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Università della Svizzera italiana Accademia di architettura Archivio del Moderno Luigi Canonica 1764–1844 Architetto di utilità pubblica e privata a cura di Letizia Tedeschi e Francesco Repishti Mendrisio Academy Press Archivio del Moderno / Monografie 17 Collana diretta da Letizia Tedeschi Coordinamento editoriale Tiziano Casartelli Redazione Fabio Cani, Alessandra Pfister, Marta Valdata Ricerca bibliografica Valeria Mirra Fotografie Marta Carenzi Traduzioni Serena Marchi, Maddalena Ferrara Progetto grafico Andrea Lancellotti Impaginazione Nodo, Como Fotolito Arterigere, Varese © 2011 Fondazione Archivio del Moderno, Mendrisio Luigi Canonica 1764-1844 Architetto di utilità pubblica e privata a cura di Letizia Tedeschi e Francesco Repishti Mendrisio Academy Press / Silvana Editoriale Il presente volume è stato pubblicato nell’ambito del progetto di ricerca La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica, diretto da Daniel Rabreau (Centre Ledoux, Université Paris I Panthéon-Sorbonne) e Letizia Tedeschi (Archivio del Moderno, Mendrisio), promosso dall’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura (Università della Svizzera italiana) e dal Centre Ledoux, Université Paris I Panthéon-Sorbonne, in collaborazione con la Scuola dottorale in Culture e trasformazioni della città e del territorio Sezione Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura dell’Università degli Studi Roma Tre. Comitato scientifico del progetto di ricerca Piervaleriano Angelini, Osservatorio Quarenghi, Bergamo Margherita Azzi Visentini, Politecnico di Milano Liliana Barroero, Università degli Studi Roma Tre Pascal Griener, Université de Neuchâtel Anna Maria Matteucci, Università degli Studi di Bologna Gianni Mezzanotte, Università degli Studi di Brescia Monique Mosser, CNRS-Université Paris IV Daniel Rabreau, Université Paris I Panthéon-Sorbonne Francesco Repishti, Politecnico di Milano Orietta Rossi Pinelli, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma Letizia Tedeschi, Archivio del Moderno, Mendrisio Direttori della ricerca Daniel Rabreau, Université Paris-I Panthéon Sorbonne Letizia Tedeschi, Archivio del Moderno, Mendrisio Coordinamento della ricerca Alessandra Pfister, Archivio del Moderno, Mendrisio La ricerca e il volume sono stati realizzati grazie al sostegno di Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica Ringraziamenti Desideriamo ringraziare la Banca del Ceresio per il generoso contributo elargito all’Archivio del Moderno; in particolare tutta la nostra riconoscenza va alla famiglia Foglia per aver accolto e sostenuto con entusiasmo la ricerca e la realizzazione del volume e al Presidente onorario della Fondazione del Ceresio, Amilcare Berra, per aver creduto fin dall’inizio in questo progetto. Vogliamo inoltre sottolineare la generosa disponibilità dei colleghi che hanno accettato in questi anni di condividere con noi lo studio della figura di Luigi Canonica. Nonché i membri del Comitato scientifico del progetto La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica, sempre pronti a fornire preziosi e intelligenti consigli, ricordando che alcuni di loro hanno collaborato direttamente al volume. A tutti vogliamo infine rivolgere un sentito e particolare ringraziamento. È nostro piacere inoltre ricordare tutte le istituzioni che sono state coinvolte nel progetto di ricerca: dall’Académie de France Villa Medici à Rome; al Centre Ledoux, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne; alla Sezione di Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura della Scuola dottorale dell’Università degli Studi Roma Tre; alla Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la Storia dell’arte di Roma. Speciale gratitudine va alla Direttrice di quest’ultima istituzione, Elisabeth Kieven, e ai suoi collaboratori, Martin Raspe, Georg Schelbert e Hermann Schlimme, per aver voluto condividere con noi il loro progetto Lineamenta.Una banca dati per lo studio dei disegni di architettura. A Sara Banchini si deve la prima fase di inventariazione dei disegni di Luigi Canonica appartenenti al Fondo Emilia Banchini e al Fondo Fraschina, oggi depositati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio, a Riccardo Bergossi e Susanna Zanuso lo studio analitico e a Barbara Boifava e Valeria Mirra il riversamento dei dati e delle immagini nella banca dati on-line Lineamenta. Ricordiamo contestualmente la proficua e felicitante collaborazione con la Biblioteca cantonale di Lugano, in particolare con il Direttore, Gerardo Rigozzi, che in questi anni ha permesso ai ricercatori dell’Archivio del Moderno di condurre un lavoro analitico sul fondo dei disegni di Luigi Canonica appartenenti alla Biblioteca, concedendone il deposito presso l’Archivio del Moderno per facilitarne l’ordinamento, la catalogazione scientifica e lo studio analitico. Un grazie va rivolto anche per la loro disponibilità e gentilezza a Luca Saltini e Urs Voegeli della Biblioteca cantonale di Lugano. Tutta la nostra riconoscenza va ai collaboratori dell’Archivio del Moderno che si sono prodigati nella ricerca iconografica, bibliografica e in un’intensa attività redazionale del volume. Un ringraziamento rivolgiamo pure al personale della Biblioteca dell’Accademia di architettura di Mendrisio per la fattiva collaborazione e disponibilità. Preziose segnalazioni archivistiche, bibliografiche o iconografiche sono state offerte da Antonio Battaglia, Giovanna Bombelli, Fabio Cani, Costanza Caraffa, Carlo Mambriani, Marco Nino, Flora Santorelli. Siamo grati alla famiglia de Haller-Chiesa di Ginevra per aver messo gentilmente a nostra disposizione il prezioso archivio e gli appunti di Cino Chiesa. Un doveroso ringraziamento va rivolto alla Dottoressa Marina Messina, già Soprintendente della Soprintendenza archivistica per la Lombardia e all'Architetto Alberto Artioli, Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Pavia, Sondrio e Varese, nonché ai direttori, ai funzionari e al personale degli Archives Nationales di Parigi, degli Archivi di Stato di Alessandria, Brescia, Como, Mantova, Milano, Novara, Pavia, Sondrio e Venezia, degli Archivi Storico Civici di Como, Genova e Milano, degli Archivi Borromeo all’Isola Bella, della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, dell’Ospedale Maggiore di Milano, della Parrocchia di Santa Maria presso San Satiro, degli Istituti di Previdenza Assistenza e Beneficenza di Milano, degli Archivi Storici dell’Accademia di Brera, dei Padri Somaschi di Genova, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano e dell’Archivio Diocesano di Milano, delle Biblioteche Nazionali di Milano, Napoli, Parigi, Torino,Venezia e Vienna, delle Biblioteche Comunali e Civiche di Como, Foligno, Monza, Milano e Sondrio, delle Biblioteche Marmottan di Boulogne, Trivulziana di Milano, Ambrosiana di Milano, della Princeton University (Department of Rare Books and Special Collections), delle Biblioteche dell’Accademia Albertina di Torino e dell’Accademia di Brera di Milano, della Biblioteca d’Arte del Castello di Milano e, infine, della Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano e del Civico Gabinetto dei Disegni di Milano che, con la loro disponibilità, hanno permesso il lavoro di ricerca. Oltre al generoso contributo della Banca del Ceresio di Lugano la pubblicazione del volume si è giovata del finanziamento della NCKM Mendrisiotto SA e del sostegno di privati che hanno voluto mantenere l’anonimato. A tutti loro va la nostra gratitudine. Infine, last but not least un ringraziamento sentito rivolgiamo alla famiglia Banchini per la fiducia concessa all’Archivio del Moderno presso il quale è stato depositato il loro fondo di disegni di Luigi Canonica. Senza tale generoso atto tutto questo non sarebbe stato possibile. L’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura di Mendrisio dell’Università della Svizzera italiana e il Centre Ledoux de l’Université Paris I Panthéon-Sorbonne hanno promosso nel 2005, in collaborazione con la Scuola dottorale in Culture e trasformazioni della città e del territorio (Sezione Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura) dell’Università degli Studi Roma Tre, un progetto di ricerca sul tema La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica il cui primo esito è il presente volume monografico. Il percorso di ricerca – articolato in convegni, mostre e volumi e dedicato ai rapporti tra la cultura architettonica italiana e francese nel periodo compreso tra Rivoluzione francese e Restaurazione – ha voluto indirizzare la propria attenzione soprattutto sul periodo napoleonico, dall’entrata del giovane generale Bonaparte a Milano nel 1796 che vide il nascere della Repubblica Cisalpina alla definitiva sconfitta dell’imperatore dei Francesi nel 1814. Fino ad oggi sono mancati studi approfonditi in grado di sviluppare, su questo periodo, una riflessione a scala europea focalizzata sulle molte trasformazioni avviate di luogo in luogo, così come un ripensamento critico complessivo sul particolare rapporto tra le due culture che erano state egemoni nel corso del XVIII secolo. È in questo momento che si avviano una serie di iniziative rivolte a costituire un nuovo profilo architettonico e viario dei centri urbani che vedono innalzare una sequela di fabbriche pubbliche, dal museo alla biblioteca, dai luoghi del loisir ai servizi collettivi fino al riordino del tessuto urbano (parchi pubblici, rettifili, piazze, fontane e passeggiate urbane ecc.), in concomitanza alla configurazione di «una nuova arte urbana», per dirla con Daniel Rabreau, maturata nella Parigi pre-rivoluzionaria, affinatasi in piena Rivoluzione e infine mutata ancora in epoca napoleonica, fino all’assolvimento conclusivo in coincidenza con l’Empire. Un giro di anni in cui l’egemonia politica esercitata da Bonaparte portò al definitivo consolidarsi della cultura francese non solo in Europa centrale ma anche in Italia. Tale epoca rappresenta dunque un ambito di studio privilegiato per analizzare gli interscambi tra due culture architettoniche, con particolare riferimento a Milano, unica vera capitale dell’Italia napoleonica, in seguito all’annessione di Roma all’Impero. Se Roma diventa la seconda capitale dell’Impero e Napoli, con il regno di Gioacchino Murat, l’altra grande città, Milano, affidata al viceré Eugenio di Beauharnais, diventa uno dei centri nevralgici delle strategie bonapartiste, permettendo così allo studioso un ventaglio di approfondimenti che, forse, potrà dare la stura a un nuovo capitolo della fortuna critica di quest’epoca complessa e feconda quanto ricca di movenze e mutamenti problematici. È in questa ottica che è stato avviato uno studio articolato e ampio che ha sollecitato infine l’identificazione di un “caso” su cui polarizzare le indagini, andando a riconsiderare la figura e l’opera del ticinese Luigi Canonica (17641844), attivo a Milano a fianco di Giuseppe Piermarini in epoca asburgi- ca, divenuto “architetto nazionale” durante la Repubblica Cisalpina e in seguito all’affermarsi del Regno d’Italia nel 1805, “architetto reale”. Il presente volume raccoglie quindi due differenti aree tematiche di riflessione articolando approcci complementari, dal grand’angolo che va a riconsiderare le linee-guida del dibattito storiografico che si è svolto fino ad oggi su scala europea alla messa a fuoco di un unico ma emblematico caso, il “caso” Luigi Canonica, analiticamente ricostruito fino a restituire in filigrana l’attività minuta del funzionario e del professionista indipendente attraverso una massa di documenti e di rilievi sul costruito. Grazie al particolare ruolo svolto e all’ampiezza degli incarichi ricoperti, che lo portarono a occuparsi in modo diretto o indiretto di quasi tutti gli interventi di scala architettonica e urbana avviati dall’amministrazione napoleonica, Canonica rappresenta quindi un protagonista e più ancora un indicatore delle tendenze della cultura architettonica europea del suo tempo. Egli, merita conto ribadire, fu contemporaneamente un funzionario al servizio dello stato e l’architetto della corte di Milano e successivamente un architetto “civile” al servizio della città e delle numerose famiglie nobili: le sue vicende rispecchiano pertanto esemplarmente anche un momento fondamentale dell’evoluzione della figura professionale dell’architetto. Gli scritti pubblicati in questi anni e la migliore conoscenza derivata dalle precedenti ricerche condotte permettono oggi di affrontare questa figura professionale in un rinnovato quadro di studi, che si avvale anche dello studio sistematico di tutti i documenti d’archivio disponibili attraverso cui si è ricostruita analiticamente l’eterogenea attività di funzionario, potremmo dire la sua “giornata particolare” comprendente l’incarico aulico come l’impegno di consulenza minuta. Fino ad oggi, d’altro canto, la sua figura non era stato oggetto di studi monografici, ad eccezione di numerosi saggi che hanno affrontato aspetti particolari della sua attività. Studi precedenti che pur tuttavia hanno aperto la strada alla presente ricerca quali il saggio del 1943 di Cino Chiesa, il prezioso e fondamentale volume pubblicato nel 1966 da Gianni Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, nonché i più recenti studi di Gianluca Kannès negli anni Settanta del secolo scorso e i numerosi contributi – una decina di interessanti articoli – a firma di Jean Soldini che nascono dalla sua tesi di dottorato discussa nel 1980 all’Université de Paris VIII, Paris-Saint Denis. Bisogna dire che quest’ultima, dal titolo Luigi Canonica (1764-1844). Architecte et urbaniste, rappresenta il primo esame analitico dei documenti reperibili e una rinnovata valutazione storiografica della figura di Canonica. Infine, ad annunciare la ripresa degli studi e un’ideale linea di continuità con quest’ultimo si deve segnalare anche la tesi di dottorato di Paola Gallo, Luigi Canonica (17641844). Il funzionario, la città, il paesaggio, sostenuta nel 1994 presso il Politecnico di Torino. Un possibile terzo polo di questa monografia è costituito dalla piena valorizzazione del Fondo Luigi Canonica, conservato presso l’Archivio del Moderno, attraverso la schedatura analitica di tutti i disegni qui custoditi, schedatura operata in occasione del presente studio e che ne è stato il presupposto ineludibile. Un’impresa che merita considerazione. Tali schede sono infatti oggi disponibili nella banca dati on-line Lineamenta della Bibliotheca Hertziana di Roma dove è stato riversato il catalogo informatico dei disegni di Luigi Canonica, comprendente i fondi della Biblioteca cantonale di Lugano (429 disegni) e dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (406 disegni). Tale lavoro, condotto dall’Archivio del Moderno, nell’ambito del progetto Lineamenta, promosso dalla Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la storia dell’arte di Roma che mira alla costituzione di una banca dati per lo studio dei disegni di architettura, permette al lettore, contestualmente all’esame della presente pubblicazione, di ampliare la conoscenza dell’operato di Canonica connettendosi semplicemente al sito http://lineamenta.biblhertz.it:8080/Lineamenta, con immediato arricchimento del corpus iconografico e dei dati analitici. Purtroppo si è costretti a segnalare il rammarico di non aver potuto riesaminare, nell’ambito della ricostruzione integrale dell’archivio professionale di Luigi Canonica, la parte documentaria un tempo conservata a Manno (il Fondo Cattaneo) in Casa Porta, che era stata da noi studiata presso gli eredi, precedentemente al suo deposito all’Archivio di Stato di Bellinzona. L’impossibilità di poter accedere a tale fondo depositato presso quest’ultimo Ente dal Comune di Manno nel 2005 ha fatto sì che le segnature qui riportate fossero quelle precedenti – riferibili cioè alla collocazione che i disegni avevano ancora presso gli eredi – citate nel contributo di Giovanni Parisi pubblicato sulla rivista “Il disegno di Architettura” nel 1995. Non si è potuto quindi, per il momento, ricomporre virtualmente tramite la banca dati Lineamenta tutto l’archivio professionale di Luigi Canonica, smembrato in tre parti per suddivisioni ereditarie. Attualmente sono pertanto consultabili i due terzi dell’intero materiale grafico. Infine vorremmo ricordare e ringraziare le istituzioni e gli istituti universitari che hanno collaborato con la nostra ricerca, in primis l’Académie de France à Rome con la quale l’Archivio del Moderno ha organizzato le due sessioni del Convegno internazionale di studi La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica: pratiche professionali e questioni stilistiche (Ascona, 5-8 ottobre 2006 e Roma, 4-6 ottobre 2007), durante le quali si è dato avvio e successivamente si sono discussi i primi esiti del presente studio; la già menzionata Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la storia dell’arte di Roma per la fattiva collaborazione nelle varie fasi di schedatura dei disegni di Luigi Canonica e il Politecnico di Milano per aver collaborato al progetto. Vogliamo inoltre ringraziare tutti i membri del Comitato scientifico per la disponibilità e per i loro preziosi e intelligenti consigli, ricordando che alcuni di loro hanno collaborato direttamente al volume e la Direzione della Biblioteca cantonale di Lugano che ha facilitato lo studio, permettendo il deposito dei disegni presso l’Archivio del Moderno; infine un grazie particolare va dato alla famiglia Banchini per la fiducia concessa all’Archivio del Moderno presso il quale è oggi conservato il Fondo Emilia Banchini. Infine tutta la nostra riconoscenza è rivolta alla Banca del Ceresio di Lugano che ha sostenuto il progetto di ricerca e la pubblicazione del presente volume. Senza il loro generoso contributo tutto questo non sarebbe stato possibile. Letizia Tedeschi e Francesco Repishti Abbreviazioni archivistiche Autori delle schede ABIB AMMe ANF APSSMi ASBs ASCo ASMi ASMn ASNo ASPv ASVe ASTi ASABMi ASCMi ASCGe ASCCo ASDMi ASPSGe BAATo BAMi BC BCCo BCF BCSo BNF IIPAB ONBW RSBMi SBAPMi Antonella Avanzini (a.a.) Riccardo Bergossi (r.b.) Barbara Boifava (b.b.) Stefano Bosi (s.b.) Paolo Bossi (p.b.) Paola Cantore (p.c.) Valerio Cirio (v.c.) Alessandro Colombini (a.c.) Patrizia Ferrario (p.f.) Elena Gardi (e.g.) Irene Giustina (i.g.) Paolo Mazzariol (p.m.) Gianni Mezzanotte (g.m.) Paolo Mira (p.mi.) Nicoletta Onida (n.o.) Alessandra Pfister (a.p.) Carlo Alessandro Pisoni (c.a.p.) Francesco Repishti (f.r.) Giuseppe Stolfi (g.s.) Letizia Tedeschi (l.t.) Isola Bella, Archivio Borromeo Mendrisio, Archivio del Moderno Paris, Archives Nationales Milano, Archivio Parrocchia Santa Maria presso San Satiro Brescia, Archivio di Stato Como, Archivio di Stato Milano, Archivio di Stato Mantova, Archivio di Stato Novara, Archivio di Stato Pavia, Archivio di Stato Venezia, Archivio di Stato Ticino, Archivio di Stato Milano, Archivio Storico Accademia di Brera Milano, Archivio Storico Civico Genova, Archivio Storico del Comune Como, Archivio Storico Civico Milano, Archivio Storico Diocesano Genova, Archivio Storico Padri Somaschi Torino, Biblioteca Accademia Albertina Milano, Biblioteca Ambrosiana Lugano, Biblioteca cantonale Como, Biblioteca Comunale Foligno, Biblioteca Comunale Sondrio, Biblioteca Civica Paris, Bibliothèque Nationale de France Milano, Istituti di Previdenza Assistenza Beneficenza Wien, Österreichische Nationalbibliothek Milano, Raccolta Stampe Achille Bertarelli Milano, Soprintendenza Beni architettonici e paesaggistici Avvertenza Per ogni scheda, relativa unicamente all’intervento di Luigi Canonica, sono indicati gli estremi cronologici, i disegni e la bibliografia in forma ridotta. Le fonti archivistiche sono state inserite nel testo. I disegni riportano nell’ordine il nome dell’autore (tra parentesi quadre quando questo è suggerito dall’estensore della scheda), la descrizione del contenuto, la datazione (tra parentesi quadre quando questa non è riportata ma supposta) e la collocazione archivistica. Le schede dei disegni sono disponibili nel catalogo informatico Lineamenta (http://lineamenta.biblhertz.it:8080/Lineamenta) della Bibliotheca Hertziana-Istituto Max Planck per la storia dell’arte di Roma che comprende la schedatura dei fondi della Biblioteca cantonale di Lugano (429 disegni) e dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (406 disegni). Sommario XV XXXIX La cultura architettonica nella Milano napoleonica. Il “caso” Luigi Canonica Letizia Tedeschi 219 L’architettura religiosa e la «varietà ridotta all’unità» Francesco Repishti 229 Architettura religiosa. CATALOGO DELL’OPERA Luigi Canonica, la vita Gianni Mezzanotte 241 Luigi Canonica e il giardino milanese del suo tempo Margherita Azzi Visentini 255 Architettura di ville e giardini. CATALOGO DELL’OPERA LUIGI CANONICA FUNZIONARIO. ARCHITETTO NAZIONALE E REALE 271 La decorazione e i disegni per arredi, interni e apparati funebri Susanna Zanuso 3 La costruzione di una brillante carriera di funzionario tra Repubblica Cisalpina e Regno d’Italia Aurora Scotti Tosini 25 Architetto nazionale e reale. CATALOGO DELL’OPERA 63 Milano napoleonica. Luigi Canonica e la città Francesco Repishti 79 Progetti e interventi urbani. CATALOGO DELL’OPERA 101 Le feste e la città. Nascita di un patto civico Renzo Dubbini 109 Feste e apparati effimeri. CATALOGO DELL’OPERA DIBATTITO STORIOGRAFICO 287 L’Impero o della perplessità. Note sugli incerti della storia stilistica, tra Parigi e Milano Daniel Rabreau 297 Milano e la storiografia francese sull’architettura del periodo napoleonico Blanche de la Taille BIBLIOTECA E ARCHIVIO 119 Il Parco Reale di Monza Francesco Repishti 131 Parco Reale di Monza. CATALOGO DELL’OPERA LUIGI CANONICA. COMMITTENZA PRIVATA 153 La Milano di Canonica. «Cette jolie capitale» Gianni Mezzanotte, Irene Giustina 169 Palazzi e residenze urbane. CATALOGO DELL’OPERA 193 Luigi Canonica architetto di teatri Giuseppe Stolfi 201 Architettura dei teatri. CATALOGO DELL’OPERA 313 La Biblioteca di Luigi Canonica Cecilia Hurley 323 Catalogo della Biblioteca a cura di Cecilia Hurley 333 L’Archivio e il corpus dei disegni Barbara Boifava 338 Inventario dei mobili, suppellettili, effetti APPARATI 347 Bibliografia 371 Indice del catalogo dell’opera 375 Indice dei nomi Giuseppe Bossi, La Riconoscenza della Repubblica italiana a Napoleone, 1802; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera. La cultura architettonica nella Milano napoleonica. Il “caso” Luigi Canonica Letizia Tedeschi «Se gli uomini dentro di sé fossero governati dalla ragione, e non consegnassero in generale il proprio intelletto a una doppia tirannia, l’una della tradizione all’esterno e l’altra delle passioni cieche all’interno, capirebbero meglio che cosa significhi favorire e sostenere il tiranno di una nazione. Ma, schiavi dentro di sé, – insiste nel dire, nel suo The Tenure of Kings and Magistrates,1 John Milton – non stupisce che si sforzino tanto di far sì che lo Stato sia governato in conformità a quella perversa norma interiore con cui governano se stessi. Poiché nessuno, in verità, può amare la libertà in cuor suo, se non gli uomini dabbene; gli altri amano non la libertà ma la licenza, la quale non ha mai più campo o più indulgenza che sotto i tiranni. Ne consegue che i tiranni […] temono veramente coloro in cui virtù e valore autentico sono più eminenti, e contro di essi, loro signori secondo giustizia, va tutto l’odio e il sospetto».2 Provassi ad applicare questi assunti all’architettura classicista che ha dominato il secolo filosofico, che ne caverei? In particolare, provassi ad applicare gli assunti miltoniani all’architettura espressa da un autore come il ticinese Luigi Canonica che si è formato presso l’Accademia delle Belle Arti di Milano negli anni del rivolgimento prorotto dalla Rivoluzione francese, che esito potrei ricavarne? Un’architettura governata dalla ragione declinata in una singolare sequela di revival classicisti disciplinati pur sempre da istanza geometrica, parte essenziale – si vedrà – assieme all’aritmetica della sua stessa grammatica generativa profonda per adottare la terminologia di Noam Chomsky, aspiranti sia pure nelle differenti interpretazioni di volta in volta sostenute alla libertà di espressione di tale raziocinante tirannia; un’architettura risolta, nel caso specifico, in un lessico affatto locale ma allo stesso tempo internazionale, legato in più di un senso alle direttive caratterizzanti gli anni dell’esordio fortunato del Nostro, gli anni del tumultuoso e breve periodo che precede l’Empire, quello delle “Repubbliche sorelle” e, a seguire, quanto va affermandosi in piena età napoleonica. Essa allora potrebbe indurre, o no?, a ipotizzare una qualche assonanza tra tale costruito e la libertà che avversa la licenza, a tutto vantaggio di una ritrovata (e assoluta) purezza: tratto saliente del ritorno agli stili, a ordini arcaici e forse anche arcani ma eterni come può essere il dorico – quello stesso “stile” che è fatto oggetto del primo museo di architettura parigino, a firma di Legrand e Molinos3 – spogliato (con singolare anticipazione dell’arcinota invettiva loosiana) di ogni distraente ornamento che a sua volta paventi una declinazione licenziosa, ambigua o vana, una falsificazione o un offuscamento ottuso di tanta libertà? O non è questa una lettura troppo giacobina e perciò estranea a Canonica? In tal caso potrei cogliere in queste parole una bella metafora letteraria: quella di una realtà storica tribolata e complessa e, quando Canonica esordisce, ancora in via di affermazione; una mutevole e nuova realtà la cui essenza si preciserà soltanto nel secolo successi- vo. Si tratterebbe dunque di una metafora letteraria attraverso cui avvicinare e, poco a poco, afferrare il piglio delle scritture storiche, dalle esposizioni ufficiali ai carteggi privati, che descrivono, a conti fatti, nell’intera sua complessa e controversa genesi la svolta classicista del secolo che segue quello miltoniano, il XVIII secolo. In cui va costituendosi la città entro la quale prende a operare, tra continuità e innovazione, Luigi Canonica. Attivo sia al seguito di Piermarini dunque secondando direttive legate all’Ancien régime, il momento di fecondazione di per sé già illuminato per le arti tutte, sia distaccandosene per assorbire piuttosto le modalità conseguenti alle nuove idee investite e anzi informate totalmente da quella classicità rinnovata al seguito dei mutamenti intercorsi. Pertanto, in parziale sintonia con questi rivolgimenti generali e al contempo indifferente a essi per effetto di una evoluzione intrinseca alla stessa arte edificatoria e alla progressiva maturazione di una identità urbana impensabile prima, potrei argomentare di nuove figure professionali di cui la stessa attività di questo protagonista è emblematica affermazione se nel 1966 Gianni Mezzanotte, autore del primo profilo critico del nostro architetto, poteva sostenere: «Il Canonica si applica a realizzare sicuramente e tranquillamente una maniera corretta, utilizzabile duttilmente in ogni occorrenza, indifferente agli orientamenti prevalenti nella società. È l’architetto ufficiale per tutta l’avventura napoleonica, e la componente politica ha in lui un rilievo particolare, solamente, appunto, perché precisa la nuova figura professionale che proprio in lui si va formulando».4 Le fortunate circostanze e le accorte manovre (opportunismi inclusi) che portano all’ascesa inarrestabile Luigi Canonica a dispetto delle straordinarie difficoltà del momento e per di più nel volgere, tutto sommato, di pochi anni muovono del resto da un accidente5 che potrebbe anche assumere accenti sintomatici stanti gli anni difficili e anzi “avventurosi” in cui tutto ha inizio, anni che corrono dalla Rivoluzione alla Restaurazione, ovvero «des Lumières au Romantisme», per dirla con Daniel Rabreau, un lasso di tempo su cui ha gravato una certa inadeguatezza degli studi declinabile in «carence d’informations sur les oeuvre et les artistes de la période impériale qui borne notre appréciation des nuances stylistiques».6 Un elemento che finisce per corroborare quanto si va argomentando giacché conferma tutte le difficoltà di un’epoca turbolenta su cui resta ancora molto da dire e al tempo stesso suggerisce sottotraccia un acume particolare del nostro architetto. Un singolare acume politico.7 E questo è un punto su cui vale la pena riflettere