ABside. Rivista di Storia dell’Arte, 3 (2021), pp. 43-68
ISSN: 2704-8837
DOI: 10.13125/abside/4562
Un edificio ecclesiastico d’età altomedievale nella Sardegna
meridionale: la chiesa di Santu Miali a Is Mortorius
(Quartu Sant’Elena)
Fabrizio SANNA, Luca SARRIU
Cagliari
fabrizio.san@tiscali.it; luca.sarriu@gmail.com
Riassunto: Il contributo propone un nuovo inquadramento storico-artistico dell’edificio ecclesiastico di Santu
Miali a Is Mortorius (Quartu Sant’Elena). Partendo dallo studio di Renata Serra del 1973, dall’analisi de visu
del sito, da una lettura comparata dell’icnografia dell’edificio (esempi costruttivi attestati nel Mediterraneo
orientale, nel Nord Africa, nell’area italiana, e nella stessa Sardegna) e dalla riflessione sul dato agio-toponomastico di San Michele, si argomenterà la possibile esistenza di due fasi costruttive della chiesa (VI e IXX), a loro volta edificate su strutture più antiche.
Parole chiave: tardo antico, altomedioevo, architettura bizantina, San Michele, Sardegna.
Abstract: The contribution proposes a novel historical-artistic background of the ecclesiastical building Santu
Miali in Is Mortorius (Quartu Sant’Elena). On the basis of Renata Serra’s research (1973), the analysis of the
site, a comparative reading of the building’s ichnography (construction examples attested in the eastern
Mediterranean, North Africa, Italian area, and Sardinia itself), in addition to the reflection on hagiotoponyms named after San Michele, it will be theorized the eventual existence of two different construction
phases of the church (VI and IX-X), in turn built on older structures.
Key words: Late Antique, Early Middle Ages, Byzantine architecture, San Michele, Sardinia.
Status quaestionis (FS)
Nel territorio del comune di Quartu Sant’Elena (Cagliari), nella località denominata
Santu Miali indicata anche con il nome di Su Cunventu, sono presenti i ruderi d’un edificio chiesastico articolato in vari ambienti1. L’area, che fu interessata da saggi di scavo
condotti nel 1966 e da indagini successive, risulta coperta da teli di protezione posizionati dopo l’ultimo intervento e parzialmente nascosta dalla vegetazione spontanea. Allo
I ruderi del suddetto edificio risultano segnalati, senza indicazione del nominativo, nella tavoletta
dell’I.G.M (234 I SE). I resti della chiesa distano dal mare, in linea d’area, non più di 400, mentre per quanto
attiene all’altezza s.l.m. si sono registrasti 35 m: Serra (1973), 215, nota 4.
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stato attuale è quindi impossibile fornire una dettagliata, e precisa, definizione icnografica del monumento basandosi sulla sola analisi delle emergenze archeologiche, sostanzialmente interrate.
La chiesa, inserita in un’area di basse colline caratterizzate dalla presenza di numerosi
affioramenti granitici e di olivi selvatici, è prossima a un torrente denominato Su canali
de sa Cresia. La ricognizione dell’edificio, condotta de visu, ha permesso di osservare la
presenza di un corpo absidato (parzialmente interrato) e di altre strutture murarie, relative a paramenti laterali della chiesa, o pertinenti ad altri spazi di problematica definizione funzionale.
L'edificio è costruito su strutture più antiche, come indica il pavimento della chiesa
caratterizzato da tessere quadrangolari in cotto (posizionate secondo una disposizione a
spina di pesce) e impostato su una pavimentazione in cocciopesto (Fig. 1).
Fig. 1. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, paramento murario e pavimentazione in cotto poggiante su superficie in cocciopesto (foto F. Sanna).
Quest’ultimo tipo di pavimentazione, sebbene utilizzato senza soluzione di continuità dall’antichità fino (perlomeno) all’alto medioevo, potrebbe essere afferente a una
struttura d’età romana, forse databile tra la fine dell’età alto imperiale e la fase tardoantica2 (Fig. 2).
La presenza del cocciopesto potrebbe indicare l’esistenza di vani termali nel sito che, successivamente,
ospitò la costruzione della chiesa. Nel contesto isolano, limitandoci agli esempi archeologici più noti, citiamo
le terme romane di Tharros (Cabras) e Forum Traiani (Fordongianus), cfr. Sitzia (2020), 21-24; Turris Libisonis
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Fig. 2. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, frammento di tegula mammata
(foto L. Sarriu).
Tra i resti attualmente visibili, probabilmente da attribuire a un contesto archeologico
anteriore all’età medioevale, si segnalano due grossi blocchi lapidei, di forma quadrangolare, presenti nel lato sud della struttura. In tale contesto l’analisi storico-artistica della
chiesa si basa necessariamente sullo studio condotto da Renata Serra nel 1973, che fornì
un inquadramento stilistico e cronologico dell’edificio, e un rilievo planimetrico dello
stesso (Fig. 3).
(Porto Torres) (terme Pallottino), cfr. Gasperetti, Condò (2019), 437; Nora (Pula) (terme centrali), cfr. Frontori
(2018), 54, che mostrano l’impiego del cocciopesto. L’osservazione diretta del sito di Santu Miali a Is Mortorius ha constatato la presenza (in superficie) d’un frammento di tegula mammata (misure: h 7 cm circa, 11 x
10 cm circa) generalmente utilizzata negli edifici termali per il riscaldamento dei calidaria, cfr. Zucca (1988),
4 o in strutture atte a ricevere intonaci o affreschi, per limitare la presenza d’umidità, cfr. Adam (1990), 294.
Queste tegole presentano generalmente una forma quadrata o rettangolare ed erano provviste, su una delle
due superfici, di protuberanze a sezione circolare (simili a capezzoli) lunghe 4/5 cm, cfr. Lugli (1957), 581;
Nielsen (1990), 15; Del Giudice (2015-2016), 18-19. L’esemplare frammentario attestato nel sito di Santu Miali
(lati 12 x 13, altezza 8 cm circa) presenta una forma residuale pseudo rettangolare caratterizzata da una
protuberanza tronco-conica provvista d’un orifizio passante. Questo genere di tegulae, dette anche hamatae
Nielsen (1990), 15 risultano, ad esempio, impiegate nel calidarium femminile delle terme stabiane di Pompei
- Jorio (1978), 179; Adam (1990), 294 e in strutture termali ad Ostia - Lugli (1957), 549. Nel contesto isolano si
sono rinvenute tegulae amatae in impianti termali dell’antica Biora (Serri) Zucca (1988), 6, dell’antica Sulci
(Tortolì), presso la chiesa di Santa Barbara e nella zona di San Lussorio sempre nel territorio di Tortolì, nella
Colonia Iulia Augusta Uselis (Usellus), presso la chiesa romanica di Santa Reparata Mastino (2005), 290-295.
