὺ τὸ δαιμόνιον φῂς σαυτῷ ἑκάστοτε γίγνεσθαι. Ὡς οῦν καινοτομοῦντός σου περὶ τὰ θεῖα γέγραπται ταύτην τὴν γραφήν, καὶ ὡς διαβαλῶν δὴ ἔρχεται εἰς τὸ δικαστήριον, εἰδὼς ὅτι εὐδιάβολα τὰ τοιαῦτα πρὸς τοὺς πολλούς. EUTIFRONE - Lo vorrei, Socrate, ma ho paura che accada il contrario. Infatti mi sembra assolutamente che si voglia arrecare danno alla città dalle fondamenta tentando di accusare te. Ma dimmi, in che modo, secondo loro, tu corrompi i giovani? SOCRATE - E’ strano, carissimo, come potrai ascoltare. Infatti dice che io mi sia inventato nuove divinità e mi fa quest’accusa: di introdurre nuove divinità e di non rispettare le antiche, così dice. EUTIFRONE - Capisco, Socrate: il fatto è che tu vai dicendo che ti si manifesta sempre il daimonion. Fa quest’accusa perché tu introduci delle innovazioni riguardo alla divinità e ti va calunniando presso i giudici, ben sapendo che tali cose sono soggette a fraintendimenti presso il popolo. 13 E’ l’esordio dell’Eutifrone28: Socrate esamina insieme ad Eutifrone l’accusa di empietà che gli è stata intentata da Meleto. Che Socrate introduca nuove divinità non rispettando ( οὐ νομίζοντα )29i culti cittadini – secondo quanto dice Meleto – è messo da Eutifrone in relazione con il segno demonico; è interessante che qui per la prima volta si dice esplicitamente che Meleto ha intenzionalmente operato una forzatura nell’interpretazione del daimonion, per farne un capo d’accusa e per isolare Socrate dal contesto in cui agisce. Ideale premessa alle cause del processo, il dialogo approfondisce quegli aspetti teorici relativi al rapporto di Socrate con il divino, che restano esclusi dal dibattimento. Socrate ricerca la definizione di ὄσιον o di εὐσεβές, confutando progressivamente le affermazioni di Eutifrone; il dialogo è destinato ad avere esito aporetico e la rinuncia dello stesso Eutifrone all’indagine evidenzia l’impossibilità della definizione di questa singola virtù. L’unico punto fermo 30 del dialogo è l’idea che il santo, inteso come θεραπεία τῶν θεῶν sia una parte del giusto; ciò che sfugge ad Eutifrone, anche di fronte all’incalzare elenctico di Socrate, è la natura di tale θεραπεύειν. La profondissima intuizione di Socrate, del tutto originale alla sua epoca da apparire subito in tutta la sua forza innovatrice e dirompente, è nell’aver presentito la mancanza di un piano morale al sistema religioso tradizionale. 31 Il termine daimonion è usato in funzione sostantivata (τὸ δαιμόνιον ),32quasi a voler conferire ad esso maggiore concretezza, in modo da renderne possibile l’identificazione con una delle nuove divinità ( καινοὺς θεούς ) alle quali fa riferimento l’accusa. 28 29 Un indovino di nome Eutifrone è nominato anche in Cratilo 396d: “-In verità, Socrate, tu hai tutta l’aria di coloro che, presi da un’ispirazione all’improvviso cominciano a vaticinare. -Sì, Ermogene, e dico che soprattutto da Eutifrone di Prospalta questa sapienza mi è venuta addosso; infatti dall’alba sono stato a lungo con lui e ero tutt’orecchi ad ascoltarlo. E temo che egli, ispirato com’è, non solo mi abbia riempito gli orecchi di quella sua divina sapienza, ma che me l’abbia attaccata anche all’anima.” Alcuni studiosi si sono soffermati sull’uso del verbo νομίζειν che figura in tutte le citazioni dei capi d’accusa ( Plat.,Ap. Socr. 24c; Xen. Mem. I,1 e Ap. Socr. 10; Diog. Laert. II, 40): esso è adoperato con una valenza che investe la sfera “giuridicosacrale”. Cfr. G. Giannantoni, La religiosità di Socrate secondo Platone, in Lezioni Socratiche, Napoli, 1997, pp.114-115: “νομίζειν non è un interiore “tener per vero” o una fede, ma è un comportamento corretto, pubblicamente controllabile.”. M. Narcy in La religion de Socrate dans les Mémorables de Xénophon, op. cit., Napoli, 1997, p.16, traduce così Xen.Mem. I,1,1 : « Socrate est coupable ( ἀδικεῖ ) parce que les dieux légaux de la cité n’ont pas pour lui force de loi ( οὓς μὲν....οὐ νομίζειν ), mais qu’il introduit autre chose, qui est inédit, des daimonia ( ἔτερα δὲ καινὰ δαιμονία εἰσφέρων). » 30 Cfr. Plat. Eutiphr. 14e. 31 Cfr. W. Nestle, Storia della religiosità greca, Firenze, 1973, pp. 260-268. Lo studioso enfatizza il ruolo di Socrate nella ricerca di un fondamento morale alla base di valori quali la religione, la giustizia e gli ordinamenti sociali. 14 Il tentativo interpretativo dell’indovino è ripreso anche da Senofonte nei Memorabili e nell’Apologia di Socrate33; a differenza di questi però, Eutifrone mette in relazione i due capi d’accusa di Meleto. Socrate pertanto corromperebbe la gioventù introducendo nuove divinità, ovvero parlando dell’opera di un daimonion che lo induce a svolgere in determinati momenti la sua opera educativa,34nei confronti di chi viene prescelto. 35 Dal momento che la cura dell’anima che Socrate insegna ai suoi compagni è densa di spirito critico, facilmente può essere considerata dai suoi detrattori un’opera di corruzione svolta attraverso la corrosione del modello religioso tradizionale. Plat. Alc. I 103a. Σω. Ὦ παῖ Κλεινίου, οἶμαί σε θαυμάζειν ὅτι πρῶτος ἐραστής σου γενόμενος τῶν ἄλλων πεπαυμένων μόνος οὐκ ἀπαλλάττομαι, καὶ οἱ μὲν ἄλλοι δ̓ι’ ὄχλου ἐγένοντό σοι διαλεγόμενοι, ἐγὼ δὲ τοσούτων ἐτῶν οὐδὲ προσεῖπον. τούτου δὲ τὸ αἴτιον γέγονεν οὐκ ἀνθπρώπειον, ἀλλά τι δαιμόνιον ἐναντίωμα, οὗ σὺ τὴν δύναμιν καὶ ὕστερον πεύσῃ. νῦν δὲ ἐπειδὴ οὐκέτι ἐναντιοῦται, οὕτω προσελήλυθα· εὔελπις δ̓ εἰμὶ καὶ τὸ λοιπὸν μὴ ἐναντιώσεσθαι αὐτό. 32 Cfr. anche Plat. Theaet. 151 a, Thaeag. 129 e; Xenoph. Mem I, 1, 2; IV, 8, 1; IV 8, 5 e Ap. Socr. 5. A proposito dell’uso del neutro daimonion, A.J. Festugière in Contemplation et vie contemplative selon Platon, Paris, 1936, p. 270, sottolinea che l’uso del neutro sostantivato τὸ δαιμόνιον è il culmine di una graduale evoluzione lessicale che accompagna la progressiva perdita del valore di persona del δαιμων.. 