S&F_n. 27_2022
ISSN 2036_2927
COMITATO SCIENTIFICO
PAOLO AMODIO
Docente di
Federico II
GUIDO BARBUJANI
Docente di Genetica _ Università degli Studi di Ferrara
EDOARDO BONCINELLI
Docente di Biologia e Genetica _ Università “Vita-Salute San Raffaele”
di Milano
ROSSELLA BONITO OLIVA
Docente di Filosofia Morale _ Università degli Studi di Napoli –
L’Orientale
BARBARA CONTINENZA
Docente di Storia della scienza e delle tecniche _ Università degli
Studi di Roma “Tor Vergata”
MASSIMILIANO FRALDI
Docente di Scienza delle costruzioni _ Università degli Studi di
Napoli Federico II
ORLANDO FRANCESCHELLI
Docente di Teoria dell’evoluzione e Politica _ Università degli Studi
di Roma “La Sapienza”
ELENA GAGLIASSO
Docente di Filosofia e Scienze del vivente _ Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”
GIANLUCA GIANNINI
Docente di
Federico II
PIETRO GRECO
Giornalista scientifico e scrittore, Direttore del Master
Comunicazione Scientifica della Scuola Internazionale Superiore
Studi Avanzati (SISSA) di Trieste
GIUSEPPE LISSA
Professore Emerito di Filosofia Morale _ Università degli Studi di
Napoli Federico II
GIUSEPPE O. LONGO
Docente
Trieste
ROBERTO MARCHESINI
Centro Studi Filosofia Postumanista_Direttore della Scuola di
Interazione Uomo Animale (SIUA)_Docente di Scienze Comportamentali
Applicate
DAVIDE MAROCCO
Docente di Psicometria _ Università degli Studi di Napoli Federico II
_ Già Lecturer in Cognitive Robotics and Intelligent Systems, Centre
of Robotics and Neural Systems, School of Computing and Mathematics,
University of Plymouth, UK
ALESSANDRO MINELLI
già Docente di Zoologia _ Università degli Studi di Padova
MAURIZIO MORI
Docente di Bioetica _ Università degli Studi di Torino
TELMO PIEVANI
Docente di Filosofia della Scienza _ Università degli Studi di MilanoBicocca
VALLORI RASINI
Docente di Filosofia Morale _ Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia
† STEFANO RODOTÀ
Docente di
Sapienza”
GIACOMO SCARPELLI
Sceneggiatore cinematografico e storico della filosofia e delle idee,
insegna all’Università di Modena e Reggio Emilia. È Fellow della
Linnean Society of London e della Royal Geographical Society
SETTIMO TERMINI
già Docente di Cibernetica _ Università degli Studi di Palermo
NICLA VASSALLO
Docente di Filosofia Teoretica _ Università degli Studi di Genova
di
Filosofia
Filosofia
Teoria
Diritto
Morale
Morale
_
_
Università
Università
dell’informazione
Civile
_
_
Università
degli
degli
Studi
Studi
Università
degli
degli
Studi
di
di
di
Napoli
Napoli
Studi
Roma
in
di
di
“La
INTERNATIONAL ADVISORY BOARD
DAVID BANON
Professeur au Département d’études hébraïques et juives,
Université
de
Strasbourg;
Membre
de
l’Institut
Universitaire de France; Prof. invité au départment de
pensée juive, Université hébraïque de Jérusalem
RENAUD BARBARAS
Professeur à l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne;
Membre de l’institut universitaire de France; Grand prix
de philosophie 2014 de l’Académie Française
MYLENE BOTBOL-BAUM
Professeure de philosophie et bioéthique, facultés de
Médecine et des Sciences Philosophiques; Professeure à
l’Unité
d’éthique
biomédicale
–
UCL
(Université
Catholique de Louvain), Bruxelles, Belgique
COLAS DUFLO
Professeur de Littérature française et d’histoire des
idées du dix-huitième siècle, Université Paris-Nanterre,
France
EDWARD K. KAPLAN
Kevy and Hortense Kaiserman Professor in the Humanities,
Brandeis University, Waltham, Massachusetts
NEIL LEVY
Deputy Director (Research) of the Oxford Centre for
Neuroethics;
Head
of
Neuroethics
at
the
Florey
Neuroscience Institutes, University of Melbourne
ANNA LISSA
Maitre de Conférence
Département d’Etudes
France
DIEGO LUCCI
Professor of History and Philosophy, American University
in Bulgaria
MAX STADLER
Professur
für
Wissenschaftsforchung,
Technische Hochschule, Zürich
Littérature juive et hébraïque
hebraïques Universite Paris-8,
Eidgenössische
REDAZIONE
PAOLO AMODIO (DIRETTORE)
LUCA LO
SAPIO
(COORDINATORE
Università degli Studi di Napoli Federico II_
Dipartimento di Studi Umanistici_ Via Porta di
Massa, 1 80133 Napoli
tel. +390812535582 fax +390812535583
email: paamodio@unina.it
DI
REDAZIONE)
VIOLA CAROFALO
DIDIER ALESSIO CONTADINI
MARIO COSENZA
CRISTIAN FUSCHETTO
FABIANA GAMBARDELLA
DELIO SALOTTOLO
ALESSANDRA SCOTTI
ROSA AKA VITTORIA SPAGNUOLO VIGORITA
ALDO TRUCCHIO
Università degli Studi di Torino
Università
Università
Università
Università
Università
Università
Università
Università
Université
degli Studi
degli Studi
degli Studi
degli Studi
degli Studi
degli Studi
degli Studi
degli Studi
du Québec à
di Napoli_L’Orientale
di Milano_ Bicocca
di Napoli_Federico II
di Napoli_Federico II
di Napoli_Federico II
di Napoli_L’Orientale
di Napoli_Federico II
di Napoli_Federico II
Montreal
INTRODUZIONE
Scienza&Filosofia
27_2022,
con
un
Dossier
sull’Intelligenza
artificiale. S&F_ sempre online per scelta, in ordine al dinamismo
e
all’immediata
disponibilità
della
ricezione,
adattandosi
volentieri ai tempi e agli spazi che la rete in genere istituisce:
vorrebbe essere agile e facilmente fruibile per chi è interessato
a prender parte alle nostre discussioni. La sua mission non può
dunque che essere diretta e senza scolastici orpelli:
Preoccupata di istituzionalizzarsi come depositaria della coscienza etica del
progresso scientifico, a quasi trent’anni dalla sua nascita la bioetica sembra
essere a un bivio: rinnovare il suo statuto o rischiare di smarrire
definitivamente la sua mission di disciplina di incrocio tra sapere umanistico
e sapere scientifico. È nostra convinzione che la bioetica possa continuare a
svolgere un ruolo solo se, piuttosto che salvaguardare principi assiologici di
una realtà data, sia intenzionata a ripensare criticamente i valori alla luce
dei cambiamenti, epistemologici prima ancora che ontologici, dettati dall’età
della tecnica. Il nostro obiettivo è quello di individuare ed evidenziare il
potenziale d’innovazione filosofica tracciato dalla ricerca scientifica e, al
contempo, il potenziale d’innovazione scientifica prospettato dalla riflessione
filosofica.
Da questa mission la rivista trova l’articolazione che ci è parsa
più efficace. Anche questo numero conterrà perciò le tipiche
sezioni:
DOSSIER Il vero e proprio focus tematico scelto intorno al quale
andranno a orbitare
STORIA Esposizione e ricostruzione di questioni di storia della
scienza e di storia di filosofia della scienza con intenzione
sostanzialmente divulgativa;
ANTROPOLOGIE Temi e incroci tra scienze, antropologia filosofica e
antropologia culturale;
ETICHE Riflessioni su temi di “attualità” bioetica;
LINGUAGGI Questioni di epistemologia;
ALTERAZIONI Dalla biologia evoluzionistica alla cibernetica, temi
non direttamente “antropocentrati”;
COMUNICAZIONE
La
comunicazione
della
scienza
come
problema
filosofico, non meramente storico o sociologico. In altri termini:
1
quanto la comunicazione della scienza ha trasformato la scienza e
la sua percezione?;
ARTE Intersezioni tra scienze e mondo dell’arte;
RECENSIONI&REPORTS Le recensioni saranno: tematiche, cioè relative al
dossier
scelto
e
quindi
comprensive
di
testi
anche
non
recentissimi purché attinenti e importanti; di attualità, cioè
relative a testi recenti. Reports di convegni e congressi.
Per favorire la fruibilità telematica della rivista, i contributi
si
aggireranno
tra
le
15.000
–
20.000
battute,
tranne
rare
eccezioni, e gli articoli saranno sempre divisi per paragrafi.
Anche le note saranno essenziali e limitate all’indicazione dei
riferimenti della citazione e/o del riferimento bibliografico e
tenderanno
a
non
contenere
argomentazioni
o
ulteriori
approfondimenti critici rispetto al testo.