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Fig. 3. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, planimetria
(da Serra 1973).
La configurazione icnografica della chiesa, pubblicata nell’articolo della studiosa,
consta di un ambiente quadrangolare dotato di tre absidi orientate a Nord. L’abside centrale (quella ad oggi visibile) appare leggermente più ampia di quelle laterali (Fig. 4). La
chiesa presenta un ingresso principale, perpendicolare all’abside centrale, e un accesso
laterale in asse con l’abside sinistra, mentre tutto l’edificio risulta recintato da un muro
dal perimetro quadrangolare, visibile tuttora in alcuni tratti (Fig. 5). All’esterno della
chiesa - alla destra rispetto all’ingresso principale - fu rilevata la presenza di un pozzo,
allo stato attuale non visibile, perché obliterato dall’interramento e dalla vegetazione.
L’edificio, secondo l’ipotesi proposta da Renata Serra, fu interessato da due distinte
fasi costruttive. La chiesa triabsidata, databile tra il IX ed il X secolo, dovette caratterizzarsi per un ipotetico impianto centrico a croce greca inscritta, con quattro pilastri (e
altrettante arcate) delimitanti il vano centrale all’incrocio dei due bracci. Questa ipotesi,
per quanto verosimile, non risulta comunque confermata dallo scavo archeologico del
1966, in cui non sono state rilevate le suddette strutture portanti3. A una seconda fase,
post IX-X secolo, si ascriverebbe un ridimensionamento planimetrico dell’immobile, caratterizzato da un’unica navata dotata della sola abside centrale e delimitata da nuovi
paramenti murari, edificati sul mattonato della chiesa originaria.
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In attesa d’eventuali conferme archeologiche la nostra tesi attende ulteriori verifiche.
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Fig. 4: Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, veduta dell’abside centrale della
chiesa (foto F. Sanna).
Fig. 5. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, tracce delle strutture murarie di
recinzione della chiesa (lato Nord-Ovest) (foto F. Sanna).
Queste nuove strutture murarie rilevate nella planimetria, meno spesse rispetto ai
paramenti della chiesa originaria, avrebbero sostenuto una nuova copertura a capriate.
A conferma di questo, nell’area prospiciente la chiesa si sono osservati numerosi frammenti di tegole, forse riferibili a tale seconda fase edilizia (Fig. 6).
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Fig. 6. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, frammenti di tegole
(foto F. Sanna).
Proposta di inquadramento storico-artistico della chiesa di Santu Miali a Is Mortorius (FS)
Per quanto attiene all’aspetto icnografico, la metodologia comparativa risulta vincolante - anche in assenza di dati archeologici oggettivi - per contestualizzare formalmente
e stilisticamente questo edificio. La presenza delle tre absidi rimanda a modelli architettonici orientali ben documentati in area israeliana, siro-palestinese e giordana.
Tra i più antichi edifici triabsidati è certo quello del Getsemani, con le absidi laterali
inscritte e quella centrale sporgente, che sembra risalire alla fine del IV secolo4, e San
Simeone stilita a Kalat Seman datato alla seconda metà V secolo5. Questo imponente
martyrium a croce presenta il braccio est diviso in tre navate terminanti con tre absidi6. A
Hippos-Susita (Israele), la basilica absidata con synthronos è affiancata a nord da una cappella quadrangolare (che fungeva da battistero) dotata di tre navate e tre absidi (la centrale più grande delle laterali)7. L’esplorazione archeologica iniziata a Elusa, nel deserto
del Negev (Israele), ha riportato alla luce una grande basilica triabsidata con nartece e
atrio colonnato di circa 77 m di lunghezza, e 30 m di larghezza8. A Pella (Tabaqat el Fahl)9
e a Gerasa10sono state rinvenute due basiliche ugualmente caratterizzate da un impianto
De Angelis D’Ossat, Farioli (1975), 136.
Concina (2003), 29, fig. 33.
6 Krautheimer (1986), 143, fig. 44.
7 Piccirillo (1989a), 477, fig. 13.
8 Piccirillo (1989a), 483, fig. 16.
9 Piccirillo (1989a), 469, fig. 5.
10 Piccirillo (1989b), 1705, fig. 5.
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trinavato e triabsidato. Queste strutture, datate tra il VI e il VII secolo11, si configurano
come grandi impianti basilicali caratterizzati da un evidente sviluppo longitudinale comunque assente nella chiesa di Santu Miali che presenta, al contrario, uno sviluppo trasversale generante una pianta rettangolare compatta, di ridotte dimensioni. Con gli edifici analizzati precedentemente la chiesa di San Michele condivide esclusivamente la caratteristica dell’abside centrale, leggermente più ampia di quelle laterali.
Analizzando il contesto Nordafricano, il territorio libico ha restituito le emergenze
archeologiche della basilica di Breviglieri (El Khadra), ascritta al V secolo e caratterizzata
da un impianto trinavato con terminazione absidata (un unicum in tutta la Tripolitania)12.
La chiesa di Breviglieri, come il San Michele di Is Mortorius, consta di ambienti dimensionalmente ristretti e ridotti all’interno di un parallelepipedo, ma si vincola alla tradizione africana dei volumi compatti di lontanissima ascendenza copta, che pone la chiesa
libica in relazione agli esempi di Chafagi Aamer e di Gasr es Suq el-Oti, entrambi datati
intorno al V-VI secolo13.
Le absidi di questi edifici, compresa la basilica di Breviglieri, si caratterizzano per
l’esistenza di passaggi al termine di ambedue le navate laterali, che conducono ad ambienti secondari. Le absidi laterali perdono quindi qualunque carattere di tipo cultuale e
la possibilità di funzionare come cappelle, aspetto questo che è estraneo al San Michele
di Is Mortorius14.
Anche nell’ambito della Italia settentrionale si annoverano vari edifici triabsidati,
come San Gervaso di Centallo (Cuneo), la cui ultima fase costruttiva si data al VII secolo
in età longobarda15. La chiesa di Santa Maria in Sylvis di Sesto al Raghena (Pordenone),
ascrivibile al VII-VIII secolo, presentava un impianto triabsidato innestato su un’aula
rettangolare generante una planimetria a “T”16. La chiesa di Santa Croce a Sabiona
(Chiusa-Alto Adige), consta di una planimetria triabsidata ascrivibile al VII secolo17.