preliminarmente.8 Ve ne è un secondo, consistente nella possibilità di attribuire allo stesso Canonica il pensiero e le parole di Milton appena pronunciate. Ecco allora che Luigi Canonica si fa protagonista di un agire disciplinato o per dirla con il poeta, governato dalla ragione.9 Orientato da una convinta quan- XV LETIZIA TEDESCHI to problematica adesione alle speculazioni del suo tempo, alle istanze classiciste o moderne, egli andrà operando appunto secondo ragione (ma intesa in quale accezione?) in economia di tempo, di risorse, con un intento: quello di approdare alla buona riuscita di non poche incombenze. Una nuova riflessione attorno al dire miltoniano parrebbe infine suggerire, col senno di poi, alcuni sparsi rilievi in margine a siffatti eventi e al costruire e progettare di Canonica non solo in virtù di quel che è accaduto dopo e funge da inesorabile verifica, ma anche per quanto si va ragionando adesso in merito a una diversa e nuova possibilità di lettura storica e di sua narrazione. Una narrazione che, nel caso, finisce per assumere un significato e un peso specifico se facciamo rispondere a Milton da Nietzsche, accumunati come sono da similare nostalgia per un mondo ideale irrimediabilmente dissipato e di cui ogni rifondazione non è altro che una pallida eco.10 Se poi aggiungo a queste due voci recitanti e ai loro tessuti narrativi,11 in qualcosa assonanti col progettare del nostro architetto, altre narrazioni quanto più possibile affini al clima in cui si trova ad agire Canonica, come, per non fare che un nome tra i molti, Denis Diderot, in particolare il Diderot che si dedica non senza successo al teatro, concorrendo alla creazione di un nuovo genere teatrale, ovviamente non posso affermare che il presunto quadro narrativo atto a ritrovare gli accenti di un’epoca storica sia completo né che possa esserlo implicando altri protagonisti ancora, da Milizia a Durand, più vicini a Canonica e che verranno comunque chiamati in causa. Ciò non di meno, nella consapevolezza di respirare un’aria conosciuta, mi è concesso di- Camillo Pacetti, Minerva infonde l’anima all’automa di Prometeo, 1804-1805; Milano, Civica Galleria d’Arte Moderna. XVI sertare quest’esposizione interrompendone la trama per venire a introdurre l’argomentazione che più preme. Il razionale inteso come un poliedro perfetto è mito moderno che va conducendo alla «subordinazione totale» denunciata dalla Scuola di Francoforte in virtù di un dominio: l’egemonia della operatività umana legata al carro della tecnica – la cui fiamma è stata accesa dall’acciarino illuminista – e cioè a dire la tirannide dell’evoluzione o progresso tecnologico, pagando così un debito assai alto agli Enciclopedisti. Si insinua allora una diversa lettura di Milton, dove si paventa questa idea di scienza senza umanesimo. Visibile peraltro nell’applicazione in ambito artistico in una forma a suo modo esplicita grazie anche a artificiose semplificazioni e reificazioni della storia. Per esempio, in ambito architettonico, se diamo credito al tanto apprezzato Milizia dei Principii di architettura civile (1781) si dà per assodata – superata la querelle greco-romana, accantonato il neo-palladianesimo dei pregressi decenni e avviata, di contro, una dichiarata avversione a certe espressioni artistiche del XVII secolo, dunque «contro il barocco» a tutto vantaggio di un rinnovato «classicismo» – una discendenza da principi che risultano un’astrazione consentita grazie a una vera e propria alterazione storica. Milizia difatti va declinando i due ipotizzati grandi modelli antichi, l’invenzione greca del tempio che comportava l’impiego di un sistema costruttivo trilitico e quella romana della volta e dei nudi serti murari (affermatasi, a suo dire, in una mitica età «repubblicana» inesistente in cui le fabbriche si presentavano serrate entro nude murature prive di ogni contaminazione greca e dunque di ogni ordine architettonico ecc.), in enti di nuovo esito. Enti in cui, evitando la mera copia dall’antico, si concedeva la possibilità di veder confluire i due modelli e cioè si potevano applicare all’unisono e far convivere muro e colonne portanti. Dando così vita a tipologie e morfologie in buona parte inedite e al tempo stesso plasmate sull’antico, ad apparati distributivi caratterizzati da paradigmi strutturali radicati su simmetrie insistenti e su reiterati ludi matematico-proporzionali. Lo stesso reimpiego, quanto si vuole aggiornato, di stili e ordini finiva per essere astrattamente raggelato entro nuove tipizzazioni, analogamente ai protocolli ornativi cristallizzati in cornici, misure, spazi risaputi e tuttavia disponibili a sempre nuove varianti testuali.12 In ambito urbanistico, questi stessi archetipi o modelli aulici, derivati da un antico rivisitato ad usum delphini e anzi rimodellato artatamente, vanno declinando invece in ossessivi rettifili e altre scenografie cittadine afferenti a opere pubbliche focalizzate su una peculiare rappresentazione della scena di città. Una scena rinnovata da tutta una serie di luoghi deputati e di architetture rappresentative puntualmente illustrate ed elencate nel Recueil di Durand13 che in tal modo ci offre una visione storica che dà conto della stessa distorsione ottica dei contemporanei e sua in particolare nei confronti dell’antico pur assunto esplicitamente come inesauribile modello, giacché egli «ha proiettato le sue composizioni ideali sulla storia», piegandola dunque ai «suoi propri pregiudizi», che sono poi i pregiudizi dell’epoca. Tant’è che, come raccomanda Szambien, «non bisogna quindi criticare [troppo] il Durand – mancando la possibilità di denunciare la sua estetica – ma al contrario riconoscerlo e interrogarsi: al servizio di quale “verità” Durand consacra la sua metodologia?». Ebbene, egli va menzionando «Oltre ai templi […] nell’ordine di numerazione delle tavole [del Recueil] i seguenti generi: fori, mercati, piazze, capannoni, bazar, basiliche, palazzi comunali, palazzi di giustizia, palestre, portici, borse, collegi, biblioteche, tombe, archi di trionfo, ponti» ecc., fino a comprendere nella realtà dell’operare che caratterizza Luigi Ca- L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A Morel da Giuseppe Pietro Bagetti, Veduta del passaggio fortificato della Chiusa in Valle d’Aosta, 16 maggio 1800; Salon de Provence, Musée de l’Empérie. Giuseppe Pietro Bagetti, La battaglia di Monte Legino, 10 aprile 1796; Musée National du Château de Versailles. nonica anche parchi e giardini vincolati a promenades plantées che coinvolgono il verde urbano e lo skyline cittadino identificabile in sequenza nelle rispettive quinte sceniche. In buona sostanza dunque si tratta di un repertorio riferibile alla fine, sia pure tenendo conto del ben diverso contesto italiano,14 secondo Werner Szambien, ai due grandi generi di architettura attivati in Parigi sotto l’impero: l’architettura monumentale e l’utilitaria.15 Dietro queste affermazioni si cela un tema che, per dirla in estrema sintesi e al contempo stringere maggiormente sul “caso” Canonica, era già presente all’avvio di questa fenomenologia classicista ma che va guadagnando nuovo slancio in età napoleonica e deve aver ossessionato anche il nostro architetto, la geometria. Fondamento del nuovo sistema normativo teorizzato e applicato con crescente impegno, secondando un’elementarità – un problema nel problema che merita attenzione – che si rinnova di tempo in tempo e che può dirsi solidale alla stessa riscoperta dell’antico e al suo ritorno sulla scena contemporanea, su cui discetta da par suo nel 1971 Werner Oechslin.16 Non è forse spiegabile adeguatamente il costrittivo restyling dell’antico secondo tali esemplificazioni o riduzioni paraminimaliste e la direttiva (ribadita dal Milizia ma pure da altri)17 dell’espunzione di ogni pedissequa imitazione, senza l’inferenza geometrica. Non può afferrarsi pienamente il valore stesso di questa attualizzazione che anche in Milano fa dell’«unico stile» un lessico conformato pienamente a quanto motiva una svolta globale in atto – incentrata principalmente, su scala urbana, come si è visto, sugli edifici e sui luoghi di «pubblica utilità», come pure sull’affermazione di un più consapevole e strutturato loisir, dunque su quanto corrobora una diversa idea e un nuovo e pubblico godimento urbano che è riflesso, tutto sommato, della società «aperta» affrontata con tanto acume da Popper in un suo noto saggio – se non si afferra il fulcro archimedeo della geometria. Un fulcro su cui, dal tempo della Rivoluzione al declino dell’età imperiale, tutto ciò sembra strutturarsi e trovare una propria logica interna non solo di cantiere ma anche di forma o linguaggio che infine può essere tradotta nel darsi appunto un proprio statuto normativo. Dando così senso specifico – per chiamare in causa quell’universo cartaceo che ha concorso in misura notevole all’affermazione del nuovo stile – nei trattati, nelle pubblicazioni consacrate alla scena contemporanea come pure all’antico (un antico che, come modello, va ricordato, torna ad assumere rilevanza sotto l’Impero), nonché in altre scritture d’occasione, come pure nella fitta rete di rendiconti e di pubblici dibattiti, alla parola che descrive, alla parola che dichiara, alla parola che postula e sentenzia presentando sulla scena del mondo le remote e le nuove fabbriche classiciste. Naturalmente non c’è nulla di troppo originale in questo assunto. Nel suo Eupalinos ou l’architecte (1920) Paul Valéry argomentando di un Socrate immaginario che rimpiangeva una avversata vocazione d’architetto, arriva a dire: «nessuna geometria senza la parola». Per poi aggiungere: «Con essa, ogni figura è una proposizione che può comporsi con altre».18 E poi, come giustamente ricordato da Georges Teyssot, anche il «Winckelmann francese», Quatremère de Quincy, argomentando delle arti del disegno come linguaggio si rifà alla geometria.19 Referenze che indurranno, a posteriori, alcuni approfondimenti filosofici di non poco conto nei confronti dei quali quest’autore (Teyssot), implicando soprattutto Martin Heidegger, fa riferimento a un testo di Philippe Lacoue-Labarthe.20 Merita conto rilasciare, a questo punto, una dichiarazione impegnativa e anzi vincolante anche se si rischia di condizionare il lettore e di orientare fin troppo strettamente l’economia di questa nostra scrittura: la singola figura di cui dice Valéry, che si fa proposizione che può comporsi con altre, è una corretta descrizione o equivalenza verbale21 dell’economia di pensiero e di azione che contraddistingue Luigi Canonica in ogni suo intervento, dall’architettura monumentale ai decori, dal riordino del costruito agli apparati effimeri, dall’arredamento o architettura d’interni alla tavola imbandita accuratamente progettata in ogni sua parte, dal guardaroba che include persino la biancheria intima oltre che gli accessori, dalla tabacchiera al gioiello, a quant’altro dando ragione così di un continuum straordinariamente coerente. In cui Canonica parrebbe applicare effettivamente i principi enunciati in primis dal Durand. Ma, vedremo, curvati entro un’economia di pensiero che attinge a un saldo fondamento filosofico in virtù del quale l’operato del ticinese, prendendo le distanze dalla stessa cultura architettonica francese contemporanea, viene ad assumere un suo significato. Noi sappiamo che ci sono diversi «tipi di geometria» e sappiamo altresì XVII LETIZIA TEDESCHI Andrea Appiani, Fasti di Napoleone, Ingresso dei Francesi a Milano, 11 maggio 1796; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. che è privilegiata, al tempo di Canonica, una geometria elementare,22 forse perché più vicina all’astrazione, all’idealizzazione metastorica in atto? E così urge un chiarimento. La geometria che funge da scheletro portante su cui edificare una matematica grammatica architettonica parrebbe essere a tutta evidenza, anche secondo Luigi Canonica, una geometria specifica. Essa sembra fare appello, per dirla in formula, a Euclide. Meglio ancora, al teorema di Pitagora: per qualsiasi triangolo rettangolo il quadrato della lunghezza dell’ipotenusa che è il lato maggiore del triangolo opposto all’angolo retto, è uguale alla somma dei quadrati delle lunghezze degli altri due lati. Ma è vera questa asserzione? E se sì, a che cosa porta? A quali vantaggi (e svantaggi o limiti) costruttivi? A quali urbanistici se ne valutiamo gli esiti nell’ottica, nell’inquadratura da cui potrebbe valutarli un Luigi Canonica? L’organizzazione geometrica di spazi indefiniti secondo schemi elementari assicura al meglio un dettato costruttivo che ne consente la misurazione sin dal primo sguardo e fa corrispondere piante e alzati, uniforma aree delimitate concatenandole e organizzandole proporzionalmente secondo un unico sistema che va coinvolgendo ludi geometrici di facile applicazione e di evidente lettura o percezione, ecco i primi vantaggi. I secondi sono pertinenti più schiettamente alla geometria, alla possibilità cioè di costruire uno spazio misurato e strutturato secondo ragione geometrica. Vediamo come, andando a verificare sperimentalmente appunto per via geometrica la veridicità del teorema implicato che funge, nell’economia di questo ragionamento, da cardine su cui andrà sorreggendosi e articolandosi un intero discorso, un dire che è un fare.23 Merita focalizzare il metodo, ciò che posso enunciare come il modo di procedere componendo e scomponendo per via geometrica lo spazio, misurandolo uniformemente e articolandolo in insiemi e sottoinsiemi proporzionali secondo un procedimento che torna buono su più fronti ed infatti viene applicato anche nei rilievi, nelle mi- XVIII surazioni delle vestigia romane e dei reiterati scavi che fanno riaffiorare il remoto passato oggetto di studi sempre più accurati sin dal tempo di Palladio.24 Adesso, anche rispetto a tali antefatti si dà adito a tutta un’altra e più audace ipotesi, alimentata in termini dissimili ma imparentati a Parigi o a Roma, giacché in questo nuovo mondo dominato da una ragione assolutista, in questo ritorno all’antico25 incentivato dall’Impero viene in primo piano l’esigenza di un’attualizzazione dei remoti modelli e stili non solo per via geometrica ma anche aritmetica,26 sommando matematica e (nell’accezione post-desaussureiana del termine, s’intende) linguistica. Ne discende un “neo-classicismo” addirittura spregiudicato nella versione imperiale, motivata com’è o come pare essere da un’irrevocabile urgenza di attualità. Del resto, affermata anche in ambito pittorico come ha rilevato Haskell. La prova del nove di ciò è data semplicemente dall’attività di Canonica, essa evidenzia una specifica assonanza con l’affermarsi di quella borghesia liberale e bonapartista coincidente, per adottare le parole di Mezzanotte, con la fondazione della Repubblica italiana e del Regno Italico, come si può dedurre peraltro dal suo intrecciare un ruolo pubblico a un fare rivolto sincronicamente o quasi a una committenza pubblica e privata inedita, dal suo scivolare con disinvoltura da un cantiere a un altro, intervenendo con eguale entusiasmo e impegno, secondando sempre – è questo un suo pregio significativo? – un’economia progettuale e operazionale immutabili, e affatto attuali. Posso così concludere: Luigi Canonica parrebbe inverare più di altri le asserzioni teoriche di autori che fanno ormai parte della letteratura e che, difatti, compaiono puntualmente nella sua biblioteca che dà ragione a coloro i quali hanno individuato in costui un architetto colto e aggiornato.27 Al tempo stesso, egli parrebbe confermare o per meglio dire afferma risolutamente – ma fino a che punto e secondo quali accenti? – una L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A svolta in atto proprio nell’esercizio di una professione che va configurandosi, nella progettazione e nella prassi, nell’espletamento di un ruolo pubblico e in quello della libera professione, e che, nella misura in cui costituisce in sé una novità, si propone, problematicamente, come qualcosa che consente – si vedrà poi secondo quale particolare declinazione – di dichiarare o, al contrario, di negare che: «il neoclassicismo perde [in lui] quel carattere sperimentale e insieme moralistico e politico che ancora conservava presso qualche architetto e che era stato proprio degli anni rivoluzionari».28 Una “idea regolatrice” La scienza del costruire è, per assecondare una terminologia attuale, sostanzialmente fisicalista (specie al tempo del Canonica, soprattutto nell’agire di costui indifferenziato sia che egli vada effettivamente edificando, o arredando, oppure decorando, sia che agisca in proprio o soprintenda al fare di altri ecc.). Essa risulterebbe essere allora investita di una praxis peculiare. Col rischio – poi avveratosi – di veder declinato questo fare tecnologico da produzione in economia, generando così una profonda crisi non solo concettuale e sociale ma anche esistenziale da cui dobbiamo tuttora, almeno in parte, riscattarci. Secondo tale lettura, in questo contesto storico sin qui sommariamente rievocato, il razionalismo si fa motore di un “complesso di potenza” delle tecnoscienze,29 causando in tal modo una tirannide (la tirannide cui accennavo in apertura) che implica pure il deprezzamento dell’essere e del valore. Una debolezza di cui tuttavia non pare esservi troppa consapevolezza, tantomeno negli architetti e dunque in Luigi Canonica. Le critiche a tale razionalità tecnico-scientifica scaturita dal rivolgimento illuminista difatti non sembrano trovare troppo riscontro nel tempo di Canonica quando invece questa razionalità tecnico-scientifica veniva identificata in generale come un valore assoluto ed era considerata lo strumento ideale per il riscatto della società, la sua apertura moderna.30 Converrà affrontare esplicitamente alcuni esempi tra i molti offerti dalla sequela dei cantieri del Nostro per verificare la credibilità di questa interpretazione che ha senso purché si tenga conto del fatto che nei molteplici progetti a firma di questo duttile protagonista si ha prova tangibile o concreta, più e meno evidente, delle difficoltà non solo interpretative ma anche operative che hanno segnato la sua stessa parabola professionale. Argomentazioni di non poco conto alle quali si dovrà aggiun- gere tutta la complessità che impone un’aderente analisi storico-critica del suo operato.31 Consistente in un agire che scaturisce in lui dal confronto dialettico che s’instaura con i due scenari chiamati dal suo stesso progettare a condividere la transeunte mondanità: quello antico richiamato in vita secondo le più complesse inferenze e quello contemporaneo subordinato a un’irrefrenabile frenesia innovativa in linea con l’incalzante e sempre mutevole cronaca del tempo. Un agire di una modernità o attualità significativa il quale, anticipiamo, nel suo farsi proposizione che, caso per caso, può comporsi con altre rafforzando così un lessico, un costrutto linguistico rispondente a un’impostazione classicista particolare parrebbe in ultima analisi soggiacere al “soggetto” delle dissertazioni di uno dei principali interpreti (filosoficamente parlando) delle istanze illuministe, Immanuel Kant. Soggetto che è dato da una “idea regolatrice” e non certo da un “soggetto storico” e in quanto tale avrà un ruolo determinante, deve averlo nei riguardi dell’architettura come dell’arte classicista. Palmare conferma parrebbe esser data dalla genesi di non pochi progetti di Canonica. Lo attesta un attento esame della concreta attuazione del Parco Reale di Monza che manifesta l’evolversi e il distaccarsi del Ticinese sia dai possibili modelli conosciuti sia dai suoi stessi primevi elaborati e l’affermarsi infine di «un atto “rifondativo” a scala territoriale che fissa nuovi caratteri e modelli», come afferma Francesco Repishti.32 Saldando e al tempo stesso dividendo città e campagna e facendo sì che tale enclave si trasformi in un presidio ordinatore dell’intera area e implementi le risorse territoriali, dando avvio a un “caso” tuttora aperto, di rara problematicità e al tempo stesso di indiscusse potenzialità. Questo architetto di «utilità pubblica e privata» d’altro canto è «il migliore architetto uscito dall’accademia del Piermarini, e di lui è da considerarsi, per qualche aspetto, un continuatore».33 Ebbene, accantoniamo gli irrilevanti archetipi considerati blandamente ad eccezione dell’antefatto piermariniano che interessa il cuore architettonico dell’intero organismo, poniamo pure da una parte la cronistoria – ricomposta sui documenti conservati a Vienna, Bellinzona, Mendrisio, Milano e Monza – del cantiere generale relativo al futuro Parco Reale ad eccezione della data di avvio. Essa pare riferibile all’atto napoleonico contenuto nel primo articolo del Terzo Statuto costituzionale del Regno d’Italia, promulgato il 5 giugno 1805. Segue a ciò l’espandersi dello stesso Parco che incorpora proprietà adiacenti e finisce per raggiungere un’estensione di 3234 pertiche pari a oltre 210 ettari. Un’espansione che Andrea Appiani, Fasti di Napoleone, Incoronazione di Napoleone nel Duomo di Milano, 23 maggio 1805; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. XIX LETIZIA TEDESCHI concerne l’inglobamento di cascine, mulini, edifici preesistenti di volta in volta modificati per i nuovi usi o attualizzati nelle loro forme architettoniche per rispondere al gusto del momento ma secondando una progettualità asciutta, efficace e unificante che vale la pena considerare in relazione ad altri analoghi interventi sul preesistente. A questo punto converrà osservare con peculiare attenzione qualche dettaglio caratterizzante. Per esempio, lo spazio dedicato al bosco che deve essere piantumato in pratica da zero e la distribuzione conseguente delle diverse disposizioni territoriali di ciò che resta, a sostegno di «una razionalizzazione della produzione agricola e boschiva» che è riferibile a una pregressa risoluzione, di matrice asburgica.34 Soprattutto merita dare attenzione alla duttilità del progetto che muove dallo stato fisico preesistente e attua modifiche anche assai rilevanti che riplasmano integralmente il sito, rispondendo a un’idea ordinatrice generale ma aperta se Canonica può scrivere a Costabili il 9 luglio 1806 un’analitica missiva con un allegato denso di varianti testuali di progetto, in cui si illustrano gli ultimi aggiornamenti adottati «a rendere più aggradevolmente ornato e idoneo il Parco agli usi cui è destinato», mantenendo al contempo e anzi rilanciando la possibile introduzione di «modificazioni od aggiunte che opinasse d’introdurvi» sua Altezza Reale (il principe e viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais), che peraltro per mano di Costabili si dirà «assai soddisfatta del disegno tutto».35 Probabilmente perché, viene da dire ipoteticamente, parrebbe consonante con gli orientamenti del tempo, sperimentati pure alla Malmaison. Nel parco, inteso a tutta evidenza come un’oasi a se stante, un microcosmo verde ordinato all’interno da una griglia geometrica (le allée alberate, il Lambro rettificato, gli assi geometrici delle alberature ecc.), raccordato, all’esterno, da altre proiezioni secondanti un’analoga geometria che chiama in causa anche la coeva cartografia distendendosi su scala topografica o territoriale, interagiscono istanze stilistiche e paesaggistiche.36 Si manifestano attenzioni già in circolo in anni precedenti e decli- nabili in un più consapevole e confortevole intrattenimento e riposo, nel rispetto di un nuovo gusto, un interesse crescente per l’arte venatoria e lo svago cortese, nonché una rinnovata passione naturalistica di stampo scientifico e più in generale un approccio territoriale di matrice razionalista. In altre parole, un fascio di vettori che vanno a tradurre questo impegno diversificato, questa esperienza consumata sul campo in un’operatività di cantiere in cui prassi ed empirismo si sommano dando forma a una concezione sofisticata37 che non manca di riscontro nell’oggetto conclusivo.38 Vi è ancora un aspetto da approfondire però, a cui si è fatto cenno, la ricca flora del parco che, similmente al museo napoleonico, compendia le conoscenze del tempo ed è difatti allestita – sia pure con un occhio di riguardo per quanto sta accadendo a Parigi – come si trattasse di un’eredità moderna sia delle storiche tenute e dei grandi parchi e giardini antichi e sia delle nuove sistemazioni; idealmente una natura razionalizzata e tuttavia avventurosa, sorprendente e fantasmatica come uno scenario arcadico (la letteratura classica, Ovidio, Lucrezio, ma anche Epicuro e gli stoici recita un qualche ruolo) dal timbro affine al mondo primordiale e colto in cui uomini e dei condividevano l’area circondante il Tempio della Sibilla a Tivoli. Al contempo, in grado di favorire una osmosi metamorfica, ad una oraziana e goetheana, l’incontro tra il verde di un giardino monumentale, plasmato come un’architettura vivente che estende la città costruita antropizzando ogni aspetto naturale, e lo svolgersi delle architetture arboree in macchia selvaggia nel dilatarsi di scenari naturali, il tutto declinato in chiave paesaggistica. La “riserva di caccia” e la “tenuta agricola” di Monza in cui sono inglobati senza soluzione di continuità il giardino formale piermariniano che sta sul retro della Villa e viene trasformato in landscape garden e le altre isole verdi egualmente formali rielaborate o sistemate all’uopo e tutta una serie di preesistenze architettoniche riutilizzate opportunamente, questo ensemble straordinario suscita questa ulteriore riflessione facente Anonimo, Progetto di addobbo del Lazzaretto per la Festa della Repubblica a Milano, 1797; Milano, Museo di Milano. XX L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A Jacques-Louis David, Le Sacre de Napoléon, 1805-1808, particolare; Parigi, Musée du Louvre. riferimento, al seguito di quanto fa osservare Margherita Azzi Visentini, alle «seicentesche Ville, già Durini, di Mirabello e Mirabellino, che [Canonica] riesce a inserire organicamente nel complesso, tramite una rete di lunghi viali rettilinei». A cui segue poi «l’articolazione del parco, suddiviso in svariate “colonie” facenti capo a altrettante cascine e fabbricati rustici, per lo più in stile classico o gotico, di cui cura particolarmente il decoro», per non dire infine delle collegate «sistemazioni paesaggistiche» implementando così un riesame dell’intero agire del Nostro su questo fronte.39 Tanto più necessario in relazione a un ulteriore rilievo, sempre della stessa Azzi Visentini, secondo il quale nell’economia generale riesce «Particolarmente interessante la Cascina Fruttero, inserita al centro del piazzale circolare da cui si dipartono i viali a raggiera del monumentale giardino dei frutti, la cui trama geometrica richiama, con il progetto del Canonica per il Foro Bonaparte, il tridente di viali che collega Monza alla reggia, con cui spartisce l’asse mediano».40 Canonica riesce progressivamente con abilità e prudenza, procedendo cioè passo passo e assecondando (o facendo credere di assecondare, una bella abilità politica) le richieste della committenza – a modificare il programma dal riordino iniziale in un più ampio e organico progetto territoriale. Vi riesce lusingando i suoi referenti e facendo leva sulla vanità del potere che finisce per identificare nel sempre più ambizioso e ricco pro- getto un’immagine autoreferenziale. Lo scopo di ciò è, a tutta evidenza, quello di riuscire in una impresa al passo con i tempi. Inoltre, pare di poter cogliere in tale progettualità la piena attenzione di una mentalità scientifica che riverbera l’impostazione enciclopedica nei confronti della natura declinata in uno scenario in cui i vari saperi e le rispettive aree disciplinari si sommano: la botanica, la zoologia ecc.. Questi assunti si accompagnano al riordino stilistico del costruito che va a raccordarsi con la rimodellazione profonda dell’intera area, verde incluso, con il conseguente riassetto delle infrastrutture viarie e quant’altro. Fino a creare – posso finalmente sostenere – un complessivo piano territoriale in linea con quanto agito in Francia e in altre parti d’Europa che va a raccordare secondo precise direttive e priorità Monza a Milano, evidenziandone i punti nevralgici, le sedi del potere e le emergenze architettoniche e ambientali del tempo. La carriera di Canonica, come si è visto nelle prime proposizioni di questa scrittura, prende avvio e slancio in sintonia con l’arrivo dei