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B. Waldenfels, Hyperphänomene. Modi hyperbolischer Erfahrung, Surkamp, Berlin 2012, pp 437. Il cerchio con il quale Bernard Waldenfels (1934) ha delimitato modalità differenti del fare esperienza si è chiuso a fine 2012 con la pubblicazione del volume Hyperphänomene. Modi hyperbolischer Erfahrung. E’ questa, infatti, l’ultima tappa di un percorso - iniziato nel 2009 con l’uscita dello studio Ortsverschiebungen, Zeitverschiebungen. Modi leibhaftiger Erfahrung e proseguito nel 2010 attraverso il volume Sinn und Künste im Wechselspiel. Modi ästhetischer Erfahrung - rivolto a descrivere la struttura generale dell’esperienza con particolare riguardo per quelle modalità che, per loro stessa natura, non si riescono ad inserire all’interno di un paradigma normativo o categoriale prestabilito. In via del tutto preliminare è necessario soffermarsi sull’espressione “iper-fenomeni” che può risultare di non immediata comprensione a quanti si confrontano per la prima volta con la proposta filosofica di Waldenfels; questa formula, indicando modalità di esperienza al di là del confine che il senso comune è solito stabilire, necessita l’individuazione dei fili che ne costituiscono l’ordito teorico. Il fatto di essere al di là di un determinato orizzonte non preclude infatti la possibilità di una descrizione fenomenologica di tale sfera eccedente. L’idea che una tematizzazione di questo ambito sia indispensabile e fondante ha trovato un riscontro metodologico nell’impostazione che egli ha sviluppato nel corso della sua riflessione filosofica, iniziata all’università di Monaco sotto la guida di Helmuth Kuhn e Kurt von Fritz. Se inoltre si tiene conto che Waldenfels è solito definire la sua filosofia come “fenomenologia responsiva”, non stupisce più di tanto sapere che la prima prospettiva filosofica con la quale si è confrontato è stata quella socratica - oggetto della dissertazione dottorale dal titolo Das sokratische Fragen; Socrate, infatti, - sia in virtù dell’importanza che attribuisce al momento dialogico, sia in virtù di quella “estraneità” costitutiva che lo conduce a mettere in discussione il sistema di leggi della comunità di cui fa parte - sintetizza nel miglior modo possibile quelle che saranno due delle problematiche centrali della filosofia di Waldenfels ossia il problema dell’estraneo e il problema della risposta. Ovviamente la sola matrice socratica non è in grado di esaurire e rendere merito alla particolare originalità teorica che ha ricevuto un impulso decisivo, tanto dal punto di vista metodologico quanto da quello più propriamente problematico-concettuale, dalla tradizione fenomenologica. Tenendo presente la non uniformità della traiettoria seguita dalla ricezione della corrente di pensiero inaugurata da Husserl nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione delle Ricerche Logiche (1900-1901) non stupisce più di tanto sapere che Waldenfels fece il suo incontro con la fenomenologia in “terra straniera”, precisamente a Parigi dove durante il biennio 1960-1962 ebbe l’opportunità di seguire i corsi di Maurice Merleau-Ponty e Paul Ricoeur. E’ utile qui ricordare che uno dei tratti maggiormente caratteristici del “ripensamento francese” della fenomenologia è senza ombra di dubbio uno specifico interesse per la fase finale della riflessione di Husserl - caratterizzata da un’attenzione particolare per la sfera passiva dell’esperienza, per le dinamiche di costituzione intersoggettiva e per il rapporto tra soggetto trascendentale e corporeità. Sintomatica dell’originalità di Waldenfels è inoltre la capacità di liberarsi da un pregiudizio, per molti versi imputabile a Heidegger, secondo il quale la spinta innovatrice e propulsiva della fenomenologia husserliana si sarebbe esaurita con la pubblicazione delle Ricerche logiche e che, di conseguenza, le successive riflessioni di Husserl non sarebbero state altro che la mera riproposizione di concettualizzazioni già emerse nel corso della storia della filosofia. Singolare è il dato che negli atenei tedeschi le dispute maggiormente diffuse intorno alla disciplina inaugurata da Husserl fossero quelle rivolte a determinare se tale impostazione filosofica dovesse essere ricondotta alle teorie di stampo idealistico o di matrice realistica, mettendo così in secondo piano quei nuclei teorici che si sarebbero rivelati maggiormente prolifici e degni di interesse. Proprio all’interno di questa cornice problematica deve essere collocato lo scritto di abilitazione del 1971 intitolato Das Zwischenreich des Dialogos. Sozialphilosophische Untersuchungen in Anschluss an Edmund Husserl il cui fine ultimo è quello di ripensare e rivedere la teoria husserliana dell’intersoggettività