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Storia Civile di Bagnara - Vincenzo Fondacaro

Tito Puntillo Il CAPITANO VINCENZO FONDACARO I FATTI STORICI CHE VIDERO PROTAGONISTA UN GRANDE MARINAIO NELLA DIFESA DEL PRESTIGIO MARITTIMO ITALIANO E L’IDEALE DI LIBERTÁ E GIUSTIZIA, MATURATO ALL’OMBRA DI GARIBALDI. IL GIOVANE GOVERNO ITALIANO CERCÒ DI OSCURARNE LA FIGURA E LE GESTA. E ANCORA OGGI LA MEMORIA DEL MARINAIO DI BAGNARA, RISULTA DISTORTA E PARZIALE L'equipaggio tutto di Bagnara del Cesar Cantù: Pasquale Carrisi, Vincenzo Fondacaro, Vincenzo Sciplini, Vincenzo Galasso. (Studio fotografico dei F.lli Leoni – Montevideo 1893) HA CONTRIBUITO ALLA PRODUZIONE FOROGRAFICA IL DOTT. ANTONINO PASQUALE CALABRÒ pubblicato in BIBLIOTECA COMUNALE “A. IRACÁ” BAGNARA CALABRA e in ACADEMIA.EDU il 25 febbraio 2020 ANNO 2750 DELLA FONDAZIONE DI RHEGION NOSTRA PATRIA Pag. 1 INDICE: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Primi passi La formazione delle Società marittime Tutto insieme! Aspromonte! Garibaldi e il Di Cavour nel 1861 Fondacaro da naufrago a provetto marinaio pag. pag. pag. pag. pag. pag. 5 9 10 12 17 19 7. Uomini di ferro su navi di legno Hanno battuto uomini di legno si navi di ferro pag. 20 8. La traversata del Red, White & Blue e la nascita del progetto Leone di Caprera pag. 24 9. A Montevideo 10. Fondacaro e l’ostilità dei Creditori 11. L’idea di Buenos Aires 12. Il Leone di Caprera salpa verso Buenos Aires 13. Una svolta inaspettata 14. La partenza verso il Mare Oceano 15. Il Leone di Caprera: una fine ingloriosa 16. Ritorno a Bagnara 17. 18. 19. 20. Vivere di memorie col battello svenduto e perduto Il Disarmo Il progetto Cesar Cantù Verso la fine Nota bibliografica essenziale Appendice 1: La replica del viaggio operata da Pino Veneroso Appendice 2: Il destino del Leone di Caprera Pag. 2 pag. 27 pag. 34 pag. 36 pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag 38 46 50 63 65 72 75 89 93 95 pag. 99 pag. 100 Il Cesar Cantù in allestimento nei cantieri navali di Buenos Aires (Studio fotografico dei F.lli Leoni, Montevideo 1893) QUADERNI BAGNARESI Redazione: Tito Puntillo, Piazza Rivoli, 7- 10139 Torino Puntillo_44@libero.it – 338.75.87.681 Pag. 3 Il Diario di V. Fondacaro - IIa. edizione: Perino - Roma 1884 Pag. 4 1) Primi passi Vincenzo Fondacaro nacque a Bagnara il 3 marzo 1844, in una casetta del Rione Calcoli, all’epoca un’area della Città occupata da diradate abitazioni, circondate da piccoli giardini ad agrumeto e lambito dal rumoroso torrente Sfalassà, portatore a mare di un consistente volume di acqua aspromontana. Oggi potremmo indicare il Rione Calcoli come la zona che da via Pavia (dove fino a qualche anno addietro si trovava il carcere), giungeva fino agli argini dello Sfalassà abbracciando l’area che saliva sino al viadotto sulla SS.18. La straordinaria (e oramai perduta) spiaggia di Bagnara, di considerevole larghezza e quasi tutta costituita da sabbia finissima, era di tale ottima qualità perché alimentata continuamente da un consistente bacino idrico che rilasciava a mare materiale alluvionale aspromontano, quasi tutto costituito da terreno soffice e senza scorie. Fra le decine e decine di rivoli, canaletti, pozze e ruscelli presenti lungo le falde appenniniche bagnaresi, assumono ancora oggi importanza determinante per l’attività agricola del territorio, il torrente Granaro, che in tempi passati formava vasche naturali di acqua dolce sulla spiaggia a ridosso di “Gramà”. Segue il Gazziano (in antico “Catiano”), uno dei due fiumi classici di Bagnara; scorre dalle falde di “Santa Barbara” e si getta nel vallone del “Malopasso” fino ad una radura rocciosa, dalla quale in passato si versava in mare con una cascata (oggi il torrente è in secca). Dalle “Serre” scende il torrente Arangiara, con un percorso ripido e impetuoso; lambisce il rione di Purello e raggiunge la spiaggia di Bagnara dal versante nord della Città. Sul “Serru ra Faddeja” (“Serro della Faddeja”) si formava il Vardaru (oggi Canalello) che giungeva a mare lungo i gelseti che caratterizzavano la parte centrale della rada di Bagnara. Quindi veniva, sempre andando verso il Canale, la fiumara dello Sfalassà, l’altro fiume classico di Bagnara, che, sopra i “Kiani rà Curuna” (“Piani della Corona”), assume il nome di Torrente Cuvala. Si trattava in realtà di un vasto bacino idrico formato, oltre che dallo Sfalassà/Cuvala, da importanti affluenti, fra i quali l’Acquampisa (che irriga gli “Olivarelli”), il Fiumarella e l’Acqua del Salicumi, che irrigano la campagna del solanese, il Torrente San Giuseppe che scende da Castajace e la sorgente di Flavioli che attraverso il Serro d’Arba e la contrada Pitino, raggiunge lo Sfalassà all’Acquarangi. Lo Sfalassà/Cuvala fino a tutto il XVI secolo, si gettava a mare dalle rocce, con un’impetuosa cascata. Proseguendo verso il Canale, s’incontra il torrente Acqua della Signora con la sorgente all’incrocio fra “Feliciusu” e “Piano della Chiusa” e il Torrente Scifi (oggi detto De Leo), che irriga l’omonima contrada e la costiera della “Petra ru Corvu” (“Pietra del Corvo”), sopra la Spiaggia di “Pietracanale”. Sulla Spiaggia di “Praialonga” che corre dal “Pizzolo” di Bagnara fino a Favazzina, si versano il Praialonga, che scende dal “Catoju”, il Mancusi, che scende dall’omonima costiera, dopo aver assorbito le acque del torrente Samperi, che scende a fianco di “Cucuzzu” provenendo da uno dei Passi di Solano. Segue il torrente Rustico, che si alimentava sotto la costiera di “Bagasciola”, come il Favazzina, che irriga la zona di “Brancatu”. A rinforzo di questo bacino idrico importante, stanno, come cennato, decine di torrentelli, pozzi e sorgenti, in passato alcune di acqua minerale, anche calda. Esistono ancor oggi, affossate soprattutto là dove fu costruita la linea ferroviaria. Una sorgente d’acqua calda sgorgò impetuosa durante i lavori per la costruzione dei viadotti autostradali e fu immediatamente affossata. Pag. 5 GENEALOGIA DI VINCENZO FONDACARO DOMENICO FONDACARO ANTONIO CAIA DOMENICA BARBARO DOMENICA CAIA *19.12.1819 +9.2.1901 SALVATORE FONDACARO * 1810 +19.3.1900 VINCENZO * 3.3.1844 +?.6.1893 CARMINA RANDAZZO CARMELA * 21.4.1846 FRANCESCA *2.3.1850 = Giuseppe Frosina il 23.5.1901 GIUSEPPA *1.6.1852 ROSARIA *11.3.18 54 FRANCESCO *22.6.1855 = Ferdinando Chimi (Messina) il 13.12.1879 Il padre di Vincenzo, Salvatore, era un marinaio di ventiquattro anni, imbarcato sui bozzetti bagnaroti che svolgevano attività commerciale lungo le rotte del Canale; la madre era una Bagnarota di vecchio stampo, appartenente a una famiglia di estrazione contadina. Domenica Caia infatti, era una rasolara di ventidue anni che accudiva un paio di piccole vigne di proprietà della famiglia paterna, con annesso un fazzoletto di area sterrata ove lasciar razzolare qualche gallina. Il tutto stava a ridosso dello Sfalassà, andando verso l’amena area preaspromontana conosciuta ancora oggi come “U Cushiutu”. I Fondacaro ebbero altri cinque figli: quattro sorelle, due delle quali rimaste vittime del terremoto del 1908 e un fratello. La tradizione marinara di Bagnara, al di là del mestiere della pesca, era di antica data; consentì che si sviluppasse ad inizio del 1784, il ruolo di Bagnara nel rapporto commerciale Messina-Calabria, che proprio da quella data aumentò in modo esponenziale. La zona del Canale, spinta dalle opportunità di mercato e dalle necessità locali, rinnovava e convertiva la propria fisionomia. Il gelso fu affiancato dai giardini e decine di paranze facevano la spola con le anse calabresi per traghettare la pietra calcina siciliana, Pag. 6 necessaria per la riedificazione degli abitati distrutti. Le paranze s’aggiungevano a quelle che quotidianamente svolgevano il trasporto commerciale da una sponda all’altra, un esercizio che vedeva impegnati soprattutto gli scillesi sulla direttrice Cannitello-Messina (all’epoca postterremoto con i capi barca Girolamo Laganà, Antonio Paladino, Gio:Batta Riganati e Giovanni Santisi). Vi erano poi i caricatori che provvedevano a collegare i centri di smistamento con i maggiori porti del Mediterraneo. I centri erano a Tiriolo, Girifalco, Rossano, Cotrone, Palmi, Polistena, Reggio, Fiumara e Scilla. Le destinazioni (e le provenienze) erano, a raggio, da Genova a Venezia, con concentrazione su Napoli. Da Bagnara si attivò dal 1784 una linea col porto internazionale di Messina e con Acireale e Catania e, assieme agli scillesi, i bagnaroti cominciarono a garantire molto dell’approvvigionamento dal Canale alla Sicilia di uva, agrumi, seta e canapa. La domanda di agrumi dei giardini e delle rasole calabresi sui moli del porto di Messina, andò alle stelle dopo il 1784, e il trasporto fu svolto dai padron di barca che collegavano Bagnara (come Scilla) oltreché con Messina, come notato, con tutto il Mediterraneo e, tramite il negozio del mare andavano a commerciare fino a Innsbruck, CARLO VI Imperatore d'Austria l’entroterra padano con Venezia e Trieste da una (catalogo-mantova.lamoneta.it) parte, e Marsiglia e Genova dall’altro (Milano attingeva direttamente da Genova). Anzi i mercanti genovesi furono sempre assidui frequentatori delle anse di Bagnara ancora nei secoli precedenti e lo saranno fino a tutto l’Ottocento. Salvatore Fondacaro aveva ereditato da suo padre e questi dagli avi suoi, il mestiere esercitato a bordo di bozzetti che incrociavano sulle rotte commerciali del Tirreno, l’alto Adriatico e l’Egeo,1 e come si usava a Bagnara a quei tempi, il ragazzino fu destinato al servizio di mozzo su un trasporto locale dov’era imbarcato anche il padre, e che seguiva la rotta commerciale prevalentemente su Messina, ma con allungamenti su Palermo, Catania e Malta. Con patente del marzo 1719, Carlo VI d’Austria2 dichiarò Trieste e Fiume zone franche, dopo aver confermato al porto giuliano nel 1714, nella sua Alfredo Barilà (ALFREDO BARILÀ, Vincenzo Fondacaro: l’”Ulisside”, Annuario scolastico 1962-1963 del Liceo Ginnasio di Stato “G. La Farina” di Messina, tip. D’Amico, Messina 1963, pag. 8), indica i nomi dei genitori e il Rione Calcoli come località ove esisteva la casetta dei Fondacaro. 2 http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-vi-imperatore/ 1 Pag. 7 qualità di re di Napoli, i privilegi commerciali del‘500. Resistette Venezia che, soprattutto dopo la Pace di Passarowitz,3 vide compromessi i propri traffici.4 Anche da qui, ad esempio, l’ordine dato dal Senato alle Province di Istria e Dalmazia di fare scalo commerciale esclusivamente negli attracchi della Laguna. Il timore non era isolato. A Roma Clemente XI emanò nel febbraio 1732 un editto che fissava una tassa del 12% sulle merci che transitavano dai porti dello Stato della Chiesa, ad esclusione delle merci locali caricate a Civitavecchia, Ancona e gli altri scali pontifici5 Molta dunque la preoccupazione a Venezia per il “blocco” che rischiava di paralizzare la Repubblica, tra l’altro espressamente dichiarata nelle relazioni degli ambasciatori veneti a Napoli e Roma.6 Fra il 1783 e il 1784 e fra il 1787 e il 1789, si ripeterono le annose trattative fra Napoli e Francia per la definizione di un trattato commerciale che, malgrado gli intensi traffici, non si riuscì a ultimare e firmare.7 Difficoltà si riscontrarono anche con la Repubblica, per via di quei «blocchi» imposti dal Senato alle Province marittime e che impedivano alla marineria del Regno di Napoli di ricevere commercio in Adriatico.8 É da tener presente che per gli stessi commercianti napoletani e quindi anche scillitani e i bagnaroti, fu conveniente lo stato di cose quando si trovavano a Venezia. Per esempio l’olio di Corfù, detassato da Costantinopoli, costava 75 ducati al migliaro contro gli 85 circa del napoletano, per cui accadde che fossero gli stessi napoletani a farne incetta e dunque ad auspicare che un trattato commerciale alla fine ritardasse. Napoli d’altro canto si lamentò per il danno provocato al commercio delle uve di Bagnara, delle altre zone anseatiche calabresi e delle Eolie, sottoposte al http://www.treccani.it/enciclopedia/passarowitz_%28Enciclopedia-Italiana%29/ G. GOZZI – M. KNAPTON, La Repubblica di Venezia nell’Età Moderna. Dal 1517 alla fine della Repubblica, UTET, Torino 1992, da pag. 556. 5 Si veda, anche per la descrizione sulla condizione di precarietà economica e sociale dello Stato della Chiesa in questo periodo: MARIO CARAVALE – ALBERTO CARACCIOLO, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio IX, UTET, Torino 1978, da pag. 469. Inoltre: ROBERTO CESSI (a cura di), Dispacci degli ambasciatori veneziani alla corte di Roma presso Giulio II (25.6.1509-9.1.1510), Deputazione di Storia Patria per le Venezie, s. I, Documenti, XVIII, Venezia 1932; GIROLAMO DONÀ, Dispacci da Roma (19.130.8.1510), La Malcontenta ed., Venezia 2009; RAFFAELE CARAVIGLIA, Un mancato trattato di commercio tra le Due Sicilie e la Francia e un parere dell’Abate Galiani, Athenæum ed., Roma 1914. 6 ROBERTO CESSI, Storia della Repubblica di Venezia, Messina 1946, vol. II pag. 212. 7 R. GUARIGLIA, Un mancato trattato di commercio tra le Due Sicilie e la Francia, in “Rivista di Diritto Internazionale” (VIII), I – 1984, pag. 126); 8 R. ROMANO, Un tentativo di stipulazione di trattato commerciale tra Napoli e Venezia nel 1739, “Studi economici e aziendali”, a. 1948, pag. 196 E ANCHE: Le commerce du Royaume de Naples avec la France et les Pays de l’Adriatique au XVIII° siècle, A. Colin ed., Parigi 1991). 3 4 Pag. 8 regime dell’Arte dei Fruttaroli e Mandorlieri veneziana 9 (o si vendeva all’ingrosso a prezzi di Mercato o si poteva solo vendere al minuto con danni certi per via del deperimento della merce). Per quantificare il danno, si tenga conto che quasi tutti i paesi tedeschi si approvvigionavano a Venezia delle uve calabresi e dei prodotti agricoli pugliesi colà trasportati anche dalle paranze di Scilla e Bagnara. Paranze che andavano e venivano dal porto di Trieste ove scaricavano soprattutto olio, stando in concorrenza coi greci che pure, come notato, godevano delle esenzioni fiscali di Costantinopoli. Verso il 1787 Marsiglia consumava 120.000 milleroles d’olio dei quali la metà fornita dal Regno di Napoli e 120.000 milleroles li prelevavano i genovesi, con destinazione privilegiata Marsiglia. Il commercio s’incentivò nel tempo per il deperimento degli oliveti provenzali. Anche la lana meridionale fu commerciata allo stesso modo, ricercate soprattutto le «bombasine» di Scilla (in fazzoletti e coperte) mentre la seta, la cui economia fiorente fu annientata dal terremoto, stentò a riprendersi.10 2) La formazione delle “Società” marittime Le «società» che si formavano a Bagnara e Scilla per operare sulle rotte del Mediterraneo, furono un misto di capitale e merci. C’era chi dava pochi ducati o qualche panno intessuto, finanzieri che investivano centinaia di ducati e commercianti che caricavano raccolti o grandi quantità di manufatti, tutto sotto il regime del «cambio marittimo».11 Il Padron di Barca salpava e navigava lungo le coste dell’Adriatico. Tappa certa la fiera di Gallipoli, poi Monopoli, Brindisi e i piccoli approdi pugliesi dove si caricava per conto dei mercanti locali, altra merce si acquistava col denaro delle “Società”. Quindi si salpava verso Venezia (l’olio si scaricava prevalentemente a Trieste). Qui si piazzava la merce all’ingrosso, soprattutto la deperibile. Dopo il Padron di Barca partiva coi collaboratori, lasciando un presidio sulla paranza, verso l’interno: Verona, Padova, Trento, Bolzano, Innsbruck, ma anche Brescia e Bergamo. Qui si vendeva il trasporto e si comprava altra merce. Quindi si tornava alla paranza, vi si caricava la merce acquistata, si depositava il denaro di quella venduta e si procedeva a un altro trasporto verso l’interno e ciò fino all’esaurimento del carico stivabile. Quindi si salpava e si toccavano, al ritorno, i porti dell’Adriatico dove si vendeva parte della merce acquistata nell’entroterra padano-tedesco. Si tornava così a Scilla e Bagnara col denaro realizzato e una parte di merce necessaria ai https://it.wikipedia.org/wiki/Arte_dei_fruttaroli_nella_Repubblica_di_Venezia cfr.: N. CORTESE, La Calabria Ulteriore alla fine del secolo XVIII, “Rivista Critica di Cultura Calabrese”, I - a. 1921). Fortissima la domanda di cotone, dopo che la Francia perse le linee commerciali privilegiate col Levante e le Americhe. 11 ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO C., Fondi notarili, Notaio C. Sofio, Bagnara, f. 177, p.1. 9 10 Pag. 9 bisogni locali e si distribuivano i guadagni all’interno delle “Società”. Un affare del genere durava sei, otto mesi, anche un anno; il ritorno del padron di barca era una grande festa per il paese. Il percorso tirrenico era invece più diretto e vedeva in primis Napoli, il grande centro di smistamento dei prodotti del Regno. Ma molti trasporti puntavano su Marsiglia e Genova, quando non erano quest’ultimi a presentarsi nelle anse a caricare. Molte le paranze che salpavano verso Catania, Acireale ma soprattutto Palermo, ove scaricavano coffe e altre confezioni utili alla conservazione della frutta. Il ritorno era prevalentemente costituito da materiale per carpenteria e costruzioni edili, soprattutto dopo il 1783. Enorme la mole del contrabbando che in quel frangente interessava gli olii della Piana mentre una dinamica via i contrabbandieri aprirono anche per terra, facendo transitare prodotti della pastorizia, greggi, legname e conserve dal bosco di Solano verso la Melia e quindi la consenziente Marina di Scilla. 12 3) Tutto insieme! L’invasione gioiosa dei Garibaldini a Bagnara nel 1860, la vista del Generale e dei suoi magnifici ufficiali, della truppa ordinata e gentile, elettrizzò dunque un giovanissimo Vincenzo Fondacaro che di quelle gesta e quelle figure, aveva sentito discutere a bordo del battello ove prestava servizio come mozzo. I sacrifici e le lotte dei Paesani durante i suoi sedici, i rumori delle battaglie, gli entusiasmi, i “Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele! Viva Garibaldi!” gridati dai Patrioti di Bagnara, alcuni dei quali morti o feriti, si concretizzavano in quella realtà: Garibaldi e i Mille a Bagnara, finalmente libera, italiana. L’emozione fu tale che quella sera l’idea di trasformare i sogni in realtà gli parve impresa concretizzabile! La missione che occupava il suo essere era: il mare, l’avventura, le sfide alla natura, l’emulazione di Garibaldi, l’eroe assoluto. Tutto insieme! Da quel giorno “puntò” su quanto accadeva a Messina e Palermo. Appena il bozzetto bagnaroto attraccava, Vincenzo sbarcava e faceva il giro dei piroscafi, in cerca di una prima occupazione che gli G. CASTELLANO, Portofranco, fiere, manifatture e dazi doganali nelle Due Sicilie, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, Na 1959, vol. III, pg. 215). 12 Pag. 10 consentisse di passare le Colonne d’Ercole e osservare l’orizzonte del mare aperto, dell’oceano. Finalmente nel 1861 si presentò l’occasione di un vascello da trasporto britannico che dovendo percorrere una nuova rotta commerciale fra la Manica e il Mediterraneo, reclutava personale per potenziare l’equipaggio e così a 17 anni Vincenzo s’imbarcò per “abbracciare l’oceano”. Di nave in nave, fece esperienza espletando le funzioni di bordo: mozzo, velierista e aiuto timoniere e lavorò non per ricevere il soldo, quanto per imparare, osservare “come si fa” catturando nella sua mente i trucchi per eseguire le operazioni di bordo, trucchi frutto di esperienze di vecchi Capitani di Mare. L’inglese divenne la sua lingua correntemente parlata, studiò il francese, lo spagnolo e il portoghese. Lesse molto, soprattutto i classici della letteratura e nel suo Diario, numerose sono le citazioni, i rimandi, le comparazioni. Furono anni difficili per il giovane navigatore italiano. Gli equipaggi composti da sudditi dell’Impero Britannico, non persero occasione per vantarsi della politica di espansione coloniale messa in atto dai Governi della Regina Vittoria; furono per loro espressione della “missione” puritana: l’Impero di Sua Maestà «chiamato» a promuovere nel mondo progresso e civiltà. In questo senso, Thomas Carlyle non ebbe dubbi nel definire la Britannia “Nazione Eletta”, la Grande Bretagna che guida il mondo verso l’anglicizzazione che è anche redenzione.13 Fondacaro sentiva questi discorsi in continuazione e si domandò se davvero quella gente credesse in quel che asseriva in modo plateale. Sapeva anche che in Italia le cose andavano male. Di Cavour era morto nel giugno 1861 e da quell’Italia Meridionale “redenta”, si leggeva di violenze perpetrate dai Piemontesi che, incapaci di opporsi efficacemente ai “briganti”, si scatenavano sulla popolazione inerme. L’inasprimento delle imposte indirette stava massacrando la precaria economia del mondo contadino meridionale e da lì salì la protesta da parte di un mondo in dissoluzione. La “chiamata” della Grande Bretagna come Nazione Eletta, che giustifica in positivo la politica della sua espansione coloniale si può in un certo senso accostare alla teoria del "Destino Manifesto" di Jackson, quale idea degli Stati Uniti come Nazione-Guida nella promozione e difesa della libertà dei popoli. Fu adoperata negli anni 1840 e sgg., per dare corpo alle posizioni politiche per la legittimità dell'annessione dei Territori (il Territorio e Texas e la Guerra contro il Messico per la California). Cfr.: ANDERS STEPHANSON, Destino Manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene, Feltrinelli ed., Milano 2004; J. FREEMAN- S. NEARING, Diplomazia del dollaro. Studio sull’imperialismo americano, Dedalo ed., Milano 1993. Argomenti più vicini al tempo e alle attività di navigante svolte da Fondacaro, sono in: RUY MAURO MARINI, Il subimperialismo brasiliano, Einaudi ed. Torino 1974. Contro Garibaldi, cito fra i tanti: ANTONIO CIANO, I Savoia e il massacro del Sud, Grandmelò ed., Roma 1996. 13 Pag. 11 Il Capitani seguì sulla stampa britannica le iniziative politiche di Rattazzi, che cercò di guadagnarsi il consenso di Garibaldi e del Partito d’Azione, anche se loro spingevano per l’intervento a favore dei fratelli della Serenissima, e pensò di mostrarsi favorevole a una iniziativa rivoluzionaria di riscatto del Veneto, iniziativa che il Generale sentì di dovere realizzare, ma che il Governo giudicò inopportuna. E la stampa britannica non perse occasione per commentare negativamente l’atteggiamento refrattario dell’Italia, mostrando simpatie per il Generale e la sua aspirazione per la libertà. Ma come per le altre manifestazioni del Generale, l’obiettivo ultimo da centrare fu sempre quello: Roma. E in questo senso, l’ostilità della Francia fu manifesta e minacciosa e il Governo italiano non poté dare mano libera alla Camicie Rosse. 4) Aspromonte! Ad agosto del 1862 Garibaldi ruppe gli indugi e si recò in Sicilia, sollecitato da giovani patrioti e vecchi amici e dagli esponenti più in vista del movimento repubblicano: Roma! O Roma o morte! 