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Sacri monti

Aa.Vv., I Sacri Monti nella cultura religiosa e artistica del Nord Italia, a cura di Dorino Tuniz, Edizioni San Paolo, Milano 2005, pp. 295, euro 75 La ricchezza degli interventi e la bellezza dell'iconografia fanno del volume appena uscito per le Edizione Paoline un'ideale strenna per le prossime festività natalizie. Tuttavia, l'opera è tanto più meritevole d'essere aquistata per sé o donata proprio perché è lontana dalla consueta dimensione del bel libro da regalo. Essa infatti riesce a presentare con competenza indiscutibile una delle realtà più strordinarie del patrimonio culturale italiano e mondiale (riconosciuto dall'UNESCO nel 2003), descrivendo la natura artistica, il significato religioso o la complessa e variegata vicenda storica dei Sacri Monti del Nord Italia. Benché nulla dei pregi consueti di una monografia d'alto profilo manchi a questo volume, esso tuttavia sembra aspirare a qualcosa di più impegnativo. In modo implicito, ma presente nella maggior parte degli interventi qui raccolti, emerge infatti una vera e propria provocazione a ripensare all'autentico valore di questi spazi sacri che costellano le valli alpine, a giudicarne nuovamente la collocazione storica e lo spessore culturale e, in ogni caso, a vincere l'inerzia di uno sguardo troppo 'turistico' che, come spesso accade per i capolavori del nostro Paese, rischia di distorcerne e ridurne il significato più profondo. Forse troppo a lungo assuefatti alla prospettiva del turista straniero che cerca nel Bel Paese, secondo il codice romantico tuttora invalso, le origini perdute e i luoghi dell''infanzia' della civiltà, anche noi italiani rischiamo di guardare ai Sacri Monti con la sentimentale nostalgia dei Moderni nei confronti degli ormai incomprensibili e ingenui Antichi. Nel migliore dei casi, come turisti 'colti', riusciamo a ritenerci sufficientemente edificati dalle note biografiche intorno ai fondatori, o alle vicende legate agli sponsores laici più noti, come Lodovico il Moro, sino a riuscire a cogliere la più ampia situazione geopolitica nella quale molti dei Sacri Monti sorsero. E non v'è dubbio che sia fonte di interesse comprendere la loro genesi anche in relazione all'impossibilità di raggiungere in quei secoli Gerusalemme, ormai nelle mani dei Turchi, e quindi al bisogno di ricostruire in loco i Luoghi Santi del pellegrinaggio. Ma i saggi del lavoro, benché non manchino di fare con precisione il punto sulle vicende costruttive e le dinamiche storico politiche, spesso suggeriscono un altro ordine di riflessioni. Innanzitutto a ricomprendere, come fa monsignor Ravasi, la vicenda dei Sacri Monti in quella assai più ampia e duratura delle diverse ascensioni immaginate dall'umanità tutta, dall'Olimpo pagano ai monti sacri giapponesi, sino alle molteplici sante montagne del Signore presenti nella letteratura e nella Scrittura. Quindi, come fa Amilcare Barbero, a dare nomi e luoghi alla dimensione europea del fenomeno, che, come accadde per quasi tutta la cultura del Cinque-Seicento italiano, vide nascere in Italia i modelli di civiltà profana e di devozione sacra poi ereditati e sviluppati da tutta la cultura occidentale. Infine, a mettere in discussione molte delle categorie storiche e culturali legate al Rinascimento italiano, che ancora definiscono forse troppo schematicamente gran parte della nostra identità non solo nazionale, ma anche religiosa. Emerge con evidente chiarezza infatti dall'intervento di Danilo Zardin che la straordinaria stagione di fioritura dei Sacri Monti prealpini non può essere spiegata solo nei termini di una reazione controriformistica per il rilancio missionario cattolico, o come una «manovra di arroccamento difensivo» contro il contagio delle teologie riformate d'Oltralpe. Esiste invece una continuità tra medioevo ed epoca moderna che può arrivare da sola a spiegare in gran parte l'esito rinascimentale dei Sacri Monti, e che quindi costringe a mettere in discussione tropppo schematiche linee di sviluppo storicistico, che molte volte hanno imposto alla storia un percorso che essa in realtà non intraprese. La tradizione francescana del vedere, ad esempio, compendiata a suo tempo nel Presepe da San Francesco, suggerisce non solo che la tradizione dei Sacri Monti precede il moto controriformistico, ma anche che l'esigenza di condurre alla gente la presenza dell'esperienza cristiana si continua entro i secoli moderni, consegnando ad essi la rivoluzionaria esperienza affettiva e sensibile dell'incontro con la divinità incarnata. Il Sacro Monte di Varallo, archetipo di molti altri successivi e presentato da Elena De Filippis (sono descritti anche Orta, Crea, Oropa, Domodossola, Belmonte, Ghiffa, Montrignone, Varese, Ossuccio), dispiega infatti lungo il suo percorso di giardini a labirinto

