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DONNE NELLA STORIA  Direttore Antonella C Università di Foggia Comitato scientifico José Manuel A S Montserrat H Mercedes A F Giovanni I Angela A Milagro M C Vittoria B Iván P M Rita C Xavier M S Daniele C Elena M Paola D T Kristen D. N Università Pontificia di Salamanca Università di Siviglia Università di Foggia Università di Bari Università di Wuppertal Università di Siviglia Università di Verona Katerina D Università Carlos III, Madrid Università di Milano Università di Salamanca Università di Valladolid Università delle Isole Baleari Università di Bologna Paedagogische Hochschule Heidelberg Joanna P Università di Creta Accademia Polacca delle Scienze Barbara D S Katharina P Androniki D Patricia Q U Frances Elizabeth D Debora R Manuela Fortunata D’A Sandra Rossetti Maria G S Gabriella S Angela G Luisa S Estela G  S Massimo S José María H D Fiorenza T Università di Foggia Università di Tessaglia Università della California Università di Catania University of Miami Università di Urbino Università di Oviedo Università di Salamanca José Luis H H Università di Valladolid Università di Harvard Università Complutense di Madrid Università di Lisbona Università di Ferrara Università di Milano–Bicocca CNR, Milano Università di Catania Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale Eulalia T B Università Pontificia di Salamanca DONNE NELLA STORIA Quante vite, esperienze e profili di donne sono ancora nascoste nelle pieghe della storia? A questa domanda è difficile rispondere. Nonostante la quantità di documenti emersi grazie al pregevole lavoro della storiografia a partire dagli anni Settanta, ancora molto resta nascosto, implicito, non detto, in particolare quando si guarda allo straordinario archivio del vissuto femminile. La collana “Donne nella storia” si propone di dare voce alle vite disperse, recuperando profili biografici misconosciuti, seguendo i labili segni rappresentati talvolta soltanto da sparsi e frammentari indizi, di raccogliere testimonianze preziose per recuperare le tracce che le donne hanno lasciato nel loro esistere nel mondo, e infine di individuare i percorsi, faticosamente conquistati con lacrime e sangue, con straordinaria tenacia e consapevolezza. Ridare vita e colore a immagini sfocate, riportare al nitore le tinte sbiadite si pone come finalità prioritaria della collana, aperta a contributi di taglio interdisciplinare, in un arco cronologico di ampio respiro che sottolinei continuità e fratture, spinte in avanti e pericolosi regressi, successi e delusioni, in linea con le più attuali tendenze di ricerca degli women’s studies. Women in History How many women’s lives, experiences, and profiles are still hidden in the folds of history? It is hard to give an answer to this question. Despite the quantity of documents that have surfaces thanks to the valuable work of historians since the s, much is till hidden understood, unsaid, especially when we peer into the extraordinary archive of women’s lives. The series “Women in History” aims at giving a voice to these scattered lives, recovering little known biographies, following the faint signs that at times are only scattered and fragmented traces. It will gather priceless witnesses to recover the marks of women’s existence in the world. Lastly, it will recover their paths, laboriously followed with tears, blood, and extraordinary perseverance and self-awareness. Giving life and color back to out-of-focus images and making faded colors clear again are main goals of the series, which is open to interdisciplinary work within a wide chronological arch, in order to underscore continuities and ruptures as well as successes and disappointments, in line with the more recent tendencies of research in women’s studies. Mujeres en la Historia ¿Cuántas vidas, experiencias y perfiles de mujeres están todavía escondidos en los recovecos de la historia? A esta pregunta es difícil responder. A pesar de la cantidad de documentos que han surgido gracias al valioso trabajo de la historiografía a partir de los años setenta, todavía permanece mucho oculto, implícito, tácito, en particular cuando se toma en consideración el extraordinario archivo de las vivencias femeninas. La colección “Mujeres en la historia” se propone dar voz a vidas dispersas, recuperando perfiles biográficos ignorados, siguiendo las débiles señales representadas a veces tan sólo por indicios dispersos y fragmentarios, reunir testimonios preciosos para recuperar las huellas que las mujeres han dejado de su existencia en el mundo y, finalmente, individuar los caminos fatigosamente conquistados con lágrimas y sangre, con extraordinaria tenacidad y conciencia. Devolver vida y color a imágenes borrosas, restituir nitidez a colores desteñidos se considera la finalidad prioritaria de la colección, abierta a contribuciones de corte interdisciplinar, en un arco cronológico amplio que evidencia continuidad y fracturas, impulsos hacia delante y peligrosos retrocesos, éxitos y desilusiones, en línea con las tendencias más actuales de investigación de los women’s studies. Mulheres na Históriai Quantas vidas, quantas experiências ficaram ainda escondidas nas pregas da Historia? É difícil responder a tal pergunta. Não obstante a enorme quantidade de documentos descobertos graças ao valioso trabalho da historiografia a partir dos anos Setenta, ainda muito ficou escondido, implícito, não dito, especialmente quando olharmos para o extraordinário arquivo do vivido feminino. A colectânea “Mulheres na História” propõe-se de dar voz às vidas dispersas, recuperando perfis biográficos quase desconhecidos, seguindo os signos fugazes representados por vezes só por indícios espalhados e fragmentados; de recolher testemunhas preciosas para recuperar os rastos que as mulheres deixaram durante a passagem delas no mundo e finalmente de individuar os percursos conquistados com muito esforço, com lagrimas e sangue, com perseverança e consciência. Dar de novo vida e cor às imagens desfocadas, devolver o esplendor às tintas desbotadas, é o objetivo prioritário desta colectânea aberta à contributos de tipo interdisciplinar, num arco cronológico amplo e que sublinhe continuidade e fracturas, progressos e perigosos regressos, sucessos e desilusões, em linha com as mais actuais tendências de investigação no âmbito