33 Xen. Mem. I,1,2: “Riguardo alla prima accusa: di non riconoscere gli dei in cui crede la città, quale prova hanno addotto? Infatti era palese che spesso compiva sacrifici in privato come pure presso gli altari pubblici e non era un segreto che si serviva dell’arte divinatoria: era noto infatti che Socrate diceva che il daimonion gli inviava segni. Proprio per questa cosa mi sembra che lo abbiano accusato di introdurre nuove divinità”; Xen. Ap. Socr. 12: “Ma io, o giudici, per prima cosa mi chiedo con stupore a cosa pensi Meleto quando dice che io non riconosco gli dei che onora la città; poiché anche gli altri si sono trovati ad avermi visto – e lo stesso Meleto poteva vedermi, se voleva – mentre compivo sacrifici nelle feste religiose pubbliche e sugli altari della città. Ma come avrei io potuto introdurre nuove divinità solo dicendo che mi si manifesta la voce di dio che mi indica che cosa bisogna fare?” 34 Vedi Plat. Alc I, 103 a. 35 Vedi Plat. Theaet.151 a; Thaeag. 129 e. 15 Figlio di Clinia, credo che tu possa trovare strano che io - che sono stato il primo ad essere innamorato di te - ora che gli altri si sono stancati, io solo non ti lascio; e ti sembrerà pure strano che quando gli altri ti molestavano con le loro chiacchiere, io invece in tanti anni neppure ti ho mai rivolto la parola. La causa di ciò è stato un impedimento non umano ma demonico: la forza del demonico tu la riconoscerai anche in seguito. Ma ora, giacchè non mi trattiene più, ecco che io mi sono potuto avvicinare a te: ed io ho la speranza che anche in avvenire non mi tratterrà più. Nell’Alcibiade I, come in altri dialoghi36, l’azione benefica del daimonion si estende a persone vicine a Socrate. Il daimonion infatti interviene impedendogli di frequentare alcune persone, ma qualora venga a mancare l’impedimento si rende possibile il contatto che dà luogo sempre ad effetti positivi. L’elemento demonico con il suo silenzio consente a Socrate di esercitare la sua arte maieutica; pertanto egli è – proprio per l’input divino che riceve –“ educatore per vocazione “.37 Il passo in questione è l’esordio ex abrupto dell’Alcibiade I, di cui sono taciuti l’antefatto e l’ambientazione. Socrate spiega ad Alcibiade i motivi che lo hanno spinto a parlare con lui solo dopo molti anni di conoscenza: egli è stato impedito alla sua frequentazione dal daimonion che in passato aveva manifestato la sua opposizione; ora è finalmente possibile che avvenga la relazione, dal momento che il segno demonico non è più di ostacolo. 36 Plat. Theaet. 151a, Theag. 129e; cfr. Xenoph. Mem. I, 1, 4; Symp. 8, 5. 37 Cfr. W. K. C.Guthrie, Socrate, 1986. 16 Socrate stesso ci riferisce che l’impedimento del segno avvia un processo di riflessione critica sulle persone e sugli eventi: ha considerato infatti attentamente la natura e la personalità di Alcibiade, che é un giovane orgoglioso e superbo, estremamente consapevole di sé, della sua superiorità per bellezza e ricchezza. Egli è inoltre sicuro delle sue possibilità di successo, grazie all’importanza della sua famiglia e, soprattutto, dell’appoggio di Pericle. Alcibiade ha ora deciso di prendere parte all’assemblea del popolo ateniese, esordendo così sulla scena politica che – siamo negli anni tra il 430 e il 425 – è agitata dallo scoppio della guerra del Peloponneso. Perciò Socrate ritiene che sia il momento di iniziare la sua attività formativa nei confronti di Alcibiade, in quanto la gravità degli eventi rende necessaria la sua opera di educatore, affinché il futuro esponente della classe dirigente sia condotto – attraverso la cura della sua anima – alla consapevolezza del fine ultimo dell’agire politico: la realizzazione del giusto. Socrate può dimostrare deduttivamente che il daimonion interviene in una questione dal forte impatto morale, in quanto coinvolge la problematica della formazione della classe dirigente ateniese alla vigilia di eventi determinanti per la sua futura sopravvivenza. Egli sa bene di avere un ruolo di primo piano in tale problematica: si tratta del compimento della missione che gli è stata affidata dal dio. In questo passo il termine daimonion è usato nella sua funzione morfologica aggettivale, non a caso sempre di genere neutro, come si addice ad un fenomeno che emana dalla divinità, ma è di per sé impersonale. E’ attributo di ἐναντίωμα , sicchè è chiaro che questa forza (δύναμιν ) - che domina sulla libera scelta dell’uomo – agisce ed opera contrastando e non favorendo l’azione umana, come rimarca la ripetizione del verbo relativo all’impedire (νῦν δὲ ἐπειδὴ οὐκέτι ἐναντιοῦται... μὴ ἐναντιώσεσθαι αὐτό )38 L’aggettivo daimonion è usato in contrapposizione ad anthròpeion, a sottolinearne il carattere esterno all’individuo. Leggiamo più avanti: “ (…)perciò io credo che da tempo il dio (τὸν θεόν ) non mi ha permesso parlarti, ma io ho atteso finchè non me lo avrebbe concesso”39 ed inoltre: “il dio ( ὁ θεὸς ) non ha permesso che ti parlassi quando eri più giovane e prima che 38 Cfr. Plat. Ap.31c: “ὅ μοι ἐναντιοῦται τὰ πολιτικὰ πράττειν...παγκάλως γέ μοι δοκεῖ ἐναντιοῦσθαι”; Ap. 40b: “ἐπὶ σμικροῖς ἐναντιουμένη... ἠναντιώθη τὸ τοῦ θεοῦ σημεῖον... ἠναντίωταί μοι... οὐκ ἠναντιώθη ἄν μοι τὸ εἰωθὸς σημεῖον”; Theag. 129e: “πολλοῖς μὲν γὰρ ἐναντιοῦται”. Cfr. Xenoph. Mem. IV, 8, 5: “ἠναντιώθη τὸ δαιμόνιον” ; Ap.5: “ἐναντιοῦται μοι τὸ δαιμόνιον”. 