14 Il passaggio lungo le campagne della Terra del Sole fu trionfale; da Palermo a Catania e Messina una sola ovazione. Garibaldi ci salverà di nuovo! commentarono le masse contadine che, malgrado l’unione all’Italia, continuarono a restare feudalizzate sotto quei prìncipi e baroni che intanto nel nuovo Stato, loro si, s’erano integrati. A Messina Garibaldi poté porre il campo principale, senza disturbi da parte dei Sardo-Piemontesi, e ricevette numerose missioni calabresi che assicuravano appoggio. Ma non fu come nel 1860. Il movimento patriottico aveva esaurito la spinta motivazionale ed emozionale, con i capi integrati nel sistema monarchico neoitaliano. Garibaldi dopo il ferimento sull'Aspromonte http://www.150anni-lanostrastoria.it/index.php/aspromonte-mentana http://www.gabrielepetrone.it/29-agosto-1862-il-risorgimento-fini-in-calabria-150-anni-fagaribaldi-veniva-ferito-dai-bersaglieri-in-aspromonte/ 14 Pag. 12 Furono errate le valutazioni sulla forza militare che attendeva Garibaldi sulla costa calabrese? Nel momento in cui salpavano i vapori verso Melito, Cialdini occupava le poste strategiche della costa e dava ordini di contrapporsi anche aprendo il fuoco, se necessario. L’ordine dato a Cialdini fu di impedire che Garibaldi entrasse a Reggio e da qui sulla Piana di Gioja e Nicastro, perché questa circostanza avrebbe potuto innescare la sollevazione delle Calabrie, già in fermento per via del “Brigantaggio” antinazionale. IL GENERALE ENRICO CIALDINI Chissà cosa pensò il Generale in quei momenti (BIOGRAFIEONLINE.IT) drammatici! Che delusione poté provare? E quell’Italia? Di che pasta era costituita? Bastò una protesta della Francia per quello sbarco, minaccioso verso il Potere Temporale papalino, per mettere in moto l’apparato militare neo-italiano, già preoccupato per il rischio di una rivoluzione popolare meridionale. L’Imperatore ebbe bisogno di aggraziarsi il consenso dei cattolici oltremontani e si mostrò apparentemente devoto verso Sua Santità, difensore della Religione e del suo Alto Rappresentante in Terra, quando il suo fu un mero interessamento teso a sfruttare queste circostanze a proprio vantaggio. E il Piemonte-Italia tremò all’idea di restare isolato nel contesto delle grandi potenze europee, contesto entro il quale credette di essere organicamente inserito. E allora fu Aspromonte! Garibaldi si rese conto della difficoltà che avrebbe potuto incontrare nel fronteggiare i reggimenti di Cialdini, schierati alle porte di Reggio con fanteria, batterie da campagna e cavalleria, col supporto della Regia Marina Aspromonte: Garibaldi, ferito, è trasportato su una sedia fino al porto savoiarda. Poi c’era quella di Scilla (Carlo Bossoli) Commissione Cittadina di Spanò Bolani che gli era venuta incontro supplicandolo di non entrare a Reggio, ove non avrebbe trovati i supporti e l’adesione patriotica dl 1860 e invece l’opposizione regia con un conflitto che avrebbe procurato morti e feriti fra la gente. Pag. 13 Decise allora di deviare e prese per la montagna senza preoccuparsi che la colonna non era equipaggiata per l’altura e deteneva una riserva alimentare sufficiente per un paio di giorni. La marcia si rivelò faticosa fra impervi sentieri e guadi in fondo a strapiombi sempre in penombra. Presto fame e freddo iniziarono a impossessarsi dei corpi dei volontari, molti dei quali non ce la fecero, mentre i sopravvissuti iniziarono a trascinarsi senza forze, sorreggendosi l’un l’altro. Peregrinando senza soste, giunsero così ai Piani d’Aspromonte, alle spalle di Montalto, mentre a valle la notizia si diffondeva come un lampo. Carovane di muli e montanari si mossero dai paesi d’Aspromonte trasportando al campo garibaldino di tutto: alimenti, indumenti, vino e munizionamento. Anche da Bagnara i vecchi patrioti organizzarono colonne di rifornimenti e dichiararono a Garibaldi la loro totale adesione. Anche a Cialdini fu comunicata da terrazzani, la posizione di Garibaldi e gli osservatori militari inviati a spiare le mosse del Generale, poterono valutare che in effetti Garibaldi, rinforzato, riequipaggiato e di nuovo in piena forma fisica, s’apprestava a scendere verso i Piani della Corona per invadere la piana di Gioja, facendo proseliti. La truppa regia raggiunse i Piani agevolmente, marciando da Reggio e Villa e si contrappose ai garibaldini in schieramento da battaglia. Ricevuto l’ultimatum di Cialdini ad arrendersi, il Generale rispose che lui si trovava in campagna per la salvezza della Patria e non poteva desistere. Fu così che dallo schieramento sardo-piemontese iniziarono a spararsi alcune salve di moschetteria verso il campo garibaldino e i volontari del Generale risposero al fuoco atteggiandosi a un attacco alla baionetta. Un breve scontro, dal quale parve che i Garibaldini potessero prevalere sui fanti piumati del neo Regno Piemonte-Italia. Ma a tal punto Garibaldi ordinò il cessate il fuoco: non sopportò, si disse, l’idea che fratelli e fratelli si sparassero. E in quel momento due fucilate lo raggiunsero: una palla alla coscia e una al piede. Garibaldi dunque, consapevole delle difficoltà della missione, - sbarcò in Sicilia con propositi bellicosi. - accolse le entusiastiche adesioni del Popolo isolano - e forte di consensi e aiuti materiali, mise piede in Calabria. - Si rese conto che senza l’appoggio popolare calabrese, non avrebbe avuta possibilità di avanzare respingendo un nemico determinato a eliminarlo? - Se così fu, perché decise di avanzare comunque? Dopo la resa fu un seguitare di drammi. Scilla vide transitare il Generale portato a spalla dai garibaldini disarmati e circondati dai piumati e il Borgo inorridì mentre il Prigioniero saliva sul piroscafo che lo avrebbe condotto nel carcere di Gaeta. Pag. 14 L’Eroe ferito sull’Aspromonte il 29 agosto 1862 dai bersaglieri di Cialdini, ancora a quell’epoca, incarnò per Fondacaro la difesa della gloria della Nazione vituperata, offesa nei sentimenti e nella virtù. Ma ciò che più lo corrucciò, fu il comportamento delle truppe dislocate in Calabria, che si mostrarono ostili più del necessario nel fermare l’avanzata dei tremila patrioti. Le truppe di occupazione piemontesi formavano in Calabria un contingente equipaggiato per una FENESTRELLE campagna di guerra, perché impegnate nella lotta al Brigantaggio. Con l’ingresso di Garibaldi a Catania, furono allertate e poste a presidio dei punti strategici della costa meridionale calabrese. Malgrado ciò, come cennato, alle quattro del 25 agosto 1862, il Generale sbarcò tra Melito e Capo dell'Armi. I volontari si incolonnarono in formazione di marcia e iniziarono a procedere sulla litoranea verso Reggio. Furono presi di mira dai cannoni di una corazzata italiana, senza provocare panico fra la formazione in marcia. Quando le avanguardie s’apprestarono alla periferia di Reggio, iniziò un nutrito fuoco di fucileria dei bersaglieri schierati in formazione di battaglia. La decisione di Garibaldi di non impegnarsi fu presa, come cennato, dopo che una delegazione di notabili reggini lo invitò a desistere nel prendere Reggio, non avrebbe ottenuto l’appoggio della popolazione. Quanto lontana apparve al Generale la scena del 1860, quando invece fu una popolazione in festa a venire incontro ai Mille! Deluso dalla refrattarietà dei reggini, Garibaldi decise di deviare verso Aspromonte,15 e probabilmente questa profonda tristezza raggiunse il massimo quando nel mondo si seppe che, mentre i militi che lasciarono l’esercito regio per seguire Garibaldi, furono rinchiusi nelle carceri piemontesi (Alessandria, Vercelli, Genova e SALVATORE ORLANDO, Garibaldi a Melito, Città del Sole ed., Reggio C. 2007; BRUNO ZAPPONE, Garibaldi in Calabria, Pellegrini ed., Cosenza 1990; CESARE MULÈ, Garibaldi in Calabria, Rubbettino ed., Soveria M. 1982; TOMMASP NARDELLA, Marco Centola e lo sbarco garibaldino a Melito, F. Fiorentino ed., Napoli 1969). Un diario attento della spedizione di Aspromonte è in: CELESTINO BIANCHI, I martiri d’Aspromonte. Cenni storici, C. Barbuti ed., Milano 1863 (Pancallo ed. Reprint, Locri 2011. Vedi anche: ANTONIO SORRENTI, L’accerchiamento a Garibaldi. Il Generale era informato. Perché allora accettò lo scontro a fuoco? In Calabria Ora 29 agosto 2012. 15 Pag. 15 soprattutto Vinadio e Fenestrelle), gli ufficiali regi che seguirono il Generale, furono fucilati!16 Scrisse “La Civiltà Cattolica” a fine agosto del 1861 che negli Stati Sardi s’era instaurata la tratta dei Napoletani. L’anonimo corrispondente della Rivista narrò dell’approdo a Genova di «bastimenti carichi di quegli infelici, fatti arrestare da Cialdini in modo scriteriato e sbarcati al nord in condizioni SERGIO ROMANO, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni. Perché l’Italia non è mai stata un paese normale? Editori Associati, Milano 2012, pg. 393. Cfr.: RUGGIERO MAURIGI, Aspromonte. Ricordi storico-militari del marchese R.M. già aiutante di campo del Generale Garibaldi, tip. Del Diritto, Torino 1862. La triste fama del Campo e Forte di Fenestrelle, risaliva al 1860, perché durante l’invasione francese, fu trasformato in carcere per prigionieri politici e combattenti nemici. Vi furono detenuti carbonari e perfino il Cardinale don Bartolomeo Pacca, segretario di Pio VII. Vi rimase tre anni e mezzo. Dopo il 1862 e i fatti d’Aspromonte, vi furono internati 500 garibaldini, in promiscuità con i militari dell’ex Regno delle Due Sicilie. Durante la Grande Guerra Fenestrelle funzionò ancora come carcere militare per i prigionieri austro-ungarici. Nel 1920 il carcere fu chiuso definitivamente (GIUSEPPE NOVERO, I prigionieri dei Savoia. La storia della Caienna Italiana nel Borneo, SugarCo. Ed., Milano 2011, pag. 54-56; JURI BOSSUTO – LUCA COSTANZO, Le catene dei Savoia. Cronache di carcere, politici e soldati borbonici a Fenestrelle, forzati, oziosi e donne di malaffare, con una prefaz. di Alessandro Barbero e una postfaz. Di Claudio Sarzotti, editr. Il Punto Piemonte in Bancarella, Torino 2012 da pag. 360). 16 Pag. 16 pietose. Distesi sulle banchine del porto genovese, furono ripartiti a gruppi: «alcune centinaia mandati a Fenestrelle, e qui la malesuada fames et turpis egestas, li indusse a cospirare, altri (circa ottomila) al campo di San Maurizio, sorvegliati da mezzo esercito, tanto ne hanno paura. E costoro, così guardati e malmenati, pensate con che valore vorranno poi combattere pel Piemonte! Eccovi in che modo si fa l’Italia!».17 Il mondo restò incredulo, la stampa internazionale continuò a tuonare scandalizzata. La protesta fu universale! Tradito dai Notabili Reggini, seduti su poltrone governative che passeranno secondo un concetto ereditario, a figli, nipoti e parenti, Garibaldi ricevette l’omaggio e l’affetto del mondo. Liberato dopo una amnistia ideata allo scopo, fu trasportato a Caprera e colà lasciato in esilio forzato. E questo dopo che a fine 1860, la Nuova Italia Piemontese, dopo non averli accolti nell’Esercito Italiano, bocciò in Parlamento la proposta di Garibaldi di trasformare il suo Esercito in Guardia Nazionale Mobile secondo il concetto di Nazione Armata, sempre vigile e pronta. Le gelosie degli altri gradi dell’Esercito furono vincenti. 5) Garibaldi e Di Cavour nel 1861 Lo scontro fra Di Cavour e Garibaldi fu durissimo! Il 14 aprile 1861 si svolse alla Camera dei Deputati a Torino, una seduta infuocata. Un testimone assistette dalla tribuna allo “spettacolo”18 e relazionò la stampa estera: Garibaldi entrò, accolto da un’ovazione dei Deputati della Sinistra, avvolto nel poncho grigio su una camicia rossa e atteggiamento da “vecchio commediante”, piuttosto che “profeta”. Eccitato dalle ovazioni dei Napoletani, “questo popolo di schiavi”, guardò i banchi del Governo dall’alto in basso e trattò il Re “da pari a pari”, in una Città come Torino, ove il sentimento monarchico era radicato e Garibaldi veniva considerato “pericoloso” per l’Italia. (Bisognerà che se ne tenga conto, quando tratteremo dei rapporti fra il Capitano Fondacaro e il Governo Italiano). Insomma: per i filo-governativi Garibaldi era un uomo con carattere labile e spirito limitato, ancorché mostrasse coraggio. Garibaldi cercò di articolare in suo intervento seguendo una traccia predeterminata, ma entrò in confusione. Gettò i foglietti sul banco e si scagliò verbalmente contro il Governo: non avrebbe più stretta la mano a un uomo “che ha venduto la sua Patria allo straniero” (la cessione di Nizza alla in Cronache dell’Unità d’Italia. Articoli e corrispondenze 1859-1861, a cura di Andrea Aveto, Mondadori ed., Milano 2011, pag. XLV. 18 Cfr.: HENRY d’IDEVILLE, Journal d’un diplomate en Italie, Libreria Hachette & C., Parigi 1872) 17 Pag. 17 Francia) e dare consenso a un Governo che “con mano fredda e malefica tenta di fomentare una guerra fratricida”. Il Di Cavour scattò in piedi, indignato per le offese, ma fu circondato da un nugolo di Deputati della Sinistra Garibaldina. Fu rissa che coinvolse le tribune del pubblico, con proteste pro-Garibaldi da parte dell’Ambasciatore britannico. Una bagarre di mezz’ora, osservata con compiacimento da Garibaldi. Dopo una mediazione diplomatica del Deputato Nino Bixio, Garibaldi riprese a parlare, indicando quali erano le condizioni accettabili per egli e la sua Armata garibaldina: - L’Esercito Garibaldino sarebbe rimasto in assetto operativo e sarebbe stato posto sotto il suo comando; - Ulteriore riarmo dell’Esercito sardo-piemontese e proseguimento della campagna d’Indipendenza Nazionale, accettando l’aiuto dei volontari inglesi, molto generoso in termini di uomini e mezzi; Parole sprezzanti lanciate contro un Governo definito in un precedente intervento a favore degli operai di Genova, “ composto da gente lacchè e pusillanime”. Secondo il diplomatico francese (nemico di Garibaldi), se Cavour avesse reagito sullo stesso piano alle accuse di Garibaldi, “ l’intera Camera si sarebbe levata per far giustizia e si sarebbe pronunziata contro l’insolente dittatore”. Commenterà Di Cavour: 19 “Il leone Garibaldi, più che un timore oggi per qualcuno, rappresenta e personifica la parte più rivoluzionaria; non è, a dir la verità, che uno strumento nelle mani di Mazzini” Quella del Di Cavour non era una posizione di ostilità preconcetta verso l’acquisita Italia Meridionale, e non proteggeva aprioristicamente lo Stato della Chiesa per condiscendere alla Francia, si trattava di indifferenza iniziale, che perdurò durante la conquista garibaldina e si concretizzò si veda: GIOVANNI FASANELLA – ANTONELLA GRIPPO, Intrighi d’Italia. 18611915. Dalla morte di Cavour alla Grande Guerra: le trame nascoste che non ci sono sui libri di storia, Sperling & Kupfer ed., Roma 2012, pag. 5 e 7 e SERGIO ROMANO, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni. Perché l’Italia non è mai stata un paese normale? TEA ed., Milano 1998, pag.33). Su tutto, vale a mio avviso il giudizio sintetico proprio di Sergio Romano: A causa di Garibaldi, l’Italia ha alle sue origini non un progetto, ma un atto, non un’idea, ma un’intuizione. Marcata da questo certificato di battesimo essa soggiace naturalmente nei suoi momenti più difficili al fascino di un gesto risolutivo e di un avvenimento liberatorio, alla convinzione che la storia, la sua storia almeno, possa mutare corso per l’improvvisa apparizione di un fatto nuovo (SERGIO ROMANO, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni… cit., pag. 23). 19 Pag. 18 successivamente in un problema politico per il Governo di Torino. Esso mirava alla formazione di un grande Stato Nazionale che giungesse fino al limitare del Lazio pontificio, essendo il resto dello Stivale, non di interesse politico o economico. Sarebbe stato sufficiente che i capi della Rivoluzione Meridionale valutassero con maggiore attenzione propositi e mire del Di Cavour, per accorgersi che l’obiettivo dell’uomo di stato piemontese era la costituzione di uno Stato omogeneo così formato, ma limitato – ripeto - alle regioni Settentrionali, mentre l’Italia centro-meridionale restava per lui “indecifrabile”. (ivi pag. 19). L’ideale di Roma-Capitale dunque, fu un pathos dei Repubblicani, più che un ideale nazionale. Salazaro svela che dal labro di Cavour mai sfuggì un «OH» di approvazione alle gesta di Garibaldi.20 Come si sentì Fondacaro in quei momenti, leggendo i giornali londinesi? Era un mozzo imbarcato, la solidarietà internazionale lo inorgoglì, ma il comportamento degli Italiani fu per lui uno shock che non assorbirà, gli tornerà a mente frequentemente durante il corso della sua esistenza. 6) Fondacaro da naufrago a provetto marinaio Nel 1864 Fondacaro, da poco ventunenne, fu coinvolto in un naufragio dal quale uscì illeso, favorito dalla forza fisica e l’abilità nel nuoto, dote comune ai Bagnaresi del resto. Avvenne il 19 ottobre 1864: naufragò il piroscafo australiano Tybec del capitano Murphy, al largo di Melbourne. Si salvarono solo Fondacaro e due marinai. Nel 1878 naufragò al largo della Nuova Scozia il bastimento Sahara del Capitano Wright, per fortuna senza vittime.21 Il tempo passò veloce a bordo dei mercantili transatlantici: Fondacaro dopo aver appreso e servito, scalò le posizioni e questo gli consentì di continuare ad apprendere, osservare trucchi, azioni dei mestieranti di lunga data, la capacità di risolvere problemi contingenti trasformandoli in opportunità. Il tempo libero continuò a dedicarlo a progetti di bozzetti, piccoli velieri, studio delle casistiche di meteorologia lungo le rotte atlantiche, la geografia costiera dell’America Latina, gli Stati Uniti e il Canada, le coste occidentali dell’Africa, le correnti marine e la legislazione britannica sulle attività marinare. DEMETRIO SALAZARO, Cenni sulla Rivoluzione d’Italia del 1860, tipo. Ghio, Napoli 1866, pag. 47. 21 GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1180-1881, L’Universo gen.-febr. 1968, nr. 1, pag. 167). 20 Pag. 19 Un’attività da autodidatta, con le imperfezioni professionali che ciò comportò per il marinaio bagnaroto, ma che gli consentì di farsi valere sui mercantili transatlantici. In quegli anni il ragazzo si trasformò in uomo dalla mentalità aperta ed evoluta, capace di credere in sé stesso e nelle possibilità di gestire gli eventi naturali che si verificano sull’Oceano, utilizzare le onde per condurlo ovunque, accompagnato dal respiro del vento. Intanto seguiva sui giornali i resoconti che riguardavano Garibaldi, l’ex Presidente dell’Associazione Emancipatrice Italiana22 era sempre in lite con il Governo Italiano, mostrandosi sempre battagliero, sempre più radicale. Ma era possibile che l’Italia si manifestasse non per come idealizzata dai suoi Eroi Bagnaroti e dal valoroso Generale, ma come un guazzabuglio disordinato di petulanti onorevoli e senatori, asserviti agli interessi dell’Industria e del prevaricante potere degli Stati Europei? WILHEM von TEGETTHOFF 7) «Uomini di ferro su navi di legno, hanno battuto uomini di legno su navi di ferro» L’apice negativo fu per il marinaio di ventitré anni, il fatale 1866. La Prussia entrò in guerra contro l’Austria per riaffermare il primato nell’ambito della Confederazione Tedesca23 e si trascinò al seguito l’Italia, che combatté una propria guerra, la Terza Guerra d’Indipendenza.24 Garibaldi scese di nuovo in campo e con un corpo di Volontari Italiani affrontò e vinse a Bezzecca25 un Corpo di Volontari Tirolesi che combattevano per un Tirolo che restasse austriaco. Fu un disastro su tutta la linea! A parte i successi militari di Garibaldi, limitati nello spazio e nell’importanza strategica per il teatro di guerra, il 24 giugno i http://lamaddalena.info/lassociazione-emancipatrice-italiana/ Si trattò di una Associazione politica sorta nel 1862 dalla fusione dei Comitati Garibaldini di Provvedimento con le Associazioni Unitarie Mazziniane, in base all'accordo che l'unità nazionale doveva avvenire al di fuori dell'ideale repubblicano. Rinacquero però presto i contrasti fra i seguaci di Mazzini e di Garibaldi e l'associazione fu sciolta d'imperio dal governo nello stesso anno. (Sapere.it) 23 http://www.treccani.it/enciclopedia/confederazione-germanica/ 24 http://www.150anni-lanostrastoria.it/index.php/iii-guerra-indipendenza 25 http://www.treccani.it/enciclopedia/bezzecca_%28Enciclopedia-Italiana%29/ 22 Pag. 20 Piemontesi-Italiani furono battuti a Custoza26 e la successiva sconfitta navale di Lissa del 20 Luglio, fece il giro del mondo.27 Gli equipaggi austriaci erano composti prevalentemente da marinai croati e, secondo alcuni storici, da una rappresentanza di marinai veneti, oltre a istriani e dalmati. Sette le corazzate della flotta imperiale austriaca, comandata dall'ammiraglio Guglielmo von Tegethoff,28 con base nel porto di Pola. Ministro della Marina Italiana era il Generale Diego Angioletti con il Generale Alfonso Lamarmora Capo di Stato Maggiore Generale. Fin da principio Lamarmora privilegiò le azioni terrestri. Angioletti incaricò delle operazioni militari sull’Adriatico l’ammiraglio Carlo Pellion, Conte di Persano, uno degli attori dell’epopea dei Mille, quando fu incaricato di corrompere i Quadri Superiori della Reale Armata Borbonica e proteggere con discrezione il naviglio garibaldino lungo il Canale e le sponde della Tratto da: LEONE PICCOLO, Un naufrago ..., cit., pag. 130 Calabria. Ma fu anche un professionista e come Ministro della Marina seppe riorganizzare la flotta e i quadri della Regia Marina Sarda. Ricevuto l’ordine di mettersi alla testa della flotta e fare rotta su Lissa, base della Marina http://www.esercito.difesa.it/storia/Pagine/la-battaglia-di-custoza.aspx http://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/storia/la-nostrastoria/storianavale/Pagine/lissa.aspx. cfr.: CARLO PELLION CONTE DI PERSANO, I fatti di Lissa, Studio Tesi ed., Pordenone 1988. Con questo saggio il Conte respinse le accuse, indicando che si preferì attaccare Lissa per conseguire con la certa vittoria, più peso politico sul susseguente tavolo delle trattative di pace, invece di effettuare una spedizione a Pola, schierarsi in posizione di vantaggio e costringere l’Ammiraglio Tegethoff ad accettare battaglia. 28 http://www.treccani.it/enciclopedia/wilhelm-von-tegetthoff/ A Lissa, due navi furono affondate dagli Austriaci e il resto della flotta messo in fuga. Il Senato intese processarlo e, incriminato per incompetenza, lo costrinse alle dimissioni. Ma con l’attacco a Lissa dovette disimpegnare parte della flotta per affrontare l’Ammiraglio austriaco uscito nel frattempo da Pola. Diede ordini confusi, male interpretati da equipaggi incompetenti addetti a mezzi modernissimi e non eseguiti da alti ufficiali invidiosi della posizione dell’Ammiraglio (SERGIO ROMANO, Battaglia di Lissa. Un solo colpevole e molti responsabili, Corriere della Sera, 21/9/2005). 26 27 Pag. 21 Imperiale austro-asburgica, e distruggerla, Pellion si rese conto della labile preparazione dei marinai, l’incompetenza degli ufficiali e la mancanza di coesione strategica fra le componenti dello schieramento neo-italiano e addirittura fu lì per dare le dimissioni dall’incarico. Quella di Lissa fu la prima battaglia fra navi a vapore. L’Austria ne trasse vanto e ancora nel 1915, nel proclama che l'Imperatore Francesco Giuseppe rivolse Ai miei popoli, si ammonì l'Italia con queste parole:29 Il nuovo perfido nemico al sud non è per essa un nuovo avversario. Le grandi memorie di Novara, Mortara, Custoza e Lissa che formano l'orgoglio della mia gioventù e lo spirito di Radetzky, dell'Arciduca Alberto e di Tegethoff, il quale continua a vivere nella mia armata di terra e di mare, mi danno sicuro affidamento che difenderemo anche i confini meridionali della Monarchia Ovunque ci fossero capannelli ove si discuteva della guerra fra Austria e Prussia, Fondacaro ascoltò sempre le stesse critiche: l’Italia prese legnate su legnate dalle truppe dell’Arciduca Alberto e si lasciò battere sul mare, essa Nazione di antica tradizione marinara, dalla Marina Imperiale, una piccola marina “continentale”.30 Fondacaro si trovava a Sidney ed erano cinque anni che aveva lasciato l’Italia. Una sera, seduto a un caffè udì gli strilloni dei giornali urlare della battaglia di Lissa! E la sconfitta dell’Italia! Quella sera Fondacaro lesse anche, per caso, su un giornale illustrato inglese, un articolo intitolato Red, White and Blue che narrava di una navicella statunitense governata da due “valorosi” marinai e del successo nella traversata da Nuova York a Londra. Fu a quel punto che gli nacque l’idea di una grande traversata transatlantica per “mostrare che il marinaio italiano è sempre valente”. E il Capitano poi commentò: Io solo, che cosa potevo far altro per l’onore della bandiera italiana? Non mi venne in pensiero altro di meglio (che d’emulare quel viaggio del Red, White and Blue). Sui bastimenti americani Cfr. fra gli altri: MARTINO SACCHI, Navi e cannoni: la Marina italiana da Lissa a oggi, Giunti ed., Firenze 2000; FELICE VENOSTA, Custoza e Lissa, fatti della guerra italiana del 1866, Carlo Barbini ed., Milano 1866; GIACOMO SCOTTI, Lissa 1866. La grande battaglia per l'Adriatico, Lint ed., Trieste 2004; MARCO SCARDIGLI, Le grandi battaglie del Risorgimento, BUR ed., Milano 2011; FELICE VENOSTA, Storia aneddotica della campagna d’Italia del 1866, tip. Francesco Pagolini, Milano 1866 30 La delusione e amarezza di Fondacaro dopo la sconfitta di Lissa, sono descritte in MARINO MARINI, Album marinaresco, L’Illustrazione Popolare, a. 1881, Milano 1881, pag. 563. 29 Pag. 22 sentivo ripetere la solfa: “gli italiani hanno avuto un grande marinaio: Cristoforo Colombo, ma … è morto!” A quelle parole mi struggevo di dentro: e, di notte, mentre stavo sopra il cassero, seguitavo a mulinare sul guscio di noce che volevo costruire. E quando andavo giù, sotto coperta, invece di dormire facevo disegni e calcoli …31 “La tragica giornata del luglio 1866 era giunta a Sidney sull’eco dello sconforto italico ampliato dall’esagerazione di coloro che non potevano comprendere il senso della Patria perché non ne avevano alcuna. L’amaritudine del dileggio piegò i connazionali nella costernazione più grande. In fondo a quegli esseri che lavoravano per una terra non loro, era pure un’anima di patrioti. Essi riunirono il loro sforzo ideale ad una prova che avrebbe dovuto dare al mondo la tangibilità delle aspirazioni che non erano di pochi, ma di tutto un popolo, e di mostrare come anche nell’ora del lutto più doloroso gl’italiani sapessero fondere le loro forze in un’impresa grandiosa per dire la tempra di tutti i marinai d’Italia Lissa doveva essere un episodio, nient’altro che un episodio nella storia d’Italia, di quelli che sorgono per provare la resistenza d’un popolo. E non dovevano passare cinquant’anni, che su quello stesso mare, un piccolo guscio d’ardimento doveva vendicare l’onta rumorosa.”32 Era bruciante per Fondacaro, la considerazione che l’Italia, pur avendo perso tutte le battaglie, vinse la guerra per merito della Prussia. E l’Austria? Vittoriosa sui campi di battaglia del Veneto e dell’Adriatico, cedette il Veneto non all’Italia, ma alla Francia che, secondo i patti scaturiti dalle trattative di pace, lo girò all’Italia. Una umiliazione peggiore di quella sopportata col riscatto della Lombardia, ceduta all’Italia non direttamente dall’Austria, ma dall’Austria alla vittoriosa Francia e da questa all’Italia. «‘Taliani de legno» si cominciarono a canzonare i vincitori in Veneto e il detto dilagò ovunque, attribuito all’Ammiraglio Wilhelm von Tegethoff (ma con forti dubbi a riguardo). E ancora oggi, quando si vuole bollare qualcuno di boriosità e imbecillità, si usa dire: "Omini de fero su barche de legno gà batù omini de legno su barche de fero". Italiani boriosi e presuntuosi e come tali, poco rispettosi delle usanze altrui. "Lian-ta de gno-le" (teste di legno), usano commentare ancora oggi i Triestini verso quegli italiani che pretendono di trovare altrove quanto di italiano hanno nella patria loro. 31 MARINO MARINI, Album marinaresco, cit., pag. 563. GUSTAVO VALENTE, Nella scia di Garibaldi. Il capitano Vicenzo Fondacaro, Camicia Rossa, rassegna mensile di pensiero e azione diretta da Ezio Garibaldi, anno X (gennaio 1934-XII), nr.1, pag. 18); Valide testimonianze sulla guerra nel 1866 sono in: VIRGILIO ESTIVAL, Garibaldi e il Governo Italiano nel 1866. Rivelazioni, tip. Sociale, Milano 1866. 32 Pag. 23 E infine: Una guerra di “Indipendenza” combattuta mentre il malumore serpeggiava ancora nel Mezzogiorno e Palermo, in un moto d’orgoglio mai sopito, insorse, battuta dai fanti piumati accorsi a sedare ancora una volta con la forza, la voce del Popolo.33 L’anno successivo, 1867, il Partito d’Azione si mise a fianco di Garibaldi che marciava ancora una volta su Roma. Battuto a Villa Glori dai papalini e a Mentana dai fucili modello 1866, a retrocarica e percussione ad ago, e con gittata doppia rispetto ai fucili garibaldini, non certo dai fanti francesi, Garibaldi dovette cedere alla superiorità tecnica dell’esercito francese e ritirarsi. Fu nuovamente arrestato e deportato a Caprera. Questi gli avvenimenti che provocarono in Fondacaro un irrefrenabile impeto di collera. Avvertì come ingiuste le valutazioni negative che i suoi colleghi britannici L’arma francese che batté Garibaldi: Fucile a retrocarica a canna rigata, mod. 1866 "Chassepot" cal. 11 mm. e baionetta mod. 1866 a sciabola e lama yatagan. tranciavano sull’Italia, gli Italiani e l’inetto spirito d’italianità che veniva partecipato dal neo Regno nel contesto internazionale, fra le Nazioni più emancipate e progredite. Bisognava sfatare queste circostanze; nel giro di poco tempo, fecero nascere il mito della Italietta. Bisognava dimostrare coi fatti, che l’Italia fu e restava un faro della marineria internazionale e che Lissa fu una eccezione determinata da una pessima gestione di uomini e mezzi a disposizione degli Alti Comandi Militari. Ancora una volta come durante la conquista del Regno di Napoli! Inettitudine dei Capi contrapposta a forza, coraggio e voglia di combattere della truppa napoletana. Il marinaio italiano era formato con altra pasta e talmente forte da detenere col mare un rapporto di sfida perenne. E vincente. Follie? 33 https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_del_sette_e_mezzo Pag. 24 Forse. 