A esclusione delle figure connesse e parti integranti di un articolo, le
immagini che accompagnano i singoli articoli saranno selezionate secondo il
gusto
(e
il
nell’intenzione
capriccio)
–
per
della
l’inconscio
Redazione
ci
e
stiamo
non
pretenderanno,
attrezzando
–
alcun
almeno
rinvio
didascalico.
Le immagini d’apertura ai singoli articoli – coperte da copyright – che
appaiono in questo numero, sono di MAC EPARWA, giovane e talentuoso artista
filippino,
cui
va
il
nostro
ringraziamento
(https://www.instagram.com/m.eparwa/?igshid=YmMyMTA2M2Y=)
In rete, giugno 2022
La Redazione di S&F_
2
S&F_n. 27_2022
INDICE
1
4
INTRODUZIONE
INDICE
DOSSIER
7 Intelligenza artificiale e nuove piattaforme per un umanesimo a venire
12 Edmondo Grassi Di automi e persone
28 Gianluca Giannini – Antonio Pescapè [Luca Lo Sapio] AI e futuro di sapiens
tra nuovi orizzonti e antichi timori
43 Andrea Calandrelli – Alessandra Nicolini Dono e dolo: dal digital turn al
tecnostress
54 Simona Tiribelli Artificial Agency and Moral Agency: Conceptualizing the
Relationship and its Ethical Implications on Moral Identity Formation
69 Cristiano Calì Algoritmi e processo decisionale. Alle origini della
riflessione etico‐pratica per le IA
88 Settimo Termini L’IA tra Katzuo Ishiguro e Federico Faggin
109 Maria Teresa Catena L’intelligenza delle mani
126 Pierluigi Ametrano AI e archivio: un’analisi foucaultiana
137 Pierpaolo Marrone Spazi hobbesiani?
160 Valerio Specchio Scomparire nell’alterità. L’intelligenza artificiale
attraverso Jean Baudrillard
179 Alfonso di Prospero Intelligenza artificiale e inferenza non‐monotona:
modelli culturali e questioni epistemologiche
197 Edoardo Datteri Robotica e filosofia della scienza
STORIA
218 Alfonso Lanzieri Da Matrix a Don’t
look up : il realismo come questione
etico‐politica
ANTROPOLOGIE
237 Mauro Mandrioli From genome editing to
human genetic enhancement: a new time
for discussing eugenics?
ETICHE
251 Delio Salottolo È davvero necessaria
un’etica delle piante?
LINGUAGGI
278 Giacomo Scarpelli Freud e Conan Doyle.
Vite parallele
ALTERAZIONI
Altadonna
La
all’antropologia razziale in
Jay Gould
294 Giovanni
critica
Stephen
COMUNICAZIONE
314 David Benatar Perché è meglio non venire mai al mondo
ARTE
337 Armando Minopoli L’essenziale non è invisibile agli occhi. Divagazioni sul
concetto di essenza in architettura
4
RECENSIONI&REPORTS
report
357 Tessuto e sospensione. Il corpo inaggirabile tra io e mondo
Merleau-Ponty: Ritornare alla percezione, Napoli 2022
(Valerio Specchio)
recensioni
368 Yuk Hui, La questione della tecnologia in Cina, Neri, Roma 2021
(Francesca De Simone)
375 Luciano Floridi, Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi. Opportunità,
sfide, Raffaello Cortina, Milano 2022
(Stefano Palumbo)
383 Angela Balzano, Elisa Bosisio, Ilaria Santoemma (a cura di), Conchiglie,
pinguini, staminali. Verso futuri transpecie, DeriveApprodi, Roma 2022
(Melania Moltelo)
386 Telmo Pievani, Serendipità. L’inatteso nella scienza, Raffello Cortina,
Milano 2021
(Giovanni Altadonna)
397 Margaret A. Boden, L’intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna 2019
(Stefano Palumbo)
404 Maria Teresa Catena, Breve storia del corpo, Mimesis, Milano-Udine 2020
(Alberto Giovanni Biuso)
408 Federica Porcheddu, Ripensare il terzo a partire da Lévinas, Mimesis,
Milano-Udine 2021
(Sergio Labate)
414 Carlo Rovelli, Helgoland, Adelphi, Milano 2020; Telmo Pievani, Finitudine.
Romanzo filosofico su fragilità e libertà, Raffaello Cortina, Milano 2020
(Giordana Colicchio)
419 Adriano Pessina (a cura di), Vulnus. Persone nella pandemia, Mimesis,
Milano-Udine 2022
(Viola Carofalo)
5
S&F_n. 27_2022
DELIO SALOTTOLO
È DAVVERO NECESSARIA UN’ETICA DELLE PIANTE?
1. Le ragioni di una domanda 2. È eludibile l’antropocentrismo?
3. L’alterità assoluta delle piante 4. Le ragioni di una risposta
ABSTRACT: IS PLANT ETHICS REALLY NECESSARY?
This article aims at analysing the possibility
and the need for a plant ethics within the field
of applied ethics. Starting with an analysis of
the symbolic and cultural representations of
“nature” and with the connection with the
material dimension of human relationality, it
will move on to a speculative and synthetic
analysis of the fundamental categories of
environmental ethics (serving as a model for
animal ethics and plant ethics), and then to
renewed ontological representations that vegetal
life
can
“show”,
concluding
with
some
propositions from which it is possible to answer
positively to the question: is plant ethics
really necessary?
ἀλλ’ὃσσα περ ζῆι, πάντα καὶ γνώμαν ἔχει
Epicarmo
1. Le ragioni di una domanda
È
una
questione
di
presa
di
coscienza ex-post e di emergenza
di problemi che sembrano divenire sempre più ingestibili. Ma è
anche una questione che non può che muovere da un assunto:
riconoscere
dignità
(qualunque
cosa
essa
significhi
–
non
è
importante adesso) a un determinato ente, nel caso più lampante:
l’umano, non ha condotto necessariamente a un rispetto dell’uomo
da parte dell’uomo, neanche in quella specifica parte di mondo che
è stata in grado di pensare qualcosa come la dignità umana e
l’universalizzazione dei diritti. Considerazione morale, diritti
umani e positivi, partecipazione etico-politica alla costruzione
del comune: a questi dispositivi non tutti gli umani possono
ancora accedere e non sembra che stiamo vivendo tempi promettenti
affinché questo allargamento si produca. Eppure, tutta la vicenda
251
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
complessa della costituzione di un’etica ambientale 1, di un’etica
animale 2 e adesso di una possibile etica delle piante 3 rientra
all’interno
di
una
dinamica
che
intende
allo
stesso
tempo
allargare la considerazione morale a enti naturali altri (gli
animali, certamente, ma anche le piante, e addirittura “oggetti”
dalla complessa, se non impossibile, definizione epistemologica e
ontologica come l’ecosistema, la biodiversità, etc.) e inchiodare
l’Occidente e la sua cultura a determinate responsabilità morali,
in questo caso nei confronti della Natura. Utilizziamo il termine
Natura, almeno in questo contesto iniziale, volutamente con la
iniziale maiuscola: non si tratta di definire preliminarmente cosa
debba intendersi con il termine “natura”, non affrontiamo in
questo contesto questioni di filosofia biologica o di biologia
filosofica,
ma
di
delineare
i
contorni
di
una
utilizzazione
culturale e simbolica di una determinata rappresentazione al fine
di
costruire
determinate
partizioni
all’interno
del
reale,
partizioni funzionali alla costruzione e alla soddisfazione di
determinate
esigenze
e
bisogni
dell’umano
(nel
nostro
caso:
occidentale). La metodologia, il cammino che decidiamo di seguire,
è quello di connettere rappresentazione culturale e simbolica e
determinazione materiale (economico-politica) all’interno di una
“spirale”: non si tratta semplicemente di reperire una struttura
materiale di sfruttamento, nelle interazioni tra gli umani e tra
l’umano e il mondo vivente e non vivente, tale da determinare le
rappresentazioni culturali, né di cercare di dimostrare l’inverso,
1
Per un inquadramento generale cfr. R. Attfield (a cura di), The Ethics of the
Environment, Routledge, London and New York 2016; in lingua italiana, cfr. P.
Donatelli (a cura di), Manuale di etica ambientale, Le Lettere, Firenze 2012;
M. Andreozzi (a cura di), Etiche dell'ambiente. Voci e prospettive, LED, Milano
2012.
2 Impossibile restituire la ricchezza della letteratura in merito, ma, per
un’interpretazione complessiva della questione, in lingua italiana e in chiave
darwiniana, cfr. S. Pollo, Umani e animali: questioni di etica, Carocci, Roma
2016.
3 Per un’analisi ragionata del dibattito internazionale, cfr. A. Kallhoff, M.
Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), Plant Ethics. Concept and Applications,
Routledge, London and New York 2018; in lingua italiana, cfr. G. Pellegrino, M.
Di Paola, Etica e politica delle piante, DeriveApprodi, Roma 2019.