17 tu concepissi una speranza di tale portata, così mi pare, perché non ti parlassi invano. Adesso invece il dio me lo concede: adesso che puoi ascoltarmi ” 40 dove è significativa la sostituzione di δαιμόνιον con θεός, altrove soltanto accostati,41che sembra porre su un piano di identità i due elementi e comunque spinge a considerare l’ ἐναντίωμα δαιμόνιον una diretta emanazione della divinità. E’evidente che Socrate stesso poteva benissimo aver formulato una valutazione sull’opportunità di prestare la sua opera educativa nei confronti di un giovane non ancora maturo e quindi pronto a recepirla nelle sue istanze più profonde. Alcibiade, che è nato nel 450 a.C., ha all’epoca presunta del dialogo- che si immagina sia tenuto alla vigilia della Guerra del Peloponneso, ovvero circa nel 431-430 a.C.- circa venti anni, o ancora meno. È facile pensare che prima di allora Socrate avesse ritenuto poco efficace la sua opera, data la giovane età del personaggio che ancora non lasciava intravedere, probabilmente, l’intenzione di imporsi nella politica ateniese. Socrate, che da tempo ha affidato all’attività di educatore la sua modalità di partecipazione alla politica della città, è perfettamente in grado di valutare le potenzialità del suo interlocutore e di definire il momento opportuno per il suo intervento. Tuttavia la gravità degli eventi, la rilevanza dei personaggi in relazione a tali eventi lo inducono a sentire l’esigenza di un principio di garanzia più alto, che è dato dal monito demonico, per cui la bontà delle sue valutazioni è attribuita ad una percezione extra-razionale che, per la sua origine divina, riveste il carattere di sacralità. 39 Plat. Alc.I 105d. 40 Plat. Alc.I 106 a. 41 Vedi Plat. Ap. 31 c: “θεῖόν τι καὶ δαιμόνιον”. 18 Plat. Resp. 496 c. τὸ δ̓ ἡμέτερον οὐκ ἄξιον λέγειν, τὸ δαιμόνιον σημεῖον· ἢ γάρ πού τινι ἄλλῳ ἢ οὐδενὶ τῶν ἔμπροσθεν γέγονεν. Non vale la pena di parlare del mio impedimento, il segno demonico; in realtà non è capitato che a qualcun altro, se non a nessuno dei nostri predecessori. Socrate mette in relazione la sua attività filosofica con l’allontanamento dalla politica attiva determinato dall’intervento del daimonion. Il passo è tratto dal VI libro della Repubblica. Emersa nei libri precedenti la necessità di porre a capo dello stato i “filosofi-re”, Socrate tratteggia con Adimanto i lineamenti della vera “natura filosofica”: essa è propria di un ristretto numero di uomini i quali hanno trascurato di coltivare l’ideale politico per svariati motivi. Tra questi vi è Socrate, distolto dall’attività politica dal segno demonico. Il riferimento al daimonion è qui appena accennato; il termine è adoperato nella funzione aggettivale come attributo di semeion. Nulla viene detto sul modo di operare del segno, ma dai casi che Socrate cita nel paragrafo precedente 42 è evidente che il daimonion svolge analogo ruolo deterrente. E’ significativo in questo passo il carattere di unicità che viene attribuito all’esperienza del segno demonico ( ἤ γάρ πού τινι ἄλλῳ...γέγονεν ), in base alla quale Socrate dichiara il suo caso poco meritevole di trattazione ( οὐκ ἄξιον λέγειν ): esso sembra dare al daimonion il valore di una personale voce della coscienza.43 Il tema dell’allontanamento dalla vita politica, presente anche nell’Apologia,44 è strettamente connesso all’impedimento del daimonion. Nel caso presente l’inazione politica 42 Plat. Resp. 496 a-c: “Resta un piccolo gruppo, o Adimanto, di quelli che hanno aderito secondo regola alla filosofia, o una natura nobile e ben educata colpita dall’esilio, o qualora nasca una grande mente in una piccola città che disprezza l’attività politica e si rivolga ad essa; in numero inferiore ci sono persone di buona origine che giustamente hanno disprezzato un’altra arte e sono giunti alla filosofia; ci sarebbe poi anche l’impedimento del nostro Teage che può trattenerlo, infatti Teage aveva ogni altro elemento per essere distolto dalla filosofia, ma ve lo trattiene la malattia del corpo che gli impedisce la vita politica”. 43 Cfr. F. Adorno, Platone, La Repubblica, 1981, p.221, nota n. 2. 44 Platone, Ap.Socr. 31 c. 19 determinata dall’intervento demonico è alla base del ripiegamento di Socrate verso gli studi filosofici che, peraltro, conducono ad una conoscenza più consapevole dell’arte del buon governo. Platone, che scrive la Repubblica tra il 386 e il 370, gli anni successivi all’infuriare della guerra del Peloponneso, vede in chi ha consapevolezza del vero sapere l’antidoto alle lotte per l’egemonia tra le città. Il suo maestro, votato alla filosofia per ἐναντίωμα δαιμόνιον, sembra essere il modello della “natura filosofica” così delineata: egli, spinto agli studi filosofici da “una necessità della sorte”45 e “preso da vero amore di vera filosofia per una qualche ispirazione divina” 46 è la figura di filosofo ideale, il quale “avendo a che fare con qualcosa di divino e ordinato diviene divino e ordinato per quanto è possibile ad un uomo”.47 Phaedr. 242 b. Σω. Ἡνίκ ̓ἔμελλον, ὠγαθέ, τὸν ποταμὸν διαβαίνειν, τὸ δαιμόνιόν τε καὶ τὸ εἰωθὸς σημεῖόν μοι γίγνεσθαι ἐγένετο - ἀεὶ δέ με ἀπίσχει ὃ ἄν μέλλω πράττειν - καί τινα φωνὴν ἔδοξα αὐτόθεν ἀκοῦσαι, ἥ με οὐκ ἐᾷ ἀπιέναι πρὶν ἄν ἀφοσιώσωμαι, ὥς δή τι ἡμαρτηκότα εἰς τὸ θεῖον. Proprio mentre, mio caro, stavo per attraversare il fiume, è accaduto che mi si manifestasse il solito segno demonico – esso mi trattiene sempre da ciò che sto per fare – e mi è parso di 45 Platone, Resp.499b: “ἀνάγκη τις ἐκ τύχης.” 46 Platone, Resp. 499c: “ἔκ τινος θείας ἐπιπνοίας ἀλητινῆς φιλοσοφίας ἀληθινὸς ἔρως ἐμπέσῃ.” 47 Platone, Resp. 500d: ‘‘θείῳ δὴ καὶ κοσμίῳ ὅ γε φιλόσοφος ὀμιλῶν κόσμιός τε καὶ θεῖος εἰς τὸ δυνατὸν ἀνθρώπῳ γίγνεται.’’ 