8) La traversata del Red, White & Bleu, e la nascita del progetto Leone di Caprera. Per Fondacaro fu come sostituire una “e” a una “o” alla nota frase di Jesse White Mario scritta a proposito delle condizioni della Città di Napoli e delle miniere di zolfo siciliane; la frase della White: Gli Italiani erano la più folle o la più sublime delle stirpi? Divenne per Fondacaro: Gli Italiani sono la più folle e la più sublime delle stirpi.34 E questo adesso intendeva dimostrare al mondo. Meditò su questi argomenti quella sera al caffè di Melbourne mentre intorno il vocìo sugli avvenimenti di Lissa aumentò di tenore, fra commenti, risolini misti a risate, battute scontate. Uomini di legno su navi di ferro. Ma lesse anche, casualmente, di una traversata compiuta con successo da due marinai statunitensi che a bordo di un piccolo vascello da regata, il Red, White & Bleu, sulla rotta Nuova York-Londra. A quel punto la coniugazione Lissa-impresa atlantica si saldò nella volontà del Capitano in modo definitivo. Era quella l’impresa da compiere per il riscatto della Marina Italiana! Una traversata in battello a vela fra “l’America di Garibaldi” e “l’Italia del valore e delle grandi tradizioni marinare”.35 Nel 1872 era morto Mazzini, uno degli idoli di Fondacaro e Garibaldi era rimasto ancora più solo. La posizione politica del Generale si andò spostando verso la Sinistra Radicale e repubblicaneggiante mentre montò in lui l’insofferenza verso le istituzioni parlamentari, troppo artificiose, lente, infettate dalla burocrazia e dai maneggi dei potenti. Fondacaro assimilò tutto questo nella determinazione a voler condurre in porto il suo ambizioso progetto: un’azione clamorosa che richiamasse l’attenzione del mondo sul valore italiano sul mare. GIOACCHINO VOLPE, Storia dell’Italia Moderna (1815-1898), Casa ed. Le Lettere, Firenze 2002, pg. 25 35 ROMARIN, L’allegro capitano Vincenzo Fondacaro, Edizioni Parallelo 38, Reggio C. 1982, pag. 18, riferisce quanto narrato dallo stesso Fondacaro. 34 Pag. 25 Dopo 15 anni di servizio, espletato a bordo di navi della marina commerciale britannica su tutte le rotte dell’Atlantico, a trentadue anni, Vincenzo che si considerava inglese d’adozione, si sentì pronto per il salto di carriera: divenire Capitano di Lungo Corso in maniera che da quel momento potesse “dialogare” col mare. Il 24 maggio 1876 si presentò davanti alla Commissione esaminatrice riunitasi a Il "Red, White & Blue" esposto a Nuova York Saint-John nella Provincia (agefotostock) della Nuova Brunswick in Canada, e superò l’esame per il conseguimento del patentino; venne inquadrato nell’organizzazione della marineria mercantile britannica. Scrive nel merito Fondacaro: 36 Io lasciai l’Italia, anzi Bagnara di Calabria, mia patria, all’età di 17 anni circa, cioè nel 1861 e da quel tempo non ritornai più fra le braccia dé miei genitori, che ancora mi aspettano con ansietà, essendo io l’unico maschio della famiglia (…) man mano che cresceva negli anni, mi sentiva invaso da una gran passione di visitare il mondo, quindi cominciai a viaggiare … Il marinaio di Bagnara auspicò azioni eclatanti, che conducessero al riscatto dei marinai d’Italia; loro non si sentivano inferiori ai colleghi britannici che si vantavano, per tradizione ed esperienza, di essere i “signori del mare”. Fondacaro usò frequentemente nel suo Diario, espressioni come “riscatto”, “a gloria della marina italiana” ecc. o comparazioni come: Frontespizio della prime edizione (1881) del Diario di Fondacaro VINCENZO FONDACARO, Dall’America all’Europa. Viaggio attraverso l’Oceano, Edoardo Perino ed., Roma 1884, cap. II°, pag. 12. 36 Pag. 26 “è andato il tempo in cui si basava l’onestà sulle seguenti tre cose: 1° Amare Iddio e la sua Religione; 2° Amare la propria Patria e morire per essa; 3° Esser fedeli all’Idolo del proprio cuore I comandamenti del XIX secolo sono questi: 1° Negare l’esistenza di Dio; 2° Non apprezzare altro al mondo che il denaro 3° Non aver alcuna confidenza neppure colla propria moglie”.37 Durante le traversate a bordo dei velieri commerciali, Fondacaro tornò frequentemente all’idea del “riscatto” che pareggiasse il conto fra la marina italiana e quella britannica. E continuò ad applicarsi in progetti per la costruzione di battelli che potessero reggere le lunghe traversate, con innovazioni tecniche e adeguamenti della forma dinamica dello scafo e il governo della nave. Molti anni prima di passare capitano – scrive Fondacaro nel suo Diario di bordo io mi era applicato a costruire modelli di battelli, che potessero condurmi a grandi distanze.38 9) A Montevideo Giunse così il 1879. In una delle tappe sud americane toccate dal mercantile Iberia, ove prestava servizio, Fondacaro decise di sbarcare a Montevideo. Stava divampando il conflitto fra il Cile e l’alleanza Perù-Bolivia, la c.d. “Guerra del Pacifico” o anche “Guerra del salnitro”. Fra Cile e Bolivia vigeva il tratto di determinazione dei confini, stipulato nel 1874. Tra l’altro prevedeva che i diritti di esportazione sui minerali estratti fra il 23° e il 25° parallelo, restassero calmierati allo status quo-ante con evidente beneficio per il Cile, essendo le miniere di salnitro quasi tutte comprese fra il 24° e il 25° parallelo. Nel novembre 1873 la Compañia de Salitres y Ferrocarril de Antofagasta, di matrice cilena e con capitale misto fra Cile e Gran Bretagna, fu autorizzato dalla Bolivia ad estrarre minerale ma nel 1878 la crisi economica della Bolivia, costrinse il governo ad applicare un’imposta di 10 cts. per quintale di minerale estratto, imposta contestata dal Cile perché violava il trattato del 1874. La Compagnia mineraria protestò e fra i due stati subentrò una dura crisi diplomatica. La situazione precipitò nel novembre 1878, quando il 37 38 Ivi, pag. 17 ivi., pg. 13 Pag. 27 governo boliviano ordinò all’ufficio preposto, di iniziare a riscuotere l’imposta. Non fu pagata e per ritorsione, le miniere furono poste sotto sequestro nel 1879. La Bolivia dichiarò guerra al Cile il 1° marzo 1879 e il 5 aprile il Cile dichiarò guerra a Bolivia e Perù, quest’ultimo alleato del governo di La Paz. Fondacaro pervaso nella oramai perenne ansia di fare, di esaltarsi a favore del «trionfo la giustizia e la verità», pensò di poter emulare almeno in parte l’Eroe, arruolandosi come volontario fra le fila boliviane.39 Resosi conto che quel conflitto si basava non su un contrapposto patriottismo, ma su interessi economici, propri del montante Imperialismo, Fondacaro giunse alla conclusione che, se davvero voleva porre la propria vita in gioco per una causa, allora che essa fosse la più degna di essere abbracciata. E forse proprio dalla terra a favore della quale Garibaldi combatté e vinse con la sua Legione Italiana, sarebbe potuto iniziare l’impeto coraggioso che conducesse al riscatto della Marina Italiana! Fondacaro fu inondato di certezze, perché ormai per lui niente contava più che questo: una grande impresa sul grande mare Oceano. A Montevideo Fondacaro si mise a girovagare fra negozi e magazzini gestiti da italiani, alla ricerca di chi lo potesse introdurre nel giro delle amicizie delle quali si circondavano i politici locali per gestire e ulteriormente alimentare i consensi. Entrò in confidenza con Giuseppe Dapueto, un commerciante che trattava prodotti agricoli all’ingrosso e conduceva una vita che lo ascriveva fra la piccola borghesia uruguaiana. Gli fece esaminare bozzetti e schizzi del progetto per un natante di piccole dimensioni, anzi quasi un guscio di noce, ma dotato di soluzioni che gli avrebbero permesso di galleggiare in qualsiasi condizione di tempo e affrontare i marosi ciclonici con accorgimenti desunti dall’esperienza dei marinari del Canale: l’olio e l’ancora galleggiante. L’ancora galleggiante era costituita da un sacco di forma conica, di 12 piedi di lunghezza (3,05 metri) e di 14 di circonferenza (4,26 metri). Esso era circondato da grosse corde e munito di quattro piccoli fori aperti nel lembo estremo «dello stretto capo ed aventi quasi un pollice di diametro», sufficienti – come asserito da Fondacaro – a rendere agevole e possibile il riempimento. Una fune – della lunghezza di 60 metri – era attaccata alla larga bocca dell’ancora, per reggere il battello qualora invaso dalle acque. Altra piccola Fondacaro, proprio in emulazione di Garibaldi, usa espressioni pregne di patriottismo e difesa della libertà, ovunque essa debba esser difesa: 39 … la mia intenzione era di vedere, se la guerra tra il Chili e il Perù portava il pregio di esporre la vita; ma venni a conclusione contraria, giacché sarebbe stato di vender la vita per denaro, con nessuna gloria … (V. Fondacaro, Dall’America … , cit., pg. 13). Pag. 28 fune era invece fissata nella parte posteriore per poterla tirare a bordo. I due «sacchi di olio» erano confezionati con canevaccio ed erano entrambi «capaci di un boccale a foggia di bottiglia e bene stretto alla bocca», affinché l’olio non fuoruscisse dai sacchi, ma, imbibendone la tela, si spargesse lentamente nell’acqua, quietandola. L’efficacia dell’uso dell’olio era calcolata sulle 24 ore e tale sistema – adottato allora dai pescatori di balena – rese assai buon servizio al Leone di Caprera.40 Nella sostanza, spiegò Fondacaro a Dapueto, l’idea era di mettere in acqua un piccolo battello supertecnologico, in modo che, coniugando la perizia del navigante con la tecnologia di bordo, si riuscisse nell’impresa di superare l’Atlantico tempestoso ed infido, raggiungendo dal Sud America l’Europa. Non sarebbe stato come per la traversata del battello newyorchese, che si mise sulla comoda rotta Nuova York-Londra, ma una vera avventura per una traversata “obliqua” fra correnti contrarie e improvvise bufere di vento e mare. I Media sarebbero impazziti e il relativo clamore sarebbe tornato a vantaggio dei fautori dell’impresa e a gloria della Marineria Italiana. Dapueto giudicò il progetto fattibile, pur se con contenuti di rischiosità assoluta, e introdusse Fondacaro fra i rappresentanti della colonia di italiani, ferventi garibaldini come lui e alcuni di loro, reduci delle campagne di Garibaldi del 1842 per la difesa di Montevideo contro le forze d’occupazione argentine del generale Rosas.41 Il sentimento di Patria che albergava nel giovane Fondacaro, cresciuto ed educato all’ombra di Garibaldi, e che si caratterizzava per impulsività, fedeltà, purezza di sentimenti, era vivo dovunque vi fossero italiani. In Uruguay, si manifestò ardente nel ricordo dell’Eroe dal quale scaturì l’ardore dell’italiano e la saggezza guerriera dell’erede di Roma.42 Il generale J.M. Rosas L’affabilità della gente che lo circondava, (wikipedia) emozionò il Bagnaroto che si sentì ancor più GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febr. 1968, nr. 1, pag. 170. 41 http://www.treccani.it/enciclopedia/juan-manuel-de-rosas/ 42 GUSTAVO VALENTE, Nella scia garibaldina. Il capitano Fondacaro, Camicia Rossa, Rassegna Mensile di Pensiero e Azione, anno X (1934-XII), nr. 1, pag. 18 40 Pag. 29 pervaso dall’entusiasmo e iniziò la crociata tesa a diffondere fra la comunità l’idea-sogno della grande traversata dell’Atlantico. Con essa, predicava Fondacaro in ogni riunione “patriottica” nella quale veniva invitato per spiegare il progetto, si sarebbe posto di conseguire una serie di obiettivi:  affermare la maestrìa della marineria italiana in faccia all’Inghilterra e al mondo. Scriverà che la traversata si sarebbe dovuta offrire a gloria della Marina Italiana;43  onorare il Generale Garibaldi per le imprese compiute in America Latina e in Italia, contro la tirannide, in difesa dell’azione democraticorepubblicana, a favore dell’emancipazione operaia e per rendere incisiva la lotta al clericalismo. Tutti principî mutuati dall’esperienza della Repubblica Romana del 1849 di Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi e lo stesso Garibaldi a capo dell’esercito rivoluzionario.  dimostrare scientificamente che i marosi oceanici potevano essere attenuati spargendo in acqua olio d’oliva, che ne avrebbe soffocato la spinta con la sua azione galleggiante. Il progetto fu accolto positivamente fra i componenti della colonia italiana, quasi tutti titolari di piccole società dedite al commercio e tutti promisero una contribuzione affinché il progetto si concretizzasse in un battello per lo svolgimento dell’impresa. Scrive Fondacaro: lo trovarono felice e gigantesco (pag- 13). Battello che in onore del Generale vittorioso, Fondacaro, decise si sarebbe chiamato Il Leone di Caprera. In realtà Fondacaro pensò di battezzare il battello col nome “La scarpa di Colombo”, in onore del marinaio genovese, primo ad attraversare l’Oceano verso il Nuovo Mondo. Ma l’ardore della Colonia Italiana di Montevideo, votata verso la Patria, i ricordi delle gesta dell’Eroe dei Due Mondi, lo convinsero a mutare il nome in “Leone di Caprera”, ove “Leone” avrebbe significato coraggio, forza, audacia, determinazione, vittoria, e Caprera il rimando indiretto a Colui che queste doti deteneva e che mise al servizio dell’Indipendenza e Libertà dei Popoli. Così, più o meno, l’enfasi che avvolse quella decisione. Non solo: la comunità italiana pensò che quella potesse esser l’occasione per affidare al capitano una spada d’oro da fare avere al Generale Garibaldi a Caprera, oltre a doni diversi per il Re d’Italia.44 Fondacaro si mise alla ricerca di chi se la sentisse di affrontare insieme a lui quella pericolosa crociera. Cercò fra le sue conoscenze e i suggerimenti che intanto riceveva, chi fosse in grado di supportarlo e trovò un accordo con due V. FONDACARO, Dall’America…, cit. pg. 8. Così Fondacaro (ivi, pg. 13), la spada sarebbe stata offerta dal Governo di Montevideo al Generale Garibaldi in segno di gratitudine per il servizio patriotico reso all’Uruguay 43 44 Pag. 30 marinai italiani: Orlando Grassoni di 36 anni, da Ancona e Pietro Troccoli di 28 anni, da Camerota. Orlando Grassoni maturò la sua esperienza sul mare iniziando a navigare a tredici anni. Appassionato di musica che sapeva magistralmente eseguire con la fisarmonica (risultò fondamentale in molte situazioni critiche durante la traversata, per rinfrancare gli animi depressi dei compagni), fu a Palermo al seguito delle Camicie Rosse e fu a Lissa, imbarcato sulla pirofregata Terribile. Nel 1874 era a bordo del mercantile statunitense Avana sul quale Fondacaro era impiegato come secondo pilota45. Si incontrarono quando il piroscafo fece scalo a Nuova York e si entusiasmò all’idea della traversata che dimostrasse «quanto fosse elevato il valore del marinaio italiano». Nell’ottobre 1879 Fondacaro gli scrisse una lettera da Montevideo: Un naviglio di tre tonnellate si sta costruendo e presto sarà pronto per il lungo viaggio. Siete ancora della stessa opinione? Grassoni gli rispose positivamente a giro di posta.46 Raggiunse il Capitano a Montevideo il 2 agosto 1880, quando il battello fu impostato in cantiere, per partecipare alla raccolta fondi a sostegno della costruzione del Leone di Caprera. Dopo una vita di navigazione ma anche di privazioni, Grassoni si spense a Genova nel 1901.47 Pietro Troccoli era di Marina di Camerota ove nacque il 28 febbraio 1852. Anche Pietro Troccoli seguì il padre imbarcato sulle rotte fra il Salernitano e Palinuro. Fu emigrante, come tanti dopo l’Unità, e approdò in Uruguay ove si andava formando una corposa Comunità Italiana. Nel 1879 Pietro lavorava in un cantiere navale di Montevideo e qui incontrò Fondacaro. Pietro aderì subito al progetto della traversata e partecipò con passione alla preparazione del vascello. Fu lui che si recò a Caprera per consegnare a Garibaldi il famosissimo Album con le firme degli Italiani di Montevideo e Buenos Aires e a tenere i rapporti con i politici italiani per trovare appoggi all’iniziativa di sistemazione finale del battello in Italia. Dopo un breve soggiorno a Camerota, Pietro riprese la via del mare e tornò a Montevideo ove riprese il suo vecchio mestiere di cantierista e ove si spense il 29 agosto 1939 a 88 anni48 45 MARINO MARINI, Album marinaresco, L’Illustrazione Popolare, a. 1881, Milano 1881, pag. 563. 46 MARINO MARINI, Album marinaresco, cit., pag. 563. 47 GIUSEPPE GALZERANO, Orlando Grassoni, Introduzione al Diario di Bordo di Vincenzo Fondacaro, pubblicato dalla Galzerano ed. a Casalvelino Scalo nel 2002 – seconda edizione – pag. 39). 48 GIUSEPPE GALZERANO, Orlando Grassoni, Introduzione al Diario di Bordo di Vincenzo Fondacaro, pubblicato dalla Galzerano ed. a Casalvelino Scalo nel 2002 – seconda edizione – pag. 43). Nessun sussidio a Piero Troccoli dal Ministero della Marina, ricevette dal Comune una medaglia d’oro, l’esonero a vita del focatico, il taglio gratuito dell’erba Pag. 31 Racimolata una prima contribuzione fra gli abitanti di Montevideo, Fondacaro affidò ai cantieri di Luigi Briasco, specializzato nella costruzione di yacht e battelli per la pesca d’altura commissionati dalla borghesia latino-americana, il progetto per la costruzione di uno schooner speciale, munito di ampia velatura e dotato di due cilindri di rame per fiancata. In tale maniera il natante anziché seguire l’andamento delle onde, le avrebbe “perforate” in velocità tornando immediatamente sulla linea di galleggiamento. Disegno dell'ancora galleggiante. E' tratto dal Diario originale di Fondacaro, prima edizione (tip. Angelo Lombardi, Milano 1881, pag.67). La rotta del Leone di Caprera (tratto da ORAZIO CURTI, Svelato il mistero del Leone di Caprera, Yacht Digest a. 1994, pag. 46) Dal 10 settembre 1879, l’armatura dello scafo cominciò a prendere forma, il 14 ottobre si finì di impalcare e a quel punto finirono anche i risparmi di Fondacaro e l’investimento che Briasco aveva destinato all’impresa. Fondacaro non riuscì a comprendere come mai all’entusiasmo iniziale del Comitato Italiano, che promise denaro e appoggi, fosse seguìto un prolungato silenzio. Continuò a partecipare a riunioni su riunioni del Comitato, oramai cadenzate con noiosa precisione e oramai dall’esito scontato: lettura spartea. Riprese a pescare, intrecciare libani e ricordare continuamente l’abbraccio affettuosissimo con Garibaldi a Caprera, quando gli consegnò la spada d’oro degli Italiani di Montevideo. A Marina di Camerota, sono intitolati al Leone di Caprera un campo sportivo e una strada (GIOVANNI CIOCIANO, Storie camerotane, Ippogrifo ed., Sarno 1985, PAG. 146). Pag. 32 del verbale della riunione precedente, astratti interventi sull’italicità degli emigrati e la gloria d’Italia oltreché elogi sperticati al Generale Garibaldi e aggiornamento alla riunione successiva, ove il rito si sarebbe ripetuto. Ma le scadenze si accumulavano e Fondacaro pressava ormai da vicino il Comitato, che confermò i finanziamenti ma accampò sempre scuse banali: ci vuole tempo per raccogliere le somme, informavano. … ad ogni riunione non si faceva altro che leggere il verbale della seduta precedente, senza concluder nulla; allora dissi ai membri del Comitato, che, siccome io non poteva pagare gli operai col solo verbale, ci voleva qualche cosa di più sostanziale, che non sono le semplici parole. Essi mi risposero, che, avendo invitato tutte le società italiane a concorrervi, ci voleva del tempo, giacché gli affari di danaro si stabiliscono sempre lentamente!49 Alla fine gli operai entrarono in sciopero: non avrebbero ripreso il lavoro se non fossero stati pagati gli arretrati, perché avevano famiglie da mantenere. Nel lungo tergiversare, qualcuno del Comitato si stancò di beccheggiare e uscì allo scoperto: il motivo dell’impasse si basava, venne detto a Fondacaro, sulla consapevolezza che quella era una missione-suicidio e non potevano destinarsi fondi che poi sarebbero affondati con quel battello. Fosse stata una iniziativa commerciale, sarebbero su di essa piovuti migliaia di dollari. Come dire: al diavolo la supertecnologia della quale il battello fu dotato, e anche la maestrìa dell’equipaggio che in quei maneggi si seppe insuperabile. Il battello non aveva possibilità di performare la traversata: la rischiosità di naufragio era massima. Esattamente il contrario di quanto manifestato dagli stessi attori, all’inizio della ormai lontana presentazione del progetto! Fondacaro in quei momenti e in quelli successivi, non si chiese il perché di quei voltafaccia, se ci fosse una longa manus che continuasse a fomentare affinché l’impresa naufragasse già in cantiere, magari perché quel nome Leone di Caprera, desse fastidio ai sostenitori del Governo italiano, peraltro sensibilissimo a cercare di guadagnare prestigio all’estero e per questo tentato di oscurare chi potesse metterlo in cattiva luce. L’idea di Fondacaro era ormai divenuta un’ossessione, e come tale, rese “cieco” il 49 V. FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 14. Pag. 33 navigatore: aveva in mente un solo obiettivo, mettere in mare il battello e affrontare l’ignoto. Niente altro. Insistette con il Presidente del Comitato per ottenere un sostegno finanziario, perché gli operai lo avevano informato della decisione di lasciare il cantiere e andare a lavorare ove fosse garantita la retribuzione. Le famiglie non potevano aspettare. Il Presidente promise il finanziamento nel giro di ventiquattr’ore e Fondacaro, agitatissimo, forte di quella promessa, si recò da un amico e collega chiedendo un prestito personale che avrebbe onorato nel giro di ventiquattr’ore. Ottenne un assegno di cento dollari che subito cambiò in 50 dollari in rame e 50 in argento, mise tutto in una pezzuola e si recò in cantiere. Fece così fronte almeno alla parte urgente delle richieste degli operai (ivi pag. 14). Il giorno dopo il Presidente del Comitato, come da intese, fece pervenire a Fondacaro la somma raccolta fra i componenti che avevano deciso di finanziare l’impresa: 45 dollari! Quando intesi questo, mandai tutti quanti all’inferno. Presidente, membri, ecc., e mi incocciai più di prima, di vincere il punto, cioè di effettuare il mio viaggio.50 Il Capitano dunque, ormai ossessionato dall’idea del viaggio glorioso, finì per trovarsi indebitato con il cantiere, gli operai, l’amico benefattore e i negozianti che intanto gli fornivano da mangiare. I debiti complessivi superarono le 9.000 lire di allora. Davvero tanto! I costi di approntamento ammontarono a quel punto a oltre 20.000 lire. Il battello, in quella situazione precaria, fu comunque pronto per salpare. Ma sarebbe stato necessario corredarlo di tutti gli accessori e riempire la cantina degli approvvigionamenti necessari per affrontare il viaggio. 10) Fondacaro e l’ostilità dei Creditori Fu indubbio che Fondacaro si mostrasse agli occhi dei suoi frequentatori, munito di determinazione, e questa circostanza si manifestò fin dal suo sbarco sui moli del porto di Montevideo. Impressionò molto come egli fosse riuscito a fare fronte alla mancanza di denaro e altri aiuti. Malgrado tutto, “rischiava” comunque di poter mollare gli ormeggi e avventurarsi verso l’Europa. I creditori entrarono dunque in fibrillazione: Fondacaro sarebbe fuggito senza fare fronte a quanto da loro preteso? Bisognava fermarlo e così iniziarono a farsi minacciosi e alla fine intimarono a Fondacaro, che continuò a ripetere di non esser in grado di VINCENZO FONDACARO, Dall’America all’Europa, viaggio attraverso l’Oceano del Capitano V.F., E. Perino ed., Roma 1884, pg. 15 50 Pag. 34 pagare i debiti, di vendere il battello e col ricavato, pagare quanto loro dovuto. Fu a quel punto che Fondacaro cominciò a realizzare che, forse, erano i “Capitani italiani” che circolavano a Montevideo i fomentatori veri, erano costoro coloro che mettevano su il Comitato contro di me.51 Come aggirare l’ostacolo? Gli venne l’idea di esporre il battello in Piazza della Costituzione a Montevideo, durante i festeggiamenti di Carnevale. Contava sulla passione manifestata dal pubblico per le grandi imprese, e così incassare un po’ di denaro dalle visite guidate. MARINO MARINI, Album marinaresco, cit., pag. 568 Raccolse 6.000 lire dalle quali detrarre 3.750 lire di spese per il trasporto e l’esposizione (le tasse gli furono bonificate dalla Città di Montevideo). VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pg. 16. La spedizione, da parte dei Capitani Italiani fu giudicata impossibile e la traversata dell’Oceano folle e temeraria, avvegnaché non vi si possano avventurare che i grandi vapori – e scommettevano dieci contro uno. Mi ripugna il dilungarmi altro su questi disgustosi particolari, e passo oltre. (pag. 16) 51 Pag. 35 Pagò i legnaioli che gli erano costati 12.50 lire al giorno, sia che lavorassero o meno, e al termine delle feste del Carnevale, riportò il battello al porto, in posizione di varo. Se non altro, adesso era svincolato dagli impegni debitori verso il Cantiere. Ma fu quella “posizione di varo” che spinse la folla di Creditori a muovere, stavolta con determinazione, per bloccare Fondacaro. Fu presentata un’istanza urgente al Tribunale di Montevideo affinché i “Creditori di Fondacaro Vincenzo da Bagnara Calabra, venissero tutelati nella loro posizione”. Il Tribunale accolse l’istanza e il battello fu posto sotto sequestro preventivo, (Fondacaro annotò che costoro erano “tutti italiani”) fino a quando non avesse coperto il debito di 2.750 lire che era ancora pendente (ivi, pag. 17). Fondacaro non si arrese. Ritenne di trovarsi su una posizione forte: se fosse stato messo in condizione di “manovrare” liberamente sul territorio, avrebbe potuto trovare risorse finanziarie colle quali fare fronte agli impegni, altrimenti il naufragio avrebbe coinvolto lui ma anche tutti loro. Propose ai creditori che lo lasciassero partire per Buenos Aires. Nella Città argentina, avrebbe cercato fondi bastanti per onorare il debito e approvvigionare l’impresa per la riuscita del viaggio. I Creditori “non poterono che accettare”. Fondacaro s’imbarcò su un trasporto transatlantico con passaggio offerto gratuitamente dal collega capitano e raggiunse così Buenos Aires. Nella Città argentina fu accolto benissimo e si diede da fare per pubblicizzare il suo progetto ardimentoso e patriottico. Suscitò anche lì molto entusiasmo e tutti lo invitarono a condurre in quel porto il Leone di Caprera per ammirarlo e quindi confermare gli aiuti dichiarati possibili. La traversata si sarebbe potuta finalmente concretizzare per il Capitano Bagnaroto. Rientrato a Montevideo sempre col solito espediente del passaggio, Fondacaro ebbe riunioni molto tese coi creditori e alla fine, di fronte all’alea del do-ut-des, ottenne il permesso di far navigare il battello verso Buenos Aires (ivi pag. 17). 