Francesi grazie agli apparati effimeri di cui egli si dovette occupare in qualità di «soprintendente all’illuminazione notturna».41 Posso argomentarne tangenzialmente tralasciando di trattare d’altro come dei teatri42 – un ambito di eccellenza per Canonica – che pur sono legati a queste architetture transeunti allestite per celebrare trionfi, feste e altre manifestazioni di XXI LETIZIA TEDESCHI Andrea Appiani, Ritratto di Eugenio di Beauharnais vicerè d’Italia, 1810; Musée National des Châteaux de Malmaison et Bois Préau. pubblico godimento e di interesse politico oltre che culturale, incidendo non poco sul senso civico, così come sul costume (gusto e moda su cui ha indugiato Mario Praz). Le feste e le scenografie del Nostro collidono col gusto del tempo, gli assicurano il successo, lo proiettano in un clima non solo celebrativo ma anche politico. Ma quando Canonica tenta di trasporre questa esperienza in qualcosa di monumentale le cose quadrano assai meno benché egli non manchi di imput peculiari quanto aggiornati.43 Non si ha però in questo caso se non in forma mediata un richiamo diretto all’impegno civile quale viene inteso in Francia e certo dovremmo soppesare il ruolo che vengono a recitare i Francesi stessi nel momento in cui assumono il potere, ed entrano in Milano, nel suggerirgli comunque una qualche inferenza del genere. Invece si può arguire un’affinità immediata con il “pragmatismo napoleonico”, ancora una volta, incardinato su altre fondamenta, a cominciare da un’idea di edificabilità civile o pubblica che prende le mosse dalla differente realtà milanese e italiana. Tuttavia secondo una risoluzione un po’ diversa rispetto, poniamo, alla romana Accademia della Pace, di cui Canonica conosceva idee e progetti anche tramite gli Atti presenti nella sua biblioteca.44 A ciò va sommata una concretezza operativa che sollecita un costruire XXII sodo, in economia di tempo e di risorse, senza per questo venir meno sul fronte illustrativo o simbolico del manufatto.45 La traduzione di strutture effimere in opere permanenti, in oggetti di architettura insomma, trova esito discontinuo e faticoso volendo soddisfare stringenti paradigmi moderni (l’attualità), anche quando tocca un proprio acme come per esempio nell’Arena o nelle Porte d’ingresso alla città. Queste ultime, nella misura in cui rappresentano un varco monumentale che unisce e divide la città e la campagna, che rende permanente l’evento trascorrente ed effimero, vengono a presentare un problema di frontiera, analogo al parco monzese. Le Porte monumentali di cui si occupa Canonica sono anche, talvolta, archi di trionfo e questa duplice identità di porte-archi trionfali solleva una questione. Si ha un’enfasi significativa su tale bifrontismo funzionale nel caso di Porta Marengo. Il tema evidenzia, a sua volta, da un lato il ripetersi frusto di repertori risaputi e dall’altro un work in progress inevitabile vincolato com’è alla cronaca che impone tempestività, declinabile in urgenza irrevocabile ma anche in una originalità riscontrabile nell’animata dialettica tra ideazione e cantiere, che finisce per incrementare questa lettura. Vediamo di prendere le mosse dall’impatto visivo del manufatto qual è suggerito dalla traccia storica rimastane, vale a dire una testimonianza cartacea. La Porta Marengo che troverà poi edificazione sotto altra firma, quella di Luigi Cagnola, resta infatti opera più che incompiuta, irrisolta o non realizzata. In seguito alla vittoria riportata da Napoleone a Marengo, il 14 giugno 1800, prese corpo il progetto di edificare una nuova porta commemorativa in sostituzione dell’antica Porta Ticinese, idea preceduta, aggiungiamo per amor di cronaca, dalla realizzazione di un piccolo monumento celebrativo di Antolini, una lapide in marmo con piedestallo in granito e i fasci littori in bronzo ivi collocata il 10 marzo 1801, in occasione del primo anniversario della battaglia. In un primo momento intervennero sul tema anche Giuseppe Pistocchi, con la proposta di quattro progetti e Pietro Pestagalli, quest’ultimo però quando la decisione di affidare la Porta a Canonica era già stata presa,46 dunque un team di architetti che si dedica alacremente per alcuni mesi alla ricerca di una soluzione «monumentale». Trovata infine da Canonica, reintegrato architetto nazionale dopo la breve pausa austriaca, e appunto impegnato nella progettazione della nuova porta, «un progetto a scala urbana oltre che architettonica e che si segnalava per la definizione dei volumi e la severità del linguaggio, utilizzando il bugnato, e le membrature dell’ordine dorico», come scrive Aurora Scotti Tosini.47 Una proposta di cui è testimonianza nei disegni conservati all’Archivio del Moderno. Il Nostro scrive a proposito della Porta: «mi è sembrato che il Carattere che maggiormente gli conveniva fosse quello di una grandiosa, ed imponente semplicità». Egli prosegue affermando che ha scelto «le proporzioni Doriche» e ha poi preso la decisione di porre una statua «rappresentante la Fama contornata da trofei militari che torreggia sull’attico», simulacro capace, a suo dire, di esprimere «opportunamente l’oggetto del Monumento».48 Canonica va orientandosi, dunque, per una soluzione monumentale dal carattere semplice ma segnata altresì da una variante ideativa che suona un po’ come una trasgressione. Del resto, la stessa Aurora Scotti Tosini ribadisce la rivoluzione in atto rispetto al linguaggio declinato fino a pochi anni prima dagli allievi di Piermarini, nell’affermare l’imporsi di «un’architettura di per sé eloquente, basata su un’ispirazione all’antico che imponeva volumi architettonici netti, severi colonnati architravati».49 L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A Corpo degli Astronomi di Brera, «Pianta della Città di Milano pubblicata dall’Amministrazione municipale», 1814; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. XXIII LETIZIA TEDESCHI Nicolas-Antoine Taunay, Entrata della guardia imperiale a Parigi, 25 novembre 1807; Musée National du Château de Versailles. Già nel 1803 il mutato clima e i diversi interessi di Napoleone determinano tuttavia la sospensione del cantiere quand’è giunto appena alle fondamenta.50 Restano dunque i soli disegni – gli otto fogli dell’Archivio del Moderno e la tavola a lui attribuita della Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli – a dirci che si trattava di un monumento che proponeva sgrammaticature di una certa audacia e cioè un’immagine complessiva singolare e forse per questo non troppo ben accolta, la cui severità viene poi enfatizzata dall’impiego secondo accenti inusuali dell’ordine dorico.51 Lo sforzo metaforico declinante verso una maggiore robustezza della fabbrica che s’impone in tutto e ne fa precipuamente un’architettura militare oltre che un arco di trionfo anche in forza dell’impiego dell’ordine dorico, propone così di rileggere alcune osservazioni tratte da The dancing column di Joseph Rykwert.52 Questi rileva la tenacia della metafora offerta da colonna e trabeazione greca. Senza doverne condividere in toto le conseguenti argomentazioni, arriva a dire qualcosa che può assumere per noi una certa importanza: «Proprio come i filosofi dell’illuminismo avevano proclamato il decesso del mito e della superstizione […] XXIV così Hegel e molti dei suoi seguaci proclamarono la morte – o per lo meno l’irrilevanza – dell’arte. Una teoria molto simile, benché raggiunta con argomentazioni diverse e basata su diverse premesse, si sviluppò in Francia. La teoria […] faceva capo agli insegnamenti dell’Ecole Polytechnique, soprattutto a Jean-Nicolas-Louis Durand e al suo seguace Charles Normand. Tutti gli ornamenti storici (fra cui i più importanti erano di sicuro gli ordini architettonici) erano solo una convenzione, che non aveva bisogno di essere collegata alla descrizione del loro sviluppo o al concetto di metafora in architettura. La convenzione forniva semplicemente le forme intermedie utili per fare da ponte tra le esigenze dei materiali e della fabbricazione industriale da una parte e le purezze grandiose della geometria dall’altra. Un secolo più tardi la Neue Sachlichkeit avrebbe esteso questi argomenti dimostrando la futilità di tutte le forme intermedie».53 Il che conduce a altro ancora. Se anche per Adolf Loos l’artista, l’artigiano e l’architetto erano autorizzati a citare certi archetipi per legittimare le loro opere, tutti costoro e massime gli architetti non dovevano inventare nuovi ornamenti, nessun nuovo ordine. Ecco perché egli L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A Arco provvisorio eretto a Porta Romana per l’ingresso di Napoleone a Milano, 1807; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 5, BC 375. adottò una colonna dorica fuori scala per dare una forma compiuta a un grattacielo di Chicago e conferire a questo il sembiante «dell’oggetto tipo per eccellenza». Per di più attraverso il reimpiego di quell’ordine dorico che «Nonostante tutto quello che aveva scritto Vitruvio» fu fortemente «idealizzato come la quintessenza di tutto ciò che c’era di meglio nell’architettura greca».54 Dunque, ancora una volta, la colonna, e in particolare quella dorica, come già al tempo di Luigi Canonica, – in cui, del resto, si hanno varie testimonianze in merito: vale la pena ricordare tra queste il campanile-colonna dorica di Ivanovka, eretto dal ticinese Tomaso Adamini55 – va ad assumere quanto si vuole ambiguamente un ruolo simbolo. Nei progetti pervenutici e nelle testimonianze architettoniche sopravvissute si ha, per finire allargando il campo fino a comprendere un’inquadratura globale, una forte impressione di continuità o omogeneità frammista a improvvise trasgressioni nei confronti dei protocolli classicisti e, di contro, inattesi slanci e qualche acuto. Si ha anche la sensazione di essere al cospetto di un architetto impegnato in termini eccezionali e su più fronti contemporaneamente e tuttavia capace di governare ogni cosa portando a buon fine ogni singola impresa. Un professionista dotato di una visione generale e particolare che opera con straordinaria efficacia e che quando interviene (nel già costruito come pure ab ovo) agisce con studiata sobrietà ma rispettando ogni committenza. Tant’è vero che in Palazzo Reale egli manifesta senza indugi un’enfasi adeguata alle esigenze del nuovo cerimoniale di corte e svolge così un serrato dialogo con il premier peintre Andrea Appiani. L’aspetto «sobrio, regolare, uniforme» acquisito dalla città – sto parafrasando Gianni Mezzanotte e Irene Giustina in questo stesso volume – tra l’arrivo dei Francesi (1796) e gli anni Quaranta del XIX secolo, a seguito di un generale ammodernamento costituito da un’intensa attività immobiliare, d’altro canto fu «influenzato in larga parte dall’impronta di Luigi Canonica». Espressa, tralasciando gli interventi celebrativi, soprattutto nell’edilizia residenziale. Torneremo a dirne brevemente per poter risolvere al meglio l’obiettivo postoci sin dall’avvio di queste annotazioni. Resta ancora sul tavolo il problema di una qualificazione (o denomina- XXV LETIZIA TEDESCHI Angelo Uggeri, «Pianta ed Elevazione delle carceri», tav. VI da G.L. Bianconi, Descrizione dei circhi particolarmente di quello di Caracalla, Roma 1789. Alessandro Sanquirico, Veduta dell’arena di Milano, 1810; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. XXVI L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A zione) del linguaggio di Luigi Canonica nell’ottica enunciata, al di là del fatto che questi parrebbe per lo più orientato a evitare le esclamazioni, indulgendo piuttosto in una certa pacatezza e semplicità linguistica. Tant’è vero che egli va ripetendo come formule le stesse proposizioni, pur riscattandosi da questo limite apparente (apparente, non reale) grazie a una solidità schietta, a una onestà dichiarativa, ad altro di propositivo che è reiterato con assiduità e inclinazione allo specialismo o particolarismo settoriale propendente alla tipologia (su cui insiste oltre a Irene Giustina anche Giuseppe Stolfi, recensendo le fabbriche teatrali),56 riaffermando così una versatilità singolare che si propone con slancio malgrado questo lessico alla fine un po’, come dire, laconico. Canonica, insomma, declina questo suo fare multanime in un esito che si potrebbe dire tipologicamente e morfologicamente configurato entro risaputi costrutti e al tempo stesso “etico” per adottare certa terminologia di allora, poiché attento ai costi di ogni cantiere e alle ricadute di ogni azione. In economia di tutto, dall’apparato ornativo ai materiali, agli stessi tempi di esecuzione e finalmente all’effetto conclusivo. Un risultato che propone un oggetto nudo, ora possente e tuttavia semplicissimo, e ora modesto e al tempo stesso di una severa dignità e tuttavia egualmente essenziale e che deve collocarsi nel tessuto urbano concorrendo a ordinarlo. Questa sua architettura alfine deve assolvere a nuovi valori e ruoli rappresentativi (nel caso dell’architettura celebrativa) e a nuovi standard abitativi (nell’architettura residenziale), nuovi orientamenti funzionali e nuovi o aggiornati esiti sia individuali sia urbanistici, senza ricadere ovviamente in errori trascorsi o in rigidi meccanicismi e anzi rispondendo sempre con studiata semplicità e ricercata delicatezza (sinonimo in qualche modo di modernità) alle aggiornate esigenze: per esempio, il comfort borghese ma anche la qualità della vita cittadina che va innalzandosi in modo esponenziale. Deve anche eludere ogni eccesso formale, sfuggire alla complessità richiamante anche implicitamente inferenze baroccheggianti e in un certo senso orientate verso posizioni passatiste. A conti fatti, un costruire “etico” che tuttavia è più opportuno dichiarare “utile”.57 Quella di Canonica è una progettualità e una architettonicità utilitaria anche quando, attraverso i suoi formalismi, la sua asciuttezza, arriva a riecheggiare – menzionando ora con maggiore aderenza filologica e ora con disinvoltura modernista lessici antichi, giocando su paradigmi geometrici, articolando studiate composizioni aritmetiche – il “Topos”, cioè lo spazio-luogo nell’accezione aristotelica. ~ Dok ~ ei d \e m/ega tie~ inai ka \i calep \on lhfq enai t?poj («Sembra essere cosa di grande importanza e difficile da afferrare il Topos», Fisica, IV) dichiara Aristotele e così la «molta saggezza» che Lichtenberg attribuiva al linguaggio verbale si sgretola un po’ al cospetto delle forme dell’architettura, queste in particolare. Allora ogni possibile descrizione, ogni valutazione verbale dell’architettura firmata da Canonica risulta in fondo insufficiente e l’aver sin qui ripetuto alcune asserzioni parrebbe meno grave. Il terzo e ultimo esempio su cui far leva cercando di riassumere l’esito del confronto con Canonica in pochi paragrafi – terzo anello di una ideale trilogia che ha per focus gli interventi per così dire “celebrativi” –può esser dato, dunque, da un intervento su scala urbana, l’Arena di Milano, in linea con i riordini parigini e che sembra compendiare ogni altro cantiere monumentale riferibile al tessuto cittadino, ai giardini e parchi, richiamando infine gli stessi apparati effimeri che tanta parte hanno avuto nella professione del Nostro. Dal momento che va a ricapitolare in sé non pochi tratti salienti del suo lessico e le dinamiche di cantiere, le spe- rimentazioni e le iniziative gestionali e direttive che alla fin fine declinano in quest’Autore in azioni di politica culturale, adombranti risoluzioni ideali che potrebbero essere lette persino come scelte ideologiche (o è troppo dire?). È inoltre questo anfiteatro-circo la più compiuta espressione linguistica di Luigi Canonica giunta sino a noi tra le sue opere pubbliche (ad eccezione forse dei Teatri in cui egli realizza un «repertorio di soluzioni controllate»,58 sostiene Stolfi, ancora una volta «semplici e ripetibili, sotto il segno di una grande sobrietà ed essenzialità sia concettuale sia formale») e pertanto invita a una attenta visione, a tutta un’altra ricognizione visiva rispetto ai documenti d’archivio. Il successo di pubblico della Festa nazionale della Repubblica Italiana del 26 giugno 1803 concorse con ogni probabilità alla traduzione degli apparati effimeri allestiti in uno spiazzo irrisolto accanto al Castello Sforzesco, in un costruito permanente e monumentale soggiacendo alla volontà sancita da una decisione di Napoleone che data 2 agosto 1805; con essa si dava la stura all’edificazione di un anfiteatro-circo stabile.59 Anfiteatro e circo ad una, l’Arena è probabilmente l’oggetto che più di ogni altro tra quelli rivolti alla committenza pubblica dà un’immagine costruita compiuta a un certo operare celebrativo di Canonica60 (peraltro richiamante «le masse di granito» dipinte da David nella celebre grande tela Le Sacre – «la cui continuazione e quasi l’ideale contrappeso», per volontà di Napoleone, è la Distribuzione delle aquile – che ha goduto, osserva Luigi Mascilli Migliorini, «di una costante attenzione storiografica»61 e che rimanda poi al clima che andrà affermandosi un po’ in tutta Europa attorno alla cruciale data del 1805. Un discrimine storico che segna, anticipandone taluni esiti, l’intera parabola imperiale con particolare riferimento al «problema del Regno d’Italia che propone da subito uno dei problemi chiave degli anni imperiali»,62 di cui è riverbero proprio sul costruito). Un’immagine compiuta e al contempo una convincente risposta a quella che si direbbe, per usare le parole di Rabreau, una parziale conseguenza di «una nuova arte urbana»63 maturata nella Parigi pre-rivoluzionaria e affinatasi in piena Rivoluzione. L’edificio, per venire direttamente all’Arena, suggerisce una serie di riflessioni in margine alla sua originalità formale che pur rievocando modelli antichi se ne distacca ipotizzando una tipologia inedita, in parte derivante anche dal sommarsi dell’aritmetica64 alla geometria palesemente implicata poiché vi soggiace la sua stessa pianta.65 Va inoltre considerato che esso è eredità dei circhi rivoluzionari e pertanto quale unico monumento mutuato dall’arte greca e romana, «che non figurasse nei programmi di architettura dell’Ancien Régime […] era fortemente auspicato, come strumento di civismo».66 Inoltre esso conferma la conoscenza diretta da parte di Canonica di talune opere, più volte segnalate dalla storiografia, che possono aver orientato e aggiornato il Nostro: testi quali la Descrizione dei circhi particolarmente di quello di Caracalla… di G. Lodovico Bianconi (1789), i volumi delle Journées pittoresques des edifices de Rome dell’abate Angelo Uggeri (1800-1834), il Recueil di Durand (1799-1800), tutti volumi da lui posseduti.67 Anche per questo background colto pur rilevabile in una serie di elementi indiziari ora più e ora meno evidenti e che vanno emigrando attraverso l’intero corpo del costruito con diseguale andamento, questo oggetto manifesta in sé una volontà protesa a esaltare la storia sia mitica (attraverso i molti richiami all’antico) sia contemporanea (negli altrettanto folti riferimenti alla cronaca). Dedicando tanta fabbrica a quegli eventi transeunti o effimeri che finiscono per polarizzare l’attenzione collettiva e per essere strumenti di consenso e di attivazione di rituali rappresen- XXVII LETIZIA TEDESCHI Villa Reale, Milano, Veduta della sala da ballo. XXVIII L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A tativi e simbolicamente adeguati alla mutata scena politico-militare che si va configurando in un certo senso di giorno in giorno. In esso si attua un esperimento che rinnova la definizione originale della praxis impegnata da Canonica. Politicamente oltre che culturalmente parlando l’Arena rappresenta il crogiuolo di nuove dinamiche e inediti obiettivi. E così, nel ripensare alle varie forme di intrattenimento cittadino, alle parate commemorative, agli spettacoli allegorici e alle feste ivi allestite, pare possibile paragonare questa ampia fabbrica predisposta a futura duttilità di usi a un’architettura effimera e tuttavia eterna, funzionale e pertanto improntata a una prioritaria utilità ed altrettanto subordinata a una cifra dichiaratamente epica. Di ciò si ha riscontro – ora superficiale o vago e ora invece nitido – nella stessa disposizione e nella forma in sé semplice ma non priva di una qualche monumentalità grandiosa di tale oggetto. A suo modo una conferma della propensione severa e sobria confacente alle implicazioni geometriche e aritmetiche nuovamente presenti che, evidentemente, agiscono all’interno dell’economia mentale del Nostro. L’Arena parrebbe inoltre il monumento vivente che cerca di accompagnare e avallare la svolta in atto e poiché si tratta di un frangente storico in cui i valori e le sfide rivoluzionarie sembrano essere stati accantonati definitivamente anche in architettura le morfologie e le tipologie, i repertori ornamentali che soggiacevano a tali direttive sono ora sostituiti dai nuovi codici, dal rispecchiamento dei più attuali sommessi paradigmi bonapartisti. Paradigmi a cui Canonica stesso sembra, qui, prestare orecchio ma con la dovuta prudenza e con grande attenzione, difendendo sempre prima di tutto la propria individualità e l’acquisita profilatura professionale. La limpida ed esauriente scheda scritta da Mezzanotte mi solleva dall’obbligo di una puntuale descrizione a tutto vantaggio di altre più marginali annotazioni. La prima di esse concerne l’attuale impiego dell’Arena, non troppo dissimile dall’originario. Che cosa ha consentito questa longevità al manufatto, un elemento costrittivo che ne limitava e direzionava decisamente l’impiego fino a far sì che il riuso odierno non si discostasse più di tanto dagli adempimenti originari o piuttosto l’essere davvero, in fondo, un’opera aperta perché dotata di duplice anima, effimera e monumentale, e perciò disponibile all’aggiornamento costante, col minimo sforzo? La verità sta molto probabilmente tra l’una e l’altra ipotesi giacché quest’architettura è, allo stesso tempo, questo e quello. La seconda osservazione riguarda piuttosto le caratteristiche morfologiche dell’oggetto e le potenzialità di esso e, ancora, ciò che questo può rivelare. L’esemplificazione sia formale che strutturale e ornativa portata in questo caso da Luigi Canonica alle estreme conseguenze, benché si tratti di un oggetto che racchiude in sé più anime garantisce infine a questa architettura una presenza essenziale ma imperiosa, una monumentalità eclatante che ha forse concorso alla sua stessa sopravvivenza. Architettura rivelatrice Il materiale grafico conservato presso l’Archivio del Moderno sollecita, a questo punto, assieme agli inediti studi che si pubblicano in questo volume, alcune riflessioni rivolte principalmente alla committenza privata, quell’edilizia residenziale sin qui trascurata. Nei confronti di questo instancabile architetto si tratta di un completamento utile a meglio «delineare [di Canonica] le sue principali attitudini progettuali».68 «Quale sensibile interprete della società in mutamento», scrivono di lui Gianni Mezzanotte e Irene Giustina, Luigi Canonica «riuscì ad aggiornare l’immagine tradizionale della dimora nobiliare»,69 manifestando – merita annotare – una disinvolta «indifferenza nei confronti dell’ordine architettonico». Resa possibile da quella «idea ordinatrice» di cui dicevamo? Ovvero da un’implicazione della geometria, dell’aritmetica, delle matematiche in buona parte in linea con i tempi ma anche secondando una sua inclinazione particolare? O non è piuttosto un riesame generale di tutti gli elementi lessicologici del classicismo che induce a questo? Tanta «indifferenza» in ogni caso può significare più che altro un distacco, una certa freddezza nei confronti del dettato classicista ereditato dal Direttorio, è così oppure no? Parrebbe proprio che la risposta propenda per il sì. D’altro canto, le insistite sgrammaticature più che licenze si sono dette trasgressioni proprio per questo. Per voler sottolineare una mentalità orientata già verso un orizzonte nuovo e tutta protesa al “fare”, idest alla verifica della prassi alla cui tirannide soggiace ogni altro fattore. Si spiega così questo procedere per semplificazioni e libertà sintattiche talvolta eccessive del Nostro che però danno, alla fine, un risultato. Una semplicità attiva per esempio nel telaio compositivo di tante dimore urbane di nobili e borghesi che presenta: «la parete piena [… solitamente] suddivisa orizzontalmente, mediante cornici marcapiano, in due o tre, eccezionalmente quattro campi murari, entro cui sono regolarmente distribuite e allineate teorie di aperture, in prevalenza rettangolari, con semplici contorni».70 Analoga semplicità utilitaria disciplina le superfici e la soluzione del culmine o attico di ogni fabbrica e i diversificati rivestimenti delle facciate di dimore più cospicue come pure di case di fila che sono occupate da appartamenti più modesti; la parete inoltre si presenta per lo più povera di elementi plastici anche laddove compaiono gli ordini, né vi è, usualmente, sottolineatura d’angolo allo scopo, evidente, di enfatizzare uno sviluppo modulare continuo. Un’architettura standardizzata dunque che in quanto tale giustifica queste semplificazioni e riduzioni asintattiche rivelandone però, alla fine, una segreta ribellione, un’insofferenza per le imposizioni linguistiche vincolanti che tanto spesso pesano sull’architettura classicista oberata com’è da tipologie rigide. Insiste dunque Canonica nell’impiego di schemi essenziali ma aperti che ben si prestano a varianti testuali efficaci quanto d’immediata elaborazione, favorendo utilità ed economia e al tempo stesso garantendo (cercando di garantire) pure una certezza di risultato anche in assenza di verifiche assidue. Perché c’è anche questo aspetto, al solito pratico, da considerare: il nostro architetto è un funzionario pubblico impegnatissimo pertanto deve escogitare – ha escogitato – una modalità che gli garantisca il risultato con il minimo dispendio di tempo, il proprio tempo personale. Dunque una soluzione che senza vincolarlo a una presenza sul cantiere che egli non può sostenere più di tanto gli assicuri un costruito rispondente al progetto fin nelle finiture, ornamenti inclusi, una questione che si dovrà approfondire sapendo dell’attenzione che egli dedica all’apparato ornativo. Finiture, si deve poi aggiungere, che sono parte integrante del buon costruire e assicurano la solidità dell’edificio realizzato. Per ogni ambito considerato,71 per ogni specifico intervento si ha l’impressione che Luigi Canonica attui un metodo di lavoro che andrà consolidandosi e che è caratterizzato da studi e ricerche preventive, da una meditata messa a fuoco di ogni intervento così come di ogni committenza a cui segue però un’accelerazione, una traduzione fulminea nel cantiere che spesso va a concludersi rapidamente. O, al contrario, lentamente procedendo per gradi tra una sospensione e l’altra dettata dalle XXIX LETIZIA TEDESCHI mutevoli contingenze. Sta di fatto però che anche in questo secondo caso in cui si verificano ritardi talvolta persino macroscopici – è quanto accade per l’Arena – le linee-guida generali del cantiere restano immutate tanto quanto del resto gli orientamenti progettuali. Naturalmente se non debbono essere attuati aggiornamenti funzionali, al seguito dell’incalzante evoluzione tecnologica, ovvero cambiamenti di destinazione d’uso od altro dipendente dallo scenario politico pur sempre condizionanti nei confronti dei monumenti a destinazione pubblica. Ne discende una messa a fuoco del linguaggio e delle modalità procedurali del Nostro fino al chiarimento delle sue principali attitudini progettuali che ricorrono e si confermano di volta in volta dando vita a varianti testuali di una qualche ampiezza, che risulteranno assai più ricche di quanto non si era affermato. Così come si può ricavarne qualche riflessione aggiuntiva che sempre più ci avvicina all’identità del Nostro. Se si contempla la grande casa che Luigi Canonica si costruisce dopo il 1802 a lato della magnifica Basilica di Sant’Ambrogio72 non si può certo fare a meno di ricordare alcuni rilievi di Jorgis Baltrušaitis né, naturalmente, la poesia di Giusti e infine sovverrà una qualche considerazione della non casualità di questo sito. Dunque, implicitamente, dell’interesse che egli deve aver nutrito per l’arte “primitiva” o “medievale” e “gotica” (uso una terminologia d’epoca) rappresentata dal complesso ecclesiale. Se si va