20 sentire subito una voce che non mi permetteva di andarmene prima di aver espiato per aver commesso non so quale atto di empietà nei confronti del dio. Il passo appartiene al primo dei due interventi argomentativi che Socrate tiene nel Fedro. Socrate si trova in compagnia di Fedro, che è un ammiratore ed allievo di Lisia; egli riferisce un discorso di genere epidittico del maestro, che tenta di dimostrare con opportune argomentazioni una tesi sostanzialmente paradossale (231a-235c). L’argomento del discorso di Lisia è l’eros paidikòs: il retore sostiene che è preferibile per un giovane concedersi ad un non-amante che ad un vero innamorato. Infatti il disinteresse del primo garantisce maggiormente il perdurare nel tempo del rapporto di philia che guida il ragazzo al miglioramento morale. Socrate risponde con due discorsi, il primo dei quali è teso a dimostrare le debolezze formali del discorso di Lisia. Egli non contesta sostanzialmente la tesi del retore, ma ne mette in luce la debolezza dell’argomentazione e procede quindi a riformulare il discorso secondo una differente disposizione degli argomenti (237b-241c). Quando fa per andarsene dal luogo dove si è tenuto l’incontro con Fedro ed è in procinto di attraversare il fiume, la voce demonica lo trattiene, impedendogli di allontanarsi (242b-243e): è necessario prima che Socrate espii la sua colpa nei confronti del dio Eros, rettificando la tesi sostenuta prima, attraverso una vera e propria palinodia (244a-256e). L’opera del daimonion ha la solita connotazione negativa: esso ha una funzione esclusivamente dissuasiva ( με οὐκ ἐᾷ ἀπιέναι ) che Socrate generalizza come abituale modalità di intervento ( ἀεὶ δὲ με ἐπίσχει ). Il segno demonico svolge un ruolo inibitorio nei confronti di una precisa volontà di agire di Socrate ( ὅ ἀν μέλλω πράττειν ), o comunque di un’azione che è sul punto di esser intrapresa.48 48 A proposito dell’uso del verbo μέλλω cfr. Ap.31c, nota 12 p.6. 21 Tale funzione inibitoria si rivela salvifica per Socrate e produce conseguenze positive: all’impedimento demonico segue la consapevolezza dell’offesa arrecata al dio Eros che lo induce a ritrattare la tesi centrale del suo discorso, evitando così di essere colpito dall’ira del dio.49 E’ evidente in questo passo l’uso funzionale del daimonion, che è stato considerato un espediente retorico 50 per introdurre la palinodia sull’amore. Resta vaga la sua natura, che non riceve alcuna personalizzazione, né mostra un’individualità concreta e visibile, come è evidente dall’uso del neutro ( τὸ δαιμόνιον ); esso peraltro è definito segno e voce51 e pare connaturato a Socrate ( μοι γίγνεσθαι ), che comunque lo ascolta ( ἀκοῦσαι ), anche se la sua percezione non è un dato oggettivo ( ἔδοξα ). L’intervento del segnale demonico è del tutto imprevedibile e casuale e, in virtù di quanto detto sopra, la possibilità di coglierne la manifestazione e di interpretarne il significato sono affidate alla capacità quasi “ medianica “ di Socrate che riesce a trasformare l’avvertimento in un input positivo per sé e, talvolta, anche per altri. Alle proprie capacità allude lo stesso Socrate quando si definisce indovino, la cui anima ha facoltà profetiche, che può provocargli uno stato di turbamento o di smarrimento: “ Dunque io sono un indovino ( μάντις ) non proprio esperto, giusto quanto basta per me solo, come quelli che a mala pena leggono e scrivono; così solo ora comprendo chiaramente l’errore. Perché, amico mio, sicuramente la mia anima è in un certo qual modo profetica ( μαντικόν γέ τι ); infatti mi ha provocato un turbamento, poco fa, mentre parlavo.52 E’ stato osservato da B. Centrone53 che l’operato del daimonion nel Fedro è contraddittorio, in quanto esso ha scelto di manifestarsi solo successivamente al discorso tenuto da Socrate per indurlo alla ritrattazione, ma non è intervenuto per impedirgli di pronunciarlo. Mi sembra però che questo passo chiarisca il problema: Socrate ha sentito la 49 Vedi Phaedr. 243 b. 50 vedi B. Centrone, Platone, “Fedro”, Bari, 2000, nota 73, p.142. 51 Cfr. su questo punto Plat.Ap. Socr.31 c, Theaet. 151 a, Phaedr.242 b, Theag. 126 d e 129 c: Xenoph. Ap.Socr. 12: il daimonion si manifesta come voce interiore; se pure partecipa della natura divina, si sostanzia come manifestazione della coscienza critica di Socrate. 52 Vedi oltre Phaedr. 242 c. 53 B. Centrone, op.cit., Bari, 2000. 22 voce – ovvero la sua anima profetizzare – già mentre parlava e si è smarrito, ma la sua inesperienza di indovino gli ha impedito di accorgersi subito dell’errore ed è così che si è macchiato di una colpa nei confronti del dio Eros. 54 Il daimonion interviene per avviare un processo cognitivo che conduce ad una valutazione morale di un’azione compiuta e ad una riqualificazione in senso etico di un comportamento. L’intervento del daimonion si è giustapposto – ed ha dato evidenza – ad un presentimento e ad una convinzione intima non ancora percepita a livello razionale che, proprio attraverso il richiamo del segno demonico, possono essere sottoposti al vaglio della ragione da parte di Socrate, facendo scaturire un processo critico che conduce alla formulazione della palinodia sull’amore. Euthyd. 272 e. Σω. Οὐκ ἂν φθάνοις ἀκούων· ὡς οὐκ ἂν ἔχοιμί γε εἰπεῖν ὅτι οὐ προσεῖχον τὸν νοῦν αὐτοῖν, ἀλλὰ πάνυ καὶ προσεῖχον καὶ μέμνημαι, καί σοι πειράσομαι ἐξ ἀρχῆς ἅπαντα διηγήσασθαι. Κατὰ θεὸν γάρ τινα ἔτυχον καθήμενος ἐνταῦθα, οὗπερ σύ με εἶδες, ἐν τῷ ἀποδυτηρίῳ μόνος, καὶ ἤδη ἐν νῷ εἶχον ἀναστῆναι· ἀνισταμένου δέ μου ἐγένετο τὸ εἰωθὸς σημεῖον τὸ δαιμόνιον. πάλιν οὖν ἐκαθεζόμην, καὶ ὀλίγῳ ὕστερον εἰσέρχεσθον τούτω - ὅ τ ̓ Εὐθύδημος καὶ ὁ Διονυσόδωρος - καὶ ἄλλοι μαθηταὶ ἅμα αὗ πολλοὶ ἐμοὶ δοκεῖν. Lo sentirai subito: poiché non posso dire di non aver prestato loro attenzione, anzi ne ho prestata assai e me ne ricordo, e proverò a narrarti tutto da principio. Infatti per un caso divino stavo seduto proprio dove tu mi hai visto, da solo nello spogliatoio, e ormai avevo in 54 Vedi Plat. Phaedr. 