11) L’idea di Buenos Aires Fu a questo punto che avvenne un episodio che Fondacaro non dimenticherà per il resto della sua vita. Lo valuterà come attentato all’iniziativa, solo molto tempo dopo. Pag. 36 Per potere effettuare il viaggio da Montevideo a Buenos Aires, occorrevano le carte nautiche rilasciate dalla Marina della Nazione per la quale il battello alzava le insegne. Si recò dunque al Consolato Italiano a Montevideo per chiedere le carte nautiche. Con sua grande sorpresa, gli furono negate: Fondacaro era stato iscritto nel Registro Britannico dei Capitani di Lungo Corso, e non poteva alzare bandiera italiana sul vascello da lui governato. Sempre con la sola idea fissa di varare il vascello e dare inizio all’impresa, lasciò il Consolato Italiano e si precipitò in quello della Gran Bretagna ove gli fu spiegato che il diritto a esercitare la professione gli veniva riconosciuto dalla legislazione britannica, essendo Capitano di Lungo Corso con patentino inglese regolarmente conseguito, ma non di Il Leone di Caprera fino al 1998 era ancora esposto in un cortile del possedere un vascello inglese, Museo della Scienza e della Tecnica di Milano prima di trovare una particolarità di esclusivo giusta collocazione all'interno dell'edificio. (ORAZIO CURTI, Svelato il mistero del Leone di Caprera, Yacht appannaggio dei sudditi di Sua Digest, Gennaio-Luglio 1994, pag. 48) Maestà. Era Capitano di Lungo Corso inquadrato nella Marina Britannica, ma non era un suddito di Sua Maestà, era Italiano. Il Capitano si sentì ancor più punto nel vivo. Ma ancora una volta, l’orgoglio gli impediva di valutare altra soluzione che non fosse il varo del Leone di Caprera. A ogni costo! Annotò nelle sue memorie: Ora che ti pare lettore, non poteva vergognarmi di rinnegare la mia patria? L’ardor patriottico mi veniva dagli stessi inglesi, fra cui vissi molto a lungo, ammirando ed imitando il loro patriottismo e la loro fedeltà alla monarchia Britannica. Ebbene, malgrado le mie fervide proteste d’Italianità, l’autorità italiana non mi voleva riconoscere, perché pur troppo è andato il tempo in cui si basava l’onestà sulle seguenti tre cose: 1° Amare Iddio e la sua religione; 2° Amare la propria Patria e morire per essa; 3° essere fedeli all’idolo del proprio cuore. I comandamenti del XIX secolo sono questi: 1° Negare l’esistenza di Dio; 2° Non apprezzare altro al mondo che il denaro; Pag. 37 3° Non aver alcuna confidenza neppure colla propria moglie.52 Ma non importava. In quel momento non c’erano pensieri e considerazioni che non fossero il viaggio. In ultima ratio pensò di rivolgersi al Ministero Uruguaiano e così salpare con la bandiera di Montevideo. Ottenne immediatamente il consenso e non solo. Se Fondacaro si fosse determinato ad effettuare la traversata inalberando la bandiera dell’Uruguay, il governo di Montevideo gli avrebbe coperto le spese occorrenti, deliberando un prestito pecuniario abbastanza ampio da metterlo al sicuro dal punto di vista economico. Fondacaro, italiano, si negò a questa seconda offerta e ringraziò affettuosamente per la prima.53 Assumendo come vero e reale questo particolare, esso non fa che confermare come in Fondacaro il progetto della traversata si fosse totalmente imbevuto di ossessione, oserei dire di orgoglioso fanatismo, contando esclusivamente l’autonomia del navigante da qualsiasi dipendenza costituita (in questo caso il Governo Uruguaiano) e l’ardor patriottico, fatto valere sempre e comunque, malgrado le originarie motivazioni fossero oramai più che datate. Sul molo e quando già aveva imbarcato qualcosa da mangiare per affrontare il viaggio, lo fermò un ufficiale della Capitaneria di Porto. Lo invitò cortesemente a seguirlo al Comando e qui, gli fu contestato un ulteriore debito di mille lire che un ultimo creditore, anch’egli italiano (e Fondacaro non perse occasione per marcare chi siano stati coloro che gli resero difficile concretizzare il sogno della traversata) e uscito dal coro di coloro che avevano accettato a che Fondacaro compisse la missione a Buenos Aires, voleva saldato il debito prima che il Capitano “sparisse dalla circolazione”. Fondacaro uscì dal Comando con la furia addosso e affrontò con resolutezza il creditore che alla fine cedette. Ci volle un giorno prima che Fondacaro trovasse a Montevideo qualcuno disposto a firmare una malleveria a suo favore, ma alla fine tutto si risolse positivamente. Poté salpare per Buenos Aires finalmente! 12) Il Leone di Caprera salpa verso Buenos Aires Fu proposto che il varo ufficiale del battello fosse preceduto da una cerimonia religiosa e l’intervento delle autorità civili. Fondacaro rifiutò queste manifestazioni dichiarate “esteriori”. In realtà non ritenne quell’occasione l’evento battesimale del viaggio, che restava e sempre più la traversata. VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 17 Il particolare è messo in evidenza nell’articolo del Santini: GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febr. 1968, nr. 1, pag. 169. 52 53 Pag. 38 Ed è a questo punto della tormentosa progettazione del viaggio, che il Capitano fornisce un dettaglio fondamentale per bene interpretare gli avvenimenti che si susseguiranno: confessa di avere approntato un battello che è fatto artisticamente col disegno di darlo a qualche Museo navale d’Italia e non già per uso del mare.54 La coperta – a righe alternate di noce e di pino, con strisce larghe un pollice e mezzo – ricopriva la parte IL LEONE DI CAPRERA - CARATTERISTICHE superiore del battello ed era Fiancate del battello Cannella Massello di Algarrobo costituita da fasciame Noce inchiodato e foderato di rame, Pino bianco d'America con ornamenti in bronzo; era Ponte di coperta Doghe da un pollice e mezzo interrotta a poppa da un vuoto alternate fra noce, cannella e pino Copertura fasce di rame semicircolare di circa un Chiodi in puro rame metro di profondità nel quale il Ornamenti in bronzo timoniere manovrava la barra IL LEONE DI CAPRERA - CARATTERISTICHE del timone. Questo spazio era Lunghezza 9 metri recintato da una ringhiera di Larghezza 2,30 metri ottone alla quale poteva Altezza a prua 1,60 metri aggrapparsi il timoniere in caso di tempesta. Si entrava nella stiva attraverso un boccaporto posto dinanzi alla timoniera e in essa erano sistemate la zavorra di mezza tonnellata di ferro, le provvigioni alimentari, l’acqua, gli attrezzi e quanto rientrava nei bisogni minimi di ricovero parziale dell’equipaggio … Il battello – da considerare una specie di canoa d’alto mare – era fornito di due alberi in noce (trinchetto e maestro), adattati in modo che in caso di tempesta, potessero essere rapidamente abbassati. Essi sono attrezzati con due vele triangolari, latine, e con un fiocco retto da un’asta di prua (bompresso). La vela maestra e quella di trinchetto erano atte per la loro forma a stringere il vento, perché di limitata estensione e perciò adatte a battelli di modeste dimensioni. Istrumenti nautici in dotazione erano: una bussola, un sestante, un cronometro Greghton & Bleis di New York, un telescopio, un barometro, un termometro e quanto altro era necessario per il controllo della navigazione Non dunque un battello d’altura per replicare più volte performance formidabili, ma un modello sperimentale da record e, come tale, da usarsi una volta e basta. Le componenti non avrebbero retto più di una sollecitazione e furono progettate in quest’ottica. VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 19. Cfr.: GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febbr. 1968, nr. 1, pag. 170 54 Pag. 39 In quei giorni una bonaccia s’impossessò della costa di Montevideo e il battello dovette restare ormeggiato in attesa di un cambiamento del tempo. La bonaccia, consentì a molta gente di recarsi al molo per ammirare il battello e informarsi sulla traversata alla quale era destinato. Il consenso fu generale e in quei momenti di pausa, Fondacaro poté soffermarsi con calma su quanto accaduto in quei mesi e trarne considerazioni che lo sgomentarono: Devo confessare a malincuore che i più accaniti nemici del mio viaggio, allora, erano gl’Italiani, e si struggevano vedendo venire a bordo del Leone di Caprera tanti alti personaggi.55 Ma perché? Fondacaro non approfondì quella constatazione. Il 19 marzo 1880, a sera, il vento si alzò e il battello salpò facendo rotta verso Buenos Aires. Pietro Troccoli, il marinaio imbarcato per quella traversata, contò provviste bastanti per tre giorni di navigazione. Il 21 marzo il battello, dopo una traversata più che burrascosa, entrò nella baia del Rio Rosario Orientale. Approdarono all’ingresso della Baia, ove su un pontile era una stazione di rifornimento e assistenza, e con in tasca l’unico dollaro rimasto, fecero provviste per poi riprendere la rotta verso il grande porto di Buenos Aires ove attraccarono il 23 marzo. Nel 1871 vivevano a Buenos Aires vivevano già 58.000 italiani, passati a oltre 138.000 nel 1887.56 Fu accolto festosamente, un nugolo di giornalisti se lo contese per interviste e notizie di prima mano e le edizioni dei giornali abbondarono in elogi sull’uomo e l’impresa. Il successo di visibilità non rasserenò l’animo del capitano. Il pensiero di quegli Italiani traditori cominciava a tormentarlo: Gl’invidiosi di Montevideo, i quali mi aspettavano di ritorno a cagione dell’uragano, rabbiosi per aver visto nei dispacci il mio arrivo a Buenos Aires, scrissero lettere calunniose su tutti i periodici, riguardo al mio viaggio, nell’ignobile fine di danneggiarmi pecuniariamente! Siccome questi infami articoli non venivano pubblicati dagli onesti editori della Repubblica Argentina, la prima domenica raccolsi 4.000 franchi … Gli Italiani di Argentina durante una delle prime riunioni conviviali alle quali partecipò, chiesero a Fondacaro se accettava l’incarico di consegnare al VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 19-20 GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febr. 1968, nr. 1, Roma 1968, pag. 169) 55 56 Pag. 40 Generale Garibaldi un Album che testimoniasse quanto ancora fosse vivo l’amore per lui da parte delle Comunità Italiane d’oltreatlantico Molta gente volle partecipare a quella iniziativa e ci fu addirittura chi propose al Capitano l’acquisto del battello per poi farne dono al Generale, ma Fondacaro, sempre più sospettoso su quanto accadeva attorno alla sua persona, per trame non sapeva bene da chi orchestrate, rifiutò immaginando che ci fosse una bassa speculazione: pagare 20.000 lire del costo del battello per poi incassarne magari 100.000 sotto il pretesto di donarlo a Garibaldi. Il successo, anche della raccolta fondi, si seppe a Montevideo. E quanto accaduto dopo qualche giorno, confermò che Fondacaro non si sbagliò, il timore di un attentato alla sua missione fu più che fondato! 57 Scrive Fondacaro:58 L’indomani, due dei quattro periodici italiani che si stampano a Buenos Aires, pubblicavano che la spedizione era una vergognosa follia, e n’avvertivano la popolazione. Dopo un tale annuncio, niuno veniva più a visitare il battello. Il Comitato dell’«Album» mi disse che il battello era esposto troppo lontano, 57 58 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 22. VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit. pag. 22 Pag. 41 L’inserto è tratto da: Il viaggio del Leone di Caprera, GIORNALE ILLUSTRATO DEI VIAGGI, E DELLE AVVENTURE DI TERRA E DI MARE, anno IV, nr. 157 (settembre 1881), E. Sonzogno Editore, Milano. Pag. 42 Pag. 43 sicché dovetti introdurlo nel centro della città. Ma invano, giacché prevaleva la maledetta influenza di quegli articoli menzogneri, e nissuno si presentava; io aveva speso per trasportarlo in città circa 650 lire, sicché la borsa se ne risentiva, perché dovevamo campare noi e due aiutatori, che ero stato obbligato di prendere. Allora io pagai 2.500 lire ai miei creditori, e volli ritornare a Montevideo per definire ogni pendenza! Alla fine cedette alle pressioni degli argentini e decise di rimanere altre due settimane a Buenos Aires per consentire la conclusione della raccolta delle firme per l’Album. Passarono due mesi. Durante quel prolungamento di sosta, il Comitato diede segni di imbarazzo. Alla fine gli dissero che avevano deciso di spedirlo l’Album anziché affidarlo a lui, perché valutarono troppo grande il rischio che naufragasse col battello, che, adesso, ai loro occhi apparve non oggetto da ardita impresa, fra un fragile guscio di noce. Naturalmente, nulla diedero a Fondacaro della somma raccolta, perché, come espressamente dichiarato, egli non sarebbe certamente mai ito in Italia con quella “barca” (ivi, pag. 23). Fondacaro non lo dichiarò, ma è evidente che sotto i ripetuti voltafaccia, prima a Montevideo e poi a Buenos Aires, doveva esserci una longa manus italiana che non voleva che quel viaggio: - con un battello battezzato “Leone di Caprera”, chiaro riferimento al coraggio del Generale Garibaldi rappresentato nelle battaglie per il Risorgimento d’Italia, - un Album da consegnare al Generale a testimonianza di quanto ancora la sua figura e quindi la sua ideologia fosse seguita nel mondo, - e il tutto glorificato da un’impresa clamorosa, condotta da un seguace del Generale e come lui, aderente alla Società Nazionale, non doveva realizzarsi. Per nessun motivo! In Italia alla fine del 1880 Garibaldi s’era clamorosamente dimesso dalla carica di Deputato del Parlamento, dopo aver tuonato dagli scranni della Camera contro il malgoverno, la corruzione, la politica del compromesso, la litigiosità dei governi della Sinistra. Garibaldi! Ormai leader indiscusso dell’ideologia repubblicana, anticlericale e radicalsocialista era divenuto il nemico numero uno del Governo di De Petris 59 e della sua politica votata a condurre in porto a proprio favore il nuovo sistema 59 http://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-depretis/ Pag. 44 elettorale con più di due milioni di elettori e le trattative per entrare in quella che sarà poi la Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania Il nuovo sistema elettorale entrò in vigore dal 1882: al collegio uninominale si sostituì lo scrutinio di lista su una base di elettori allargata da 620.000 aventi diritto a 2.140.000 pari al 7.1% della popolazione italiana. In Calabria gli aventi diritto furono 69.642 rispetto ai 22.851 riferiti alla vecchia modalità. Vuol dire che nel 1882 votò in Calabria, il 5.5% della popolazione (nel 1892 fu poi il 7.8% con di nuovo un sistema uninominale, Agostino Depretis per poi calare al 4.5% nel 1895.60 Dal 1861 e fino all’entrata in vigore della nuova legge elettorale, in Calabria i latifondisti monopolizzarono la rappresentanza politica in Parlamento. In provincia di Catanzaro prevalsero: Giovanni Barracco e Francesco Stocco; in provincia di Cosenza: il barone Pietro Compagna; in Provincia di Reggio: Gerardo Carafa Principe di Roccella. Da sola, la famiglia Barracco possedeva in Calabria una diversificata proprietà misurabile in 30 mila ettari. Giunse, ma successivamente, un ricambio di deputati, se si eccettuano i casi di Agostino e Antonino Plutino, confermati nei collegi di Melito P.S. e Cittanova dal 1861 al 1880: Donato Morelli a Rogliano, Vincenzo Sprovieri a Corigliano e Saverio Vollaro a Bagnara.61 Era molto chiaro! Fondacaro non doveva poter attuare quell’impresa. GIUSEPPE CARIDI, La Calabria nei documenti storici; vol. II° - da metà Seicento a fine Ottocento, Falzea ed., Reggio C. 2000, pag. 127. 61 Su Vincenzo Sprovieri e il suo processo, cfr.: PAOLO ALATI (a cura di e introduzione), Il processo per l’aggressione a Vincenzo Padula e l’uccisione di suo fratello Giacomo nel 1848, Carlo M. Padula ed., Roma 1977, da pag.96. 60 Pag. 45 E Fondacaro decise: contro quella longa manus che lo stava ossessionando, avrebbe fermato la traversata a Gibilterra e si sarebbe rifiutato di condurre il battello in Italia! Per il Capitano, nel frattempo derubato della sua preziosa bussola e altri oggetti utili al governo del vascello (ivi pag., 23), non restò che tornare a Montevideo. Fece rifornimenti e si preparò ad attrezzare le vele per lasciare il molo. Era intento alle operazioni di approntamento del vascello quando una palla di revolver passò rasente alla sua testa. Istintivamente si gettò dietro il vicino albero maestro proprio quando un secondo sparo tranciò l’aria, ma per fortuna il Capitano era già al riparo. Si alzò di scatto e a sua volta impugnò il suo revolver, sparando verso la direzione dalla quale presunse giungessero gli spari nemici. Troccoli e Tacconi saltarono da una veranda che dava sullo spiazzo del molo e corsero verso il vicolo dove s’era appostato l’attentatore che s’era nel frattempo dileguato.62 Perché qualcuno tentò di assassinare Fondacaro? I colpevoli non furono trovati. L’equipaggio, buio in volto e preoccupato, s’imbarcò quella notte e andò ad ancorarsi al centro-rada, protetto dalla fiancata della corazzata Argentina. Il giorno successivo Fondacaro si recò alla capitaneria di Porto per ritirare le carte nautiche e i permessi per salpare. Ottenne il tutto senza problemi e fu esentato dal pagamento delle imposte. Durante il soggiorno a Buenos Aires, s’era preoccupato di mandare di volta in volta a Montevideo, le somme nel frattempo racimolate in modo da diminuire il debito vantato dai creditori italiani. Questo significò che, in attesa della conclusione della trasferta argentina, contraesse debiti per approvvigionarsi per il sostentamento in quella Città. E così alla fine, dopo il diniego a riconoscergli quanto a lui dovuto, si ritrovò con un compenso parziale di 350 lire datogli come anticipo all’atto del suo arrivo. Fu di nuovo in forte difficoltà e commentò, amaro,63 Io mi accorava non tanto per la privazione dei quattrini, quanto per vedere l’indifferenza che regnava fra i miei compatriotti riguardo alla gloria della marina italiana. Purtroppo gli Italiani peccano in tutte le classi di fiducia in se stessi, della stima scambievole, e, sto per dire, di una vera fede in Dio; ma quasi in ogni parte del mondo noi abbiamo a deplorare la stessa mancanza di fede nella divinità! Forse il popolo ignorante si conserva più onesto! 62 63 VINCENZO FONDACRO, Dall’America …, cit., pag. 23 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit. pag. 25. Pag. 46 Gli Italiani che si entusiasmarono all’idea della grande impresa, d’improvviso dubitarono, giudicarono impossibile quella traversata, negandosi quasi fossero timorosi si vedesse che stavano prestando aiuto a chi non doveva riceverlo! Fondacaro non approfondì questi concetti in quei momenti, in lui si rinsaldò l’orgoglio e la rabbia, e si preoccupò per la non totale certezza della partenza: “mi crucciavo delle mie ristrettezze finanziarie, perché ne ritardavano il compimento!” scrisse di quei giorni. Solo questo lo tormentò allora. 13)Una svolta inaspettata. Rientrato a Montevideo, Fondacaro andò a ringraziare i creditori che, garantiti da malleverie, gli consentirono di navigare verso Buenos Aires; in cambio ricevette un altro schiaffo morale. Dai giornali i creditori seppero del “grande successo” della manifestazione tenutasi nella Capitale argentina e del buon incasso: ben 25.000 lire e dunque che Fondacaro pagasse il residuo dei debiti, prima di andare incontro al suo destino. Il capitano cercò di spiegare che le circostanze erano diverse e che nella sostanza, era rientrato a Montevideo più povero di prima. Ma fu inutile, ad eccezione della Società Burrel, non gli credettero. Il battello fu di nuovo sequestrato dal tribunale dopo la presentazione di una richiesta firmata dai creditori, compresi coloro che vantavano un credito di soli 50 dollari! Fondacaro tentò un’ultima difesa, presentando querela; passarono quattro mesi prima che il Tribunale emettesse la sentenza temuta: il battello fu posto all’asta dal tribunale. Fu in quei momenti che Fondacaro dimostrò una forza d’animo incredibile: gli avrebbero tolto il Leone di Caprera ma quella traversata era nel suo destino e se ciò fosse accaduto, lui sarebbe rimasto fermo nel proposito di rifare nell’anno seguente un secondo bastimento, ma non tanto costoso. Non tanto costoso perché prevalse in lui l’idea di un battello idoneo per affrontare l’agitato Oceano Atlantico una sola volta e, raccolto il clamore per l’eccezionale impresa, affidarlo a un Museo affinché ne perpetuasse la memoria “a gloria della Marina Italiana”. I presupposti per il «Cesare Cantù» furono (ancorché in modo approssimato) definiti nella sua mente. Ci fu perfino fra gli autori del sequestro, chi gli si propose come “salvatore” mentre altri ribadirono un concetto già sentito in Città e a Buenos Aires: Fondacaro “voleva far denari e non partir mai”. Fu il colmo per il Capitano. Pag. 47 Avvenne l’imprevedibile una sera di metà settembre. Fondacaro passeggiava in Piazza Indipendenza quando fu avvicinato da in distinto signore dall’accento inglese; dopo essersi presentato, entrò in argomento proponendogli di pagare lui il riscatto del battello, purché il Capitano eseguisse la traversata da Montevideo non più verso il Mediterraneo, ma verso Londra. Dopo la traversata, il Leone di Caprera sarebbe rimasto di sua proprietà per altri due anni, in modo che potesse incassare dalle manifestazioni, pagare le sue spese e consuntivare il meritato utile, dopo di che sarebbe passato di proprietà dell’inatteso benefattore. Egli lo avrebbe collocato nella sua collezione privata fra automobili e carrozze d’epoca. Fondacaro restò perplesso. Un sentimento misto di speranza e di orgoglio, prese possesso del suo animo in modo conflittuale e quella notte non chiuse occhio. Era vero o si trattava di una burla? Di un mefistofelico tranello forse? O bisognava che considerasse quell’avvenimento come un colpo di fortuna? Una benedizione dal cielo? La notizia si diffuse in Città con la velocità della luce. Forse non casualmente dunque, il giorno seguente Fondacaro ricevette un’imbasciata da parte di Luigi Dapueto, quel desso esponente della borghesia di Montevideo e membro del Comitato degli Italiani del Rio della Plata. Che Fondacaro si recasse nel suo ufficio per urgentissime e confidenziali comunicazioni. Il Capitano andò a trovarlo a casa sua e si sentì dire senza mezzi termini che il Comitato non apprezzava che il battello fosse venduto in quella maniera e per lo più a estranei. Che egli si recasse dai suoi creditori e negoziasse con loro l’erogazione dei Mille dollari come finale transazione sul valore del Battello. Se avesse ottenuto il consenso, Dapueto avrebbe fornito i denari per la tacitazione di tutto. Cosa stava accadendo? La coalizione di opposizione sembrò cedere di fronte all’alea che il battello, che certamente sarebbe divenuto famosissimo, cadesse in mani straniere. E Dapueto si rivelò come depositario di una somma ragguardevole e disponibile per il Capitano. Fugati i dubbi di fragilità del battello, la rischiosità del viaggio, le pendenze verso gli adesso rabboniti creditori. Questo capovolgimento di situazioni rimase un mistero e ancora oggi non si possono che formulare ipotesi: un telegramma dall’Italia? Un cambio di Pag. 48 opinione per non cedere almeno in questa circostanza, alla concorrenza commerciale britannica che, in una sorta di rinnovato fervore colonialista, stava per monopolizzare i commerci transatlantici fra l’America Latina e l’Europa? Solo ipotesi, fatto sta che i creditori “italiani” accettarono la transazione, purché si realizzasse “a giro di giorni”. Dapueto ebbe parole affettuose per Fondacaro e alla fine della discussione, si confidò col Capitano: Qui la gente vi considera un pazzo mentre io ammiro il vostro coraggio nel volervi esporre a rischio della vita per la gloria della marina italiana. E soggiunse: la nostra Nazione avrebbe bisogno di molti pazzi come noi. Si rammaricò infine per non poter fare di più per la nostra patria e quindi i due affettuosamente si congedarono. Da quel momento ci fu una specie di retromarcia nelle considerazioni degli Italiani e degli indigeni di Montevideo. Ritornò l’ammirazione per il gesto che si stava per compiere, tornarono le offerte di denaro e di approvvigionamenti e Fondacaro, che non dimenticò il vissuto, rifiutò sempre con orgoglio. Accettò l’autorizzazione per tanto tempo inseguita, proveniente dal Consolato Italiano: poteva issare a bordo la bandiera italiana. Molti i “nemici” che riuscirono a nascondere il disappunto per la sconfitta patita, primi fra tutti quelli del Comitato dell’«Album», offesi dalla determinazione - maturata in lui quando si rese conto a Buenos Aires, di essere vittima di un complotto - di effettuare la traversata ma fermandosi a Gibilterra, in segno di protesta per quanto gli “Italiani” gli avevano fatto patire.64 … essi avevano raccolto i quattrini dalla gente per aiutarmi, e poi alla stretta dei conti, mi negavano il promesso sussidio. Allora io, indignato di quel procedere, quando vidi tutto perduto, giurai che non mi sarei avanzato oltre Gibilterra, onde mostrare l’ingenuità dei miei sentimenti, e se non fossi stato compromesso col pubblico, avrei anche rinunciato al viaggio, perché davvero non franca la spesa di arrischiar nulla per tale genia! Ma ero in ballo e dovevo ballare! Dovette intervenire presso il Comitato un’influente personalità di Montevideo, il Capitano genovese Dapulto, per convincere i riluttanti “finanziatori” a 64 V.FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 23 Pag. 49 consegnare l’Album e la spada a Fondacaro: garantì sulle capacità del Capitano.65 14)La partenza verso il Mare Oceano. Il 19 settembre 1880, il battello fu pronto per salpare! A bordo, per la generosità di pochi, fra i quali Dapueto, erano stati imbarcati:66 - 300 libbre di biscotto; Diverse casse con confezioni di carne in scatola Olio in grande quantità Una fornita cassetta di medicinali Una armonica Sei galline ovaiole vive Una tanica capace di 1000 litri di acqua piovana 40 litri di vino Una imprecisata quantità di maccheroni da cuocere Un’ancora da 10 e una da 50 libbre (cioè una da 4 chili e una da circa 31 chili67) - Attrezzatura varia da cucina. Il rimorchiatore “Italia”, affittato da Dapueto, condusse il Leone di Caprera al centro della rada e salutato da una moltitudine festosa, prese per uscire dalla foce per affrontare il mare aperto. Non fu facile. Il tempo era pessimo e il vento contrario. Il battello tentò di guadagnare l’uscita, da lunedì a venerdì, e alla fine dovette ancorarsi al riparo delle isole antistanti la foce, senza rientrare in porto, come fecero e stavano facendo le altre imbarcazioni. Fondacaro non volle affrontare le canzonature e le critiche negative del tipo “se fossi stato io al posto di Fondacaro, mi sarei ucciso piuttosto che rientrare!” e commentò amaro: Questo genere di persone sono le più vili, e tutti lo sanno, ma siccome non possono valersi di altra arma, sciolgono la loro linguaccia per oltraggiare ognuno alla minima opportunità, e si fanno ascoltare dalla folla sempre pronta a dar loro ragione, anche per la proclività naturale, che si ha di ridere alle spalle altrui .68 GUSTAVO VALENTE, Nella scia garibaldina. Il capitano Fondacaro, Camicia Rossa, Rassegna Mensile di Pensiero e Azione, anno X (1934 – XII) nr. 1, pag. 19. 