Questi edifici esaminati, ad ogni modo, mostrano una pianta a croce commissa o uno
sviluppo delle navate prevalentemente longitudinale, assente nel San Michele di Is Mortorius che, al contrario, consta d’una planimetria compatta articolata in senso orizzontale.
Inoltre le absidi della chiesa edificata nel territorio quartese sono caratterizzate da ampiezze sostanzialmente uguali (quella centrale è appena leggermente più grande delle
laterali), mentre l’abside centrale dei suddetti edifici di età longobarda risulta nettamente più ampia, e marcatamente protesa in avanti, rispetto a quelle laterali.
11 Rispetto alla basilica di Pella, come osservò Piccirillo, non si ha una precisa datazione archeologica.
Sappiamo comunque che il vescovo della città, Zaccaria, con Antonio vescovo di Ascalon, fu incaricato da
Giustiniano di valutare i danni subiti dalle città e dai luoghi di culto palestinesi durante l'insurrezione samaritana del 529 Piccirillo (1989a), 469-470.
12 De Angelis D’Ossat, Farioli (1975), 136.
13 Ward Perkins et. al. (1953), fig. 25, fig.27.
14 De Angelis D’Ossat, Farioli (1975), 48.
15 Pantò, Pejrani Baricco (2001), 23.
16 Cagnana (2001), 153, fig. 34.
17 Nothdurfter (2001), 153, fig. 51.
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Per quanto attiene ai confronti con edifici ecclesiastici del Sud Italia, relazionati a un
orizzonte culturale di età tardo longobarda, la planimetria del San Michele di Is Mortorius mostra alcune analogie formali con una serie di strutture cultuali d’area campana,
come la chiesa di Santa Maria Assunta in Pernosano18, Santa Maria Assunta a Frigento
(tra la prima fase del VIII e il IX secolo) e Sant’Aniello di Quindici, datate tra l’VIII ed il
IX secolo19 (Fig. 7).
Fig. 7. Quindici, Chiesa di Sant’Aniello, planimetria (da Marrazzi et al. 2018).
Queste chiese dell’area irpina (che comunque non presentano uno schema a croce
greca inscritta, ma uno spazio interno diviso in tre navate mediante pilastri a sezione
quadrata) furono costruite durante la presenza longobarda, tra gli anni settanta dell’VIII
ed il IX secolo20. Questo periodo storico risulta caratterizzato dall’azione dei due grandi
monasteri di Montecassino e San Vincenzo a Volturno che ebbero stretti rapporti con i
duchi ed i principi longobardi21. La planimetria attuale della chiesa di Santu Miali, più
Mollo, Solpietro (2001), 1-6.
Marrazzi et al. (2018), 345, fig. 4 a-b.
20 Negli anni immediatamente successivi alla discesa dei longobardi in Italia (568) Benevento, la capitale
del ducato longobardo, si caratterizzò per un ambizioso programma edilizio implicante la costruzione della
chiesa di Santa Sofia e d’un palatium che trasformarono la modesta città beneventana nella Ticinum geminum,
la seconda Pavia - Roma (2008): 7. I ducati di Benevento e Spoleto furono tradizionalmente autonomi, evidenziando una certa libertà d’azione politica rispetto alla autorità regia Azzara (2018), 119.
21 Tra l’VIII ed il IX secolo nei territori dell’aerea irpina e del principato beneventano/salernitano rivestirono un ruolo di assoluta importanza i due grandi monasteri di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno
legati (da stretti rapporti), con duchi e principi longobardi Marrazzi et al. (2018), 348.
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che a modelli protobizantini, sembra evidenziare legami con modelli icnografici del periodo mediobizantino, come argomentò Renata Serra22.
Condividendo la proposta della studiosa, ipotizziamo che lo spazio quadrangolare
della chiesa presentasse uno schema a croce greca inscritta, a cui probabilmente era associato un corpo cupolato centrale sorretto da 4 pilastri, o colonne, posizionati sugli altrettanti quattro angoli di un quadrato. L’ipotetica articolazione spaziale a croce greca
inscritta, e le ridotte dimensioni del San Michele di Is Mortorius, relazionerebbero parzialmente l’edificio a una serie di costruzioni attestate nell’Italia meridionale, come le
chiese di San Pietro di Otranto (Lecce)23 (Fig. 8), di San Marco a Rossano (Cosenza)24 (Fig.
9), e la Cattolica di Stilo (Reggio Calabria)25 (Fig. 10), tutte datate tra il IX e l’XI secolo26.
Fig. 8. Otranto, Chiesa di San Pietro, planimetria (da Safran, 1992).
Serra (1973), 218-220.
La chiesa di San Pietro di Otranto, dotata di una unica cupola centrale Safran (1992), fig. 5-6 e d’un
impianto a croce greca inscritta, fu datata al IX-X secolo Guillou (1974), 184, all’XI secolo Krautheimer (1986),
511 e, genericamente, al periodo normanno Prandi (1964), 673.
24 Loiacono (1934), 374, fig. 1.
25 Bairati, Finocchi (1988), 244, fig. 507.
26 Fortunato, Zappani (2018), 11-12.
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Fig. 9. Rossano, Chiesa di San Marco, planimetria (da Loiacono, 1934).
Fig. 10. Stilo, Chiesa la Cattolica, planimetria (da Bairati, Finocchi, 1988).
Con la chiesa di San Marco a Rossano il San Michele di Is Mortorius condivide, inoltre,
l’impiego di mattonelle in cotto (quadrangolari e prive di smalto) nella pavimentazione27. Sembra interessante notare come l’impiego del laterizio, di reimpiego o di nuova
produzione, sia presente anche nei pavimenti dei primi piani delle torri e in quello della
chiesa cattedrale del Castrum bizantino (nucleo originario del VI secolo) di Santa Maria
del Mare (Stalettì-Catanzaro) durante una nuova fase edilizia datata tra il IX e il X-XI
27
Loiacono (1934), 380.
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secolo28. Questi edifici si configurano come un sincretismo tra un impianto di tipo basilicale (per la presenza delle 5 cupole), e lo schema planimetrico a croce greca, che a sua
volta rimanda alle chiese basiliane con cupola e tamburo presenti in Oriente. Le chiese
di Rossano e Stilo erano, inoltre, ambedue relazionate a insediamenti lavrotici presenti
nelle immediate vicinanze delle chiese29.
