“L’angelo ebreo di Modena”
Nel 1927 batté il record mondiale di volo in altitudine. Fu amministratore di molte società tra cui la Rinascente.
Partecipò alla Conferenza di Pace di Versailles nella delegazione ebraica. Trasferitosi in Francia operò, durante la
Seconda Guerra Mondiale, per la sicurezza dei sui correligionari.
Angelo Mordechai Donati, nato a Modena il 3 febbraio 1885, discendeva da una importante
famiglia ebraica, le cui origini risalgono al XVI secolo. Un suo avo era un Donato Donati di Finale che
chiese l’autorizzazione a commerciare il grano saraceno nel ducato estense e, una volta stabilitasi a
Modena, la famiglia detenne una grande influenza sulla comunità, al punto che il tempio tedesco era
chiamato dei Donati, mantenuto appunto da loro. Nel Novecento i Donati erano imprenditori, cavalieri
del lavoro, banchieri, avvocati, occupavano posti di dirigenza e responsabilità nel commercio, c’erano
un Donati chirurgo e un Donati docente universitario e persino un Donati deputato socialista.
Conseguita la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Modena, Angelo Donati si iscrisse
come avvocato al Foro di Milano, ma scelse l’attività bancaria a Milano e poi quella di agente di cambio
a Torino. Nel primo conflitto mondiale, combatté come capitano di fanteria per un anno; passò
all’aviazione compiendo varie missioni e operando in Francia come capitano della Missione Militare
Italiana, con funzioni di raccordo tra l’esercito italiano e quello francese. Durante la guerra ricevette,
per meriti militari, la decorazione di Cavaliere della Legion d’Onore. A guerra finita, Donati continuò a
volare e, nel 1927, batté il record mondiale di altitudine: a bordo del suo velivolo raggiunse la quota di
11.827 metri. Non disdegnava la vita mondana, ma al contempo conosceva e seguiva i precetti
dell’ebraismo, che amava profondamente, ricercando anche la compagnia e i consigli dei rabbini.
Donati rimase colpito da Jabotinsky, teorico del sionismo attivo, che pensava che la
“rigenerazione ebraica” dovesse venir raggiunta anche con la violenza e la lotta contro arabi e
britannici che impedivano un più libero ingresso degli ebrei nella loro antica patria palestinese. Dal
1917 in poi, crollato l’impero ottomano, i britannici detennero il mandato sulla Palestina e nel 1921 vi
inviarono il primo alto commissario, l’ebreo inglese sir Herbert Samuel. In quegli anni dei gruppi
militari ebraici difendevano i coloni ebrei e i nuovi insediamenti dalle angherie degli arabi locali e
operarono anche attentati contro obiettivi inglesi. Il passaggio da dottrina romantica, propria del
sionismo originario, ad azione attiva e violenta fu imprevisto; ciò motiva il disaccordo tra le varie
fazioni militari sioniste, prive d’una base ideologica stabile. Alcuni gruppi paramilitari erano più
violenti di altri, come la Haganah fondata nel 1920 dal leader sionista-revisionista russo Vladimir
Ze’ev Jabotinsky (1880-1940), il cui pensiero è efficacemente riassunto nella sua frase: “Confrontare le
rivendicazioni arabe con quelle degli ebrei, assolutamente bisognosi di trovare una terra dove trovare
rifugio, è come mettere sullo stesso piano un leggero appetito e la fame più nera”. Quando la Haganah
non rispose più al desiderio di Jabotinsky di reagire con la violenza alle azioni di disturbo arabe, egli
ispirò la fondazione di un più temibile gruppo militare (1931), l’Etzel (oppure Irgun) responsabile di
atti clamorosi di terrorismo che insanguinarono la Palestina negli ultimi anni del mandato britannico.