252
S&F_n. 27_2022
come alcune rappresentazioni culturali abbiano la capacità di
determinare
una
struttura
materiale
di
sfruttamento
nelle
interazioni tra gli umani e tra l’umano e il mondo vivente e non
vivente – chiedersi, nell’umano, se viene prima il bisogno o la
rappresentazione (culturale e simbolica) del bisogno è una domanda
mal posta: il movimento che va restituito è quello di una spirale,
un movimento ricorsivo ma non eternamente uguale a se stesso, che
con-cresce
mediante
materiali
e
il
continuo
rappresentazioni
complessità
sempre
intrecciarsi
simboliche
maggiore.
In
a
questo
di
un
strutture
livello
senso,
di
determinanti
diventano gli spostamenti, dunque gli eventi, ovverossia le soglie
di problematizzazione. Perché il problema, in questo momento e
all’interno delle differenti etiche dell’ambiente, animale e delle
piante, riguarda proprio ciò che è andato costituendosi come
Natura all’interno della tradizione di pensiero occidentale e come
questa
“istituzione”
di
una
certa
Natura
abbia
impattato
e
favorito una determinata struttura di sfruttamento della “natura
istituita”: nelle ricostruzioni culturali, si parte nella maggior
parte dei casi da un’analisi storico-critica di questa attitudine
di
pensiero
filosofia
(dal
della
“tradimento”
natura
al
socratico
racconto
nei
confronti
biblico,
come
della
elementi
fondativi, poi si passa alla soglia della modernità scientifica,
da
Galilei
a
Newton,
e
al
dominio
della
dimensione
tecnica/tecnologica nella contemporaneità) e la questione viene
affrontata soprattutto dal punto di vista culturale e simbolico,
vale
a
dire
individuale
di
con
relazione
l’alterità
gnoseologica,
naturale;
a
ontologica
partire
e
morale-
dall’indubbio
interesse in vista di un ripensamento della relazione etica che
connette l’umano al suo mondo, la dimensione della relazione
istituente
con
una
determinata
struttura
materiale
dello
sfruttamento della Natura (di ciò che di volta in volta va a
riempire
questo
“universale”:
dunque,
non
solo
in
senso
“ambientalista”, ma anche rispetto a una sorta di reductio ad
253
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
naturam cui in passato sono andati in contro le donne, gli altri
etnicamente
intesi,
etc.)
va
inquadrata
in
tutta
la
sua
i
due
complessità.
Pierre
Hadot
atteggiamenti
greco-romana)
prometeico
ha
raccontato
fondamentali
nei
in
dell’Occidente
confronti
(svelamento
maniera
della
violento
dei
magistrale
(sin
Natura,
segreti
dall’antichità
l’atteggiamento
di
una
“natura”
pensata come “nemica” e “ostile”, di cui l’umano orgogliosamente
non fa parte, almeno non del tutto) e l’atteggiamento orfico
(svelamento pacifico dei segreti di una “natura” pensata come
“amica” e “creativa”, di cui l’umano orgogliosamente fa parte,
seppur non del tutto) 4, e a partire da questo quadro si potrebbero
raccontare come i due atteggiamenti siano fortemente interrelati e
funzionali l’uno all’altro, si potrebbero richiamare tutte le
riflessioni che connettono il dominio violento o pacifico della
natura
esteriore
(oggi,
“pilotaggio”
come
violento
pacifico
o
i
risposta
della
paradigmi
alla
crisi
natura
del
“dominio”
climatica)
interiore,
si
al
e
del
dominio
potrebbero
richiamare le riflessioni su come il dominio violento o pacifico
della natura sia connesso al dominio violento o pacifico su ciò
che di volta in volta è stato considerato, nell’umano, più vicino
alla natura, dal femminile all’alterità “selvaggia”, si potrebbe
richiamare la maniera mediante la quale l’operatore “natura” abbia
funzionato sia in senso negativo (questa o quell’altra realtà è
inferiore perché vicina alla natura, a una dimensione naturale) o
in senso positivo (questa o quell’altra realtà è superiore perché
vicina alla natura, a una dimensione naturale) e si renderebbe
conto
dell’ambigua
complessità
nell’auto-rappresentazione
dell’umano occidentale, che come un pendolo oscilla costantemente
e in maniera funzionale tra questi due “opposti”. E così, quello
che può essere di interesse è la maniera mediante la quale
4
Cfr. P. Hadot, Il velo di Iside. Storia dell’idea di natura (2004), tr. it.
Einaudi, Torino 2006.
254
S&F_n. 27_2022
l’operatore
Natura
rappresentazione
occidentale
ha
funzionato
dell’alterità,
l’alterità
è
sempre
all’interno
laddove
stata
nella
ciò
che
della
tradizione
doveva
essere
ricondotta al Medesimo, mediante il monopolio dell’uso legittimo
della forza delle armi materiali e culturali-simboliche 5. Questa
sorta di necessità di svelamento della Natura va pensato allo
stesso tempo come un “bisogno” e come la “rappresentazione di un
bisogno” – la “natura” è il primo spettacolo (proprio nel senso
di: oggetto di visione) che si presenta all’umano: una “natura”
può
nascere
solamente
nel
momento
in
cui
si
produce
una
determinata distanza all’interno di una prospettiva, il punto di
vista del vivente umano, che non può più “vivere” l’immanenza
assoluta della sua appartenenza immediata (nel senso di: senza
mediazioni) al tutto vivente, e da un lato non può fare altro che
provare un sentimento di rimpianto per la “perdita” già da sempre
intuita, e dall’altro, trovando il mondo dinanzi a sé, sentire
l’orrore e la fascinazione di un mistero angosciante, cercarne lo
svelamento e sfruttarne le possibilità 6.
Non si può pensare questo “bisogno” attuale dell’umano occidentale
di rielaborare la propria relazione morale con gli altri enti
naturali – in questo momento sfumiamo le distinzioni e le alterità
all’interno delle alterità – se non nei termini di una presa di
coscienza ex-post: l’emergere di questi regimi discorsivi deve
essere concepita come l’urgenza di una problematizzazione che
viene allo scoperto nel momento in cui una determinata pratica,
5 Il dibattito più “accorto” sulle questioni ambientali sottolinea come la
costruzione occidentale di una “identità”, allo stesso tempo come “immagine
culturale e simbolica” e come motivazione per interventi colonialisti e
neocolonialisti,
sia
lo
strumento
fondamentale
di
ogni
riduzionismo
dell’alterità.
6 Su queste questioni è stato particolarmente puntuale il filosofo francese
Georges Bataille che vede in questa dialettica immanenza/trascendenza l’origine
non solo dell’attitudine tipicamente umana di trasformazione del mondo mediante
il lavoro, ma anche della religione, dell’arte e dell’erotismo (cfr. G.
Bataille, Teoria della religione (1973), tr. it. SE, Milano 2002; Id., Lascaux.
La nascita dell’arte (1955), tr. it. Mimesis, Milano 2007; Id., L’erotismo
(1957), tr. it. Mondadori, Milano 1972). Ci permettiamo di rinviare a D.
Salottolo,
La
vita
e
l’utile:
la
parabola
della
scrofa,
in
«S&F_scienzaefilosofia.it», 17, 2017, pp. 177-194.
255
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
considerata
fino
a
un
certo
momento
“normale”
e
dunque
“invisibile”, diviene in un certo senso “patologica” e dunque
“visibile”. Una problematizzazione viene fuori sempre all’interno
di un momento particolare della “spirale”, quando una determinata
relazione
tra
dinamica
culturale
e
simbolica
e
dinamica
di
sfruttamento materiale raggiunge un punto critico. Questa è la
soglia dell’Antropocene. E allora: è davvero necessaria un’etica
delle piante? Si tratta della domanda dalla quale abbiamo deciso
di
muovere,
proprio
nel
senso
del
reperire
questa
problematizzazione connessa a una emergenza/urgenza. Le etiche
applicate al mondo naturale rappresentano, dunque, allo stesso
tempo il sintomo di una problematizzazione o di una “patologia”
della libertà, e la difficoltà nel reperimento di una soluzione o,
meglio, di una “cura”: nel momento in cui scindiamo il nostro
rapporto con il mondo all’interno di comparti – ambiente, animale,
pianta
–
e
l’interesse
si
incentra
su
quale
“considerazione
morale” debba avere un determinato ente della natura con il quale
entriamo in contatto, se questa “considerazione morale” debba
basarsi su elementi che per analogia possiamo ritrovare nell’umano
o invece esclusivamente nell’unicità di quell’ente, quando insomma
rischiamo
di
disincarnare
la
dimensione
etica
dalle
altre
dimensioni complesse dell’intervento dell’umano nel mondo, di cosa
è rappresentazione la domanda: è davvero necessaria un’etica delle
piante? E ancora: questa impostazione che andiamo proponendo non
rischia di essere essa stessa una versione dell’antropocentrismo
tipicamente occidentale?