66 VINCENZO FONADCARO, Dall’America …, cit., pag. 8 67 GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febr. 1968, nr. 1, pag. 169 68 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit. 12 65 Pag. 50 Stando fermo, Fondacaro poté eseguire le prime sperimentazioni sull’ancora galleggiante e l’efficacia dell’uso dell’olio sparso attorno al natante, come strumento utile per placare i marosi attorno allo scafo. Ma anche l’efficacia dei sifoni posti strutturalmente ai fianchi del battello per migliorarne il galleggiamento.69 … nella stiva era inoltre disposto un certo quantitativo di tubi di zinco, di 10 once di diametro (cm. 25,40), ermeticamente chiusi alle estremità e che possedevano una spinta di galleggiamento di 40 tonnellate, dando in tal modo una buona stabilità al natante … Il 24 settembre il Leone di Caprera fu costretto a rientrare in porto per il cambio dell’acqua e per caricare una zavorra di ferro per meglio equilibrare la prua rispetto alla poppa. Espletate le formalità si imbarcò dopo aver abbracciato Dapueto e senza salutare nessuno, levò gli ormeggi approfittando della marea favorevole. Il 5 ottobre, a 45 miglia da Capo Santa Maria, il battello fu investito da una tempesta con onde alte e vento forte. Gettò l’ancora galleggiante e gettò a mare un paio di sacchi d’olio che si sparse uniformemente attorno al battello, creando davvero una specie di calma attorno alle onde altissime. 69 GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febb. 1968, nr. 1, pag. 170. Pag. 51 Spiega Fondacaro70: L’àncora galleggiante è un sacco di forma conica avente dodici piedi di lunghezza e quattordici di circonferenza, attorniato di grosse corde, con quattro piccoli buchi all’estremo lembo dello stretto capo, quasi un pollice di diametro, tanto da concedere che l’aria passi e la empia bene; poi una corda di 60 metri è attaccata alla larga bocca per reggere il battello quando è invaso dall’acqua, ha poi una piccola fune attaccata di dietro per tirarla a bordo.. E sull’efficacia dell’olio scrive: L’olio è la separazione delli due elementi, fra il vento ed il mare fa uguale effetto, che fa tra due pezzi di macchina per non farli abbruciare: quando l’olio o grasso liquido viene gettato nel mare, esso si spande lungi, e forma una specie di cappa di una sottigliezza finissima, ed il mare diventa bianco bianco per tutto dove si estende: quindi il vento più forte non può toccare l’acqua per agitarla, la testa dell’onda non rompe nella sua corsa, quindi non vi è pericolo alcuno… Una ulteriore spiegazione sull’efficacia dell’olio è a pag. 42-43. La traversata si compì rispettando il più possibile il metodo e la costanza: ore 6 caffè con due tuorli d’uovo e biscotto; ore 10 carne di manzo ore 17 Maccheroni con brodo di manzo o estratto di carne; carne o pesce salato, vino, caffè. Spesso pesce fresco appena pescato. Capitò di dover mangiare di volta in volta quattro delle sei galline portate a bordo. Come affrontarono i momenti di tempesta, con onde alte e furore di vento e pioggia i tre naviganti? … ma che importa? Eravamo fuori per lottare cogli elementi da soldati agguerriti. Sicché non ci sgomentammo, anzi mangiavamo e bevevamo con una disposizione straordinaria, pensando che poteva esser l’ultimo pasto, e volevamo andar ben provvisti all’altro mondo, nel caso che dovessimo aspettar molto tempo prima che San Pietro ci venisse ad aprire le porte del paradiso epperò, invece di pregare, veleggevamo … (ivi, pag. 40). L’equatore fu attraversato il 24 novembre e l’evento fu festeggiato con abbondanti maccheroni e libagioni. La traversata procedette in modo ottimale, pur se fra difficoltà create dalle condizioni del mare per frequenti uragani e correnti contrarie. Ebbero qualche momento di stanchezza, durante la quale fu giocoforza allentare la sorveglianza e il governo del battello. 70 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 37. Pag. 52 Il 13 ottobre, in uno di quei momenti di rilassamento, il battello fu sorpreso da un improvviso fortunale e un’onda traversa lo investì capovolgendolo. Scrive Fondacaro (ivi, pag. 41): ... Grassoni ed io ci sentimmo venir addosso tutta la roba mobile che ci stava di sopra; io mi trovai sepolto sotto un mucchio di catene, la navicella si era capovolta e la punta dell’albero maestro era a 5 gradi sotto l’orizzonte. Fu un momento solo, ma terribile! Pietro sott’acqua e stava per affogare, Grassoni sbucò fuori e con uno sforzo d’Ercole aprì il portello di botto; nel medesimo tempo il battello si era di nuovo drizzato, perché era costrutto in modo da non poter essere sommerso per nissun contrattempo, ma nondimeno il tiro non fu aggradito, e di più perdetti in quello sconvolgimento la bussola, che mi era carissima e preziosa … Pag. 53 Come cennato, il vascello fu costruito in modo da risultare inaffondabile, per la presenza di quattro serbatoi d’aria collocati attorno alla chiglia. Con tale accorgimento, il vascello anziché saltare sulle onde, fu in grado di “perforarle”, come è abitudine dei pesci.71 Lungo la rotta incontrarono molti piroscafi e velieri. Il 6 ottobre incrociò il Sunderland of Sunderland un piroscafo di grande tonnellaggio diretto a Rio de la Plata; il 20 ottobre incrocia il Maria Dasdoras, un brigantino portoghese posto sulla rotta da Pernambuco a Rio Grande do Sul; il 4 novembre fu la volta del bastimento inglese Montogomeryshire con rotta verso Valparaíso e il piroscafo norvegese Odoro, in navigazione verso San Francisco (California) e quindi prossimo a doppiare il micidiale Capo Horn; il 27 novembre incrociò il piroscafo Vittoria Madre del capitano Luigi Albini, che faceva rotta da Genova a Montevideo; l’8 e il 9 gennaio scambiò saluti anche col piroscafo spagnolo Africa in rotta da Cadice alle Canarie; il 21 gennaio salutò il bastimento italiano Umberto I°, che rientrava in Italia da Rio della Plata e lo yacht inglese Mona. Con la maggior parte dei natanti incrociati, Fondacaro scambiò informazioni ma sempre rifiutando offerte di viveri, sigarette, alcol o di essere rimorchiato per qualche tratto di mare. 72 Coloro che accostarono, li salutarono festosamente evidenziando così che la fama della traversata li stava precedendo. Ai primi di dicembre cominciarono a scarseggiare le provviste ma anche questa circostanza, come le tempeste che investivano il battello, fu gestita con filosofia e tanta musica suonata dal Sacconi e magari qualche buon bicchiere di vino. Fondacaro, a bordo del Leone che si cullava nell’infinita e silenziosa distesa dell’Oceano, tornò a considerare i fatti che precedettero la partenza, e alla fine della traversata, di fronte alla costatazione delle reali ostilità italiane verso la sua impresa, commenterà amaro:73 Daringtodo, Storia e storie. Il leone di Caprera e il monumento a Garibaldi, dal sito Web - 27.2.2011 72 GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), L’Universo, gen.-febr. 1968, nr. 1, pag. 175. 73 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 71 71 Pag. 54 io rifletteva nondimeno, che gl’ignoranti cercano l’onore, e gli altri il danaro, nient’altro che il danaro. È una storia vecchia; dacché il mondo si chiama incivilito, l’unico passaporto è la moneta, e chi ne possiede, più ne vorrebbe, perché si stima e si vede stimato superiore a tutti! Ah quella benedetta chiave d’oro apre tutte le porte, dà adito a tutte le società, a tutti i piaceri, non si bada al carattere dell’uomo, tutto è accessorio, il denaro solo contrappesa tutto il resto, e più. Sono sicuro, che per quanto ti ripugni, tu stesso lettore mio, approvi la mia asserzione; anche un ladro se è riuscito ad arricchirsi è considerato, mentre l’ingegno e la probità sono sprezzate…. Il 25 dicembre, Natale, Fondacaro contò 80 giorni di navigazione e commentò che il viaggio sembrò ai tre dell’equipaggio più lungo del previsto. Fu questa circostanza a caratterizzare l’umore negativo che pervase l’equipaggio durante i giorni precedenti. Finalmente il 27 intravvidero la sagoma del golfo del Senegal, ma non mostrarono giubilo dandosi a salti di gioia e vari “evviva”. Fondacaro si limitò a costatare che il più era fatto! Adesso la navigazione aveva dei punti di riferimento e i tre si sentirono più tranquilli, anche se il 30 dicembre ebbero un incontro imprevisto con gli squali, alcuni dei quali entrarono a contatto con la chiglia del battello (ivi, pag. 76). E Fondacaro commentò, sempre nella valutazione finale di quanto gli accadde soprattutto alla fine di quella avventura:74 Non ti scandalizzare lettore mio, se ora più che mai dopo averli conosciuti “personalmente”, per la prima volta in vita mia, paragono con convinzione i pesci-cani agli uomini di legge, perché davvero trovo in questi gli stessi istinti brutali che possiedono i primi, colla sola differenza ch’essi li esercitano in mare e gli altri in terra … Questa distorsione degli “uomini di legge” rientrò nel vasto concetto dell’onorabilità, poiché una volta l’esattezza della parola faceva rispettabili gli uomini e la parola data da un uomo d’onore, valeva un contratto notarile. Concetti che richiamarono molto della sua Bagnara, della sua Calabria, del modo di vivere della gente di mare del Canale e dei contadini d’Aspromonte. E si amareggiò nel costatare che: 74 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 76. Pag. 55 ora non più, le promesse umane hanno la stabilità e la fermezza della stagione, di cui non si può fidare da un’ora all’altra, e si direbbe che anche il tempo ha subito la corruzione del secolo. Furono momenti penosi per Fondacaro. Scrive Gustavo Valente:75 Un gran bisogno ch’era fatto di dolore e di forzata rinuncia l’aveva sospinto al di là dell’Oceano, dove tanti suoi concittadini erano andati col fagotto delle lacrime per l’abbandono, vi si erano stabiliti, modesti lavoratori, e n’erano tornati col gruzzolo per la vecchiaia. La sua impazienza malamente costretta alla contemplazione del dolore fraterno, si iperacuiva all’annuncio tardivo delle pene della nostra riscossa nazionale, e si faceva fremente, dolorosa per la tensione dell’offerta di contro l’impossibilità di donare, quando, con i caratteri del suo puro eroismo, condotto sui fili accesi della generosità popolare dei calabresi, l’eco del nome di Garibaldi giungeva a dar fremito a tutte le genti. Il Fondacaro che sta navigando concentrato sulla buona riuscita della sua impresa, è diverso dal Fondacaro che, anni dopo, scrisse il Diario inserendovi i commenti su quanto gli accadde una volta approdato, con i due compagni d’avventura, sulle coste europee. La delusione fu grande nel vedere come l’ostilità del governo italiano si manifestasse nel continuo, avendo come obiettivo non consentire che il Leone di Caprera approdasse gloriosamente a Genova: sarebbe stato il trionfo degli oppositori al Governo liberal-conservatore del Re, col rischio di una crisi politica, scatenata dal Movimento Garibaldino, pregno di repubblicanesimo e spirito anticlericale. 3 di gennaio: la navigazione procedeva da oltre novanta giorni. L’obiettivo delle Canarie fu a portata di mano e il giorno dopo scorsero le alture della prima delle Isole di Colombo (così le ricordò Fondacaro nel Diario). 75 GUSTAVO VALENTE, Nella scia garibaldina: il Capitano Vincenzo Fondacaro, in Camicia Rossa, anno X (1934-XII) nr. 1, pag. 18 e sgg. Pag. 56 Il 4 gennaio il Leone di Caprera accostò all’Isola di Ferro per l’acquata e il 5 si diresse verso Las Palmas, preferita a Santa Cruz perché: - Vi approdò Colombo, circostanza che provocò una “emozione indicibile” al Capitano (ivi pag. 78); - A Santa Cruz gli abitanti “ostentano un lusso asiatico a detrimento dei poveri che stentano la vita, e poi perché i governatori sfoggiano più dei re, cosa che io disapprovo con tutta l’anima” La venerazione per Colombo come cennato, fu notevole in Fondacaro che più volte confessò che in un primo impulso, pensò di battezzare il suo battello “La scarpa di Colombo” per poi cedere all’entusiasmo e all’amor patrio (ivi, pag. 79) All’ingresso nel porto di Las Palmas, il vascello fu accolto dagli isolani con ovazioni, applausi e sventolii di bandiere. Quando il vascello attraccò e i tre naviganti misero piede sulla banchina del porto, furono sollevati e condotti in giro a spalla. Alle Canarie lo attesero e si ripeterono per una settimana feste popolari, pranzi, inviti ripetuti al Gabinetto Letterario di Las Palmas o a quello del Circolo Mercantile. Come predisse il Capitano fin dal tempo dei cantieri di Montevideo, il vasello era in pessime condizioni. La tenuta delle componenti di galleggiamento e di sostegno degli alberi, era ancora buona, ma il resto del materiale giunse a fine traversata perdendo pressoché totalmente l’affidabilità per futuri servizi di governo. Durante i lavori di parziale recupero/restauro/ripristino del materiale, il vascello perse l’ancora per una errata manovra di parcheggio. Un guaio al quale la Città pensò di rimediare regalandogliene una nuova di zecca; quella perduta sarebbe stata ripescata e tenuta in museo per conservarla come testimonianza dell’impresa. Terminati i lavori di rattoppo al vascello, il 13 gennaio Fondacaro salpò per Lanzarote inalberando una bandiera italiana nuova di zecca sull’albero Pag. 57 maestro e una spagnola di cortesia a poppa. Le bandiere erano state scambiate con quella italiana tenuta a bordo fino a quel momento. Il 21 gennaio 1881 il battello doppiò il promontorio di Tangeri e approdò per qualche ora a Jerez per poi proseguire. Il giorno successivo il Leone di Caprera giunse finalmente a Gibilterra accolto da un vero tripudio, anche da parte del Circolo Marittimo Britannico e ai tre cavalieri del mare, fu dedicata una festa al Circolo del Progresso. Complessivamente la rotta Montevideo-Gibilterra fu coperta in 126 giornate effettive di navigazione col governo del battello effettuato nelle seguenti condizioni di mare: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) Nove giornate di Mare tempestosissimo; Cinque giornate di Mare tempestoso; Nove giornate di Mare burrascoso; Sei giornate di Mare assai mosso; Sessantadue giornate di Mare mosso; Quindici giornate di Mare calmo; Tre giornate di Mare in bonaccia.76 Nessuno ebbe sentore che in tasca, fra tutti e tre, non avevano che un solo dollaro. Malgrado questa condizione, Fondacaro rifiutò una elargizione in denaro da parte del Circolo Israelita, fedele – scrive sul suo Diario – al “principio di nazionalità”, perché non mi veniva offerto da italiani, del cui onore sono e sarò sempre gelosissimo.77 E qui tornò una posizione di orgoglio già manifestata ogni volta durante la navigazione, il battello s’affiancò alle navi che incrociarono la sua rotta. Calorosi saluti, scambio di notizie ma rifiuto di qualsiasi rifornimento alimentare o tecnico, solo, magari, qualche sigaro, quello si. E sempre la stessa motivazione: l’orgoglio e la volontà di dipendere esclusivamente dai propri mezzi, se non fosse l’aiuto proveniente da “italiani” e solo da loro. GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1880-1881), «L’Universo», cit., pag. 181. 77 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 89 76 Pag. 58 Fondacaro rifiutò il finanziamento ebreo, concesso a titolo gratuito, pur se questo significò rimanere povero: l’onore e l’italianità innanzitutto. Ma a questo punto della sua esperienza, Fondacaro iniziò a maturare convinzioni che lo fanno apparire diverso dal marinaio ingenuo e carico di mero entusiasmo che lo caratterizzò prima di impostare questa sua avventura pionieristica. Forse a Gibilterra Fondacaro lesse sui giornali stranieri i resoconti di quanto accadeva in Italia, ebbe modo di confrontarsi con conoscenti inglesi o con italiani politicamente all’opposizione rispetto al Governo Nazionale, ma è certo: il tono del Diario mutò notevolmente e da semplice resoconto condito con commenti estemporanei sulla “casualità della vita” e sventure capitategli, si caratterizzò per toni polemici che dall’iniziale rimostranza mutarono in condanna verso un sistema di idee e modi di gestire uomini e cose che facevano parte della “Patria” comune. Col battello all’ancora perché oramai “esausto”, Fondacaro passò fra Las Palmas e Tenerife, ma anche a Malaga, Marbella, Colaburra e ovunque feste, ricevimenti, banchetti e però … neanche una lira. Il 7 febbraio la situazione divenne grave. L’equipaggio decise di ricoverare in secco il battello con Grassoni in custodia e il 12 Fondacaro e Troccoli si recarono a Motril in cerca di un “passaggio” (un vero e proprio “autostop” marino, per intenderci) per l’Italia. Anche a Motril accoglienze e ovazioni ancorché nessuno fosse a conoscenza di quale fosse la loro condizione economica: poveri in canna. Il 18 febbraio i due rientrano a Malaga dal loro giro inconcludente, con un vapore sul quale ottennero un passaggio gratuito. Fondacaro cedette alla morsa delle necessità non tanto sue, quanto dei suoi compagni d’avventura e, appena sbarcato, si recò al Consolato Onorario Italiano, retto all’epoca da un personaggio illustre, il Colonnello Claudio Seyssel d’Aix, Marchese di Sommariva del Bosco,78 già militare sardopiemontese durante le guerre del Risorgimento. Il Marchese si mostrò affabile e provvide a fornire qualche sostegno al Capitano e al suo equipaggio, ma non fece nulla come Console e il ritorno a Malaga fu mesto e triste per tutti. Cesare Biseo, Veduta di Tangeri; Così il 23 febbraio Fondacaro in ELISA GRILLI DI CORTONA, op. cit., pag. 15 dovette nuovamente imbarcarsi 78 http://www.collegiomondragone.it/download/claudio_seyssel_d'aix_biografia.pdf Pag. 59 su un vapore inglese accolto con affabilità dall’equipaggio. Il Capitano riuscì a celare con fatica di essere senza un soldo e non avere da mangiare. Ma anche in questo caso, nel paio di porti ove il vapore gettò l’ancora, non gli riuscì di ottenere sostegni. I tre non se la sentirono di procrastinare la conclusione della missione “patriottica” per la quale furono incaricati a Montevideo e Buenos Aires. Il 4 marzo, mentre Fondacaro continuava a ripetere visite a vecchi conoscenti e colleghi per ottenere gli aiuti e reperire il materiale necessario per ripristinare il battello, Troccoli s’imbarcò per Barcellona e così raggiungere Caprera per rendere visita a Garibaldi consegnandogli i doni del Sud America, e questo dopo esser passato per Roma in cerca, questa volta si in modo esplicito, di aiuti economici. Troccoli raggiunse Caprera il 24 marzo, a bordo del piroscafo spagnolo Vier, dopo aver comunicato a Fondacaro l’esito fallimentare della tappa a Roma.79 Il cinque Marzo, mentre Troccoli navigava verso Barcellona, Fondacaro si recò dal Vice Console italiano per ottenere un contributo, un sostegno governativo per fare fronte ai bisogni urgenti. Dopo consultazioni coi superiori, il Vice Console negò gli aiuti. “Viva la Patria!” commentò sarcastico, Fondacaro. Fu a tal punto, certo che la missione Troccoli a Roma sarebbe fallita, che Fondacaro decise di giocare un’ultima mossa: recarsi a Tangeri da Stefano Covasso, all’epoca Ministro Plenipotenziario d’Italia in Marocco dopo essere stato Console Generale d’Italia nella stessa Tangeri,80 e noto per essere, scrisse Fondacaro, un vero patriota e gelosissimo del nome italiano. Il Console promise un interessamento con riscontro al più presto possibile. Nel frattempo e finalmente, il 10 marzo Fondacaro riuscì ad ottenere un piccolo prestito da un suo conoscente: Andres Reyes. Con i 100 franchi ricevuti, s’imbarcò per Gibilterra ovviamente con il viaggio offerto dal capitano del vapore. A Gibilterra il Capitano fece fronte al pagamento dell’attracco in secca, acquistò provviste e mise da parte il restante denaro. Occorrevano altri fondi per potere mettere mano al ripristino del battello. 79 GUALTIERO SANTINI, La traversata …, cit., pag. 180). VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 92. Al tempo di Fondacaro a Tangeri, nella Città marocchina operarono la Società Geografica Italiana (fondata a Firenze nel 1867 da Cristoforo Negri), la Società d’esplorazione commerciale in Africa e il Club africano, poi dal 1882 Società Africana d’Italia. Sull’importante Rappresentanza italiana in Marocco, si veda: EDMONDO DE AMICIS, Marocco, con disegni di Stefano Ussi e Cesare Biseo, Treves ed., Milano 1879; PIERRE LOTI, Al Marocco. Da Tangeri a Fez e ritorno, F. Muzzio ed., Padova 1993; GIANROBERTO SCARCIA, Sul Marocco di Edmondo De Amicis (1876), «La Conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX», a cura di Ugo Marazzi, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1984; CLAUDIA DAMARI, Tra occidente e Oriente: de Amicis e l’arte del viaggio, Franco Angeli ed., Milano 2012. Cfr. per tutto: ELISA GRILLI DI CORTONA, L’Ambasciata Italiana da Tangeri a Fez nel 1875, Università di Siena 2013 e PASQUALE BALDOCCI, L’Italia e la prima crisi marocchina, Rivista di Studi Politici Internazionali, anno XXIV, nr. 2 (1957) con bibliografia. 80 Pag. 60 Il 25 marzo Fondacaro lasciò Gibilterra per tornare a Malaga a caccia di prestiti. Mai domo e fiducioso nello spirito patriottico: un giorno si sarebbe manifestato. Ma Troccoli che intanto aveva raggiunto Roma, fu letteralmente “insultato” da tanti che minimizzarono l’impresa. Il 9 aprile, sempre con passaggi ottenuti, Fondacaro rientrò per ispezionare il battello e aggiornare Grassoni su quanto accaduto. E alla fine commentò: ” Peccato che non avessimo danari per giungere in Italia a bandiera spiegata! … la storia ricorderà di chi fu la colpa”. Il 13 aprile l’equipaggio decise di varare il battello. Messo in condizione di galleggiare, avevano trovato l’opportunità di farlo rimorchiare gratuitamente fino a Malaga. Forse, avvicinandosi un poco di più all’Italia, qualche spirito patriottico si sarebbe alla fine commosso. Giunti in porto, provvidero a ricoverarlo e si misero alla ricerca di finanziatori disposti a concedere qualche prestito, in modo da ripristinare il battello e completare il viaggio verso l’Italia, prospettando ai candidati benefattori, la celebrità del ritorno in Patria a vele spiegate, la valanga di notizie e curiosità che la stampa nazionale avrebbe pubblicato sui quotidiani, le lodi dei maggiorenti e quanto altro capace di esprimere la massima risonanza. Un investimento assicurato per i candidati finanziatori! Fondacaro sognò, colto da nuovo entusiasmo, che alla fine il rituale, avrebbe condotto il battello verso un trionfale ritorno a Bagnara con bandiera e vele al vento; l’abbraccio con i genitori, sarebbe stato il suggello finale al coronamento di un sogno: dimostrare al mondo la gloria della marineria italiana. Passarono i giorni e non si individuavano finanziatori. Era finita! Il 21 aprile la grave decisione: il battello fu disalberato in modo che potesse essere caricato a bordo di una nave da trasporto. Fu la definitiva rinuncia all’idea di rientrare trionfalmente in Patria a vele spiegate. Pensò in quei frangenti a un ultimo, disperato tentativo: si rivolse a una Loggia della locale Massoneria ottenendo un ennesimo rifiuto e commentò:81 Sono passati i bei tempi della Massoneria, se mai furono! … Brutto mondo! Dopo tanti sacrifici per la gloria della marina nazionale che si estende a tutta la razza latina, nessuno acconsente a rimorchiarmi neppure fino a Cartagena se aveva bisogno di tale aiuto! 81 VINCENZO FONDACARO, Dall’America …, cit., pag. 95 Pag. 61 Il 14 maggio Fondacaro trovò il modo di fare imbarcare il battello sul mercantile inglese Quinto in partenza verso Livorno e che aveva uno spazio rimasto libero. La pena di Fondacaro fu al massimo nel vedere in quali condizioni quella magnifica impresa si stesse concludendo. Un battello mezzo sfasciato caricato su una nave per il trasporto verso un porto italiano ove lui aveva fino alla fine contato di entrare in modo trionfale. Una favolosa traversata per una misera fine! Commenterà più tardi come non poté fare a meno di considerare l’ostilità preconcetta del Governo Nazionale verso gli Italiani all’Esterno e come quest’ultimi non meritino in verità di essere benevolmente trattati. Come dire: c’è una separazione netta fra doveri del Governo e riconoscimento della sua autorità da parte degli italiani e c’è una separazione netta fra doveri degli italiani verso il Governo e diritti da quest’ultimi vantati. Cesare Cantù Noi Italiani, pur troppo, non potremo mai essere protetti all’estero dal nostro Governo, come gli Inglesi dal loro, perché vi è una gran differenza di posizione politica all’estero fra le due nazioni, per la ragione appunto che l’Inghilterra deve la sua vita alla politica estera; senza quella non potrebbe esistere né come nazione, né come grande potenza. Essa manda fuori i suoi mercanti in tutte le parti del mondo per l’esportazione e l’importazione dei prodotti, perciò quei trafficanti contribuiscono potentemente alle finanze dello stato, che sono la forza, quindi sono rispettati dalla propria nazione come altrettanti diplomatici, e guai a chi li tocca! Il governo inglese è là per protestare in tutti i modi! Ora gl’italiani all’estero pretenderebbero dal proprio governo, la stessa protezione, ma senza alcun diritto, perché siamo giusti, non fanno niente per contribuire alle finanze dello Stato e, anzi non si ricordano di esso, che quando ricevono qualche sgarro per chiamare l’assistenza del governo, e se quest’aiuto non viene, subito esclamano: Guardate gl’Inglesi; ma, cari miei compatriotti, quando voi avrete contribuito al bene dello Stato, come fanno gl’Inglesi, avrete le stesse ragioni di pretendere aiuto e protezioni; fino allora no, eppoi no! Pag. 62 Molti dei guai che stava passando, erano causati, secondo lui, da una mancanza di dialogo fra italiani all’estero e governo della madrepatria. Una fattività difficile per una Nazione giovane, non completamente inserita nel contesto internazionale, e verso la quale, gli Italiani all’estero non sentirono il “trasporto” patriottico che in Fondacaro fu massimo, perché formatosi all’unisono con la formazione dell’Italia, sui viali di Bagnara prima martire e poi festosamente abbracciata a Garibaldi. Non vi fu cenno nelle considerazioni, all’ostilità governativa determinata dall’appartenenza di Fondacaro all’ala politica radicale del Paese, della quale Garibaldi fu simbolo. Inaccettabile un qualsiasi omaggio al Leone di Caprera! 