Frankfurter elektronische Rundschau zur Altertumskunde 28 (2015)
Il Complesso funerario di Neferhotep (Luxor): una lunga storia di ‘riutilizzi’.
Progetto, metodologie, tecnologie, scavo e protocolli archeometrici integrati
Maria Violeta Pereyra, Maria Giorgia Di Antonio, Maria Violeta Carniel, Oliva
Menozzi,
con Appendici di approfondimento di:
Marialaura Di Giovanni, Eugenio Di Valerio, Angelo Palumbo, Marcella Giobbe
Abstract
The project is focusing on a monumental funerary complex which is located in the
Valley of the Nobles at Luxor. The topographic context is certainly very interesting,
both because it is not very well known and deeply investigated, as well as because it
appears to have been densely exploited in antiquity and for long time. It was then
intensively inhabited in the last two centuries, fact that determined the obliteration of
numerous tombs, but also the loss of the sense of context of this section of the ancient
necropolis of Luxor. It was certainly in antiquity an important section of the
necropolis, looking at the monumentality of some of the tombs, and it has been
continuously used for centuries for funerary purposes, not only during the “pharaonic
period”, but also during later periods, as clearly suggested by Ptolemaic tombs,
Greco-Roman inscriptions and finds.
A large team is collaborating at the project, including very different scholars
and senior students working together from the excavation to the topographic survey,
from the diagnostic mapping to the conservation, from the anthropometric analysis to
the archaeometric studies, from the epigraphic interpretation to the historical
reconstruction. A multidisciplinary approach to the study of this funerary complex can
guarantee both an interdisciplinary interpretation of the monuments, as well as of their
evolution and use throughout a long period. Too often, in fact, the monuments in
Egypt are analysed just looking at their original plan and use in the pharaonic period;
nevertheless, in the Theban necropolis the interesting phenomenon of the ‘re-use’ is
widely attested, and the tombs present frequent enlargements, later openings,
junctions with neighbor tombs, later passages transforming the original plans.
The Neferhotep’s Complex represents one of the most interesting in this sense
because about six tombs have been built around a large courtyard in the late Bronze
period, but about three more phases are clearly attested now by the new excavations
and surveys, showing that also in the ‘later periods’, from the 7th to the 1st centuries
BC, the tombs in this complex were continuously reused for burials and widely
reorganized, transforming slowly their original shapes. In Roman times, the presence
of the legions in the area, has determined a partial change of use of some of the areas
of the necropolis, while some other contexts have continued to be used for funerary
purposes.
The plan of the funerary complex is quite articulated (fig.1), with a central
square courtyard, crowning and emphasizing the larger tomb, which is known as
TT49. It was built just at the end of the XVIII dynasty and still preserves the original
spectacular paintings. The conservation of the decorations is based on the use of a
non-invasive laser methodology. A German team (PROCON) is conservating the
17
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tomb, and within the last eight seasons a large portion of the paintings in the funerary
chapel have been completely cleaned and consolidated. An equip of Egyptologists,
both Argentinian (the University of Buenos Aires and the CONICET) and Brasilian
(of the National Museum of Rio de Janeiro) is studying and interpreting hieroglyphics
and iconographies. Moreover, a team of archaeologists, geologists and topographers
from the University of Chieti is working at the excavations of other two tombs of this
architectonic complex and at the mapping of the context and of the tombs. During the
last seasons also a team of anthropologists and palaeo-botanists from the Museum of
Chieti University has joined the team, especially because of the large quantity of
human and organic remains coming from the excavations. The aim of this paper is to
present the project, its interdisciplinary methodologies and the preliminary results of
the last seasons. Moreover, the complex is presented here analyzing not only the main
original tombs and monuments, but including the numerous phases through the
centuries till recent times.
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Fig. 1 Il Complesso funerario di Neferhotep dalla planimetria di DAVIES 1933.
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La TT 49: il progetto e la tomba
Maria Violeta Pereyra
Il progetto di ricerca e conservazione della tomba di Neferhotep
La conca orientale del Mediterraneo ha prodotto nell’antichità una diversità di
espressioni funerarie che possono essere ricostruite grazie all’interpretazione
dell’evidenza archeologica ed epigrafica. Il nostro caso prende ad esame un
monumento articolato della necropoli dei Nobili dell’antica Tebe (Luxor), le cui
vestigia permettono di identificare le pratiche sociali con cui l’élite sin dalla XVIII
dinastia (ca. 1327-1300 a.C.) fino alla piena età ellenistica affrontò il problema della
morte, favorendo la lettura delle fondamenta che diedero consistenza ai riti funerari.
Il Progetto di Ricerca e Conservazione della Tomba di Nerferhotep
inizialmente era incentrato sulla documentazione e prevenzione del monumento1,
catalogato come TT49 (i.e. T[heban] T[omb n°]492), che ha in comune il proprio
cortile con un gruppo di tombe la cui cronologia va dalla fine della XVIII dinastia al
Periodo Ramesside (XIV-XIII sec. a.C.). Il suo primo proprietario è stato Neferhotep
figlio di Neby, un funzionario del tempio di Karnak, che fra i suoi titoli poté
annoverare quello di “Grande di Amon” 3 oltre al ruolo di Supervisore del bestiame di
Amon del Alto e Basso Egitto e Supervisore delle tessitrici di Amon4.
Il grande valore patrimoniale del monumento, tale da giustificare la messa in
opera del progetto di conservazione, deriva dall’alta posizione del suo proprietario al
servizio del dio tebano, raggiunta probabilmente grazie alla fedeltà della sua famiglia
susseguitasi per almeno quattro generazioni. In accordo alle rappresentazioni di
Neferhotep come un uomo anziano si può dedurre che fosse coevo ad Amenhotep IV
e alla sua riforma, periodo di persecuzione del culto di Amon e, di conseguenza, dei
suoi servitori, tra i quali quindi suo padre Neby5 ed egli stesso.
La datazione della TT49 viene attribuita al regno di Ay in base ai resti del
cartiglio conservato nel vestibolo e alla damnatio memoria della statua del
1
Nel 1999 ha avuto inizio il progetto di ricerca e conservazione della Tomba di Neferhotep ad opera
dell’Istituto de Investigaciones de Arte y Cultura del Oriente Antiguo della Facultad de la Universidad
Nacional de Tucuman. Le campagne sono dirette dalla prof. M. Violeta Pereyra (ricercatrice del
CONICET e Prof. di Storia Antica nella Facoltà di Buenos Aires), con la partecipazione di un team
internazionale che negli anni ha visto l’alternarsi di diversi gruppi di lavoro. Ad oggi l’Università di
Buenos Aires con i suoi egittologi e i conservatori tedeschi (PROCON, cordinati da Nina Verbeek) si
occupano della ricerca storica e della conservazione, mentre il team dell’Università di Chieti, diretto
dalla prof. Oliva Menozzi, porta avanti la ricerca archeologica, dal 2013, e la documentazione 3D del
monumento, dal 2008. Sin dal 2013 il team di egittologi si è arricchito anche della collaborazione del
prof. Antonio Brancaglion e della sua équipe di egittologi del Museo Nacional di Rio de Janeiro. Dalla
Missione del 2015 al progetto si è unito anche l team di antropologi dell’Università di Chieti, diretti dal
prof. Luigi Capasso e dal prof. Ruggero d’Anastasio.
2
Forma abbreviata per la denominazione dei monumenti privati della necropoli, stabilita e realizzata
durante la loro catalogazione nel 1913 da Gardiner e Weigall: TT (Theban Tomb) seguita dal numero
assegnatole in catalogo. Catalogazione utilizzata anche da Porter e Moss nel I volume della loro opera
(1961).
3
CABROL 1993.
4
DAVIES 1933: I, 17.
5
Neby nella TT49 ostenta il titolo di sab “dignitario” (DAVIES 1933: I, pl. LIV). Si tratta di una
designazione onorifica usata per esaltare la figura paterna nelle tombe dei funzionari (WHALE 1989:
259-261), senza fare menzione ad altri titoli che rivelassero le specifiche funzioni del padre del
proprietario della tomba. I titoli del nonno e del bisnonno di Neferhotep invece mostrano che loro erano
al servizio del tempio di Amon (DAVIES 1933: I, pl. XIX).
20
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proprietario scolpita nella nicchia della cappella di culto; denunciando quindi
l’appartenenza di Neferhotep ad un gruppo vincolato ai cambiamenti politici
dell’epoca. La tomba sicuramente gli fu assegnata dopo l’abbandono di Akhetaton e il
ritorno dell’egemonia del culto di Amon, rappresentando il suo grande tempio nella
parete nord della cappella6. Questa ed altre scene sono di grande originalità, databili
come il monumento ad un periodo di transizione che vede l’utilizzo di risorse tecniche
e stilistiche proprie degli artisti di Amarna per l’elaborazione del messaggio richiesto
dalla nuova ideologia postamarniana. Anche gli stessi elementi usati nell’arte del
regno di Amenhotep III, sono stati adattati in qualche modo ora rinnovandoli per
cambiare il senso.
La tomba di Neferhotep è stata conosciuta ed esplorata dai pionieri
dell’egittologia che studiarono Tebe –come Edward W. Lane, Jean-François
Champollion7, Ippolito Rosellini e John Gardner Wilkinson- ed è stata anche
documentata dai migliori copisti dei primi decenni del XIX secolo: Nestor L’Hôte,
Robert Hay8 e John Burton. La scoperta della facciata e la pulizia del cortile portate a
termina da Robert Hay hanno permesso l’entrata al monumento dall’ingresso
originale, da quel momento ha avuto inizio un processo che ha accelerato il suo
deterioramento a causa della facilità con cui l’area si rendeva accessibile ai visitatori.
La famiglia di Karim Yusuf (Figs. 2 e 3) ha utilizzato la tomba come
abitazione e stalla dalla fine del XIX secolo fino al 1913 quando le autorità per
proteggerla hanno adottato determinate misure di sicurezza chiudendola con un
cancello di ferro e un lucchetto. A quel punto gli occupanti hanno limitato il loro uso
al cortile fino alla fine degli anni ’20, quando è stato ordinato il suo sgombro e
l’indagine delle tombe che in esso si aprivano per poter mappare più correttamente
l’intera area.
Lo studio sistematico dell’intero monumento e la sua pubblicazione sono state
portate a termine dalla spedizione del Metropolitan Museum di New York, che ha
iniziato a lavorare nella TT49 nell’autunno del 1920, protraendo la sua permanenza
nel monumento fino agli anni ’30. I risultati di queste attività incentrate sulla
documentazione topografica e la decorazione della tomba sono state pubblicate nel
1933 nell’opera The Tomb of Neferhotep at Thebes.
Da allora la tomba è stata aperta al pubblico, fino a quando negli anni ’90 è
stata chiusa per poterla meglio preservare. I funzionari del Servizio Egiziano delle
Antichità in più occasioni sono rientrati per sistemare internamente e proteggere
blocchi di pietra trovati nell’area della collina, pratica che continuò anche dopo la
concessione alla Misión Argentina a Luxor.
6
Sviluppate qui una serie di scene che rappresentano il tempio e i suoi domini (DAVIES 1933: II, pl.3).
Ha assegnato alla tomba il n° 53 (CHAMPOLLION 1973 [1844-1879], p. 546-551).
8
Hay identifica la tomba nei sui manoscritti e nel suo diario con il n° 11, attualmente conservati nella
British Library di Londra (Add. MSS. 31.054 Diary of travel in Egypt by Robert Hay).
7
21
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Fig. 2 Cortile della TT49 nel 1921
Fig. 3 Cortile della TT49 nel 1999
Ora al suo interno si alternano gruppi di lavoro di diverse nazioni per riportarlo al suo
antico splendore, con un team internazionale. Inizialmente il lavoro prevedeva la
documentazione del monumento seriamente danneggiato dal passaggio del tempo e
dall’azione di diversi fattori antropici e naturali. Al suo sviluppo hanno partecipato
ricercatori della Facultad de Arte della Universidad Nacional de Tucumán e della
Facultad de Filosofía y Letras della Universidad di Buenos Aires9. Un team di
specialisti in pitture murarie e monumenti in pietra, della PROCON di Colonia
(Germania), si occupa della conservazione, mentre l’Università di Chieti porta avanti
la ricerca archeologica, la nuova documentazione grafica del monumento e l’analisi
antropometrica ed antropologica dei resti umani.
Il progetto scientifico è stato quindi ampliato ed arricchito negli ultimi anni,
grazie ad una collaborazione più ampia con altri team che lavorano su diversi fronti,
garantendo un approccio multidisciplinare più completo.