dos women’s studies. Storie di violenza Genere, pratiche ed emozioni tra Medioevo ed età contemporanea a cura di Francesca Ferrando Maria Cristina La Rocca Giulia Morosini Contributi di Paolo Calcagno Cesarina Casanova Manuel Fauliri Simona Feci Francesca Ferrando Matteo Millan Giulia Morosini Vinicius Liebel Tiziana Plebani Tommaso Scaramella Fulvia Zega Giulia Zornetta Aracne editrice www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it Copyright © MMXX Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it info@gioacchinoonoratieditore.it via Vittorio Veneto,   Canterano (RM) ()   ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre  Indice  . Presentazione Cristina La Rocca  . Il racconto della violenza. Note introduttive Francesca Ferrando, Giulia Morosini  . Violenze e venefici. Narrazioni dell’Acqua Tofana (Roma, sec. XVII) Simona Feci  . L’ira dipinta. Tiziano, sant’Antonio e il miracolo del marito geloso Tiziana Plebani  . Adultere, ladre e partorienti. I quartieri di correzione dell’Albergo dei poveri di Genova (XVII–XVIII secolo) Francesca Ferrando  . Stereotipi di genere: la violenza antiebraica nel nazionalsocialismo tedesco e nel nazionalismo argentino attraverso la costruzione dell’immagine femminile e maschile Vinicius Liebel, Fulvia Zega  . Violenza e potere nella vicenda di Berengario I (-): tre casi a confronto Manuel Fauliri  . Corpi, dolore e virtù: performance della violenza e caratteristiche di genere tra i condottieri del Rinascimento italiano Giulia Morosini  Indice   . Competizione politica, congiure e violenza. Il principato di Benevento nella prima metà del secolo IX Giulia Zornetta  . «Dove ti sei nascosta, bella di papà?» Pelle d’Asino e gli abusi dei padri Cesarina Casanova  . «Per sfogare la sua brutale libidine». Pratiche di sodomia a bordo delle galee nel XVIII secolo Paolo Calcagno  . «Scordatomi dei vincoli paterni»: violenza sessuale e onore famigliare da un processo per sodomia (Brescia, ) Tommaso Scaramella  . Conclusioni Matteo Millan  . Autori Storie di violenza ISBN 978-88-255-3879-3 DOI 10.4399/97888255387934 pag. 45–61 (novembre 2020) . L’ira dipinta. Tiziano, sant’Antonio e il miracolo del marito geloso T P∗ . Il punto d’avvio di un’indagine L’avevo incontrata durante una ricerca e avevo fatto fatica a distogliermi da quell’immagine dipinta da un giovane Tiziano per la Scuola del Santo di Padova. Tant’è che in un breve scritto su una scena diversa e posteriore ma accostabile per il comune motivo dell’uxoricidio , l’avevo nominata. Tuttavia sapevo che c’era assai più da comprendere e che quel di più mi intrigava parecchio. Così ho deciso di rincontrarla e non mi sono fatta bastare la riproduzione pure a grande formato rintracciata in alcuni volumi di studio sul pittore. Ho voluto recarmi sul posto e posizionarmi nel suo contesto, preferendo vedere con i miei occhi e sperimentare di persona la potenza che la composizione mi sembrava sprigionare. Avevo inoltre in serbo una domanda che riguardava la capacità di ricostruire quel che potevano ‘provare’ i membri dell’Arciconfraternita di sant’Antonio guardando l’affresco. Per tentare di rispondere a questa ricerca dell’emozione del passato non mi ero presentata sguarnita, bensì mi ero adeguatamente munita di informazioni sull’epoca della realizzazione della scena, sulle vicende storiche che avevano potuto influire su quel luogo e su tutto il mondo che aveva incrociato quello straordinario cantiere pittorico della Scuola del Santo, facente capo alla confraternita dei devoti a sant’Antonio. Tale comunità di fedeli, fondata appena spirato il santo nel , si era premurata di costruire nel , dato il crescente numero di iscritti, un proprio edificio di riunione a fianco della Basilica, che risultò però Università di Ca’ Foscari, Dipartimento di studi umanistici. . T. P, Il miracolo della coscienza maschile, in Via Dogana, , settembre . ∗   Tiziana Plebani già insufficiente a fine secolo, tanto da spingere all’edificazione di una sala superiore per ospitare il capitolo, completata nel . Per avvicinarsi alle percezioni e al sentire di coloro che frequentarono questo luogo ammirandone gli affreschi è necessario primariamente porsi una domanda: chi faceva parte di questa confraternita? La documentazione offerta dai registri riguardanti le cariche della comunità evidenzia una provenienza trasversale caratterizzata specialmente dai ceti artigiani, in particolare gli addetti alle arti tessili, ma vi si riscontra anche una discreta presenza di notai cittadini . Non ne potevano far parte gli uomini d’arme e le persone dedite ai vizi, tanto più che gli statuti e i rituali comunitari affermavano e celebravano lo spirito di fratellanza come sentimento e ideale condiviso. All’epoca dell’erezione della sala superiore, la confraternita contava un migliaio di iscritti, sia uomini che donne, ed era governata, com’era consueto, da una struttura che rappresentava i due sessi, con doppie cariche per maschi e femmine di gastaldi e decani . Le donne si erano inoltre particolarmente distinte per le elargizioni e le donazioni anche attraverso i testamenti . Dobbiamo pertanto tenere bene in conto la presenza e la frequentazione di un pubblico assai numeroso, misto per ceti e soprattutto per generi, e considerare l’esistenza di una grande e attiva componente femminile di devote. Completata l’edificazione della sala, e ultimato nell’aprile  un sontuoso soffitto a cassettoni per opera di Domenico Bottazzo , la confraternita decise di avviare la decorazione dell’ambiente progettando un ciclo di affreschi in grado di illustrare la figura del santo sia nella sua potenza taumaturgica che nella vocazione alla pacificazione dei conflitti e delle tensioni politiche, soprattutto a protezione della . G. D S G, Lineamenti e vicende della confraternita di S. Antonio di Padova (secoli XIV e XV), in Liturgia, pietà e ministeri al Santo, a cura di A. Poppi, Neri Pozza, Vicenza , p. . . A. S, L’Arciconfraternita del Santo, Basilica del Santo, Padova , pp. -; F. V, L’Arciconfraternita del Santo: memorie storiche, Società cooperativa tipografica, Padova , pp. -. Questa struttura binaria caratterizzava le ‘scuole’ piccole veneziane, cfr. F. O, Per salute delle anime e delli corpi: scuole piccole a Venezia nel tardo Medioevo, Marsilio, Venezia . . A. S, op. cit., pp. -. . Su Bottazzo: E.M. D P, Un piccolo