Anche la Sicilia, tra il VI e il IX secolo, fu interessata dall’insediamento di comunità
monacali orientali30. Espressione architettonica di questa cultura artistica rupestre altomedievale è l’oratorio di San Micidiario (Pantalica – Siracusa) (IX secolo), in cui l’aula
liturgica è formata da un’unica navata di forma pseudo quadrangolare dotata di tre absidi31.
Rispetto all’area materana32, intensamente frequentata da comunità ellenofone, dobbiamo ricordare la chiesa rupestre di San Pietro in Princibus (IX-X secolo), probabile centro di una laura monastica. La struttura, caratterizzata anch’essa da tre absidi, presentava in origine un impianto a croce greca inscritta, secondo il tipo canonico deutero bizantino33. In quest’ottica non sembra casuale che lo schema icnografico di questi edifici
(croce greca inscritta con cupola centrale e tre absidi), si ritrovi praticamente identico
nelle chiese rupestri della Cappadocia, come indicano gli esempi di Hallac Manastir (Ortahisar)34 e Selime Kalesi ascritte intorno al IX secolo35.
Per quanto attiene al contesto sardo, l’edificio planimetricamente più simile al San
Michele di Is Mortorius è la chiesa di Sant’Antonio Abate a Iglesias, anch’essa probabilmente legata a un impianto monastico36 (Fig. 11). La chiesa di Iglesias, intitolata al Santo
anacoreta patriarca degli eremiti, condivideva con l’edificio dell’agro quartese la presenza delle tre absidi, e la probabile suddivisione in tre navate. La chiesa di Sant’Antonio
a Iglesias, sebbene profondamente alterata, presenta l’abside centrale più ampia e più
alta rispetto a quelle laterali, presentando una conformazione a “ferro di cavallo”, inusuale nell’architettura altomedievale della Sardegna37. Anche la chiesa di San Michele,
sebbene in modo meno evidente, consta di un’abside centrale leggermente più ampia,
che indica la distinzione dell’area presbiteriale in presbiterio, prothesis e diaconicon.
Donato, Raimondo (2001), 176-179.
Fortunato, Zappani (2018), 12.
30 Comes (2014), 23.
31 Venditti (1967), 215; Comes (2014), 26, fig. 3.
32 Venditti (1967), 349.
33 Comes (2014), 26, fig. 34.
34 Rodley (2010), 13, fig. 2.
35 Rodley (2010), 64, fig. 13.
36 Cavallo (1984), 85.
37 Questa specifica conformazione dell’abside “a ferro di cavallo”- come osservò lo stesso Giorgio Cavallo- è peculiare di architetture altomedievali d’area iberica come gli esempi di Santa Comba de Bande, San
Fructuoso de Montélios, Santa María de Melque, Santiago de Peñalba - Utrero Agudo (2009), 138, fig. 1. Nel
contesto costruttivo isolano questo tipo di conformazione absidale risulta sostanzialmente assente.
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Fig. 11. Iglesias, Chiesa di Sant’Antonio (da Poletti, Marras, 1995).
Per quanto concerne la copertura della chiesa di Sant’Antonio Abate, Giorgio Cavallo
ha ipotizzato un sistema di capriate, che si allontanerebbe dalla copertura cupolata su
pianta centrale proposta per la chiesa di San Michele. Bisogna comunque ricordare che
lo stesso studioso ipotizzò una fase primitiva della chiesa (forse orientata a nord), in cui
non si può escludere l’originaria esistenza di una cupola centrale. Sia il San Michele sia
il Sant’Antonio Abate (datato da Giorgio Cavallo non oltre l’XI secolo) furono edificati
in contesti rurali38.
Ambedue gli edifici mostrano un parziale uso del laterizio, nel caso di Is Mortorius
individuabile (allo stato frammentario) nella zona dei paramenti murari laterali, mentre
nel Sant’Antonio di Iglesias osservabile nelle sole finestre39. Anche la chiesa di San Salvatore, sempre nel territorio di Iglesias, nell’area identificata come l’antico villaggio di
Pardu, doveva originariamente presentare una conformazione triabsidata40.
38 Rispetto alla problematica cronologica Roberto Poletti e Fabrizio Marras - condividendo la proposta
formulata da Giorgio Cavallo - datano l’edificio tra la metà del X e la fine dell’XI secolo, cfr. Poletti, Marras
(1995), 31.
39 Poletti, Marras (1995), 46, tav. 3. Nelle chiese di Sant’Antonio Abate, di San Salvatore, di San Pietro di
Sarrichei, tutte nel comune di Iglesias, si è riscontrato l’utilizzo dell’opus incertum e dell’opus latericium, cfr.
Bellu (2015), 902.
40 Bellu (2015), 901-902. Rispetto all’analisi stilistico-strutturale dell’edificio si veda Coroneo (2011), 391396.
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Nel Nord Sardegna la chiesa di Santa Croce a Ittireddu (Sassari), datata tra l’VIII-IX
secolo, consta di tre absidi (quella centrale dell’aula mononavata e quelle laterali del
transetto lungo le testate orientali) ma presenta, contrariamente al Santu Miali di Is Mortorius, una pianta a croce latina col braccio longitudinale più largo rispetto a quello trasversale41. Sebbene il prolungamento della navata si dati a una fase romanica42, l’originario impianto a croce greca monoabisdato, con la successiva apertura delle absidi minori laterali (VII secolo)43, non trova una corrispondenza icnografica con la compatta
planimetria quadrangolare del Santu Miali. L’altro edificio sardo icnograficamente relazionabile con la chiesa di San Michele di Is Mortorius è la basilica protobizantina di
Sant’Antioco dotata di tre absidi e d’un corpo cupolato centrale, probabilmente esemplata sul modello della chiesa cagliaritana di San Saturnino (a sua volta elaborata sul
prototipo dell’Apostoleion di Costantinopoli nella sua fase giustinianea)44.
Le dimensioni compatte che si possono ritrovare anche in altre aule monoabsidate,
come il San Nicola di Donori (Cagliari), potrebbero aver presentato proporzioni analoghe a quelle ipotizzate per la chiesa di San Michele di Is Mortorius45.