Il monumento
Il sito deve essere considerato come un vero complesso architettonico, in quanto
costituito non solo da una singola tomba ma anche da quelle di altri funzionari
vincolati al gran tempio di Amon. Ad ognuna di esse si accede dall’ingresso situato
nel cortile, che hanno in comune, con una cronologia che va dalla fine della XVIII
dinastia ad epoca ramesside (XIV-XIII sec. a.C.).
La TT49 occupa una posizione centrale rispetto alla TT187 e TT-347-10 che
sono state scavate sul lato nord mentre la TT362, TT363 e TT-348- sul lato sud. I
9
Alla ricerca archeologica della TT49 hanno collaborato anche i colleghi brasiliani: Dr. José Pellini
(2009-2013) e il team dell’Universidad Federal di Río de Janeiro diretto dal Dr. Antonio Brancaglion
(Jr.) dal 2014.
10
Nuove tombe sono state catalogate nel XX secolo dopo il lavoro di indagine portato a termine
dall’Università di Heidelberg assegnando ad esse un numero tra trattini (KAMPP1996).
22
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nomi dei loro proprietari in alcuni casi sono arrivati fino a noi: del primo proprietario
della TT187, degli inizi della XIX dinastia, abbiamo l’inizio (I[…])11 invece il suo
secondo occupante si chiamava Pakhyhat; i nomi dei rispettivi proprietari della TT362
e TT363 erano Paanemwaset e Paraemheb entrambi della XX dinastia12 (Kampp
1996: II, 589), fino ad ora non si conoscono i nomi degli occupanti delle altre tombe
(Kampp 1996: II, 761).
In corrispondenza con i principi della società dell’epoca - dove i rapporti di
parentela erano il punto di giunzione dei vincoli sociali, politici, economici e religiosiil complesso architettonico qui considerato è stato disegnato in accordo ad una
organizzazione appropriata dello spazio per creare un ambito che potesse essere
condiviso da un gruppo di persone vincolate probabilmente da legami famigliari13,
destinato alla sepoltura e al culto postumo dei suoi membri.
La tomba di Neferhotep è la più antica del complesso ed è stata scavata sulla
pendenza orientale della collina di el Khokhah con un asse longitudinale che segue un
orientamento est-ovest (fig.1).
Sul lato ovest dell’ormai noto cortile si apre la facciata del monumento
funerario di Neferhotep decorata da una stele ad ogni lato della porta. Quella del lato
sud è completa, anche se mal conservata, mentre quella intagliata sul lato nord è stata
appena sbozzata. L’architrave della porta ha una doppia scena di adorazione
accompagnata da colonne di testi geroglifici, così come anche gli stipiti sono ricoperti
di iscrizioni (fig. 4). Il primo passaggio – decorato con scene di Neferhotep e sua
moglie dipinte in basso rilievo che adorano il sole che sorge (lato sud) e tramonta (lato
nord) - dà accesso ad una sala trasversale completamente decorata con pitture murarie,
così come il resto della sovrastruttura dell’ipogeo. Segue un secondo passaggio che
immette nella cappella di culto, stanza con quattro colonne e una nicchia con tre
coppie di statue sulla parete ovest (fig. 5).
Fig. 4 Facciata TT49
Fig. 5 Interno TT49
Ad entrambe le estremità della sala trasversale è stato scavato un pozzo verticale che
dà accesso ad un sepolcro. Altre due sepolture invece hanno l’entrata nella cappella di
culto: sul lato sud una scala seguita da un corridoio discendente porta fino alla camera
funeraria principale, mentre sulla parete nord è stata scavata un’apertura che permette
11
Non identificato in Porter e Moss (I Part 1, p. 293).
In Porter e Moss sono datate alla fine della XIX dinastia (I Part 1, pp. 426-427).
13
In accordo al senso lato del concetto di gruppo famigliare, come proposto da Willems per il Medio
Regno (2006: 214).
12
23
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l’ingresso in un’altra tomba, che Davies14 ha attribuito ad un usurpatore. È molto
probabile che questo spazio sia stato assegnato ad un parente di Neferhotep vissuto in
un periodo non troppo lontano dal suo (fig. 6).
Fig. 6 Ricostruzione 3D della TT49 (beige) e della tomba del “usurpatore” (verde)
Tanto il sepolcro principale della TT49 quanto quelli della TT187 e TT362 sono stati
riutilizzati alla fine del Nuovo Regno; con rispetto alle altre tombe non è possibile
datare i momenti di uso perché non ancora vengono indagate.
Il monumento sembra essere stato abbandonato subito dopo, e il trascorrere dei
secoli l’ha ricoperto di sedimenti, fino a quando agli inizi del XIX secolo un uomo del
posto è entrato al suo interno attraverso un tunnel scavato dalla superficie della collina
fino alla nicchia delle statue, distruggendo parzialmente le pitture e le sculture del lato
sud (fig. 7).
Fig. 7 Statue nicchia sud
14
DAVIES 1933: I, 4, 14
24
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Lo scavo dei pozzi funerari nella Tomba di Neferhotep
Maria Giorgia Di Antonio
All’interno della tomba di Neferhotep, nell’ambito di due congiunte missioni
archeologiche, nate dalla collaborazione tra i team delle Università di Buenos Aires e
di Chieti, sono stati indagati i due pozzi funerari situati rispettivamente a nord e a sud
nel vestibolo trasversale della tomba, e già esplorati dal Davies nel 192015.
Il pit meridionale, tagliato nel pavimento, ha una bocca a sezione quadrata,
verticale, che conduce ad un’anticamera e successivamente alla camera funeraria. Già
durante le prime fasi di scavo, all'inizio della colonna stratigrafica, è risultato evidente
che il riempimento della fossa non fosse legato ad un determinato momento della
tomba, ma era dovuto all'accumulo di periodi diversi, anche piuttosto tardi, durante
l'uso della stessa come abitazione.
La prima unità stratigrafica è caratterizzata da un livello di sabbia e polvere,
con una percentuale di materiale litico che mostra una naturale tipologia di
sedimentazione e trova come causa il semplice accumulo nel tempo, con diversi tipi di
semi, materiali organici, mentre invece molto scarso risulta essere il materiale
archeologico rinvenuto.
Circa un metro sotto questo accumulo detritico, è stata rinvenuta una testa
mummificata16 (fig. 8) recisa all’innesto con il collo, in ottime condizioni - conserva
ancora i capelli (a ciocche) e i denti – e dai tratti somatici marcati.
Fig. 8 Testa di mummia, pit S/W
Fig. 9 Gatto mummificato
Al di sotto del primo strato, ancora una volta la stratigrafia è essenzialmente dovuta ad
un accumulo detritico, ma con alcuni reperti interessanti, come numerose ossa,
frammenti di bendaggi (anche fossilizzati e cristallizzati a causa degli incendi),
ceramica di vari periodi e resti di un gatto mummificato (fig. 9), di cui sarà certo
molto interessante attendere i risultati delle indagini zoologiche magari per ricostruire
il prototipo felino nonché la tipologia di mummificazione17, che per quanto riguarda
gli animali sacri era stata perfezionata agli stessi livelli della mummificazione degli
15
DAVIES 1933, p. 5
È auspicabile in un prossimo futuro provare a ricostruire l'aspetto naturale della mummia e studiarne
anche attraverso l’analisi dei denti il suo stile di vita e la dieta alimentare dell’epoca; da una prima
analisi “visiva” la testa sembrerebbe appartenere ad una giovane donna o comunque ad un giovane
individuo, poco sviluppato, forse un ominide dai tratti nubiani (D’Anastasio); va inoltre ricordato che
analisi approfondite e più invasive necessitano di speciali permessi e devono essere effettuate in loco.
17
Le mummie degli animali si preparavano come le altre, sia con il bitume sia con il natron; infatti
l'additivo chimico per la mummificazione varia da periodo a periodo.
16
25
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esseri umani per quel che concerne le scelte, la preparazione e l’utilizzo delle sostanze
balsamiche e non era di certo meno accurata la disposizione delle bende18.
Scendendo ancora di un metro, emergono diversi resti di mummia: frammenti
di una spina dorsale, una sezione inferiore di una gamba con piede ed un braccio (fig.
10), anch’essi in buone condizioni di conservazione. Tali reperti sono stati associati
con frammenti di shabti e resti di legno, appartenenti sicuramente ad un sarcofago
ligneo dipinto (fig. 11), in quanto sono ancora visibili, sulla superficie tracce di colore
nero19.
Fig. 10 Resti antropologici, pit S/W
Fig. 11 Resti di sarcofago ligneo dipinto
L'alta percentuale di frammenti di intonaco e di pittura emersi a questi livelli, attesta
la loro provenienza dalle pareti dell’anticamera e conferma che i ritrovamenti emersi a
questi primi livelli della fossa funeraria non sono appartenenti alle sepolture originali,
ma probabilmente provenienti dal successivo riutilizzo della tomba; sappiamo infatti
che il materiale di riempimento è stato ivi posto dalla spedizione del Metropolitan
Museum di New York, poiché è stato rinvenuto un ritaglio di giornale con la data alla
base dello scavo20.
Rimosso tutto il sedimento accumulatosi sono emerse delle lastre di pietra,
poste di taglio a tamponare l’apertura che portava all’anticamera sottostante. Poiché la
stagione di scavo era ormai giunta al termine ed il passaggio non era più sicuro, per
poter permettere la rimozione delle lastre in totale sicurezza ma con poco tempo a
disposizione, si è deciso di chiudere momentaneamente il pit e terminare il suo scavo
in una futura missione.
Lo scavo poi, l’anno successivo, è stato portato a termine dal team argentino,
ed ha rilevato appunto un’anticamera rettangolare, posta longitudinalmente rispetto al
pit, da cui poi si accedeva (tramite un gradino) ad una successiva camera funeraria,
trasversale abbastanza regolare, anch’essa di forma rettangolare. Quest’ultimo
ambiente presenta sul lato sud un’altra apertura comunicante con il lato est
dell’anticamera, e molto probabilmente conduce alla tomba 362; momentaneamente
l’ingresso è stato tamponato per contenere lo scivolamento del sedimento caduto dalla
18
JOMARD 1929, pp. 87-95.
Con la termocamera ad infrarosso ed altre tecnologie potrebbero essere individuati gli altri colori
presenti utili per una ricostruzione iconografica delle pitture.
20
In tutti i pozzi che la spedizione americana ha riempito, sono stati trovati frammenti di giornale datati
da marzo a maggio del 1929.
19
26
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tomba vicina (fig. 12); questo collegamento tra le due tombe sarà indagato in un
prossimo futuro quando si finirà di scavare la TT362.
Fig. 12 Vista del cono di sedimento scivolato da una tomba vicina
Per quel che riguarda il pozzo nord, anch’esso presenta un’apertura (ca. 90cm x
80cm) discendente verticale di circa 2.30 mt. Già dall’inizio, asportando i primi strati
ci si è resi subito conto che il materiale affiorante era tutto rimescolato e
compromesso negli anni, depositatosi artificialmente, per cui si è cercato di operare
più velocemente rispetto al pit sud, per arrivare alle camere sotterranee e poterle
documentare.
Per quel che concerne il materiale esso risulta essere variegato, non
ricchissimo, ma comunque interessante, anche se non in giacitura primaria. Oltre ad
ossa, bendaggi, numerosi frammenti di mummie, si riscontra un’alta concentrazione di
frammenti di sarcofago ligneo dipinto, di cui alcuni pezzi, di colore nero, presentano
dei geroglifici dipinti in giallo (tipica decorazione della XVIII dinastia; il colore
giallo su sfondo nero, ricorda la luce dorata del sole)21; cartonnage e ceramica
variegata, perline in faience, di colore blu, vari shabti e frammenti di essi (fig. 13) ed
un pendaglio anch’esso in faience, che rappresenta un ureus o Wadyt (fig. 14).
Fig. 13 Frammenti di shabti
Fig. 14 Ureo in faiance
A più di un metro di profondità emerge un varco semi-circolare sul lato sud-est.
Rimosso tutto il sedimento detritico, emerge un “tappo di copertura” che blocca
l’accesso alla prima camera funeraria, e un altro blocco di calcare limita l’ingresso
alla seconda camera.
21
DODSON - IKRAM, 2008, p. 253
27
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Estratti i due blocchi, dopo la pulizia degli ingressi, emerge una struttura in mattoni
crudi, costruita successivamente come divisorio/chiusura tra i due ambienti: infatti,
l’ingresso della seconda camera, mostra una tamponatura di terra, paglia e sterco, e
presenta una sorta di plaster (bianco). Molto probabilmente le due camere, all’epoca
della loro costruzione, erano comunicanti.