15) Il Leone di Caprera: una fine ingloriosa. L’imbarco del battello avvenne il 26 maggio. Fondacaro assistette dal molo alla partenza e lì restò fino a quando il vapore non scomparve sulla linea dell’orizzonte. Il trasporto mercantile giunse a Livorno il nove giugno. Con un ennesimo prestito sulla parola di 100 lire, ottenute da un privato, Troccoli e Grassoni riuscirono a fare sbarcare il Leone di Caprera che fu ripulito con amore e addobbato a festa. Fu quindi esposto per due mesi sul campo di calcio del Livorno, oggetto di visite ammirate e ricorrenze varie, che consentirono ai due membri dell’equipaggio di recuperare con il biglietto d’ingresso fatto pagare 50 centesimi, quanto ottenuto a prestito. Un alone di silenzio circondò gli avvenimenti che avevano a oggetto il Leone di Caprera. Se ne accorse la stampa internazionale e si mostrò stupita per quei silenzi, per quell’indifferenza e i giornalisti soprattutto britannici, provando compassione per quell’equipaggio che viveva in povertà mancando di tutto, diedero quel che poterono e protestarono sui giornali per quello stato di cose, stimolando sottoscrizioni e aiuti. Il 14 luglio Fondacaro giunse a Livorno per assistere alla partenza del battello alla volta di Milano, su un carro ferroviario per l’affitto del quale, si utilizzarono gli aiuti della Società Canottieri di Palermo (167 lire) e delle maestranze delle Ferrovie Meridionali di Ancona (53,10 lire). Dopo due mesi di sosta a Livorno, il battello dalla città portuale ligure, prese mestamente la via di Milano, per divenire un cimelio della marineria da esporre al Museo della Scienza. Il Battello fu esposto sul laghetto della Villa Reale di Monza, nell’ambito della manifestazione fieristica di Milano del 1881. Dopo tanto clamore scatenato sulla stampa internazionale e adesso anche su quella nazionale, la notorietà di Fondacaro riemerse in quei frangenti dal Pag. 63 limbo e fra manifestazioni, conferenze, dibattiti e interviste, i tre naviganti riuscirono a mantenersi un poco più decorosamente che prima. Il biglietto per visitare il battello costò 25 centesimi e i tre membri dell’equipaggio ricevettero una diaria di dieci lire per la loro presenza accanto al battello. Durante uno dei dibattiti organizzati a margine dell’esposizione, Fondacaro ebbe uno scambio di idee con Cesare Cantù, all’epoca famosissimo storico, e ne rimase folgorato. Già storico affermato all’epoca dell’incontro con Fondacaro, Cantù ebbe una giovinezza da simpatizzante patriota. Arrestato nel 1833 per presunta appartenenza alla giovane Italia, restò in carcere per quasi un anno, e durante la detenzione, scrisse Margherita Pusterla82 La monumentale Storia Universale uscì in diverse parti fra il 1838 e il 1846 (la prima presso G. Pomba ed., Torino 1838). Deputato al Parlamento dopo l’Unità, continuò a scrivere di letteratura e dedicarsi alla ricerca storica senza interruzione. Nel 1873 fu nominato Direttore dell’Archivio si Stato di Milano e Presidente della Società Storica Lombarda, editrice dell’Archivio Storico Lombardo dal 1873. Attaccatissimo alla Religione Cattolica, dedicò gli ultimi anni della propria vita alla diffusione fra il popolo di un cattolicesimo aderente alle Scritture e alla conduzione dei Comuni secondo i principi della sana e vera democrazia sociale. Si spense a Milano nel marzo 1895.83 Si trattò di un’amicizia fruttuosa per il Capitano, che riuscì a piazzare la seconda edizione del suo Diario (1884) nella stessa Tipografia della quale si servì Cantù e anche per lo stesso Cantù, che còlse l’intuito di Fondacaro sulle origini delle acque calde della Corrente del Golfo. Un dibattito scientifico che appassionò i geologi dell’epoca e verso il quale Cantù si mostrò interessato. CESARE CANTÚ, Margherita Pusterla, Amalia Bettoni ed., Milano 1870. Fra le sue opere: Rimembranze di un viaggio in Oriente, Pirrotta ed., Milano 1835; Storia della Caduta dell’Impero Romano e della decadenza della Civiltà, tip. Elvetica, Capolago 1836; L’Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, G. Gnocchi ed., Milano 1854; Ezzelino da Romano. Storia di un Ghibellino esumata da Cesare Cantù, tip. Ferrero, Torino 1852; Parini e il suo secolo, tip. Manini, Milano 1842; Storia di cento anni (1750-1850), Le Monnier ed., Firenze1851; Vincenzo Monti, UTET, Torino 1861; Beccaria e il diritto penale, Barbera ed., Firenze 1862; Storia della Letteratura Greca, Le Monnier ed., Firenze 1863; Storia della Letteratura Italiana, Le Monnier ed., Firenze 1865; Gli Eretici d’Italia. Discorso storico, UTET, Torino 1865; I Lombardi, IL Barbarossa e la Battaglia di Legnano, G. Brigola ed., Milano 1876; Manuale di storia italiana, Hoepli ed., Milano 1879; Nuove esigenze di una storia universale, tip. Pagnoni, Milano 1882; Niccolò Machiavelli, E. Sonzogno ed., Milano 1885; Lavoro e Socialismo, tip. Perino, Roma 1885. Si veda pure: MAURO MACCHI, Almanacco istorico d’Italia, anno terzo, Natale Battezzati ed., Milano 1869. 82 83 Pag. 64 L’origine delle correnti calde stava, per Fondacaro, in un grande vulcano sottomarino posizionato al largo della Florida. Si poté verificare nel 1891 che l’ipotesi aveva fondamento e la circostanza rallegrò Fondacaro, sentimento che divenne felicità quando Cantù lo informò che la particolarità sarebbe stata approfondita dagli scienziati e gli augurava ogni bene. In realtà studi successivi hanno dimostrato che la Corrente del Golfo si forma nel Golfo del Messico ove l’acqua si surriscalda per effetto del calore solare e quindi si sposta verso Nord lambendo le coste atlantiche dell’Europa. Sono 74 milioni di metri cubi d’acqua al secondo alla velocità di 1 m/s. La “deviazione” verso Nord di queste acque calde, è dovuta alla rotazione terrestre. Fondacaro probabilmente si riferiva a uno dei tanti vulcani sottomarini presenti sui fondali del bacino atlantico e la sua ipotesi fu in un primo momento confermata dalla scoperta della Dorsale Atlantica che proprio per la sua dislocazione, si pensava origine del fenomeno. La Dorsale è in sostanza una lunga catena vulcanica sottomarina (con vulcani in attività) che inizia a sud del Polo Nord e attraversa il fondale atlantico, ma la sua influenza sulla formazione della Corrente del Golfo non è stata confermata. Molti gli attestati di stima di personalità, a traino della Regina e gli onori che ne susseguirono. Umberto I visitò il battello, si entusiasmò, forse apparentemente, proclamò che sarebbe stato il primo firmatario di una sottoscrizione nazionale da lui promossa; Fondacaro si emozionò, vide il futuro sotto migliori auspici, incoraggiò i suoi marinai ad andare avanti, insomma: credette. Costaterà successivamente con amarezza che nelle tasche dei tre giunse assolutamente niente. 16) Ritorno a Bagnara Alla fine della manifestazione fieristica di Milano, il capitano ebbe i denari per potersi pagare un viaggio fino a Caprera e qui rendere omaggio a Garibaldi. Decise poi di tornare nella sua Bagnara per un abbraccio ai suoi genitori. Da Messina a Villa San Giovanni fu riconosciuto e salutato con entusiasmo. A Villa San Giovanni, in quel 1881, per raggiungere Bagnara bisognava prendere la carrozza e affrontare un viaggio di tre ore a causa dei tanti guadi da superare. La Città lo accolse festante: banda musicale, vecchi amici col vestito della festa, fiori, applausi rivolti da due ali di Bagnaroti felici e soprattutto il commosso incontro sulla piazza col vecchio padre e la madre adorata. Presente anche una delegazione del Municipio che si espresse nel suo massimo: una calorosa stretta di mano e tanti compimenti di circostanza. L’avventura era finita, e fu tempo di tornare a cercarsi un’occupazione, un imbarco. Pensò in quei momenti, conversando coi genitori, che era giunta anche l’ora di formare una famiglia e pensare al futuro in maniera più Pag. 65 consistente. Le condizioni nelle quali trovò i genitori e le sorelle, non furono delle migliori. Bagnara fu all’epoca una Cittadina commerciale con intense attività lavorative e tutti lavoravano, ma per molti i guadagni furono appena sufficienti al soddisfacimento dei bisogni elementari. La carne a tavola fu un fatto ignoto, addirittura inconcepibile, se non a Natale e Pasqua, ignoto il caffè, la pasta di semola e il pane di grano. Il desco era povero, così come la vita familiare. Le candele furono un lusso, per cui s’andava a letto al tramonto e ci si svegliava poco prima del primo chiarore dell’alba. Fortunati quei contadini che possedettero qualche animale domestico. Tratto da: GUALTIERO SANTINI, La traversata ..., cit., pag. 176 I più per aiutare ad arare dissodare, affittavano i buoi l’asino, spesso restituendo favore in natura, cioè aiutando e o il a loro volta a dissodare ed arare. In tali condizioni, per un padre maritare tre figlie femmine non fu facile. Tre corredi poterono essere impresa impossibile da portare a termine! Vincenzo Fondacaro a Bagnara, ma anche successivamente per corrispondenza, fu pregato dal padre affinché contribuisse ad aiutare la famiglia, e il Capitano dovette sempre rispondere negativamente, perché anch’egli fu in continue ristrettezze economiche. Un’ultima volta sollecitò il padre a valutare quanto “moralmente” fosse ricca la famiglia! Ricca di gloria per le imprese compiute da un suo esponente, ricca di gratitudine ricevuta dai veri patrioti. E di questa “ricchezza” il padre sarebbe dovuto andare fiero. A leggere queste lettere, prende un morso al cuore e fa considerare cosa sia significato vivere il periodo post-unitario nel nostro Mezzogiorno. Pag. 66 Tratto da LEONE PICCOLO, Un naufrago dell'ardimento., cit. pag. 27. Si intenda: Villa Reale di Monza. Pag. 67 Pag. 68 Pag. 69 Pag. 70 Pag. 71 17) Vivere di memorie, col Battello svenduto e perduto. Nel 1882 Fondacaro s‘imbarcò alla volta di Rio de Janeiro per conferire coll’Imperatore del Brasile, Dom Pedro II° de Alcantara il Magnanimo,84 che nel 1843 aveva sposato Maria Cristina, Principessa della Real Casa di Borbone di Napoli e Sicilia. L’Imperatore era noto per la sensibilità verso le manifestazioni artistiche e le altre espressioni del genio umano. Con questi sentimenti accolse il Bagnaroto. Volle sapere dell’impresa e le risonanze che aveva suscitato fra la gente. Dom Pedro II°, Imperatore del Brasile E’ lo stesso Fondacaro che ce ne 85 fornisce il resoconto: L’Imperatore mi domandò se il mio re mi aveva dato delle onorificenze per questa impresa. Io risposi di no, trattenendo tra i denti il pensiero riguardo a ciò, perché l’avrei offeso col mio strambo giudizio. Mi domandò allora se il mio governo mi aveva ricompensato. Io risposi ancora negativamente, aggiungendo che la mia non era una impresa governativa per pretendere delle ricompense, ma bensì una questione di buon senso, e quando egli volle saperne di più, dissi che ad uno dei miei marinai si dovette fare una colletta tra amici onde potesse partire da Milano. Questa è tutta la ricompensa avuta. Nel 1882 il Capitano fu a Nuova York come testimone dell’impresa e della “gloria” della marina italiana. Qui si ammalò e sorse la necessità di dovere pagare le cure necessarie alla sua salute. Non aveva denaro e ancora una volta chiese soccorso al Consolato d’Italia nella Città nord americana. Il Console informò il Governo chiedendo le autorizzazioni. Le risposte furono questa volta positive e il console fu autorizzato a informare il Capitano che gli sarebbero state deliberate 500 lire di contributo. Con questo “avallo” ottenne le anticipazioni necessarie a coprire le spese di cura, da saldarsi all’atto della effettiva erogazione del contributo. 84 https://www.britannica.com/biography/Pedro-II VINCENZO FONDACARO, Il Disarmo. Novella fantastica, stabilim. Colombo & Morando, Genova 1886, pag. 182. Fondacaro si riferisce alla colletta a favore di Troccoli, onde consentirgli di pagare il viaggio per raggiungere la sua Marina di Camerota 85 Pag. 72 Il contributo giunse a Fondacaro dopo quattro mesi, mentre si trovava a Gibilterra in cerca di una nave ove impiegarsi. Ricevette 229 lire delle 500 originarie, essendo il resto stato trattenuto per coprire le “spese burocratiche”. Sprezzante Fondacaro: c’erano a Roma i taglieggiatori, coloro che ne approfittavano per intascare denaro in modo illecito e a danno della povera gente. Non era tanto il denaro sottratto, quanto il “decoro” tradito da parte di esponenti della Pubblica Amministrazione. Il più vile del Popolo non lo farebbe di certo.86 Ormai il Capitano si sentì «distante» dall’Italia, differente da come egli l’immaginò nelle fantasticherie latino-americane e oceaniche, in realtà un mondo cinico e spietato, un potere politico e finanziario detenuto da squali affamati e sanguinari, distanti in modo siderale dai bisogni della gente e soprattutto, da una moralità degna del «grande Nome Italia». Il Cesar Cantù in cantiere e il suo equipaggio: Pasquale Carrisi, Vincenzo Fondacaro, Vincenzo Sciplini, Vincenzo Galasso (ROMARIN, L’allegro Capitano …, cit. , pag. 37; LEONE PICCOLO, Un naufrago dell’ardimento, Vincenzo Fondacaro, tip. La Rocca, Reggio C. 1957, pag. 152) L’eredità di don Liborio Romano, Prefetto di Polizia di Garibaldi dittatore e quindi servitore del Re Sabaudo, nonché capo-camorra di immensa potenza, durante la fine degli Anni Ottanta si concretizzò in una occupazione del potere da parte del ceto borghese, per propria natura ceto dominante quale erede del precedente potere feudale. Nel Mezzogiorno lo Stato Unitario mise a disposizione del Ceto Borghese una forza coercitiva e repressiva “adeguata a contenere e sconfiggere le tensioni sociali”, ruolo giocato nell’ambito del blocco storico nazionale, attivato con lo scopo di esercitare un diffuso controllo sociale sugli strati emarginati. All’interno di questo sistema post-unitario, operò il tipico funzionario dello Stato e della Giustizia, spregiudicato, inesorabile con i non allineati, accondiscendente sino alla complicità coi i consenzienti e i potenti. La Borghesia dominante ha mandato alla malora la sua maschera bugiarda nel 1860; oggi finalmente si è rivelata per quello che è stata sempre; reazionaria nell’anima corrotta, plebea, desiderosa di dominio assoluto nel proprio interesse esclusivo. La borghesia meridionale, nel 1860, fu contro il Borbone non per altro se non per affermare la egemonia di classe.87 VINCENZO FONDACARO, Il disarmo …, cit., pag. 28. GIUSTINO FORTUNATO, Il Mezzogiorno e lo stato italiano citato in G. SCILANGA, Mezzogiorno e stato in Pasquale Villari, Pellegrini ed., Cosenza 1981, pg. 201; si vedano 86 87 Pag. 73 Nel 1885 Fondacaro, a Marsiglia, trovò un incarico prestigioso: il comando di un grande mercantile inglese impiegato sulle rotte atlantiche. Fu quello il momento propizio per “chiedere” al Governo Italiano quanto da lui sognato per anni e anni. Dopo tanti sacrifici, le grandi gesta compiute a favore del nome e del prestigio italiano nel mondo, le belle manifestazioni di affetto ricevute perfino dalla Famiglia Reale sardo-piemontese, il Governo Italiano gli avrebbe concesso la Patente Nautica della Marina Mercantile Italiana! La gratificazione per la visibilità conseguita, unita all’incarico prestigioso appena ottenuto, lo convinsero che l’istanza così corredata, presentata al Governo Italiano, avrebbe superato le barriere dell’incomprensione e dell’ostilità politica. Ricevette una risposta negativa, il “Nemico” colpì duro adoperando un’arma non presente fino a quel momento nelle considerazioni di Fondacaro: la Burocrazia. I cittadini già titolari di una Patente straniera, non potevano ottenere quella italiana, e ciò in base alla normativa di legge. Un freddo comunicato, classico dell’operato di qualche servile funzionario burocratico. L’ira di Fondacaro fu incontenibile. Un’ira che recuperò i sentimenti risorgimentali del ragazzino che nel 1860 si vide sfilare davanti Garibaldi, sul corso di Bagnara, sopra una bella carrozza sulla quale sedevano anche i suoi Eroi Bagnaroti, mentre garrivano al vento centinaia di Tricolori e Donna Carmela Romano offriva al Generale fiori d’Estate. Dopo essersi reso protagonista di gesta eclatanti per la gloria della Marina Italiana, Fondacaro fu liquidato da qualche oscuro funzionario ministeriale con una mera comunicazione burocratica. E il suo commento fu a tal punto lapidario:88 … la sorpresa che causò la risposta datami da quel dipartimento di “conceited” sorpassò ogni dire. Pensando all’ignoranza e all’orgoglio che invade la burocrazia, ho definito che l’Italia sarà potente e grande nazione sempre quando sia in pace, giacché al primo trambusto la burocrazia italiana anche le considerazioni di GUIDO DORSO, La Rivoluzione Meridionale, Einaudi ed., Torino 1950, passim); cfr. per tutto: SAVERIO DI BELLA, Prefazione a: ANTONIO DE LEO, don Liborio Romano, un meridionale scomodo, Rubbettino ed., Soveria M. 1981, pagg. 7-37. Tesse le lodi di don Liborio durante la sua amministrazione a Napoli, VINCENZO ALBARELLA D’AFFLITTO, Gli ultimi Borboni al cospetto dell’attuale libertà d’Italia. Risposta alle Lettere Napolitane pubblicate da Pietro C. Ulloa, tip. Nazionale di V. de Ninno, Bari 1865, da pag. 76. 88 VINCENZO FONDACARO, Il Disarmo …, cit., pag. 183-184; ROMARIN, L’allegro capitano …, cit.-, pag. 137. Pag. 74 darà uno spettacolo che varrà a chiarirla degna emulatrice della popolazione della famosa torre di Babilonia. Tutti vogliono comandare nessuno crede essere inferiore per obbedire. Se l’ignoranza dichiarata pesa solo cento grammi, quella celata dalla posizione sociale o da un nome rumoroso di vanità, pesa cento tonnellate. Mi si risponde di consultare l’art. 182 del regolamento … che è il seguente: “non possono invocare l’applicazione dell’art. 63, del codice della marina mercantile i cittadini italiani forniti di patente di governi esteri”. Vale a dire che bisogna farmi cittadino straniero e poi nuovamente italiano per invocare l’art. 63. … Il lettore non ignora che sotto la monarchia, tutti gli articoli di legge devono avere la parola “sudditi” e non tale forma incostituzionale (“cittadini”); perché oltre a essere una scortesia pel monarca, procurata da un guardasigilli, il sottoporre alla firma sovrana articoli redatti in forma repubblicana, questi possono anche essere annullati dinnanzi a un tribunale, poiché sotto la monarchia, di fronte alla maestà della giustizia non vi sono che sudditi … Se ne andò per mare: il suo amore per l’Italia era ormai dissacrato, il patriottismo sepolto in fondo al cuore, fra i ricordi più belli e andati via per più ritornare. Si mise a navigare dedicandosi all’attività, fino a quando non ricevette da Milano una informativa preoccupante. Il degrado strutturale del Leone di Caprera aveva raggiunto livelli preoccupanti e se non si fosse intervenuti per un restauro almeno conservativo, il Battello avrebbe rischiato di sfasciarsi. Durante una sosta del mercantile in Italia nel 1886, Fondacaro ne approfittò per recarsi a Milano. Il Museo dov’era ricoverato il Leone di Caprera, aveva dichiarato di non riuscire a sostenere le spese per la manutenzione del battello e dunque era necessario che il Governo intervenisse. Su suo sollecito, il Responsabile del Museo si mise in contatto col Prefetto e, tramite il funzionario, il Governo si dichiarò disposto a intervenire, ma solo se il battello fosse passato di sua proprietà. Fondacaro tentò di recuperare i denari occorrenti per sostenere le spese di manutenzione, ma (ancora una volta!) nessuno volle prestargli aiuti finanziari: la controparte era il Governo e dunque, meglio stare distanti. Alla fine Fondacaro masticò di nuovo amaro e, con odio profondo, cedette il battello allo Stato. Sull’originario valore di costruzione di 20.000 lire, lo Stato valutò il valore di cessione a 3.500 lire somma molto inferiore da quella che si potrebbe ricavare dal rame e dal bronzo in esso contenuto, vendendolo per robba vecchia. Pag. 75 Quello del Governo Italiano fu per Fondacaro un comportamento in linea con la filosofia che stette alla base delle sue azioni: la miseria che tanto lo distingue verso il suo popolo, onde ammassare tesori pei suoi complici, i banchieri. 18) Il disarmo. Al termine della controversa questione sul mantenimento del battello a Milano, Fondacaro s’imbarcò a Genova per Messina e passato lo Stretto, a Villa S. Giovanni prese la carrozza per Bagnara. I paesani furono informati dalla famiglia dell’arrivo del loro concittadino tanto acclamato e lo accolsero ancora una volta DISRAELI (arch. The Guardian) con grandi festeggiamenti. Fu l’ultima volta che vide i genitori e il paese natio. Diede alla famiglia un contributo finanziario per il mantenimento dignitoso dei suoi cari e con un’altra parte del denaro, decise di stampare una novella “fantastica” scritta intorno al 1877, ispirandosi alla vita e alle opere, ma soprattutto alla personalità politica di Lord Benjamin Disraeli, Conte di Beaconsfield89 e resa in omaggio alle donne israelite, dedica forse aggiunta nel 1881, in ricordo delle accoglienze ricevute nel gennaio di quell’anno a Gibilterra dal Circolo Israelita. Ma non fu solo questa l’addenda inserita nel romanzo. Alla fine della narrazione, Fondacaro aggiunse una “ Appendice” di venti pagine, nelle quali si può leggere un resoconto sulle avventure e i rapporti col Governo Italiano. E non è più il Fondacaro dei primi entusiasmi a Montevideo. Si può asserire che le considerazioni, i commenti e le valutazioni contenute nel Diario, fanno capo alle note de Il Disarmo, aggiunte nel Diario ex post, prima della pubblicazione. Erano trascorsi gli anni e dal 1871 al 1886 furono anni durante i quali il Capitano ebbe modo di mettere a fuoco la realtà sociale e politica italiana interpretata attraverso il suo modo di concepire i rapporti interpersonali, le dinamiche commerciali, il concetto di libertà, la posizione di singolo componente di una comunità rispetto alla comunità stessa, locale, provinciale, nazionale, internazionale. E poi il ruolo e i compiti di un buon 89 http://www.treccani.it/enciclopedia/disraeli-benjamin-conte-di-beaconsfield/ Pag. 76 governo, attento alle iniziative che creino valore economico e spiritualemorale. Il tutto per definire quanto grande sia stata la delusione di Vincenzo Fondacaro, puro spirito mazziniano-garibaldino, nei confronti dell’Italia: il Governo, la Classe Dirigente, la Burocrazia dominante. Non ritengo opportuno stralciare qualche passo da questa Appendice al Il Disarmo. Conviene offrirla al Lettore integralmente, e sono certo che sarà una lettura più che interessante e illuminante su quale fosse, alla fine degli Anni Ottanta, il pensiero di Fondacaro. IL DISARMO – APPENDICE DEL’AUTORE (la fedele trasposizione del testo su file-documento, è stata eseguita da Antonino P. Calabrò, possessore del volumetto, irreperibile sul mercato antiquario italiano) Niun popolo acquista il nome di grande nazione per il suo numero, ma bensì per gli atti magnanimi, per la moralità e per la coltura de’ suoi figli. La inetta burocrazia italiana, cerca nascondere la sua meschinità stando all’ombra degli allori colti dai grandi dei tempi passati, cosa assurdissima, giacché per salvaguardare il decoro d’una nazione, bisogna tener costantemente alto e incontaminato lo stendardo izzato da’ suoi eroi.; diversamente si cade nel fango, come un figlio che sciupi le ricchezze lasciategli dal padre. In Italia si deplora assai la mancanza d’orgoglio patriottico ed il soverchio disprezzo per quanto vi è di buono o di sano nella nazione. Chi volesse averne una prova non avrebbe che a sedersi in un negozio per un paio d’ore, e vedrebbe che quanto asseriamo, lo attesta il fatto che generalmente si considera 1’opera dello straniero superiore alla nazionale. E proporzionalmente questa biasimevole ed erronea idea, si estende in ogni ramo d’ industria, ed in ogni dipartimento governativo. — 172 — Pag. 77 La lettera di Vincenzo Fondacaro al padre del settembre 1890 In questa lettera Fondacaro conferma al padre l’impossibilità di potergli mandare un richiesto aiuto economico, perché “il commercio è fermo trà rivoluzione e crack di banche” e prega la famiglia di avere pazienza perché “finché non raggiungo lo scopo fissatomi no contante tanto in me e fate economia”. (v. nota 135) Quando mi trovavo colla mia barchetta Leone di Caprera all’ Esposizione di Milano, molte persone, ignare della mia nazionalità, tributavano elogi a josa al valore ed all’ingegno americano; però, quando si faceva loro osservare che disgraziatamente io non ero tale ma bensì italiano, allora la musica cambiava tono tutto ad un tratto, e mostravano subito il dubbio del viaggio, dichiarando apertamente che era una mistificazione per fare del danaro, non potendo credere che ad italiani fosse bastato l’animo d’attraversare 1’oceano in quella barca. Molti capitani marittimi italiani, non potendo blagare sul dubbio del viaggio — perché ebbi la fortuna d’incontrare tra i tanti bastimenti anche un genovese, vicino all’equatore, il quale poteva rispondere della verità per disprezzo dei loro connazionali, addussero senza fondamento la capacità superiore degli stranieri, mentre questi avean dichiarato che il campione in materia marinaresca era in Italia. Credendo di mostrare sapienza un capitano e deputato genovese mi disse un giorno che molti anni prima un battello aveva fatto il viaggio da Gibilterra alle Antille carico di meloni; forse lo aveva appreso nella storia della sua crassa ignoranza. A Milano sotto l’ombra degli alberi e dinnanzi ad una magnifica tavola da pranzo al Caffè Cova, vari ufficiali della real marina si dilettavano, tra un bicchiere o l’altro, a disprezzare il viaggio di quell’audace navicella che modestamente Pag. 78 giaceva nel laghetto della villa reale, e andiedero tanto oltre col loro cinismo da risvegliare 1’orgoglio patriottico del principe di Piedemonte che pranzava vicino ad éssi. Questi non poté trattenersi dal far osservare a que’ signori che erano anch’essi italiani, e che se null’altro vi era di buono in quel viaggio, eravi almeno un modello di barchetta insommergibile inventato da un italiano, —~ 173 — fatto ridondante ad onore del patrio ingegno, trattenendosi dal soggiungere che essi non avrebbero resistito neanche per due ore al bagno inevitabile durante tale viaggio. Non capisco perché tanto odio esiste in que’ signori: forse perché alcuno di essi è fra coloro che partirono da Napoli con un yacht di quaranta tonnellate per recarsi ad assistere all’apertura del canale di Suez, e 1’hanno depositato sopra i scogli di Stromboli, dopo meno di 48 ore di cammino mentre io con un battello di sole 3 tonnellate feci quel lungo tragitto? Se questi sentimenti innestati nel sangue di tutti i piccoli esseri buoni a nulla, non si cerca di sradicarli specialmente nell’esercito e nell’armata, la più poderosa corazzata che resterà a desiderarsi dall’Italia sarà la pace, perché in vista di siffatte scipitaggini, è facile arguire che un generale od un ammiraglio apprenderà con maggior gioia la disfatta del connazionale suo rivale di mestiere, che non assisterà ad un suo ritorno trionfale, il quale ridonderebbe a gloria e grandezza della nazione ed a maggior decoro per l’ uniforme italiana. Nulla valgono le grandi armate se ad esse mancano i grandi uomini: l’Italia non possiede altro al presente che tutto il materiale necessario per fabbricare, meno la calce che essa crede la più facile ad ottenersi, mentre noi crediamo dovrebbe essere stato il primo acquisto da farsi. Da parte mia non mi affligge né la umana ingiustizia, né la ciarla, perché son sicuro che la storia mi proteggerà, ben sapendo come le imprese uniche, risaltino molto di più della pluralità; con orgoglio asserisco che per l’amore del mio paese e l’ambizione di mostrarlo superiore a tutti in materia marinaresca, sacrificai ogni mio avere, lieto d’esser riuscito a mantener alta la tradizionale grandezza della marina italiana. — 114 — Ed io feci vedere ai due mondi, Che sul mare siamo a nessun secondi, Ed ai due mondi feci capire, Che spento ancor non è l’Italo ardire. Oltreciò sono contento che il viaggio abbia reso al commercio, ed all’umanità intiera, un grande servizio, il quale passerà alla posterità, essendo io quello che ho messo a fine una quistione scientifica che per secoli preoccupò gli scienziati, senza