maestro dimenticato: Domenico Bottazzo, in Artibus et Historiae, , , pp. -. L’ira dipinta [. . . ]  città di Padova . Un tema quanto mai opportuno vista la guerra che già infuriava nel territorio veneto e che stava opponendo la Lega di Cambrai alla Serenissima . Al primo pittore, Giovanni Antonio Requesta detto Corona , chiamato nel marzo dello stesso anno, la confraternita commissionò, precisandolo nella stipula del contratto, una scena riguardante sant’Antonio che ristabilisce la pace a Padova. Tema alquanto profetico poiché Corona lavorò proprio durante i mesi che videro la città direttamente coinvolta nell’offensiva contro la Repubblica veneziana dispiegata dall’ampia coalizione. Con il sostegno di buona parte dell’aristocrazia locale, Padova si consegnava in giugno a Massimiliano I. Ripresa dai veneziani a fine luglio, dovette subire poi un assedio da parte degli imperiali che non andò però a buon fine. Inoltre, lungo questo tormentato periodo, che si chiuse solo nel , Padova fu teatro di saccheggi e di violenze da ambo le parti. Il corso degli eventi dimostrò che era indispensabile e opportuno recuperare il rapporto con Venezia, instaurando un clima di rinnovata concordia. Corona suggellò questa volontà di pacificate relazioni dipingendo sullo sfondo una tempesta in allontanamento e la calma ristabilita dal santo, ponendo in primissimo piano un gruppo di donne attorniate da bambini, e di cui una in atto di allattare. Il grande affresco fu accostato alla sinistra dell’altare, mentre a destra, sempre per opera del Corona, un’altra scena politica completava nell’anno successivo la decorazione della stessa parete: Sant’Antonio affronta il tiranno Ezzelino a Verona. Il pittore Filippo da Verona veniva poi incaricato dalla confraternita di rappresentare il santo apparso al beato Luca Belludi, per predirgli l’immediata liberazione di Padova dal dominio di Ezzelino. Il terzo pittore, convocato alla fine del , fu Tiziano, che al tempo era poco più che ventenne ma con esperienze e apprezzamenti tali da allettare la confraternita; gli venne richiesto di illustrare degli altri miracoli di sant’Antonio. In sole  giornate di lavoro, tra l’aprile e il luglio dell’anno successivo, Tiziano completava le tre . I., Padova, -, in La pittura nel Veneto, Il Cinquecento, a cura di M. Lucco, Electa, Milano , vol. I, pp. -. . Sullo scontro con Lega di Cambrai: A. L, Il leone, l’aquila e la gatta. Venezia e la Lega di Cambrai: guerra e fortificazioni dalla battaglia di Agnadello all’assedio di Padova del , presentazione di P. Del Negro, Il Poligrafo, Padova . . M. V, Requesta, Giovanni Antonio, detto Corona, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. , Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma , pp. -.  Tiziana Plebani scene indicategli: Sant’Antonio fa parlare un neonato, Il marito geloso che pugnala la moglie, Sant’Antonio riattacca il piede a un giovane . . Emozioni in presenza Eccomi dunque sul posto e l’aspettativa non è delusa, anzi rimango stupefatta per ciò che si spalanca davanti ai miei occhi, complice il fatto che, data l’ora, sono la prima visitatrice e tale rimarrò per tutto il lungo tempo in cui mi tratterrò. La Sala è magnifica e insieme raccolta, l’altezza delle pareti è contenuta e lo stupendo soffitto a cassettoni crea un ambiente caldo e accogliente. Le pitture di grandi dimensioni, simili ai “teleri” veneziani, sono coloratissime e fitte di personaggi, tanto che pare di stare in compagnia, anche per la distanza ravvicinata con le pareti e gli affreschi. Scene di concordia scaturite dalla predicazione del santo o situazioni di pericolo o di squilibrio riportate alla normalità dall’azione o dall’invocazione di sant’Antonio; miracoli compiuti in vita o avvenuti dopo la morte per la forza della devozione. Tuttavia c’è una presenza che emerge per dissonanza e riguarda proprio l’opera di Tiziano che mi ha spinto a recarmi qui, denominata curiosamente, Il miracolo del marito geloso mentre dovrebbe chiamarsi Il miracolo della moglie risanata, poiché questo è l’oggetto del miracolo. Ma forse anche il titolo è spia di qualcosa che, insieme al resto, bisognerà interpretare. Quali sono dunque i dati che diversificano questo affresco dai restanti della sala? A differenza di tutte le altre composizioni, assai affollate di persone - testimoni e pubblico dei miracoli - la scena è sgombra e il santo, insieme al marito e altre due figure, non si trova in primo piano bensì fa parte di una partizione dipinta sullo sfondo a destra, separata e di dimensioni assai ridotte, a rischio di passare inosservata. Solo due figure dominano invece e totalmente il campo visivo e sono situate in una scena all’aperto e vuota, isolate da tutto il testo da una rupe che sta alle loro spalle: l’uomo imponente, rivestito di un elegante abito a scacchi bianchi e rossi , trattenuto in vita da una cintura, è proteso in avanti con l’avambraccio destro alzato e la mano che brandisce un . F. P, Tiziano, Rizzoli, Milano , pp. -. . Il vestito a scacchi bianchi e rossi del marito richiamava i colori della città di Padova. L’ira dipinta [. . . ]  pugnale; il capo è abbassato e i capelli sono scomposti a dimostrazione della repentinità dell’azione che sta compiendo. L’altra figura, la donna, è a terra, con la voluminosa gonna di colore giallo dispiegata in disordine, ma non è inerte. Ha il busto sollevato e il suo braccio destro, che Tiziano dipinge nudo e tutt’altro che esile, restituendogli con cospicue pennellate una tridimensionalità materica , è alzato a difesa del corpo, mentre il volto è rovesciato indietro a guardare colui che la sta colpendo. La chioma bionda è sparsa, forse liberata dal velo o da un copricapo dalla stretta della mano sinistra dell’uomo, che, seppur non appaia, con buona probabilità le trattiene i capelli: un particolare - la capigliatura scompigliata e nelle mani dell’uomo - su cui varrà la pena di ritornare in seguito. La candida camicia è macchiata da un fiotto di sangue e ci avverte pertanto che il pugnale ha già infierito sul suo petto. Non c’è dubbio che l’elemento dissonante sta nel fatto che questa è l’unica composizione di tutto il ciclo decorativo degli affreschi della sala che mette in scena con una straordinaria forza drammatica, sottolineata pure dalla grandezza delle due figure, una violenza tale che ci fa presumere che un ulteriore colpo