a osservare in dettaglio le facciate e l’articolazione simmetrica dei corpi di fabbrica di questa sua dimora non è possibile eludere un qualche ricorso a questo o quel monumento dell’antichità. E così i nutrimenti classicisti non vengono certo meno e finiscono per mescolarsi con piglio storicistico agli altri. Favorendo pertanto la verifica di quanto si è sin qui argomentato insistendo su ricorrenti paradigmi. Sovviene allora una più meditata considerazione di quanto parrebbe manifestare il progettare e il costruire dell’architetto nazionale e reale nella misura in cui quest’edificio sembrerebbe riverberare riassumendoli in sé, sia pure sommessamente, gli elementi aulici che prevalgono nelle allogazioni pubbliche o celebrative e gli elementi corrivi che invece si impongono con maggiore insistenza nell’edilizia residenziale. E ancora, nel tornare a studiare questo oggetto, oggi solo in parte leggibile, avverti nel suo volume una miscela di forza, semplicità, bontà strutturale e compattezza di forme che rivelano un edificio razionale e semplice. Dietro queste mura, oltre le spoglie facciate c’era l’atelier dell’architetto, la sua biblioteca. Quest’ultima parrebbe una fonte inesauribile – a compulsare il vasto catalogo ricomposto parzialmente da Cecilia Hurley in questa occasione – e tale poi da consentire ritrovamenti intriganti e qualche conferma. Per quanto riguarda l’“arte dei giardini”, ci sono in questa biblioteca i più significativi testi teorici editi in Italia agli inizi dell’Ottocento e così quanto sostiene Azzi Visentini trova piena conferma, come pure parrebbe consolidare un’economia di lavoro in Canonica che pur se ricalca modalità condivise dalla gran parte dei più noti architetti del tempo è anche testimonianza di una cultura ben costruita, si direbbe di stampo post-enciclopedico.73 Una cultura che propone un agire consapevole e un progettare motivato. Compare in essa, inoltre, uno dei primi contributi di aggiornamento rispetto a quanto già teorizzato e realizzato all’estero, la Dissertazione proposta da Pindemonte all’Accademia Padovana nel 1792, in cui si rivendica l’origine italiana del giardino all’inglese, che è qui presente nell’edizione comprendente il testo Sopra l’indole dei giardini moderni saggio di Luigi Mabil. Con altre operette su lo stesso argomento edita nel 1817.74 Che questa presenza significhi molto è presto det- XXX to; basterà far riferimento ancora una volta a Margherita Azzi Visentini. Pindemonte, scrive la studiosa, è per un approccio «naturalistico». «Accetta il principio dell’associazione di idee, ma è contrario all’introduzione di follies di gusto indiscriminatamente eclettico», ammette la presenza di «una capanna rustica, un tempietto, una grotta o una rovina». Inoltre, «Accanto ai giardini costruiti dall’uomo ammira alcuni scenari naturali, che distingue in pastorali, pittoreschi e sublimi», evocando per esempio Poussin e dunque certo stoicismo, persino ma sottotraccia vaghi richiami all’alchimia. «Oltre ai giardini di villa, fino allora oggetto pressoché esclusivo delle speculazioni teoriche, a parte le osservazioni di Latapie e Morel, considera quelli pubblici, i giardini di università e di accademie, di ospedali […] cioè tutti quegli spazi verdi pubblici che erano diventati parte integrante della città moderna».75 L’assonanza con quanto agito dal Nostro nel progettare il Parco di Monza è, mi pare, disarmante. Quindi è presente presso gli scaffali del Canonica la poderosa opera del tedesco Christian Hirschfeld,76 le cui idee sono riprese nel testo di Ercole Silva edito a Milano nel 1801, come nel compendio di Mabil pubblicato nello stesso anno.77 Vi è anche il volume di Dezallier D’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage, pubblicato chez Pierre-Jean Mariette nel 1747, la cui prima edizione risale al 1709, divenuto per le numerose edizioni e traduzioni il più influente trattato francese sui giardini del XVIII secolo.78 Non manca neppure la conoscenza del celebre giardino di Ermenonville del marchese de Girardin con la Promenade ou Itinéraire des jardins d’Ermenonville, edita a Parigi nel 1811.79 L’aggiornamento di Canonica, at last, è confermato dalla presenza sui suoi scaffali dei volumi di Krafft80 e dei celebri patterns books di Gottfried Grohmann.81 Con questi strumenti a disposizione Luigi Canonica può affrontare il non facile tema del parco monzese elaborando quella sua espansione su scala territoriale che ne farà un esemplare modello di aggiornamento europeo e francese in particolare dato che la committenza guardava principalmente a Parigi. «La prova estrema che una fede, un sentimento di massa, una religione o una forza sociale sia cosa viva o cosa morta, vitale e in ascesa oppure inerte, è nella sua capacità di produrre (di contribuire a produrre), individualmente o collettivamente, opere d’arte», afferma Elio Vittorini nel luglio del 1946 (su “Il Politecnico”) e questo rilievo pare calzare a pennello nei confronti del nostro architetto e del suo secolo. Tale avvertenza facilita forse l’interrogarsi, anche alla luce di quanto rilevato attraverso le letture del Nostro, in merito alle relazioni dirette che Canonica ha avuto con i colleghi. È certo che non pochi suoi interlocutori parlano lo stesso suo linguaggio, condividono le sue letture. Così come, d’altra parte, i suoi stessi committenti. E questo può aver contribuito non poco alla buona riuscita del ruolo che spetta a Canonica. Vi è poi fra i suoi libri una sezione dedicata a geometria, matematica e quant’altro di cui resta però traccia esigua ma sufficiente per confermare, pur in forma indiziaria o incompleta, l’interesse che Canonica nutriva per materie o aree disciplinari che vanno a implementare la stessa costituzione di una sua sintassi costruttiva. Sulla geometria, per esempio, sono stati rintracciati il Traité de perspective, où sont contenus les fondements de la peinture. Par le R.P. Bernard Lamy (1701)82 e i tre volumi Della geometria e prospettiva pratica di Baldassarre Orsini (1771-1773).83 Nozioni di statica e sulla solidità delle strutture si trovano invece in Borra, Trattato della cognizione pratica delle resistenze geometricamente (1748)84 e nella Voltimetria retta ovvero misura delle volte di Vincenzo Lamberti pubblicato nel 1773 e, sempre dello stesso autore, Statica degli edificj edito a Napoli nel 1781.85 L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A Giovanni Migliara, Arco della Pace a Milano, 1814; Milano, Pinacoteca Ambrosiana. Del dibattito recente francese e cioè a dire di quanto concerne un ventaglio di ambiti disciplinari vecchi e nuovi, piuttosto che l’aggiornamento del gusto di cui la riconosciuta capitale era, specie sotto l’Impero, ovviamente Parigi, pur sempre ville à l’avanguarde come poche altre città europee, e più marcatamente moderna non solo di Roma o anche di Londra ma persino della recentissima nuova capitale russa, San Pietroburgo, città classicista, di questo dibattito in corso si hanno i due volumi del già ricordato Durand, il Recueil e il Precis des leçons,86 accompagnati dalla storia dell’architettura di Legrand,87 e dalla Description de Paris et de ses édifices di Legrand e Landon in due volumi, pubblicata nel 1806-1809.88 Forse Canonica la utilizzò per il suo viaggio a Parigi nel 1810 quando inviato da Eugenio di Beauharnais visita le manifatture di Lione, passa da Compiègne e studia la Paggeria reale di Parigi.89 Com- paiono anche le Annales du Musée et de l’Ecole moderne des beaux-arts di Landon, una raccolta di incisioni al tratto contenenti la collezione completa dei quadri e delle statue del Museo Napoleone e le principali opere di pittura, scultura o i progetti degli artisti viventi, in cui traspaiono chiaramente le radici rivoluzionarie dalla scelta dei progetti pubblicati. I testi sono spesso opera di Legrand e Quatremère de Quincy.90 I due terzi degli edifici delle Annales sono recentissimi e, per la maggior parte consistono in progetti, soprattutto di templi (concorso della Madeleine) e di monumenti commemorativi (concorso delle colonne 1800). Canonica infine possiede anche il volume di RansonnetteKrafft.91 Da questa ritrovata biblioteca dunque mi aspettavo molto e, tutto sommato, molto ho ricevuto. Se non altro stante la parzialità del recupero sin XXXI LETIZIA TEDESCHI Giacinto Maina, Antonio Lanzani, Veduta prospettica di Milano da Porta Sempione, [1830]; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. qui realizzato. Si è insomma provata l’emozione di alcune verifiche nel tentativo di recuperare, ancorché in forma incompleta e ovviamente ipotetica, il modus operandi che s’intreccia sovente al più concreto o empirico modus costruendi di Canonica che quasi sempre finisce poi per condizionare ogni cosa piegando alle ragioni della concretezza operativa, alla forza delle cose direbbe Simone de Beauvoir, una volta che il cantiere è stato avviato. Un ragionamento che sembrerebbe confermare quanto ipotizzato all’inizio, ma un ragionamento che va lasciato in sospeso per i parziali recuperi possibili sia nella concretezza del costruito giunto sino a noi e sia in questi altri ambiti che contribuiscono ad arricchire di nuovi indizi la nostra interpretazione come la biblioteca ritrovata. In tal modo il paradigma indiziario che si stava componendo non troverà adeguato esito se non come abbozzo. La filosofia chiamata in causa spinge a riflettere attorno ai criteri mate- XXXII matici che possono agire in quella che si dice l’eticità della conoscenza paragonabile a una costruzione architettonica. Il piano analitico e il piano sintetico della ragione, che opera attraverso costruzioni concettuali continuamente messe in crisi o rinnovate, per dirla in parole povere, questa dialettica della conoscenza è implicata nell’attività dell’architetto – come pure in quella dell’artista – a un livello assai alto e per di più essa viene sottoposta alla costante quanto irrevocabile verifica sperimentale che si compie nel costruito.92 In questa processualità ricomposta sia pure per via ipotetica e in termini sommari credo si ritrovino alcuni tratti salienti e primigeni della cultura illuminista quali sono illustrati dall’Encyclopédie. «L’Encyclopédie – scriveva nel 1964 Roland Barthes in un suo famoso saggio – testimonia […] una certa epopea della materia, ma questa epopea è anche in qualche modo quella dello spirito». Per poi concludere avvicinandosi al caso nostro: «il percorso della materia non è altro, per l’enciclopedista, che il progresso della ragione».93 L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A 1. La cui prima edizione è del febbraio 1649, pochi giorni dopo l’esecuzione di Charles Stuart, re Carlo I. Per contestualizzare questo scritto vedi C. Hill, Milton and the English Revolution, Faber & Faber, London 1977. 2. La citazione è tratta dall’edizione italiana, J. Milton, Uccidere il tiranno [London 1649], prefazione di G. Giorello, trad. it. di G. Rigamonti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 5-6. 3. Trasformando all’uopo le loro abitazioni – un edificio costruito nel 1792 che rendeva già omaggio a questo stile – in un luogo consacrato, per dirla con Szambien, al più «solido» degli stili. Cfr. W. Szambien, Symétrie, goût, caractère: théorie et terminologie de l’architecture à l’âge classique 1550-1800, Picard, Paris 1986, pp. 131-140; id., Il museo di architettura [Paris 1988], presentazione di G. Muratore, trad. it. di A. Serra, Clueb, Bologna 1996, part. il capitolo “Il museo dell’ordine dorico secondo Legrand e Molinos 1800-1802”, pp. 71-77. 4. Cfr. G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966; part. il capitolo “Luigi Canonica”, pp. 281-304. La citazione è a p. 283. 5. Mi riferisco, sua formazione a parte, al colpo di fortuna capitatogli con l’arrivo dei Francesi in città, il 14 maggio 1796, allorquando, con intuizione geniale, «Canonica chiese e ottenne, non sappiamo con quali credenziali, – come scrive Gianni Mezzanotte in questo stesso volume – l’incarico di soprintendente all’illuminazione notturna». Il primo richiamo o riferimento va ovviamente al testo menzionato. La lettura del bel saggio di Walter Benjamin sulla Parigi moderna, in seconda istanza, può far cogliere al volo invece dove sia la genialità di questa richiesta e certo il passo successivo fu il coronamento di molteplici sforzi corroborati dai successi ottenuti tramite questo servizio apparentemente non troppo rilevante e perciò, forse, non così ambito come tanti altri. Chi abbia dimestichezza con la stagione e i climi napoleonici avrà certezza dell’ottima scelta iniziale operata dall’accorto ticinese apprendendo che egli ebbe a firmare «la festa indetta per la resa del Castello, avvenuta il 29 giugno 1796», nonché «l’illuminazione della città per l’arrivo di Napoleone il 4 maggio 1797» e infine – attingo ancora a Mezzanotte – con altri, Piermarini, Appiani, Landriani, Albertolli e Aspari ecc., «la più importante di queste cerimonie» che trasformò il Lazzaretto in Campo di Marte affinché vi si svolgesse il 9 luglio 1797 la Festa della Federazione. Di cui si ha cronaca nel Cusani nella sua Storia di Milano. 6. «Ensuite, les préjugés font ignorer les attendus de la création artistique de cette courte histoire, très troublée, et dérangent l’idée d’une mise au net des interprétations plausible. Par exemple, l’inopérant concept de rupture ou de transition qu’on attribue globalement au passage d’un siècle à l’autre autour de 1800 – des Lumières au Romantisme – m’engagent à proposer une remise en cause de l’histoire stylistique traditionnelle». Cfr. D. Rabreau, L’architecte-artiste. De l’idéologie des Lumières au pragmatisme impérial. Chronologie des symboles (1765-1815), in L. Tedeschi, D. Rabreau (a cura di), L’architecture de l’Empire entre France et Italie. Institutions, pratiques professionnelles, questions culturelles et stylistiques (1795-1815), Mendrisio Academy Press, Mendrisio-Silvana Editoriale, Milano 2011. 7. «Il Canonica considera se stesso – scrive ancora Mezzanotte nel 1966 – soprattutto un abile, attento e colto realizzatore, che raccogliendo una eredità ricca e ormai ben codificata, traduce, in architettura, direttive politiche ed economiche che lo sorpassano. Naturalmente ciò facendo, e nonostante ogni diversa intenzione, egli finisce per qualificarsi tra i maggiori e più attenti interpreti dei bisogni, dei gusti e degli orientamenti della nuova borghesia». Cfr. Mezzanotte 1966, pp. 283-284. 8. Riscontro, in proposito, una messe di spunti di riflessione preziosi nei saggi di Gianni Mezzanotte e di Aurora Scotti Tosini in questo stesso volume. 9. Attivandosi sin da subito con spirito improntato da quanto è declinato in prassi efficace dagli orientamenti e dallo stile napoleonici, una prassi strettamente legata a una progettualità e dunque a una idealità ben strutturata e consapevolmente implicata e di cui è eco pure nel celebre discorso di Serbelloni recitato al cospetto di Napoleone che inaugura la Repubblica Cisalpina, precedendo di pochi mesi il ritiro dalla scena pubblica di Piermarini e l’ascesa, a questo punto studiata a tavolino o accortamente prevista e pilotata, a architetto nazionale del Nostro, titolo acquisito tra dicembre 1779 e gennaio 1780, che, ad appena trentaquattro anni di età, lo investe del «più importante ufficio pubblico cui un architetto potesse allora aspirare». Cfr. Gianni Mezzanotte in questo volume. 10. Non è per un caso che Milton e Nietzsche siano rispettivamente gli au- tori, il primo del Paradise Lost, pubblicato nel 1667, il secondo dell’egualmente fortunato Also sprach Zarathustra, dato alle stampe tra il 1883 e il 1885, dato che in essi si possono reperire i presupposti e gli esiti ultimi di una interpretazione vincolata a tutta una fenomenologia delle arti di radice classicista ma in vero densa di trasgressività fin troppo significative e che dà vita, sullo sfondo, a scenari ben precisi a cui peraltro il pensiero di entrambi può appellarsi in ogni momento. Poiché si è menzionato Nietzsche converrà richiamarlo più attivamente, sia pure in nota, per poter dire che alla narrazione miltoniana farà eco e controcanto quella nietzscheiana incardinata sull’intramontabile e salvifico vettore dettato dalla profezia: la narrazione di Zarathustra è, l’autore lo ribadisce anche in Ecce Homo, profetica. Dunque spetta alla profezia della giustizia che funge da contraltare sia alla libertà sia all’uguaglianza conquistate per via tecnocratica e che ha nome fratellanza per l’intera collettività il compito del riscatto, purché si accetti il superuomo, colui che ha un mandato mitico, etico e anzi morale e che abbraccia e contiene in sé l’altra istanza, quella determinata dall’orizzonte (il nuovo orizzonte) della conoscenza come strumento per delineare i destini dell’umanità, concorrendo così alla costituzione di una piattaforma unitaria in cui una verità tecnico-scientifica, tutta razionale e persino meccanicistica, si sommi a una verità escatologica (essere, senso, valore, libertà ecc.). Tratto comune di non pochi sistemi filosofici post-kantiani, stando a quanto asserisce E. Cassirer, Storia della filosofia moderna [Berlin 1923], vol. III, Il problema della conoscenza nei sistemi postkantiani, trad. it. di A. Pasquinelli, Einaudi, Torino 1955. 11. La voce di Zarathustra in fondo è quella che più d’altre condanna le contraddizioni sia napoleoniche sia post-napoleoniche (il paradossale fermo storico determinato dall’ancor più paradossale arretramento del tempo che è montato come un grande orologio meccanico dalla Restaurazione) e al tempo stesso omologa una mondanità ormai incancellabile. Che convive e persino si nutre di questi paradossi, ora che gli esiti ultimi dell’utopia rivoluzionaria e classicista si sono piegati ad altro materialismo, e soggiacciono ad altre ontologie. 12. L’astratta sintesi elaborata dal Milizia, come fu rilevato all’epoca, «doveva molto sia alla trattatistica francese, che – soprattutto per l’adesione alla logica dei sistemi costruttivi – alla riduzione che del pensiero di Lodoli aveva dato Algarotti. In quanto sistema normativo capace di generare una nuova architettura non era neppure invenzione tutta sua, [cioè di Milizia] se – collegato piuttosto alla scelta di una geometria elementare – negli stessi anni informava di fatto in Francia sia le architetture di Boullée che, almeno nell’opera stampata, molte di quelle di Ledoux; o anche in Germania, – sostiene Susanna Pasquali – dove nel progetto del 1786 di Friedrich Gilly per il monumento a Federico II, Roma e Grecia comparivano didascalicamente citati secondo i loro corrispondenti principi costruttivi. Nella stessa Roma, inoltre, il tedesco Aloys Hirt – attraverso la stessa artificiosa individuazione proposta da Milizia di un’arte muraria “repubblicana” separata da un’architettura templare “greca” – rileggeva la storia del Pantheon, proponendo una nuova (e del tutto infondata) ricostruzione della sequenza storica delle sue campagne edilizie. Comunque però si sia costruita tra gli anni ’80 e ’90 in Europa questa generale attenzione ai sistemi costruttivi connessi alle costruzioni greche e romane, certo è che Milizia ne è stato almeno in Italia il maggior catalizzatore». Cfr. S. Pasquali, A Roma contro Roma: la nuova scuola di architettura, in Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia 1780-1820, catalogo della mostra (Roma 2007), a cura di A. Cipriani, G.P. Consoli, S. Pasquali, Campisano, Roma 2007, pp. 81-108, a pp. 82-84. 13. J.-N.-L. Durand, Recueil et parallèle des édifices de tout genre anciens et modernes, remarquables par leur beauté, par leur grandeur ou par leur singularité et dessinés sur une même échèle par J.N.L. Durand,... ; avec un texte extrait de L’Histoire générale de l’architecture¸ par J.G. Legrand, imprimerie de Gillé fils, Paris an VIII [1799-1800]. 14. Enfatizzato a suo modo anche da Consoli allorquando sostiene che il valore pubblico dell’architettura «costituisce la vera novità rivoluzionaria dell’architettura italiana del primo Ottocento […] ancora maggiore rispetto alle esperienze simili francesi, perché si imposta su di una situazione ancora più arretrata di quella dello stato nazionale». Cfr. G.P. Consoli, La “nuova architettura del nuovo secolo”: temi e tipi, in Contro il Barocco 2007, pp. 151230, a p. 155. XXXIII LETIZIA TEDESCHI 15. Cfr. W. Szambien, Jean-Nicolas-Louis Durand. Il metodo e la norma nell’architettura [Paris 1984], prefazione di B. Huet, trad. it. di G. Lupo, Marsilio, Venezia 1986. Le citazioni sono a p. 156. 16. Cfr. W. Oechslin, Pyramide et sphère.Notes sur l’architecture révolutionnaire du XVIIIe siècle et ses sources italiennes, “Gazette des Beaux Arts”, a. CXIII, 1971, t. LXXVII, pp. 201-238. 17. Vale la pena ricordare, attingendo a Consoli, il discorso manoscritto dell’archeologo giacobino Ennio Quirino Visconti laddove egli sostiene che «la filosofia dell’architettura» prende avvio nel ’700, «con Cordennoy, Laugier, e Lodoli, tutti superati [però] dal grande Milizia che condensa tutti», così con «la filosofia nell’architettura si deve aprire la nuova architettura del nuovo secolo». Cfr. Consoli 2007, p. 154 e n. 20, p. 223. 18. P. Valéry, Eupalinos ou l’architecte, in Oeuvre, vol. II, Gallimard, Paris 1960, p. 110. 19. G. Teyssot, Mimesis dell’architettura, in A.C. Quatremère de Quincy, Dizionario storico dell’architettura. Le voci teoriche, a cura di V. Farinati, G. Teyssot, Marsilio, Venezia 1985, pp. 7-42, in part. p. 7. 20. P. Lacoue-Labarthe, Typographie, in Mimesis des articulations, AubierFlammarion, Paris 1975. Un lavoro che scava nel saggio di M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri interrotti [Frankfurt am Main 1950], trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968; id., La questione della tecnica, in Saggi e discorsi [Pfullingen 1954], a cura di G. Vattimo, trad. it. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976. 21. Nell’accezione dichiarata da Roberto Longhi in più occasioni e riconosciuta fra gli strumenti più opportuni per penetrare entro un’opera d’arte da parte del filologo Gianfranco Contini, intento a riconoscere allo storico dell’arte anche lo status di scrittore. Cfr. G. Contini, Prefazione, in R. Longhi, Da Morandi a Cimabue. Saggi di storia della pittura italiana scelti e ordinati da Gianfranco Contini, Mondadori, Milano 1973, pp. XI-XX. 22. Si veda in merito anche R. Rosemblum, Transformations in Late Eighteenth Century Art, Princeton University Press, Princeton 1974. 23. L’esercizio da svolgere non presenta difficoltà eccessive. Organizziamo su un piano una tassellatura di quadrati di due diverse dimensioni. La natura ripetitiva dei quadrati così composti è manifesta, nel senso che se segniamo il centro dei quadrati più piccoli essi formano i vertici di un altro sistema di quadrati ben più grandi dei quadrati iniziali, ma inclinati rispetto a essi. I segni su questi quadrati finiscono poi per formare, accordandosi, la struttura originaria a due quadrati. Ma la stessa cosa avverrebbe anche se decidessimo di considerare qualunque altro punto, insieme a tutti i suoi omologhi in tutta la struttura: la nuova struttura di quadrati inclinati così realizzata è uguale a quella di prima ma spostata senza rotazione, per mezzo di un movimento chiamato «traslazione». Debbo rilevare in margine, sia pure congetturalmente, l’importanza di questo movimento di «traslazione» che parrebbe metafora delle molteplici reificazioni dell’antico in cui i modelli remoti, i loro corpi e i loro linguaggi, vengono contaminati o sommati gli uni agli altri, vengono movimentati e dilatati o contratti con similare movimento: accade anche con Canonica quando egli progetta e realizza, sia pure in tempi assai lunghi, l’Arena di Milano che, a detta di Mezzanotte costituisce un unicum. In Canonica, egli scrive, «va rilevata la volontà di raggiungere puri valori architettonici, che se non potevano ignorare le implicazioni ideologiche, non dovevano esserne manifestazione diretta e celebrativa». Per poi aggiungere: «Se, per esempio, egli si vale di forme “romane” nel progettare l’Arena di Milano – ispirandosi al rilievo del circo di Caracalla eseguito da Angelo Uggeri – ciò avviene perché crede nella loro funzionalità attuale; e infatti nei teatri, a Milano, a Sondrio, a Brescia, a Cremona, a Mantova rinuncia alla distribuzione e alle decorazioni “romane” – proclamate dal Milizia e dall’Antolini come le più conformi ai nuovi costumi e simboliche delle virtù antiche – per utilizzare invece i moderni e più confortevoli palchetti e organizzare la sala secondo i tracciati del Piermarini. Ma quando anche si interpreti diversamente, l’Arena deve pur essere considerata, quando la si guardi nell’insieme delle opere del Canonica, come una vacanza dai modi più sentiti e più congeniali, espressi nella restante attività, tale da soddisfare la occasionale richiesta napoleonica di un’opera grande e persuasiva» (Mezzanotte 1966, pp. 282-283). Insomma, si è al cospetto di un autore che agisce in piena libertà, con spirito democratico, è vero, aderente quanto più possibile agli orientamenti del potere, alle sollecitazioni politiche e ai costumi del momento ma che innanzi tutto opera per esprimere in economia la migliore – la più effi- XXXIV cace e valida – architettura fondata su elementi essenziali anche dal punto di vista geometrico. Torniamo però al nostro esercizio. Per semplificarci le cose prendiamo come punto di partenza, adesso, uno dei vertici degli angoli della struttura originaria: i pezzi che costituiscono la suddivisione di questo quadrato più grande possono essere spostati per traslazione finché si accordano a formare i due quadrati più piccoli. Inoltre, per tornare a Pitagora in termini più letterali, la lunghezza dello spigolo del quadrato inclinato si presenta come ipotenusa di un triangolo rettangolo i cui due lati minori hanno lunghezze uguali ai lati dei due quadrati più piccoli. Ecco la dimostrazione grafica, costruita graficamente, del teorema: il quadrato sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati sugli altri due lati. Ora, quello che mi interessa di questa esposizione presa in prestito ovviamente da un testo di matematica è il metodo e non l’assunto, benché i classicisti facessero ampio uso di questa geometria manifestando in tal modo un’adesione matematica a un certo ordinamento spaziale. 24. Che ha poi il pregio ragguardevole, agli occhi di questi moderni, non solo di aver attinto a tale geometria ma anche di aver misurato e studiato sul campo, ripreso e reificato filologicamente (in termini mai visti prima) ma anche manipolato artatamente con una libertà (per non dire una sfrontatezza) inimmaginabile prima l’universo classico declinandolo in un universo classicista! Un universo classicista, quello palladiano, significativamente preso di mira anche per «la moralità connessa alla semplificazione delle fabbriche, e quindi, al controllo dei costi», secondo Susanna Pasquali. La “fortuna” di questo protagonista declinata in un neo-palladianesimo multanime, comprendente la versione inglese, si deve anche a questo. Così come si deve, probabilmente, al di là delle implicazioni “araldiche” o “rappresentative” della sua architettura, al fatto che Andrea Palladio muovendo da specifiche quanto semplici griglie geometriche nell’edificare le proprie fabbriche ha esaltato con una certa enfasi due o tre tipologie, le ha asciugate o semplificate agendo alfine con una irriverenza tale nei confronti dei modelli antichi e con una impostazione progettuale datata a tal segno da risultare agli albori dell’Impero ormai definitivamente superata. Cfr. Pasquali 2007, p. 81. 