L’ipotetico impianto a croce greca inscritta in un quadrato della chiesa di Is Mortorius
(insieme agli edifici citati dell’area calabro-pugliese) deriverebbe -a nostro giudizio -da
altri prestigiosi prototipi architettonici triabsidati, come le chiese di Dere Ağzī (Turchia)
datata al IX secolo46, la Koimesis di Nicea, dell’VIII secolo ma ricostruita durante il 106547
(Fig. 12), la Santa Sofia di Salonicco il cui impianto originario, secondo Theocharidou,
risalirebbe al VII secolo48, e la chiesa della Panagia a Skripoú (nella Grecia centrale) datata mediante un’iscrizione agli anni 873-87449 (Fig. 13). Questi grandi edifici della architettura ecclesiastica post-giustinianea esaltano l’importanza dello spazio centrale sormontato da cupola, dove si celebrava il grande Mistero della messa rappresentante la
ragion d’essere dell’intero edificio, secondo una tendenza ben attestata già nei costruttori
di chiese all’epoca di Giustiniano. Il vano con cupola centrale e brevi bracci coperti da
volta a botte (altro elemento peculiare dell’architettura chiesastica del VI secolo), si configura come elemento tipico delle chiese progettate nell’epoca successiva a Giustiniano,
tra VIII e IX secolo50.
Coroneo (2011), 386.
Galli (1991), 45, Fig. 35.
43 Coroneo (2011), 381.
44 Coroneo (2011), 183.
45 Per la planimetria del San Nicola di Donori si veda Coroneo (2011), 163-165, fig. 221-222. Ad una fase
successiva della chiesa (databile tra il VI-VII secolo), andrebbero riferite le iscrizioni medioelleniche e i frammenti di arredo liturgico del X secolo: Coroneo (2011), 165.
46 Krautheimer (1986), 312, fig. 78.
47 Krautheimer (1986), 317, fig. 81.
48 Mentzos (2009), 89, nota 11.
49 Bevilacqua (2011), 411.
50 Krautheimer (1986), 310.
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Fig. 12. Nicea, Chiesa della Koimesis (da Krautheimer, 1986).
Fig. 13. Skripoú, Chiesa della Panagia (da Krautheimer, 1986).
Questi modelli architettonici, dotati di piante a croce greca inscritta con cupola centrale, poterono rappresentare una referenza per i contesti costruttivi periferici delle varie
provincie dell’impero. Dal punto di vista tecnico, oltre all’impiego di laterizi osservabili
in stato frammentario nell’area archeologica, i paramenti murari laterali sono costituiti
56
Un edificio ecclesiastico d’età altomedievale nella Sardegna meridionale…
da elementi lapidei (di natura prevalentemente granitica), sommariamente sbozzati con
l’impiego di zeppe fittili51 (Fig. 14).
Fig. 14. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, particolare dei paramenti
murari inglobanti laterizi (foto di F. Sanna).
Si tratta di murature in bozze classificabili anche come “complesse” (secondo la definizione del Mannoni) corrispondenti ad apparecchiature murarie realizzate in pietrame
misto e corsi irregolari52 (Fig. 15).
Fig.15. Quartu Sant’Elena, Loc. Is Mortorius, Chiesa di Santu Miali, particolare dei paramenti
murari (foto di F. Sanna).
51
52
Putzu (2009), 1126.
Anedda, Nonne (2013), 817.
57
Fabrizio SANNA, Luca SARRIU
Questo tipo di strutture murarie sono di più rapida esecuzione e meno dispendiose53
rispetto alle opere isodome formate da corsi di pietre omogenee e regolari. La parete
interna del corpo absidato centrale, si caratterizza per una spessa superficie di malta
biancastra.
A nostro giudizio l’impianto del IX-X secolo della chiesa di Santu Miali, caratterizzato
da uno sviluppo planimetrico quadrangolare dotato di tre absidi e da un ipotetico corpo
cupolato centrale, si configura come il ridimensionamento d’un edificio ecclesiastico più
antico, a sua volta impostato su strutture di epoca romana o anteriori. La chiesa originaria di San Michele, secondo l’ipotesi proposta, fu forse edificata nel VI secolo nell’ambito
del primo periodo di bizantinizzazione della Sardegna legato alla riconquista giustinianea dei territori precedentemente controllati dai vandali54. Secondo la nostra ipotesi la
chiesa di Santu Miali fu rifunzionalizzata da una piccola comunità monacale, forse di
provenienza orientale, che restituì la sanctitas al luogo di culto abbandonato, ricostruendo-contemporaneamente-una rinnovata identità culturale del territorio con il proprio lavoro ed esempio55. In quest’ottica la presenza di alcuni ambienti rettangolari, costruiti con la stessa tecnica di blocchi appena sbozzati dei muri laterali, potrebbe riferirsi
a spazi funzionali alla dimora dei monaci.
Non è da escludere che la chiesa originaria dedicata a San Michele presentasse uno
sviluppo in senso longitudinale, certamente maggiore rispetto all’impianto successivo
che posteriormente fu ridimensionato. Questa chiesa primitiva inglobava, forse, al suo
interno il pozzo che - in modo anomalo - si trova di fronte al lato destro dell’ingresso
principale della chiesa, la cui presenza è la probabile causa della mancata apertura in
facciata di un ipotetico terzo accesso laterale, perpendicolare all’abside destra. In questo
senso dobbiamo ricordare come nella stessa Sardegna siano attestati edifici medievali
che includono all’interno pozzi di origine nuragica, come la chiesa di Sant’Anastasia a
Sardara (Cagliari), costruita nel XV secolo su un più antico edificio di epoca bizantina, il
quale risemantizzò in senso cristiano lo stesso pozzo d’età protostorica56. Un contesto
simile, sebbene non identico al caso di Sardara, si può osservare nel santuario settecentesco di San Priamo a San Vito (Cagliari) costruito su un primitivo luogo di culto altomedievale (inglobante una domus de janas) e relazionato ad un originario culto di acque
sorgive57.
L’impianto originario della chiesa di Santu Miali, forse del VI secolo, riutilizzò probabilmente le strutture più antiche caratterizzate dal citato pavimento in cocciopesto (forse
relativo ad una struttura d’epoca alto imperiale), su cui si innestò il pavimento in mattoni
(a nostro parere coevo all’edificio del IX-X secolo).
La tendenza a costruire strutture ecclesiastiche rurali rifunzionalizzanti edifici del periodo romano è un dato ampiamente documentato in Sardegna, in epoca altomedievale.
In questi termini le chiese di Santa Maria di Villasimius, Santa Maria di Vallermosa,
Mannoni (2005), 16-17.
Spanu (1998), 16.