si abbatterà sulla donna e spezzerà la sua vita. Davanti ai miei occhi, ma anche al cospetto dei confratelli e delle consorelle che al tempo videro l’opera di Tiziano, si staglia dunque la consumazione di un uxoricidio, oggi diremmo un femminicidio, a cui tuttavia questa donna cerca di reagire, non abbandonandosi a un predestinato destino di vittima, come invece accade nella rappresentazione in rilievo marmoreo dello stesso tema, presente nell’Arca del Santo della vicina Basilica . L’affresco del Tiziano è il primo della parete sinistra, dunque assai vicino all’altare e non vi è dubbio che calamiti immediatamente l’attenzione, nonostante la composizione sia di dimensione minore delle altre, e che richiami gli astanti a soffermarsi sulla violenza del gesto, sul capo chino e il volto scuro dell’uomo e su quel braccio alzato della donna che sale non solo a parare il colpo ma ad arrestare . Proprio sulla realizzazione di questo braccio alzato: S. R M, Tiziano Vecellio, Miracolo del marito geloso, , in New findings in Titian’s Fresco technique at the Scuola del Santo in Padua, in The Art Bulletin, LXXXI, , marzo , pp. -. . Si tratta di uno dei novi rilievi scultorei, iniziato da Giovanni Rubino, detto il Dentone, e completato da Silvio Cosini nel . . Sul gesto ‘da parata’ e le lesioni dell’avambraccio riscontrate negli scheletri femminili: F. C, S. V, La violenza certificata. Le fratture da difesa sugli scheletri dallo scavo di Borgo San Genesio (San Miniato, Pisa), in Violenza alle donne, Una prospettiva medievale, a cura di A.  Tiziana Plebani un sopruso. L’opera ha una “temperatura” fortemente emozionale, anche per l’uso sapiente dei colori, e non lascia indifferenti; inoltre non vi sono elementi che distolgono lo sguardo tanto è disadorna la scena: l’uomo e la donna sono soli e tutto conduce pertanto a interrogarsi sull’esito di uno stile di rapporti matrimoniali e sul superamento inaccettabile di un limite. La rappresentazione muove gli animi a compassione e a stare dalla parte della donna, qualunque cosa possa aver fatto - per ora sospendo di occuparmi del sospetto di adulterio che prenderò poi in considerazione - ma sollecita ancor più, e presumo anche al tempo, sentimenti e istanze che mi paiono richiamare un senso di giustizia non tanto divina – che si realizza di fatto nel miracolo di sant’Antonio – bensì terrena. Seppure qualche studioso richiami per questa come per le altre due composizioni di Tiziano l’influenza della drammaticità degli eventi storici e il rischio corso da Venezia di soccombere sotto i colpi dei nemici, in parte gli stessi padovani , penso che dovesse piuttosto suscitare i sensi e la riflessione dei confratelli e delle consorelle sui comportamenti maschili nell’ambito domestico e contro le donne e un ripensamento a riguardo dell’impulso che li generava: l’ira; una valutazione che si raccordava con un comune sentire, sempre più sensibile a tali eccessi e che in quel luogo dedito alla fratellanza e di pietà doveva trovare una particolare accoglienza. . Il genere e l’ira Protagonista dell’affresco di Tiziano è infatti l’ira, che tuttavia non è un’emozione “nuda”, solo istintuale e posta al di fuori del tempo e della storia, e sarà pertanto opportuno contestualizzare ciò che ne potevano trarre all’epoca i confratelli. Recentemente l’ira è stata oggetto di attenzione e di analisi da parte della storiografia anglosassone nell’ambito della storia delle emozioni , dimostrando quanto il giudizio rivoltole dalla trattazione Esposito, F. Franceschi, G. Piccinni, Il Mulino, Bologna , pp. -. . L. P, Tiziano e “L’epopea antoniana” della Scoletta del Santo. Nota sui significati iconografici e sulla committenza, in Il Santo, n.s.,  (), - (Atti del secondo colloquio interdisciplinare I volti antichi e attuali del Santo di Padova, Padova - aprile ), pp. -. . Due diverse parole caratterizzano anche in campo anglosassone l’ira e la rabbia, rage L’ira dipinta [. . . ]  antica e moderna sia piuttosto complesso. Sovente assimilata alla rabbia, rivela però un’interessante associazione e giustificazione con il potere e lo status dell’individuo che la esprime; si tratta di un’emozione percepita a lungo nel mondo antico e medievale come “politica”, consentita solo a coloro che rivestivano posizioni elevate nella scala sociale, e di cui l’ira divina era la massima espressione. La manifestazione dell’ira conteneva in sé un principio di giustizia e di svelamento della verità e le veniva pertanto attribuito un ruolo nella regolazione dei rapporti gerarchici. Nella tarda modernità, soprattutto per il progressivo assorbimento da parte dello Stato della gestione della violenza, perdeva invece di senso e pregnanza e, specie nel Settecento, era considerata un’emozione negativa e antisociale . Queste interpretazioni non erano ininfluenti sul piano della costruzione delle identità di genere bensì agivano verso una diversificazione della sfera affettiva e dei comportamenti di uomini e donne : sino al tardo medioevo nella trattatistica medica e giuridica, in collegamento alla teoria degli umori, gli uomini erano ritenuti di natura calda e secca, una costituzione che li poteva condurre a esplosioni di brevi attacchi di collera e di aggressività, a differenza delle donne che venivano classificate come fredde e umide. Questi attacchi maschili non erano considerati deprivati di razionalità, piuttosto risposte, più o meno adeguate, a un affronto all’ambito virile di governo. Come ha ben specificato Natalie Zemon Davis, per un marito che aveva ucciso la moglie quel che era in gioco riguardava «onore e obbedienza, non un’avvilente gelosia» . Alle donne non era invece “concessa” l’ira, non tanto per un’insita debolezza di natura fisica ma per un difetto di autorità e di potere morale e sociale. Gli uomini potevano difendere e anger, che sono associate a due campi emotivi e normativi differenti. Cfr. Anger’s Past. The Social Uses of an Emotion in the Middle Ages, a cura di B.H. Rosenwein, Cornell University Press, Ithaca ; Discourses of Anger in the Early Modern Period, a cura di K.A.E. Enenkel, A. Traninger, Brill, Leiden-Boston . Per gli studi italiani: A. A, Écrits sur la colère et système des passions au xvie siècle, in L’Atelier du Centre de recherches historiques [En ligne],  (), [http://journals.openedition.org/acrh/, ultimo accesso  maggio ]. . U. F, Emotions in History. Lost and Found, Central European University Press, Budapest-New York , pp. -. . Per un primo orientamento: Authority, Gender and Emotions in Late Medieval and Early Modern England, a cura di S. Broomhall, Palgrave Macmillan, Basingstoke . . N. Z D, Storie d’archivio, Racconti di omicidio e domande di grazia nella Francia del Cinquecento, Einaudi, Torino, , p. ; si veda comunque tutto il terzo capitolo, Il sangue versato e la voce delle donne, pp. -.  