La prima camera, di piccole dimensioni, si sviluppa allungata verso est, e si
presenta semi rettangolare, con le pareti non lisciate, infatti si notano ancora i segni
della lavorazione. Durante la sua pulizia è stato rinvenuto un frammento di naso, in
cartonnage appartenente ad una maschera funeraria dipinta di colore giallo, alcuni
shabti miniaturistici in ceramica comune, frammenti di cartonnages mono e multi
colore (con motivi floreali e geometrici) ed un frammento di muro che presenta un
geroglifico (una gamba, con tracce di pittura in rosso)22.
Fig. 15 Pagina del New York Times
Fig. 16 Scatola di sigarette
La seconda camera, si sviluppa invece in direzione nord-ovest ed oltre ad avere
anch’essa pareti non lavorate e dunque non lisciate, si presenta irregolare nella pianta
ed è altresì interessante notare che sviluppa il medesimo orientamento della camera
annessa alla parete nord della cappella23. Subito dopo l’ingresso, é situato un masso in
calcare, a simulare un gradino, che doveva appartenere con tutta probabilità alla
tamponatura della camera. Come detto precedentemente all’interno di entrambe le
stanze, si notano sulle pareti i segni di lavorazione della roccia ed oltre alle notevoli
tracce di bruciato, emergono evidenti efflorescenze saline che da alle pareti un effetto
di cristallizzazione. Procedendo nella documentazione grafica dei due ambienti e
confrontandola con la pianta del Davies24, si nota subito che la seconda camera nella
planimetria è più ruotata di 30/40 gradi, rispetto alla sua reale posizione; infatti chi
aveva disegnato allora gli ambienti25 non aveva notato che la parete ovest della
seconda camera è la prosecuzione della prima. Anche nel rilievo del pit sud-ovest e
delle due camere sottostanti troviamo la stessa imprecisione: infatti la seconda camera
si presenta collegata con la prima, e non ruotata verso ovest come veniva disegnata
nella planimetria pubblicata dal Davies 26(fig. 17). Anche se la stratigrafia non è
22
Come già detto, tra i numerosi rinvenimenti più o meno datanti, interessante é stato il ritrovamento di
alcuni fogli di giornali del “New York Times”(fig.15) datati il 10 marzo 1929 (periodo in cui il Davies
lavora alla tomba) ed alcune scatole di sigarette e fiammiferi della stessa epoca (fig.16).
23
Che presenta al suo interno un muro di mattoni crudi di fattura e costruzione identica a quello
presente a divisione delle due camere del pozzo nord. Il Davies attribuisce questo ambiente ad un
usurpatore.
24
DAVIES 1933, pl.VI.
25
Pianta della tomba, disegno di Walter Hauser.
26
Considerando l’epoca e la mancanza di mezzi digitali, il lavoro dello studioso rimane un grande
punto di riferimento.
28
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relativa all'uso funerario delle due fosse, è certamente molto importante capire come
in seguito la tomba sia stata riutilizzata; pertanto per il materiale rinvenuto sarà
certamente interessante attendere i risultati dello studio antropologico e archeozoologico; così come le analisi botaniche ed archeometriche sui diversi tipi di semi
rinvenuti potranno rivelarci l’alimentazione del tempo; così come potrebbe esser
interessante uno studio sulle modalità di bendaggio27 per meglio intendere la tipologia
del modello e del tessuto28 utilizzato.
Tali indagini, insieme ai dati finora acquisiti, ci permetteranno una più ampia
ed approfondita conoscenza delle ultime fasi di vita della tomba relative agli ultimi
due secoli della sua frequentazione.
Fig. 17 In nero la pianta edita dal Davies (disegno di WaIter Hauser);
in rosso parte del rilievo effettuato nel 2013.
27
Diverse sono infatti le tipologie di bendaggio riscontrate: a bande verticali, orizzontali, trasversali e
con trame di tessuto variegate.
28
I laboratori del MSSB (Museo delle Scienze Biomediche dell’Università di Chieti), CAAM (Centro
di Ateneo di Archeometria e microanalisi) e l'ITABC-CNR (Istituto per le Tecnologie Applicate ai
Beni Culturali del Centro Nazionale delle Ricerche di Roma) stanno già lavorando con le Missioni
archeologiche dell'Università di Chieti in Libia e Cipro.
29
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La cosiddetta Tomba dell’Usurpatore ed il fenomeno del riuso nella TT49
Maria Violeta Carniel
Dalle informazioni ottenute analizzando la tomba di Neferhotep, si deduce che un
primo riuso di questa tomba monumentale si ebbe già in un periodo prossimo
all’epoca del suo primo proprietario quando probabilmente la TT49 fu riassegnata ad
un funzionario di nome Rud (scriba dei documenti). Egli scavò all’interno della tomba
un proprio sepolcro destinato a conservare la sua mummia, quella di alcuni dei suoi
parenti e per riporvi il corredo che gli era destinato. Questa struttura annessa alla
cappella di culto della TT49, Davies29 la attribuì ad un “usurpatore”. Il sepolcro è
disposto in accordo ai requisiti del culto della fine della XVIII dinastia, e la sua
posizione nella parte nord della sala principale trova corrispondenza speculare nel
posizionamento topografico con quella di Neferhotep (fig. 18).
Fig. 18 Venuta dei sepolcri principali
Il primo riuso della tomba può essere probabilmente datato ad un momento di poco
posteriore al periodo originale del suo utilizzo, deducibile dal fatto che sia gli spazi di
culto che l’iconografia già esistenti vengono rispettati, questo fa pensare che tra i due
occupanti ci possa essere stato un vincolo di parentela o per lo meno di discendenza.
Il settore fu esaminato in forma preliminare dalla Missione Argentina a Luxor
durante la campagna di scavo del 2001 su sollecitazione del Ministero delle Antichità
e successivamente scavato negli anni seguenti. Le condizioni poco stabili del sito
29
DAVIES ,1933.
30
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hanno reso difficoltoso un lavoro continuativo che è stato possibile concludere solo in
più fasi.
Per via della sua lunga storia e dei vari rimaneggiamenti, il materiale
archeologico recuperato all’interno del monumento nella maggior parte dei casi non
era più in situ, e va considerato che la situazione “moderna” della struttura è il
risultato delle diverse attività avvenute al suo interno nel corso dei secoli. La
distribuzione dei manufatti può essere ricostruita dalla finalità ed accessibilità di ogni
settore, sostenuta anche da un’analisi iconografica; ad ogni spazio corrisponde un
significato simbolico corredato dalla disposizione intenzionale di determinati oggetti.
Nel descrivere l’architettura della tomba, Norman de Garis Davies30
documenta l’apertura della tomba di Rud come una timida entrata ben fatta, sprovvista
di architrave e stipiti, tagliata nella parte ovest del muro nord della cappella di culto
principale. Un piccolo tavolo per la deposizione delle offerte intagliato nella parete
vicino all’accesso lo porta ad ipotizzare che il sepolcro annesso possa far parte del
disegno originale del monumento.
Gli spazi utilizzati dal nuovo proprietario si sviluppano su due livelli, i primi
tre settori condividono la stessa quota del resto della sovrastruttura, mentre la camera
funeraria è ad una profondità di circa sei metri.
Oltrepassando la soglia si nota che le pareti adiacenti all’ingresso sono state
grossolanamente intagliate con il probabile fine di realizzare una sorta di passaggio
che immette nella prima stanza, la più ampia del sepolcro annesso. Sulla parete ovest
di questo settore è tagliata una piccola apertura poco curata che immette in una sala di
modestissime dimensioni; mentre sulla parete est, in coincidenza con l’angolo c’è un
varco (chiuso parzialmente da un muretto di mattoni crudi che serviva sicuramente a
delimitare e sigillare questa parte così da renderla inaccessibile) il quale dà accesso ad
un corridoio discendente che porta al pozzo funerario. Nel settore sotterraneo è
possibile individuare un’anticamera e una camera funeraria vera e propria separate da
un muretto in mattoni crudi. Probabilmente si tratta di tutto ciò che rimane degli stipiti
dell’entrata alla camera sepolcrale, sigillata da un grosso blocco di pietra ritrovato
ancora lì. Quest’ipotesi potrebbe essere sostenuta dal rinvenimento di mattoni
ricoperti da un materiale simile alla malta, utilizzati per chiudere l’entrata. La camera
funeraria si presenta come un fosso scavato con il solo scopo di contenere il
sarcofago, senza rifiniture di alcun genere.
I vari materiali trovati ed analizzati, anche se generalmente frammentari,
danno la certezza che il sepolcro annesso sia servito come luogo di sepoltura, poiché
sono quelli richiesti dalle prescrizioni funerarie dell’epoca: il cartonnage di una
maschera funeraria, i resti di una ghirlanda floreale, i sandali funerari, le perline della
rete che ricopriva la mummia.
E’ noto che il defunto avesse la necessità di un corpo ben conservato, parte
costituente del suo essere e anche dimora del ba (fig. 19), il quale accompagnava il
defunto nella sua uscita al giorno e nel rientro alla tomba. La preservazione del corpo,
ottenuta con la mummificazione permetteva al defunto di beneficiare di una vita
postuma. Dopo il rituale di apertura della bocca31, il defunto recuperava i suoi sensi
per poter essere giustificato nel giudizio davanti ad Osiride.
30
Davies inizio a lavorare nella TT49 nell‘autunno del 1920, protraendo la sua permanenza nel
monumento fino agli anni ’30, data in cui ultimò lo sgombro del cortile e l’indagine delle tombe che in
esso si aprivano per poter mappare più correttamente l’intera area (DAVIES 1933, I, p. 11).
31
NUZZOLO 2011. Questa pratica accompagna la storia egizia fino alla sua conclusione.
31
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Fig. 19 Circolazione del ba tra i livelli della tomba nel papiro di Neebqed (Naville 1886, I, Tf. IV)
Louvre III, 36
Il ritrovamento in questo settore di piccoli frammenti di resti umani e del cartonnage
di una maschera funeraria sono riconducibili alla presenza di mummie, mentre altri
elementi rinvenuti come i sandali, le perline in faience e i frammenti di ghirlanda
floreale sono da attribuire allo svolgimento del rituale di sepoltura.
I sandali funerari sono presenti già tra gli oggetti che decoravano i sarcofagi
nel Medio Regno, illustrando ciò di cui doveva essere composto un corredo funerario,
e i testi sollecitano il defunto a prendere il suo bastone, i vestiti e i sandali per
intraprendere il viaggio nell’aldilà. Secondo la rubrica del capitolo 125 del Libro dei
Morti, il defunto doveva presentarsi davanti ad Osiride per essere giudicato, vestito
con abiti di lino e ai piedi dei sandali. Sia l’iconografia della TT49 che di altre tombe
dello stesso periodo documentano questo uso, infatti i membri della famiglia reale ed i
funzionari vengono ritratti con queste calzature nei rilievi e nelle sculture. Neferhotep
viene così rappresentato in più scene della tomba: davanti ad Osiride in trono32, nel
ricevere la sua ricompensa dalle mani del re33, esaminando la preparazione del
corredo34, dedicando la sua offerta ad Anubi ed Osiride35, seduto davanti al tavolo
delle offerte36, nel presentare la sua offerta ad Amenofis I e Ahmes Nefertari37. I
sandali ritrovati nella camera funeraria sono in foglie di palma e del tipo con le punte
rialzate, che sembra essere stata un’innovazione di epoca ramesside. Il fatto che siano
di piccole dimensioni rende possibile attribuirli ad un membro della famiglia di
giovane età. Delineando un ulteriore momento di sepoltura all’interno del sepolcro
annesso.
Per quanto riguarda invece le ghirlande e gli ornamenti floreali, che
confermano la deposizione di una mummia in questo settore del monumento, essi son
ben documentati nel Nuovo Regno. Utilizzati durante la sepoltura e nella celebrazione
della ‘Bella Festa della Valle’, sono riconducibili alla restaurazione post-Amarniana
32
DAVIES 1933, I, pl. XXX
DAVIES 1933, I, pl. XIII
34
DAVIES 1933, I, pl. XXV
35
DAVIES 1933, I, pl. XXVIII
36
DAVIES 1933, I, pl. XXIX
37
DAVIES 1933, I, pl. L
33
32
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del culto “ossiriano” ed associati ad Amon. Il defunto veniva abbellito con questi
elementi vegetali vincolati al simbolismo del rinnovamento del ciclo vitale, sistemati
sulla mummia e nel sarcofago.