55 Orselli (2012), 4, nota 59; Del Lungo (2014), 265.
56 Ugas (1984), 148; Coroneo (1998), 278.
57 Spanu (1998), 164.
53
54
58
Un edificio ecclesiastico d’età altomedievale nella Sardegna meridionale…
Santa Maria di Mesumundu (Siligo), Santa Filitica (Sorso), Santa Maria di Bonacattu (Bonarcado), Sant’Andrea di Piscinappiu (Narbolia) e San Giorgio (Ulassai), sfruttarono
strutture termali romane preesistenti58. In particolare la chiesa a croce greca di Santa Filitica (VI e VII secolo) fu costruita sul nucleo originario di una villa romana caratterizzata
dal largo impiego di cocciopesto e intonaco59.
Pensiamo che la fase triabsidata del Santu Miali di Is Mortorius (forse impostata su un
edificio d’età protobizantina), sia legata all’insediamento d’una comunità monacale di
provenienza orientale in fuga dai moti iconoclasti del IX secolo60, o dalla pressione araba
sul mediterraneo61. Ipotizziamo che l’edificazione della chiesa di Santu Miali a Is Mortorius, da parte di monaci orientali, si attesti tra il IX ed il X secolo, durante la fase di formazione delle entità statuali giudicali, che tendono a rendersi indipendenti dalla autorità
imperiale bizantina proprio in questa fase62.La presenza di monaci orientali nella Sardegna meridionale sembra inoltre ipotizzata da Rossana Martorelli che indica la possibile
esistenza, tra VIII ed il X secolo, di un monastero ellenofono a Cagliari, presso Santa
Maria de portu gruttis63.
Il culto micaelico nel contesto quartese (LS)
Il culto di San Michele è diffusissimo in Sardegna, e la sua antichità è testimoniata
anche da fonti documentarie64. Risulta però, al momento, piuttosto difficile seguire le
tracce della sua diffusione e ancor più arduo individuarne nello specifico la data di introduzione nell’Isola. È noto che il culto micaelico prende avvio in Medio Oriente ancor
prima dell’avvento del Cristianesimo, come testimoniato dal celebre passo di Giovanni
5, 465. Sebbene, nel passo, non si citi esplicitamente l’Arcangelo Michele, e il capitolo sia
stato interpretato da più parti come una glossa al testo originario, la tradizione esegetica
Consetino (2002), 55-56.
Rovina (2001), 15-16.
60 Martorelli (2010), 51-52.
61 Del Lungo (2014) 245. La pressione araba contribuì, inoltre, ad allontanare la Sardegna dal controllo
imperiale, ponendo l’isola nelle condizioni di provvedere in autonomia e con i suoi soli mezzi alla difesa e,
ove possibile, al contrattacco Schena (2013), 44 verso forze militari nemiche.
62 Zedda (2006), 71.
63 Martorelli (2014) 50.
64 Sul culto di Michele e degli angeli in Sardegna e sulle relative fonti storiche, archeologiche e documentarie, si rimanda a Martorelli (2012), 211 ss.
65 Gv. 5: Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore,
una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi,
zoppi e paralitici. [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi
dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto]. Si trovava là un uomo che da trentotto anni
era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: "Vuoi guarire?". Gli rispose il
malato: "Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per
andarvi, qualche altro scende prima di me". Gesù gli disse: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina". E sull'istante
quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. I passi biblici in traduzione italiana sono citati
secondo l’edizione CEI 2008. Il paragrafo 5.4, non incluso nell’edizione del 2008, è citato secondo l’edizione
CEI 1974.
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59
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Fabrizio SANNA, Luca SARRIU
è concorde nell’individuare nell’angelo che opera all’interno del santuario proprio l’Arcangelo Michele.
Il culto è attestato ab antiquo anche in Egitto, dove alla protezione di San Michele erano
affidate le piene del Nilo. Introdotto precocemente nella stessa Costantinopoli, il culto
fu importato alla fine del V secolo in Occidente, il cui centro originario di diffusione è
tradizionalmente individuato nel santuario di Monte Sant’Angelo al Gargano in Puglia66.
La figura dell’Arcangelo Michele assume connotati culturali piuttosto ampi nel corso dei
secoli, e il rapporto reciproco tra i diversi connotati specifici non appare sempre perspicuo.
In estrema sintesi, Michele appare come divinità salutifera legata principalmente
all’elemento dell’acqua, come evidenziato dal passo evangelico di Giovanni, e alle pratiche di incubazione; alla funzione di psicopompo e quindi di tramite con il cielo in
quanto sede definitiva delle anime67; alla funzione di capo militare e patrono degli eserciti68 e infine, ad ulteriore specificazione dei già citati connotati taumaturgici, a liberatore
dalla peste.
Nei secoli queste connotazioni si combinano tra di loro in maniera diversa, ma convivono tra esse pur mutando e apparendo, di volta in volta, predominanti l’una sull’altra.
L’importanza del santuario garganico non coincide, almeno secondo studi recenti, con l’assenza di
luoghi di culto più antichi ma meno influenti nella diffusione del culto dell’arcangelo, come quello situato
al sesto (o settimo) miglio della Via Salaria citato dal Martirologio Geronimiano e considerato storicamente
il primo santuario micaelico in Italia. La bibliografia sul santuario pugliese e sulla sua storia è abbondante.
Mi limito qui a citare, soprattutto per la ricchezza dei riferimenti alla bibliografia legata al santuario: Otranto
(2003), Sensi (2007), Sensi (2012).
67 Il testo scritturale che giustifica questa connotazione, ma con riferimento agli angeli in generale, è,
principalmente, Lc 16,22: Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Nomina invece
esplicitamente Michele la Lettera di Giuda, opera che, tra quelle canoniche, presenta i più numerosi spunti
di interesse riguardo il culto degli angeli. La datazione della lettera, tra il 70 e l’80 d.C., conferma la precocità
del culto tra le prime comunità cristiane. È universalmente accettato che l’opera risenta profondamente della
conoscenza di produzioni apocrife, di ascendenza ebraica o cristiana, che imputano agli angeli azioni positive nella vita dell’uomo. Nel testo si riconoscono l’influenza del Libro di Enoch (opera la cui redazione finale
è datata al I secolo d. C., ma basata anche su testi più antichi almeno a partire dal III a.C.), e dell’Assunzione
di Mosè (testo di ambiente giudaico ascrivibile al I secolo d. C.), ma non mancano spunti che potrebbero
risalire ad altri testi apocalittici da collocare cronologicamente intorno al I secolo d. C., eventualmente non
pervenutici. In particolare, appare importante l’azione di Michele nell’atto della disputa per il possesso del
corpo di Mosè: Gda 9 L’arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò
accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore! In questo passo, per esplicita affermazione di
molti autori cristiani antichi, Giuda dipende dall’apocrifo Assunzione di Mosè, dove si direbbe che Michele
introduca i defunti nell’aldilà: il testo attualmente conservato, forse da identificare non con l’Apocalisse ma
col Testamento di Mosè, non contiene però questo brano.