242c. 23 mente di alzarmi, ma mentre mi alzavo si è manifestato il solito segno demonico. E allora mi sono rimesso a sedere e poco dopo sono giunti costoro, Eutidemo e Dionisodoro, insieme ad altri allievi, mi pare. Nella cornice introduttiva ( 271a-273b ), Socrate riferisce a Critone del dialogo avuto con i due sofisti, Eutidemo e Dionisodoro, al quale ha potuto partecipare grazie al daimonion che al momento opportuno gli impedisce di lasciare il luogo in cui si trova. Questo avvenimento gli dà lo spunto per criticare, attraverso una vivace satira, la degenerazione del metodo sofistico ridotto a pura competizione verbale. Come accade anche nel Fedro,55la manifestazione del segno è l’input che determina l’occasione per sviluppare una certa tematica. Il termine daimonion è citato una sola volta, come attributo di σημεῖον; non riceve nessun’altra caratterizzazione, ma viene individuata solo la frequenza della sua manifestazione ( εἰωθός ). E’ evidente che l’attributo daimonion qualifica il segnale che impedisce a Socrate di alzarsi come avvertimento esterno che rinvia ad una realtà altra, già individuata dall’espressione κατὰ θεὸν γάρ τινα ἔτυχον. Quest’ultima considerazione ci spinge ad escludere che la voce abitualmente percepita da Socrate fosse di natura puramente interiore; essa piuttosto è una sorta di capacità profetica o divinatoria che ha un’origine esterna e si salda con l’intima voce della sua coscienza. Socrate racconta a Critone di aver incontrato del tutto casualmente i due sofisti, Eutidemo e Dionisodoro. Nulla lascerebbe presagire l’arrivo dei due nella palestra; l’intervento del daimonion questa volta determina l’evento come una fatalità, che nel dialogo non riceve anticipazione alcuna. Ma noi sappiamo bene che Socrate amava svolgere il proprio compito pedagogico in luoghi pubblici, dove poteva avere l’opportunità di incontrare quei giovani ai quali valeva la pena di rivolgersi, come gli indicava la voce demonica. 55 Plat. Phaedr. 242 b. 24 Probabilmente la speranza di un incontro significativo spinge Socrate ad indugiare e quella sorta di sesto senso, che collega le sue azioni alla volontà del dio, gli impedisce di alzarsi. Socrate può così adempiere ancora una volta al compito che gli ha affidato la divinità: mostrerà ad alcuni giovani ateniesi, attraverso la conversazione con i due sofisti di Chio, l’infondatezza del discorso ridotto a pura competizione verbale, rivolgendo la propria vis ironica ai metodi della sofistica. La portata dell’argomento è tale che spinge il filosofo a porre il proprio intervento sotto il suggello dell’autorità divina, che si manifesta attraverso il segno demonico. Plat. Theaet. 151a. Ὧν εἷς γέγονεν Ἀριστείδης ὁ Λυσιμάχου καὶ ἄλλοι πάνυ πολλοί· οὕς, ὅταν πάλιν ἔλθωσι δεόμενοι τῆς ἐμῆς συνουσίας καὶ θαυμαστὰ δρῶντες, ἐνίοις μὲν τὸ γιγνόμενόν μοι δαιμόνιον ἀποκωλύει συνεῖναι, ἐ·ίοις δὲ ἐᾷ, καὶ πάλιν οὗτοι ἐπιδιδόασι. Πάσχουσι δὲ δὴ οἱ ἐμοὶ συγγιγνόμενοι καὶ τοῦτο ταὐτὸν ταῖς τικτούσαις. Uno di questi è stato Aristide, figlio di Lisimaco, insieme a moltissimi altri: e qualora ritornino sui loro passi bramando la mia compagnia, comportandosi davvero in modo singolare, il daimonion che c’è in me impedisce che io mi unisca ad alcuni di essi, mentre consente che io lo faccia con altri; così questi fanno di nuovo progressi. E quelli che si accompagnano a me soffrono la stessa cosa delle partorienti: infatti sono pieni di dolore notte e giorno anche più di quelle. 25 Il passo è contenuto nella fase iniziale del dialogo tra Socrate e Teeteto. Al termine di una breve cornice introduttiva ( 142a-144d ) in cui Euclide di Megara anticipa a Terpsione la rievocazione del dialogo, Teodoro, insigne studioso di matematica e geometria, presenta a Socrate il giovane Teeteto; Socrate pone subito a quest’ultimo il problema della conoscenza ( 144e-148d ). Teeteto è consapevole di non conoscere l’oggetto dell’indagine, pur essendo fortemente motivato a trovare la soluzione del problema: pertanto Socrate lo definisce “gravido“ e la sua stessa arte è maieutica, come l’arte dell’ostetrica ( 148e-151d ). Quest’ultima considerazione consente a Socrate di parlare della relazione che intercorre tra gli interventi del daimonion e la sua opera paideutica. 56 Egli spiega al giovane che la sua arte gli consente di valutare chi è pronto a ricevere il suo processo maieutico ( 150c ). Il processo di selezione delle persone da educare è pertanto razionale e gli deriva dalla sua esperienza nel campo; tuttavia, in un secondo momento di tale processo, quando cioè l’allievo che si è allontanato dal maestro per vari motivi desidera riaccostarvisi, allora è il daimonion che interviene ad impedire la frequentazione di alcuni di essi. Socrate non chiarisce perché in questo caso sia necessario l’intervento demonico, né spiega secondo quali criteri esso operi tale selezione; ma è indubbio che egli stesso abbia attentamente valutato l’operato dei suoi allievi durante la lontananza da lui, rifiutando la prosecuzione del rapporto pedagogico nel caso in cui qualcuno abbia agito in modo non conforme al principio di giustizia, che è l’esito ultimo del suo insegnamento. E’ questo il caso di Aristide, figlio di Lisimaco 57. La valutazione iniziale deve essere anche in questa fase di natura tutta razionale; non a caso Socrate dice: “(…) e dopo essersi allontanati per il restante tempo abortirono