Se escludiamo la superficie adiacente l’entrata, il disegno architettonico del sepolcro
di Rud manca di una propria cappella di culto al suo interno, nella quale le offerte
potevano essere ricevute dal ka del defunto. Questa potrebbe essere la ragione per la
quale il nuovo proprietario sovrappose i propri titoli sulla statua di Neferhotep e quelli
di sua moglie Ankhnesmut su quella di Merytra: questo intervento fu necessario per il
compimento dei suoi riti funerari38. Allo stesso modo, intervenne sostituendo i propri
titoli sulle colonne di geroglifici degli stipiti del secondo passaggio che contenevano
le preghiere alle divinità Maat e Iside, Davies li rimosse quindi ora non sono più
visibili39. Tutto questo era necessario perché il nome costituiva una componente
essenziale dell’individuo, tanto nella sua vita terrena quanto in quella dell’oltretomba
-così come il ba, l’akh e la mummia- tanto quanto era importante il suo inserimento
nei papiri che servivano da guida nell’aldilà. Doveva essere riportato nelle statue e
nella tomba per assicurare che il ka ricevesse le offerte necessarie alla sua sussistenza
e perché la memoria del defunto fosse conservata, e quante più volte fosse stato
ripetuto il nome, maggiori erano le possibilità di non essere distrutto.
La sostituzione dei nomi dei proprietari originali con quelli di Rud e sua
moglie sulle statue è quasi giustificata e diventa necessaria per la sopravvivenza del
loro ka. Per evitare l’annientamento della persona il ka richiedeva offerte d’alimento,
che potevano essere o reali o simboliche: le prime erano depositate nel momento in
cui il defunto veniva inumato e durante le grandi cerimonie nella necropoli, come la
Bella Festa della Valle, quando le tombe erano aperte per il rinnovamento della vita.
Le seconde erano possibili grazie all’iconografia della tomba: il defunto40 è
raffigurato più volte, seduto davanti ad un tavolo di offerte nell’aldilà, ciò gli
assicurava l’approvvigionamento per l’eternità.
Il terzo intervento nell’iconografia parietale della TT49 è rappresentato dal
disegno della scena localizzata sull’entrata del sepolcro annesso (fig. 20). La
raffigurazione di un uomo che porge un’offerta floreale ad Osiride può essere
paragonata a quella riprodotta all’entrata del sepolcro principale della tomba di
Neferhotep (fig. 21).
Fig. 20 Intervento di Rud sopra l’architrave dell’accesso al sepolcro annesso
38
DAVIES 1933, I, p.12 Fig. 4
DAVIES 1933, I, p.53 Fig. 8.
40
Solitamente con la moglie.
39
33
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Fig. 21 TT 49, Iconografia sopra l’accesso
al sepolcro principale: Neferhotep
che porge un’offerta floreale ad Osiride
Come in questa, nella scena in cui interviene Rud sulla parete nord della cappella,
Osiride si trova ad ovest per ricevere il defunto che in questo caso è accompagnata da
un’iscrizione ieratica in inchiostro nero. La scena è mal conservata ma nello spazio
esistente tra il dio e l’offerente è possibile intuire che fosse raffigurato un tavolo di
offerte, andato perduto. Dell’iscrizione solo pochi segni sono conservati. Si tratta di
un graffito41 figurativo con un breve testo aggiuntivo, oggi anche questo andato quasi
completamente perduto, attraverso il quale un visitatore della tomba è associato al
culto funerario di Rud. Questa pratica è considerata tipica di una élite che ha dominato
la scrittura nel periodo ramesside: gli scriba42.
Questo è uno dei tanti casi che vede il riutilizzo di spazi funerari già esistenti
nel territorio della necropoli tebana, infatti a partire dal periodo ramesside non è
estraneo il ritrovamento di più sepolture di diverse epoche all’interno dello stesso
complesso architettonico. Il mantenimento del culto era responsabilità dei discendenti
del proprietario che ne aveva ottenuto il beneficio insieme al contributo economico
dello stato, una volta che questo per qualche motivo era stato dismesso la tomba
poteva essere riassegnata per adempiere alla funzione di culto di un nuovo occupante.
Il monumento continua ad essere usato, riusato e visitato anche in tempi più moderni,
estendendo la sua storia tanto da coprire un raggio cronologico molto ampio, che in
parte può essere ricostruito.
Secondo Champollion, la tomba di Neferhotep fu denominata Bab-abd-elMenam43 all’inizio del XIX secolo, dall’arabo che per primo si introdusse al suo
interno, creando una rottura e quindi un’apertura sopra la nicchia sud della cappella di
culto, causando la rottura delle statue (fig. 7).
Nel 1825 Edward William Lane documentò alcuni ipogei della necropoli
tebana e tra questi anche la TT49, che in quel periodo era conosciuta come la “tomba
dello shaduf ” per via delle rappresentazioni di questi attrezzi sulla parete nord della
cappella, proprio di fianco all’apertura della tomba di Rud. Descrivendo la situazione,
41
Altri tre graffiti, inediti, furono identificati da Wilkinson nel vestibolo della TT49. Scritti in ieratico
con tinta nera, Davies ne ha identificati solo due, probabilmente perché già nel XX secolo il loro
deterioramento era tale da renderli poco visibili.
42
RAGAZZOLI 2012, pp. 1-55; 2013, pp. 30-33.
43
CHAMPOLLION 1844-1879, p.546.
34
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dice che l’intero pavimento è ricoperto da mummie, tanto da non lasciare lo spazio
sufficiente per poter camminare. Lane è indubbiamente colpito dalla bellezza e la
lucentezza della decorazione.
Abbiamo notizie e documentazione relativa alla tomba anche grazie al
contributo del copista Robert Hay che la visita nel 1826; è lui che indentifica la
facciata del monumento, sgombera il cortile dai sedimenti che ostruivano l’entrata e
riproduce le prime copie della decorazione parietale, nel disegnare la cappella di culto
(fig. 22) spiccano i colori accesi e una montagna di mummie miste alla sabbia entrata
dall’apertura in alto creata dall’arabo.
Fig. 22 Cappella di culto (disegno di Hay)
Fig. 23 Sandali di epoca ramesside
La situazione cambia notevolmente con l’arrivo di Champollion, che si reca nella
necropoli qualche anno più tardi, nel 1828-1829, e nelle sue Notices Descriptives
riporta che la tomba è quasi in uno stato di completa distruzione. Ancora riferisce che
le tre sale del sepolcro annesso sono piene di mummie bruciate da un incendio
divampato proprio in quella parte del monumento, annerendo tutte le pareti,
soprattutto la parte superiore e il soffitto, che tutt’oggi si trova ricoperto da una
sostanza nera e oleosa secreta dalle mummie in combustione.
Champollion pensa che il responsabile di tale incendio possa essere il console
inglese Salt, che avrebbe usato questo modo per scacciare dall’interno della tomba i
saccheggiatori francesi rivali di quelli inglesi. Davies trova quest’idea poco probabile
visto e considerato che da un gesto tale nessuno ne avrebbe ricavato alcun beneficio,
ma solo la deturpazione delle magnifiche pitture e la rovina del monumento.
L’incendio può essere datato ad un periodo non precedente alla visita di Lane e Hay
né posteriore a quella di Champollion.
Quando la spedizione del Metropolitan Museum di New York arriva nella
necropoli, intorno al 1920, la situazione ancora una volta è completamente differente,
com’era uso frequente a quell’epoca la tomba di Neferhotep, era stata usata come
abitazione dalla famiglia di Karim Yusuf44. La loro permanenza all’interno, e l’uso
della struttura come stalla, ha portato non pochi danni alle scene inferiori della
decorazione. Evidenza della moderna occupazione del sito sono il ritrovamento di un
44
Vissero nella tomba dagli inizi del XIX secolo, dal momento in cui fu possibile entrare nella TT49
dalla porta principale, e vi rimasero quasi un secolo, fino a quando il Servizio delle Antichità la sigillò
per proteggerla.
35
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uovo ed una gallina, disidratati. Questo sarebbe l’ultimo riuso documentato della
struttura.
Dall’analisi dell’architettura della struttura si può dedurre che se il tavolo delle
offerte sulla parete nord della cappella è databile alla fine della XVIII dinastia,
l’assegnazione del sepolcro a Rud deve essere riconducibile a quel momento, mentre
la sua effettiva utilizzazione è della XIX dinastia in accordo con la cronologia dei
sandali (fig. 23) che potrebbero essere un esempio precoce di una manifattura
diventata comune nel periodo successivo.
36
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Il complesso funerario di Neferhotep: contesto topografico e scavo della tomba
TT 362
Oliva Menozzi
…in memoria di Domenico,
ispiratore della nostra ‘avventura in Egitto’
e sempre pronto a nuovi progetti ....
La contestualizzazione della TT 49 è estremamente interessante, sia perché essa
rappresenta il fulcro di un complesso funerario monumentale (fig.1), sia perché il
contesto topografico pur molto significativo, è a tutti gli effetti meno noto di altre aree
della necropoli tebana. Eppure la Valle dei Nobili è senz’altro tra le più sfruttate
nell’antichità come destinazione funeraria di famiglie spesso legate al clero o al culto
di Amon. Peraltro, il suo sfruttamento come necropoli risulta continuativo, con un
intensificarsi del riutilizzo di molti monumenti funerari anche nelle fasi considerate
‘più tarde’ da chi si occupa di Egittologia, come ad esempio tra III periodo intermedio
(X-VII sec. a.C.), il periodo cosiddetto Tardo (fine VII-IV sec. a.C.) e la piena fase
Tolemaica (che comprende sia la piena età ellenistica, che in un certo senso anche la
prima fase dell’età romana), con ampie attestazioni anche relative alle fasi Romana e
Copta45.
Il fine della partecipazione del team dell’università di Chieti al progetto di
ricerca sul complesso funerario di Neferhotep è legato proprio al tentativo di una
contestualizzazione del monumento sia sul fronte topografico che cronologico,
andandone anche ad analizzare tutte le fasi di riutilizzo, dall’antichità a periodi più
recenti, perché la storia del monumento possa essere più esaustiva possibile.
Troppo spesso infatti ci si sofferma sul singolo periodo di pianificazione,
realizzazione e prima utilizzazione di un monumento, senza contare che, spesso, sono
i molteplici riutilizzi e cambi di funzione che ne hanno determinato le sorti attraverso
i secoli.
La prima linea di ricerca del team di Chieti nell’ambito del progetto è relativa alla
documentazione grafica, fotogrammetrica e da laser scanner di tutto il complesso, nel
tentativo di creare un 3D della tomba, adatto ad una sua valorizzazione anche per
visite virtuali, da web o da remoto. Si tratta di un lavoro abbastanza lungo, ma che sta
già dando i primi interessanti frutti, sia sul piano della costruzione di un modello
tridimensionale, senz’altro più celere; ma anche relativamente ad una più dettagliata
realizzazione di un 3D della tomba da nuvole di punti di varia provenienza
(fotogrammetria, laser scanner, stazione totale robotizzata)46. Parallelamente, alcune
tecnologie di supporto per la documentazione grafica (come laser scanner,
termocamera ad infrarosso, remote sensing e analisi su foto e ortofotopiani) sono
anche utilizzate dal team per la diagnostica di dettaglio e per la ricostruzione
iconografica di alcune problematiche parti pittoriche, con protocolli già testati e
utilizzati in altri analoghi contesti47. Ad esempio, la combinazione di dati e risultati tra
la mappatura con termocamera ad infrarosso e i parametri della riflettanza da
45
BAREŠ 2007; BATTAILLE 1939 and 1951; BEHLMER 2007; CALAMENT 2004; CLARYSSE 1995;
COPPENS 2007; RIGGS 2003; STRUDWICK 2003
46
Per un aggiornamento dei progressi in tal senso si veda in questa sede il contributo di E. DI Valerio e
A. Palumbo, archeologi e topografi a cui è stata affidata tale linea di progetto.
47
MENOZZI-TAMBURRINO 2012.
37
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scansione laser, possono portare ad una analisi di dettaglio di eventuali danni non
visibili a occhio nudo di pareti dipinte, come ristagno di umidità, distacchi, crepe e
rigonfiamenti impercettibili, radicazione e proliferazione di agenti microbiodeteriogeni. Allo stesso tempo il filtraggio ed il remote sensing di immagini ad alta
definizione, combinate con una documentazione fotografica ad infrarosso e
all’ultravioletto, possono dare un importante contributo nella ricostruzione del
disegno pittorico e dello schema iconografico degli apparati decorativi (figs. 35 e 44).
Lo studio del contesto topografico è iniziato nel 2008, non solo per una
localizzazione puntuale del complesso monumentale, ma soprattutto per un’analisi
sincronica e diacronica del monumento in un più ampio contesto geo-morfologico.