A partire da queste annotazioni introduttive – ma che sono già
parte integrante del ragionamento – si passerà, a partire dalla
domanda se l’antropocentrismo sia o meno eludibile, a un’analisi
speculativa e sintetica delle categorie fondamentali dell’etica
ambientale (che fanno da modello per l’etica delle piante), per
poi approdare a rappresentazioni concettuali rinnovate che le
piante possono “produrre”, concludendo con alcune proposizioni a
256
S&F_n. 27_2022
partire dalle quali è possibile rispondere positivamente alla
domanda: è davvero necessaria un’etica delle piante?
2. È eludibile l’antropocentrismo? 7
L’etica
dell’ambiente
rappresenta
un
filone
della
filosofia
morale, sviluppatosi a partire dagli anni ‘60 del XX secolo, che
nasce
dall’idea
che
sia
necessario
superare
i
limiti
della
rappresentazione morale classica, secondo la quale soltanto gli
umani
sarebbero
dotati
di
status
morale
e
quindi
degni
di
considerazione morale 8. Secondo l’impostazione per certi versi
ormai “classica”, la storia dell’etica occidentale può essere
letta nei termini di una storia dell’estensione dei limiti della
moralità, prima all’interno dell’umano, poi oltre l’umano. Il
problema
centrale,
rappresentato
Nell’ormai
dunque,
dall’annosa
vastissima
inquadramento
di
ogni
etica
questione
letteratura,
antropocentrico,
si
secondo
dell’ambiente
è
dell’antropocentrismo.
ritrova
il
solitamente
quale
la
un
“natura”
(qualunque cosa essa indichi) ha valore soltanto nella misura in
cui rappresenta un mezzo per la realizzazione di determinati fini
umani: la necessità della conservazione, dunque, o sta nel fatto
che la “natura” ha un’utilità determinante per le attività di
crescita economica umana – posizione oramai perlopiù squalificata;
oppure consiste nel fatto che essa è utile alla vita umana perché
capace di suscitare atteggiamenti di ammirazione e fascinazione e
quindi
condurre
a
una
“crescita”
morale
del
soggetto
umano
“spettatore” – si tratta, ad esempio, della classica impostazione
dei “doveri indiretti”. Si ritrova poi un inquadramento non-
7
Siamo debitori, come stimolo per la riflessione sull’antropocentrismo nelle
etiche ambientali, di G. Pellegrino, M. Di Paola, Nell’Antropocene. Etica e
politica alla fine di un mondo, DeriveApprodi, Roma 2018.
8 Questa scansione temporale non tiene conto di personalità come Henry David
Thoreau nel XIX secolo o di Aldo Leopold nella prima metà del XX secolo
soltanto perché, nella brevità di questa esposizione, si predilige discutere
dal punto di vista speculativo alcune categorie dell’etica ambientale così come
è andata costituendosi in sapere codificato all’interno del vasto ambito delle
cosiddette etiche applicate.
257
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
antropocentrico, secondo il quale la “natura” (qualunque cosa essa
indichi) ha valore in sé, al di là dei fini umani; le strategie
argomentative adottate sono solitamente due: la prima sottolinea
come il valore della “natura” e/o dei singoli enti naturali derivi
da alcune caratteristiche generali che essa/essi presenta(no),
quali la soggettività, la capacità di provare piacere e dolore,
etc.,
e
si
fondi
sull’idea
della
possibile
(e
necessaria)
estensione di caratteristiche umane agli altri enti naturali; la
seconda intende dimostrare come il valore della “natura” e/o dei
singoli
enti
naturali
condividerebbe(ro)
con
non
la
derivi
natura
da
umana,
caratteristiche
bensì
consista
che
nella
sua/loro assoluta alterità. La conservazione della “natura”, in
questo caso, non riguarda la sua importanza per i fini umani,
bensì
si
posiziona
esclusivamente
sul
piano
deontologico
del
rispetto morale.
Il problema – e questo è uno dei punti centrali di queste brevi
riflessioni
–
sta
proprio
nella
complessa
dinamica
dell’antropocentrismo, il quale sembra essere per certi versi
ineludibile.
Come
antropocentrico
si
abbiamo
fonda
visto,
sull’idea
l’inquadramento
che
la
“natura”
non-
abbia
un
valore-in-sé, al di là dei fini umani. Ebbene: chi determina
questo valore-in-sé? qual è la sua origine, la sua fonte? Sembra
essere evidente che la determinazione di questo valore provenga da
un vivente particolare, con un punto di vista particolare, il
vivente umano, che tra le sue caratteristiche peculiari presenta
quella del “porre-i-valori”. La questione si complica: immaginando
un universo privo di intelligenza senziente, gli enti naturali
(dal mondo inanimato fino agli animali e alle piante, passando per
ecosistemi,
etc.)
avrebbe
oppure
no
valore-in-sé?
Esiste
un
valore-in-sé, al di là del fatto che qualcuno/qualcosa possa
coglierlo e “pensarlo”, o un valore-in-sé può esistere soltanto
nella misura in cui è contemporaneamente un valore-per-qualcuno
che lo riconosce? E nel caso: valore-per-chi? Il valore deve avere
258
S&F_n. 27_2022
necessariamente un’origine esterna – un soggetto da cui “emana” –
o è “inerente” alla “natura” e/o agli enti naturali? Senza una
soggettività,
senza
uno
spettatore/attore
senziente,
ha
senso
parlare di valore inerente? Un orso bianco porrebbe la questione
del valore-in-sé del tricheco (e viceversa)? Infine: ragionare nei
termini
di
valore-in-sé
non
significa
reificare,
oggettivare,
astrarre dal flusso processuale un “qualcosa” al di là delle
relazioni
che
instaura
e
lo
formano?
L’antropocentrismo
ontologico, scacciato dalla porta, sembra rientrare dalla finestra
come antropocentrismo valoriale o assiologico. Ma non è tutto.
Antropocentrismo
all’interno
e
non-antropocentrismo
dell’inquadramento
si
cosiddetto
scontrano,
sempre
non-antropocentrico,
anche su un altro livello di riflessione. Si tratta di quella che
viene
chiamata
“strategia
dell’estensione”:
estendere
caratteristiche umane (capacità di essere un soggetto, capacità di
provare piacere e dolore, capacità di vivere una vita che può
andare bene o male, etc.) agli enti naturali significa compiere un
gesto antropocentrico o non-antropocentrico? Antropocentrico, in
quanto si ritiene che il modello di sensibilità, intelligenza e
buona vita sia quello umano, da estendere poi agli altri enti
naturali;
non-antropocentrico,
in
quanto
si
ritiene
che
sensibilità, intelligenza e buona vita appartengano all’umano così
come agli altri enti naturali, cancellandone così la centralità
prometeica. Al di là della forse eccessiva stilizzazione dei
ragionamenti, si tratta comunque di una compresenza. Prendiamo ad
esempio la caratteristica della “capacità di essere un soggetto”:
secondo Peter Singer e Tom Regan gli animali sono da considerarsi
rispettivamente soggetti di interesse e soggetti di diritto 9, così
come per Matthew Hall 10 e Michael Marder 11 sono da considerarsi
9
Cfr. P. Singer, Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in
tutto il mondo (2009), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015, e T. Regan, I
diritti animali (1983), tr. it. Garzanti, Milano 1990.
10 Cfr. M. Hall, Plants as Persons. Philosophical Botany, Suny Press, New York
2011.
259
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
soggetti
–
differente
seppur
–
in
anche
maniera
le
radicalmente
piante;
la
e
filosofa
qualitativamente
Bennett 12,
Jane
a
partire da un’ontologia di stampo spinoziano, parla di una materia
con caratteristiche di soggetto agente, mentre Bruno Latour, con
la sua teoria degli attanti, ritiene che anche le cose inanimate
hanno agency, vale a dire la capacità di modificare uno stato di
cose 13.
Ebbene:
l’essere-soggetto
dell’umano
è
lo
stesso
dell’essere-soggetto di un cane, di una palma, di un batterio o di
una pietra? Abbiamo una definizione di essere-soggetto univoca,
sulla
quale
basarci
per
il
reperimento
di
alcune
sue
caratteristiche nella realtà umana, animale, vegetale o inanimata?
In realtà, non l’abbiamo neanche per l’umano. Focalizzandoci sul
mondo vegetale, tutto appare ancora più complicato: nonostante
studi innovativi e rivelatori sulla neurobiologia delle piante
(cui faremo cenno nel corso della riflessione), in che misura esse
possono
essere
chiederselo?
definite
dei
chiederselo
“soggetti”?
significa
In
più:
compiere
ha
senso
un
gesto
Passando
alla
antropocentrico o non-antropocentrico?
Ma
non
è
soltanto
questione
della
possibile
ritrovare
questione
“capacità
questa
di
di
soggettività.
provare
facoltà
piacere
nelle
o
piante?
dolore”,
Ha
è
senso
ricercarla con caratteristiche che siano simili a quelle del
vivente umano e animale? Non si tratta di antropocentrismo o,
comunque, di zoocentrismo?