Tiziana Plebani e gestire il loro onore anche attraverso l’ira, giacché risiedeva nel loro ambito di autorità e governo mentre le donne non erano in grado di farlo . Alla natura femminile veniva invece attribuito il “furore”, un’emozione priva di razionalità e pericolosa sia per sé che per gli altri, poiché giudicata essere una forza oscura, per lo più nascosta e imprevedibile . Così nei tribunali le spiegazioni maschili e femminili a discolpa di azioni cruente verso il rispettivo coniuge divergevano e se gli uomini potevano attingere alla tradizionale retorica in difesa dell’onore, le donne dovevano ricorrere ad altre strategie narrative . La manifestazione dell’ira, la collera a cui si abbandonava un marito con il seguito di offese e percosse, a lungo nel mondo antico e medievale era stata del resto tradizionalmente e ampiamente giustificata all’interno della sfera del potere maschile sulla famiglia e sui suoi componenti e aveva prodotto una decisa asimmetria di genere sul piano della punibilità . L’attentato alla vita del coniuge da parte di una donna era assimilato a un tradimento, a un attacco al potere statuito ed era punito anche con la morte, mentre l’uccisione della moglie comportava per lo più un risarcimento economico nei confronti della famiglia offesa e dello Stato. Tuttavia l’accettabilità di simili tragici eventi e di queste giustificazioni al tempo del dipinto di Tiziano veniva messa ampiamente in discussione dalle fonti letterarie e giuridiche, dai tribunali ecclesiastici, e ancor di più dalle voci delle donne . La storiografia più recente, soprattutto grazie alle ricerche sulle fonti processuali , ha . U. F, op. cit., p. . . N. Z D, op. cit., pp. -. . Ivi, pp. -. . M. C, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale, Laterza, Roma-Bari ; A. B, De fream suam, qui eam male tractaverit. La violenza domestica sulle donne nella società altomedievale, in Il genere nella ricerca storica, atti del VI Congresso della Società italiana delle storiche, a cura di S. Chemotti, M.C. La Rocca, Il Poligrafo, Padova , pp. -. Più in generale cfr. La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), a cura di S. Feci, L. Schettini, Viella, Roma ; e Violenza alle donne, Una prospettiva medievale, op. cit. . E. O, Cultura patriarcale e violenza domestica, in Violenza alle donne, op. cit., pp. -. . Si rimanda, anche per la ricca messe di casi di studio e la bibliografia, al cantiere di ricerca messo in piedi da Silvana Seidel Menchi e Diego Quaglioni che ha prodotto i quattro preziosi volumi della serie intitolata I processi matrimoniali degli archivi ecclesiastici italiani, per la cronologia XV-XVIII, editi tutti a Bologna dal Mulino, che qui si sono tenuti presenti: . L’ira dipinta [. . . ]  dimostrato quanto la violenza domestica fosse avvertita dalla società tardomedievale come una emergenza e un problema sociale da affrontare e arginare, spingendo a riconsiderare, alla luce anche della sensibilità umanistica, gli ambiti e le prerogative del pater familias e dello ius corrigendi attribuito al genitore e al marito . Se la trattazione della materia anche nei secoli precedenti si era soffermata sui confini tra la violenza lecita e quella illecita, il dibattito si faceva più intenso a fine Quattrocento per i numerosi casi che si venivano a conoscere, per la denuncia sempre più frequente da parte delle donne presso i tribunali e per un più attento ascolto da parte dei giudici . Più fonti dell’epoca testimoniano un’accresciuta sensibilità pubblica rispetto a gesti violenti, specie se ripetuti e inferti con armi e la legittimità dell’allontanamento dalla casa maritale da parte della moglie, che in genere rientrava nella famiglia di provenienza o trovava altre soluzioni abitative . E una spia di un minore grado di consenso e tolleranza si può forse leggere nell’emergere di scene di violenza maritale nel piano della rappresentazione: donne afferrate e trascinate per i capelli, bastonate, malmenate per gelosia o altro, appaiono verso la fine del XV secolo a “visualizzare” la crudeltà domestica . La drammaticità della scena dipinta dal Tiziano pare dunque essere il testimone di una diversa e ben più negativa valutazione dell’ira: il gesto violento del marito, che ho davanti ai miei occhi, non esprime né dignità né tanto meno legittimità. L’affresco del Tiziano chiama me qui e ora, come penso avvenisse agli astanti dell’epoca, a testimone delle estreme conseguenze dell’esplodere Coniugi nemici. La separazione in Italia, del , . Matrimoni in dubbio: unioni controverse e nozze clandestine in Italia, del , . Trasgressioni. Seduzione, concubinato, adulterio, bigamia, del  e infine . I tribunali del matrimonio, uscito nel . . E. O, op. cit., pp. -; M. C, op. cit., pp. -. . Si tratta di un interessante parallelo con ciò che avviene ai nostri giorni; come oggi, anche allora non sappiamo in realtà capire se l’acuita sensibilità e la condanna dipendano dall’aumento dei casi di violenza oppure dalla più decisa denuncia da parte delle donne e dall’attenzione dei media. . C. C, La carità e l’eros. Il matrimonio, la Chiesa, i suoi giudici nella Venezia del Rinascimento, -, Il Mulino, Bologna , pp. -. . Sull’abbandono della casa del marito: T. D, Domestic Violence in Late-medieval Bologna, in Renaissance Studies, , , dicembre , pp. -. . Ne cita alcune G. P, Storie di corpi e di destini, in iViolenza alle donne, cit., pp. -.  