La più memorabile di queste imprese terroristiche fu l’attentato compiuto nel 1946 al King David
Hotel di Gerusalemme in cui era stanziata l’amministrazione del mandato; perirono 91 persone tra
inglesi, arabi ed ebrei. Questi cruenti episodi furono dannosi: il sionismo non nacque come ideologia
propriamente rivoluzionaria e non va associato all’idea di aggressività come mezzo per ottenere un
cambiamento sociologico.
È proprio questa corrente sionista che affascinò il mite modenese Donati che, nel 1919, si
stabilì a Parigi divenendo un abile e ricchissimo amministratore di società d’ogni genere, sia in Italia
sia in Francia, tra cui la Rinascente di cui fu agente generale. Quell’anno egli fu a fianco di Hayim
Weizman in qualità di membro della delegazione ebraica alla Conferenza di pace di Versailles e
appoggiò finanziariamente l’attività dell’organizzazione sionista Qeren ha-Yesod, quando questa aveva
scarsi simpatizzanti. Tra il 1925 e il 1932 fu console generale della Repubblica di San Marino ma, non
senza polemiche e incomprensioni, diede le dimissioni. Il nipote Salvatore, anni più tardi, sostenne che
lo zio fu costretto a dimettersi perché non iscritto al partito fascista. Nel 1925 il Donati sposò con rito
civile Berta Suares, una ragazza ebrea egiziana, la quale scomparve tragicamente nel 1929. Donati
rimase segnato dalla tragedia e, in memoria della defunta, istituì una borsa di studio annuale da
destinare a un’allieva povera ma meritevole e residente a San Marino; versò infine grandi somme in
favore delle istituzioni benefiche sammarinesi. Le occasioni in cui Donati soffrì dell’antisemitismo,
ufficiale o spontaneo, lo avvicinarono ancor di più al sionismo; egli si interessò alla proposta di
Jabotinsky, il quale aveva studiato tre anni in Italia, di formare a Civitavecchia una scuola navale
gestita dal movimento sionista Betar, che avrebbe potuto gettare le basi per una marina autonoma
ebraica, se fosse stato fondato uno stato ebraico.
Su istanza dell’ambasciata italiana, Donati fu eletto presidente della Camera di Commercio
italiana di Parigi, con l’incarico di rimediare alla difficile situazione finanziaria dell’ente, ma quattro
anni dopo, fu costretto a lasciare anche questo posto perché ebreo. Paradossalmente, fu anche
insignito dell’onorificenza di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia e di quella sammarinese di
Commendatore dell’Ordine di Sant’Agata, mentre il governo francese lo nominò nel 1936
Commendatore della Legion d’Onore.
Il 10 maggio 1940 la Francia venne attaccata dall’esercito tedesco. Un mese dopo, il 10 giugno,
Mussolini dichiarò guerra ai francesi e agli inglesi, per espandere i domini fascisti con un impegno
militare limitato. Le operazioni militari iniziarono solo il 1° giugno, quando i francesi avevano chiesto
l’armistizio alla Germania, e furono fallimentari, impedendo d’avanzare troppe pretese alla firma
dell’armistizio. Il sud francese costituiva una “zona libera” dalle truppe tedesche, sotto il controllo del
governo detto “di Vichy” ed esisteva una zona demilitarizzata della profondità di 50 chilometri sotto
sorveglianza italiana. La città francese di Mentone fu occupata dagli italiani in quanto Mussolini la
considerava a tutti gli effetti italiana: vi risiedeva una grande comunità d’antica origine italiana,
rinforzata da più recenti arrivi. A Mentone il fascismo si propose di sperimentare l’espansionismo
ideologico e imperiale con lo scopo di italianizzare i territori occupati. Ma l’esistenza degli abitanti
francesi era difficile e pochi fecero rientro a Mentone, preferendo rimanere nella loro condizione di
sfollati. A novembre, dopo lo sbarco alleato in Algeria e in Marocco, anche il sud della Francia di Vichy
fu occupato dagli eserciti tedesco e italiano; quest’ultimo non annesse le zone rivendicate di Nizza e
della Corsica. Le voci su una marcia su Nizza provocarono una protesta popolare anti-italiana il giorno
della festa di Giovanna d’Arco, eroina patrona di Francia. La politica espansionista fascista e
l’irredentismo italiano intorbidarono le relazioni con i francesi ma, altra prova delle ambiguità italiane,
gli occupanti protessero gli ebrei residenti o immigrati nel dipartimento. Nel 1940 Donati lasciò Parigi
e si rifugiò a Nizza, trovando casa al 37 della Promenade des Anglais e lavoro come direttore della
Banca Franco-Italiana; subito stabilì anche contatti con gli ebrei del posto.