Da un punto di vista metodologico il survey topografico si è basato sull’integrazione
di surveys intensive più sistematiche, con ricognizioni più mirate legate alla
documentazione di monumenti limitrofi, secondo protocolli già utilizzati dal team in
analoghi progetti48. La base cartografica di riferimento è stata sin dall’inizio costituita
dall’integrazione sia di una mappa topografica da tempo in uso (figs. 24 e 25), che da
immagini satellitari aggiornate, con l’implemento di dati di dettaglio provenienti dai
tracks dei GPS e dai dati radar topografici.
Fig. 24 Carta Topografica di el Qurna, in rosso la localizzazione di el Khokhah.
48
MENOZZI 2007, pp. 215-220; MENOZZI 2008, pp. 39-62; BOMBARDIERI, MENOZZI, FOSSATARO 2009,
pp. 118-129; BOMBARDIERI, MENOZZI, FOSSATARO 2010, pp. 279-293; CHERSTICH, FOSSATARO,
MENOZZI 2010, pp. 313-321; MENOZZI, FOSSATARO 2010A, pp.163-171; MENOZZI, FOSSATARO 2010B,
pp. 103-120.
38
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Fig. 25 Veduta in particolare dell’area di EL Khokhah come da carta topografica al 10.000.
Ciò ha permesso di ottenere DEM (Digital Elevation Model) e DTM (Digital Terrain
Model) su cui posizionare sia i dati relativi ai monumenti circostanti che la
planimetria di dettaglio del complesso. Un livello della documentazione è
rappresentato, infine, dalle mappe già edite di tale zona della necropoli49, creando in
tal modo una documentazione topografica pluristratificata, totalmente georeferita e
ortocorretta, che costituisce la base di un GIS multilayer sul complicato contesto
geomorfologico e monumentale (figs. 26 e 27).
Fig. 26 Sovrapposizione della mappa delle tombe edita a Kampp (1996)
sulla base topografica ridisegnata in base ai dati Radar Topografici e ai GPS.
49
KAMPP-SEYFRIED 2003.
39
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Fig. 27 DTM delle colline di El Qurna e El Khokhah (Realizzazione di D. Fossataro. Archivio GIS
UniCh)
In tal modo è stato possibile portare avanti una lettura più completa del contesto
topografico e geo-morfologico, evidenziando in primis la centralità della collina di El
Khokhah nell’ambito della zona di El Qurna, quale cuore della necropoli dei nobili.
Fondamentale sembra inoltre la scelta di posizionare le tombe di nobili che hanno
rivestito un ruolo importante nell’ambito del clero di Amon, proprio sul promontorio
che domina la via sacra che congiungeva il santuario di Karnak, con Deir el-Bahari,
fulcro del culto della necropoli (fig. 28). Il complesso funerario di Neferhotep mostra
effettivamente una scelta ben ponderata sulle pendici orientali di El Khokhah, con una
ampia inter-visibilità sia con la via Sacra, lungo cui si svolgevano i riti nei giorni della
festa della necropoli (‘La Bella Festa della Valle’), sia con complessi templari
importanti, quali i templi funerari di alcuni dei faraoni, sia con i campi fertili del westbank, a ridosso del Nilo.
Fig. 28 Veduta aerea della collina di El Khokhah (1) e dell’area di Deir el-Bahari ove sorge il Tempio
di Hatshepsut. Foto non zenitale del 2008 (Archivio Università di Chieti-Progetto-Egitto)
D’altronde, tutto il fianco orientale di El Khokhah sembra mostrare un intento di
monumentalizzazione scenografica che doveva esser vista e fungere da riferimento
per gli spazi circostanti. Risulta infatti interessante che l’assetto originale di tale area
della necropoli dei nobili, per lo meno a giudicare da quota e distribuzione delle
tombe e dei cortili funerari, fosse caratterizzato da una regolarizzazione del fianco
della collina, che era stato terrazzato conferendogli un aspetto più monumentale e
fortemente ascensionale.
Tra le varie terrazze sono le tre terrazze medio-basse che ospitano le tombe più
monumentali e decorativamente più ricche, forse perché tali livelli erano caratterizzati
da un calcare ben lavorabile e cavabile, mentre le terrazze superiori presentano un
40
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conglomerato calcareo molto meno regolarizzabile. E’ evidente che in una
organizzazione nella distribuzione degli spazi funerari, alle famiglie più abbienti
fossero destinati i ‘lotti’ funerari migliori. In tal senso è anche probabile che la scelta
nella distribuzione e nella gestione di tali spazi fosse centralizzata e direttamente
gestita dal faraone e/o dai rappresentanti del clero di Amon.
L’assetto planimetrico della TT49 (fig.1) mostra un progetto interno ben
bilanciato con la corte esterna; le stanze interne vanno via via restringendosi in
larghezza con una metrica regolare e secondo un modulo progressivamente
decrescente, creando un’assialità che enfatizza ed evidenzia la nicchia di fondo con le
statue funerarie di Neferhotep e della sua consorte.
La scelta di progettare le tombe note come TT 187 e TT 362, come gemine, subito a
nord e a sud della TT49 (si veda sia la fig.1, che la fig. 42), con una planimetria ed
una volumetria omogenee, certamente conferma una progettazione ben ponderata di
tutto il complesso. Anzi, ci si potrebbe porre la domanda se vi possa essere stata una
relazione specifica, di parentela/discendenza o di ruolo sociale/politico, tra i
proprietari di tali tombe. Difficile invece è ancora capire quale fosse l’originale
assetto planimetrico delle altre tombe presenti nel cortile (TT 363, -347-, -348- cfr
fig.1), che risultano fortemente rimaneggiate in età ellenistico-romana, e che
necessitano di ulteriori approfondimenti e di uno scavo per ricostruirne evoluzione
tipologica e planimetrica.
Le tombe TT 187 e TT 362 presentano uno schema planimetrico (fig.1) che rientra
nella tipologia detta a T rovesciata, con un rapporto costante tra vestibolo (o sala
trasversale), cappella per il culto dei defunti e camera funeraria, mentre si
differenziano grandemente nella lunghezza del corridoio discendente, probabilmente
per un adattamento al contesto geologico e per la necessità di sfruttare al meglio gli
spazi esigui risultanti dalla realizzazione di tombe precedenti.
Lo scavo delle due tombe è iniziato nel 2013 e risulta ormai terminato per le
parti principali di ciascuna delle due tombe, con l’eccezione del pozzo funerario est
della TT 187 che necessita una ulteriore campagna di scavo. In questo intervento si
presenta qui di seguito lo scavo e lo studio preliminare della TT 362, mentre per la TT
187 si veda, in questa sede, il contributo nell’appendix 1.
La TT 362, nella sua progettazione originale, sembrerebbe ascrivibile ad età
ramesside (XIII-XI sec. a.C.), come confermerebbero alcune scelte architettoniche e
parte dell’apparato decorativo. Sin dalle prime fasi di scavo, però, è apparso subito
evidente che tale fase fosse solo l’inizio di una lunga serie di ampliamenti e riutilizzi
della tomba con funzione funeraria, sino alla piena età tolemaica, con una netta
defunzionalizzazione nelle fasi successive, sino addirittura alle fasi più recenti, che
hanno determinato in parte anche la compromissione di alcune decorazioni ed una
stratigrafia di spoliazione nel vestibolo e nella cappella.
Nel progetto iniziale la tomba aveva un vestibolo rettangolare poco allungato,
con una cappella per il culto funerario abbastanza limitata, un corto corridoio
discendente (A nella fig. 29) ed una camera funeraria (B nella fig. 29) di modeste
dimensioni, di forma quadrangolare, con gli angoli di fondo smussati e probabilmente
un’altezza poco accentuata (non più di 80/100 cm, come d’altronde nella TT 187).
41
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Fig. 29 La planmetria originale della TT 362 , con corto corridoio discendente (A) e camera funeraria
poco profonda (B)
Tale camera funeraria (B) però non risulta più conservata, a causa delle successive
fasi di rimaneggiamento, ascrivibili ad età successive, come vedremo più avanti.
L’apparato decorativo pittorico relativo a questa prima fase è attualmente in fase di
studio, ed era certamente caratterizzato sulle pareti del vestibolo da alcune scene poco
leggibili forse relative al ruolo e al funerale del proprietario della tomba (e famiglia),
insieme a testi geroglifici organizzati in registri verticali, probabilmente relativi a
trascrizioni di parti del libro dei morti, mentre tutto il soffitto del vestibolo è decorato
da quadratini colorati, in giallo, rosso e verde, che si alternano entro riquadri più ampi
(fig. 30), quasi a simulare la trama di una stoffa vivace.
Fig. 30 Il soffitto del vestibolo
Fig. 31 Il soffitto del II passaggio
Il soffitto del cosiddetto secondo passaggio (fig. 31), tra vestibolo e cappella, è
decorato da sottili stelle in giallo e nero su fondo azzurro. Le pareti della cappella si
presentano ormai troppo deteriorate e forse scalpellate, durante le fasi più recenti di
utilizzo degli ambienti come abitazione o magazzino, mentre il soffitto presenta
ancora il ripetersi dello schema iconografico della barca rituale (fig. 32), certamente
legata al passaggio dell’anima del defunto che doveva raggiungere l’aldilà. Tali
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decorazioni del soffitto della cappella, come vedremo, sono state in parte obliterate
(fig. 32), da pitture successive, quando le prime hanno evidentemente perso il loro
originale significato intrinseco.
Fig. 32 Schema iconografico della barca rituale
In una fase successiva, che dai dati di scavo sembrerebbe ascrivibile alla fine del III
periodo intermedio (X-VII sec. a.C.) – inizio del periodo Tardo (fine VII-IV a.C.), è
databile il pozzo funerario ovest del vestibolo, che è stato scavato durante le ultime
campagne. Sin dalle prime fasi di scavo è risultato evidente che il pozzo e la relativa
camera funeraria non fossero databili ad età ramesside, ma certamente ad una fase più
tarda, perché sono stati cavati con attrezzi in ferro, probabilmente simili a scalpelli
piatti, come sembra evidente dai tool-marks lasciati sul calcare. Il pozzo si presenta
rettangolare, abbastanza regolare, con un accenno di piccolo dromos che dall’ingresso
porta verso il pozzo (fig. 33). La stratigrafia di riempimento del pozzo è ascrivibile
alle fasi di saccheggio che la tomba ha subìto, in quanto ricca di resti umani sbendati e
di un alta percentuale di bende, come d’altronde in parte anche la stessa camera
funeraria del pozzo.
Fig. 33 Il pozzo ovest, planimetria e fasi dello scavo.
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Quest’ultima presenta una prima fase in cui si sviluppa longitudinalmente in asse con
il pozzo, mentre una o due fasi successive sembrerebbero esser ascrivibili ad
ampliamenti della camera. Dalle analisi antropometriche si è dedotto che il pozzo
ovest e la sua camera funeraria ospitassero circa 12 individui, in origine forse solo
nella camera funeraria ed in seguito anche sfruttando gli spazi del pozzo stesso. Dai
materiali rinvenuti, prevalentemente shabti (fig. 34) e frammenti di cartonnage
policromo, la datazione riporta omogeneamente al terzo periodo intermedio/inizio
periodo tardo. Attualmente i colleghi egittologi50 sono nella fase di lettura delle
iscrizioni rinvenute su tali reperti e di ricostruzione degli schemi iconografici
ricorrenti sui frammenti di cartonnage. I risultati di tale studio saranno fondamentali
per circoscrivere ulteriormente la datazione del pozzo ovest e della sua camera.
Fig. 34 Esempi di shabti rinvenuti nel pozzo ovest della TT 362.
A questa fase potrebbe esser ascrivibile la pittura sovra-dipinta sul soffitto della
cappella funeraria, che va parzialmente ad obliterare alcune delle rappresentazioni di
barca rituale (figs. 32 e 35), de-funzionalizzandone così i significati rituali. La nuova
decorazione presenta ben conservata una figura maschile inginocchiata e nell’atto
dell’adorazione verso una porta, sopra cui doveva essere il cartiglio con l’indicazione
di nome e ruolo sociale del personaggio.
50
Di tali letture interpretative si stanno occupando M.V. Pereyra, R.Lemnos, A. Brancaglion e M.V.
Carniel.
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Fig. 35 Il soffitto della cappella: veduta della figura maschile accovacciata nel gesto dell’adorazione
e ricostruzione da remote sensing della figura femminile.
Al di là della porta, una seconda figura speculare, probabilmente femminile, è visibile
solo in parte ed è ricostruibile da remote sensing delle immagini e dall’uso di
infrarosso ed ultravioletto, altre a filtri-colore dello spettro visibile. Entrambe sono
ritratte nell’atto di adorare verso la porta, che rappresenta il passaggio all’aldilà.