25. Un antico che si fa consapevole veicolo o transfert culturale primario nei confronti della nuova koiné architettonica (ma non solo), che va imponendosi a livello europeo e che va affermandosi infine come fondamento ineludibile, ancorché problematico, del nuovo e pur paradossale classicismo. Di cui si ha ulteriore prova, per esempio, nella “restituzione” ideale – sospesa tra reale e virtuale, tra un recupero il più filologico possibile secondo i criteri archeologici del tempo e le più astruse congetture fantasmatiche – del tale o del tal altro monumento antico (con un effetto domino: un vasto repertorio di restituzioni congetturali dell’antico che risultano essere per lo più ai confini della realtà quantunque si avvalgano, oltre che dei reperti e delle tracce esistenti o recuperate tramite gli scavi archeologici, delle descrizioni delle fonti). Fuor di dubbio ciò costituisce in sé un nodo problematico di una certa rilevanza. Potrei anche aggiungere, dubitativamente: ha senso e valore (unicamente?) in relazione alla spinta rivoluzionaria che ne costituisce la rampa di lancio iniziale, quel voluto (dunque artificiale e forzato) «grado zero», per usare terminologia barthesiana, che motiva e giustifica ampiamente una rifondazione ab ovo? Non proprio. Basti considerare che il rinnovamento di ispirazione “all’antica”, cui assai più tardi gli storici dell’arte avrebbero dato il nome di “neoclassicismo”, prende avvio in Francia verso la metà del Settecento, sotto Luigi XV come ha ben sottolineato Daniel Rabreau e ha ancora ribadito unitamente ad altri acuti rilievi condivisi con Rémy G. Saisselin. Cfr. R.G. Saisselin, Néo-classicisme, discours et temps, “Gazette des Beaux-Arts”, a. CXXI, 1979, t. XCIV, pp. 19-24 e D. Rabreau, Une méprise stylistique: l’architecture néo-classique du XVIIIe siècle, “Histoire de l’art”, 2004, n. 54, pp. 13-18. 26. Sarebbe sciocco, per tornare alfine alla nostra geometria, voler caricare di chissà quali significati questo procedimento geometrico che tuttavia acquisisce altro valore per un verso sorreggendosi a Descartes, alle “coniche”, vale a dire a una diversa e nuova rappresentazione matematico-geometrica dello spazio, per un altro verso a quanto sostiene Rabreau nell’affermare: «Etudiée par Helen Lipstadt, la presse spécialisée d’architecture, qui naît autour de 1800, n’est-elle pas la marque supplémentaire d’une professionnalisation peu encline à se laisser déborder par les idéologues du Beau – absolu, idéal ou relatif? Le débat est ouvert, mais il devra tenir compte de l’identité intellectuelle, politique et sociale des publicistes, pour certains architectes eux-mêmes, praticiens ou non». Rabreau 2011. L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A 27. Si rimanda al testo di Cecilia Hurley in questo volume. 28. Mezzanotte 1966, p. 283. 29. È utile riferirsi o richiamare, contestualmente, D. Janicaud, La Puissance du rationnel, Gallimard, Paris 1985. 30. D’altra parte, si va esplorando un frangente storico sempre mutevole e incerto, in cui si assisteva alla progressiva affermazione, da un lato, di un’acquiescente soggezione alle nuove e pur sempre fragili direttive che si ufficializzeranno pienamente sotto le insegne imperiali napoleoniche e avranno altresì durata relativamente breve al seguito del nuovo imperatore non solo dei Francesi ma di una Francia egemone su scala europea e dall’altro lato, di una sommessa repulsione – che a dispetto delle apparenze andrà dilatandosi (secondo Rabreau, se non interpreto male i suoi rilievi) in pieno impero – all’ideologia trionfante. Su questa inquadratura problematica dell’Empire français vincolata al pregresso più di quanto non si creda mi pare abbia detto già molto Daniel Rabreau in questo stesso volume. 31. Per esempio, viene da domandarsi in merito: quali possibili intrecci, quale probabile confronto può istituirsi tra Canonica se riferito alla scena di città dove recita un ruolo primario, Milano, e la figura e l’opera di Antolini. Quest’ultimo – secondo Gian Paolo Consoli – «rileva e pubblica nel 1785 il tempio di Cori, uno dei pochi templi dorici a Roma e dintorni; e più tardi, nel 1803, il tempio di Minerva ad Assisi, emendando il rilievo che ne aveva fatto Palladio». Al contempo è «architetto professionista» e «negli anni ’40 sarà ricordato nella versione italiana del dizionario di Quatremère come protagonista dell’Accademia della Pace». Essendo quest’ultima sotto il suo dominio o sua leadership culturale, anche secondo Albertolli, l’Antolini infine parrebbe essere davvero, nel relazionare «le esperienze romane con il Nord-Italia […] l’arbitro della nuova architettura italiana». Cfr. Consoli 2007, pp. 151-152. 32. Stando alle carte d’archivio, tale progetto vede una continuità tra Piermarini e Canonica per quanto riguarda il giardino formale preesistente e una modifica sostanziale nell’impostazione messa alfine a fuoco da Canonica per il Parco. Cfr. il saggio di Francesco Repishti, Il Parco Reale di Monza in questo volume, le citazioni sono a p. 119. 33. Mezzanotte 1966, p. 281. 34. Cfr. il testo di Francesco Repishti, Il Parco Reale di Monza, in questo stesso volume, a p. 124. 35. Ibidem, p. 123. 36. Da quella botanica a quella territoriale che inerisce il riordino delle adiacenze, la risistemazione dell’intero apparato fluviale, rogge incluse, oltre che quello viario che va configurandosi come parte di un più ampio sistema che considera l’intreccio viario disposto attorno a Milano come un’unica entità infrastrutturale. Possiamo argomentare dunque di una progettualità basata sull’esperienza concreta coinvolgente differenti professionalità o specializzazioni subordinate all’unitarietà vincolante e dominante del progetto. Nelle note autografe di Canonica ricorrono anche l’aggettivo, riferendosi al Giardino, «inglese» e del resto il modello del «giardino all’italiana» si alterna alla «macchia all’inglese» e ad altro ancora che ha fatto parlare per Canonica di «un sincretismo che permette di coniugare riferimenti e richieste forse non sempre chiare» (Francesco Repishti in questo volume, p. 127). Qual è dunque la mentalità che incide sull’economia del progetto generale? Qual è in particolare la cultura paesaggistica di Canonica? Nella sua biblioteca si riscontrano alcuni titoli significativi. Meglio ancora, ci sono i più importanti testi teorici editi in Italia sul dibattito del “giardino all’inglese”. Cfr. il testo di Margherita Azzi Visentini e l’appendice di Cecilia Hurley in questo volume. 37. Sottolineata dallo stretto legame con Parigi, già evidenziato da Repishti con i richiami ai modelli di Compiègne, Versailles e Fontainebleau e ribadito dallo stesso Canonica quando afferma: «gli alberi fruttiferi conviene farli tutti venire dal gran vivaio di Parigi, non solo, per averne tutte le qualità, ma per saperne i veri nomi con precisione e sicurezza. Degli alberi stranieri fori di noi introdotti o introducibili si per ornamento che per vantaggio […]. Gli alberi e arbusti nostrani sono quanto noti altrettanto facili ad aversi». Cfr. la scheda di F. Repishti, Regio Vivaio a p. 133. 38. In cui, infine, si leggono chiaramente le direttive fondate su un’ideazione generale, un’idea regolatrice. Mentre invece i dettagli vengono approntati in situ, attraverso continui assestamenti o aggiornamenti di cantiere. E soprattutto ogni elemento sembra subordinarsi nel Parco e sue adiacenze al paesaggio vegetale, alla sua architettura. 39. Vedi il testo di Margherita Azzi Visentini in questo volume. 40. Ibidem. 41. Un’attività che lo indurrà a raccogliere, presso di sé, la letteratura specialistica come, per esempio, testimonia il testo di F.C. Accum, Trattato pratico sopra il gas illuminante contenente una completa descrizione dell’apparecchio e delle macchine opportune per illuminare col gas idrogeno carbonato, ossia gas di carbone, le case e le manifatture, con alcune osservazioni sopra l’utilità, la sicurezza e la natura in generale di questo nuovo ramo di civile economia. Di Federico Accum chimico pratico, presso A. Fortunato Stella, Milano 1817, conservato nella sua biblioteca. 42. Su tale argomento si veda l’intervento di Giuseppe Stolfi in questo volume. 43. Ricordiamo che Canonica si dimostra aggiornato sul dibattito francese relativo al ruolo dei monumenti pubblici, basti rilevare che nella sua biblioteca è presente il libello di Armand-Guy Kersaint, Discours sur les monuments publics, prononcé au Conseil du Département de Paris, le 15 décembre 1791, imprimerie de P. Didot l’ainé, Paris 1792, illustrato con le tavole di Legrand e Molinos, rappresentanti: pritaneo, palazzo nazionale, circo nazionale, Museo, la ricostruzione del Louvre e infine un progetto per L’Assemblée législative da collocare nella chiesa della Madeleine. Su Kersaint, deputato di Parigi all’Assemblée législative, si veda M.K. Deming, C. de Vaulchier, La loi et ses monuments en 1791, “Dix-huitieme siècle”, 1982, n. 14, pp. 117-130 e W. Szambien, I. Toda, Une bibliothèque commune? Legrand et Molinos, une association complexe, in O. Medvedkova (a cura di), Bibliothèques d’architecture, INHA-Alain Baudry et Cie, Paris 2009, pp. 243-254, a p. 246. 44. Atti dell’Accademia della Pace: nove soggetti [architettonici] di diversi, s.l., s.n, s.a. [1797]. 45. Si ha dunque conferma di un agire incardinato su un moderno empirismo secondando al contempo una prassi forse più complessa e certo la concezione che governa il progettare risulta essere più audace di quanto non venga praticato nella coeva Francia, dal momento che essa si innesta su una scena ben più arretrata e in fondo se non retrograda per vocazione rispetto alle frenesie parigine, certo vincolata maggiormente al recente passato. Quanto meno, alle idee già illuminate dell’età che precede, dell’ultimo governo asburgico che garantisce tra continuità e innovazione uno sviluppo piano e fecondo, foriero di preziose acquisizioni, di inattesi sviluppi. 46. Sulle vicende del cantiere si veda la scheda, firmata da Stefano Bosi in questo stesso volume. 47. Una scelta incisiva ma anche dissonante rispetto all’orientamento prevalente se «il concorso subito bandito per la costruzione di una colonna destinata a celebrare la vittoria di Marengo fu vinto ancora una volta da Giovanni Antonio Antolini con un progetto più rigorosamente all’antica, una semplice e severa colonna dorica poggiante su un piedistallo con gradini e figure allegoriche agli angoli, poi sostituito da un più elaborato disegno». Cfr. il testo di Aurora Scotti Tosini in questo volume, a p. 10. 48. I documenti sono conservati nel Fondo Luigi Canonica dell’Archivio del Moderno e sono pubblicati in L. Tedeschi, Luigi Canonica. Progetti per Porta Marengo (1801) e Porta Vercellina (1805) a Milano, in Archivi e architetture. Presenze nel Cantone Ticino, catalogo della mostra (Mendrisio 19981999), a cura di L. Tedeschi, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 1998, pp. 131-142. 49. Vedi il testo di Aurora Scotti Tosini in questo volume, a p. 10. 50. Come risaputo la Repubblica Cisalpina muta in Repubblica italiana e Napoleone depenna ogni opera monumentale priva di “utilità”. 51. Si legge nella scheda a p. 92: «di un tipo eccezionalmente massiccio», mentre il rivestimento a bugnato si presentava assai raffinato e «si spingeva fino alla trabeazione appiattita e semplificata, al punto che i triglifi e le metope dovevano apparire appena sbozzati». Mentre «nei prospetti dei caselli daziari esso appariva più rude venendo quasi ad avviluppare sia i pilastri del porticato, sia le paraste interne poste alle estremità». Un rafforzativo di tanta robustezza derivava poi dall’impiego del granito proveniente dai demoliti torrioni del Castello Sforzesco. 52. J. Rykwert, La colonna danzante. Sull’ordine in architettura [London 1996], trad. it. P. Vallerga, Libri Scheiwiller, Milano 2010. 53. Ibidem, p. 269. 54. Ibidem. 55. Si tratta di un altro esempio che conferma l’attingimento a forme topiche e universali: il campanile a forma di colonna dorica, in cui è segnalata pure XXXV LETIZIA TEDESCHI l’entasi, che Tomaso Adamini edifica in Russia nel villaggio di Ivanovka presso Lipeck, post 1795. Debbo la cortese segnalazione a Nicola Navone, che ringrazio. Cfr. N. Navone, Gli architetti Adamini a Pietroburgo. La raccolta dei disegni conservati in Ticino, Mendrisio Academy Press, Mendrisio-Silvana Editoriale, Milano 2011. L’opera è stata analizzata dall’autore anche in un recente convegno Tomazo Adamini v Lipecke (okolo 1796-1800). Istožniki iz Arkivio del Moderno v Mendrizio [Tomaso Adamini a Lipeck (circa 17961800). Le fonti conservate all’Archivio del Moderno a Mendrisio], relazione al convegno internazionale di studi Architekturnoe nasledie russkoj provincii: problemy izučenija i sochranenija (k 100-letiju G.I. Gun’kina) [Il patrimonio architettonico della provincia russa: questioni di ricerca e di tutela (per il centenario della nascita di G.I. Gun’kin)], Gosudarstvennaja direkcija po ochrane kul’turnogo nasledija Lipeckoj oblasti, Lipeck, 26-27 aprile 2011 (relazione tenuta il 26 aprile 2011). 56. Opportunamente Stolfi avverte in merito a tale costante del Nostro: «Il coinvolgimento di Canonica in interventi di tema teatrale prende differenti forme, e spazia su più versanti: l’adattamento a teatro di edifici preesistenti, l’elaborazione di disegni per la costruzione di nuovi teatri per committenze sia di “società” aristocratiche sia di imprenditori (la cui esecuzione è curata da altre figure), la consulenza su progetti teatrali studiati da altri architetti, la supervisione di progetti di riforma di teatri già esistenti. Siamo dunque di fronte a un’attività multiforme e duttile, che lungo un arco di tempo più che trentennale applica un repertorio ben definito di criteri e soluzioni a misura dei temi costituiti da casi e incarichi di diversa natura», traendone «le risposte più consolidate e più appropriate». Cfr. G. Stolfi, Luigi Canonica architetto di teatri, in questo volume, a p. 193. 57. Si rinvia ancora una volta a Szambien 1986. 58. E, prosegue l’autore, «relega in secondo piano ogni più tradizionale inclinazione alla complessità di concezione e all’invenzione singolare». Dunque, parrebbe questa esemplificazione ricorrente un tratto ideologico in Canonica. Cfr. Giuseppe Stolfi in questo volume a p. 193. 59. La cui realizzazione prende avvio, matura e si compie in un lasso di tempo assai lungo animando così un cantiere che va progredendo per gradi, che muta in funzione dell’evolversi della tecnica, nella traduzione dalla pregressa struttura transeunte a quella permanente. Ciò accade con una scansione temporale, puntualmente ricomposta nel suo intervento in questo stesso volume da Mezzanotte, che si snoda tra 1807 e 1813 e ancora 1815, «quando furono completate la Porta Trionfale e il Pulvinare» e si provvide a sostituire le parti in legno, tela e gesso temporaneamente «erette in luogo delle architetture monumentali». Vedi nella presente pubblicazione la scheda di riferimento. 60. Unica opera pubblica ad eccezione dei teatri compiutamente giunta sino a noi anche se non certo in condizioni ideali, l’Arena – incentrata sulla sovrapposizione di due modelli, di due tipologie, di due archetipi secondando così un suggerimento del Milizia – anche se va riconosciuta come un unicum nel suo repertorio formale, nonché come un caso eccezionale, dà un’idea concreta del lavoro di Canonica riscattandolo definitivamente, credo, dal profilo umbratile ascrittogli. Giacché si tratta di un oggetto architettonico di notevole esito. Meriterebbe riflettere, contestualmente, attorno al rapporto che si instaura con il passato, prossimo e remoto, in ambito architettonico sulla scia, per esempio, delle acute indicazioni che Umberto Eco ha dedicato al riuso indistinto e in parte irriverente del medioevo. 61. E, prosegue lo storico, «di una non meno costante – si pensi solo a Balzac – evocazione letteraria». Cfr. L. Mascilli Migliorini, Napoleone, Salerno editore, Roma 2001, p. 238 e n. 2. 62. Ibidem, pp. 241-242 e sgg. 63. Che «trae direttamente ispirazione – egli scrive – dal circo della festa della Federazione, area di riunione all’“antica” che a Parigi vide, tra i cittadiniattori, il re prestare giuramento dinanzi ai rappresentanti della Nazione». Arte urbana che insomma costituisce in sé un tema cruciale se non addirittura di primaria rilevanza nell’economia di questa riflessione generale presentata nei vari saggi del presente volume. Cfr. D. Rabreau, L’impero o della perplessità, a p. 290. 64. Nell’accezione argomentata da Szambien che parrebbe restituire al meglio la cultura, la mentalità, la tecnica edificatoria del tempo. Cfr. Szambien 1986, pp. 109-117. 65. Un approfondimento necessario si dovrà fare in merito alla matematica XXXVI che ne misura le relazioni prossemiche e all’aritmetica che ne giustifica in dettaglio le relazioni proporzionali legate a loro volta agli ordini che sono parte dell’apparato ornativo. Così come su quant’altro viene a essere chiamato in causa misurando l’edificio, valutando il complesso nella sua identità costruttiva. Vi sarebbe poi da dire di altri aspetti altrettanto rilevanti come il “cantiere” che va traducendo le apparecchiature effimere della stessa Arena (rifacentesi a loro volta anche a quanto viene proposto da coevi apparati allestiti di tempo in tempo in vari luoghi cittadini: consuetudine in auge anche a Parigi e antefatto dei padiglioni delle esposizioni internazionali che sovverranno) in opere permanenti. Nella misura in cui – una misura geometricomatematica – lascia ampio spazio a un approfondimento rivolto all’evolversi in chiave tecnico-operativa e dunque organizzativa di esso con i relativi mutamenti e il precisarsi dei ruoli che si vanno viepiù codificando nel tempo, assai lungo, della traduzione da struttura effimera in permanente. Cfr. Ibidem, p. 119. 66. Daniel Rabreau in questo volume a p. 290. 67. Secondo Mezzanotte (1966) bisogna giungere agli studi di Angelo Uggeri sulle colonne di San Lorenzo, del Cagnola, per trovare a Milano un interesse autentico verso l’antichità classica. Non è perciò irrilevante che Canonica possieda tra l’altro le Journees pittoresques des édifices de Rome ancienne, par l’abbé architecte Ange Uggeri milanois, 32 voll, in aedibus Capitolinis (nella stamperia Pagliarini) [et. al.], Roma 1800-1834. Converrà inoltre aggiungere che sull’antico sono stati rintracciati altri testi tra i quali: Riflessioni sulla pretesa scoperta del sopraornato toscano espostaci dall’Autore dell’opera degli anfiteatri, e singolarmente del Veronese. Fatte da Matteo Lucchese architetto veneziano ed esposte all’eccellenza del signor Michele Morosini amplissimo senatore, presso Stefano Monti, Venezia 1730; l’edizione di Bellori, Veteres arcus Augustorum triumphis insignes ex reliquiis quae Romae adhuc supersunt cum imaginibus triumphalibus restituti antiquis nummis notisquae Io. Petri Bellorii illustrati nunc primùm per Io. Iacubum de Rubeis aeneis typis vulgati, ad templum S. Mariae de pace [Giovanni Giacomo de Rossi], Io. Iacobus De Rubeis, Romae 1690 e di Pietro Sante Bartoli, Gli antichi sepolcri ovvero Mausolei romani ed etruschi trovati in Roma ed in altri luoghi celebri, nelle quali si contengono molte erudite memorie, raccolti, disegnati ed intagliati da Pietro Santi Bartoli, ed ora esistenti tra le stampe della Calcografia della Rev. Camera Apostolica presso la Curia Innocenziana con privilegio del Sommo Pontefice, s.n., Roma, 1768. Nonché i volumi, Icones et segmenta illustrium e marmore tabularum, quae Romae adhuc extant, a Francisco Perrier delineata, incisa, et ad antiquam formam lapideis exemplaribus passim collapsis restituta, s.n., Roma-chez la veuve de deffunct Mons. Perier, Paris 1645 e Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque a celebrioribus architectis inventi nunc tandem suis cum plantis ac mensuris a Io. Iacobo de Rubeis Romano in lucem editi, [Io. Iacobo de Rubeis], [Roma] 1684. 68. Cfr. il testo di Gianni Mezzanotte e Irene Giustina in questo volume a p. 157. 69. Ne fece speculum della nuova società corrispondendo adeguatamente alle richieste della committenza tramite risoluzioni efficaci quanto rapide, al solito in economia di tempo e di costi, col vanto però di esprimere sempre nella sua architettura un «alto decoro». E «decoro» è un termine storico denso di significato – si vedano in proposito Bellori o Milizia – tanto che par giusto ribadire con Giustina che egli, manifestando una «spiccata professionalità», concorse a «formare quella nuova “indole dell’architettura civile” che, secondo l’acuta definizione di Defendente Sacchi, [che ne scrive nel 1833] conciliando “il lusso coll’economia”, aveva acquistato “leggiadria ed eleganza”». Sennonché «aveva irrimediabilmente perso “grandezza”, concorrendo a definire un volto differente, moderno, della città, fatto di “case, ma non palagi”». Cfr. Ibidem. 70. Il tutto all’insegna di un comporre raffinato anche se avulso dai canoni tradizionali. La trabeazione, per non fare che un esempio, talvolta è recitata da una fascia sottogronda. L’architetto elabora inoltre una calibrata distinzione in relazione allo stato sociale dei committenti, dando corpo (architettonico) a una gerarchia fin troppo strumentale o meccanicistica – le dimore nobiliari urbane articolate su tre piani più eventuale seminterrato ecc. – che parrebbe piegare la realtà a modelli artificiali. Ibidem. 71. Analogamente potremmo considerare altri aspetti della attività di Canonica: l’arredo, il riordino e l’aggiornamento di una dimora, ciò che oggi di- L A C U LT U R A A R C H I T E T T O N I C A N E L L A M I L A N O N A P O L E O N I C A remmo un intervento di architettura d’interni. Mobilie e apparati d’interni inclusi, complementi d’arredo tendaggi e quant’altro inclusi, dettagli come gli accessori e gli stessi costumi o abiti. Cfr. per questa attività il testo di Susanna Zanuso in questo volume. 72. Sull’abitazione di Luigi Canonica in Sant’Agnese si veda, J. Soldini, Un’architettura del silenzio: la casa di Luigi Canonica in via Sant’Agnese a Milano, “Parametro”, a. XIII, 1982, n. 109, pp. 56-59 e M. Pancaldi, Casa Canonica in via Sant’Agnese: analisi e storia, tesi di laurea, relatore A. Scotti, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano, a.a. 1997-1998. 73. Sulle biblioteche degli architetti si vedano i recenti volumi O. Medvedkova (a cura di), Bibliothèques d’architecture, INHA-Alain Baudry, Paris 2009 e G. Curcio, M.R. Nobile, A. Scotti Tosini, I libri e l’ingegno. Studi sulla biblioteca dell’architetto (XV-XX secolo), Edizioni Caracol, Palermo 2010. 74. Su i giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia. Dissertazione d’Ippolito Pindemonte, e Sopra l’indole dei giardini moderni saggio di Luigi Mabil. Con altre operette su lo stesso argomento, dalla tipografia Mainardi, Verona 1817. 75. M. Azzi Visentini (a cura di), L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo, vol. II, t. II, Edizioni Il Polifilo, Milano 1999, pp. 3-44, cit. a p. 15. 76. Théorie de l’art des jardins par C.C.L. Hirschfeld, traduit de l’allemand (par Fréd. de Castillon fils), 5 voll, chez les héritiers de M.G. Weidmann et Reich, Leipzig 1779-1785. Basti dire di lui che Hirschfeld (1742-1792) fu docente di filosofia e di estetica all’università di Kiel, dove fu anche il primo docente di storia dell’arte. Egli, dopo due brevi ma fortunate pubblicazioni, rispettivamente del 1773 e del 1775, varò questa opera in 5 volumi. Cfr. Azzi Visentini 1999, pp. 15-16 e n. 1. 77. L. Mabil Teoria dell’arte de’ giardini, s.n., Bassano, 1801 e E. Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi, dalla stamperia e fonderia al Genio tipografico, Milano 1801. 78. A.-J. Dezallier D’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage, où l’on traite à fond des beaux jardins appelés communément les jardins de plaisance et de propreté. Avec les pratiques de géométrie nécessaires pour tracer sur le terrein toutes sortes de figures. Et un traité d’hydraulique convenable aux jardins, 4e éd. rev. et corr., chez Pierre-Jean Mariette, Paris 1747. 79. Promenade ou Itinéraire des jardins d’Ermenonville, auquel on a joint vingtcinq de leurs principales vues [Paris 1788], chez Mérigot pere, Paris 1811. 80. J.-K. Krafft, Plans des plus beaux jardins pittoresques de France, d’Angleterre et de l’Allemagne et des édifices, monumens, fabriques, etc. qui concourrent à leur embellissement , 2 voll., imprimerie de Levrault, [poi] imprimerie de Pougens, Paris 1809-1810. 81. Influsso maggiore di Hirschfeld ebbe intorno al 1800 Grohmann con le sue: Ideenmagazin für Liebhaber von Gärten, Englischen Anlagen und für Besitzer von Landgütern um Gärten und ländliche Gegenden, sowohl mit geringem als auch großem Geldaufwand, nach den originellsten Englischen, Gothischen, Sinesischen Geschmacksmanieren zu verschönern und zu veredeln, 5 voll., in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, Leipzig, 1796-1806, con il corredo figurativo e i fascicoli Sammlung von gesellschaftlichen Gartenspielen und ländlichen Vergnügungen, die mit Leibesbewegung verbunden, Personen, deren Beruf ist, viel zu sitzen, vorzüglich zu empfehlen, und dem Hufelandischen System, die Gesundheit durch Bewegung und frohen Muth zu erhalten, ganz angemessen sind in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, Leipzig [1800]. Cfr. H.-W. Kruft, Storia delle teorie architettoniche, vol. I, Da Vitruvio al Settecento [Munchen 1985], trad. it. di M. Tosti-Croce, Editori Laterza, Bari 1999, p. 369. 82. Traité de perspective, où sont contenus les fondements de la peinture. Par le R.P. Bernard Lamy …, chez Anisson, Paris 1701. 83. Della geometria e prospettiva pratica di Baldassarre Orsini, 3 voll., per Benedetto Franzesi, Roma 1771-1773. 84. Trattato della cognizione pratica delle resistenze geometricamente dimostrato dall’architetto Giambatista Borra ad uso d’ogni sorta d’edifizi, coll’aggiunta delle armature di varie maniere di coperti, volte, ed altre cose di tal genere, nella Stamparia reale, Torino 1748. 85. Voltimetria retta ovvero misura delle volte di Vincenzo Lamberti ingegnere napolitano dedicata a S.E. il marchese signor D. Angelo Cavalcanti, presso Donato Campo, [Napoli] [1773?]; Statica degli edificj di Vincenzo Lamberti ingegnere napoletano, in cui si espongono i precetti teorici pratici, che si debbono osservar nella costruzion degli edificj per la durata di essi, presso Giuseppe Campo, Napoli 1781. 86. Recueil et parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes, remarquables par leur beauté, par leur grandeur ou par leur singularité, et dessinés sur une même échelle. Par J.N.L. Durand, à l’Ecole Polytechnique, chez l’Auteur, Paris an IX [1800]; Précis des leçons d’architecture données à l’Ecole Polytechnique par J.N.L. Durand, 2 voll., Paris, chez Bernard et l’auteur, Paris an XI [1802]-an XII [1805]. 87. Essai sur l’histoire générale de l’architecture, par J.-G. Legrand, ... pour servir de texte explicatif au Recueil et parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes dessinés par J.N.L. Durand, L. Ch. Soyer, Paris 1809. 88. J.-G. Legrand, C.-P. Landon, Description de Paris et de ses édifices, avec un précis historique et des observations sur le caractère de leur architecture et sur les principaux objets d’art et de curiosité qu’ils renferment, 2 voll., chez C.P. Landon, Paris 1806-1809. 89. Luigi Canonica si reca a Parigi dal 29 marzo al 10 giugno 1810 per ordine di Eugenio di Beauharnais. L’itinerario che compie è il seguente: all’andata parte da Milano e giunge a Vercelli, per poi passare da Susa e il Monte Cenisio, guadagnando così la capitale francese; al ritorno cambia itinerario per visitare le manifatture di Lione, arrivare a Ginevra e raggiungere Milano attraverso la nuovissima strada del Sempione. I documenti di questo viaggio sono conservati in ASMi, Genio Civile, 3143, 3127. In tale occasione, probabilmente, egli guarda con particolare interesse alle “manifatture” imperiali forse l’ambito più rappresentativo della svolta in atto o perlomeno quello in cui si manifesta in termini più convincenti, anche secondo Daniel Rabreau, la possibile riforma linguistica sollecitata dall’Empire. 90. Sulle Annales cfr. Szambien 1996, pp. 81-83. 91. N. Ransonnette, J.-K. Krafft, Plans, coupes, élévations des plus belles maisons et des hôtels construits à Paris et dans les environs, de l’imprimerie de Clousier, Paris s.d.[1801-1803]. 92. L’eticità della conoscenza architettonica così richiamata per il tramite dell’idea regolatrice di matrice kantiana che ho evocato può declinarsi dunque in un riconoscimento di una rete di relazioni tra concetti e esperienze che alimentano il criticismo con cui Canonica sembra agire, affidandosi al costante correttivo dell’esperienza vissuta sul campo, il cantiere. 