Arrivando
infine
all’astrazione
massima
della
strategia
dell’estensione, vale a dire l’idea secondo la quale tutto ciò che
è dotato di “vita” ha valore-in-sé, non dovremmo forse chiederci e
definire prima che cosa è “vita”? È una risposta che può essere
data in maniera univoca? Un cane, una palma, un batterio, o ancor
11
Cfr. M. Marder, Plant-Thinking. A Philosophy of Vegetal Life, Comubia
University Press, New York 2013.
12
Cfr. J. Bennett, Vibrant Matter. A politcal ecology of things, Duke
University Press, Durham 2010.
13 Cfr. B. Latour, Reassembling the Social. An Introduction to Actor-NetworkTheory, Oxford University Press, Oxford 2005.
260
S&F_n. 27_2022
di più “oggetti” indefinibili come un ecosistema, conducono la
stessa “vita” di un umano (e la stessa tra di loro)? La “vita” è
una caratteristica/qualità che posseggono determinati “enti” o è
un processo complessivo di cui i singoli “enti” sono forme di
manifestazione “parziale”? Gli attanti inanimati di Latour, questa
pietra o quella montagna, per il fatto di avere agency, hanno una
“vita”? Pensare come una montagna 14 è per l’umano un tentativo
antropocentrico o non-antropocentrico? Infine: se la “natura” e/o
gli enti naturali hanno valore-in-sé, nella loro assoluta alterità
e
irriducibilità
all’umano,
di
che
valore
si
tratta?
Se
è
radicalmente altro, è possibile davvero reperirlo? Chi sarebbe in
grado di svelarlo? La risposta è sempre l’umano e l’alterità
assoluta sembra comunque un limite invalicabile. E ci troviamo
nuovamente dinanzi all’ipotesi di un antropocentrismo valoriale o
assiologico.
La cosiddetta etica delle piante rientra pienamente – anche a
partire da qualche accenno già fatto – all’interno di questa
complessità. E rispetto all’animale, la questione è sicuramente
più problematica. Quelli che sono stati definiti i tre approcci
fondamentali della Plant Ethics 15 sono i seguenti:
1. Non-moral yet inclusive approach, secondo il quale «la vita
delle piante è decisamente importante per la vita degli esseri
umani e degli animali non umani» per cui «le piante hanno
valore e importanza morale perché sono elementi insostituibili
della buona vita degli esseri senzienti che abitano il pianeta
Terra» – si tratta di un approccio definito “ecumenico” in
quanto «accoglie ragioni estetiche, prudenziali, narrative e
scientifiche per valorizzare e rispettare le piante, e le
unisce a ragioni morali che si riferiscono al bene degli umani
e degli altri animali» e che «parla spesso il linguaggio della
14
Il riferimento è ovviamente a A. Leopold, Pensare come una montagna. A Sandy
Count Almanac (1949), tr. it. Piano B, Prato 2019.
15 Cfr. A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), op. cit. (La
traduzione di questa e di tutte le citazioni di opere di cui non esiste o non
viene citata l’edizione in italiano è da considerarsi nostra).
261
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
giustizia: proteggere le foreste, la biodiversità botanica, le
popolazioni di piante e le singole piante è in molti casi un
modo per essere giusti nei confronti di tutti quegli esseri
umani e animali non umani che possono in vari modi beneficiare
del mondo vegetale oggi e in futuro» 16.
2. Relational approach, secondo il quale «il valore e l’importanza
morale delle piante non discendono dallo status ontologico e
morale delle piante, ma emergono piuttosto all’interno delle
pratiche umane che si riferiscono alle piante» per cui «gli
approcci relazionali non parlano tipicamente il linguaggio dei
doveri e degli obblighi, ma quello della cura e della virtù» 17.
3. A
value-in-nature
approach,
secondo
il
quale
non
sono
da
mettere in evidenza «le nostre ragioni per dare valore alle
piante, né il nostro rapporto con esse, ma piuttosto i valori
delle piante stesse», anche se non si tratta della «ricerca del
valore intrinseco delle piante […]: si tratta piuttosto di
un’esplorazione
di
valori
concreti,
empiricamente
testati
nella, della e per la vita delle piante, tra cui l'integrità e
la prosperità» 18.
All’interno di questa sintesi molto efficace si ritrovano molte
delle complessità e delle articolazioni dell’etica ambientale e
animale
cui
all’interno
abbiamo
di
questo
fatto
un
paragrafo.
seppur
Si
troppo
tratta
rapido
di
cenno
approcci
che
comunque tendono spesso a integrarsi o a incrociarsi in maniera
critica. Nonostante questo campo di studi sia piuttosto recente,
le pubblicazioni e le articolazioni sono già numerose. Troviamo il
punto di vista “utilitarista”, secondo il quale le piante non sono
da
considerarsi
comportamento
soggetti
morale
nei
di
benessere,
confronti
di
per
cui
esse
il
può
nostro
essere
giustificabile soltanto a partire dal benessere umano e animale
che ne deriva, dunque l’etica delle piante non può che essere
16
17
18
Ibid., p. 2.
Ibid.
Ibid., p. 3.
262
S&F_n. 27_2022
indiretta
derivativa 19.
e
Abbiamo
poi
il
punto
di
vista
del
“valore inerente”, secondo il quale le piante hanno tale valore
nella misura in cui hanno “interessi” in quanto enti naturali
teleologicamente
organizzati
dalla
dinamica
della
selezione
naturale – le complessità di questa posizione muovono dall’idea
che, dunque, anche batteri e artefatti dovrebbero così avere
interessi, in quanto enti organizzati a partire da una finalità
intrinseca 20. Ci sono poi le teorie del “fiorire” su base neoaristotelica, secondo le quali il “fiorire” può divenire una sorta
di metro di giudizio a partire dal quale valutare se la nostra
relazione con le piante conduca a forme di danneggiamento o di
beneficio, con il vantaggio di avere al centro una nozione che
proviene dalla scienza botanica e non da una dimensione valoriale
antropocentrica 21 – qui il pericolo è sempre quello di incorrere
nella fallacia naturalistica. C’è poi chi riflette a partire dal
concetto kantiano di “dignità” (che nel filosofo tedesco può
essere ricondotto soltanto all’umano, in quanto agente morale
razionale)
concetti
e
sulla
dell’etica
determinati
concetti
difficoltà
umana
di
fondo
all’etica
costruiti
per
dell’estensione
delle
un
piante,
“regno”
in
dei
quanto
difficilmente
possono essere adeguati per un altro “regno” 22. Ci sono poi gli
approcci relazionali: secondo Coeckelbergh, ad esempio, l’analisi
dal punto di vista ontologico o metafisico del regno delle piante
potrebbe
non
essere
la
via
più
percorribile
per
giungere
a
un’etica delle piante, la quale dovrebbe piuttosto muovere dalla
relazione con l’umano e mediante un dialogo tra il punto di vista
umano
e
quello
vegetale,
e
puntando
su
un’etica
pratica
e
19 Cfr. T. Višak, Utilitarian plant ethics, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M.
Schörgenhumer (a cura di), op. cit., pp. 30-39.
20 Cfr. R. Sandler, Is considering the interests of plants absurd?, in A.
Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), op. cit., pp. 40-50.
21 Cfr. A. Kallhoff, The flourishing of plants: A neo-Aristotelian approach to
plant ethics, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), op.
cit., pp. 51-58.
22 Cfr. S. Odparlik, The dignity of plants. An overview of the discussion in
German-speaking countries, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a
cura di), op. cit., pp. 59-69.
263
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
contestuale 23; mentre Schörgenhumer punta invece sulla questione
della “cura” e delle virtù a essa connessa 24.
All’interno di questo ampio panorama (che non pretende comunque di
essere esaustivo), sorgono due questioni. La prima è che sembra
essere chiara la mancanza di un ragionamento che muova dalla
“spirale”
di
cui
discutevamo
nell’introduzione
al
saggio
(la
relazione “complessa” tra il dominio culturale e simbolico e il
dominio economico-politico, tra la rappresentazione del bisogno e
il bisogno), e le ragioni di questa mancanza sarebbero anche esse
da analizzare dal punto di vista etico. Da qui la domanda: è
possibile immaginare, ai tempi dell’Antropocene e della crisi
climatica
conclamata,
una
riflessione
morale
per
certi
versi
slegata dalle urgenze politiche? La seconda concerne ancora una
volta
la
questione
dell’antropocentrismo:
se
è
vero
che
la
riflessione sull’etica delle piante deve muovere da qualcosa come
il riconoscimento di un’alterità assoluta, che può essere appunto
“riconosciuta” non in maniera mai complessiva ma attraverso uno
sforzo non solo scientifico ma anche “immaginativo”, è altrettanto
vero che questo riconoscimento non può che provenire dall’umano,
dal punto di vista umano. Questa tipologia di sforzo intellettuale
e immaginativo può portare con sé forme di destabilizzazione delle
consuetudini
simboliche
e
culturali
e,
inserendosi
nella
“spirale”, modalità di ripensamento di una serie di categorie
economico-politiche, che nell’Antropocene non regolano soltanto
l’umano ma sono a fondamento dell’intera possibilità futura della
relazionalità vivente nel Sistema Terra. Si tratta in parole
semplici
di
mostrare
come
il
“riconoscimento”
dell’alterità
assoluta di un ente naturale possa portare con sé un ripensamento
della
dimensione
simbolica
e
23
culturale
di
comprensione
Cfr. M. Coeckelbergh, What do we mean by a relational ethics? Growing a
relational approach to the moral standing of plants, robots and other nonhumans, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), op. cit.,
pp. 98-109.