a causa di cattiva compagnia e distrussero, per cattivo nutrimento, ciò che avevano partorito grazie a 56 57 Cfr. P. Friedlaender, Platone. Eidos-paideia-dialogos, Firenze,1979, pag.48: “In Platone, il demonico decide per Socrate soprattutto in riguardo alla sua opera educativa; non è soltanto la stupefacente caratteristica di una singola persona, ma appartiene all’essenza del grande educatore, preserva come qualcosa di extra-logico l’educazione, che si muove nell’ambito del logos, dal divenire un affare razionale e conserva ad essa quel nesso col mistero che manca all’insegnamento dei sofisti.” e K.C. Guthrie, Socrate, Bologna, 1986, pag.143: “da parte nostra ci accontenteremo di sapere che questo daimonion era qualcosa che Socrate prendeva senz’altro sul serio e che pertanto l’opera didattica era per lui una genuina vocazione.” Cfr. Platone, Theag., 130a. 26 me, tenendo in maggior considerazione della verità menzogne e fantasmi (…)” 58, che richiama quanto ha detto più sopra, a proposito della sua capacità di distinguere il grado di ricettività del suo interlocutore: “ e la cosa più notevole della mia arte (maieutica ) è che posso considerare in ogni modo se l’anima del giovane genera fantasmi e menzogne (…)” 59. Ma proprio il fatto che alcuni allievi, lontano dall’insegnamento del maestro, abbiano operato non in adesione all’ideale di giustizia, richiede l’intervento di un principio di autorità extraumano ed extrarazionale, che dia un supporto, attraverso un assenso-dissenso di natura alogica, alla coscienza critica di Socrate. Come sempre la funzione del daimonion si esplica attraverso un’azione dissuasiva. Esso peraltro esercita la sua forza deterrente non in relazione ad azioni di Socrate che possono avere un esito negativo per la sua vita60, ma per impedire la frequentazione di alcune persone,61operando una selezione – che qui appare del tutto casuale – tra coloro ai quali viene negato un progresso interiore e coloro ai quali invece esso è concesso. Questa considerazione è ripresa e sviluppata nel Teage. 62 Il passo del Teeteto non precisa la natura del daimonion, ma ribadisce quanto affermato anche nell’Apologia, sul suo essere quasi connaturato a Socrate (γιγνόμενόν μοι ). Non sono chiariti i criteri che determinano il suo intervento, non vengono date precisazioni sulle persone a cui è impedita o favorita la compagnia di Socrate;63 l’unica cosa certa è che su questi ultimi si propaga il suo operato benefico per tramite di Socrate che – in virtù della scintilla demonica - può esercitare la sua azione maieutica. In questo senso, il compito che egli svolge come missione affidatagli dal dio è politico, per la forte valenza civica che ha il processo paideutico avviato da Socrate tra i suoi concittadini. 58 59 Platone, Theaet., 150e: “ ἢ αὐτοὶ ἢ ἄλλων πεισθέντες ἀπῆλθον πρῳαίτερον τοῦ δέοντος, ἀπελθόντες δὲ τά τε λοιπὰ ἐξήμβλωσαν διὰ πονηρὰν συνουσίαν καὶ τὰ ὑπ` ἐμοῦ μαιευθέντα κακῶς τρέφοντες ἀπώλεσαν.” Platone, Theaet., 150c: “ μεγίστον δὲ τοῦτ` ἔνι τῇ ἡμετέρᾳ τέχνῃ, βασανίζειν δυνατὸν εἶναι παντὶ τρόπῳ πότερον εἴδωλοι καὶ ψεῦδος ἀποτίκτει τοῦ νέου ἡ διάνοια ἢ γόνιμόν τε καὶ ἀληθές.” 60 Platone, Ap Socr. 31c. 61 Cfr. Platone. Alc. I 103 a; Theag. 129 e; cfr. Xenoph. Mem. I, 1, 4. 62 Platone, Theag.129 e. 63 Platone,Theaet. 151 a: “ ἐνίοις μὲν....ἐνίοις δὲ....” 27 Plat. Theag. 128 d. Ἔστι γάρ τι θείᾳ μοίρᾳ παρεπόμενον ἐμοὶ ἐκ παιδὸς ἀρξάμενον δαιμόνιον. Ἔστι δὲ τοῦτο φωνή, ἣ ὅταν γένηται ἀεί μοι σημαίνει, ὃ ἂν μέλλω πράττειν, τούτου ἀποτροπήν, προτρέπει δὲ οὐδέποτε· καὶ ἐάν τίς μοι τῶν φίλων ἀνακοινῶται καὶ γένηται ἡ φωνή, ταὐτὸν τοῦτο, ἀποτρέπει καὶ οὐκ ἐᾷ πράττειν· καὶ τούτων ὑμῖν μάρτυρας παρέξομαι. Χαρμίδην γὰρ τουτονὶ γιγνώσκετε τὸν καλὸν γενόμενον, τὸν Γλαύκωνος· οὗτός ποτε ὲτυγχανε ἐμοὶ ἀνακοινούμενος μέλλων ἀσκήσειν στάδιον εἰς Νεμέαν, καὶ εὐθὺς αὐτοῦ ἀρχομένου λέγειν ὅτι μέλλοι ἀσκεῖν ἐγένετο ἡ φωνή, καὶ ἐγὼ διεκώλυόν τε αὐτὸν καὶ εἶπον ὅτι ‘‘ Λέγοντός σου μεταξὺ γέγονέ μοι ἡ φωνὴ ἡ τοῦ δαιμονίου· ἀλλὰ μὴ ἂσκει.’’ Vi è infatti un che di demonico che mi accompagna fin da bambino. E’ una voce che, quando si manifesta, mi invia sempre un segnale di impedimento per ciò che sto per fare, e non mi incita mai; se anche uno dei miei amici mi chiede un consiglio e si manifesta la voce, succede la stessa cosa: c’è l’impedimento e non lascia agire; anche di ciò vi presenterò delle testimonianze. Infatti voi conoscete bene quel Carmide, che è diventato così bello, il figlio di Glaucone; costui una volta si è consultato con me poiché stava per allenarsi alla corsa dello stadio a Nemea, e non appena ha incominciato a dire che aveva intenzione di allenarsi si è manifestata la voce, e io l’ho dissuaso e gli ho detto: “Proprio mentre tu parlavi mi si è manifestata la voce del daimonion: non allenarti.” Plat. Theag. 129 b, c. Καί μοι ἐγένετο ἡ φωνή, καὶ εἶπον πρὸς αὐτόν, ‘‘ Μηδαμῶς, ἔφην, ἀναστῇς· γέγονε γάρ μοι τὸ εἰωθὸς σημεῖον τὸ δαιμόνιον.’’ Καὶ ὃς ἐπέσχε. Καὶ διαλιπὼν χρόνον αὖθις ὡρμᾶτο ἰέναι, καὶ ἔφη· ‘‘ Εἶμι δή. Σώκρατες.’’ αὖθις ἐγένετο ἡ φωνή· αὖθις οὖν αὐτὸν ἠνάγκασα ἐπισχεῖν. - 28 E mi si manifestò la voce e allora gli dissi: “ Non andartene per nessun motivo, poiché mi si è manifestato il solito segno demonico. E quello si fermò. Ma trascorso del tempo, di nuovo fece per andare, e disse : “ Vado, Socrate.” Di nuovo si manifestò la voce; di nuovo dunque lo indussi a restare. Plat. Theag. 