93. Cfr. R. Barthes, Le tavole dell’Encyclopédie, in Il grado zero della scrittura e Nuovi saggi [Paris 1972], trad. it. G. Bortolucci et al., Einaudi, Torino 2003, p. 96. XXXVII Arena di Milano, Sezione del Pulvinare, s.d.; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 4, BC 433. Luigi Canonica, la vita Gianni Mezzanotte Premesse (1764-1798) A differenza di altre forti personalità pubbliche milanesi e lombarde – da Bossi a Porta a Volta – Canonica ha lasciato poche tracce di quanto ha accompagnato privatamente la sua attività di ideatore, organizzatore e artista, alla quale è affidato il suo ricordo. Dalle apparenze, i contemporanei e i commentatori più tardi riconobbero in lui il tecnico straordinariamente dotato, efficiente e puntuale, ma credettero di rilevare anche un atteggiamento pragmatico, non orientato da rigore dottrinario e lontano dall’impegno ideologico, uno spirito debolmente creativo e incline al compromesso, in grado di conformarsi efficacemente a ogni situazione. Deducevano questa immagine della sua personalità dal comportamento del funzionario dello Stato, investito per vent’anni delle responsabilità di chi è ai vertici o è parte di una istituzione influente nella vita pubblica. Le inclinazioni riservate seguite e l’estraneità osservata alle emozioni politiche gli avrebbero consentito di attraversare indenne le difficoltà causate dall’alternarsi di regimi e uomini di governo di opposto indirizzo e diversa nazionalità, in anni avventurosi, dalla Rivoluzione alla Restaurazione. Gli avrebbero anche permesso di regolare in modo meno appariscente – ma più incisivo del prestigioso e introdotto Cagnola – l’edilizia milanese negli anni napoleonici, e di condizionarne qualche sviluppo anche nei decenni successivi. Similmente, avrebbe saputo interpretare le intenzioni e insieme orientare le scelte governative in alcuni casi, il più importante dei quali riguarda il settore della città all’imbocco della strada del Sempione, proponendo dapprima una “città Bonaparte” e realizzando poi, fra contrasti, diversioni e varianti, il “Foro Bonaparte”. In realtà una discrezione singolare – spontanea o espressa da una disciplina volontaria – pare aver regolato la sua operosità, così come le sue architetture appaiono misurate, talvolta inibite e reticenti, mai enfatiche, rispecchiando un modo di essere, uno stile individuale di vita, un’abitudine esclusiva di lavoro. A illuminare questa personalità sembra concorrere qualche indizio raccolto nell’ultimo quarantennio, ottenuto attingendo a fonti un tempo ignote o irraggiungibili, e ripercorrendo alcune poche vicende e situazioni rimaste finora in ombra. Le notizie raccolte inducono cioè a ipotizzare che richiami pratici, passioni affettive, vocazioni ideali poco lo abbiano distratto dalle attenzioni dirette piuttosto a fronteggiare con sentimenti e atteggiamenti distaccati gli innumerevoli casi dell’impegno professionale. E rendono anche possibile comprendere come Canonica, «amantissimo dell’arte sua»,1 abbia sviluppato capacità creative non ponendosi in contrasto con le condizioni date e le idee prevalenti, ma accettandole e ricorrendovi come a premesse e condizioni comunque positive.2 Sembra di capire che a guidarlo abbia contribuito la sua origine familiare, differente da quella di altri suoi coetanei ticinesi, spesso per necessità economica avviati ad attività artigianali ed esecutive in cantieri edili o a scuole preparatorie per mestieri e arti, come era secolare consuetudine locale. Nato a Roveredo di Capriasca, un modesto abitato nei pressi di Lugano, nel 1764, da un medico (una condizione mondana e culturale comune con Andrea Appiani, altro lombardo emerso ai suoi anni),3 era stato avviato a studi umanistici a Milano, probabilmente al Convitto Longone in via Fatebenefratelli e presso le barnabitiche scuole Arcimbolde a Sant’Alessandro. Successivamente era passato a studiare all’Accademia di Brera, dove compì interamente l’avviamento al mestiere di architetto. L’ambiente e i maestri gli erano stati congeniali, tanto da farlo distinguere e premiare a 19 anni4 e poi ancora segnalare nel 1786 fra i migliori allievi. Il segretario dell’Accademia si era allora espresso nei suoi riguardi in termini molto positivi, e un suo disegno era rimasto esposto nella sala di Architettura, l’aula di Giuseppe Piermarini.5 Nel quindicennio che precede il 1796 il giovane allievo frequentò allora in Brera una cerchia di figure scelte tra quelle che avevano contribuito a diffondere a Milano il gusto aggiornato, chiamate da Roma, Napoli, Bologna, Firenze. L’ambiente appariva tuttavia non interamente omogeneo, percorso com’era da qualche parere discorde, da rivalità e ostilità personali; era stato oppresso dalle successive riforme di Giuseppe II e Leopoldo II, oltre che da direttive pedantemente interpretate, e tuttavia era sufficientemente orientato, tanto da informare e attrezzare adeguatamente gli allievi. Emergeva ancora Giuseppe Parini, soprintendente incaricato di insegnare al corso di Lettere e arti per il Ginnasio e per l’Accademia, interessato ai temi dell’arte figurativa anche negli aspetti teorici, e suggeritore di progetti e programmi di pitture e rilievi (come per i palazzi Belgioioso, Greppi e di Corte, oltre che per la Villa Belgioioso e per il sipario della Scala), in familiarità con molti artisti e specialmente con lo scultore Franchi e il pittore Appiani. L’Accademia era regolata da Carlo Bianconi, la cui personalità corrispondeva abbastanza bene a quella ideale che era stata inizialmente proposta dallo stesso Parini per dirigere l’istituzione. Fratello di Giovanni Lodovico, il poligrafo e archeologo bolognese intimo di Winckelmann, dedicava allora attenzioni ed energie a compilare la sorvegliata Guida di Milano, in procinto di essere pubblicata, mentre andava raccogliendo quei disegni, alla cui collezione è specialmente associato il suo nome. Introdotto a Milano da Vanvitelli, Giuseppe Piermarini, architetto arciducale e di Stato, e come tale oberato da commissioni professionali d’o- XXXIX G IAN N I M E Z ZAN OTTE Andrea Appiani, Ritratto di Luigi Canonica, s.d.; Bellinzona, Archivio di Stato, proveniente da Casa Fraschina, Manno- gni genere (era impegnato in quegli anni a dar forma anche ai boschetti e ai giardini) insegnava Architettura, mentre Marcellino Segré, suo aiuto nel dirigere lavori nelle fabbriche pubbliche, provvedeva alla scuola propedeutica, chiamata Elementi di Architettura. Il corso principale di Figura era tenuto da Martino Knoller, ritrattista di Maria Teresa e Giuseppe II, viennese chiamato da Napoli dopo una esperienza romana, e da Giuliano Traballesi, toscano, affrescatore ai palazzi Arciducale e Serbelloni. Quello di avviamento (Elementi di Figura) era svolto da Domenico Aspari, giunto da Parma, occupato allora a incidere le note sedici vedute milanesi, antiche e moderne: del Castello e della Scala, delle piazze San Fedele e Belgioioso, del mercato di Porta Ticinese e del cortile di Brera, poi diffusissime. Giocondo Albertolli, ticinese pure di formazione parmense, era ricercato per il suo affollato corso di Ornato, formativo di artigiani e operai di ogni specialità, e divenuto centro coordinatore di minori corsi di arti e mestieri. Teneva il corso di Scultura Giuseppe Franchi, latore del gusto prevalso a Roma e autore delle statue per la fontana disegnata da Piermarini per la piazza che da quella prese il nome. Cresciuto nell’ambiente caratterizzato da quelle presenze, Canonica aveva appena terminato gli studi quando Marcellino Segré aveva rinunciato all’incarico di Elementi di Architettura ed era stato sostituito da un altro aiuto di Piermarini, Leopoldo Pollack, allora occupato alle opere per l’Università di Pavia e prossimo a disegnare la Villa Belgioioso, quest’ul- XL tima destinata a diventare la più celebrata architettura cittadina alla fine del secolo. L’allontanamento del Segré porse dunque l’occasione perché a 22 anni Canonica venisse assunto come aiuto in quel corso di Elementi di Architettura che era stato appunto appena affidato al Pollack.6 La sua esperienza risultava allora dai soli corsi di studio e dai cantieri frequentati nella città, dalla quale non ebbe ragione di allontanarsi. Il primo decennio trascorso in Brera non impedì a Canonica di cercare altri impegni, aspirando fra l’altro, ma senza successo, a succedere nel 1795 a Giulio Galliori nel dirigere la Fabbrica del Duomo.7 Soprattutto non lo ostacolò nell’assumere lavori professionali commessigli, come sembra, da privati, presso i quali è facile supporre fosse introdotto dal suo superiore e protettore Piermarini. Fra i lavori allora eseguiti ebbe rilevanza il rifacimento compiuto all’interno del Palazzo Orsini di Roma in via Borgonuovo, che nel 1787 Carlo Bianconi descrisse nella sua Guida come appena terminato, citando il nome di Canonica accanto a quello di Piermarini e Appiani. Qui, ambienti di prezioso e misurato disegno – alcuni decorati appunto da pitture di Appiani e da stucchi forse di Albertolli – mostrano il giovanissimo architetto capace di sviluppare i suggerimenti del suo maestro,8 i cui modi sensibili e fragili riappaiono, sebbene in tono minore, in una chiesa di campagna, San Marcellino a Imbersago, ampliata poco dopo. L’itinerario accademico e professionale dell’architetto sembrava ormai orientato da quegli esordi, quando fu sorpreso dagli avvenimenti seguiti alla battaglia al ponte di Lodi. I Francesi furono allora accolti dai professori e dagli artisti di Brera con una sorta di rassegnata accettazione. In un primo tempo infatti il governo parve non voler interferire nelle istituzioni ospitate nel palazzo, che furono lasciate inalterate. Le lezioni non furono interrotte e le scuole, la biblioteca, l’orto botanico, l’osservatorio, l’accademia assistettero senza scosse apparenti ai primi mesi dell’occupazione. Gli esponenti di quelle istituzioni, e in primo luogo Parini, Bianconi, Piermarini, pur partecipando, com’è naturale, al sistema di valori contestati dalla rivoluzione, si illusero forse di poter non rinunciare alla parte esercitata fino allora con riconosciuto prestigio. Mentre Piermarini e Bianconi erano confermati nelle cariche, Parini entrava addirittura nella Municipalità (ma per allontanarsene subito; morì stilando i noti versi Predaro i Filistei l’arca di Dio). Piermarini insegnò ancora per un anno e mezzo e come responsabile delle Fabbriche Camerali del regime caduto si impegnò a fronteggiare le occorrenze di quello appena insediato. Similmente Pollack adempì alle sue mansioni fino a che fu arrestato e detenuto tre mesi per aver tenuto contatti con la Corte di Vienna. Soltanto Canonica, fra i professori, considerò lucidamente l’inevitabile variare della situazione, e ne trasse le ragioni per le personali scelte, imitando Vincenzo Monti, che non perdeva tempo e – già fatto segretario al Ministero degli Esteri e poi del Direttorio – si adoperava per succedere al Parini nella sede e negli incarichi braidensi.9 Appena giunti i Francesi a Milano il 14 maggio 1796, Canonica chiese e ottenne, non sappiamo con quali credenziali, l’incarico di soprintendente all’illuminazione notturna. Il servizio non appariva esaltante (dovette anche occuparsi personalmente di dotare i palchi della Scala e della Canobbiana di candele, tende, comode, bracieri), ma non era neppure neutralmente amministrativo, quando si consideri come la luce stradale fosse ancora associata, almeno in parte, al culto delle immagini religiose e queste si apparentassero ai simboli gentilizi d’ogni genere.10 A questi ultimi dovette interessarsi poi, dal gennaio 1797, con Andrea Appiani, il soprintendente ge- L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA nerale Carlo Rossi e l’architetto Felice Soave, adottando misure prudenti condivise forse dallo stesso governo, nonostante le segnalazioni giunte da ogni rione della città.11 Ancora, «pieno [...] di vero patriottismo, e di desiderio di potersi impiegare a vantaggio dei suoi concittadini» – senza dunque troppo scoprirsi, ma evidentemente conscio delle capacità acquisite nell’esercizio professionale – si offrì come «Soprintendente Ispettore alle Fabbriche Pubbliche» (10 settembre 1796), figura da lui considerata necessaria «come sotto il passato governo, così anche in oggi»,12 cioè non connotata da particolari significati politici. Aspirò dunque, ma senza successo, a sostituire addirittura il suo maestro e protettore, operante ancora in quella carica, sebbene privo di stipendio, oltre che come professore, e ciò dopo essere stato affiancato allo stesso Piermarini perché congiuntamente si adoperassero per adattare edifici pubblici alle mutate strutture governative (1796).13 Ignoriamo quali ragioni lo avessero indotto a formulare quella richiesta. Probabilmente sapeva, o intuiva, che il comportamento dell’amministrazione non poteva che condurre il Piermarini stesso «nella condizione, non meno grave ma meno umiliante, di autoescludersi e di ritirarsi da ogni pubblico incarico».14 Intanto era chiamato nel gennaio 1797, con l’Appiani e i più affermati Parini, Piermarini, Oriani e altri, a far parte della Società di Pubblica Istruzione, allora sostituita alla Patriottica, forse anche per saldare la nuova generazione a quella già provata da tante controverse circostanze.15 Sappiamo anche che mentre Piermarini si impegnava a sistemare presso il Verziere l’ex Convento di Sant’Antonio a sede di tribunali, Canonica celebrava il regime appena stabilito allestendo la festa indetta per la resa del Castello, avvenuta il 29 giugno1796, e curando l’illuminazione della città per l’arrivo di Napoleone il 4 maggio 1797. Sicuramente partecipò ai lavori, ampiamente remunerati, per approntare la più importante di queste cerimonie, quella che portò Piermarini, assieme ai pittori Appiani e Landriani e forse ai professori Albertolli e Aspari (come riporta il Cusani),16 a ridurre in nove giorni il quattrocentesco recinto del Lazzaretto in “Campo di Marte” e ad attrezzarlo perché il 9 luglio 1797 vi si svolgesse la Festa della Federazione, la più grandiosa manifestazione della prima Cisalpina. L’addobbo riuscì quanto mai retorico: il tempietto centrale, trasformato in altare della patria, fu coronato da una fiamma simbolica, mentre sulla sua superficie erano distribuiti festoni e corone, busti di eroi e fatti della storia (Catone, Muzio Scevola, Curzio, Lega lombarda), iscrizioni e trofei. Attorno erano alzati dodici alberi della libertà e le tribune per gli oratori e per il pubblico; stendardi e bandiere sventolavano tra gli archi del portico. Fra i rumori delle artiglierie, delle bande e dell’orchestra, all’ora convenuta un corteo di militari francesi, cisalpini e polacchi raggiunse la improvvisata piazza d’armi attraversando a Porta Orientale l’“Arco della Riconoscenza”, il primo della repubblica, pure disegnato da Piermarini e approntato con i suoi collaboratori. Davanti a Napoleone, e in quella cornice, Gian Galeazzo Serbelloni recitò il celebre discorso che inaugurò la Repubblica Cisalpina e la stagione degli spettacoli di massa.17 Sei mesi dopo Giuseppe Piermarini – appreso di essere stato destituito da architetto pubblico – rinunciava anche alla carica ricoperta a Brera, e Canonica, tra il dicembre del 1797 e il gennaio successivo, otteneva il titolo di «architetto nazionale»18 per dirigere, a 34 anni d’età, l’edilizia governativa, il più importante ufficio pubblico cui un architetto potesse allora aspirare. Canonica a Brera Giuseppe Piermarini, Arco della Riconoscenza a Porta Orientale, Milano, 1797; Foligno, Biblioteca Comunale, B4. Nominato architetto nazionale, Canonica non allentò la consuetudine ormai più che decennale tenuta con l’Accademia; i rapporti intrattenuti con i membri di questa istituzione si protrassero fino a formare un capitolo della sua vicenda umana; costituirono un riferimento abituale, un legame necessario per chi pure coltivava rapporti con ogni ambiente dei suoi anni: professionali, culturali, politici, mondani. La personalità del funzionario non era univoca e si accompagnava a quella dell’accademico, del professionista e dell’intenditore di tecnica teatrale, che sembra aver trovato in Brera il milieu ideale, confacente alla sua indole e alla sua natura. All’Accademia, pur interrompendo l’insegnamento – presumibilmente nello stesso 1798 – il Canonica fu presente e intervenne abitualmente come accademico effettivo, partecipe di commissioni incaricate di concertare i ripetuti riordinamenti delle sale, ma intervenne anche come soprintendente alle Fabbriche pubbliche, oltre che come membro della Commissione d’Ornato. Proprio nel confronto con i tanti temi qui avvicinati si ricomponeva probabilmente la sua personalità composita, e trovavano rispondenza le sue attenzioni e i suoi interessi, che furono variamente proiettati nell’eseguire adeguatamente i compiti affidatigli. Non appena Giuseppe Piermarini fu allontanato dalla cattedra di Archi- XLI G IAN N I M E Z ZAN OTTE tettura (sostituito da Leopoldo Pollack, propenso a modi internazionali, e poi da Giacomo Albertolli, portatore di inclinazioni venete, e mentre Carlo Amati si insediava a Elementi di Architettura, la cattedra inizialmente occupata dallo stesso Pollack), Canonica diede pareri e disposizioni sulla ordinaria gestione delle aule d’insegnamento e per adattare le sale destinate alle scuole di Incisione (1798), di Prospettiva e del Nudo (1799), oltre che la sala di lettura della Biblioteca (1800-1801). Si fece intermediario in liti tra professori, come tra Albertolli e Levati, quando aspirarono entrambi a occupare la maggiore sala, capace di ospitare i 130 allievi del corso di Ornato, il più frequentato, e quando pretesero di ereditare uno spazio già destinato a Piermarini. Il suo parere, anche in queste minime occasioni, fu espresso con l’autorità di chi, consigliere di fatto e incaricato dal ministro, poteva intervenire ponendosi al di sopra del ruolo accademico. «Finché il prof. Albertolli non abbia manifestato quale sia il suo nuovo piano d’insegnamento e l’abbia sottomesso per l’approvazione al Governo – scrisse in una occasione – sembra debba attenersi ai metodi fissati nell’istituzione della Scuola d’Ornato e noti sinora».19 «Tali vertenze – scrisse ancora – non sarebbero insorte se il Cittadino Albertolli fosse stato pienamente informato del concerto preso fra il Cittadino Bianconi Segretario e il Cittadino Levati, ed a me comunicato».20 Interpellato da Giuseppe Bossi, fatto segretario della scuola e interessato a riformarla, indicò gli oneri necessari nel 1803,21 quando fu nominato ufficialmente “accademico”, cioè consigliere di Brera, assieme ai professori e ai «più distinti artisti e coltivatori delle Belle Arti domiciliati nella città», come recitava il nuovo statuto. Anche con la seconda Cisalpina la sua presenza nella istituzione andò dunque oltre le competenze di costruttore e di funzionario. Ciò non gli evitò un cattivo rapporto con il segretario, che ne lamentò la collaborazione scarsa e lenta, da lui giudicata “inesplicabile”, forse indicativa della estraneità dell’architetto di Stato al comportamento radicale, comune al Bossi e all’Antolini. A eseguire i lavori edili fu allora chiamato Pietro Gilardoni, che non ebbe migliore accoglienza, ma continuò a occuparsi del palazzo anche con il segretario Giuseppe Zanoja. Quando nel 1809 un ulteriore piano fu presentato, si aprì una controversia interna all’Accademia, tra questa e la stessa Commissione e il Ministero della Pubblica Istruzione. Riguardava soprattutto l’antica Chiesa di Santa Maria di Brera, che si progettava di frazionare in sale per la pinacoteca, demolendone la facciata risalente al convento degli Umiliati, fondamentale episodio della città trecentesca. La controversia nata attorno al progetto, caldeggiato dal Ministero, respinto dalla Commissione d’Ornato e rifiutato dal Cagnola, trovò un mediatore nel Canonica, pur partecipe degli enti interessati. Terminò con la demolizione della fronte della chiesa, i cui frammenti furono spartiti tra il Museo Archeologico, ancora da istituire, e il Parco di Monza, dove Canonica utilizzò i pezzi disponibili per dar forma alla Cascina San Fedele e alla Porta del Giardino Reale.22 Continuò naturalmente, come Appiani, a essere coinvolto con le vicende di Brera nel corso degli anni, pur nel mutare degli amministratori e degli ordinamenti, ed espresse giudizi sia su lavori edilizi23 sia su argomenti didattici24 e fors’anche su un progettato trattato d’architettura.25 Ancora come accademico si era occupato nel 1804 dell’ordinamento dell’Università a Bologna; più tardi, nel 1818, manifestò un parere sul portico del Duomo di Cremona.26 Quando ormai per l’età e la malattia andava abbandonando gli impegni fattisi gravosi fu nominato “socio d’onore” dell’Accademia di Venezia;27 quasi contemporaneamente fu conferito all’architetto del tempo napoleonico il titolo di accademico di Vienna.28 XLII Architetto nazionale (1798-1802), soprintendente generale (1802-1805), architetto reale (1805-1814) Salito alla carica di architetto nazionale, Canonica fu impiegato in una serie di lavori urgenti, necessari perché la struttura statale appena istituita potesse operare. Il Ministero degli Interni, al quale era aggregato nella seconda Divisione, doveva gestire un numero enorme di attività: costruire e mantenere gli edifici governativi, eseguire strade, ponti, prigioni, fabbriche, «lavori di terra e acque». Gli incarichi che gli furono affidati allora, spesso non appariscenti, comportavano tuttavia la sua presenza a progettare, amministrare, dirigere opere anche di minima entità, ma pretendevano anche capacità organizzativa e amministrativa, padronanza del mestiere, controllo delle prestazioni altrui. Per ogni intervento occorreva tenere anche la contabilità, gestire la gara d’appalto, compiere sopralluoghi e perizie. Occorreva soprattutto adattare in edifici di enti religiosi soppressi e in case private gli uffici di ministeri e sistemare le abitazioni dei dirigenti; ma oltre a costruire, a restaurare e adattare, occorreva provvedere comunque a mantenere in buono stato e controllare sotto ogni aspetto gli edifici pubblici, e anche arredarli, scaldarli, amministrarli fino a conteggiare le rendite degli orti della Villa di Monza.29 Principalmente in quei primi anni si occupò a sistemare nel Convento di San Fedele la Contabilità30 e a installare nel Seminario Maggiore di Porta Orientale il Ministero della Guerra.31 I lavori in Porta Orientale, previsti della durata di due mesi, si prolungarono fino al 1803, e obbligarono a sistemare i seminaristi sloggiati in San Vincenzino a Porta Giovia. Insieme, nel 1799 studiò di trasformare in armeria il prezioso complesso di Santa Sofia e Sant’Apollinare lungo il naviglio di Santa Sofia; allestì per Napoleone il Palazzo Serbelloni, per Murat e poi per la madre di Bonaparte la Villa Belgioioso, per il maresciallo Jourdan il Palazzo Bovara, per il Governo il Palazzo Arciducale. Per questi allestimenti le sue attenzioni continuarono a estendersi a ogni dettaglio: impianti idraulici, mobili e biancheria, servizi da tavola, guardaroba, materiale per le pulizie e il giardinaggio, fino a procurare più tardi una barchetta per il lago della Villa Belgioioso.32 Insieme compì (dal 1798) la prima esperienza teatrale, destinata a farsi celebrata specializzazione, alternandosi con Piermarini, Pollack e Appiani nel ridurre la Chiesa di San Damiano a sala di spettacolo («a tre ordini di logge ed eguaglianza democratica di posti»);33 nel 1800-1801 fu interessato anche a ricostruire la Zecca, presso la Cavalchina. Il cumularsi di tante occorrenze indusse presto il governo a istituire una Soprintendenza generale alle Fabbriche nazionali, affidata dopo qualche passaggio formale allo stesso Canonica (29 luglio 1802), e dotata di un adeguato organico, napoleonicamente ordinato secondo gradi di competenza e merito, comprendente 38 dipendenti.34 Il compito, in ogni modo, era ancora quello di sistemare, mantenere e gestire l’intero patrimonio edilizio occupato dallo Stato (compresi teatri e stabilimenti per scopi di servizio e di sicurezza), e di assicurare a ogni ufficio quanto occorresse a renderlo efficiente: riscaldamento, illuminazione, mobilio, cancelleria, biancheria e uniformi degli addetti. Il compito di addobbare il Palazzo Governativo lo portò fra l’altro a concorrere a scegliere, dal tesoro un tempo oggetto di prestiti alla Corte di Vienna, l’argenteria da tavola adatta alla mensa reale. Pare anche che sorvegliasse il viaggio di grandi tappeti, prodotti a Tournai, la storica manifattura vallone, destinati alle sale delle cerimonie di palazzo. Nella circostanza, poiché nessuno del suo ufficio, del Consolato elvetico e dello spedizioniere di Basilea, risultava in L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA Incoronazione di Napoleone nel Duomo di Milano, 1805; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. XLIII G IAN N I M E Z ZAN OTTE grado di trasportare quel materiale prezioso, ma ingombrante, lungo le strade alpine, sembra aver provveduto perché ad Amsted – dove la strada dal lago di Lucerna verso il Gottardo si fa accidentata – si apprestassero i mezzi con i quali superare i valichi e le gole delle valli montuose, fino a raggiungere Magadino e percorrere poi il lago Maggiore e il Naviglio Grande.35 Insieme non aveva mancato di raccogliere ragguagli sul gusto diffuso a Parigi e a Londra, mentre al suo ufficio arrivavano richieste di guardaroba, idraulica, pulizia, luce e di ogni specie. A questo complesso di occorrenze si aggiunse l’incarico di presiedere alla coreografia delle manifestazioni pubbliche, come apparve pienamente nella cerimonia che vide incoronato Napoleone re d’Italia il 26 maggio 1805. In quella circostanza le doti organizzative, creative e tecniche di Canonica si avvalsero della somma di esperienze tanto varie e di ogni specie fino allora fatte, oltre che della conoscenza delle iniziative in atto a Parigi. Dall’alternanza dei compiti e dalla simultanea esecuzione di pratiche estese dalla infima alla massima scala, Canonica aveva ormai derivato soprattutto un’esauriente capacità di fronteggiare i problemi e un metodo di lavoro rapido, robusto, laconico, privo di compiacimenti ma efficace in ogni caso, sostenuto da una dedizione che nel tempo si fece esclusiva. Tutto ciò caratterizza originalmente la sua personalità rispetto ad altre del suo tempo che potrebbero esserle avvicinate: Selva a Venezia, Stern a Roma, Gaetano Cantoni e poi Barabino a Genova. A Milano impressionarono pubblico e competenti la somma e la qualità dei provvedimenti presi per celebrare Napoleone: la galleria coperta per il corteo, le luminarie imposte alle finestre, ai palazzi e al Duomo (la guglia maggiore sembrava un sol pezzo di fuoco, scrisse enfaticamente Mantovani), le tribune erette nella Cattedrale per le autorità e gli spettatori, le stoffe distese a ornare le volte e i pilastri, il trono collocato alla porta maggiore in cima a una scalinata altissima e quello posto presso l’altare, le passatoie disposte ovunque, le uniformi adottate per segnalare i gradi della gerarchia statale, distinguendo consultori, consiglieri di Stato, membri del Corpo legislativo e dei Collegi elettorali.36 La regia, l’allestimento e le forme inventate parvero raggiungere un vertice mai conosciuto nella capitale lombarda. Promossero l’ideatore e organizzatore Johann Jakob Falkeisen, da un disegno di Alessandro Sidoli, L’Arena, veduta della Porta Trionfale dall’esterno, 1835-1838; Milano, Museo di Milano. XLIV nell’opinione comune, e concorsero a indurre il governo a separarlo amministrativamente dalla appena istituita Soprintendenza, i cui compiti esecutivi furono distribuiti fra diversi ministeri. Il riassetto degli uffici statali rispondeva naturalmente a un disegno generale, ma avrebbe dovuto anche alleggerire l’«architetto reale» (ufficialmente nominato nel luglio 1805) di alcune tra le minute incombenze pazientemente sopportate dal tempo della prima Cisalpina. In realtà, finché ebbe vita il Regno d’Italia, Canonica continuò a occuparsi delle ricorrenti feste pubbliche, sia nel costruire archi provvisori o stabili (a Porta Ticinese e a Porta Vercellina) sia nell’arredare e adattare edifici a mutati usi: fra gli altri i palazzi Litta, Reale, la Villa Belgioioso, il Collegio Elvetico, il “quartiere” di Monza, per ospitare la Prefettura, Beauharnais, il segretario del vicerè, Méjan, Eugenio Murat e il Senato,37 e poi una caserma, uffici di Polizia e quant’altro. Fu interessato perfino alle stampe illustrative dei monumenti eretti dal regime; ma non trascurò neppure i committenti privati; per i Vertova di Bergamo si occupò del palazzo di città e della villa a Seriate, per i Porro Lambertenghi della casa a Milano in contrada dei Tre Monasteri; ancora a Milano si occupò nuovamente del Teatro dei Filodrammatici,38 e del Concordia a Cremona. Tuttavia, pur