Dopo l’ingresso delle truppe italiane a Nizza, nel novembre 1942, Donati decise di sforzarsi in
favore degli ebrei nizzardi. Ogni mattina due membri del “Comitato Dubouchage”, Ignatz Fink e Michel
Topiol, e il rabbino Saltiel, si recavano da Donati per portargli documenti e richiedere visti, e per
discutere sui provvedimenti per la protezione degli ebrei nei dipartimenti occupati. Le autorità
tedesche protestarono per questa intesa tra ebrei e occupanti, riuscendo a convincere Mussolini a
creare il Regio Ufficio di Polizia Razziale a Nizza, affidato all’ispettore Guido Lospinoso, il quale invece
si dimostrò solidale e collaborò con Donati. Il governo di Vichy, su pressione tedesca, girò al prefetto di
Nizza, Marcel Ribière, l’ordine di deportare gli ebrei stranieri che si trovassero in Costa Azzurra.
Invece il generale Avarna di Gualtieri, del comando supremo a Vichy, invalidò ogni provvedimento
anti-ebraico perché, nella zona d’occupazione italiana, quel tipo di provvedimenti era di esclusiva
competenza delle autorità di occupazione. Quando dei facinorosi della milizia francese aggredirono gli
ebrei all’uscita del tempio, il capo della polizia italiana Barranco dispose una rete protettiva con
quattro carabinieri.
Visto il palese coinvolgimento di Donati nelle azioni a difesa degli ebrei, la polizia tedesca
decise di ricercarlo e catturalo per eliminare un grande ostacolo ai suoi intenti di deportazione degli
ebrei. Ma Donati continuò la sua opera: riuscì a trasferire da Nizza più di 2.500 ebrei verso la residenza
forzata di Saint Martin Vésubie o in Savoia, le autorità francesi furono obbligate a non intervenire, o
non vollero intromettersi nelle attività del carismatico modenese, che per molti era divenuto il “Papa
degli ebrei”. Neanche Lospinoso pose ostacoli al programma di Donati, anzi si sottraeva ai colloqui con
i tedeschi, preferendo consultarsi con l’ebreo.
Nel 1943 Donati programmò un piano di trasferimento di migliaia di ebrei dalla Francia del sud
verso la Palestina, cercando di coinvolgere le autorità italiane, il Vaticano, i britannici e gli americani;
egli si recò in Vaticano per parlare con gli ambasciatori inglese e americano presso la Santa Sede con la
mediazione di padre Marie-Benoît, un anziano cappuccino che si occupava della DELASEM
(organizzazione italiana clandestina di soccorso agli ebrei, animata da Lelio Vittorio Valobra, che
adoperava a scopi umanitari le proprie relazioni sociali tra i personaggi in vista e dotati di influenza e
potere). Si discusse di far entrare in Italia il maggior numero possibile di profughi, da trasportare in
Nord Africa e infine in Palestina. Donati intendeva affittare quattro navi le quali, nel loro tragitto nel
Mediterraneo, non sarebbero state ostacolate dagli alleati. A Roma 5.000 passaporti erano pronti, per
consentire un regolare ingresso in Italia e il governo Badoglio aveva già individuato le località di
accoglienza più adatte.