24 Cfr. M. Schörgenhumer, Caring for plants: Cultivating realtional virtues, in
A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (a cura di), op. cit., pp. 110-118.
264
S&F_n. 27_2022
dell’alterità con possibilità di trasformazioni nelle relazioni
materiali tra gli umani, tra i viventi umani e i viventi nonumani,
e tra i viventi umani e la realtà tutta del Sistema Terra. Si
tratta in parole ancora più semplici della rappresentazione di una
necessaria riattivazione del modello immaginativo dell’utopia.
Si può ritenere che questa posizione sia del tutto antropocentrica
– necessità di un’etica ambientale, animale e delle piante in
vista del benessere umano –, ma in realtà si tratta di una forma
tutt’al più di “antropocentrismo debole” 25, nella misura in cui il
benessere umano, nell’epoca dell’Antropocene, non può essere più
scisso,
neppure
simbolicamente,
da
un
riconoscimento
di
un
benessere “ambientale”, animale e vegetale. Il benessere è un
inter-esse
comune.
L’inter-esse
può
essere
inteso
in
senso
strumentale e individuale oppure come valore comunitario che trova
nell’“inter” la matrice della comunità biotica. Nel secondo caso,
l’unico
ovviamente
all’altezza
della
sfida
del
cambiamento
climatico, la costruzione di questo inter-esse comune oltrepassa
le distinzioni tra le differenti forme di ben-essere e muove dal
riconoscimento di una complessa relazionalità e processualità,
sempre metastabili e sempre da stabilizzare. Una relazionalità e
una processualità che sono allo stesso tempo ontologiche ed eticopolitiche: se è vero che, dal punto di vista filosofico, è sempre
difficile – se non “scorretto” logicamente – costruire un processo
deduttivo
che
mostri
il
passaggio
da
una
certa
descrizione
dell’essere a una certa prescrizione del dover essere, è almeno
altrettanto
vero
che
l’ingiunzione
delle
etiche
ambientale,
animale e delle piante non può che fondarsi da un lato sul
riconoscimento della processualità e relazionalità ontologica e
25
Con questa espressione, dovrebbe essere chiaro, non intendiamo «il modello
della conservazione delle risorse cui corrisponde una cultura della gestione»,
come sottolinea Luisella Battaglia, sulla scorta di un’etica dei limiti «in cui
si assegnano vincoli normativi al comportamento umano in relazione all’ambiente
e si prescrive un’amministrazione oculata delle risorse naturali, sempre in
funzione della prosperità e del benessere umani» (L. Battaglia, Un’etica per il
mondo vivente. Questioni di bioetica medica, ambientale, animale, Carocci, Roma
2011, pp. 160, 161-162).
265
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
situazionale di cui uno dei poli (ma anche uno degli “effetti”) è
necessariamente
ripensamento
l’umano
della
e
dall’altro
dimensione
del
sulla
politico
necessità
a
partire
di
un
da
un
ripensamento radicale dei modi di produzione, consumo e sviluppo
dell’umano. Che si ritenga che debba essere antropocentrica o nonantropocentrica,
l’epoca
critica
dell’Antropocene
e
del
surriscaldamento globale non può che muovere da un lato dalla
necessità di una riattivazione della “spirale”, dall’altro dalla
consapevolezza che, arrivati a questo punto critico, non vi è più
grande distinzione tra una benessere umano, animale, vegetale,
della vita nel suo insieme (qualunque cosa significhi “vita”). E
che la costruzione di questo benessere deve passare allo stesso
tempo per un ripensamento delle rappresentazioni simboliche e
culturali e per una ristrutturazione delle relazioni materiali
inter- e intra- specifiche. Se è vero che l’etica può essere una
questione
soltanto
umana
(gli
enti
naturali
non
agiscono
o
scelgono di agire in chiave etica) e quindi antropocentrica, è
altrettanto vero che l’inter-esse, inteso in senso relazionale e
processuale,
apre
a
una
rappresentazione
della
“natura”
non-
antropocentrica. Ma anche la rappresentazione resta una questione
umana, troppo umana.
3. L’alterità assoluta delle piante
Discutere dell’alterità assoluta delle piante – e, muovendo da
questa, sul senso di un’etica delle piante – significa lavorare a
partire dal punto di vista scientifico, mediante il reperimento
delle novità che provengono dalla neurobiologia delle piante, e
dal
punto
di
vista
filosofico,
mediante
un
ripensamento
del
significato ontologico e metafisico della vita vegetale.
Iniziamo dal punto di vista scientifico. Prima di analizzare
alcuni
aspetti
neurobiologia
del
vegetale,
contemporaneo
bisogna
campo
sottolineare
di
studi
come
una
della
prima
comprensione del fatto che le piante siano esseri senzienti e
266
S&F_n. 27_2022
attivi provenga da Charles Darwin 26. Il grande naturalista inglese
ragiona a partire da alcuni elementi: il primo concerne il fatto
fondamentale
che
per
comprendere
la
complessità
della
vita
vegetale occorra analizzare le parti terminali delle radici, le
quali rappresentano un vero e proprio organo di senso che registra
differenti parametri e può reagire a essi; il secondo è che nelle
piante – nelle parti terminali delle radici – esistono movimenti
che è possibile considerare “intelligenti”, mediante una sequenza
dimostrabile di percezione di stimoli dall’ambiente, decisione su
quale direzione prendere, attuazione del movimento finale. In
poche parole, si tratterebbe di una prima intuizione di quella che
è possibile definire come intelligenza diffusa delle piante.
Secondo
i
più
recenti
studi
di
neurobiologia
vegetale 27,
le
piante, pur non possedendo un cervello e un sistema nervoso
centrale, presentano una forma di intelligenza molto complessa:
esse infatti posseggono diverse migliaia di “reti cerebrali” (i
meristemi),
collocate
interconnesse
mediante
sulle
dei
parti
terminali
particolari
delle
filamenti
radici,
e
vascolari,
definiti (per analogia) come dei veri e propri “neuroni”. Un
sistema nervoso decentralizzato non significa un sistema nervoso
“inferiore”
o
“imperfetto”
(al
di
là
del
fatto
che
superiorità/inferiorità e perfezione/imperfezione non sono e non
dovrebbero
essere
categorie
biologiche),
presenta
invece
dei
vantaggi per esseri viventi la cui specializzazione è il nonmovimento:
i
migliaia
di
cervelli
di
ogni
singola
pianta
permettono a essa di integrare le informazioni sensibili e di
attivare una comunicazione tra i tessuti in grado di far “prendere
26 Cfr. C. Darwin, The power of movement in plants (1880), Cambridge University
Press, Cambridge 2009.
27 Cfr. F. Baluska, S. Mancuso, D. Volkmann, P.W. Barlow, Root apex transition
zone: a signalling-response nexus in the root, in «Trends in Plant Science»,
15, 2010, pp. 402-408, e F. Baluska, S. Mancuso, Plants, climate and humans.
Plant intelligence changes everything, in «EMBO Reports», 21, 2020 (liberamente
consultabile
al
seguente
link:
https://www.embopress.org/doi/full/10.15252/embr.202050109); per una lettura
divulgativa, cfr. S. Mancuso, A. Viola, Verde brillante: Sensibilità e
intelligenza del mondo vegetale, Giunti, Firenze 2015.
267
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
decisioni” alle piante. Le piante possono “decidere” ad esempio di
“produrre” elementi biochimici per mutare la propria condizione e
relazione con l’ambiente: in presenza di agenti patogeni, possono
produrre
sostanze
difensive
(antifungini,
ad
esempio)
o,
in
presenza di un suolo povero di fosforo, possono produrre sostanze,
come enzimi e acidi organici, in maniera tale da arricchirlo. Se
percepiscono
un
pericolo
nella
crescita
delle
piante
nelle
vicinanze, possono produrre metaboliti che ne frenano lo sviluppo.
Sembra
inoltre
percezione
che
le
articolata
piante,
del
in
proprio
qualche
ambiente,
modo,
a
abbiano
tal
punto
una
da
“interagire” non solo con altri vegetali ma anche con animali: si
è dimostrato, dal punto di vista empirico, che alcune piante,
attaccate da erbivori, sono in grado di emettere sostanze che
avvertono della presenza del pericolo le piante vicine, le quali
attivano così le proprie difese chimiche contro l’“attacco” 28.