Tiziana Plebani dell’ira, quasi fossimo al cospetto di un dibattimento processuale, seppur immaginario, ma richiamante quelli che avvenivano davvero nei tribunali e di cui si aveva notizia al tempo della realizzazione del dipinto. La scena appare veicolare un elemento di condanna e di giudizio. Tutto si concentra infatti sulla violenza dell’uomo nei confronti della donna, che presumiamo morta per i colpi inferti. E, dato piuttosto significativo, il suo corpo risanato non è mostrato, mentre nell’angolo in alto a destra il marito è raffigurato in ginocchio davanti a sant’Antonio. Se ne facessimo una questione di proporzioni, ciò ci porterebbe a concludere che tutto lo spazio è dedicato a illustrare la violenza, il pentimento è invece relegato in una zona remota e poco a fuoco. Non è strano che l’esito del miracolo, la donna risanata, non sia presente e che pure il santo abbia uno spazio così irrilevante nell’economia del dipinto, all’interno di una sala che celebra la pace e il perdono non sia presente? I membri della confraternita conoscevano così bene il finale della storia miracolosa da non esserne sviati? Altra questione: le consorelle e i confratelli di fronte a questo dipinto erano uniti in un comune sentire o la differenza di genere ispirava un diverso grado di partecipazione emotiva? Non credo di poter offrire risposte certe a queste mie domande, tuttavia ho pensato che l’affondo nella fonte narrativa - la tradizione agiografica antoniana - avrebbe potuto fornire qualche elemento di ausilio all’interpretazione della scena, consentendo di comprendere se davvero possa rappresentare una cartina al tornasole di una trasformazione culturale in atto riguardo all’interpretazione dell’ira maschile sulle donne. . La fonte agiografica Mancava infatti un tassello importante alla mia indagine. Le descrizioni del quadro e del ciclo della Scuola del Santo nella letteratura artistica si riferiscono alla tradizione della narrazione dei miracoli di sant’Antonio, senza tuttavia rendere problematico il racconto. Pertanto ho deciso di rivisitare tutto il corpus agiografico riguardante la vita e i miracoli del santo alla ricerca dell’origine di questo miracolo, che riguarda l’uccisione da parte di un marito ‘geloso’ e l’intervento del santo, risalendo sin all’esordio duecentesco. Questo L’ira dipinta [. . . ]  percorso, come si vedrà, ha riservato delle sorprese che mi paiono confermare le mie riflessioni. La fonte primaria e più antica, ripresa e riassunta dalle vite e leggende posteriori, è quella denominata Vita prima o Assidua, composta a ridosso della canonizzazione di Antonio avvenuta con grande celerità appena undici mesi dalla sua morte, il  giugno . Il  maggio , papa Gregorio IX lo proclamava santo nella città di Spoleto e, mobilitati proprio dall’occasione della canonizzazione, i francescani davano mandato di comporne la biografia a un confratello che era stato diretto testimone dell’ultima fase padovana della vita e della morte di Antonio . Questo testo presenta, in una parte a sé stante, la trattazione dei miracoli da lui compiuti, più di una cinquantina, di cui  riguardano donne risanate (tra cui una oggetto da parte di un uomo ‘nero’ di violenza sessuale e di percosse tali da renderla gravemente inferma) o il caso di una donna di Monselice che si era gettata nel fiume perché il poco spirituale marito, che aveva convinto a compiere un pellegrinaggio alla tomba del Santo, aveva cambiato idea. La sua fede aveva fatto sì che ne era uscita totalmente asciutta, a differenza delle altre donne che erano accorse a salvarla. Nel testo non vi è alcuna donna minacciata dal marito, né tantomeno percossa o uccisa dal coniuge. Ugualmente, nulla di ciò è contenuto nella cosiddetta Vita secunda o Anonyma, un testo assai breve e riassuntivo dell’Assidua, attribuita al francescano Giuliano da Spira, scritta pochi anni dopo, verso il circa il  . Una fonte posteriore, del tardo XIV, è la cosiddetta Benignitas : la cacciata del tiranno Ezzelino da Romano nel , il cui merito veniva . Fonti agiografiche antoniane. Vita prima di S. Antonio o «Assidua», introduzione, testo critico, versione italiana e note a cura di V. Gamboso, Messaggero, Padova  (primo volume della serie Fonti agiografiche antoniane.); per la storia dei testi e le questioni filologiche e di tradizione testuale rimando alle ampie introduzione e apparati di Gamboso nei rispettivi volumi. Ho confrontato anche il testo edito da R. C, Leggende antoniane, Vita e Pensiero, Milano  (si tratta dell’Assidua e della Benignitas). A. T, L’«Assidua»: ispirazione francescana e funzionalità patavina, in «Vite» e Vita di Antonio di Padova, Centro studi antoniani, Padova , pp. -; A. R, Dal Libro alla folla. Antonio di Padova e il francescanesimo medievale, Viella, Roma , pp. -, -. . Officio ritmico e Vita secunda (Giuliano da Spira), introduzione, testo critico, versione italiana e note a cura di V. Gamboso, Messaggero, Padova  (Fonti agiografiche antoniane, ). . Vita del Dialogus e Benignitas, introduzione, testo critico, versione italiana e note a cura di V. Gamboso, Messaggero, Padova  (Fonti agiografiche antoniane, ).  Tiziana Plebani attribuito al santo, assurto quindi a patronus civitatis, il ritrovamento nel  della sua lingua incorrotta e infine la traslazione della sua tomba nella completata Basilica nel , resero necessario un aggiornamento della redazione della vita, che comprendesse anche i miracoli avvenuti dopo la morte. E infatti venne aggiunto il miracolo di Antonio che appare a Ezzelino e lo rimprovera. In questo testo non vi è traccia di un uxoricidio o di mogli maltrattate e percosse che il santo risana e neppure di presunti adulteri femminili, smentiti da Antonio. Tra le novità della narrazione miracolistica compare il racconto della donna padovana che, impedita dal marito a recarsi nel luogo della predicazione di Antonio, ascolta distintamente la voce del santo dalla finestra del solaio di casa, posta a due miglia di distanza, riuscendo anche a coinvolgere nella fede l’indifferente coniuge. Altro nuovo apporto riguarda la donna che cade nella melma e, preoccupata per l’integrità della propria persona e soprattutto per le vesti di grande valore, raccomandatasi al santo ne esce linda. La Benignitas introduce anche il miracolo del piede risanato che sarà oggetto di uno dei tre affreschi di Tiziano: un figlio, dopo aver dato un calcio alla madre gettandola a terra, sconvolto dal senso di colpa si tronca il piede con cui l’ha colpita e sant’Antonio giunge a rimediare alla grave mutilazione. Mariti uxoricidi non sono presenti nell’addenda dell’Assidua affidata al francescano inglese Giovanni Peckham e neppure nelle altre due importanti leggende agiografiche antoniane, la cosiddetta Raymundina, la vita scritta dal frate francese Pietro Raymundi francese negli anni novanta del Duecento, che riporta