e della socialità. A partire da questo studio diventa centrale il concetto di “Zwischen”, inframezzo, che Waldenfels tenta di sviluppare considerandolo come punto di incontro generativo tra l’istanza soggettivizzata e soggettivizzante, propria dell’impostazione trascendentale husserliana, e la sua declinazione intersoggettiva. E’ evidente anche come il concetto di inframezzo suggerisca una possibile via d’uscita alla cosiddetta deriva solipsistico-trascendentale che, assieme all’accusa di idealismo, rappresentava gli aspetti maggiormente contestati dagli esponenti delle altre correnti di pensiero. Inoltre, seguendo il percorso che conduce all’individuazione delle condizioni di possibilità di una fenomenologia sociale, la speculazione filosofica di Waldenfels ha ricevuto un influsso decisivo dalle riflessioni di Alfred Schütz e Aron Gurwitsch i quali avevano cercato di promuovere un’indagine accurata delle cosiddette “abitualità collettive” nell’intento di elaborare un modello psicologico scientifico evidente, al cui interno proprio la realtà sociale veniva interpretata nei termini di “mondo del senso comune”. Il momento però che rappresenta una rottura, seppur parziale, e il conseguente inizio di un nuovo modo di sviluppare il problema dell’estraneo a partire da un’analisi dettagliata del concetto di ordine - e che pertanto risulta essere il primo passo verso quella “tassonomia fenomenologica” che lo condurrà in ultima istanza ad analizzare le modalità di esperienza iperbolica, oggetto di questo volume - corrisponde alla pubblicazione nel 1987 del libro Ordnung in Zwielicht in cui viene sviluppata l’idea che tra gli ordini esista una zona di penombra - “das Zwielicht” appunto - che non può essere ricondotta a nessun livello costitutivo particolare. Tale sfera di interesse fenomenologico, essendo allo stesso tempo costituita e costituente, coincide con il campo dello stra-ordinario e sottende una serie di concetti la cui tematizzazione risulta una vera e propria sfida. Lo “straordinario” è secondo Waldenfels qualcosa di differente dal “non-ordinato” in quanto, mentre a quest’ultimo non è preclusa la possibilità di diventare ordinario, lo straordinario è ciò che per sua intrinseca natura si contrappone all’ordine: questo suo contrapporsi però non nega la possibilità di una sua specifica tematizzazione. In un certo senso il concetto di straordinario, rappresentando il comune denominatore di differenti iper-fenomeni, è sinonimo di trascendenza; la trascendenza non è avvertita come un limite invalicabile ma come un confine che può e deve essere varcato attraverso un’attenta analisi fondante. In questo modo la correlazione costitutiva tra lo “straordinario” e “l’estraneo” riceve la sua fondazione ultima a partire dall’esigenza di individuare una specifica modalità che renda possibile “parlare di un qualcosa di cui in senso rigoroso non si può parlare”. Dal punto di vista ontologico, tuttavia, non sarebbe del tutto corretto identificare la sfera degli iper-fenomeni con quella dello straordinario, in quanto essa si configura piuttosto come un livello “intermedio tra ordinario e straniero, tra proprio ed estraneo, tra normalità e anormalità, tra presenza e assenza” (p. 13). Ne consegue che il prefisso “hyper-” non è tanto rivolto a sottolineare una determinata caratteristica del fenomeno a cui ci si riferisce quanto a indicare «una separazione, una cesura, una soglia che può essere superata senza però essere necessariamente abbattuta» (p. 12). E’ utile ricordare che già nel testo Verfremdung der Moderne. Phänomenologische Grenzgänge (2001) - disponibile in edizione italiana a cura di F. Menga con il titolo “Estraniazione della modernità. Percorsi fenomenologici di confine”, Città Aperta, Troina 2005 - Waldenfels scriveva che “l’estraneo pretende e suscita un mutamento di pensiero” e che “c’è una serie di figure di pensiero nelle quali si manifestano possibilità sia in quanto deviazioni, che allontanano dalla strada abituale senza condurre contemporaneamente a una nuova destinazione, sia in quanto passaggi che conducono oltre un confine senza necessariamente eliminarlo” (p. 70). Da tale idea si evince dunque che le “modalità di esperienza iperbolica”, oggetto del presente studio, sono figure di pensiero intese sia come deviazioni di forme originarie sia come passaggi verso ulteriori formazioni teorico-concettuali. Ne consegue che ciò che può essere assunto quale fondamento del concetto di iper-fenomeno è la constatazione secondo cui “etwas zeigt sich, als mehr und als anders, als es ist” ossia che qualcosa si mostri come più e come qualcos’altro rispetto a ciò che esso effettivamente è (p. 9). Tali Hyperphänomene, definiti anche “Überschußphänomene” fenomeni