L’8 settembre 1943, Donati si trovava a Firenze per incontrare Bonomi, futuro ministro
dell’Interno, e chiedergli maggiore celerità nelle pratiche doganali. Lì si trovò bloccato, senza poter
rientrare in Francia, alla notizia che il generale Eisenhower, senza informare gli italiani, aveva
concluso l’armistizio. Ma non sapeva che la Gestapo lo aspettava a Nizza; la sua casa era stata già
devastata. Rimase nascosto in Italia per tre mesi, poi riparò in Svizzera. Nemmeno a Montreux Donati
fu inoperoso, continuamente assillato dalla sorte degli ebrei in pericolo. Era spesso a Berna e a Ginevra
per incontrarsi con il nunzio apostolico, con diplomatici italiani, inglesi e americani, e per far
recapitare viveri mediante la Croce Rossa. Nel 1945 Donati rientrò in Francia, munito di un attestato
che elencava le sue opere meritevoli; ritrovò i due figli adottivi, Marianne e Rolf Spier, rimasti orfani di
entrambi i genitori, trucidati dai tedeschi. Più tardi, a guerra cessata, nel 1946 l’ispettore Lospinoso fu
inquisito per “collaborazionismo generico”. Egli addusse in propria difesa una dettagliata relazione sui
fatti per rispondere alla convocazione dinanzi la Commissione di epurazione. Intervenne ancora una
volta Donati che preparò una lettera, autenticata e firmata dal rabbino capo di Roma David Prato, in
cui la memoria difensiva presentata da Lospinoso era confermata integralmente, assieme ad attestati
di stima da diverse organizzazioni ebraiche italiane.
Donati non dimenticò gli internati italiani: in sintonia con l’ambasciatore italiano Giuseppe
Saragat, condusse le trattative con il governo francese per liberare i prigionieri e gli internati civili
italiani. Inoltre riprese l’attività diplomatica in favore della Repubblica di San Marino, ricoprendo il
ruolo di Incaricato d’Affari di quello stato a Parigi e, dal 1953, ministro plenipotenziario sammarinese
in Francia. Numerosissime organizzazioni ebraiche francesi e italiane tributarono omaggi a questo
ebreo modenese e gli riconobbero una grande statura d’animo. Nel 1950 Donati fu invitato a
partecipare a un congresso internazionale di criminologia che si teneva a Parigi; uno dei relatori era
Nicola Pende, co-firmatario del “Manifesto della Razza”. Pertanto Donati rifiutò di partecipare al
congresso, considerando Pende teoricamente corresponsabile di un crimine contro gli ebrei italiani e
l’ebraismo.
Angelo Donati morì a Parigi il 30 dicembre 1960 e venne tumulato nella sua città natale, nel
cimitero ebraico di san Cataldo. In anni recenti, il nome di Angelo Donati è entrato nella letteratura,
oltre che nella Storia, divenendo personaggio di alcuni romanzi ambientati nel sud della Francia sotto
l’occupazione italiana. La sua vicenda umana è stata documentata da alcuni ricercatori come Daniel
Carpi, Serge Klarsfeld, Klaus Voigt, Davide Rodogno e, da ultima, Madeleine Kahn.
In ogni tentativo di tracciare la sua vita avventurosa, Donati è rappresentato, giustamente,
come un personaggio dal temperamento attivo e ottimista, capace di sfruttare a pieno le sue altolocate
conoscenze allo scopo di salvare la sua gente. Era uno scaltro uomo d’affari, non di libri e arte sterile,
non era un intellettuale perso nella sua fantasia, ma il prototipo dell’ebreo errante, dell’ebreo
banchiere e affarista, un colto cosmopolita, bene introdotto nel mondo della finanza da sfruttare a
vantaggio di altri ebrei, consapevole di aver evitato la cattura e desideroso di aiutare gli altri ad evitare
anch’essi la deportazione nei campi nazisti.