La figura maschile, che è molto più leggibile (fig. 35), presenta evidenti tratti
somatici nubiani, con la testa allungata, gli zigomi ed il naso accentuati, i capelli
sottili e arricciati e la carnagione scura. Il vestiario è caratterizzato da una veste
morbida che fascia i fianchi, assolutamente diversa dalla rigida gonna tipica delle
pitture precedenti, da una fascia trasversale sul busto e forse un collare rigido intorno
al collo. L’abbigliamento richiama la rappresentazione di due personaggi, però stanti,
nello stesso atteggiamento del saluto e dell’adorazione che troviamo su una pittura in
una tomba datata alla XXVI dinastia (672-525 a.C.)51.
Una ulteriore fase di utilizzo della tomba è ascrivibile ad età Tolemaica (metà
IV-I sec. a.C.), quando la redistribuzione degli spazi funerari in tutta la necropoli del
nobili, determinò importanti cambiamenti nell’assetto originale di molte tombe
tebane. Nella TT 362 si tentò evidentemente un ampliamento della camera funeraria
originale, soprattutto con il ribassamento del piano di calpestio, che portò però ad
intercettare altre due camere funerarie (F e D nella fig. 29) relative ad una tomba
limitrofa (peraltro ignota e mai mappata sino ad ora). In tale fase le tre camere
funerarie vennero quindi unite e divennero un’unica e più ampia camera.
Lo scavo stratigrafico relativo a tale ambiente, con il posizionamento di ogni
singolo reperto, ha portato una serie di interessanti scoperte. Innanzi tutto le sepolture
rinvenute sono ascrivibili tutte ad età Tolemaica, con ogni probabilità alla fase finale
di tale periodo, tra fine dell’età ellenistica e conquista romana. Le sepolture sono poi
in stretta relazione con delle nicchie poco profonde, con fondo retrostante piatto e con
terminazione superiore ad arco (quasi ‘proto-arcosolia’), scavate appositamente per
l’introduzione dei sarcofagi e questi ultimi erano sia di tipo ligneo dipinto, che di tipo
antropomorfo realizzato a cartonnage policromo.
51
Dodson, & Ikram 2008, p.307.
45
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Fig. 36 Vedute delle nicchie e della tavola da offerte (in alto).
Singolare è la caratteristica che le nicchie sono realizzate da attrezzi in ferro, che
sembrano esser identificabili con gradine, che rappresentano un importante terminus
post quem, poiché tale tipologia di attrezzo fu introdotta solo dopo il VI sec. a.C. Una
mappatura dettagliata dei tool-marks da parte del dott. E. Di Valerio, esperto di
attrezzi per cavare e scolpire il calcare, potranno costituire un ulteriore arricchimento
della documentazione per facilitare la lettura delle diverse fasi di utilizzo.
Anche i materiali rinvenuti in associazione a tali nicchie sembrano acquistare
maggior significato con l’esatto posizionamento. Come si evince dalla fig. 36, infatti,
nella nicchia nord, più ampia e rifinita, era posizionato un sarcofago ligneo a cassa
rettangolare, con pitture finite sul fronte, ma solo accennate sul retro, associato a
shabti in terracotta poco rifiniti ed eseguiti a matrice sia di tipo mummiforme, che di
tipo stante con corta veste rigida e un braccio lungo i fianchi.
La nicchia est, invece, si presenta più piccola, associata ad un sarcofago
antropomorfo policromo in cartonnage, con resti umani ascrivibili ad infante e
numerosi shabti in terracotta (fig. 37), del tipo mummiforme, ma molto semplificato,
e coperto da un sottile e poco omogeneo strato di vernice azzurra, che doveva
simulare l’effetto cromatico tipico della faïence. Tutte le piccole statuette sono state
trovate insieme accumulate ed a faccia in giù, come se il contenitore in cui dovevano
essere riposte fosse stato rovesciato per rovistarne il contenuto.
Una terza area di sepoltura doveva essere nell’angolo sud-ovest, con uno o due
sarcofagi antropomorfi policromi in cartonnage e con diversi shabti di un’ulteriore
tipologia, in terra poco cotta, rozzamente realizzati a singola matrice, del tipo
mummiforme, senza particolari attributi e coperti da un sottile e poco omogeneo strato
si ingobbiatura biancastra.
Il rituale funerario doveva prevedere anche offerte di varo genere, come
sembrerebbero suggerire i numerosi frutti semi-fossilizzati, semi e resti animali trovati
presso una sorta di tavola da offerte realizzata in mattoni crudi. Tali reperti sono
attualmente i fase di studio da parte di paleobotanici e archeozoologi del Museo
Universitario di Chieti. Interessante in tal senso è la presenza di numerosi semi di
diverse tipologie, che dovevano forse garantire la possibilità nell’aldilà di ripiantare le
principali piante legate al sostentamento dell’individuo. Delle offerte animali, molto
interessante è la donazione di un’anatra semi-mummificata e parzialmente bendata,
forse per garantire la longevità dell’offerta per l’aldilà. Tra le offerte nei pressi della
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mensa, molto significativa è anche la presenza di rari reperti ascrivibili a periodi
precedenti, come due statuette policrome in terracotta, databili ad età ramesside (fig.
38), e frammenti di ceramica del tipo Geometrico bichrome, databile alla fine del III
periodo intermedio (X-VII a.C.) e di probabile produzione e provenienza levantina.
Fig. 37 La serie di piccoli shabty dalla nicchia est.
Fig. 38 Le due statuette policrome
Si potrebbe ipotizzare che tali materiali precedenti siano relativi alle fasi di uso
precedenti della tomba e che fossero stati conservati e ‘ri-donati’ nella fase
Tolemaica, in quanto particolarmente belli o ritenuti importanti.
Infine, ad una fase forse già di cambiamento di funzione della struttura,
sembrerebbe esser ascrivibile una serie limitata di reperti ceramici, quali frammenti di
ollette in ceramica a pareti sottili e di ciotole o piatti in terra sigillata, forse relativi ad
una frequentazione di queste tombe da parte di soldati romani, che dalle fonti
sappiamo si accamparono spesso nella necropoli tebana, forse utilizzando come riparo
temporaneo qualcuno degli ambienti senza sepolture di tali tombe, come vestibolo e
cappella.
Lo scavo della TT 362 ora è terminato, ma vista la sua relazione diretta con la
limitrofa tomba con la congiunzione delle tre camere funerarie, è ora necessario
procedere con lo scavo anche di tale tomba, per meglio capire anche le fasi di utilizzo
di quest’ultima, che, peraltro, non rientra nel complesso funerario di Neferhotep
perché il suo ingresso era da tutt’altra parte.
Bisogna infine segnalare che un’apertura tarda nella parete est del vestibolo
della TT 362 ha permesso anche una ricognizione e documentazione preliminare della
limitrofa TT 363, che si affaccia sul cortile del complesso di Neferhotep. Per cui sarà
in futuro necessario anche scavare per capire meglio le relazioni tra 362 e 363.
Si tratta per ora di risultati preliminari, che mostrano come tombe ben più
antiche fossero poi ampiamente sfruttate successivamente. Inoltre tutte le tombe del
complesso funerario di Neferhotep sembrano anche aver avuto anche un più recente
‘riutilizzo’ come abitazioni, magazzini e stalle da parte degli abitanti di el-Qurna degli
ultimi due secoli.
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APPENDIX 1
La TT 187: apparato decorativo ed analisi planimetrica
Marialaura Di Giovanni
Nell’ambito del complesso di Neferhotep subito a nord-ovest della TT 49 è situata la
TT 187 (fig.1), appartenente alla XIX dinastia ed ampiamente riutilizzata dalla XX.
La tomba è planimetricamente costituita da quattro ambienti principali: il vestibolo,
anche denominato sala trasversale o anticamera, la cappella per il culto funerario, il
corridoio discendente, o dromos, e la camera funeraria per la sepoltura dei defunti. Si
tratta della tipica planimetria a T rovesciata, con la cappella del tipo rettangolare, con
le statue funerarie nella nicchia di fondo, sull’asse longitudinale della cappella ed in
posizione assiale anche rispetto all’ingresso e al passaggio tra vestibolo e cappella.
Secondo la tipologizzazione proposta dal Kampp tale assetto planimetrico
rientrerebbe nel tipo Vb.52
Una prima documentazione di essa è stata portata avanti dalla spedizione del
Metropolitan Museum e fu pubblicata da Norman De Garis Davies, insieme alle
tombe del complesso di Neferhotep.
Davies afferma che i resti di decorazione della TT 187 sono molto scarsi e allo
stesso tempo mal conservati, tuttavia fa una breve descrizione della tomba, per
documentarne lo stato di conservazione, che oggi rappresenta la rara testimonianza
dell’apparato decorativo ormai quasi del tutto perso. Secondo quanto riportato da
Davies, l’architrave e gli stipiti che incorniciano l’entrata e il primo passaggio, erano
decorati con bassorilievi, mentre al suo interno era decorata con pitture murarie.
Sull'architrave all’ingresso, attualmente scalpellato e poco conservato, Davies
riporta una doppia scena di adorazione degli dei da parte di Pakhihat e della sua
famiglia: sulla sinistra Osiride e sulla destra, probabilmente, la figura di Ra-Harakhty.
La presenza di Osiride53 sulla sinistra, secondo Davies, sarebbe stata confermata dal
testo, ancora leggibile, situato al di sopra delle vestigia della corona di Osiride: wsjr
nb nhh d(t) “Osiride, signore dell’eternità -nhh e dell’eternità –d(t)”. Anche se sul lato
destro il testo è quasi illeggibile, è possibile identificare tracce di alcuni segni
geroglifici. L’architrave è molto deteriorato e sia le colonne con iscrizioni, sia le
rappresentazioni, sono di difficile interpretazione. Tuttavia sulla sinistra, si possono
notare ancora oggi, tre figure maschili in adorazione di fronte ad Osiride, del quale si
è conservata solo la parte superiore della corona. Al di sopra dell’immagine di Osiride
è presente un testo che recita le seguenti parole: “Adorazione di Osiris, (signore dell’)
eternitá, dal sacerdote-wab di Amun, Pa-khi-hat, suo figlio, sacerdote-wab di Amun,
Amen-[em]-muia, suo figlio, sacerdote-wab di Amun, Thut[-nufer]''. Sulla destra si
riconosce l’immagine di una donna dietro la quale, secondo Davies era situata la
figura di un uomo. Sopra la rappresentazione del dio, ormai perduta in quanto
scalpellata, possiamo leggere: “il grande dio, Harakhati,” ed il testo al di sopra della
figura è “(Adorazione) di Ra-Harakhti da Osiride, sacerdote-wab di Amun…”54.
Oggi la tomba appare molto più deteriorata e la parte superiore degli stipiti
non si è conservata ma, in basso a sinistra, si può ancora leggere la parte terminale di
52
KAMPP 1996, p. 13.
Originariamente era il dio della fertilità e del raccolto. Successivamente divenne sovrano
dell'oltretomba, dio del regno dei morti (l'Occidente). Veniva rappresentato come una mummia e sul
capo indossava la corona atef. SCHULZ, SEIDEL 2004, p. 523; GUIDOTTI, CORTESE 2002, p. 232.
54
DAVIES 1933, p. 7.
53
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due preghiere. Una di esse è una richiesta di beni e recita le seguenti parole: “per il ka
di Osiride, sacerdote-wab di Amun, Pa-khi-hat’’.55
Il nome ''Pa-khi-hat'', sempre molto danneggiato, si può leggere anche sulla
destra dello stipite.
Al di sopra di questo testo ne è presente un altro più antico, scritto in tre
colonne, che probabilmente fa riferimento all’originale proprietario della tomba come
ad uno scriba di Amon, del cui nome si può leggere solo l’inizio: ‘’J…’’.
Sullo stipite ovest della porta d’ingresso si nota una figura maschile, oggi solo
parzialmente conservata, nell'atto dell’adorazione del sole nascente56 e dietro di lui
doveva essere riconoscibile l'immagine di sua moglie, oggi quasi del tutto persa. Il
testo associato ad esse è molto frammentario e recita: [“Adorazione di Re]...del
paradiso, dal Osiride, sacerdote-wab [di Amun] Pa-khi-hat, quello giustificato di
Tebe. [Egli dice:]...Karnak, l’ariete del cielo, che sconfisse Maat e Khepri(?), re
dell’eternitá e signore dell’infinito... dal Osiride, sacerdote-wab di Amun, Pa-khi-hat,
comprovato: sua moglie, sacerdotessa di Amun, Mutemoner, e sua figlia, sacerdotessa
di Amun, Tamuyet(?)''.57
Altri due testi, parzialmente leggibili nella fase di documentazione di Davies,
erano posti sul muro ovest dell’anticamera e uno di essi è stato interpretato come il
discorso del dio Thot58, ormai andato perso del tutto. Inoltre sul lato ovest della parete
frontale dell’anticamera, all’epoca di Davies ancora conservata, erano presenti
immagini di uomini e donne nell'atto di offrire del pane probabilmente al cospetto di
una divinità. D’altronde si tratta della tipica localizzazione dell’iconografia delle
offerte.