solo  miracoli, e la Rigaldina redatta Giovanni Rigaldi fra il  e il  , ove compaiono nuovi miracoli che troveranno rappresentazione nel ciclo della Scuola del Santo: il cavallo affamato, interpretato in redazioni posteriori come mulo, che non mangia l’ostia ma le si inginocchia davanti e la vicenda del santo che, ospitato da una donna che aveva loro offerto del vino, spargendolo per errore e in grande quantità sul pavimento, aggiusta un bicchiere di vetro rotto da un suo compagno. Questo stesso miracolo viene ripreso da un testo di poco posteriore, la Leggenda fiorentina, e costituisce la prima avvisaglia della comparsa nell’agiografia antoniana di mariti rozzi e aggressivi. Il racconto infatti spiega che alla vista del bicchiere rotto, la donna aveva mostrato paura (metuebat) perché suo marito la trattava duramente . Vite Raymundina e Rigaldina, introduzione, testo critico, versione italiana e note a cura di V. Gamboso, Messaggero, Padova  (Fonti agiografiche antoniane, ). L’ira dipinta [. . . ]  (aspero), un particolare che non era esplicitato nella Rigaldina . Il Liber miraculorum, redatto tra il  e il , ufficializzato in seguito dai Bollandisti, è più prodigo di scene di violenza domestica. Una donna che si prendeva cura dei frati, tra cui Antonio, aveva un marito geloso e miscredente (virum zelotipum et insuper indevotum) che irritato a causa da una sua prolungata assenza, al suo rientro in casa «ille, plenus ira, accepit illam per capillos et in tanto traxit hunc atque illuc, quod totam illam capillaturam et capillos evulsit» . La donna, trascinata in tal modo per tutta la casa e rimasta calva, raccolti i capelli strappati, fa chiamare Antonio che le ricolloca la chioma e a seguito del prodigio il marito smette di essere sospettoso e geloso. Emerge qui una delle forme con cui più frequentemente si esprimeva l’aggressività maschile contro le donne, afferrare e tirare i capelli, e che soprattutto identificava anche nell’iconografia l’ira in azione e che aveva come effetto quello di impedire la reazione delle donne, bloccate nel movimento dalla presa della capigliatura. Peraltro la chioma rappresentava uno degli elementi costitutivi della bellezza femminile che doveva, proprio per il suo potere seduttivo, essere almeno raccolta e parzialmente celata da tessuti o cappelli . Tuttavia in questo racconto la donna è maltrattata e offesa, specie nell’amor proprio e nel suo decoro, ma non è ferita gravemente né tantomeno uccisa. Un inedito miracolo inserito nel Liber miraculorum svela un altro contesto di conflitti e violenze, che induceva le donne a ricorrere ai tribunali : una moglie, il cui marito vizioso aveva abbandonato la casa per vivere con una concubina e non si tratteneva comunque dal percuoterla e coprirla di insulti, decideva di impiccarsi ma veniva salvata dall’arrivo di san Francesco e sant’Antonio, che profetizzavano al marito la morte e l’inferno entro tre giorni se non avesse mutato la sua condotta, mettendo fine alla relazione illecita e adottando con . Liber Miraculorum e altri testi medievali, introduzione, testi critici, versione italiana a fronte a cura di V. Gamboso, Messaggero, Padova , pp. - (Fonti agiografiche antoniane, ). . Ivi, pp. -: ho riscontrato lo stesso testo in volgare in un raro incunabolo conservato presso la Biblioteca del Museo Correr, Incommincia la vita e li miracoli del glorioso confessore sancto Antonio de Padoa. de lordine di frati minori, c. r-v, stampato tra il - forse a Venezia da Bernardino Benali, o a Verona (Incunabula Short Title, Catalogue the International Database of th-Ventury European Printing, n. ia). . G. P, op. cit., pp. -. . Alcune somiglianze nella vicenda di Lucia da Molin Memmo in S. C, Il divorzio di Cateruzza: rappresentazione femminile ed esito processuale (Venezia ), in Coniugi nemici, cit., pp. -.  Tiziana Plebani la moglie un comportamento improntato omni caritate et concordia . Dobbiamo però significativamente giungere a metà del XV secolo perché si riscontri un deciso cambio di registro nell’agiografia antoniana e la violenza maschile viri verso l’omicidio. Questa nuova vita e raccolta di miracoli, S. Antonii Confessoris de Padua vita et miracula, che avrà una grandissima influenza sulla tradizione successiva, anche per lo stile brillante e accurato della narrazione, divenendo la fonte di riferimento delle arti figurative, non proviene però dall’ambito religioso o dal contesto francescano, bensì era opera di un laico, il padovano Sicco Polenton . Notaio e cancelliere del Comune, Polenton era esponente di una raffinata cultura umanista, tanto da intraprendere un’impegnativa opera sulla storia della letteratura latina, Scriptorum illustrium latinae linguae libri XVIII, non disdegnando anche di comporre altri generi, come dimostra la sua Catinia, una pungente commedia satirica. All’interno della trattazione dei miracoli del santo, Polenton espone un fatto che lui presumeva essere occorso in Toscana a un uomo nobile e ricco ma che spesso esplodeva, come un pazzo furioso senza alcun controllo di sé, in attacchi di collera rivolti anche nei confronti della moglie che era un’onesta nobildonna. Un giorno in cui la donna gli aveva risposto con una frase imprudente, acceso dall’ira l’aveva percossa con pugni e calci (ira subito, ut solebat, accensus, multis pugnis et calcibus percutit), poi l’aveva trascinata per tutta la casa (totam per domum trahit) afferrandola per i capelli e strappandoglieli. Polenton aggiunge un’interessante e pertinente annotazione: «capillos (carissimum mulierum decus) evellit». Con molta probabilità Polenton conosceva il trattato di Francesco Barbaro, De re uxoria, in cui il patrizio veneziano si era molto soffermato sulla bellezza dei capelli femminili equiparandoli a un bene prezioso, elemento da valutare nella scelta della moglie, quasi fosse una dote . Quindi distruggere questo bene costituiva un’offesa e un danno gravissimo anche al patrimonio femminile. Ma l’uomo narrato da Polenton non arrestava la sua violenza e gettava la donna giù dal solaio, lasciandola in fin di vita. I famigli accorrevano e trasportavano la donna nel suo letto mentre il marito pentito della propria brutalità andava a intercedere l’intervento di sant’Antonio presente in . Liber Miraculorum, op. cit., pp. -. . P. V, Polenton, Sicco, in Dizionario Biografico degli Italiani,  (), pp. -. . F. B, De