68 Questa connotazione è presente già nell’Antico Testamento, in particolare in Daniele 10,13: Ma il principe del regno di Persia mi si è opposto per ventun giorni: però Michele, uno dei primi prìncipi, mi è venuto in aiuto e
io l'ho lasciato là presso il principe del re di Persia, Dn 10,21: Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità.
Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe, Dn. 12,1: Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran
principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Nell’Apocalisse di Giovanni Michele guida gli altri angeli nella lotta
finale contro Satana, Ap. 12, 7-8: Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro
il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo.
66
60
Un edificio ecclesiastico d’età altomedievale nella Sardegna meridionale…
Per quanto appaia sempre rischioso attribuire una cronologia precisa alle diverse attribuzioni di specifiche caratteristiche a singoli santi, nel caso di Michele sembra piuttosto
plausibile che la prima qualificazione sia quella di divinità salvifica e guaritrice. Se il
legame con l’acqua è già presente nel passo evangelico citato, non mancano attestazioni
dell’esaugurazione, in favore di San Michele, di luoghi di culto originariamente dedicati
ad Asclepio o Apollo69.
Un ulteriore indizio dell’antichità della connotazione salutifera sembra rintracciabile
nell’attestazione di pratiche di incubazione nei pressi dei luoghi di culto dedicati a San
Michele, che ne lasciano facilmente intuire una continuità funzionale rispetto a culti precedenti70.
La connotazione dell’Arcangelo Michele come nume tutelare di truppe ed eserciti
sembra più tarda rispetto a quella taumaturgica, ed è probabilmente da ricercarsi
nell’importazione del culto a Costantinopoli e nella trasfigurazione della corte imperiale
sul modello celeste. Il processo di identificazione tra la Corte imperiale e la Corte celeste
è un processo conosciuto e, pur con notevoli modifiche e adattamenti nel corso dei secoli,
rimane una costante nella cosmologia orientale. Il processo di identificazione delle coorti
angeliche con l’esercito imperiale risulta quindi facilmente comprensibile e quasi inevitabile, tanto da coinvolgere la stessa iconografia angelica, progressivamente adattata a
quella dell’abbigliamento militare e dei suoi mutamenti nel tempo71.
Alla luce dei testi biblici già citati, la connotazione di Michele come capo di eserciti
appare quella più aderente al dato scritturale. La specifica attribuzione di Michele come
liberatore dalla peste, pur ispirata all’elemento taumaturgico originario, è legata, come
è noto, all’episodio legato alla figura di Gregorio Magno che, nel 590, durante la vacanza
del soglio petrino, promosse una processione penitenziale per la liberazione di Roma
dalla peste: durante il passaggio del corteo processionale nei pressi del Vaticano, il Pontefice scorse, sulla sommità del Mausoleo di Adriano, la figura di Michele che rinfoderava la spada, e interpretò la visione come annuncio dell’immediata fine della pestilenza.
L’edificio quartese, pur presentando problemi di datazione legati alla mancanza di
specifici dati archeologici, pare presentare una dedicazione a San Michele originaria. Alcune caratteristiche specifiche del luogo di culto indicano infatti importanti indizi che ne
69 La diffusione precoce del culto in Egitto lascia presumere un contatto con il culto di Anubis e Thot,
divinità preposte al giudizio delle anime. Per la Frigia, teatro già in antico di santuari dedicati all’arcangelo,
si presumono esaugurazioni di luoghi di culto precedentemente dedicati alla Magna Mater, principalmente
nel caso di fonti taumaturgiche o di luoghi di culto genericamente dedicati a divinità salutifere. In questa
direzione sembra da collocarsi la dedicazione a Michele del promontorio di Hestiae, sul Bosforo, dove l’imperatore Costantino edificò un Michaelion; per una veloce rassegna bibliografica sulle esaugurazioni in favore di Michele, si veda Ferruti (2007). Nel caso del santuario pugliese è stata proposta la preesistenza di un
culto di carattere iatromantico legato alle figure di Calcante e Podalirio: Otranto et al. (1980), Lassandro
(1983).
70 Il celebre Michaelion edificato sul Bosforo da Costantino era universalmente noto per le pratiche di
incubazione. Potrebbe essere proprio la popolarità delle proprietà taumaturgiche dell’arcangelo ad avere
indotto, nell’ambito della capitale, a propagandarne il culto di protettore della città e dell’Impero. Si veda,
a tal proposito, Janin (1964).
71 Saxer (1985).
61
Fabrizio SANNA, Luca SARRIU
riportano la dedicazione già al momento della sua costruzione. Importante appare l’esigenza, nelle fasi di riadattamento che appaiono tuttora superstiti, di preservare il pozzo
sacrificandogli la simmetria della facciata, che si sarebbe dovuta, con tutta probabilità,
presentare con tre e non due porte. A conferma di una datazione alta della stessa dedicazione sembra da imputarsi la presenza stessa del pozzo, che caratterizzerebbe l’edificio come struttura ad instar del santuario garganico, eventualità già nota per altri luoghi
di culto in cui l’assenza di spelonche naturali o acque sorgive era sopperita, appunto,
dalla realizzazione di pozzi o cisterne da cui l’elemento lustrale potesse essere attinto72.
Resta da indagare la modalità culturale di un’importazione così arcaica del culto micaelico in una zona che, per la vicinanza al capoluogo e per la posizione estremamente
prossima alla costa, parrebbe fare ipotizzare un’importazione di livello “alto”, legata
quindi a una diffusione del culto promossa dai vertici amministrativi e burocratici a rivendicazione dell’appartenenza a un ambiente di cui il culto stesso fosse parte integrante
e distintiva.
Michele, Martino e Leone IV: le possibili motivazioni per l’abbandono (LS)
Il territorio di Quartu S. Elena presenta un interessante repertorio agiotoponomastico,
relativo, talvolta, a edifici chiesastici tuttora esistenti, come quello di San Michele, o alla
memoria popolare di edifici di cui non si conservano neanche le seppur minime emergenze archeologiche73. È il caso della località Santu Martini, o Martinu, che prende il nome
da una chiesa già attestata nel 1365, quando è elencata tra le rendite della Mensa Arcivescovile di Cagliari74. Per quanto, appunto, esista tale toponimo nell’agro quartese, non è
da escludersi che la chiesa di San Martino citata nei documenti sia proprio l’attuale parrocchia di Sant’Elena che, probabilmente già a partire dal suo impianto originario romanico, conservava, come tuttora conserva, proprio le reliquie di questo santo75.