che potessero pronunziarsi definitivamente: ed è la provata indiscutibilità Pag. 79 dell’effetto dell’olio sul mare in burrasca. L’Inghilterra fin dal 1882 iniziò dei lavori a Peter Head ed altrove, dopo aver fatto degli esperimenti da me descritti nel libro riguardante il mio viaggio. Furono messi tubi di ferro sotto marini nei porti dove il mare era troppo agitato durante la tempesta, e nei quali riusciva pericolosa l’entrata; essi s’avanzano circa un chilometro fuori del porto ed in tempo di tempesta s’introduce l’olio nei tubi che spinto a pressione d’aria, esce dalla parte opposta, e viene subito a galla spandendosi per lunga distanza. Centinaia di vite e valori incalcolabili furono già risparmiate alla distruzione da quell’epoca ad oggi. É un trionfo per la scienza l’aver trovato un mezzo per domare 1’infido elemento, ed ecco quanto scrive in proposito O Globo de Rio de Janeiro (Brasile) del mese di giugno 1882. — 175 — VJAGEM DE EXPERIENCJA O azeite para acalmar as ondas O BATEL DO CAPITÀO FONDACARO. Le pagine da 176 a 178, contengono il testo dell’articolo in portoghese. Subito dopo Fondacaro ne fornisce la traduzione, e da questo punto riprendiamo la presentazione dell’articolo: Per quei nostri lettori che ignorano la lingua portoghese riproduciamo qui la testuale traduzione dell’articolo del Globo: Per quanto riferiscono i giornali inglesi dell’esperimento fatto in Inghilterra, con il fine dì provare la proprietà che ha l’olio di calmare l’onde ha dato un risultato soddisfacente. Un piccolo sacco forato e contenente un litro d’olio, legato nella prora della imbarcazione che fece 1’esperimento nella Manica. quando il mare era abbastanza agitato basta per calmare le onde intorno a qualsiasi nave; per mezzo di questo liquido l’onda si rompe molto prima di arrivare alla nave e lascia attorno ad essa uno spazio relativamente calmo. A proposito, di questa notizia, noi vedemmo una simile esperienza, molo prima e certo con risultato più determinato in vista delle condizioni. Nelle quali fu eseguita, e che pare abbia dato il motivo agli inglesi di occuparsene, poiché stanno ora esperimentando tanto importante scoperta. Probabilmente i lettori ricorderanno, perché ancora non è passato molto tempo, il viaggio realizzato dal capitano Fondacaro da Montevideo al Mediterraneo in una piccola imbarcazione equipaggiata da tre persone. Uno dei mezzi impiegati dal coraggioso marinaio per salvare dai sommergersi la fragile barchetta durante la sua traversata dell’Oceano, ed evitare che fosse inghiottita delle onde, fu giustamente l’applicazione dell’olio alla cui virtù si deve forse in gran parte il buon risultato dell’impresa temeraria realizzata. Il processo impiegato dal capitano Fondacaro diversifica poco da quello ora usato nell’esperimento fatto in Inghilterra. Pag. 80 Due specie di fiaschi fatti di juta (tela olona) e pieni d’olio si collocavano in mare con una cordicella quando la tempesta infuriava attorno al Leone di Caprera, e bastavano per domare la furia delle onde. Il processo di forare la juta non venne eseguito dal Fondacaro, prima per economia, seconda perché la pressione dell’aria che si introduce nel sacco era bastante acché la tela lasciasse filtrare l’olio dai suoi fori in proporzione sufficiente per produrre 1’effetto desiderato. In questo modo il capitano Fondacaro ottenne di domare la furia dell’oceano nei giorni che la bufera era più potente. Quanto all’efficacia dell’esperimento il risultato del viaggio del Fondacaro ne è la prova più evidente ed indiscutibile perché l’unico giorno, durante il viaggio, che il mare burrascoso stava per sommergere il piccolo battello, fu appunto quello in cui cessarono di impiegare l’olio. Il Fondacaro andò a riposarsi un poco non presentando il tempo minacce immediate, e lasciò un suo compagno. giovane di 20 anni, al governo della navicella dandogli le più minute istruzioni che ll caso richiedeva, e soprattutto di chiamarlo tra due ore. Questi stanco di vigilare si lasciò vincere dal sonno, senza prendere la cautela di collocare i sacchi dell’olio ai loro rispettivi posti. Il tempo mutò di repente e il mare tornò agitatissimo, le onde scuotevano il battello con tanta violenza, che capitano e marinai furono svegliati di soprassalto quando l’imbarcazione s’era capovolta e stava per riempirsi d’acqua. Ancora qualche istante d’inerzia e la fragile barchettina sarebbe stata vinta nella lotta e calata a fondo dell’Oceano coi suoi tre valenti condottieri. Il capitano vedendo il pericolo che minacciava la sua barca ordinò immediatamente che fossero collocati al loro posto i due sacchetti salvatori. Come per miracolo la virtù dell’olio si fece subito sentire e 1’onde cominciarono a tenersi a rispettabile distanza dall’imbarcazione, lasciando tranquillo lo spazio intorno al battello. Questo fatto è tanto importante, che ci conferisse l’idea di avere definitivamente provata l’efficacia di tanto felice scoperta. La quantità che usavano diariamente non oltrepassava i dieci litri e questo nel massimo pericolo, essendo in altri giorni il consumo nelle tempeste dai quattro ai sei litri al giorno. Il Capitano Fondacaro nella alla narrazione del viaggio diede particolari dettagli di questo esperimento ed inviò vari esemplari del suo libro all’ammiragliato inglese, sapendo bene che l’inglese è sempre pronto a fare buona accoglienza a qualsiasi invenzione che possa ridondare a vantaggio dell’umanità e del commercio, trattandosi di verificare se in pratica 1’esperimento offriva per effetto tanto meraviglioso risultato, come diceva il capitano del Leone di Caprera. Il risultato di questo esperimento ha sovrattuto il vantaggio della grande utilità che offre ai naufraghi, ed ai battelli salvavita, come a tutte le piccole imbarcazioni destinate a ricevere passeggieri pericolanti in qualsiasi sinistro marittimo nonché in altomare, le quali molte volte si sommergono travolte nei gorghi delle onde Pag. 81 furiose. Il. capitano Fondacaro fu ieri ricevuto particolarmente da S.M. l’imperatore nel palazzo di San Cristoforo. L’imperatore conversò a lungo coll’intrepido marinaio, ed ha udito la narrazione di quel viaggio pieno dì pericoli che l’equipaggio del Leone di Caprera dovette subire lottando coraggiosamente colle onde per salvare dall’abisso dell’Oceano la fragile imbarcazione. Sua Maestà dopo avere udito tutti gli episodi di questa impresa temeraria, manifestò la sua ammirazione per l’audacia dimostrata nel realizzarla e fece meritati elogi al Capitano Fondacaro che presentò quindi a S.M. l’imperatrice. Il Capitano Fondacaro rimase contentissimo dell’affabile accoglienza ricevuta dai nostri Sovrani.” Ed infatti io rimasi maravigliato e contentissimo della inaspettata accoglienza ricevuta da questo grande monarca, e ne provai tale impressione che discenderà meco nella — 179 — tomba, la quale preferisco trovarla nella pancia d’ un pescecane anziché nel campo ove saranno tumulati i miei vigliacchi nemici. Appena arrivato a Rio Janeiro, l’imperatore mandommi a cercare, e condotto a lui, mi ricevette nell’anticamera con quel fare che posseggono tutti i grandi nomini. Dopo avermi dato una stretta di mano che mai scorderò, onde togliermi dalla confusione nella quale mi trovavo, prese a dire: — Ah! temerario, non mi siete fuggito; forse avreste lasciato Rio Janeiro senza visitarmi, se non avessi pensato di mandarvi a cercare. Avvezzo alla superbia della burocrazia italiana, e scordandomi per un’istante che tale sentimento abita solo nel sangue degli esseri moralmente meschini, tali parole dell’imperatore mi fecero stralunare gli occhi, e mi domandavo se io non era qualche re in villeggiatura. — 180 — Dopo un po’ di pausa che mi servì a cercare le parole con cui rispondere, gli dissi, che certamente avrei lasciato Rio Janeiro senza aver molestato S.M., se non mi avesse mandato a chiamare, perché non mi reputavo degno di importunarla colla mia rustica presenza, e che ero lietissimo di esser stato considerato degno d’un suo pensiero. Nessun granduomo è superbo e tanto meno i re; soltanto le nullità che li attorniano sono crudeli e malvagie, e molte infamità vengono commesse da costoro senza che il sovrano ne sappia nulla. Quindi egli cambiò la mia mano destra nella sua sinistra, e invitandomi a seguirlo, mi condusse per mano come un fanciullo; invero, vicino a lui ch’è un colosso alto e robusto, io sembravo proprio un bambino. Pag. 82 Dopo avere traversata una fila di camere e cameroni, ci siedemmo tutti e due sopra lo stesso sofà, intrattenendoci — 181 — a discorrere nientemeno che tre ore, e certo di vari soggetti. Confesso candidamente che quelle ore passarono per me tanto rapide, come quelle che si passano vicino ad una bella donnina sopra il sofà col ma... e col patt.., sulle labbra. Quello che S.M. non voleva credere era l’effetto dell’olio sul mare, ed io indispettito gli proposi di persuadersi uscendo dal porto in uno dei suoi eleganti yacht. Egli rispose di sì, pregandomi di avvisarlo ogni giorno ch’io credessi opportuno; ma poi sentendo che dipendeva dal Dio Nettuno lo scegliere il giorno, poiché bisognava che il mare fosse in burrasca, S.M. cambiò parere. Spero tuttavia che si sarà già persuaso a quest’ora, poiché tutto il mondo conosce quanto egli s’interessa dei trovati scientifici e d’ogni altra scoperta. Fra tante belle cose che tributò per l’avvenire d’Italia, e fra qualche osservazione riguardo agli incontentabili (ed — 182 — infatti è a deplorarsi 1’avvenire delle migliaia di ragazzi italiani d’ogni età, i quali infettano Rio Janeiro esercitando il mestiere di lustrascarpe, ed altri lavori …), mi disse — Sapete perché vi mandai a cercare da un mio aiutante? — Lo ignoro, maestà, certo non per i miei meriti. — L’ anno scorso passò di qui il vostro compatriotta Giacomo Bove, quello che si trovò a bordo della Vega. Io ho una grande ammirazione per tutti i grandi uomini di scienza e di coraggio, e desidero sentire da essi medesimi una descrizione dei loro viaggi. Tuttavia, tenendomi dentro i limiti dell’etichetta, mi diressi per via diplomatica, facendo avvisare il ministro italiano d’informare Bove del mio desiderio, e mi venisse presentato. Il fatto si è che Bove partì per Buenos Ayres senza vedermi, e ne rimasi spiacente perché non aspettavo tale atto. «Nel pomeriggio di ieri lessi nei giornali della sera che voi eravate sbarcato il mattino per cambiar vapore; io, siccome volevo vedervi, mettei ‘tutta l’etichetta da parte, ed ieri sera ordinai ad un mio aiutante di prendere una carrozza, andarvi a cercare all’albergo e portarvi qui sapendo bene che voi sareste venuto, ed ora sono contento e ve ne sono gratissimo, dispiacente però che non siate passato di qui onde farmi vedere la vostra barchetta. — Non avrei mancato, maestà, risposi io, se ne avessi avuto un avviso. Infatti se il disgraziato Leone avesse toccato Rio Janeiro, i miei marinari ne sarebbero sortiti con onore e con denaro, invece di andarsene a casa senza pantaloni come succedette loro in Italia. La miseria, signori, farà dei santi, ma non giammai delle grandi nazioni. — 183 — Pag. 83 Esaurito il nostro colloquio, egli andò ad avvisare S.M. l’imperatrice, e poi di nuovo venne a prendermi e mi condusse dinnanzi 1’augusta donna che mi accolse affabilissimamente. Essa fra tante altre belle cose, mi disse che quantunque lontana da noi col pensiero ci era sempre vicina, ed il suo cuore palpitante era divorato dall’ansia di sapere il risultato definitivo, soggiungendo che quando giunse la lieta notizia dell’esito felice essa provò un grande piacere, tanto più che come italiana anch’ella sentiva l’orgoglio di tanta costanza. L’ imperatore mi domandò se il mio re mi aveva dato delle onorificenze per questa impresa. Io risposi di no, trattenendo tra i denti il pensiero riguardo a ciò, perché 1’avrei offeso col mio strambo giudizio. Mi domandò allora se il mio governo mi aveva ricompensato. Io risposi ancora negativamente, aggiungendo che la mia non era una impresa governativa per pretendere delle ricompense, ma bensì una questione di buon senso, e quando egli volle saperne di più, dissi che ad uno dei miei marinai si dovette fare una colletta tra amici onde potesse partire da Milano. Questa è tutta la ricompensa avuta. Ora in questa appendice sono desideroso di lasciare il seguente testamento alle future generazioni, avvisandole di non inserire paragrafi nella Montevideo nel XIX secolo storia come oggi è di moda, scusando la debolezza dei tempi, perché 1’invidia esiste ed esisterà finché questa baracca che racchiude i pazzi si chiamerà mondo, e non vi sarà giammai un secolo galantuomo che la estingua. Ciò premesso eccomi. Il governo italiano ricevette la mia barca per conservarla, però non credette meritasse d’esser pagata, almeno il suo primo costo che fu di 20 mila lire, mantenendosi -184sempre nello spazio della miseria che tanto lo distingue verso il suo popolo, onde ammassare tesori pei suoi complici, i banchieri. Esso mi diede sole Lire 3.500, somma molto inferiore a quella che si potrebbe ricavare dal rame e dal bronzo in esso contenuto, vendendolo per robba vecchia. Io la cedei perché mi si minacciava di renderla all’asta per debiti contratti durante quattro anni di manutenzione sul Lago di Como, ed altre spese per il Pag. 84 mantenimento dell’equipaggio a Milano. Questa è la prima parte di ricompensa. Poscia, essendo io patentato capitano di lungo corso inglese, avendo fatto tutta la mia carriera fin da giovanetto sotto quella bandiera, e non avendo altra risorsa per vivere onestamente all’infuori del navigare, per 1’amore che mi legava alla mia patria cercai di compiere il mio dovere, contribuendo ad illustrare la sua marina col mio nome e colla mia opera, e mi rivolsi al ministero della marina per avere una patente da capitano italiano onde poter navigare in patria, dopo 24 anni di assenza. Lo feci credendo che la mia domanda fosse bene accolta dal buon senso di chi sedeva in alto, offrendomi anche di dar esame, se vi era un marino capace di esaminarmi senza arrossire, conoscendo bene che esaminava un suo superiore. Ma la sorpresa che causò la risposta datami da quel dipartimento di conceited sorpassò ogni dire. Pensando all’ignoranza ed all’orgoglio che invade la burocrazia, ho definito che 1’Italia sarà potente e grande nazione sempre quando sia in pace, giacché al primo trambusto la burocrazia italiana darà uno spettacolo che varrà a chiarirla degna emulatrice della popolazione della famosa torre di Babilonia. Tutti vogliono comandare e nessuno — 185 — crede essere inferiore per obbedire. Se l’ignoranza dichiarata pesa solo cento grammi, quella celata dalla posizione sociale o da un nome rumoroso di vanità, pesa cento tonnellate. Mi si risponde di consultare 1’articolo 182, del regolamento per l’esecuzione del testo Unico della legge per la marina mercantile, che è il seguente «Non possono invocare l’applicazione dell’articolo 63, «(sic) del codice per la marina mercantile i cittadini italiani forniti di patente di governi esteri “. Vale a dire che bisogna farmi cittadino straniero e poi nuovamente italiano per invocare l’articolo 63. Prima di fare la conoscenza di questo articolo e di altri delle leggi italiane, ero un uomo lietissimo, credendomi superiore a tutti per ignoranza, ma scoprendo dei rivali niente meno che fra i legislatori, mi afflissi assai ed ora sono deciso a dar battaglia per mostrare a tale gente ignorante che sono più asini di me. Il lettore non ignora che sotto la monarchia, tutti gli articoli di legge devono avere la parola sudditi e non tale forma incostituzionale; perché oltre di essere una scortesia pel monarca, procurata da un guardasigilli, il sottoporre alla firma sovrana articoli redatti in forma repubblicana, questi possono anche essere annullati dinnanzi ad un tribunale, poiché sotto la monarchia, di fronte alla maestà della giustizia non vi sono che sudditi, e perciò questi articoli sono illegali o possono cadere. In ogni caso i legislatori repubblicani, si guardino bene, di introdurre nei loro articoli, di legge la parola sudditi. Avete capito, miei rivali, che blaterate sempre di aver studiato tanto? Io vi dico che non avete mai imparato niente di buono oltre le vostre pretese o la vostra superbia. Pag. 85 Io non espongo qui questi fatti colla speranza d’essere -— 186 — ammesso nella marina italiana. No! questo onore di mettere il mio nome nell’ elenco dei marini italiani non lo avrete più; solo desidererei sapere quale sarebbe la marina che mi ricuserebbe di far parte di essa. Del vostro buon senso ne parleranno le future generazioni e basta. Tutti quelli che credono di essermi superiori in materia di marina e di potere esaminarmi, io li sfido di far una corsa da Genova a New-York sopra un battello di cinque metri, poiché è appunto così che si mostra l’abilità nell’Oceano, e non sopra le grosse navi, su cui qualsiasi imbecille il quale abbia la mente mezza sana può compierla. Però quale ricompensa devono coprirmi ogni lira che io deposito, colla condizione che il vincitore, vale a dire il primo arrivato, intaschi tutta la somma depositata. Fatti, signori, e non ciarle, e canto col poeta italiano: Fatti e non più parole Da voi 1’Italia vuole. Io inalbero la bandiera della marina di cui faccio parte, giacché tanto si scalmanarono di pubblicare nei giornali che io era un capitano inglese, o che feci tutta la mia carriera nell’Inghilterra. Infatti è vero, io nulla ho appreso dagli italiani in materia marinaresca, e volentieri ne faccio a meno. Cosa mai potrei imparare da essi in questo ramo mentre non hanno neanche un programma d’insegnamento adatto per istruire i giovani e farli diventare esperti marinai? Se la mia carriera l’avessi fatta sotto gl’ italiani, 1’ Oceano non 1’ avrei giammai traversato con una piccola barca. Per mostrare quanto siasi indietro nei programmi di insegnamento nautico in Italia, ecco un saggio della carriera prescritta in Inghilterra per diventare capitano. — 187 — Qualsiasi suddito inglese deve iniziare la carriera, subendo gli esami di secondo pilota pei quali è necessario che non conti un solo giorno in meno dei 17 anni d’età, e faccia constatare con documenti di aver fatti quattro anni di continuata navigazione, sia pure come apprendista, e di esser sobrio, di possedere buon carattere ed una eccellente condotta. Del resto non si chiede all’ aspirante ove abbia imparata, poiché in Inghilterra non si crede alla pagliacciata di dover ricevere 1’ istruzione esclusivamente negli istituti. In questo ramo basta sapere, non si pretende altro, e puossi anche studiare da sé stessi il programma dei corsi, come feci io, non potendo spendere. Se l’aspirante supera felicemente l’esame, gli viene concesso il diploma da secondo pilota, e non puossi imbarcare per un posto superiore a quello, neanche se suo padre avesse cento bastimenti; il secondo pilota sotto gli inglesi non è altro che un nostromo verso 1’equipaggio, ed un’aiutante del capitano nella parte tecnica al quale questi affida la sua guardia. Pag. 86 Compiuti due anni di navigazione con tale carica, e raggiunti quindi i 19 anni di età, per venire ammesso all’esame di primo pilota, è d’uopo che l’aspirante provi un’altra volta con documenti la sua buona condotta e la sua sobrietà. Guadagnandosi a questo esame il diploma, bisogna ch’ei compia ancora due anni di navigazione in qualità di primo pilota, dopo i quali viene ammesso agli esami di capitano, avendo raggiunti i 21 anni, età prescritta per firmare legalmente le polizze di carico ed i contratti privati. Non pochi giovani inglesi sono al comando di grandissime navi e piroscafi all’età di soli 21 anno, e colla mente fresca di tale età, compiono il loro dovere cento —188— volte meglio dei vecchi paurosi che si coprono colla parola prudenza, Ecco descritta la mia carriera. Il giovane italiano, invece, deve perdere il tempo nell’istituto, passando su quelle dure panche i migliori anni della vita marinaresca. spesso senza studiare, quando possiede influenze per divenire capitano ad ogni modo. Se poi è di famiglia povera non può conseguire la patente perché non ha i mezzi di far il poltrone per tre anni, giuocando cogl’altri studenti, e tanto meno perché non è considerato uomo prima dei 24 anni; questo è un saggio del poco criterio d’un governo che degrada i suoi sudditi considerandoli inferiori a quelli delle altre nazioni e tutto ciò accade perché esso non sa istruire la gioventù nella carriera, ma la stanca con lavori inutili, facendola istruire da persone che di marina non intendono un’H, e non possono aprirle la mente, nè farle abbreviare il tempo degli studi. Alla marina il giovane, alla diplomazia il vecchio. Se le grandi corazzate non saranno comandate in battaglia da giovani robusti di mente fresca e vista chiarissima varranno come tanti canestri pieni di uova posti sotto un vecchio di vista corta e di poca energia. Al generale la strategia, al marino la vista chiara e lo stomaco duro per ottenere vittoria; tutti gli altri studi sono di importanza secondaria in quest’ultimo ramo di guerra. Sua Maestà il re aveva tutte le buone intenzioni verso di me ed i miei compagni, perché ne era incitamento il sangue di prode che scorre nelle sue vene; ma per nostra sfortuna trovammo un pauroso, una nullità ingallonata in materia marinaresca, suo aiutante, oggi ammiraglio, il quale, per la sua corta vista, si spaventò tanto da sorpassare — 189 -— Pag. 87 i limiti, e disse al re quello che si può sperare da piccoli esseri invidiosi della gloria altrui, cioè che eravamo tre i quali, non avendo nulla da perdere, tentammo un suicidio, non riuscito, e che S.M. non doveva incoraggiare imprese rischiose. Non è tentato suicidio, mio marino, ma bensì capacità, per cui potrei replicare la traversata con più piccola nave, fidente nella mia abilità; mentre voi potete rendere grazia all’inventore del vapore che serve per portare a spasso la classe dei marinari di fumo. Chi sa cosa gli avrebbe risposto Vittorio Emanuele, se quelle sciocche parole fossero state dirette a lui…..Da parte nostra ci sembra che il militare non debba parlare di rischi, giacché, vestendo la divisa, cancella quella parola dal proprio dizionario. Quel guerriero che, andando in guerra lascia di sacrificare alla grandezza della sua nazione qualche cosa anche più cara della vita e dell’onore, è indegno di vestire la divisa, fosse pure per solo ornamento. Vergogne del progresso bugiardo dei nostri dì! .... Ma che vergogne! non è forse il mondo un vasto manicomio che racchiude quella turba di pazzi chiamata uman genere? Chiudo il mio doloroso testamento che, malgrado la guerra fattami, pubblico a malincuore, sebbene non abbia altro scopo che di curare gli abusi. Però, a quanto pare, tutti i medici politici, sono concordi nel dichiarare incurabile questa sporca malattia della politica. Verso la fine dell’anno 1882, mentre mi trovavo a New-York, fui colpito da malattia. Avendo il recente viaggio assorbito i miei risparmi, non mi trovavo in buone acque; quindi, dopo aver speso quel po’ che avevo, dietro suggestione di qualcuno, mi rivolsi al Console generale d’Italia colà residente. —190— Questi prima di sborsare, scrisse al Ministero degli esteri, il quale accordò di somministrarmi L. 250, che a quanto pare, per non dire altro, aumentarono a L. 271. Difatti mi furono più tardi spedite da casa, per mezzo del ministero degli esteri acciò mi giungessero più presto, L. 500 con cui far fronte alle spese di convalescenza. Dopo quattro mesi dalla fatta spedizione, mentre mi trovavo a Pag. 88 Gibilterra, furonmi recapitate sole L.229, senza indicarmene neanche 1’origine; avendo in seguito chiesto conto delle lire 500, mi si rispose dai signori della burocrazia accalappiare, che 271 franchi furono ritenuti per spese fatte a New-York. Pare incredibile, eppure è vero, mio lettore. Però io non posso e non voglio credere che un dicastero governativo osi trascendere a tanto basso mercato da alterare i bilanci ad ogni evenienza. No! Chi intascò è qualche pezzo grosso, il quale se ne servì per festeggiare delle cocotte, credendo d’aver a che fare con uno dei soliti pesci, tali considerandosi i marini dalla burocrazia. Però esso s’è inganciato nell’amo, ed io lo espongo al pubblico con questo lavoro, di modo che un ministro il quale non sia affatto privo di pudore, deve interessarsene, non già per le 300 lire, sulle quali benché povero passo sopra, ma per il decoro proprio, e per frenare simili abusi di fiducia; poiché, se la suddetta somma mi fosse stata spedita per consegnarla ad un terzo, qual diritto aveva il governo di appropriarsene una parte? Ritenendosi mio creditore, esso me ne doveva avvertire, e non abusare della fiducia riposta in esso. Il più vile del popolo non lo farebbe di certo. Onde esaurire il racconto di tutte le ricompense ricevute, si sappia che avendo chiesto non molto tempo addietro al governo, di mettersi una mano alla coscienza e — 191 — concedermi il presente valore del battello, se non il primo costo, mi si rispose con duecento lire, quasi per carità. Ora comprendo perché il popolo canadese, ogni volta che scade dalla carica il suo governatore generale, manda alla regina Vittoria una petizione pregandola d’inviargli un uomo ricco, nulla importando se egli sia un asino, perché essendo continuamente scottati da governanti poveri, non vogliono più saperne. Con tanto elemento burocratico in Italia c’è da pensare per 1’avvenire di questa nazione alla prima guerra, poiché dopo 26 anni di tanto decantata unione……per essere temuti e rispettati….. non si è fatto altro dell’Italia che un poor House. L’ultima mia parola all’indirizzo della burocrazia quando spirerò, sarà questa: MISERABILE! 