fra tanti impegni, maggiori attenzioni sembrano essere state dedicate alle aree presso il Castello, da quando fu deciso di abbatterne gli spalti, origine e ragione di un confronto fra gli amministratori cittadini, i costruttori, coinvolti o interessati, e la realtà politica ed economica in svolgimento. La prima proposta di estendere l’abitato su quei terreni era stata presentata dallo stesso Canonica in forma scritta, non figurata, già venti giorni dopo la battaglia di Marengo. La sua prosa sintetica descriveva le aree, proponeva genericamente di allestire un quartiere abitativo, militare e celebrativo (chiamato “città Bonaparte”, come gli abitati di Napoléonville e Ville-Napoléon in progetto in Francia),39 considerava gli aspetti procedurali, economici e amministrativi comportati dall’operazione suggerita. Il triumvirato al governo aveva invece incaricato Antolini di progettare un “foro” alla romana, che rappresentasse lo spirito della rivoluzione, appunto il Foro Bonaparte. È oggi evidente che il complesso, pensato «per le assemblee del Popolo, per le arti, per le scienze, pel commercio, pel soldato emerito»,40 non poteva sostituire, o integrare positivamente, il pulviscolo degli innumerevoli luoghi della vita collettiva diffusi in tutto l’abitato, ben saldati al tessuto abitativo. E infatti, quando le disponibilità economiche apparvero limitate, gli orientamenti governativi mutevoli, le prospettive di sviluppo della città ridotte, gli usi inizialmente previsti e auspicati furono giudicati poco confacenti a consuetudini secolari e alle aspettative attuali: ciò avrebbe comportato di aggiornare, adattare, correggere le misure previste, adottando varianti impensabili nell’ottica di Antolini. In quella situazione Canonica andò gradualmente sostituendolo, fino a esautorarlo, a mano a mano che il progetto caldeggiato dai Cisalpini mostrava inadeguatezza pratica e inattualità simbolica, e mentre i militari estendevano a quel settore il proprio primato, conformemente al mutato ordine politico generale. Perciò il complesso dedicato al Bonaparte prese forma in corso d’opera, per così dire, registrando la realtà delle cose in atto e le iniziative in sviluppo. Anziché un quartiere prevalentemente residenziale e produttivo – come inizialmente aveva appunto proposto Canonica – o un centro politico direzionale – voluto da Antolini e dai Cisalpini – i disegni dello stesso Canonica configurarono progressivamente un complesso destinato a manifestazioni militari e di civile intrattenimento. L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA Tabacchiera donata da Napoleone a Canonica, 31 dicembre 1803; Lugano, collezione privata. Tabacchiera donata da Maria Luigia imperatrice d’Austria a Canonica, 31 dicembre 1815; Lugano, collezione privata. Canonica se ne occupò sotto ogni aspetto progettuale, amministrativo, esecutivo, in rapporto dapprima con i triumviri cisalpini e poi con Melzi, con Beauharnais, con i militari, i dirigenti e i tecnici dei Ministeri degli Interni, della Guerra e del Genio militare, interpretando e traducendo in architettura le occorrenze nel loro successivo emergere. Queste comprendevano, quando Antolini fu congedato, un quartiere di abitazioni e palazzi, il centro militare del regno sistemato nell’antico Castello, un Campo di Marte, e larghi spazi alberati collegati con gli abituali “passeggi” situati sulle antiche mura urbiche. Invece, seguendo il succedersi delle indicazioni e il mutare dei bisogni, altre diverse priorità prevalsero. Su indicazione dello stesso Canonica, prati alberati sostituirono le progettate abitazioni, la piazza d’armi fu inserita a margine del Castello e poi raddoppiata,41 della strada del Sempione fu precisato il tracciato terminale con l’Arco delle Vittorie (affidato al Cagnola) di fronte alla porta del Castello (disegnata da Gerolamo Rossi) e fu costruita l’Arena, assecondando l’abitudine appena introdotta di richiamare la folla in quei luoghi per celebrare feste e giochi. Il comportamento di Canonica fu insomma speculare a quello di Antolini. Il noto scontro tra costui e l’architetto di Stato soltanto apparentemente fu politico e personale. «Canonica è mio nemico» scrisse poi l’architetto giacobino,42 ma in realtà i termini della controversia erano stati quelli che contrapponevano il “visionario” all’esperto, il progressista al tradizionalista intento a rinnovare. Gli attori della vicenda avevano rappresentato modi inconciliabili di intendere e governare l’architettura, e avevano riflesso localmente il più generale confronto in atto sui fini perseguiti e sugli strumenti per raggiungerli. L’antagonismo tra i due autori, come non aveva espresso soltanto differenze caratteriali o di gusto, così non aveva neppure rispecchiato solamente il contrasto politico tra rivoluzionari e moderati, al quale talvolta si è pensato di riferire la vicenda e il suo esito; in questa occasione, personalità spiccate e orientate si confrontarono su temi di grande rilievo ideale e dottrinario. Infatti, da un lato i modi di realizzare l’impresa avevano interessato Antolini marginalmente; eppure a quei temi si era pregiudizialmente riferito Canonica nel primo fronteggiarla, e su questi argomenti aveva richiamato la sua attenzione addirittura Napoleone. La questione sollevata non ebbe seguito perché la forma geometricamente perfetta del cerchio scelta dall’architetto romagnolo per realizzare il Foro riassumeva ogni superiore significato e non poteva subire alterazioni; la caratterizzazione simbolica degli edifici prevaleva sulla loro aderenza ai bisogni, sicché a interni diversamente destinati e ordinati non potevano corrispondere che apparenze esteriori identiche (come per la Borsa e il Teatro), o uguali facciate (come per le Terme e la Dogana). Diversamente i disegni di Canonica rispecchiarono in ogni momento le condizioni poste; le destinazioni furono variate fino a trasformare un quartiere abitato in parco alberato; le fronti affacciate sulla piazza d’armi e sul Foro furono disegnate diversamente più volte; per i giochi e le feste fu reinventato uno stabile anfiteatro-circo, assente in occidente da più di un millennio; un’attenzione speciale fu dedicata alla scelta dei materiali, al loro impiego rapido, appropriato ed economico. Le posizioni confrontate riflettevano insomma il divario tra due culture, entrambe forti di riferimenti concettuali, tra un’architettura concepita come guida e determinatrice della realtà, e un’architettura attenta a interpretarla, nutrita da esperienze provate, quelle appunto sentite e praticate da Giovanni Antonio Antolini e da Luigi Canonica, esercitate in modi tanto radicali ed eccellenti da distinguere le loro personalità da quelle dei coetanei attivi allora a Milano. Di Luigi Canonica la vocazione ad affrontare ogni difficoltà valendosi di esperienze e repertori già noti e il comportamento di borghese votato al dovere sembrarono rispondere alle aspettative di sicurezza e normalità in anni tormentati da vicende mutevoli e imprevedibili. Nella sua persona XLV G IAN N I M E Z ZAN OTTE il bisogno di ordine sembrò prevalere sullo stato d’animo, l’interesse per quanto è duraturo sull’effimero, e il lavoro ben fatto sulla genialità. Così orientato, poté essere contemporaneamente consigliere accademico, primo funzionario preposto ai lavori statali, professionista privato, amministratore, ideatore ed esperto esecutore.43 Fu in grado di superare i limiti propri di ciascuna di queste designazioni ed evitò di esservi identificato. In quella temperie della vita pubblica gli impegni per l’incoronazione, per sistemare il Senato, il Foro Bonaparte e l’Arena, oltre che per regolare l’edilizia cittadina per mezzo della Commissione d’Ornato e del Piano dei rettifili, segnarono il momento della perfetta corrispondenza tra le sue attitudini e le circostanze, fronteggiate senza riserve e con l’impegno necessario ad ottenere i risultati voluti. Questi compiti segnarono un momento cruciale, quasi eroico, nella vita di Canonica. La serie spettacolare di opere di grande respiro – fronteggiate dispiegando una libertà sconosciuta ai funzionari moderni, ai quali è diffi- cile paragonarlo, e rese faticose dai limiti di spesa, dalla fretta esecutiva, dalle prescrizioni mutevoli – si completò quando fu incaricato anche di progettare dal 1805 il parco e il giardino della Villa Reale di Monza. Allora le difficoltà proprie delle opere pubbliche sollecitarono sì le sue capacità di adeguare le decisioni alle condizioni date, ma lo rivelarono anche regista senza complessi, autonomo rispetto a quanto altrove si faceva e teorizzava in quegli anni. Affiancato a Monza da Luigi Villoresi, il noto agronomo allestitore di giardini,44 e poi da Giacomo Tazzini, aiuto destinato a succedergli in età austriaca, interpretò la speciale natura del luogo ricreando il paesaggio agricolo della tradizione lombarda, e con un disegno regolare e geometrico diede struttura a una immensa area ricca di risorse e di suggerimenti. Ai suoi successori il parco si prestò a essere sviluppato come un «compendio dell’agricoltura dell’alta e bassa Lombardia»,45 una tenuta modello destinata anche a provare esperienze di interesse agrario, associata a una riserva di caccia e a luoghi di svago. Casa Canonica in via Sant’Agnese, Milano; veduta parziale della fronte nello stato attuale. XLVI L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA Andrea Appiani, Napoleone presidente della Repubblica italiana, 1803; collezione privata. Andrea Appiani, Ritratto di Francesco Melzi, 1803; collezione privata. Esaltò, aprendo vedute paesistiche rilevanti, i terreni affacciati all’anfiteatro delle Prealpi e percorsi dal fiume Lambro, mentre alle spalle della villa sviluppò il giardino all’inglese anticipato dal Piermarini. Così, zone diversamente connotate riuscirono uniformate e armonizzate dalla robusta struttura di un tracciato rettilineo esteso per cinque chilometri su centinaia di ettari, fra terreni arati e avitati, orti e frutteti, allevamenti, tratti di bosco, rogge artificiali, ville e giardini preesistenti, cascine, mulini, ponti, oltre a pochi consueti tempietti e padiglioni da giardino. Con questi mezzi Canonica, Villoresi e Tazzini fecero del parco un monumento a scala territoriale. Viscontini, attivissima nella mondanità, ben inserita nella fitta trama di parentele e di frequentazioni cittadine, animatrice di un salotto tra i più frequentati. Presso di lei convenivano già dagli anni Novanta molti immigrati francesi (e perciò la lingua più parlata era quella francese).47 All’inizio del secolo la giovanissima figlia Bianca si interessò di pittura, e da quella fu indotta a frequentare l’Appiani, che la ritrasse, e a intrattenere rapporti con Bossi, Diotti, Longhi.48 Intraprese con la madre una serie di viaggi che la portarono a Ginevra, Berna, Zurigo, poi a Firenze, Napoli, Roma, dove frequentò lo studio di Canova e incontrò l’Hayez.49 La conoscenza di Canonica rimonterebbe a quel tempo; le nozze non si tennero, e l’architetto non pensò più di ammogliarsi. Per quanto sappiamo, sembra aver mantenuto una certa consuetudine con la casa Milesi, non soltanto perché ancora nel 1817 frequentava la madre Elena,50 ma per aver costruito poi la sontuosa casa in corsia del Giardino per la sorella di Bianca, Francesca Milesi Traversi.51 Costei, con Giovanni Traversi, con l’avvocato Giuseppe Gambarana e con Federico Confalonieri, sarebbe stata tra i registi dei fatti dell’aprile 1814. Voci ovviamente non documentabili, ma diffuse in città, avevano indicato appunto tra i mandanti dell’assalto alla casa del Prina i Traversi, sospettati di avere assoldato gli esecutori del linciaggio e di averne tratto vantaggi economi- Vita personale. Relazioni e comportamenti «Pare che l’architetto Canonica, che allora costruiva l’Arena, chiedesse la Bianca in nozze, ma che l’infervorata pittrice le rispondesse che voleva sposar l’arte».46 Così Carlo Cattaneo apre uno spiraglio sulla vita privata dell’architetto, ben difesa per altro, pur in una società come quella milanese, divisa in gruppi differenti, ma immersa in un mare di legami fatto di parentele, amicizie, amori, interessi, dispute e complicità. La Bianca ricordata apparteneva a una famiglia facoltosa, i Milesi; era figlia di Elena XLVII G IAN N I M E Z ZAN OTTE ci enormi, provenienti dalla fortuna accumulata dal ministro e a essi affidata. Un filo impalpabile sembra collegare la casa presso San Fedele, demolita per cancellare ogni traccia, a quella nella corsia del Giardino, oggi via Manzoni.52 A partire da quell’evento, nella famiglia Milesi prevalsero orientamenti diversi. Differentemente da Francesca, dedita a riunioni mondane, Bianca aveva preso a interessarsi di lettere, pensiero, educazione popolare, frequentava il numismatico Gaetano Cattaneo, amico di vecchia data, e riceveva letterati di gran nome, dal Monti al Porta.53 Fattasi “Giardiniera”, raccolse presso di sé romantici e carbonari. Persuasa dalle opinioni che andavano diffondendosi, «volle rinunciar virilmente a tutte le inezie donnesche – scrisse ancora di lei Carlo Cattaneo – si recise le trecce, vestì un abito di lana con grosse scarpe, pose tutto il suo denaro a comperar libri […]».54 «Camminava risoluta per le vie di Milano portando a tracolla una grossa giberna dove teneva, a portata di mano, l’Essai del Locke».55 Collaborò a promuovere le scuole di mutuo insegnamento volute da Federico Confalonieri;56 coinvolta nei fatti del 1820-1821, indagata e interrogata, riparò a Ginevra, poi in Francia, Belgio, Inghilterra per fermarsi a Genova. Sposata là a un medico francese, Carlo Mojon, già di osservanza napoleonica, la «madre della Patria» – come la chiamò Manzoni57 – si trasferì definitivamente a Parigi. La parte sostenuta dal Canonica tra i conoscenti di questa che fu una delle famiglie più note ai suoi anni difficilmente può essere ricostruita; nel circolo delle poche centinaia di persone che monopolizzavano la vita associativa, i suoi rapporti con potenti, possidenti e nobili, con associazioni e circoli, sembrano comunque aver superato raramente i termini professionali. Del resto, mentre i letterati erano solitamente ricercati nei salotti (Foscolo, Monti, Reina, Cuoco, Labus, Romagnosi, Stendhal), gli artisti lo furono raramente, con le eccezioni di Bossi e poi di Hayez. Se le ragioni che avvicinarono lo schivo Canonica a tante personalità rilevanti negli anni napoleonici e austriaci sembrano promosse soltanto lontanamente dalla frequentazione mondana, soprattutto lo avevano messo in luce, e lo fecero subito ricercato, la pronta adesione agli orientamenti repubblicani e il fulmineo proporsi al servizio pubblico, oltre alla collaborazione, prestata con la competenza che gli era propria, alle cerimonie celebrative del potere politico appena instaurato. Aveva aderito a una Compagnia dei giovani repubblicani, intesa fra l’altro ad adattare a teatro la Chiesa di San Damiano, a fianco della Scala, la prima e allora unica sala a logge continue in luogo di palchetti. Sistemata all’interno forse dallo stesso Canonica su disegno di Leopoldo Pollack con sipari di Appiani e Galliori, a inaugurarla il 21 dicembre 1800 fu scelto il Filippo di Alfieri. Francesco Salfi, del Direttorio Cisalpino – autore dei balletti Bruto e Il ballo del Papa – animava l’associazione, alla quale avevano aderito, con Canonica, Appiani e Carcano, la triade governativa (Sommariva, Ruga, Visconti), giacobini dichiarati (Rasori, Salvatori, Guicciardi), ma anche militari, dignitari e funzionari, oltre che alcuni possidenti e nobili. Il tono repubblicano tuttavia andò attenuandosi in breve tempo, finché al primo richiamo “Patriottico” fu sostituito quello più neutrale ai “Filodrammatici”;58 allora furono eseguiti altri lavori edili, e ad amministrare fu chiamato con altri Carlo Porta,59 presente sul palcoscenico a recitare fino al 1804. Ormai inserito tra le massime cariche pubbliche, Canonica fu accolto nella loggia Giuseppina, una delle cinque della massoneria milanese, alla quale aderivano, quasi obbligatoriamente, esponenti dell’establish- XLVIII Giuseppe Longhi, da un dipinto di François Gerard, Ritratto di Eugenio Beauharnais, 1814; Milano, collezione privata. ment politico-amministrativo cisalpino. Qui fraternizzavano l’architetto Antolini e Salfi, l’animatore del teatro “Patriottico”, il generale Pino, Romagnosi, Testi, Vaccari, Monti e Porta.60 All’estero conobbe quanto si eseguiva consultando le pubblicazioni note, durante viaggi compiuti a Parigi forse in anni ancora repubblicani e certamente nel 1810, quando fu chiamato personalmente dal Beauharnais, probabilmente a seguire i festeggiamenti per le nozze di Napoleone.61 Allora il Palazzo Reale accolse mobili ispirati a disegni di Percier e Fontaine, e nella Villa Reale furono ripresi «modelli diffusi da Adam e Tatham verso la fine del Settecento».62 Dall’Inghilterra aveva corrisposto amichevolmente con lui, alla ricerca di opere d’arte italiana, Alessandro Douglas, decimo duca di Hamilton dal 1819, persuaso dal Canonica ad apprezzare il gusto neoclassico. (Quando il duca fu ambasciatore in Russia, raccolse disegni da Quarenghi, e più tardi da Percier e da Fontaine.)63 Contatti permanenti e diretti ebbe Canonica con tutti i ministri che si succedettero agli Interni dei governi cisalpini e napoleonici, da Francesco Pancaldi (1800-1802) a Luigi Vaccari (1809-1814);64 come architetto dei palazzi reali ebbe speciali rapporti con Giovanni Battista Costabili Containi, responsabile dei palazzi di Milano, Mantova, Modena, L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA ficio vicereale alcuni generali: Charles-Nicolas Danthouard, chiamato a dirigere l’artiglieria dell’armata italiana e poi quella del quarto corpo della grande armata di Russia, Augustin Sorbier, ucciso nel 1809, e Joseph Triaire, tutti veterani combattenti con lo stesso Beauharnais. Tra gli amici che lo frequentavano a Milano erano anche Charles-Henri Delacroix, fratello del pittore, e Charles de La Bédoyère, poi eroe dei cento giorni e fucilato nel 1815. Canonica godette della fiducia e tutela di questa compagnia, non amata dagli italiani, che contestavano al Méjan il comportamento di superficiale millantatore, le grandi spese personali, e l’estraneità all’ambiente italiano, del quale pare che comprendesse poco la lingua; al Darnay nuoceva la fama creatagli dalla censura esercitata come direttore delle Poste negli ultimi due anni del regime. Nei giorni critici dell’aprile 1814 sembra che la folla, appena linciato il ministro delle Finanze, reclamasse anche la testa di costoro, tempestivamente assenti. In queste vicende conclusive del regime rischiò di essere coinvolto lo stesso Canonica, accusato dalla voce pubblica (con Tazzini e il nipote impresario Domenico Fontana) di lucrose scorrettezze nell’esercizio dei lavori, favorito e protetto da membri della segreteria vicereale, che una denuncia anonima al direttore generale della Polizia indicò in Méjan, Danthouard, Darnay e nel responsabile amministrativo dei Beni della Corona, Costabili Containi.68 Ne derivò per Canonica il pensionamento da architetto reale, perseguito con una pratica soltanto amministrativa, forse neppure iniziata, o subito rientrata,69 così come fu subito abbandonato il processo avviato per far luce sull’omicidio di Giuseppe Prina. Il trentennio dell’esperto (1814-1844) Monumento a Luigi Canonica architetto, 1847; Milano, Palazzo di Brera. Strà, Venezia. In quest’ultima città l’allestimento del Palazzo Reale lo portò a scontrarsi nuovamente con l’Antolini, che come a Milano dovette cedere65 al parere dell’architetto di Stato. Questi, inoltre, rappresentava la segreteria del vicerè, padrona della situazione durante le assenze del generale, chiamato alle campagne militari in tutta Europa. Il primo segretario, Étienne Méjan – funzionario istruito da Mirabeau e divenuto dopo il 18 brumaio segretario generale della Prefettura della Senna – aveva seguito a Milano il ventiquattrenne viceré, del quale redigeva la corrispondenza, i discorsi e i proclami.66 In queste mansioni era aiutato da Antoine Darnay, per qualche tempo proprietario con lui del “Corriere milanese”67 e poi nominato direttore delle Poste. Era assistito anche da Étienne Soulange-Bodin, destinato alla notorietà per iniziative e studi di agronomia, mentre un amministrativo, Charles-Jean La Folie, direttore de “Il Poligrafo”, divenuto l’organo del malcontento dei milanesi oberati dalle tasse, lasciò presto l’incarico. Completavano l’uf- Caduto il Regno d’Italia, non mutò la natura dell’impegno di Canonica, interessato in ogni caso a raggiungere il risultato più efficace nelle forme adeguate, e poco propenso ad acuire l’accento oratorio assegnato al disegno architettonico, di cui a Milano furono maestri Antolini prima e Cagnola poi. Perciò il suo inserimento nei nuovi quadri parve quasi naturale e necessario. Il mutato regime, infatti, aveva subito riordinato l’apparato direttivo secondo i propri fini, epurando blandamente il personale amministrativo e riducendone i compiti. Presto però fu indotto a richiamare i funzionari meno compromessi e più preparati. Fra questi era Canonica, che riapparve già nel novembre dello stesso anno nominato «Architetto dei R. I. Fabbricati».70 Abbandonati i disegni imperiali, i compiti assegnati a questa carica risultarono limitati e gli interventi chiesti furono ridotti alle necessità del Palazzo Reale a Milano e del Parco e della Villa a Monza. Nel Parco ormai strutturato saldamente ordinò piantagioni e vivai, disegnò padiglioni, case coloniche e rustici finché, sette anni dopo, nel 1821 fu sostituito da Giacomo Tazzini. Nel palazzo di Milano ampliò i fabbricati fino a raggiungere la via Larga, con opere anche qui completate dallo stesso Tazzini. Nella Commissione d’Ornato continuò per decenni a influenzare, senza apparire direttamente, l’intera edilizia privata. Le fabbriche di medio livello da allora si moltiplicarono seguendo uno schema uniforme, fino a caratterizzare l’immagine della città per decenni con fronti ragionevoli e senza pretese – noiose e ripetitive agli occhi dei primi romantici – soltanto regolate da rapporti semplici fondati sui vuoti distribuiti su pareti intonacate, commentate da pochi accenni decorativi, commisurati di volta in volta al livello economico e al ruolo ambien- XLIX G IAN N I M E Z ZAN OTTE tale dell’edificio. I criteri che Canonica aveva osservati nelle rues Rivoli e Castiglione, proposti nei primi disegni per il Foro Bonaparte e realizzati nel Pulvinare dell’Arena, furono divulgati dai suoi aiuti Tazzini, Gilardoni, Faroni e Pizzala, ma soprattutto diffusi da Amati tra gli allievi dell’Accademia, dove lo stesso Canonica fu presente come consigliere fino ai suoi ultimi giorni. La sua presenza in organismi pubblici fu dunque determinante anche in età austriaca, e tuttavia prevalse allora in lui la figura dell’esperto, che eclissò ogni titolo ufficiale e lo fece protagonista di una serie di eventi. L’autorità del rappresentante dello Stato parve oscurata e poi sostituita da quella del competente, che più gli si confaceva, dotato com’era di esperienze in ogni tema edilizio, e della capacità di fronteggiare i più vari casi. Allora si infittirono gli incarichi per opere speciali, per teatri, giardini, allestimenti interni, ma anche per consulenze (stime, preventivi, giudizi) e consigli, come avvenne fra l’altro proprio per l’Arena quando, richiesto dal governatore, al restauratore chiamato a ripararla ricordò le particolarità costruttive seguite, stimò i danni subiti nel tempo e suggerì i criteri da osservare. Come esperto di fiducia risolse anche le occorrenze di molti notabili. Per i Porro Lambertenghi costruì la casa in via Monte di Pietà, per i Visconti di Modrone si impegnò a lungo tra il 1817 e il 1831 in una cospicua serie di lavori di varia entità, per gli Annoni lavorò a Cuggiono, per i Nava a Monticello. Ricorsero pure a lui altri committenti di grande nome: Picenardi, Perego, d’Adda, Pezzoli, Brentani, Borromeo, enti religiosi, società per teatri (a Milano per la Scala e la Canobbiana, a Mantova, Sondrio, Castiglione delle Stiviere, Genova), per i quali rimase per decenni lo specialista più apprezzato. Federico Confalonieri lo incaricò di dar forma architettonica al suo progetto, proposto nel 1819-1820, di istituire a Milano un Ateneo e un centro commerciale presso la Scala, lungo la corsia del Giardino. A tale scopo Canonica incontrò i promotori della “Società dell’Ateneo”, fornì disegni, seguì come architetto le trattative esplorative per attuare l’iniziativa, poi abbandonata. Il suo apporto fu professionale e non sembra aver L comportato adesioni di altra specie al movimento carbonaro e ai progetti di rinnovamento civile condotti dal Confalonieri e conclusi drammaticamente negli anni Venti. Del suo contributo fu retribuito, a vicenda ormai conclusa nel 1822, da Teresa Confalonieri, con una tabacchiera d’oro di pregio, secondo l’usanza.71 Un rapporto trentennale più stretto e umanamente partecipato ebbe con la famiglia Greppi,72 per la quale si adoperò per questioni comportate dalla vasta proprietà fondiaria ereditata dal noto appaltatore di servizi pubblici. Dal 1811 al 1841 a Milano costruì la casa in corsia del Giardino a fianco della Traversi, restaurò l’interno delle case nelle vie Sant’Antonio, Larga e Borgonuovo, si adoperò per quelle di Cernusco, Lissone e Desio, stimò quadri e mobili, regolò questioni di confine, e così via. Ne derivò l’amicizia di Paolo Greppi, testimoniata da attenzioni, inviti, crescenti preoccupazioni per la sua salute malferma. La fibra di Canonica era infatti minata dalla podagra, malattia invalidante assai diffusa (ne erano stati colpiti Parini, Melzi, Andreani, Porta) che ne limitò progressivamente il lavoro. Già nel 1822 lamentò a Nicola Bettoli, l’autore del Teatro di Parma allora in costruzione, di essere stato «sorpreso in campagna da un serio incomodo di salute».73 Per la stessa ragione rinunciò a progettare il Teatro Nuovo di Genova, dove nel 1826 fu impedito a seguire il tracciamento della curva della sala e del palcoscenico «a causa della debole e cagionevole salute».74 Parecchi anni dopo, una ricaduta sollecitò l’interessamento di Carlo Calderari75 e ancora nel 1836 e 1837 se ne preoccupò la casa Greppi.76 Tracce del suo lavoro si avvertono comunque fino agli ultimi mesi della sua vita, terminata nel febbraio del 1844. Nella ormai mutata temperie di gusto e di cultura lo commemorò subito, misuratamente, Luigi Tatti, ricordandone la «somma parsimonia» con cui era vissuto e il «grosso tesoro» accumulato in mezzo secolo di lavoro, l’esperienza, il «sapere nell’arte» e la «naturale facondia», ma anche la «scarsa invenzione», lo stile «timido», la «fretta» e la «non curanza»: caratteri ritenuti propri del suo fare, capace per altro di elevarsi anche «a voli più arditi e felici».77 L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA 1. F. Cusani, Storia di Milano dall’origine a’ nostri giorni e cenni storico-statistici sulle città e provincie lombarde, vol. V, Tip. Albertari, Milano 1861-1884, p. 205. 2. Ha scritto De Bono: «Spesso il ribelle raggiunge la creatività battendosi contro le idee prevalenti e andando contro i luoghi comuni. Il ribelle trae lo slancio ponendosi “contro” qualcosa. Ma la creatività dei conformisti (che partecipano al gioco creativo) non ha bisogno di essere “contro” qualcosa e può pertanto essere più costruttiva partendo dalle idee esistenti» (E. De Bono, Essere creativi. Come far nascere nuove idee con le tecniche del pensiero laterale [New York 1992], prefazione di C. Nutrito, trad. it. di S. Mosca, Il sole-24 ore libri, Milano 1996, p. 40). Molti decenni prima aveva scritto Murri: «Tra colui che riesce ad avvalorare di una nozione nuova l’intelletto umano, e colui che colle nozioni già trovate tende a provvedere ad uno dei bisogni della vita contemporanea, corre un’affinità mentale non piccola, perché non è diversa la via che conduce entrambi al vero [...] il mio intento non sarà tanto di invitarvi a investigare l’ignoto, quanto usufruire bene del già noto» (A. Murri, Lezioni di clinica medica edite ed inedite, date nella R. Università di Bologna negli anni scolastici 1905-06 e 1906-07 [Milano 1908], Società Editrice Libraria, Milano 1920, pp. 9, 11). 