Quasi nulla invece è descritto da Davies relativamente alla cappella funeraria,
eccetto che l'architrave al di sopra della nicchia di fondo fosse dipinto con ai lati la
rappresentazione del pilastro djed 59.
Dopo la documentazione di Davies la tomba fu nuovamente visitata dalla
Spedizione dell’Università di Heidelberg e successivamente pubblicata da Friedericke
Kampp60.
Nel 2005, la tomba venne riaperta per una rapida ricognizione e documentazione in
attesa di scavi sistematici. Nel 2013 fu ufficialmente riaperta dando così inizio allo
scavo da parte del team dell’Università di Chieti.
Con tale riapertura e scavo della tomba si è potuto constatare quanto essa
conservi ben poco di quanto descritto dal Davies, infatti entrando nella tomba la prima
stanza in cui si accede è il vestibolo che, sulla parete occidentale dell'ingresso,
presenta porzioni molto esigue di geroglifici e decorazioni, per di più di difficile
55
DAVIES 1933, p. 7.
Si nota la figura maschile con le mani protratte in avanti in segno di adorazione. Il dio sole era una
delle divinità più importanti dell'antico Egitto e, nella concezione egizia, il ciclo solare non era
semplicemente un fenomeno maturale, ma un affermazione quotidiana del trionfo della vita sulla
morte. SILVERMAN 1998, pp. 118-119.
57
DAVIES 1933, p. 7.
58
Dio della Luna, inventore delle scienze e della scrittura, Thot era considerato un dio promordiale in
quanto regolava il corso degli astri. Inoltre presiedeva alla ''pesatura del cuore'' nel giudizio dell'anima
nell'aldilà. Sono numerosi i miti riguardanti la sua nascita: secondo alcuni nacque da un guscio d'uovo
o da una pietra; secondo altri fu generato o da Horo e Seth, o da Osiride e Ra. Generalmente viene
raffigurato con corpo umano e testa di ibis, oppure come ibis eretto o accucciato. In alcuni casi viene
rappresentato come un babbuino. GUIDOTTI, CORTESE 2002, p. 233; SILVERMAN 1998, p. 137; SCHULZ,
SEIDEL 2004, p. 523.
59
DAVIES 1933; p. 7.
60
KAMPP 1996, p. 253, p 477.
56
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interpretazione, poiché danneggiate durante le fasi del ‘moderno’ riutilizzo della
tomba. Risulta molto difficile stabilire con precisione quando queste decorazioni siano
state scalpellate e per quale motivo; potrebbe essere utilizzata come terminus post
quem la data della ricognizione di Davies nel decennio 1920-30. Le pareti si
presentano quindi deteriorate e mal conservate sia a causa di scalpellature, sia a causa
di uno spesso strato di fumo e fuliggine depositatosi nell’ultimo secolo sulle pareti. Il
soffitto è costituito per l'80% dalla superficie originaria ma è anch’esso ricoperto da
una spessa patina nera, che potrebbe in futuro essere ripulito e restaurato per
ricostruire le pitture che ne decoravano le superfici. All’interno del vestibolo sono
presenti due pozzi funerari, che erano stati già segnalati da Davies e che sono
ascrivibili ad una fase successiva rispetto alla tomba originale.
L'accesso che immette alla cappella presenta ulteriori tracce di scalpellatura e
gli stipiti presentano adattamenti funzionali all'ultima fase di utilizzazione della
tomba61, consistenti in reintegri della parete realizzati con uno strato di terra cruda e
paglia. Inoltre si possono notare dei piccoli solchi paralleli destinati all'alloggio di
elementi relativi ad una chiusura e ad un architrave ligneo. La cappella è di forma
rettangolare, ed ha l'apertura a sud, sul lato corto della stanza. Di fronte all'ingresso è
presente una nicchia quadrangolare, attualmente scalpellata, che doveva accogliere le
statue funerarie del defunto e della consorte. Anche in questo secondo ambiente le
pareti sono state scalpellate e presentano una patina di grassa fuliggine come anche il
soffitto. Sicuramente si tratta di tracce lasciate durante l'ultima fase di utilizzo della
tomba, quando essa venne adibita a deposito o magazzino.
Subito dopo la cappella abbiamo il dromos (o corridoio discendente) che
conduce alla camera sepolcrale. Esso è a sezione regolarizzata rettangolare e, come
tutte le altre stanze, presenta segni di scalpellatura sulle pareti. Nel primo tratto è
costituito da una rampa con pendenza del 20%, successivamente scende in modo più
irregolare, piegando a gomito in direzione nord.
Nell'ultimo tratto l'interro era più consistente e il dromos si presenta più
irregolare e a sezione arrotondata. Da qui si accede all'ultima stanza della tomba: la
camera funeraria. Costituita da un accesso rettangolare, regolarizzato ma non lisciato,
la camera presenta una planimetria irregolare tendenzialmente rettangolare ma con gli
angoli arrotondati ed è di piccole dimensioni. Al suo interno sono presenti (ancora in
situ) frammenti di grandi dimensioni, afferenti ad una probabile lastra di chiusura, e
ossa umane. Le pareti non sono lisciate, ma sono ricavate dalla roccia in modo rozzo e
grossolano.
Per quanto concerne la planimetria della tomba di Pakihat sono state riscontrate
affinità con tombe realizzate durante la XVIII dinastia (fig. 39), mentre per quanto
riguarda l’apparato decorativo-pittorico presenta caratteristiche riferibili alla TT
41(fig. 40), datata alla XIX.
Di conseguenza risulta plausibile ipotizzare l’edificazione della TT 187 in un periodo
compreso tra la fine della XVIII e l’inizio della XIX dinastia, in quanto presenta
elementi riconducibili ad entrambe.
Inoltre è possibile affermare che questa tomba ebbe molteplici riutilizzi, e gli
unici elementi certi sono: che il primo uso funerario in antico, fu seguito da almeno
una fase di riutilizzo per ulteriori sepolture, con lo scavo dei pozzi funerari del
vestibolo, la cui cronologia è ancora problematica, vi fu poi un riutilizzo in età
61
In età moderna.
50
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moderna, con funzioni abitative, ma è difficile capire, dai dati sino ad ora in nostro
possesso, se vi furono altre fasi intermedie e quali.
Nell’ultima campagna di scavo il lavoro all’interno della tomba si è
concentrato sullo scavo del pozzo occidentale nel vestibolo, nel quale sono stati
rinvenuti numerosi resti umani sia in forma mummificata che resti scheletrici
sbendati, peraltro ampiamente saccheggiati, volutamente ammassati nel pozzo in
giacitura secondaria ed evidentemente combusti. Nel 1927/29 Norman De Garis
Davies che visitò la TT 187 descrivendola in dettaglio, non fece riferimento a
mummie combuste site nel pozzo. Dunque, quando egli entrò nella tomba, questi
corpi non erano stati ancora accatastati in tale area del vestibolo, infatti Davies
disegna sia l’anticamera che il pozzo occidentale quasi prive di ingombri specifici.
Questo porta a dedurre che solo dopo il 1929 questa tomba sia stata utilizzata come
abitazione, stalla o magazzino e i corpi mummificati presenti al suo interno siano stati
allora accumulati nel pozzo funerario. Probabilmente nel XX secolo alcuni abitanti di
El Qurna, stanziatisi all’interno della tomba di Pakhihat, volendo liberare in parte gli
spazi della 187, decisero di accumulare i resti mummificati in un unico punto e di
bruciarli, sia per contenere il cattivo odore che potessero emanare, sia per diminuirne
il volume, dato che si trattava di un numero minimo di 70 individui. Il pozzo
funerario, così riempito, fu quindi ricoperto con uno spesso strato di battuto, costituito
da terra mista a paglia, per isolare definitivamente tali problematici resti.
Nella Missione Archeologica dell’anno 2015 è stato terminato lo scavo di tale
pozzo occidentale del vestibolo, e questo ha permesso di portare alla luce una piccola
camera funeraria, ad esso collegata.
Questo ha fatto ipotizzare un riutilizzo della TT 187 successivo alla
costruzione originale. D’altronde, spesso, venivano ricavati, in fasi successive, dei
pozzi funerari all’interno dell’anticamera. Da questi pozzi si giungeva all’interno di
camere funerarie aggiuntive, come accade nella tomba di Pakhihat. Di conseguenza è
possibile ipotizzare un riutilizzo della TT 187 anche in un periodo successivo alla fine
della XVIII dinastia-inizi della XIX.
Fig. 39
Confronti planimetrici tra la TT187 e alcune tombe situate nella valle dei nobili
51
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Fig. 40 Confronto dell’iconografia del saluto al sole dal bassorilievo della parete d’ingresso O della
TT 187 e la decorazione pittorica della TT 41(da Assmann)
APPENDIX 2
La documentazione planimetrica del Complesso di Neferhotep: interim report
Eugenio Di Valerio e Angelo Paumbo
Il complesso di Neferhotep62 si presenta come una struttura di una certa importanza
già nota al tempo delle esplorazioni del XIX secolo. Champollion63 prima e Davies64
poi ne forniscono descrizioni e piante spesso molto dettagliate, tuttavia l'esplorazione
dell'articolato monumento ad oggi non è ancora completa.
Il sistema di corridoi e camere funerarie ipogee, scavate nel tenero calcare
locale è infatti molto complesso e presenta una successione di fasi e riutilizzi che ne
rendono difficoltosa la lettura. I singoli monumenti funerari risultano interconnessi tra
loro sia a causa di azioni volontarie successive,65 sia a causa di circostanze puramente
casuali come l'escavazione di nuove camere funerarie che vanno ad intercettare cavità
preesistenti. Per questa ragione, parallelamente alle operazioni di rilievo, è stata
effettuata anche una campionatura delle tracce degli strumenti utilizzati per
l'escavazione delle camere ipogee. Queste operazioni tra l'altro hanno consentito di
comprendere meglio le fasi del monumento, fornendo talvolta importanti appigli
cronologici.
Nella campagna del 2008 è stato realizzato l'inquadramento topografico e
geomorfologico generale dell'area di El Khokhah mediante strumentazione GPS
nonché una attenta mappatura delle presenze archeologiche nell'area in questione
(fig. 41).
62
N. 53 secondo la numerazione di JF. Champollion (CHAMPOLLION 1973[1844]), N. 11 secondo la
numerazione di R. Hay (Diary of travel in Egypt by Robert Hay MSS. 29.824 Add. MSS. 31.054, 9-10,
scritti autogafi conservati presso la British Library a Londra); WILKINSON 1835, pp. 157-60; DAVIES
1933; PORTER – MOSS 1994, pp. 91-95 fig. 49 p. 90. Map IV, D-5, d, 8.
63
CHAMPOLLION 1973[1844].
64
DAVIES 1933, pll. VI-VII.
65
Sia ampliamenti antichi che rimaneggiamenti di epoca recente.
52
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Fig. 41 DEM e DTM delle colline di El Qurna ed El Khokhah
Nelle campagne 2013-2015 è stato eseguito il rilievo strumentale indiretto delle tombe
TT49, 187 e 362; data la complessità dell'opera, molta attenzione è stata dedicata alla
progettazione del network di punti stazione utilizzati come base del rilievo di
dettaglio. Due poligonali aperte interconnesse tra loro in maniera gerarchica hanno
permesso di limitare l'errore relativo; le problematiche principali riscontrate
nell'esecuzione si sono concentrate in corrispondenza dei pozzi funerari più profondi,
prevalentemente a causa degli spazi angusti e della limitata intervisibilità tra i vertici
delle poligonali. Per ovviare a tali inconvenienti in alcuni ambienti è stato utilizzato il
metodo tradizionale del rilievo diretto. Le misurazioni in fine sono state processate e
rielaborate in ambiente CAD integrando le nuove informazioni con i dati già noti.