129 e. Ταῦτα δὴ πάντα εἴρηκά σοι, ὄτι ἡ δύναμις αὕτη τοῦ δαιμονίου τούτου καὶ εἰς τὰς συνουσίας τῶν μετ ἐ̓ μοῦ συνδιατριβόντων τὸ ἅπαν δύναται. Πολλοῖς μὲν γὰρ ἐναντιοῦται, καὶ οὐκ ἔστι τούτοις ὠφεληθῆναι μετ ἐ̓ μοῦ διατρίβουσιν, ὥστε οὒχ οἷόν τέ μοι τούτοις συνδιατρίβειν· πολλοῖς δὲ συνεῖναι μὲν οὐ διακωλύει, ὠφελοῦνται δὲ οὐδὲν συνόντες. οἷς δ ἂ ̓ ν συλλάβηται τῆς συνουσίας ἡ τοῦ δαιμονίου δύναμις, οὗτοί εἰσιν ὧν καὶ σὺ ᾔσθησαι· ταχὺ γὰρ παραχρῆμα ἐπιδιδόασιν. καὶ τούτων αὖ τῶν ἐπιδιδόντων οἱ μὲν καἰ βέβαιον ἔχουσι καὶ παραμόνιμον τὴν ὼφελίαν· πολλοὶ δέ, ὅσον ἄν μετ’ἐμοῦ χρόνον ὦσιν, θαυμάσιον ἐπιδιδόασιν, ἐπειδὰν δέ μου ἀπόσχωνται, πάλιν οὐδὲν διαφέρουσιν ὁτουοῦν. Ti ho detto queste cose perché la forza di questo daimonion ha potere totale anche nei confronti della compagnia di coloro che passano il tempo con me. Infatti a molti si oppone e non è possibile per loro avere giovamento dalla mia compagnia, sicchè io non posso frequentarli; a molti non impedisce che io mi unisca, ma pur frequentandomi non traggono alcun giovamento. A coloro ai quali la potenza del daimonion favorisce la frequentazione, costoro sono tra quelli che anche tu sai: ben presto migliorano. E tra quelli che progrediscono alcuni ricevono un giovamento stabile e duraturo; molti, al contrario, per il tempo che stanno in mia compagnia, migliorano mirabilmente, ma qualora si allontanino da me, di nuovo non si distinguono neppure un po’. Plat. Theag. 131 a. 29 ΘΕ. Ἐμοὶ μὲν τοίνυν δοκεῖ, ὦ Σώκρατες, ἡμᾶς οὑτωσὶ ποιῆσαι, ἀποπειραθῆναι τοῦ δαιμονίου τούτου συνόντας ἀλλήλοις. Καὶ ἐὰν μὲν παρείκῃ ἠμῖν, ταῦτα βέλτιστα· εἰ δὲ μή, τότε ἤδη παραχρῆμα βουλευσόμεθα ὅτι δράσομεν, εἴτε ἄλλῳ συνεσόμεθα, εἴτε καὶ αὐτὸ τὸ θεῖον τὸ σοὶ γιγνόμενον πειρασόμεθα παραμυθεῖσθαι εὐχᾶσί τε καὶ θυσίαις καὶ ἄλλῳ ὅτῳ ἂν οἱ μάντεις ἐξηγῶνται. TEAGE. Mi sembra opportuno, Socrate, che facciamo così: mettiamo alla prova questo segno demonico frequentandoci. E se ce lo permetterà, tanto meglio; diversamente subito decideremo che fare, se frequentare un altro, o se provare a rabbonire questo monito divino che c'è in te con preghiere e sacrifici e qualsiasi altra cosa indichino i sacerdoti. A conclusione di quest’excursus di testimonianze platoniche sul daimonion di Socrate, si colloca idealmente il Teage, poiché rappresenta una sorta di sintesi dei passi di Platone che parlano di quest’elemento così presente nella vita di Socrate. La descrizione del segno demonico è in questo dialogo estremamente accurata e dettagliata, come insolitamente lo è pure la rievocazione dei casi in cui il daimonion ha fatto sentire la sua profetica voce. In modo particolare i passi che parlano dell’enigmatico segno hanno costituito una prova contro l’autenticità del Teage da parte di moltissimi studiosi, a partire dallo Schleiermacher64, anche se non sono mancati coloro i quali hanno affermato l’autenticità del 64 F. Schleiermacher, Opera, Berlin,1804-1828 ( vedi l’introduzione al Teage ). 30 dialogo65o coloro che hanno tratto proprio dalla descrizione del daimonion le tesi a sostegno della paternità platonica del Teage.66 Non è questa la sede per discutere delle argomentazioni a favore o contro l’autenticità del Teage: per questo si rimanda a studi specifici. Non essendo stata dimostrata in modo inconfutabile l’autenticità del dialogo, né essendo del tutto decisive le prove contrarie, mi limiterò a delineare i tratti nettamente platonici e gli elementi innovativi che appaiono nella descrizione del segno. Il dialogo tra Socrate, Demodoco e suo figlio Teage ha lo scopo di definire una forma di sapere superiore alle altre, che sono di natura settoriale, un sapere che possa essere l’oggetto di un valido processo educativo ( 121a-125e ). Prescelto come miglior maestro possibile per il giovane Teage (127b-d ), Socrate nella seconda parte del dialogo provvede a smontare le convinzioni dei suoi interlocutori, in quanto è il segno demonico che determina un apporto positivo nei confronti di coloro con i quali ha abituale frequentazione (128 d ). A corroborare la sua argomentazione, Socrate riferisce alcuni episodi: il primo è quello di Carmide, figlio di Glaucone. Quando sta per iniziare ad allenarsi per la corsa dello stadio per i giochi di Nemea, la voce interviene per impedirlo. Ma Glaucone, che pure interpreta l’intervento della voce come presagio di sconfitta, decide lo stesso di gareggiare ( 128e ). La scarsa rilevanza dell’avvenimento induce Socrate a non verificarne gli sviluppi. Nel secondo degli episodi citati da Socrate ( 129a-d ), Timarco, al termine di un simposio, decide, insieme a Filemone di Filemonide, di andare ad uccidere Nicia di Eroscamandro. A questo punto interviene la voce demonica per ben due volte e Socrate cerca di trattenere i due; la terza volta, alzandosi all’insaputa di Socrate, Timarco e Filemone riescono ad allontanarsi per compiere il delitto che porterà Timarco a scontare la pena di morte. All’inizio del racconto è singolare che Socrate dica: “(…) solo loro due erano a conoscenza della decisione..”67, tuttavia egli doveva aver compreso che tra i due era in atto una macchinazione poco chiara e la sua attenzione era volta ad impedire che essi vi dessero seguito, allontanandosi dal simposio. Il temporaneo distogliersi dell’attenzione del filosofo 65 Si pensi ad esempio a Friedlander, Platon, Berlino,1928. 66 Ad esempio W. S. Cobb, Plato’s “Theages” in “Ancient Philosophy” 12, 1992, pp. 267-84. 