19) Nasce il “Cesar Cantù” Passarono gli anni, e furono anni di intenso lavoro per il Capitano impiegato sulle rotte mercantili di mezzo mondo. Le teorie sulle acque calde della Corrente del Golfo generate da vulcani sottomarini erano state asseverate e Fondacaro ne fu felice, ed esternò questa felicità al padre in una lettera scritta da Montevideo il 19 maggio 1891, nella quale espresse una colorita idea di regatare con una “navicella di San Pietro”, tutta d’oro e a forma di nave. Pag. 89 Un’idea bizzarra che denota come nel corso del tempo, dal fallimento finale della gloriosa traversata in avanti, Fondacaro stesse mutando carattere. Alla giovialità del ragazzo “pacioccone” amico di tutti e fiducioso verso tutti, si stava sostituendo un atteggiamento di sfiducia verso ciò che sapesse di organizzazione strutturata e governata secondo regole sociali. Lo scetticismo si accomunò a sentimenti di rivalsa, una ricerca di gesti eclatanti che mostrassero al mondo quanto poco valessero i suoi denigratori privati e pubblici, di fronte alla “purezza” dell’ideale patriottico che aveva sempre «portato su un piatto d’argento» e difeso ovunque con coraggio. Un patriottismo tradito da politici Buenos Aires: Plaza de Mayo ai primi del XIX secolo mendaci e asserviti al potere assoluto incombente sull’Italia e forse anche sul mondo: le banche e il loro sistema finanziario. Un animo entro il quale dunque, albergò una tempesta di recriminazioni, impulsi di incontrollata rivalsa, avversione verso il Sistema politico italiano, emozioni ingovernate e montanti senza che ne rinvenisse il motivo natura. Da questo Fondacaro, nacque l’idea della “Navicella di San Pietro” che, tutta d’oro, avrebbe navigato l’Atlantico per giungere gloriosamente su Piazza San Pietro. Idea che non fu neanche presa in considerazione da Leone XIII. 90 Si diede a sviluppare progetti su progetti, tesi a replicare l’impresa del Leone di Caprera, malgrado (e di ciò Fondacaro non se ne rese conto) l’atto eroico così come si articolò dall’idea dell’impresa, alla costruzione del battello e alla traversata in condizioni precarie, non fosse replicabile. L’eroicità dell’impresa originaria, stava nella unicità inserita nel contesto storico entro il quale si svolse ed ebbe visibilità. Ma queste particolarità non furono colte dal Capitano, avviato a condurre in porto, comunque, un’impresa che mostrasse al mondo, il riscatto morale suo e del significato della Traversata del Leone di Caprera e di conseguenza, condannasse l’ignavia italiana, che quell’opera più spirituale che materiale, non volle difendere. In Fondacaro dunque – vale la pena rimarcarlo - non fu più l’orgoglio per la Marina Italiana che lo aveva motivato, ma il desiderio di far mutare quella 90 ROMARIN, L’allegro capitano …, cit.-, pag. 137. Pag. 90 che a suo avviso, fu la valutazione negativa che ebbe il Governo italiano nei suoi riguardi, oltre al prestigio personale da perpetuare. Alla fine prese a concentrarsi su uno degli ultimi progetti ai quali aveva lavorato durante le navigazioni, e gli diede forma definitiva. Non più l’Italia, sarebbe stata la meta-sogno da raggiungere, ma in una glorificazione dell’iniziale entusiastica accoglienza che ricevette al tempo dello sbarco a Montevideo, avrebbe compiuto un’impresa straordinaria, impossibile agli occhi dei molti che di quei mari se ne intendevano per averli accuratamente evitati: il suo battello avrebbe risalito l’America Latina atlantica, l’America Centrale e il Messico e infine, costeggiando il Nord America, sarebbe entrato nella zona dei Grandi Laghi canadesi per raggiungere Chicago, in occasione dell’esposizione internazionale che colà si sarebbe tenuta. Un viaggio interminabile, e per questo di difficile realizzazione, senza contare le minacce di un Atlantico che in molte delle aree che il battello avrebbe dovuto attraversare, erano caratterizzate da uragani spaventosi, tempeste di mare con frequenti onde anomale e clima assassino. Fondacaro non poté non considerare queste alee negative, attesa l’esperienza acquisita proprio sulle rotte atlantiche. Tuttavia approcciò il piano, forse fomentato da quella ricerca dell’occasione di riscatto più volte cennata. Stavolta aveva denaro da parte, serbato e alimentato con quote degli stipendi che ricevette per l’impiego di Capitano di grandi vapori mercantili, e così, quando raggiunse il valore stimato, si recò a Montevideo per studiare coi tecnici del suo vecchio cantiere, un piano di costruzione per un nuovo, piccolo battello, dalle caratteristiche solo simili, però, a quelle del Leone di Caprera che, come scritto, fu un capolavoro di tecnica innovativa e di dinamica nautica. Stavolta pensò a un battello spartano, essenziale, con attenzione alla velocità di crociera e pochi accorgimenti per la sicurezza attiva e passiva. e si accordò col cantiere navale di Montevideo per l’approntamento di un battello al quale avrebbe assegnato il nome di Cesar Cantù, in omaggio allo storico che gli promise di citarlo nella monumentale “Storia Universale” a proposito della questione delle acque calde della Corrente del Golfo. Perché Fondacaro “osò” così tanto da trascurare gli accorgimenti “attivi e passivi” dei quali dotare il nuovo vascello? I disegni lo mostravano come un agile natante in grado di raggiungere alte velocità di crociera, ma poco illustravano sui sistemi di sicurezza. Evidentemente Fondacaro contava sulle proprie capacità di governo dei natanti in difficoltà su un mare in tempesta e questa fiducia lo convinse a rinunce che sarebbero state compensate con un minore tempo necessario per la costruzione del battello. Pag. 91 Di esso ne discusse nel 1887 a Montevideo con Troccoli e Grassoni, ma i due gli manifestarono la loro perplessità e le difficoltà a navigare: non erano più ragazzi scanzonati. Il Capitano si rivolse al Governo uruguaiano per ottenere una sovvenzione a sostegno dell’iniziativa: la traversata a vela da Montevideo a Chicago! Alla richiesta di mille pesos, il Governo ne deliberò duecento, orgogliosamente rifiutati dal Capitano. L’impresa, secondo lui, sarebbe risultata gloriosa e non valeva 200 pesos! All’esposizione colombiana di Chicago del 1893, Fondacaro entrò in trattative col Governo Argentino e questa volta trovò il consenso e i supporti all’impresa. Il progetto di navigazione si modificò: partenza dal porto di Buenos Aires e arrivo a Chicago in navigazione a vela, risalendo le coste atlantiche delle Americhe. A consenso ottenuto, Fondacaro decise di partire subito, appena varato il battello, e senza un suo collaudo. Fu approntato a tempo di record, e certamente con una incompleta conoscenza delle rotte caraibiche e subartiche e i tempi di ottimizzazione dei tanti doppiaggi di promontori, fari e scogliere esposti a formidabili intemperie. Intanto proseguì la ricerca di un equipaggio che se la fosse sentita di affrontare l’avventura dalle mille incognite. Riuscì a individuare fra le conoscenze acquisite durante anni di navigazione, tre nominativi di giovani che, non casualmente, erano nativi di Bagnara. Raccolto l’entusiastico spirito d’avventura dei tre marinai di Bagnara, anche loro impiegati sulle rotte transatlantiche, il 30 maggio 1893 il Cesar Cantù senza il clamore della prima ora riservato al Leone di Caprera, salpò dalle banchine del porto di Buenos Aires. Pag. 92 I tre marinai bagnaroti imbarcatisi con lui furono: Pasquale Carrisi, Vincenzo Galasso e Vincenzo Sciplini. 20) Verso la fine Il Cesar Cantù imbarcò anche due giornalisti argentini; s’erano aggregati per la tratta Buenos Aires - Montevideo e costoro il 1° giugno, subito dopo l’attracco del Cesar Cantù a Montevideo, trasmisero ai loro giornali la cronaca dell’emozione provata a navigare a vela per tratti così lunghi, sperticandosi in lodi per l’intrepido Capitano e il suo equipaggio. La Naciòn e La Prensa pubblicarono i resoconti a titoli cubitali. In realtà percorsero un tratto di appena 215 chilometri circa in linea d’aria. Il Cesar Cantù, stranamente con bandiera paraguaiana sull’albero maestro salpò da Montevideo il 6 giugno 1893 per affrontare l’impresa: in tre mesi risalire l’America del Sud e attraccare nel porto di Chicago, passando per l’aerea tropicale del Mar dei Caraibi e raggiungendo senza altre soste, il Canada. Il quotidiano di Montevideo “Italia” del 3 giugno 1893, dava notizia che il Cesar Cantù, battente bandiera paraguaiana, Cabo Frio oggi era entrato quel giorno nel porto di Montevideo proveniente da Buenos Aires.91 Da qui, costeggiando Terranova, sarebbe entrato nel Golfo di San Lorenzo ed quindi navigando la foce del grande fiume, sarebbe sfociato nella regione dei Grandi Laghi: l’Ontario, l’Erie, l’Huron e infine il Lago Michigan, con attracco nel porto di Chicago. Il Capitano imbarcò viveri per un’autonomia di cinque mesi (sui tre previsti), compreso pollame vivo, fra cui un paio di galline ovaiole.92 Uscito dal porto, il battello fece dunque rotta verso Nord. GUALTIERO SANTINI, La traversata atlantica di tre italiani (1180-1881), L’Universo, gen.febr. 1968, nr. 1, pag. 181. 92 REDAZIONALE, Il capitano Fondacaro perduto, in L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie, vol. XXX, nr. 46 (12 nov. 1893), F.lli Treves ed., Milano 1893 pag.722. 91 Pag. 93 Fu avvistato il 17 giugno da un cargo inglese al largo di Capo Frio, una località di villeggiatura per membri della buona borghesia brasiliana a nord di Rio de Janeiro, circa 150 chilometri. Dovette da lì in avanti prendere rotte poco battute ma che avrebbero abbreviato i tempi di percorrenza, soprattutto da Capo San Rocco, estrema protuberanza verso l’Atlantico dell’America del Sud, nello Stato del Rio Grande del Norte. Da qui, tagliando in linea d’aria, si giunge fra le Isole Sopravento, nel Gruppo delle Piccole Antille, e la Bermuda, con il passaggio del Tropico del Cancro. Una vasta area ritenuta ancora oggi micidiale per la navigazione, a causa delle correnti vorticose e impetuosi uragani, spesso capaci di scatenare venti di inaudita violenza. Sarà affondato in quest’area il Cesar Cantù? Probabilmente si perché il proseguimento della rotta, lo avrebbe messo comunque in condizione di essere avvistato nel traffico sostenuto che crea una ragnatela di rotte lungo il Nord America. Forse una grande rischiosità avrebbe incontrata nell’approccio alla Baia di San Lorenzo, agitatissima per l’influenza dell’Isola di Terranova, ma è un’alea remota. È più probabile che il naufragio del Cesar Cantù sia avvenuto al largo di Capo San Rocco. Nel dare notizia della scomparsa, la stampa italiana rammentò un forte uragano che in quei tempi, scaricò una furia di vento e pioggia e il governo argentino asseverò l’ipotesi di un naufragio a causa di un uragano. Si parlò anche di complotto per assassinare Fondacaro, operando un assalto alla maniera dei corsari e l’esecuzione del Capitano e i tre marinai bagnaroti, ma i tempi del Leone di Caprera, l’adesione alla politica radicale guidata in Parlamento da Garibaldi, l’avversione dei grandi comandanti della Marina Militare e Commerciale italiane, erano cessati da tempo. Se proprio ipotesi fantasiose dovessimo mettere in campo per ovviare a una non accettata costatazione del naufragio, perché non pensare a un incauto approdo in qualche spiaggia selvaggia a ridosso del Rio delle Amazzoni o nel gruppo delle Guyane e relativo, fatale scontro con selvaggi locali? Ma tant’è: a quarantanove anni Vincenzo Fondacaro, insieme a tre giovani marinai di Bagnara, sua Città natale, perì nell’Oceano che, insieme alla sua Bagnara, il Generale Garibaldi e l’Onore della Marina Italiana, fu l’unica ragione della sua vita.93 Una sintesi degli ultimi anni di vita di Fondacaro e l’impresa del Cesar Cantù, è in: GIUSEPPE CALENZANO (a cura di), Dall’America all’Europa. Viaggio attraverso l’Oceano del Capitano V.F., Galzerano ed., Casalvelino Scalo 2002 (IIa ediz.). 93 Pag. 94 NOTA BIBLIOGRAFICA ESSENZIALE Nelle intenzioni dei componenti l’equipaggio del Leone di Caprera, il battello dopo la traversata, sarebbe stato donato alla Città di Napoli, magnifica realtà del Mezzogiorno d’Italia.94 La tradizione di versare olio in mare per placare le onde, divenne successivamente “esperimento scientifico” che si perseguì per un certo tempo e rese euforico Fondacaro, che lo aveva divulgato ed sostenuto (così Vincenzo Fondacaro in una lettera al Padre del 29 maggio 1891 con allegato un ritaglio de O Globo, quotidiano di Rio de Janeiro che ampiamente cita l’evento).95 94 Illustrazione Italiana, del 28 febbraio 1881, nr. 9 La lettera era posseduta dal giornalista Romarin (ROMARIN, L’allegro Capitano Vincenzo Fondacaro, Parallelo 38 ed., Reggio C. 1982, che la pubblicò in copia fotografica nel suo libro citato (ivi pag.138). Ma come cennato, non è la lettera del 29 maggio 1891 ove informa il padre del successo dei suoi esperimenti, lettera anch’essa posseduta da Romarin e che Galzerano trascrive integralmente (GIUSEPPE GALZERANO, Dall’America all’Europa, cit., pag. 35): 95 Caro Padre: sono possessore della Vostra grata e mi rallegro di sapervi che godiate buona salute, come altrettanto vi posso assicurare di me al presente, grazie addio. La presente non vi porta soldi, però se sapete apprezzare il contenuto di questo pezzo di giornale (si riferisce al ritaglio de “O Globo” sull’esperimento dell’olio) troverete in esso un gran tesoro, superiore assai a tutte le ricchezze mondane ma in Calabria quello che vale è il Dio oro e null’altro … Le parole sincere, senza poter entrare l’ipocrisia, dell’uomo non solo il più grande d’Italia, ma bensì di tutto il mondo intiero a mio riguardo, per me v’hanno un inestimabile tesoro, perché l’uomo superiore appartiene alla storia, e non è il vivere in questo mondo disgraziato per la sola pancia. Io povero calabrese di avere avuto il coraggio di ribellarmi da solo contro il più illustre scienziato del mondo in materia di marina, quale è l’illustre Marey con sicurezza di vincere questo importante tema scientifico, sarebbe grande audacia sarebbe la mia di lanciarmi in una rivoluzione nel mondo scientifico se i miei esperimenti fatti non mi dessero la sicurezza della vittoria; e il trionfo ridonderà di non poco amore del paese che mi diede i natali. Io credo che qualunque Padre dovrebbe essere soddisfatto dell’opera d’un figlio che colla assiduità del lavoro, senza ricchezze, e senza influenze, raggiunse quell’apice della gloria quale è il vostro; e quanti genitori ricchi oggi non vi invidiano? Quanti di essi non spenderebbero fino all’ultimo centesimo pur di vedere i loro figli raggiungere un poco nella storia come il vostro? Quanti di essi non cambierebbero coi vostri panni? Pur di dire, io sono il Padre di Fondacaro a cui l’umanità è debitrice dell’olio nelle tempeste, il problema risolto del Gulfstrean, ecc. Però con tutto ciò voi ancora non siete soddisfatto, disgraziatamente pur troppo lo so! e questo mi affligge non poco; però v’assicuro che tosto mi dedicherò a fare denaro per rendervi più felice abbandonando tutto il lavorare per la gloria, salvo però che il Papa non accetta un mio progetto grandioso storico, e che da esso attendo tosto una risposta, e che sarebbe di condurci a Roma una navicella di San Pietro tutta d’oro da New York l’anno venturo armata a tutta nave, e due metri più Pag. 95 Nel dicembre 1980 Achille Bonifacio pubblicò un articolo su «L’Obiettivo», periodico mensile bagnarese, gestito dal Gruppo Cristiano di Impegno Sociale. Il mensile divenne punto di riferimento per la cronaca, il dibattito politico e sociale locale, i problemi religiosi e le ricerche storiche. Purtroppo il Gruppo, ispirato e coordinato dall’Abate di Bagnara mons. Domenico Cassone, si sciolse poco dopo che il venerando Abate dovette ritirarsi per raggiunti limiti d’età. In questo articolo96 traccia una biografia del Capitano e anche lui focalizza l’attenzione sull’Appendice che correda il romando Il Disarmo che, egli fa notare, pone il problema degli ebrei come questione nazionale (la nascita di uno Stato Ebraico) e di politica internazionale ben quattordici anni prima che Theodor Herzl ne teorizzasse l’impalcatura nel suo Der Judenstaat. 97 Quanto ad altri temi, scrive Bonifacio: è palese la propensione del Fondacaro per la libertà della Polonia e dell’Ungheria, l’odio verso la Russia, la Germania e soprattutto l’Austria. L’esaltazione dell’Inghilterra è ingigantita dalle aspre critiche che egli muove all’Italia, che tuttavia ama e alla quale rimprovera tante manchevolezze … Fondacaro, ricorda Bonifacio, fu vittima di due naufragi (quattro quelli di Grassoni), ed è egli stesso a rammentarli nel suo Diario; Romarin ne fornisce interessanti dettagli:98 il 2 ottobre 1864 il più grave, un uragano investì la Tybec, piroscafo di Melbourne che affondò trascinandosi l’equipaggio, salvo piccola del Leone di Caprera, costerà circa 4 milioni di Lire e se il Papa l’accetta gli americani la fanno subito, e questa sarà la mia ultima impresa dedicandomi poi a fare figli onde tenere alto il nome e denaro, poiché tosto sarò vecchio ed v’è d’uopo di pensare ad una famiglia. Frattanto vi prego che questo pezzo di giornale l’attaccate sopra un cartoncino e ne farete un quadro appendendolo al capezzale del vostro letto poiché esso consiste un gran tesoro. Non dubito che tra tanti vostri amici ve ne sono che conosca ch’è Cesare Cantù ed il contenuto del giornale, ed esso vi dirà che voi siete il più felice e il più ricco di Bagnara poiché nel paese possessore di tante ricchezze storici siete il solo voi, ed il vostro nome entrò già nella storia universale nel 1890, la quale resterà imperituro, quindi benché siate senza soldi, potete guardare dall’alto in basso a tutti la celebrità di Mazzini, che sono stelle che tramontano prima di fare notte; accettati cento baci assieme alla mamma. Dal Vostro aff.mo Figlio Montevideo 29 maggio 1891. 96 ACHILLE BONIFACIO, Ricordo di Vincenzo Fondacaro (1844 – dopo il 1886), L’Obiettivo, anno IV (Dicembre 1980), nr. 12, pag. 8 e sgg. 97 https://it.wikipedia.org/wiki/Lo_Stato_ebraico 98 ROMARIN, L’allegro capitano Vincenzo Fondacaro, Edizioni Parallelo 38, Reggio C. 1982) Pag. 96 Fondacaro, un austriaco di 22 anni e un pilota irlandese. I superstiti, dopo immani sforzi per mantenersi a galla, spiaggiarono sulle coste australiane. Fondacaro si caricò sulle spalle il pilota contuso e percorse, nudo e affranto, oltre sedici miglia prima di incontrare un villaggio ove ricevettero i primi soccorsi (ivi, pag. 17). Il secondo naufragio al largo della Nuova Scozia nel 1878, col bastimento Sarh del capitano Wright (ROMARIN, cit., pag. 21). Ma rischiò il naufragio anche lo stesso Leone di Caprera; scrive Fondacaro: Mercoledì 10 ottobre. … il vento si cambiò e pare soffiasse con tanta violenza ché un’onda travolse il battello, e Grassoni ed io ci sentimmo venir addosso tutta la roba mobile che ci stava di sopra (i due erano sottocoperta a riposare mentre Troccoli era al timone ma per l’enorme spossatezza, s’era addormentato) io mi trovai sepolto sotto un mucchio di catene, la navicella si era capovolta e la punta dell’albero maestro era a 5 gradi sotto l’orizzonte. Fu un momento solo, ma terribile! Pietro era sott’acqua e stava per affogare, Grassoni sbucò fuori e con uno sforzo d’Ercole aprì il portello di botto, nel medesimo tempo il battello si era di nuovo drizzato, perché era costrutto in modo da non poter essere sommerso per nissun contrattempo …(il battello, per via dei contenitori di zinco riempiti d’aria e posti ai lati della stiva, era inaffondabile e in caso di capovolgimento, come in effetti avvenne, si sarebbe rimesso in linea autonomamente). Così nel Diario, edizione del 1881, cit., a pag. 75-76. Interessante anche la spiegazione che fornisce Fondacaro sulla particolarità delle bussole magnetiche di perdere il puntamento a Nord in alcuni tratti di navigazione. Accade perché in alcuni tratti sottocosta, sono presenti nel sottosuolo notevoli giacimenti di minerale di ferro e questa circostanza “scombussola” il regolatore verso nord (FONDACARO, ediz. 1881, cit., pag. 53; sulla «variazione dell’attrazione della bussola», si veda anche: GIORNALE ILLUSTRATO DEI VIAGGI, Il viaggio del Leone di Caprera, anno IV (1881) nr. 157, da pag. 4; MUSEOSCIENZA.WEB, Benvenuto Leone di Caprera, un celebre protagonista del mare fa ritorno a casa, 2 giugno 2011). Il Diario di Vincenzo Fondacaro fu edito più volte: - - A cura dell’Autore: VINCENZO FONDACARO, Viaggio del battello il Leone di Caprera capitanato da V.F., tip. Alessandro Lombardi, Milano 1881, con una citazione finale in inglese (pag. 177) e due pagine di annotazioni dovute alla traduttrice, oltre a una cartina geografica che evidenzia la rotta seguita dal battello; A cura dell’Autore: VINCENZO FONDACARO, Dall’America all’Europa - Viaggio attraverso l’Oceano del capitano V.F., Edoardo Perino ed., Roma 1884; Pag. 97 - - PICCOLO, Un naufrago dell’ardimento: Vincenzo Fondacaro, Tip. La Rocca, Reggio C. 1957. Si tratta di una introduzione sintetica, contenente un sunto della vita di Fondacaro e i fatti che precedettero il varo del battello, al Diario, riproposto per i tratti essenziali; ROMARIN, L’allegro capitano Vincenzo Fondacaro, Ediz. Parallelo 38, Reggio C. 1982. Ripropone il Diario in forma estesa e secondo l’edizione 1884, preceduta da una introduzione riassuntiva dei principali avvenimenti che condussero al varo del battello; LEONE Capo San Rocco Su Vincenzo Fondacaro scrisse anche il Preside Barilà nel 1962: ALFREDO BARILÀ, Vincenzo Fondacaro, “L’Ulisside”, Annuario Scolastico del Liceo Ginnasio di Stato «G. La Farina», Messina, tip. D’Amico, Messina 1963, con focalizzazione sulle conseguenze nel destino avventuroso di Fondacaro dopo la Battaglia di Lissa. Fondacaro ritornerà sulla traversata, il Leone di Caprera e le vicende legate alla nascita e avventura di questo battello in: VINCENZO FONDACARO, Il Disarmo. Novella fantastica, Stab. Tip. Colombo & Morando, Genova 1886, del quale è notevole l’Appendice, riprodotta integralmente in questo testo. Pag. 98 APPENDICE a.- La replica del viaggio operato da Pino Veneroso Il 3 Agosto 2003 il navigatore Pino Veneroso salpò da Pisciotta per una traversata transatlantica, raggiugendo Montevideo il 25 dicembre. Da Montevideo, su invito dei discendenti degli emigrati della Campania, accettò di condurre una spada da consegnare al Museo garibaldino di Caprera. Il viaggio di ritorno si svolse seguendo la rotta originaria del Leone di Caprera, concludendosi a La Maddalena a metà agosto 2004. Con lo Jutta sulla scia de Il Leone di Caprera è il libro di Veneroso che approfondisce ogni aspetto della navigazione: barca, preparativi, pianificazione della traversata, equipaggio, il tempo, il carteggio e l'arte della navigazione, le vele, le guardie notturne, le emergenze mediche, i luoghi. La vita di bordo, alle prese con tempeste di vento e calme piatte, l'abbordaggio di pirati, gli incontri-scontri con luci indecifrabili e pescherecci senza luci di via.99 I rimandi sulla spedizione Fondacaro, richiamano la prima edizione del Diario del navigatore e riflettono esclusivamente l’esperienza del viaggio. A Pietro Troccoli il Ministero non concesse sussidi e tuttavia il Comune di Camerota lo volle gratificare con la concessione di una medaglia d’oro, l’esonero a vita del focatico, il taglio gratuito dell’erba spartea. Marina di Camerota ha dedicata una strada e il campo sportivo al Leone di Caprera.100 Nell’ambito della manifestazione Regata delle Torri Saracene, si svolge il “Memorial Pietro Troccoli”, una regata FIV organizzata dalla LNI di Scario e che adotta come rotta Torre delle Viole – Torre dello Zanclale, sullo specchio d’acqua antistante Marina di Camerota.101 Si vedano le recensioni di Francesco Cuomo e Francesco D’Episcopo, disponibili su Web, così come un’anteprima del testo di Veneroso (stampato in proprio). 100 CIOCIOANO GIOVANNI, Storie Camerotane, Edizioni dell’Ippogrifo, Sarno 1985, pag. 146 (cfr. anche la recensione di Antonio Caiazza, in Rassegna Storica Salernitana, a. III (1986) nr. 1). 101 Sito web: regatatorrisaracene/newsletter.it 99 Pag. 99 b.- Il destino del «Leone di Caprera» Il Leone di Caprera, dopo essere stato esposto a Livorno, fu condotto a Milano, dove galleggiò sul laghetto di Monza in occasione dell’Esposizione Industriale di Milano. Bisognoso di urgente manutenzione conservativa, dovette poi essere ceduto nel 1886 da Fondacaro allo Stato e fu preso in consegna dall’ammiraglio Brin. Da qui fu imbarcato per raggiungere l’Arsenale di Venezia. Ultimati i lavori di ripristino, viaggiò nuovamente alla volta di Milano e portato al Castello Sforzesco. Nel 1932 fu incorporato nei beni della collezione del Museo Navale Didattico di Milano. Nel 1953 insieme alla collezione del Civico Museo Navale Didattico, fu trasferito al Museo della Scienza e della Tecnica, e parcheggiato in un angolo del giardino. Vi rimase fino al 1995, quando fu spostato nella Grotta di Lentiscelle a Marina di Camerota, custodito da un pronipote di Pietro Troccoli. Tornò a Milano nel marzo 2007, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Garibaldi, e a causa delle gravi lesioni determinate dalla cattiva conservazione, fu messo a restauro conservativo sotto la supervisione di Stefano Faggioni nei cantieri navali Old Fashioned Boats di Francesco Crabuzza. Il restauro beneficiò dell’alto Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.102 Il 9 giugno 2009, presenti le rappresentanze di Marina di Camerota e Ancona (mancava quella di Bagnara …), il Leone di Caprera fu rimesso in mare a Livorno, nel corso di una bella cerimonia al Molo Mediceo. Il 22 maggio 2011 il vascello fu portato sotto la statua di Garibaldi, in via Dante a Milano per una simbolica sua consegna all’Eroe dei Due Mondi, cosa che in un’Italia poco riconoscente, non fu possibile fare al Capitano Fondacaro e ai suoi compagni di viaggio. 102 La Stampa, Il leone di Caprera, un ruggito dall’Atlantico a Milano, 8 marzo, 2011; MARINA DI CAMEROTA ONLINE, Storia della Goletta Leon di Caprera, sito web Pag. 100 In occasione dei 150 anni dell’Unità, come cennato, fu esposto nella Galleria Vittorio Emanuele dal 16 al 25 marzo 2011.103 L'equipaggio tutto di Bagnara del Cesar Cantù: (da sinistra) Pasquale Carrisi, Vincenzo Fondacaro, Vincenzo Sciplini, Vincenzo Galasso. (Studio fotografico dei F.lli Leoni – Montevideo 1893) 103 Daringtodo, Storia e storie. Il Leone di Caprera e il monumento di Garibaldi, 27.2.2011 Pag. 101 Il Cesar Cantù in allestimento nei cantieri navali di Buenos Aires (Studio fotografico dei F.lli Leoni, Montevideo 1893) Pag. 102 CALABRIA GARIBALDINA Calabria mia, a cui fu grande onore il potersi chiamar garibaldina, Calabria mia, che serbi in te l’ardore dei tempi fieri, oh alzati e cammina! Basta il posare, e col tuo mesto amore contemplar la tua gloria in vetrina … Se t’è rimasto un poco di quel cuore, che avesti un tempo, orsù torna eroina! Lèvati e lancia al vecchio mondo il grido, e dài volo alle aquile tue fiere ch’anno sopra i tuoi monti il loro nido … e fai sentir l’ardita volontà che te sospinge verso il buon sentiere, su cui passa una nuova Umanità (NICOLA GIUNTA, Calabria Garibaldina, Febea ediz., Reggio C. 1960, pag. 155) Pag. 103 In questa rara fotografia dei primi Anni Cinquanta, è visibile il monumento dedicato a Vincenzo Fondacaro a Bagnara. La vasca denominata all’epoca «il Mare Oceano» era piastrellata di azzurro. Ai bordi superiori la vasca era circondata da oblò rettangolari, ognuno dei quali ospitava una lampada che emetteva una luce di colore diverso da quella delle altre, con un effetto scenografico incredibile. Sempre lungo il bordo e leggermente fuori dal livello dell’acqua, la vasca era circondata da un piccolo tubo in alluminio forato a intervalli regolari. Da questi fori uscivano centinaia di piccoli zampilli che, disegnando una curva, versavano l’acqua nella vasca (Gli zampilli sono visibili nella foto!). La stele in marmo, portava alla sommità da un verso un timone, e dall’altro una splendida aquila stilizzata, con le punte delle ali che sfiorano l’Oceano e la scritta “Audere Semper”. Pag. 104