Si è arrivati in tal modo alla realizzazione di una planimetria tematica
suddivisa per livelli dalla quale si capisce bene la complessità e l’articolazione delle
diverse camere sotterranee. Per evidenziare incongruenze macroscopiche è stata
effettuata una comparazione tra il rilievo strumentale e quello realizzato da Davies
(fig. 42): da questa rielaborazione si può notare come l’errore commesso da
quest'ultimo sia esponenziale e direttamente proporzionale alla distanza dal punto di
partenza. Infatti gli errori vanno a cumularsi sul fondo degli ambienti dove si
sommano gli errori di ciascuna tesata.
Nelle prossime campagne le misurazioni ottenute mediante stazione totale
verranno integrate con scansione laser 3D. L'utilizzo di questo strumento vede come
primo processo un operazione di targeting con il quale si stabiliscono puniti di
servizio mediante GPS differenziale e stazione totale. Le problematiche da affrontare
per l'esecuzione di una corretta scansione sono molteplici: in primo luogo la scarsa
visibilità di alcuni ambienti per cui bisognerà prevedere la realizzazione di più punti
di stazione per rilevare appieno le superfici garantendo un overlapping non inferiore
al 40%. Altri problemi sono dovuti alla differenziazione del materiale sul quale
impatterà il fascio laser, in quanto la riflettenza varia a seconda della tipologia delle
superficie e molte parti del complesso risultano completamente annerite da ripetuti
incendi e depositi carboniosi. In queste zone si potrebbe riscontrare l’assenza
completa del dato in quanto la superficie nera assorbe totalmente il fascio laser non
permettendo un ritorno del segnale.
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Fig. 42 Rilievo in fieri del complesso funerario con overlapping delle diverse stesure.
A tal proposito è in corso la realizzazione di ricostruzioni fotogrammetriche 3D che
andranno a costituire un ulteriore livello di documentazione utile ad integrare punti
non rilevabili da laser scanner ma anche per il rilievo degli elementi plastici come i
ritratti funerari e gli elementi architettonici decorati (fig. 43).
Accanto alle operazioni di rilievo e documentazione vengono eseguite analisi
diagnostiche mediante termografia IR; le tecniche utilizzate per queste indagini si
dividono fondamentalmente in due gruppi: quelle che sfruttano l’energia interna
dell’oggetto da esaminare (termografia passiva) e quelle che richiedono sollecitazioni
termiche dall’esterno (termografia attiva) quest'ultima utilizzata prevalentemente in
luoghi chiusi.
In fase di misurazione l'ambiente esterno influisce notevolmente sui dati
rilevati dalla termocamera e occorre tener conto di molti fattori impostando
adeguatamente lo strumento per quanto riguarda la temperatura ambientale,
l’emissività del materiale oggetto di indagine e la relativa distanza per non incorrere
in grossolani errori di valutazione.
Tale tecnica si è rivelata molto utile per rilevare sia distacchi di porzioni di
intonaco che importanti lesioni delle pareti rocciose (fig. 44); accanto a questi utilizzi
è stata testata anche la possibilità di utilizzare le emissioni di radiazioni
elettromagnetiche nello spettro infrarosso per avere un contributo nell'identificazione
di resti pittorici altrimenti poco visibili.
A tal fine è stata utilizzata la termografia attiva procedendo con un
riscaldamento localizzato delle varie pareti tramite l’utilizzo di lampade ad
incandescenza; tuttavia questo genere di informazione si è rivelata difficile da ottenere
in quanto richiede una elevata risoluzione dello strumento, con difficoltà per le pitture
con un gradiente termico di solo pochi decimi di grado, a ciò va aggiunto anche un
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grado di incertezza generato dal disturbo causato da distaccamenti superficiali e tracce
di nerofumo. In questo caso un accurato utilizzo dei filtri permette di ottenere
vantaggi in fase di remote sensing in fase di post processing del dato.
Fig. 43 Nuvola di punti da scansione
Fig. 44 Visualizzazione grafica dell’analisi con termo-camera ad infrarosso
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APPENDIX 3
I protocolli archeometrici sulla ceramica: un incontro di metodologie
Marcella Giobbe
La classificazione e lo studio archeometrico degli impasti è spesso utilizzato come
supporto dello studio tipologico del repertorio ceramico. Fornisce informazioni utili
per l’individuazione delle caratteristiche tecnologiche (tecniche di foggiatura,
temperature di cottura), delle aree di produzione/distribuzione e delle finalità d’uso.
Convenzionalmente la ceramica egizia si divide in due macro classi di impasto,
distinguibili sulla base di proprietà fisiche: Nile Alluvium e Marl66, usate finanche
oggigiorno dai ceramisti locali, singolarmente o mescolate, a perpetuare una
tradizione millenaria che risale all’età faraonica67.
La prima è la mescola di un’argilla di tipo alluvionale nilotica (caratterizzata
da un’alta percentuale di silicati e di idrossidi di ferro) alla quale è aggiunto un
digrassante di natura organica (tipo paglia o fieno). La cottura può essere effettuata
anche a temperature relativamente basse, intorno ai 700-800 C°. La superficie dopo la
cottura varia dal rosso scuro al marrone, mentre in frattura è spesso presente un cuore
nero, dovuto alla scarsa ossigenazione in cottura delle parti più profonde della parete:
in questo caso le sostanze organiche non completamente combuste provocano
colorazioni scure a causa delle particelle carboniose68.
Gli impasti di tipo Marl invece presentano dell’argilla fine di tipo calcareo e
calcareo-ferruginoso, alla quale era spesso aggiunta della sabbia. In questo caso gli
inclusi di tipo organico sono poco frequenti. Rispetto al precedente, l’impasto è più
duro ed omogeneo, i prodotti sono cotti ad una temperatura che si aggira intorno agli
800-1000 C°, mentre il colore delle superfici varia dal beige al giallo, fino al rosa
chiaro.
Per quanto riguarda la ceramica egizia dell’antichità (in particolare tra l’Antico
Regno e la fine del Nuovo Regno), il cosiddetto “Vienna System”, ideato da Bourriau
e Nordstrom e pubblicato nel 1993, classifica i diversi impasti (Marl, Nile e le diverse
mescole tra i primi due)69 ed è corredato di descrizioni, illustrazioni ed ove possibile
di indicazioni cronologiche e di distribuzione spaziale. Si tratta di uno studio
complesso, esteso all’intero territorio egiziano, quindi facilmente utilizzabile per i
confronti tra insediamenti eterogenei.
Spesso i ceramologi che si occupano dello studio di un corpus di materiali
afferente ad un singolo insediamento, utilizzano un proprio sistema classificatorio per
gli impasti, comparandolo poi con il “Vienna System” per effettuare confronti
incrociati con materiali alloctoni. In tal modo si fornisce un’ulteriore conferma alle
ipotesi cronologiche e si mette in evidenza la presenza di eventuali contatti inter/intraregionali 70.
Lo studio dei materiali ceramici provenienti dalla TT.187 della Necropoli di
El-Kocha (Luxor), che attualmente è ancora nella sua fase preliminare, è supportato
anch’esso dall’utilizzo delle analisi archeometriche.
66
ASTON 1998, pp. 35-39. BOURRIAU, NICHOLSON, ROSE 2000, pp.121-147.
NICHOLSON, PATTERSON 1985, pp. 222-239. NICHOLSON 1995, pp. 279-308. REDMOUNT 1995,
pp.93-101. REDMOUNT 2003, pp. 153-322. In particolare per l’area di Luxor vedi BRISSAUD 1982, p.76.
68
LEVI 2010, p.8.
69
BOURRIAU, NORDSTRÖM 1993, pp. 168-182.
70
WODZINSKA 2007, pp.287-289, tav.11.3.; BOURRIAU, BELLIDO, BRYAN, ROBINSON 2006, pp.261292.
67
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Il protocollo operativo utilizzato in questa sede è il risultato di una lunga
collaborazione tra i team delle università di Chieti, Oxford, e Cardiff, avvenuta in
Italia ed in Libia tra il 2001 ed il 200571. Successivamente, con il passare del tempo, la
procedura analitica iniziale è stata arricchita dall’apporto di nuove tecniche di analisi
statistica dei dati, che hanno portato al risultato attuale72. Quest’ultimo continua ad
essere utilizzato nell’ambito di diversi progetti di ricognizione e scavo diretti dal team
dell’Università di Chieti, in Italia (Iuvanum Survey Project73, Aufinum Project74), in
Cirenaica (Cyrenaica Survey Project, Lamluda Project75) ed a Cipro (Kouris Valley
Project, MPM Project76), riadattandosi di volta in volta alle necessità contingenti.
L’iter investigativo è suddiviso in diverse fasi, che contemplano l’utilizzo
combinato delle analisi mineralogico-petrografiche con quelle chimiche:
- Un primo step è quello di un diretto esame autoptico dei frammenti ceramici per
selezionare le classi di impasto, che vengono successivamente osservate al
microscopio digitale a scansione ottica. L’osservazione avviene a diversi
ingrandimenti con lo scopo di individuare i campioni più rappresentativi da sottoporre
all’analisi mineralogico-petrografica, tramite sezione sottile.
- I campioni selezionati sono poi visionati al microscopio a luce polarizzata (a nicols
paralleli ed incrociati) su sezione sottile. Determinati particolari delle sezioni sottili
osservati al microscopio sono fotografati con una fotocamera digitale. La procedura
analitica, è supportata da un manuale di riferimento comprensivo di grafici per stime a
vista e codici di riferimento (sezione tipo, % degrassante, fabric, morfometria inerti,
granulometria inerti, etc.). L’identificazione dei minerali (che hanno proprietà ottiche
caratteristiche quando attraversati da luce polarizzata) e delle rocce, permette:
l’individuazione di particolari caratteristiche fisiche e strutturali, degli aspetti
tecnologici relativi alla preparazione degli impasti, delle tecniche di foggiatura e delle
temperature di cottura. Inoltre, è un elemento utile per la ricostruzione dell’ambiente
geologico del sito produttore e di conseguenza, del riconoscimento di eventuali
oggetti di importazione.
- L’analisi statistica avviene attraverso l’inserimento dei dati ricavati dalla lettura
delle sezioni sottili, in una griglia dati messa a punto dal Laboratorio del Servizio
Geologico e Paleontologico di Chieti-MIBACT-SBAA. Le analisi sono state svolte
mediante un software dedicato, in cui sono prese in considerazione 35 variabili,
alcune relative alla composizione degli impasti, altre a caratteristiche quantificate, che
si possono ricondurre alla tecnologia di fabbricazione, secondo il metodo della cluster
analysis (cfr. analisi dei gruppi ed in particolare secondo gli algoritmi che vedono il
“confronto” tra la popolazione dei campioni secondo il legame tra le variabili di tipo).
- I campioni più rappresentativi sono poi sottoposti ad un’indagine basata su analisi
chimiche, che permettono la misurazione e la quantificazione degli elementi presenti
nell’impasto (XRF, fluorescenza a raggi X).
Attraverso questo percorso di indagine si auspica quindi di avere un’idea complessiva
delle classi ceramiche e dei relativi impasti, rinvenuti, in primo luogo presso la
TT.187 e successivamente in tutto il complesso di Neferhotep. Anche in questo caso,
71
SWIFT 2005a, pp.161-165. SWIFT 2005b.
AGOSTINI 2002; AGOSTINI 2013.
73
BRADLEY, FOSSATARO, MENOZZI 2008, pp.137-149.
74
MENOZZI,FOSSATARO 2011.
75
ANTONELLI, MENOZZI 2014.
76
MENOZZI, FOSSATARO 2009, pp.203-220. CHELAZZI, DAVIT 2009, pp.136-138. MANCINI MENOZZI
2012, pp.195-201.
72
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nonostante esistano dei parametri di indagine prestabiliti dettati dal protocollo appena
descritto, sarà comunque effettuato il confronto diretto con gli schemi e la
classificazione del “Vienna System”.
La finalità è quella di inserire questa ricerca in un più ampio quadro di
indagine e renderla accessibile e facilmente interpretabile da tutte le missioni operanti
sul territorio.
Nonostante lo scavo sia ancora in itinere e l’elaborazione dei dati sia ancora in
fase preliminare, la presenza di una cospicua quantità di ceramica di produzione
“moderna” (legata alle ultime fasi di utilizzo della tomba, come rifugio/stalla negli
ambienti finora investigati), con caratteristiche composizionali dell’impasto molto
simili a quelle di età faraonica77, rende difficile una prima interpretazione
dell’evoluzione della ceramica presente in situ, sulla base delle variazioni
dell’impasto. Ci si baserà quindi perlopiù sulle caratteristiche morfologiche e sui
diversi trattamenti delle superfici, per l’individuazione delle classi ceramiche antiche
e poi, di volta in volta, verranno effettuate delle analisi specifiche (come da protocollo
sopracitato) per l’individuazione degli impasti.
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