31 sembra non innescare il processo d’intervento del daimonion: segno inequivocabile allora che esso è in relazione all’attività critica della sua coscienza. Ben più importante è il terzo esempio riferito da Socrate. Si tratta dell’intervento del daimonion in occasione della spedizione in Sicilia ( 129d ): esso si è manifestato alla partenza di Sannione che, al seguito di Trasillo, muove verso Efeso e la Ionia. Proprio a causa dell’intervento del segno demonico Socrate teme per la vita di Sannione e per il resto dell’esercito. Troviamo testimonianza di siffatto intervento anche ne Il demone di Socrate di Plutarco: “Sento dire anche che ha predetto la distruzione della forza ateniese in Sicilia”,68e in un passo della Vita di Nicia69: “A Socrate il saggio con i soliti segni con cui si manifestava il daimonion indicò pure che la spedizione (scil. in Sicilia) avrebbe determinato la rovina della città. E lui ne parlò con i discepoli e gli amici e la notizia giunse a tutti.”70 Se la testimonianza di questo episodio sia una dimostrazione dell’inautenticità del Teage, o se esso avvalori le testimonianze di Plutarco non è ciò che interessa dimostrare in questa sede; certo non è strano pensare che circolasse la voce di una precisa posizione del filosofo sulla spedizione in Sicilia, all’interno di un dibattito che aveva diviso la città tra contrari ed interventisti. 71 Esperienza pedagogica e lucidità politica consentono a Socrate di effettuare valutazioni critiche a cui il daimonion conferisce, con i suoi interventi, un valore normativo e una 67 Theag., 129b: “ ἠπιστάσθην μέν αὐτὼ μόνω τήν ἐπιβουλήν”. 68 Plut., Il demone di Socrate, 581d: “ Ἀκούω δὲ καὶ ἐν Σικελίᾳ τῆς Ἀθηναίων δυνάμεως φθορὰν προειπεῖν...” 69 Plut., Vita di Nicia, 13,9: “ Σωκράτει δὲ τῷ σοφῷ τὸ δαιμόνιον οἷς εὶώθει συμβόλοις χρησάμενον πρὸς αὐτὸν ἐμήνυσε κἀκαῖνα, τὸν ἔκπλουν ἐπ ̓ ὀλέθρῳ τῆς πόλεως πραττόμενον.” 70 L’autenticità dell’affermazione è controversa in quanto non troviamo traccia di quest’intervento né in Platone, né in Senofonte: già B. Perrin, nel commento al Nicia, definisce l’intervento del daimonion un’invenzione deduttiva ( Plutarch, Nicias and Alcibiades, translated by B.Perrin, New York, 1912 ). La testimonianza è importante perché mostra come il processo di cura dell’anima promosso da Socrate, in quanto missione affidatagli dal dio, è legato strettamente ad un obiettivo di cura della città perseguibile attraverso il percorso verso la giustizia del singolo individuo prima, e in seguito dell’intera collettività. Plutarco ci presenta l’intervento del daimonion come una sorta di oracolo che vaticina su eventi futuri dall’esito non prevedibile con certezza. 71 J. F. Stone, in Il processo a Socrate. Perché una democrazia condanna a morte un filosofo?, Rizzoli, 1990, sostiene che non fosse necessario l’intervento del daimonion per considerare con una certa preoccupazione la possibilità di una spedizione militare in Sicilia. 32 garanzia che derivano direttamente dall’autorità divina e che si estendono anche alle persone vicine a Socrate, secondo criteri selettivi operati dallo stesso daimonion, il cui intervento dà luogo a tre diversi esiti ed i conoscenti di Socrate sono classificati in base all’assoluta mancanza di qualsivoglia processo migliorativo, ad un poco considerevole progresso individuale, infine ad un influsso positivo della vicinanza di Socrate. Tra questi ultimi, alcuni ricevono un beneficio stabile nel tempo, altri sono migliori solo fin quando si avvalgono della compagnia del filosofo ( 129 e ). E’ il caso di Aristide, figlio di Lisimaco che, al ritorno da una spedizione militare che lo ha tenuto lontano dal suo maestro, lamenta di essere regredito e di aver perso i progressi conseguiti solo stando nella stessa casa in cui si trovava il filosofo, se pure non nella stessa stanza, in assenza quindi di una relazione maieutica, avvalorando pertanto l’aspetto magico dell’influenza del suo maestro. Nella descrizione del daimonion vi è un accumulo, piuttosto meccanico, di elementi comuni agli altri dialoghi platonici, insieme ad altri connessi in modo particolare alla valorizzazione del nesso pedagogico che si instaura tra Socrate, per opera del segno, e i suoi discepoli. In 128-d ne ritroviamo tutti gli elementi caratterizzanti, riportati con puntuale corrispondenza lessicale: 1) l’uso del neutro che lascia nell’indeterminatezza, almeno apparente, la sua definizione ( τι δαιμόνιον ); 2) la sua presenza sin dall’infanzia di Socrate ( ἐκ παιδὸς ἀρξάμενον ); 3) il suo concretizzarsi come voce, che si manifesta in modo imprevedibile e casuale ( ὄταν γένηται ); 4) l’azione principalmente dissuasivo-inibitoria ( ἀποτροπὴν, ἀποτρέπει ). Accanto a questi, compaiono tuttavia elementi sconosciuti alla maggior parte dei dialoghi ma che possiamo già ritrovare nell’Alcibiade I e nel Teeteto 72: 1) il riferimento ad un intervento esplicito del daimonion anche nei confronti di terzi, per i quali il trait d’union è rappresentato dalla persona di Socrate; 2) gli effetti positivi della frequentazione con Socrate, resa possibile dall’assenza della voce. Ritroviamo infine una caratterizzazione del daimonion del tutto nuova: il condizionamento positivo che opera il segno demonico nei confronti di alcune persone, 72 Platone, Alc I, 103 a; Theaet. 151 a. 33 ottenuto questa volta non attraverso un’assenza di intervento, ma scaturito quasi da una forza attiva. In questo senso è significativa la ricorrenza dei termini δύναμις / δύναται ( 129e ) che sembra voglia conferire un carattere sovra-naturale allo statuto pedagogico della relazione tra Socrate e i suoi discepoli, sicchè può anche avvenire che la sola vicinanza fisica al maestro realizzi, in chi lo frequenta, un processo migliorativo, che non è costante ma perdura fin tanto che viene mantenuta tale vicinanza; questo aprirà la strada all’enfatizzazione del ruolo taumaturgico attribuito al filosofo già a partire dall’età ellenistica. Bibliografia. Agne D., Le démon de Socrate. Un masque de liberté. « Dialogues d’histoire ancienne », Paris, 19(1), 1993, pp.275-85. 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