Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

L'orologio di Bruno

L’orologio di Bruno (Sergio Pedemonte) Marco Giovanni Ponta portò la mano alla fronte, gesto che gli era consueto nei momenti di incertezza. Da giorni lavorava alla sintesi di una vita di studio iniziata presso il Collegio di Novi Ligure e continuata con successo fino al suo arrivo a Roma nel 1840. La Divina Commedia in un’edizione settecentesca, consunta dal tempo e dalle sue mani, giaceva sullo scrittoio in cui altri libri attendevano di essere aperti. La matematica e l’astronomia completavano l’interesse che aveva per le opere del Sommo Poeta le cui terzine gli svelavano significati nascosti ad altri che non erano le suggestioni dei Fedeli d’Amore, di Baphomet o di Pape sàtan, pape sàtan aleppe, ma la cosmologia occulta di cui Dante si servì per poter fissare la cronologia del viaggio che tocca i drammi dell’Inferno, le pene del Purgatorio e la beatitudine delle glorie celesti. Per lui la nota affermazione O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani non significava che la volontà da parte del suo autore di rendere più interessante la lettura costringendo i ricercatori a un delicato gioco di indirizzi, intuizioni e soprattutto labirinti da cui anche Dedalo ne sarebbe uscito svuotato di ogni energia. Fu una sera di gran caldo, con la finestra aperta sul lago, che guardando il cielo gli apparve il significato del versetto I pesci guizzan su per l’orizzonta come un’indicazione astrologica: la costellazione dei Pesci sull’orizzonte dell’aurora. Fu così che lesse e rilesse con occhi diversi l’intera opera e le centinaia di pagine con gli appunti disordinati si trovavano tra tutti i volumi a cui abbiamo accennato e il pavimento. Uno schema ordinato si formava via via da questi fogli diventando un oggetto tangibile: l’Orologio Dantesco. L’incertezza però gli macinava la caparbietà con cui aveva studiato e la vanità di dare un’ulteriore interpretazione a un’opera che affascinava il lettore da quasi 600 anni; un gesto di superbia, una leggerezza scientifica o una meditata soluzione originale? Pensò a Dante stesso nel momento in cui vergò uscimmo a riveder le stelle. Aveva ferma convinzione che l’opera fosse quella che poi si rivelò? Anche lui tenne per giorni il manoscritto in bilico tra l’eccitazione e la paura? Gli vennero in mente i suoi compaesani che lo stimavano, gli mandavano lettere per avere consigli sugli studi dei figli e tutti i sacerdoti conosciuti tra Genova, Lecco, Lugano, Casale Monferrato e soprattutto Roma, dove era stato nominato Procuratore Generale del suo Ordine, i Somaschi. Pensò alla madre Vittoria quando lo portava a Rigoroso dai nonni e per strada, nell’incontrare i conoscenti, si illuminava se lodavano gli studi del figlio: ecco lei l’avrebbe spronato ad andare avanti, a sfidare con la sua intelligenza gli eruditi che come lui facevano della Divina Commedia l’oggetto preminente della loro vita. Con gesto rapido imbustò il manoscritto scrivendoci l’indirizzo Tipografia delle Belle Arti, Roma *** Bruno finalmente trovò il tempo di sistemare il solaio. Finita la stagione dei funghi si sentiva libero da ogni condizionamento giornaliero e le foglie che ormai ingentilivano il piazzale della chiesa con sfumature ocra lasciavano intendere che i pomeriggi a parlare sulle panchine erano finiti. Sapeva che la casa anticamente era di un mugnaio facoltoso il quale aveva donato, forse un secolo prima, ben 1.000 lire alla Confraternita d’Arquata. La memoria degli abitanti di Vocemola voleva che un suo figlio proseguisse nella professione paterna mentre gli altri due divennero un sacerdote e un physicus cioè medico. Una famiglia benestante che con gli studi voleva raggiungere anche una affermazione sociale slegata da una professione manuale, rara in quegli anni e ancor più difficile per chi abitava in Valle Scrivia. In quel sottotetto ogni generazione di inquilini aveva depositato qualcosa che avrebbe potuto essere un sassolino conducente al tesoro, magari un quadro importante, un testamento, uno scrigno di gioielli. Come Pollicino anche Bruno seguì il sentiero nella foresta di mobili sgangherati, attrezzi agricoli ormai desueti, bauli di stracci che impedivano alla luce di entrare dall’abbaino, fino a giungere ad uno scaffale i cui cassetti non si ricordavano di essere stati aperti. In uno di essi lo incuriosì, tra Bollettini Parrocchiali e ricevute, un libro ben tenuto nonostante sul frontespizio fosse scritto “Tipografia delle Belle Arti, Roma, 1843”. Lo colpì il lungo titolo che per lui denotava già un vistoso garbuglio tipico di chi preferisce le parole al lavoro manuale. Si aggiustò gli occhiali e lesse: Orologio di Dante Alighieri per conoscere con facilità e prontezza la posizione dei segni dello Zodiaco, le fasi diurne e le ore indicate nella Divina Commedia Il volumetto conteneva anche una specie di orologio incomprensibile e dei disegni della Terra piuttosto buffi. Decise di portarlo dabbasso e capirne di più: l’autore era un tal Marco Giovanni Ponta, cognome diffuso in quel paesino sulla destra del torrente Scrivia. L’avventura finisce (o inizia?) quando alcuni nel 2016 volle fare una storia di Vocemola e intervistò Bruno nel Circolo Ricreativo della piccola frazione di Arquata: egli mostrò il libro ma non vide alcun stupore sui loro visi, chiaramente avevano sottovalutato l’importanza del contenuto. Fortunatamente esiste Internet e così bastò a uno di loro digitare Orologio Dantesco per capire che nel mondo Marco Giovanni Ponta era più conosciuto che in Italia.