Semplificando al massimo, le evidenze scientifiche mostrano come
le piante non siano assolutamente assimilabili ad automi passivi e
con risposte meccaniche, ma siano forme-di-vita complesse, attive
e intelligenti. Di un’intelligenza di difficile comprensione per
l’umano, perché radicalmente differente. Cosa significa infatti
possedere un cervello diffuso? Di che tipo di intelligenza si
tratta? Come definirla? È possibile definirla per analogia con
l’intelligenza animale o umana? Cosa può insegnarci?
Dal
punto
di
vista
filosofico,
il
tentativo
di
riflessione
ontologica e metafisica più articolato è sicuramente quello di
Emanuele Coccia 29. Secondo il filosofo italiano, il nostro mondo è
innanzitutto un “fatto vegetale”: il meccanismo dell’autotrofia –
il fatto di trasformare in vita la luce, la materia e l’aria,
costituendo così il mondo per gli animali e gli umani – è il
motivo per cui le piante sono da interpretare come vere e proprie
28
Cfr. W. van Hoven, Mortalities in kudu (Tragelaphus strepsiceros)
populations related to chemical defence in trees, in «Journal of African
Zoology», 105, 1991, pp. 141-145.
29 Cfr. E. Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza (2016), il
Mulino, Bologna 2018.
268
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costruttrici di mondi, vere e proprie potenze cosmogoniche (Coccia
parla di “tono esiodeo” da rilanciare nella botanica 30). Il nostro
“mondo”, ciò che chiamiamo “natura”, è un fatto vegetale in due
sensi, sia perché è “creato” dalle piante e dalla loro attività di
fotosintesi,
sia
perché
l’organismo
animale
è
formato
completamente da materiale organico creato dalle piante. Se a
questo si aggiunge il fatto che il 90% della massa eucariotica del
pianeta è formato da piante e la maggior parte degli oggetti e
degli strumenti che noi viventi umani utilizziamo deriva dalle
piante, è possibile dunque affermare che tutta la vita animale
superiore si nutre e deve l’esistenza, in senso ontologico, a
questa
facoltà
cosmogonica
delle
piante.
Dal
punto
di
vista
epistemologico, le piante mettono definitivamente in crisi quello
che è l’assunto fondamentale delle scienze biologiche e naturali
degli ultimi secoli, l’idea di una priorità dell’ambiente sul
vivente; sono i viventi – e innanzitutto le piante – a creare
l’ambiente in cui vivono, per cui la relazione di adattamento è
molto più complessa e imbricata, si tratta di una vera e propria
co-costruzione, nonché di una complessificazione del rapporto tra
contenente e contenuto. Porsi al livello della vita delle piante
significa ripensare tutta una serie di abitudini concettuali.
Innanzitutto, cosa debba intendersi per “vita”: se è vero che gli
animali superiori hanno bisogno gli uni della vita degli altri,
così come gli umani hanno bisogno della vita prodotta dagli altri
animali e dalle piante, lo studio delle piante fa comprendere come
esse non abbiano bisogno della vita altrui (perché la ricavano
dalla realtà inanimata), ma siano esse stesse creatrici di vita,
in grado di modificare mondi per la diffusione e l’esplosione
delle forme-di-vita. Il principio fondamentale è quello della
“metamorfosi”, in quanto le piante hanno la caratteristica di
coincidere pienamente con le forme che creano – l’immediatezza
della
30
trasformazione,
il
fatto
Cfr. ibid., p. 19.
269
che
in
una
pianta
generare
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
significa
trasformarsi,
l’opposto
della
mutare
concezione
la
propria
astratta
della
forma,
rappresenta
creazione
e
della
tecnica umane. La genesi delle forme nel mondo delle piante
raggiunge un elevato livello di intensità: rispetto agli animali
superiori in cui lo sviluppo si arresta, la pianta rappresenta
«un’inarrestabile
macchina
morfogenetica»
capace
di
costruire
nuovi organi e parti di cui sono state private: «il loro non è mai
un corpo definitivamente dato, ma un atto costante di bricolage
somatico […] un atto incessante di autodesign» 31. In questo senso,
“mondo” e “natura” coincidono, in quanto «il mondo non è l’insieme
logico di tutti gli oggetti, né una totalità metafisica di esseri,
ma la forza fisica che attraversa tutto ciò che si genera e si
trasforma» e la «natura non designa quel che precede l’attività
dello spirito umano, né ciò che si oppone alla cultura, ma ciò che
permette a ogni cosa di nascere e di divenire» 32. E si presenta
nuovamente
la
questione
dell’antropocentrismo,
a
partire
dall’espulsione della natura dallo sguardo filosofico e la sua
riduzione
a
«oggetto
puramente
residuale,
opposizionale,
per
sempre incapace di occupare il posto di soggetto» 33. Si tratta,
dunque, di una rimozione, «quella del vivente e del fatto che ogni
conoscenza è già espressione dell’essere della vita», quella del
fatto che «il mondo è il respiro dei viventi», quella del fatto
che «ogni conoscenza cosmica è un punto di vita (non solo un punto
di vista) e ogni verità non è che il mondo nello spazio di
mediazione del vivente» 34. Rifondare una “cosmologia”, questo il
compito
dell’unica
filosofia
possibile
oggi,
secondo
Emanuele
Coccia, una cosmologia che muova dall’esplorazione del mondo delle
piante. Nella costruzione del discorso del filosofo italiano non è
presente una riflessione sulle conseguenze etiche di una tale
impostazione filosofica, definita “metafisica della mescolanza”,
31
32
33
34
Ibid., p. 24.
Ibid., p. 29.
Ibid., p. 31.
Ibid.
270
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ma c’è l’idea (seppur non espressa, ma che noi riteniamo di poter
derivare) che, nel momento stesso in cui muta la rappresentazione
ontologica e cosmologica del mondo-natura, allora si produrranno
forme
nuove
di
relazione
etica
tra
i
viventi.
Richiamando
l’impostazione di Michael Marder, è possibile affermare che, se in
senso
levinasiano
l’etica
è
sempre
relazione
con
un’alterità
assoluta, allora la vita vegetale merita particolare rispetto
etico 35. Sulla differenza delle piante e la necessità di un’etica
delle piante post-moderna si interroga Karen Houle, la quale
ricostruendo
“corpo
nell’umano
biologico”
sottolinea
come
caratterizzata
da
e
una
relazione
strutturazione
l’impostazione
opposizioni
tra
del
strutturazione
“corpo
filosofica
binarie
che
di
del
pensiero”,
dominante
richiamano
sia
la
bi-
lateralità sinistro-destro del corpo biologico umano; ebbene, la
fisiologia delle piante fa saltare questo schema, nessuna bilateralità ma una crescita di tipo rizomatico, per cui ispirarsi
alla biologia della vita vegetale può indicare una strada per
andare oltre il pensiero binario e può fondare, su questa unicità
assoluta, la possibilità di un’etica delle piante come base per
un’etica
complessiva 36.
Come
suggerisce
Sylvie
Pouteau,
la
particolare natura delle piante – l’apertura, il non essere autocentrate,
il
vivere
euclideo
–
può
in
uno
spazio
permettere
di
non
formalizzato
pensare
nuove
in
modo
ontologie,
epistemologie e prospettive etiche 37.
In
conclusione,
le
riflessioni
di
carattere
scientifico
e
filosofico che abbiamo sintetizzato incrociano immediatamente la
possibilità di un’utilizzazione simbolica e culturale di questa
“alterità” per un miglioramento del mondo umano e della relazione
etica
con
l’ambiente
in
generale.
35
Ancora
l’ineludibile
Cfr. M. Marder, op. cit.
Cfr. K. Houle, Facing only outwords? Plant bodily morphogenesis and ethical
conceptual genesis, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (ed.), op.
cit., pp. 70-81.
37 Cfr. S. Pouteau, Plants as open beings: From aesthetics to plant-human
ethics, in A. Kallhoff, M. Di Paola, M. Schörgenhumer (ed.), op. cit., pp. 8297.
36
271
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
antropocentrismo. Riconoscere come le foreste davvero parlino38,
al di là delle rappresentazioni degli indigeni, ma a partire da
una metaforica per certi versi accettabile oggi anche in senso
scientifico, cosa significa? Riconoscere nelle piante qualcosa che
può essere di insegnamento per la nostra cultura e civiltà, cosa
significa?
Significa
che
un’etica
delle
piante
può
essere
necessaria, nella misura in cui, partendo dall’assunto che si
trovava nelle prime righe del saggio – riconoscere dignità a un
determinato ente non conduce necessariamente a un rispetto di
quell’ente
–,
soltanto
riconoscendo
la
complessità
sempre
differente e sempre articolantesi l’una sull’altra della vita
umana, della vita animale e della vita vegetale, è forse possibile
immaginare
un
modo
differente
di
cogliere
le
connessioni
fondamentali tra gli enti e dunque, in quanto etica e politica
sono
forme
che
assumono
la
gestione
della
relazionalità
nell’umano, un allargamento e un miglioramento della relazionalità
tra umani, tra viventi umani e viventi nonumani, e tra viventi
umani
e
natura
l’estensione
inanimata
della
–
vale
considerazione
a
dire:
morale
rendere
effettiva
all’interno
di
un
progetto di trasformazione dell’esistente.