dell’eccedenza, indicano la messa in gioco di un numero di possibilità maggiore rispetto a quelle che un determinato ordine riesce a cogliere e sono conseguenza diretta del fatto che l’essere umano, muovendosi all’interno di un sistema sociale, è costretto a creare, istituire e quindi riconoscere sempre nuove forme di ordinamento; questa proliferazione è ciò che alimenta il campo dell’eccedenza, rendendo così indispensabile una sua demarcazione e descrizione. Lo studio Hyper-phänomene. Modi hyperbolischer Erfahrung rappresenta dunque il tentativo di tematizzare l’eccedenza fenomenica attraverso lo studio dei processi genetici ad essa sottesi. All’interno dei tredici capitoli, in cui il volume è suddiviso, vengono sviluppati concetti come lo stare al di qua e lo stare al di là, le aporie dell’infinito, i margini d’azione del possibile e le eccedenze dell’impossibile, l’invisibile, l’indimenticabile, descrizione diretta e paradigmatica, più del necessario e più del dovuto, ospitalità, estraneità e ostilità, metamorfosi della violenza, paragonare ciò che non può essere paragonato, trascendenze religiose. In virtù della densità concettuale specifica di ognuna delle problematiche affrontate in questo testo non è possibile qui entrare nel merito delle molteplici distinzioni e precisazioni fenomenologiche; ci si può soltanto limitare a ricordare, seguendo una linea più generale, che l’irrompere dello straordinario all’interno della riflessione filosofica di Waldenfels è riconducibile all’elaborazione di una fenomenologia responsiva che egli stesso considera come il terzo momento di un percorso iniziato con lo studio della filosofia classica e proseguito con ricerche sulle dinamiche intenzionali ed ermeneutiche. La forma responsiva di fenomenologia si deve focalizzare su due domande fondamentali: la prima è “da che cosa [wovon] siamo colpiti”, la seconda è “a che cosa [worauf] rispondiamo” quando reagiamo ad uno stimolo proveniente dal mondo circostante. Waldenfels sottolinea come, formulando tali domande che possiedono una natura costitutivamente intenzionale, ci si riferisca ad un evento [Ereignis] che accade non a partire da un processo attivo dell’io ma dal quale il soggetto è “colpito” nel senso di un “saltare all’occhio”, di un “accorgersi” [auffallen]. Questa modalità di riferimento passiva all’io trova la sua traduzione fenomenologica nel termine greco pathós da intendersi come un vero e proprio “essere affetto da”. L’auffallen non indica solo una forma di contatto di mera natura affezionale ma è il punto sorgente dal quale si innesca il prestare attenzione [aufmerken] e quindi un processo di tematizzazione oggettiva. Per questo motivo le forme iperboliche di esperienza, non essendo riconducibili né al mondo esterno né al mondo interno degli atti mentali, sono create attraverso un processo di determinazione dell’indeterminato. Tale preliminare precisazione è necessaria poiché permette di individuare un’ulteriore caratteristica comune alla classe degli iper-fenomeni, ossia il loro essere il risultato non di un processo astrattivo-produttivo ma di presentarsi nella modalità della risposta intesa come reazione. La capacità di Waldenfels di assumere quale oggetto di indagine una serie di fenomeni, caratteristiche, momenti che, pur rivestendo un ruolo di primaria importanza nella vita di tutti giorni, vengono normalmente presupposti e non studiati nel loro manifestarsi, dà vita ad una forma filosofica sui generis che non può essere appiattita, ridotta e quindi inserita all’interno di una tradizione già esistente. Sintomatico di ciò è anche lo stile, ricco di riferimenti letterari e di casi paradigmatici utilizzati per chiarificare, problematizzare e quindi esporre con efficacia e chiarezza un determinato problema. Rivolgendo uno sguardo generale all’intero percorso filosofico di Waldenfels, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un edificio teorico in continua costruzione rivolto a confutare l’idea heideggeriana secondo la quale esiste un limite che non può essere varcato e che pertanto l’indicibile deve rimanere tale. La sua riflessione filosofica appare così strutturata secondo due movimenti differenti: una traiettoria verticale rende possibile un graduale approfondimento e quindi un’approssimazione sempre maggiore al nucleo problematico, mentre un moto oscillatorio, in continuo aumento, gli permette di analizzare un numero sempre crescente di fenomeni facendo gradualmente retrocedere la linea di demarcazione che traccia il confine tra ciò che può e ciò che non può essere fenomenologicamente descritto. L’iperbolico si rivela essere non un limite ma un pungolo al cui contatto egli non può esimersi dal reagire. [Gemmo Iocco] PAGE \* MERGEFORMAT4