re uxoria libri duo, Parigi, Jodocus Badius Ascensius,  (editio princeps), c. Bii . L’ira dipinta [. . . ]  città, che giunto al capezzale della donna la risanava . Come si può notare, lo scoppio d’ira del marito non è giustificato nel testo da gelosia o possibili altre accuse che riguardassero la fama e l’onore della moglie: la donna, si dice, è onesta e pudica. È invece l’ira e la ferocia dell’uomo che vengono descritte dal racconto con precise scelte lessicali che ne sottolineano l’inaccettabilità e con dettagli che rendono accostabile la vicenda alla scena dipinta da Tiziano. Il miracolo che viene narrato di seguito è anch’esso una novità introdotta dall’umanista padovano e riguarda un fatto avvenuto a Ferrara a un’altra donna di elevato lignaggio che appena partorito si vedeva rifiutare il bambino dal marito roso dalla gelosia, «quasi matre adultera ac semine alieno conceptum». Sant’Antonio, preso in braccio il neonato, donava al piccolo una voce da ragazzo che gli consentiva di indicare nel gentiluomo suo padre (meus hic pater est), riconciliando la coppia e intimando al marito affetto e riconoscenza. In questo racconto si riconosce la fonte del terzo affresco di Tiziano, ambientato in una ricca corte, testimoniata dagli abiti sontuosi e dai numerosi convitati . Un’ulteriore spia di una sensibilità acuita verso i comportamenti violenti dei mariti è presente nella riproposizione da parte di Polenton del miracolo degli abiti lordi e smacchiati grazie all’invocazione del santo. Nel narrare il caso di una donna che per accorrere ad ascoltare la predicazione di Antonio era inciampata e scivolata in acque fangose (variante del miracolo già presente nella Benignitas), Polenton spiegava il motivo del grande allarme suscitato: la donna era molto agitata pensando al suo «vir ferox», che l’avrebbe certamente punita sia per il danno procurato alle sue vesti eleganti sia per la caduta sconveniente . Prima di tirare la fila di questo viaggio all’interno della tradizione agiografica antoniana e ritornare all’affresco di Tiziano è necessario soffermarsi sul tema dell’adulterio. Gravissima colpa, ma solo per le donne, «figura emblematica della diseguaglianza giuridica» , punibile per i legislatori del mondo antico e medievale anche con la morte . S. P, S. Antonii Confessoris de Padua vita et miracula, in Liber Miraculorum, ivi, pp. -. . Ivi, pp. -. . Ivi, pp. -. . M. G, Disparità e diritto. Alle origini della disuguaglianza delle donne, in Diritto e genere: analisi interdisciplinare e comparata, a cura di S. Scarponi, . ed. con appendice di aggiornamento, CEDAM, Padova , pp. -.  Tiziana Plebani e delegata nell’esecuzione al padre o marito, l’adulterio femminile rappresentava un attentato non solo all’integrità del nucleo familiare bensì soprattutto alla legittimità della prole . Tuttavia il diritto canonico non avallava l’estremo rigore sostenuto dal diritto romano e dai diritti germanici; soprattutto dal tardo medioevo nella consuetudine giudiziaria si assisteva a un’uscita dal ristretto campo della giustizia privata e a una maggiore discrezionalità dei giudici, anche per il sospetto che le accuse di adulterio fossero sovente infondate. Spesso nascondevano conflitti di altra natura, tra cui anche la bramosia verso i beni femminili e pertanto una comoda scorciatoia per eliminare o segregare la moglie. Il giudizio doveva pertanto procedere con maggiore cautela, distanziandosi dalle forme di composizione privata in uso nel passato, che erano lasciate in mano all’arbitrio maschile, ora ritenute inaccettabili da parte delle donne. Un’intera sezione della raccolta dei miracoli ed ex voto del santuario viterbese di S. Maria della Quercia, risalente alla fine del XV secolo, e dedicata alle «donne liberate dalla crudeltà de’ mariti» rendeva palesi le storie di violenza perpetrate con la scusa della gelosia . Inoltre nell’iconografia si diffondevano rappresentazioni dell’adultera, anche di mano dello stesso Tiziano che più volte ritornava sul tema, che suggerivano sentimenti quali il perdono e la compassione sconfessando sia l’ira che la punizione violenta, riallacciandosi al dettato del Vangelo di Giovanni (, -), anche con la presenza sulla scena dipinta di Cristo e della dolcezza del suo sguardo rivolto alla peccatrice. . Nota conclusiva La mia indagine si è conclusa e credo che la fonte agiografica sia stata prodiga di indizi a conferma della mia lettura sull’ira. Le leggende più antiche non fanno menzione di violenze domestiche e se nel tardo XIV . A. M, Adulterio (diritto intermedio), in Enciclopedia del diritto, I, Giuffré, Milano , p. ; A. E, Adulterio, concubinato, bigamia: testimonianze dalla normativa statutaria dello Stato pontificio (secoli XIII-XVI), in Trasgressioni, ivi, pp. -. . A. E, Violenza psicologica, violenza fisica. Donne a Roma e nello Stato pontificio, in iViolenza alle donne, ivi, pp. -. L’adulterio diveniva meno rilevante in seguito, specie nel XVIII secolo, cfr. M. B, I processi per adulterio nell’Archivio Diocesano Tridentino (XVII-XVIII secolo), in Trasgressioni, op. cit., p. . . Sul tema cfr. O. N, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Laterza, Roma-Bari . L’ira dipinta [. . . ]  appare qualche avvisaglia di donne maltrattate, è invece a metà Quattrocento che l’ira maritale entra in scena nella sua brutalità, provocando un giudizio sui limiti e la legittimità dello ius corrigendi e del potere del capo famiglia. Se ne faceva portavoce, non a caso, un umanista laico, che possiamo presumere che si fosse anche intrattenuto sul testo di un suo contemporaneo, Giovanni Pontano, che aveva indagato sul diritto dei subalterni al padre di ribellarsi alla sua autorità quando questa si accompagnava all’ira e all’esercizio della violenza . Il testo di Sicco Polenton ha costituito senza dubbio la fonte che i confratelli tennero presente nel commissionare a Tiziano l’affresco sul marito geloso, insieme agli altri due. A Tiziano va indubbiamente il merito di aver rappresentato l’ira e il suo potere distruttivo in un modo che ancor oggi rende difficile distogliere lo sguardo e ostentare indifferenza, forse non diversamente da ciò che potevano aver provato i confratelli e le consorelle della Scuola del Santo. Figura . Miracolo del marito geloso, affresco di Tiziano Vecellio, Scuola del Santo, Padova. . G. P, De obedientia, Moravo, Napoli .