Sull’originaria dedicazione della chiesa parrocchiale, a Martino e non a Elena, esiste
una curiosa testimonianza documentale in cui, ancora alla metà del 1800, si ribadisce
L’ipotesi dell’anteriorità del pozzo alla struttura cristiana, seppur non confermabile, attualmente, dal
dato archeologico, si inserirebbe nel panorama della ridedicazione di acque lustrali, fonti, pozzi e cisterne a
personaggi del pantheon cristiano. Ci si limita qui a citare, tra la numerosissima bibliografia, l’ottimo Spanu
(2008).
73 Struglia (1992).
74Boscolo (1961). Per la chiesa di San Martino, l’unica tra quelle quartesi ad essere nominata, oltre a quella
di S. Agata, di cui però non viene citata alcuna rendita, p. 34.
75 Si tratta dei resti di un non meglio conosciuto Martino de Fame, rivenuti durante i lavori di ampliamento dell’edificio e lo spostamento dell’altare maggiore dal presbiterio all’attuale cappella del Crocifisso.
Le ossa erano all’interno di un sarcofago corredato dalla scritta hic iacet Santus Martinus. A sovrapposizione
del culto di un Martino martire locale su quello di Martino di Tours pensa Carlo Pillai in Pillai (1994), 196197. Nelle respuestas compilate nel 1777 dal rev. Pedro Ponsillon a losinterogatorios del vicario dell’Arcidiocesi
di Cagliari mons. Francesco Maria Corongiu, si parla esplicitamente delle reliquie e il Martino in questione
viene definito come martire sardo: se diseque en el altar major haigaelcuerpo de San Martin Martir Sardo, y en
elfrontal de marmol del altar major esta efigiadodicho Santo Martino pero no si tiene noticiacierta. Cannas-Gugliotta
(1989), 30.
72
62
Un edificio ecclesiastico d’età altomedievale nella Sardegna meridionale…
come il titolare della parrocchia sia, appunto, San Martino76. Il culto di San Martino non
è particolarmente diffuso in Sardegna, ma pare, proprio a giudicare dal documento trecentesco, che si connota come una presa d’atto della situazione precedente alla sua stesura, che la sua presenza a Quartu fosse legata a un luogo di culto di una certa importanza, quando non addirittura, come ipotizzato, alla titolarità della chiesa principale77.
Risulta interessante, a questo proposito, rilevare che, per alcune aree dell’Italia centrale e settentrionale, sia possibile stabilire un rapporto antitetico proprio tra i culti di
Michele e Martino: secondo questi studi, il culto di San Michele, rafforzato, quando non
introdotto dai Longobardi, sarebbe stato poi contrastato, in funzione anti-ariana, con
l’introduzione del culto di San Martino. Il processo sembrerebbe attestato in maniera
esemplare nel rapporto antitetico tra il santuario di S. Angelo al Monte Fogliano, di probabile fondazione longobarda, e la più tarda Abbazia di San Martino al Cimino78. Tale
rapporto antitetico, che rimarrà costante anche in epoche più recenti, risulta attestato fin
dai primi decenni della riconquista giustinianea: il caso più eclatante rimane, ovviamente, l’attuale basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, nata come luogo di culto
ariano sotto l’intitolazione di Domini nostri Jesu Christi e ridedicata proprio a San Martino
nel VI secolo.
Anche se non sembra possibile ipotizzare un legame tra la chiesa quartese dedicata a
San Michele e un’eventuale influenza culturale diretta da parte dei Longobardi
sull’Isola, appare singolare la contemporanea presenza del culto a Michele e a Martino
in un territorio di grande importanza economica e vicinissimo al capoluogo. Questa evidenza potrebbe però fornire un interessante spunto di indagine per comprendere meglio
il contesto di un episodio celeberrimo legato proprio al culto di San Michele in Sardegna.
Nell’epistolario di Leone IV79 è tramandata una lettera a Giovanni, vescovo di Cagliari, in cui, dietro l’espressa richiesta di un parere da parte del prelato sardo, si ordina
di distruggere dalle fondamenta, e poi ricostruire e riconsacrare, un altare nella chiesa
santi Archangeli, sita in predio Lustrensi80. La storiografia sarda, che ha inizialmente collocato questo avvenimento nell’ambito delle dispute iconoclaste, ha proposto l’identificazione di Arsenio, che consacrò l’altare, con un vescovo di possibile confessione iconoclasta. Per quanto, ad oggi, le posizioni risultino alquanto sfumate, e l’ipotesi iconoclasta
non sia, per lo più, seguita, è forse possibile qui che papa Leone, se non addirittura il
vescovo Giovanni, ipotizzino un qualche coinvolgimento di Arsenio non tanto in ambito
iconoclasta quanto in ambito ariano, tanto da decidere la distruzione dell’altare di San
76 Si tratta di una deliberazione del Consiglio Comunale in cui si propone di ricollocare nell’altare maggiore la cassa contenente le reliquie di San Martino, titolare della chiesa, che era stata lasciata nell’Oratorio
del Rosario dopo la conclusione dei lavori di restauro (ASCQ I.). Sull’ipotesi di una intitolazione dell’attuale
parrocchiale di Quartu a San Martino, cfr. soprattutto Meloni, Perra (2001), 64.
77 Di un’intitolazione antica a Sant’Elena parla invece Ida Farci in Farci (1988), 89.
78 Ceccarini, Benassi (2002), 236.
79 Può essere interessante ricordare che Leone IV visse i primi anni della propria educazione presso il
monastero di San Martino in Vaticano, e che fu proprio il papa sardo Simmaco a introdurre, qualche secolo
prima, il culto di Martino a Roma, intitolandogli il santuario di San Martino ai Monti, sorto sulle rovine di
un antico edificio dedicato al culto generico dei martiri.
80Epistolae Pontificum Romanorum ineditae, Loewenfeld (ed.), (1885), 72.
63
Fabrizio SANNA, Luca SARRIU
Michele proprio a sancire la condanna di quest’ultima eresia e di eventuali sue persistenze nell’area cagliaritana. Se letta in quest’ottica, la vicenda spiegherebbe forse l’introduzione a Quartu del culto di Martino, a discapito del santuario micaelico che
avrebbe, nel giro di poco tempo, perso importanza e prestigio tanto da vedere drasticamente ridotte le proprie dimensioni.
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