Aa.Vv., I Sacri Monti nella cultura religiosa e artistica del Nord Italia, a cura di Dorino Tuniz, Edizioni San Paolo, Milano 2005, pp. 295, euro 75 La ricchezza degli interventi e la bellezza dell’iconografia fanno del volume appena uscito per le Edizione Paoline un’ideale strenna per le prossime festività natalizie. Tuttavia, l’opera è tanto più meritevole d’essere aquistata per sé o donata proprio perché è lontana dalla consueta dimensione del bel libro da regalo. Essa infatti riesce a presentare con competenza indiscutibile una delle realtà più strordinarie del patrimonio culturale italiano e mondiale (riconosciuto dall’UNESCO nel 2003), descrivendo la natura artistica, il significato religioso o la complessa e variegata vicenda storica dei Sacri Monti del Nord Italia. Benché nulla dei pregi consueti di una monografia d’alto profilo manchi a questo volume, esso tuttavia sembra aspirare a qualcosa di più impegnativo. In modo implicito, ma presente nella maggior parte degli interventi qui raccolti, emerge infatti una vera e propria provocazione a ripensare all’autentico valore di questi spazi sacri che costellano le valli alpine, a giudicarne nuovamente la collocazione storica e lo spessore culturale e, in ogni caso, a vincere l’inerzia di uno sguardo troppo ‘turistico’ che, come spesso accade per i capolavori del nostro Paese, rischia di distorcerne e ridurne il significato più profondo. Forse troppo a lungo assuefatti alla prospettiva del turista straniero che cerca nel Bel Paese, secondo il codice romantico tuttora invalso, le origini perdute e i luoghi dell’‘infanzia’ della civiltà, anche noi italiani rischiamo di guardare ai Sacri Monti con la sentimentale nostalgia dei Moderni nei confronti degli ormai incomprensibili e ingenui Antichi. Nel migliore dei casi, come turisti ‘colti’, riusciamo a ritenerci sufficientemente edificati dalle note biografiche intorno ai fondatori, o alle vicende legate agli sponsores laici più noti, come Lodovico il Moro, sino a riuscire a cogliere la più ampia situazione geopolitica nella quale molti dei Sacri Monti sorsero. E non v’è dubbio che sia fonte di interesse comprendere la loro genesi anche in relazione all’impossibilità di raggiungere in quei secoli Gerusalemme, ormai nelle mani dei Turchi, e quindi al bisogno di ricostruire in loco i Luoghi Santi del pellegrinaggio. Ma i saggi del lavoro, benché non manchino di fare con precisione il punto sulle vicende costruttive e le dinamiche storico politiche, spesso suggeriscono un altro ordine di riflessioni. Innanzitutto a ricomprendere, come fa monsignor Ravasi, la vicenda dei Sacri Monti in quella assai più ampia e duratura delle diverse ascensioni immaginate dall’umanità tutta, dall’Olimpo pagano ai monti sacri giapponesi, sino alle molteplici sante montagne del Signore presenti nella letteratura e nella Scrittura. Quindi, come fa Amilcare Barbero, a dare nomi e luoghi alla dimensione europea del fenomeno, che, come accadde per quasi tutta la cultura del Cinque-Seicento italiano, vide nascere in Italia i modelli di civiltà profana e di devozione sacra poi ereditati e sviluppati da tutta la cultura occidentale. Infine, a mettere in discussione molte delle categorie storiche e culturali legate al Rinascimento italiano, che ancora definiscono forse troppo schematicamente gran parte della nostra identità non solo nazionale, ma anche religiosa. Emerge con evidente chiarezza infatti dall’intervento di Danilo Zardin che la straordinaria stagione di fioritura dei Sacri Monti prealpini non può essere spiegata solo nei termini di una reazione controriformistica per il rilancio missionario cattolico, o come una «manovra di arroccamento difensivo» contro il contagio delle teologie riformate d’Oltralpe. Esiste invece una continuità tra medioevo ed epoca moderna che può arrivare da sola a spiegare in gran parte l’esito rinascimentale dei Sacri Monti, e che quindi costringe a mettere in discussione tropppo schematiche linee di sviluppo storicistico, che molte volte hanno imposto alla storia un percorso che essa in realtà non intraprese. La tradizione francescana del vedere, ad esempio, compendiata a suo tempo nel Presepe da San Francesco, suggerisce non solo che la tradizione dei Sacri Monti precede il moto controriformistico, ma anche che l’esigenza di condurre alla gente la presenza dell’esperienza cristiana si continua entro i secoli moderni, consegnando ad essi la rivoluzionaria esperienza affettiva e sensibile dell’incontro con la divinità incarnata. Il Sacro Monte di Varallo, archetipo di molti altri successivi e presentato da Elena De Filippis (sono descritti anche Orta, Crea, Oropa, Domodossola, Belmonte, Ghiffa, Montrignone, Varese, Ossuccio), dispiega infatti lungo il suo percorso di giardini a labirinto rinascimentali, cappelle secentesche con prospettive a sorpresa, sali e scendi tra piazze ideali e scalinate, il declinarsi dell’esperienza religiosa cattolica entro la sensibilità di diversi contesti storico culturali e artistici, che comincia nel 1491 e prosegue sino al XIX. Una simile continuità rielaborativa mette dunque in crisi un’intiera visione della storia religiosa europea, arroccata ad un contrasto insanabile, ma appunto poco provabile, fra medioevo e età moderna, ovvero fra cattolicesimo e modernità. Proprio per la loro natura di monumento, cioè di richiamo alla memoria, affettivo e corporale, i Sacri Monti inoltre presentano, per chi ne desidera liberamente condividere la tradizione la possibilità di ritrovare oggi un autentico, e per nulla turistico, senso del pellegrinaggio. Come è probabile sia accaduto al «Poeta del Sacro Monte» Giovanni Testori, sarà dunque possibile rieducarsi ad un atteggiamento esperienziale, che può condurre di nuovo a perdersi nei labirinti delle selve oscure appositamente predisposti con siepi, e quindi consolarsi, commuoversi attraverso la cerca delle cappelle nascoste e la contemplazione della vita di Cristo o dei Santi, sino a ritrovarsi negli spazi della piazza-città celeste, dove l’edificio della chiesa porta ancora oggi all’incontro con Gesù vivo. Stefano Bertani