4. Le ragioni di una risposta
Il tempo dell’Antropocene ci ha mostrato come i cosiddetti limiti
planetari,
il
riequilibrarsi,
definitivamente
significherebbe
mantenimento
possano
dei
quali
nell’arco
sorpassati.
dare
avvio
di
permette
qualche
Oltrepassare
a
un
processo
al
decennio
tali
di
sistema
di
essere
“limiti”
turbolenza
che
limiterebbe la possibilità di una qualunque forma di “previsione”
sul possibile andamento dell’intero Sistema Terra, andamento che
potrebbe essere particolarmente “disordinato” per diversi millenni
(se non decine di millenni), ponendo fine alla fase di cosiddetta
38
Cfr. E. Kohn, Come pensano le foreste (2013), tr. it. nottetempo, Milano
2021.
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“pace climatica” (l’Olocene) che ha permesso lo sviluppo rapido e
impetuoso delle civilizzazioni umane. Al di là dell’impossibilità
di una previsione per certi versi “esatta” dell’evoluzione di un
sistema complesso che “agisce” in maniera stocastica, ma partendo
dal
presupposto
che
è
comunque
identificabile
un
trend
o
andamento, riflettere sulla domanda è davvero necessaria un’etica
delle piante? significa allo stesso tempo porsi all’interno di un
orizzonte
che
può
contemplare
la
catastrofe
e
cercare
gli
strumenti adeguati, dal punto di vista culturale e simbolico e dal
punto di vista materiale, per una trasformazione radicale dei
sistemi di pensiero e vita globali (cioè la “spirale” tra elementi
simbolici
ed
elementi
economico-politici).
Sembra
essere
estremamente probabile, e questo punto di vista non appartiene
soltanto a determinate prospettive di politica complessiva, che
l’attuale organizzazione dell’economia di produzione e consumo
globale (e sempre più globalizzantesi) non sia più, non solo nel
lungo periodo ma anche in quello medio e forse breve, sostenibile.
Non è più sostenibile una determinata modalità di organizzare la
“trasformazione” tecnica del mondo naturale per fini umani e non
sono più sostenibili le rappresentazioni culturali e simboliche
“classiche” e quelle che si vorrebbero “nuove” e “ottimistiche” e
che rilanciano l’idea che, per immunizzare gli effetti degli
impatti
antropici,
sia
necessario
accelerare
proprio
gli
interventi di carattere antropico 39. In questo senso, non si è
compiuto nessun passo in avanti – anche ragionando esclusivamente
a partire dal versante etico – all’interno di un percorso che
preveda, dal punto di vista immaginativo, la presenza nel qui e
ora della “decisione” giuridico-politica non solo degli interessi
delle future generazioni ma anche di quelli di entità naturali
altre. La facoltà immaginativa nel nostro tempo sembra essere
particolarmente
in
crisi,
eppure
39
è
soltanto
mediante
Ci riferiamo alle posizioni ultra-prometeiche e ultra-eccezionaliste
dell’umano
proprie
del
cosiddetto
“ecomodernismo”
(cfr.
http://www.ecomodernism.org/italiano – link consultato il 21 marzo 2022).
273
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
l’immaginazione che è possibile fuoriuscire dai limiti cognitivi
della
nostra
psicologia
l’immaginazione
che
è
morale 40,
possibile
ed
è
soltanto
costruire
nel
mediante
pensiero
la
rappresentazione di un mondo completamente altro 41.
La ragione fondamentale per cui riteniamo che l’etica delle piante
sia davvero necessaria è proprio perché potrebbe permettere un
esercizio di immaginazione particolarmente articolato e complesso.
Proprio trattandosi di un’alterità per certi versi non afferrabile
del tutto, già sempre sfuggente, ma che può essere comunque colta
nella
sua
straordinaria
(proprio
nel
senso
di:
fuori
dall’ordinario della nostra classica lettura del mondo e delle
cose) unicità sia dal punto di vista estetico che metafisicoontologico, la funzione di una centralità della vita vegetale
all’interno del discorso dell’etica ambientale potrebbe essere
quella di attivare uno sforzo immaginativo che, a partire dalla
lenta
temporalità
delle
piante,
possa
condurre
a
una
rappresentazione “anticipata” del “futuro” del sistema Terra. Se è
vero
quanto
afferma
Coccia,
che
le
piante
sono
potenze
cosmogoniche ed esiodee, porsi al livello della vita delle piante
dovrebbe permettere di cogliere la fondamentale potenza creatrice
della
vita
vegetale
e
della
vita
tout
court:
questa
forma
specifica di creatività – di cui noi letteralmente ci nutriamo –
potrebbe essere a fondamento di un percorso immaginativo della
creatività umana, un’utopia trasformatrice della relazionalità
complessiva, a partire dal presupposto oramai ineludibile che il
benessere
umano
non
può
che
essere
inserito
all’interno
del
complesso del benessere del “tutto”. Il ben-essere, lo stare-bene,
diviene una dinamica che ha a che vedere con il mondo della
creazione (e della creatività: le piante non creano e basta,
40
Cfr. S. Pollo, op. cit.
Ci permettiamo di rinviare, sulla connessione tra Antropocene e l’idea che
sia sempre più difficile immaginare il radicalmente nuovo, e su come provare a
riattivarlo, D. Salottolo, Senza il nuovo, quanto può durare una cultura? Tina
e
la
ricerca
di
una
“cosmologia”
all’altezza
dell’Antropocene,
in
«S&F_scienzaefilosofia.it», 23, 2020, pp. 350-385.
41
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creano bellezza) e con la realtà di un possibile vivere-insieme
che
sviluppi
ed
estenda
costantemente
i
confini
di
questo
“insieme”.
Si tratta di antropocentrismo o non-antropocentrismo? La domanda è
d’obbligo.
La
risposta
antropocentrismo,
nel
è
sempre
momento
in
la
cui
stessa.
sembra
Si
che
tratta
la
di
finalità
riguardi l’attivazione della facoltà immaginativa umana in vista
della trasformazione dell’esistente, trasformazione a guida umana;
si tratta di non-antropocentrismo, nella misura in cui si ragiona
a partire da un’alterità assoluta, non afferrabile del tutto, e
dall’idea di un ben-essere di tutta la comunità vivente e non
vivente, indistintamente, senza alcuna centralità per l’umano. La
nostra posizione dovrebbe essere chiara, è impossibile fuoriuscire
completamente dall’antropocentrismo, è impossibile fuoriuscire dal
punto di vista umano (o dal “punto di vita”, come lo chiama il
filosofo
Coccia).
deteriori,
per
È
possibile,
coltivarne
invece,
soltanto
limitarne
quelli
che
gli
effetti
possano
essere
propositivi. Non sappiamo se l’immaginazione appartiene anche ai
viventi
nonumani,
chiederselo.
ed
è
forse
L’immaginazione,
per
inutile
(e
antropocentrico!)
quanto
ne
sappiamo,
è
una
facoltà umana, e in questo momento è la facoltà che va coltivata e
lasciata “fiorire”: la traduzione di una specifica sensibilità in
discorso razionale e intellettuale necessita, mai come in questo
momento,
del
filtro
dell’immaginazione.
L’immaginazione
deve
essere la facoltà da “coltivare” e la creatività della vita
vegetale – esiodea e metamorfica – può fungere da modello per
questa ri-attivazione.
Ritornando e chiudendo sull’assunto iniziale – riconoscere dignità
a
un
determinato
ente
non
ha
condotto
necessariamente
a
un
rispetto di quel determinato ente (neanche quando quell’ente è
l’umano stesso) – significa che la facoltà dell’immaginazione
nell’umano è ancora troppo debole: se è vero che le piante
immaginando forme sempre nuove creano forme sempre nuove, vuol
275
ETICHE Delio Salottolo, È davvero necessaria un’etica delle piante?
dire
che
dalla
vita
vegetale
abbiamo
soltanto
da
imparare.
Ricordando, forse, che all’interno della “spirale” che connette
rappresentazioni
culturali
e
simboliche
e
determinazioni
materiali, il ruolo della dimensione “estetica” è da rilanciare.
Siamo convinti che un discorso di questo tipo sarà indubbiamente
tacciabile di “antropocentrismo”, ma per noi risulta decisivo,
strategicamente, ridiscutere il punto di vista umano, che, pur
muovendosi finalmente per vie sempre meno antropocentriche, resta
e
resterà
il
punto
di
vista
di
un
vivente
esattamente su quello che occorre lavorare.
276
specifico.
Ed
è