3. Nato il 9 marzo 1764 da Pietro e Maria Antonia Porta a Roveredo di Capriasca presso Lugano, fu battezzato il 10 marzo con i nomi di Cristoforo Maria Aloisio dal curato di Tesserete Michel Angelo Canonica, forse fratello del padre Pietro. Ebbe 5 fratelli e 4 sorelle, tra le quali ultime Gioconda, sposata a Francesco Porta di Manno, fu madre di Antonio; un figlio di questi, Francesco Porta, ereditò alcuni beni dell’architetto. La sorella Marta, sposata al capomastro Giovanni Battista Fontana di Cureglia, fu madre di Luigi Fontana, erede universale dello zio architetto, e di Domenico Fontana, l’imprenditore o capomastro con il quale aveva collaborato a Milano. Intorno al 1804 viveva in casa Besozzi alle Cinque Vie 3152 (AMMe, Fondo Canonica, XIV, 248). Morì a Milano nella sua casa di via Sant’Agnese 2772 il 7 febbraio 1844 (A. Petralli, P. Savi, Cav. Luigi Canonica, architetto. Nel primo centenario della morte, 1844-1944, Arti grafiche già Veladini, Lugano 1944, pp. 832). L’atto di battesimo è qui trascritto dai registri della chiesa di Tesserete. Cfr. C. Fraschina, I Porta di Manno e l’Architetto Luigi Canonica di Tesserete, “Bollettino storico della Svizzera italiana”, II s., a. II, 1927, n. 2, pp. 3337. In AMMe, Fondo Canonica, LV, sono conservate carte relative ad atti conseguenti alle sue disposizioni testamentarie. 4. ASMi, Studi, p.a., 197 (16 e 22 dicembre 1783). Cfr. Petralli, Savi 1944, p. 12. 5. ASMi, Autografi, 82. Lo scritto di Carlo Bianconi è datato 10 novembre 1786. 6. ASMi, Studi, p.a., 197. 7. Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente, pubblicati a cura della sua Amministrazione, vol. VI, Tip. G. Brigola, Milano 1877-1885, 3, 10 settembre 1795. 8. C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle Belle Arti e delle sacre, e profane antichità milanesi, nella stamperia Sirtori, Milano 1787, p. 407; 2a ed. 1796, p. 456. 9. A. Vicinelli, Il Parini e Brera. L’inventario e la pianta delle sue stanze. La sua azione nella scuola e nella cultura milanese nel secondo Settecento, Ceschina, Milano 1963, pp. 222-223. 10. G. Calligaris, A Milano nel 1798, “Archivio storico lombardo”, III s., a. XXV, 1898, fasc. 19, pp. 117-184. 11. La Municipalità lo incaricò il 12 gennaio 1797 di far demolire o cancellare armi, insegne gentilizie e stemmi esposti in Milano, e in particolare quelle esistenti in piazza dei Mercanti, dove doveva essere rimossa anche la catena usata per la pena della corda (ASMi, Autografi, 82; AMMe, Fondo Canonica, IV, 12-25). Gli fu chiesto poi nel giugno 1798 di valutare le spese occorrenti per cancellare dalla facciata del Palazzo dei Giureconsulti le mitrie papali che la decorano. Nel rimettere la nota, Canonica consigliò di trasformarle in «berrette repubblicane»; forse ricordava che alla Scala, qualche mese prima, era stato rappresentato Il ballo del Papa, dove appunto Pio VI sostituiva il berretto Frigio al triregno. Successivamente il “Giornale senza titolo” aveva proposto il 21 luglio di modificare con simboli repubblicani le immagini che ornavano le croci stazionali, evitando così di demolirle (Calligaris 1898, pp. 117-184; A.M. Raggi, Documenti sulla lotta contro gli stemmi a Milano durante la dominazione francese, “Archivio storico lombardo”, VIII s., a. LXXX, 1953, vol. IV, pp. 281-289, docc. XXIV-XXX. Sul comportamento di Canonica in quelle circostanze si diffuse il Cusani, V, 1861-1884, pp. 204207). 12. P. Gallo, Luigi Canonica. Un professionista al servizio dello Stato nella Milano neoclassica, “Arte lombarda”, n.s., 1996, n. 117, pp. 92-93. 13. P. De Vecchi, A. Scotti, “Artefici di numi”: gli artisti e le istituzioni, in G. Bezzola (a cura di), I Cannoni al Sempione. Milano e la “Grande Nation” (1796-1814), Cariplo-Motta, Milano 1986, p. 210, n. 9. 14. De Vecchi, Scotti 1986, pp. 106-107. Le vicende seguite all’arrivo dei Francesi sono descritte da E. Filippini, Giuseppe Piermarini nella vita e nelle opere, Arti Grafiche T. Sbrozzi e Figlio, Foligno 1936, pp. 205-215; sui rapporti tra Piermarini e Canonica, passim e specialmente p. 234. 15. A. Scotti, Brera 1776-1815. Nascita e sviluppo di una istituzione culturale milanese (“Quaderni di Brera”, 5), Centro Di, Firenze 1979, p. 45 sgg. Si rimanda anche a C. Capra, La condizione degli intellettuali negli anni della Repubblica Italiana e del Regno Italico, 1802-1814, “Quaderni storici”, a. VIII, 1973, fasc. 2, pp. 471-490. La “Società Patriottica” fu soppressa il 15 settembre 1796. La “Società di Pubblica Istruzione” tenne la prima seduta il 1 gennaio 1797. L’elenco dei primi associati, fra i quali fu appunto il Canonica, è in P. Pecchiai, La “Società Patriottica” istituita in Milano dall’imperatrice Maria Teresa, “Archivio storico lombardo”, V s., a. XLIV, 1917, fasc. 1, p. 141. 16. Cusani, V, 1861-1884, p. 150. 17. Ibidem, pp. 150-155; O. Selvafolta, Gli “ornati dell’allegrezza”: luoghi, apparati e ideologia delle feste nella Milano napoleonica, “Archivio storico lombardo”, XII s., a. CXXIX, 2003, vol. IX, pp. 174-177. 18. Gallo 1996, p. 93. 19. Riprendo da F. Bertoliatti, Notizie e documenti sull’architetto Luigi Canonica, “Rivista storica ticinese”, a. II, n. 8, aprile 1939, pp. 170-177. Le citazioni e le considerazioni di Bertoliatti sono ricavate liberamente da carte all’ASMi, Autografi, 82. 20. Ibidem, 9 novembre 1800, lettera al ministro degli Affari Interni. 21. Scotti 1979[b], p. 51, C. Nenci, Un “repertorio di materie attinenti alle Belle Arti” di Giuseppe Bossi, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi nella Repubblica Cisalpina, atti dell’incontro di studio (Milano 1997), a cura di L. Castelfranchi, R. Cassanelli, M. Ceriana, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano 1999, pp. 420, 423, 435, 438. Vedi anche la nota 42. 22. Scotti 1979[b], pp. 55-58, 66, n. 56; A. Menichella, La trasformazione del Palazzo di Brera nell’età napoleonica, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi 1999, pp. 217-240, documenti, pp. 241-279; E. Bianchi, La dispersione dell’arredo della chiesa milanese di Santa Maria di Brera, “Archivio storico lombardo”, XII s., a. CXXX, 2004, vol. X, p. 393. 23. AMMe, Fondo Canonica, XXXI, 434-440: rinforzo dell’aula destinata alle premiazioni (1821-1822). 24. G. Ricci, Canonica Luigi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XVIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1975, pp. 159-161: seleziona nel 1833 lavori di allievi per la mostra annuale. 25. La carta, datata 12 gennaio 1811, è stata citata da Bertoliatti 1939, p. 175, come giacente in ASMi, Autografi, 82. Da me trascritta quarant’anni fa, non è oggi reperibile nel fondo indicato. 26. AMMe, Fondo Canonica, XXX, 430-433; Scotti 2008, pp. 49-52 e per Bologna: Ceccarelli 2008, pp. 552, 562. 27. AMMe, Fondo Canonica, LI, 661, 662, 11 ottobre 1841, 21 giugno 1842. 28. AMMe, Fondo Canonica, LI, 663, 664, diploma del 13 maggio 1843. 29. AMMe, Fondo Canonica, X, 161, 29 dicembre 1803. 30. AMMe, Fondo Canonica, V, 29 (lavori eseguiti nei mesi di giugno-agosto 1798), 34 (lettera del 13 aprile 1799). 31. AMMe, Fondo Canonica, VII, 36-108 (1798-1803). 32. C. Chiesa, Notizie su Luigi Canonica, “Rivista storica ticinese”, 1943, n. 6, p. 761. Riporta brani di lettere, del marzo 1803 e del 4 giugno 1804, ora conservate in AMMe, Fondo Canonica, XII, 234 e 237. 33. G. Mongeri, L’arte in Milano. Note per servire di guida nella città, Società cooperativa fra tipografi, Milano 1872, pp. 386-387. Il Canonica era stato esecutore legale della consegna della chiesa il 22 giugno 1799 (E. Guicciardi, Il nuovo teatro di un’accademia milanese. 1798-1970, Accademia dei Filodrammatici, Milano 1970, pp. 73-74). 34. Gallo 1996, pp. 93-94. 35. La vicenda raccontata da Bertoliatti 1939 e ripresa da Petralli, Savi 1944, LI G IAN N I M E Z ZAN OTTE risale al 1802. Le citazioni riportate trattano liberamente la corrispondenza tra l’agente diplomatico a Berna, Giovanni Battista Venturi, e Francesco Pancaldi, che fu ministro fino al 1802; il fatto non risale dunque al tempo di Beauharnais viceré (ASMi, Ministero degli Esteri (II div. Testi), 431, 9 ottobre 1802; ASMi, Ministero degli Esteri (II div. Testi), 432, 19, 24, 26 ottobre 1802; ASMi, Ministero degli Esteri (II div. Testi), 440, I, 9 novembre 1802). Nella fonte indicata non è stato rinvenuta l’informazione che descrive il Canonica impegnato a dirigere personalmente il trasporto da Amsted a Milano (sono state consultate le cartelle 431-458, che riguardano gli anni dal 1802 al 1811). 36. «Disegnò i figurini l’architetto Canonica» scrisse Cusani, VI, 1861-1884, p. 154, n. 1, ma i costumi erano stati prescritti “alla francese” e descritti dal decreto del 24 marzo. Soltanto i membri dei Collegi elettorali potevano portare vestiti alla francese di seta o velluto a piacimento, distinti da fasce con frange d’oro bianche (possidenti), turchine (dotti) o gialle (commercianti) (Decreto che prescrive l’abito di costume dei membri della Consulta, in Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, Reale Stamperia, Milano 1805, parte I, pp. 49-50). 37. AMMe, Fondo Canonica, XX, 375-377. 38. Dei lavori si occupò Canonica assieme agli ingegneri Giusti e Merlo, tutti soci dell’Accademia, dal 17 settembre 1805 (AMMe, Fondo Canonica, XIX, 364-374). 39. A.M. Brizio, Interventi urbanistici e architettonici a Milano durante il periodo napoleonico, in Napoleone e l’Italia, atti del convegno (Roma 1969), vol. I, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1973, pp. 413-427. In Appendice riporta la proposta di Canonica del 12 luglio 1800, già trascritta da F. Calvi, Il Castello di Porta Giovia e sue vicende nella storia di Milano, “Archivio storico lombardo”, II s., a. XIII, 1886, fasc. 2, pp. 296-297; M. Morachiello, G. Teyssot, Nascita della città di Stato. Ingegneri e architetti sotto il Consolato e l’Impero, Officina, Roma 1983, pp. 39-43. 40. Dalla lettera a Canova del governo della Cisalpina, cito da A. Scotti, Il Foro Bonaparte. Un’utopia giacobina a Milano, F.M. Ricci, Milano 1989, p. 132. 41. J. Soldini, Il Foro Bonaparte di Luigi Canonica, “Storia della città”, a. VII, 1982, n. 22, pp. 89-94, ha pubblicato piani già all’archivio Cattaneo, ora irraggiungibili; A. Fara, Napoleone architetto nelle città della guerra in Italia, L.S. Olschki, Firenze 2006, pp. 57-59 ha rilevato l’analogia tra il Campo di Marte di Milano disegnato da Canonica e quelli di Alessandria, Montichiari e Mantova. 42. Sui dissidi tra Antolini e Canonica vedi: E. Godoli, Progetti per Venezia di Giovanni Antonio Antolini, in Architettura in Emilia Romagna dall’Illuminismo alla Restaurazione, atti del convegno (Faenza 1974), a cura di C.L. Anzivino, Istituto di storia dell’architettura, Università di Firenze, Firenze 1977 pp. 81-101; G. Kannès, Giovanni Antonio Antolini e l’ambiente milanese. Appunti sul carteggio Diedo-Albertolli (1791-1803), “La Martinella di Milano”, 1979, vol. XXXIII, fasc. 1-2, pp. 4-13; J. Soldini, Alcune questioni interpretative sull’opera dell’architetto Luigi Canonica (1764-1844), “Archivio storico ticinese”, a. XII, 1981, n. 86-87, p. 331, n. 3; G. Kannès, Luigi Cagnola, e il veronese Gaetano Pinali, dilettante di architettura, in Civiltà neoclassica nella provincia di Como, atti del convegno (Como 1979), “Arte lombarda”, n.s., 1980, n. 55-57, pp. 243-265. Sui rapporti di Canonica con Cagnola e l’ambiente veneto vedi G. Kannès, Il Foro Bonaparte tra l’Antolini e il Canonica. Un progetto di concorso ma non di esecuzione, in Milano parco Sempione. Spazio pubblico, progetto, architettura 1796-1980, catalogo della XVI Triennale di Milano, Catasto del disegno (Milano 1980), a cura di M.G. Folli, D. Samsa, CLUP Edizioni, Milano 1980, pp. 106-113. Sui rapporti di Canonica con Bossi vedi Menichella 1999, pp. 224, 243, 250. 43. In quanto architetto reale Canonica faceva riferimento all’intendente generale per i Beni della Corona, Giovanni Battista Costabili Containi, dal quale era rimunerato annualmente con 6.200 lire italiane, cifra pari a quella percepita dal primo medico; invece il primo pittore, Appiani, e lo storiografo del regno, Monti, ricevevano la minore somma di 4.650 lire (A. Pillepich, Milan capitale napoléonienne, 1800-1814, Lettrage Distribution, Paris 2001, p. 110). 44. Luigi Villoresi apparteneva a una famiglia di giardinieri della Casa Lorena di Toscana. Era figlio di Antonio, giardiniere della Villa Cusani, poi Traversi, Tittoni a Desio, morto nel 1833 al Mirabellino nel Parco di Monza, dove il figlio Luigi aveva anche istituito una scuola di botanica, un vivaio, serre LII e una siloteca. Sovrintese alla piantagione di un gran numero di alberi, e dei platani sulla strada diretta da Milano alla Villa Reale. Nato nel 1799, Luigi Villoresi premorì al padre, nel 1823. Uno dei suoi figli, Eugenio (1810-1879) fu autore del canale che porta il suo nome (M. Rosa, I Villoresi a Monza, “Rivista di Monza”, a. VI, maggio 1938, n. 5, pp. 17-24; id., I Villoresi a Monza, “Rivista di Monza”, a. VI, giugno 1938, n. 6, pp. 17-23; G.A. Mezzotti, Passeggiata nel Real Parco di Monza pei viaggiatori della strada ferrata da Milano a Monza, da Placido Maria Visaj, Milano 1841 trascritto da V. Bettini, Alterazioni ecologiche e strutturali di un parco storico, “Città e società”, a. IV, 1969, n. 1, p. 80 sgg.). Canonica e Villoresi avrebbero collaborato anche nell’allestire il giardino per Francesco Melzi d’Eril a Bellagio. 45. A. Maniglio Calcagno, La nascita del parco e il suo sviluppo, in Il Parco Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione pro Monza, Monza 1989, pp. 53-88. 46. C. Cattaneo, Bianca Milesi Mojon, in id., Opere edite ed inedite di Carlo Cattaneo, a cura di A. Bertani, 7 voll., 1881-1892, vol. II, Le Monnier, Firenze 1882, p. 452; cfr. P. Madini, Stendhal a Milano e il Casino degli Andeghee, 1783-1933, Società del Giardino, Milano 1933, p. 164. 47. Cattaneo, II, 1882, p. 450. 48. Ibidem, p. 453. 49. Ibidem, p. 452 sgg.; M. Berza, Rapporti culturali italo-romeni nel Settecento, “Archivio storico lombardo”, X s., a. CI, 1975, vol. I, p. 197; H. Bacaloglu, Bianca Milesi e Giorgio Asaky, s.n., Roma 1912, p. 87. A Milano e Roma avvicinò Hayez («a Roma fu mia condiscepola»: F. Hayez, Le mie memorie, a cura di F. Mazzocca, trascrizione di C. Ferri, Neri Pozza, Vicenza 1995, p. 117). 50. AMMe, Fondo Canonica, LIV, 734. 51. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 505, 510-513, 517, 518, 522, 527, 528. 52. Rovani narra i fatti traendoli «dalla tradizione orale e dal vago mormorio del pubblico contemporaneo, e da relazioni private e da racconti di testimoni». Aggiunge che «non sempre i documenti legali e depositati negli archivi svelano intera la verità [...]. L’induzione soltanto è un documento razionale e perpetuo» (G. Rovani, Cento anni, vol. V, a spese dell’autore, [poi] G. Daelli e C., Milano 1859-1864, libro XVII, p. 48 e capp. III e IV). Identifica in Giovanni Traversi e Francesca Milesi i mandanti principali dei fatti descritti indicandoli con il nome di Falchi (come conferma Carlo Dossi nelle note 3836, 3837, 5485 in C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Adelphi, Milano 2000 e come suggerisce Madini 1933, p. 177); i coniugi Traversi sono ricordati senza ricorrere a pseudonimo dal contemporaneo Cusani (Cusani, VII, 1861-1884, pp. 82-85 e pp. 127-148). Cfr. fra gli autori di quel secolo M. Fabi, Milano e il ministro Prina. Narrazione storica del Regno d’Italia (Aprile 1814) tratta da documenti editi ed inediti, in Alcuni scritti di Massimo Fabi preceduti dalle Notizie intorno alla vita e alle opere dell’autore, Tipografia di Francesco Monacelli, Fossombrone 1867, pp. 86-87, 94, 96 e anche G. Gallavresi, Per una futura biografia di F. Confalonieri, “Archivio storico lombardo”, IV s., a. XXXIV, 1907, fasc. 14, p. 432. I fatti sono ricordati da Stendhal nella prima edizione di Rome, Naples et Florence del 1817 alla data 18 luglio 1817: «Le compte Marescalchi m’a dit que toutes les pièces relatives aux assassins de Prina se trouvaient, en 1817, dans les archives de la police de Milan. On sait leurs noms et leurs motifs». Nell’edizione del 1826 l’argomento è trattato sotto la data 6 novembre 1816. 53. Carlo Porta dedica a Elena Viscontini Milesi i versi A la sura Lenin Millesi e in altro sonetto cita Bianca tra le pittrici milanesi più note (C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, nuova ed. riv. e accresciuta, Mondadori, Milano 2000, 80, p. 464, e 68, v. 61, p. 411). Vedi anche C. Porta, Le lettere di Carlo Porta e degli amici della Cameretta, a cura di D. Isella, 2a ed. accresciuta e illustrata, R. Ricciardi, Milano-Napoli 1989, pp. 222-223, 227-229, 413, 418). Stendhal ricorda la «belle figure de Monti, récitant chez M.lle Bianca Milesi le morceau du Dante sur Hugues Capet» (Stendhal, Rome, Naples et Florence en 1817, Delaunay, Paris 1817, 14 dic. 1816, p. 139). 54. Cattaneo, II, 1882, p. 452. Accenna a Bianca il Dossi nelle nore 3836, 5391 e 5392. 55. R. Barbiera, La principessa Belgioioso, da memorie mondane inedite o rare e da archivii segreti di Stato, nuova ed. riveduta, con appendice di documenti inediti e ritratti, Fratelli Treves, Milano 1930, p. 30. 56. D. Chiattone, Nuovi documenti su Federico Confalonieri, “Archivio storico lombardo”, IV s., a. XXXIII, 1906, fasc. 9, p. 86. L U I G I C A N O N I C A , L A V I TA 57. Madini 1933, p. 164. 58. Guicciardi 1970, pp. 65-74; Pillepich 2001, p. 391; G. Ricci, Il teatro a Milano tra fine Settecento e inizio Ottocento: dibattito e realizzazioni, in Un nuovo teatro applauditissimo. Lotario Tomba architetto e il Teatro Municipale di Piacenza, atti della giornata di studi (Piacenza 2004), a cura di G. Ricci, V. Anelli, Tip.Le.Co, Piacenza 2007, pp. 23-27. 59. D. Isella, Carlo Porta. Cinquant’anni di lavori in corso, Einaudi, Torino 2003, p. 164; M.T. Lanza, Porta e Belli, in C. Muscetta (a cura di), Letteratura Italiana Laterza, vol. XLIII, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. 3-69. 60. Pillepich 2001, p. 436. 61. Il 28 marzo 1810 Canonica comunica al Senato di essere in procinto di partire per Parigi, «onorevolmente chiamato da grazioso superiore invito» del Beauharnais (AMMe, Fondo Canonica, L. 595). Percier e Fontaine diressero e descrissero le decorazioni curate per le cerimonie del 1 e 2 aprile; Fontaine commentò l’avvenimento nel suo Journal (P.F.L. Fontaine, Journal, 1799-1853, vol. I, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Institut Français d’Architecture, Société de l’Histoire de l’Art Français, Paris 1987, pp. 256-258). 62. E. Colle, L’arredo di Palazzo Reale, in E. Colle, F. Mazzocca (a cura di), Il Palazzo Reale di Milano, Skira, Milano 2001, p. 214. Su informazioni tratte da Canonica da pubblicazioni diffuse in Francia e Inghilterra vedi G. Kannès, Luigi Canonica, Giocondo Albertolli e i primi spunti neogotici e romantici nella architettura lombarda, “Archivio storico ticinese”, a. XVIII, dicembre 1977, n. 72, pp. 171-186. 63. A.A. Tait, The Duke of Hamilton’s Palace, “Burlington Magazine”, a. CXXV, 1983, n. 964, p. 394. Devo questa informazione alla dottoressa Cecilia Hurley Griener, che qui ringrazio. 64. Precisamente: Francesco Pancaldi (1800-1802), Luigi Villa (1802-1803), Daniele Felici (1804-1806), Ludovico di Breme (1806-1809), Luigi Vaccari (1809-1814) (Pillepich 2001, p. 118). 65. A. Pfister, La vicenda della Reggia napoleonica veneziana e i progetti per il palazzo conservati nel Fondo Luigi Canonica, in Architettura e urbanistica in età neoclassica. Giovanni Antonio Antolini (1753-1841), atti del convegno (Bologna-Faenza 2000), a cura di M.G. Marziliano, Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza 2003, pp. 209-247. 66. F. Hoefer (a cura di), Nouvelle biographie générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à nos jours, vol. XXXIII, Firmin Didot frères, Paris 1860, s.v. Méjan (Étienne, comte), pp. 784-786. Su Méjan si esercitò la storiografia del suo secolo con giudizi negativi – ripresi a lungo dagli scrittori successivi – espressi in particolare in [F. Coraccini], Mémoires sur la cour du Prince Eugène et sur le Royaume d’Italie pendant la domination de Napoléon Bonaparte par un Français attaché à la Cour du Vice-Roi d’Italie, Audin-Urbain Canel, Paris 1824, p. LXVIII e p. 49 sgg., oltre che da Cusani, VI, 1861-1884, pp. 165-166, e da C. Cantù, Storia Universale, 8a ed. torinese riveduta dall’autore, 22 voll., vol. XII, parte I, Unione tipografico-editrice, Torino 18551858, p. 285, n. 15. Cusani lo descrisse «vano, adulatore, dedito ai piaceri, infatuato de’ suoi connazionali [...] fu d’inciampo, non di guida al giovane principe [...] si circondò di compatrioti inetti o viziosi, i quali lo screditaro- no affatto nella pubblica opinione». Cfr. A. Pillepich, Napoleone e gli italiani [Paris 2003], Il Mulino, Bologna 2005, pp. 79, 134; Pillepich 2001, p. 109. 67. Pillepich 2005, p. 134. 68. La nota ricordata, già più volte trascritta, è in ASMi, Presidenza del Governo, Atti riservati, Protocollo riservato, 1814, I, 59, 20 luglio: Notizie riguardanti l’architetto Luigi Canonica imputato di malversazione e frodi a danno della Corona. La denuncia indirizzata al «Direttore Generale» [della Polizia] rimanda per altre informazioni al Soprastante del palazzo governativo, «sig. Scala». Ricorda anche che già nel 1805 alcune voci diffuse avevano indotto il capo divisione del Ministero dell’Interno, Ticozzi, a ordinare una perizia sulle opere eseguite nella circostanza dell’incoronazione di Napoleone. L’impresario Domenico Fontana – assuntore dei lavori diretti da Canonica a Porta Marengo nel 1801 (AMMe, Fondo Canonica, XI, 203 e 209), alla Canobiana (1809) (AMMe, Fondo Canonica, XXI, 378 sgg.), oltre che al Palazzo Reale e altrove (1798-1799) (AMMe, Fondo Canonica, V, 32-33) – era, come Luigi Fontana (erede dell’architetto), figlio di Marta Canonica, moglie di Giovanni Battista Fontana. 69. In AMMe, Fondo Canonica, LIV, 732, uno scritto di Canonica si richiama a documenti inviati alla commissione austriaca incaricata di liquidare le pensioni dei funzionari decaduti dall’incarico. 70. Gallo 1996, p. 97. 71. AMMe, Fondo Canonica, XIX, 425-429; G. Gallavresi (a cura di), Carteggio del Conte Federico Confalonieri ed altri documenti spettanti alla sua biografia, 3 voll., Tipo-Litografia Ripalta, Milano 1910-1913, parte II,, sez. I, lettere: CCCXI, p. 70, 23 novembre 1818, CCCLI, p. 119, 4 luglio 1819, CCCLXII, p. 143, 3 agosto 1819, DCXLVI, p. 505 sgg., 30 agosto 1822, DCIL, p. 513, settembre 1822, DCLXIV, p. 530, 28 novembre 1822. Cfr. J. Soldini, Un progetto di Ateneo e bazar del conte Federico Confalonieri e dell’architetto Luigi Canonica, “La Martinella di Milano”, a. XXXVII, 1983, n. 1-2, pp. 410. J. Soldini, Luigi Canonica et la leçon des architectes révolutionnaires, “Gazette des Beaux-Arts”, a. CXXIV, 1982, t. XCIX, pp. 95-100. 72. AMMe, Fondo Canonica, LV, 480-568. 73. Lettera a Nicola Bettoli, da Milano, il 18 ottobre 1822 (E. Pezzani, Testimonianze di Luigi Canonica e Luigi Canina per il dibattito ottocentesco sull’architettura, “Aurea Parma”, a. LXXVII, n. 1, gennaio-aprile 1993, pp. 19-24). 74. AMMe, Fondo Canonica, XXXIII, 442, s. d., e 443, 30 gennaio 1826. 75. AMMe, Fondo Canonica, XXXV, 462, 7 novembre 1826. 76. AMMe, Fondo Canonica, XXXV, 561, 15 febbraio 1837. 77. L. Tatti, Canonica Luigi, in A.C. Quatremère de Quincy, Dizionario storico di architettura contenente le nozioni storiche, descrittive, archeologiche, biografiche, teoriche, didattiche e pratiche di quest’arte, vol. I, prima traduzione italiana di A. Mainardi, Fratelli Negretti, Mantova 1842, p. 341. A stagione neoclassica conclusa, in un saggio inedito trascritto da Stefano Della Torre, Luigi Tatti indicò nell’ancor vivo Canonica, in Antolini e Cagnola le personalità del secolo che più «frenarono gli ingegni, incatenarono un’arte per essenza liberale […] moltiplicarono i non artisti […] e sparsero una tediosa monotonia nelle fabbriche» (S. Della Torre, Architetto e ingegnere: Luigi Tatti (1808-1881), F. Angeli, Milano 1989, p. 136). LIII LUIGI CANONICA FUNZIONARIO. ARCHITETTO NAZIONALE E REALE Giacomo Pinchetti, Pianta della città di Milano, 1801; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. La costruzione di una brillante carriera di funzionario tra Repubblica Cisalpina e Regno d’Italia Aurora Scotti Tosini Le linee interpretative generali dell’attività di Luigi Canonica sono state fissate da tempo in un lucido contributo di Gianni Mezzanotte che ne metteva in risalto la formazione braidense, lo stretto rapporto con il potere napoleonico, gli interessi per le sistemazioni urbane, la qualità quasi impersonale della sua opera che divenne la premessa per il tecnicismo della Restaurazione; successivamente alcuni articolati studi di Jean Soldini hanno in maniera più specifica approfondito e chiarito forme e tempi del suo stretto rapporto con il potere napoleonico, mentre Paola Gallo ha indagato la sua attività di pubblico funzionario negli anni del governo francese.1 È indubbio che, sebbene Canonica abbia goduto di una lunga vita, fu negli anni napoleonici che egli esplicò al meglio le sue qualità di abile organizzatore e coordinatore d’imprese architettoniche, anche se risulta difficile, a parte l’Arena, riferirgli oggi in toto qualche specifico edificio; continuò poi la sua attività, dopo un periodo di conferma di un ruolo pubblico nella Restaurazione, soprattutto per una committenza privata, con una serie d’interventi su cui varrebbe la pena di approfondire le tracce interpretative suggerite da Mezzanotte e Soldini. In presenza di questo articolato quadro sembra tuttavia ancora utile ripercorrere le vicende degli esordi e della sua pubblica attività, cercando di mettere a fuoco il significato dei variegati incarichi nell’ambito di un contesto il più ampio e problematico possibile. Nella Milano dell’ultimo quarto del Settecento quando il ticinese Canonica vi si trasferì per provvedere alla sua formazione, l’iscrizione all’Accademia di Brera era certo una scelta obbligata, vista la riforma dell’apprendimento dell’architettura operata dal governo teresiano. Cambiando i percorsi didattici e ancorando la formazione degli architetti alla frequenza di un regolare corso di studi, si erano modificati gli statuti stessi della professione che, sottratta al controllo del Collegio degli architetti e degli ingegneri – che verificava quanto appreso nel tirocinio presso un ingegnere collegiato favorendo il formarsi di vere e proprie dinastie familiari (al cui interno si ereditavano cariche e documenti, e fra i quali la municipalità e i vari dicasteri amministrativi traevano i propri funzionari) –, puntava sulle qualità individuali, spingendo la pubblica amministrazione a scegliere in base al merito e aprendo la strada alla figura dell’architetto funzionario ancorato a un ufficio, più adeguato alla riorganizzazione dei dicasteri amministrativi che si era incominciata a profilare nelle monarchie assolutiste come quella asburgica e che, in maniera più radicale, fu poi caratteristica essenziale dell’età napoleonica.2 A Brera il professore di Architettura era Giuseppe Piermarini, che identificava il buon gusto non nell’imitazione di un unico modello ma nel contemperare l’ispirazione all’antico con lo studio delle soluzioni cinque-seicentesche, e con uno spiccato interesse per il confort distributivo mediato dalla trattatistica francese. Ma quello di Piermarini, se pure sorretto dalla sua fortunata carriera di «imperial regio architetto» e di «architetto delle fabbriche camerali», non era l’unico punto di riferimento possibile: i suoi modelli coesistevano infatti con gli ultimi esiti del tardobarocco lombardo, che avevano saputo arricchire le tecnologie tradizionali con i nuovi apporti al calcolo delle strutture derivanti dalla matematica sei-settecentesca, capaci di calarsi in un’eccellente gestione del cantiere esemplificata nel 1773 nell’episodio altissimo della costruzione della guglia del Duomo a opera di Francesco Croce; e coesistevano anche con il linguaggio, più direttamente ispirato all’antico nella semplificazione dei volumi e nella ricerca di un’eloquenza espressiva, esplicato chiaramente da Simone Cantoni in Palazzo Serbelloni.3 Canonica seguì da vicino le orme piermariniane diventandone, oltre che un promettente allievo, un possibile buon collaboratore. Piermarini nell’ambito delle sue molteplici attività di architetto e di professore aveva due validi collaboratori: Marcellino Segré, che lo aveva affiancato a Brera come assistente e poi come insegnante di Elementi di Architettura, e Leopoldo Pollack, che era succeduto nel 1786 al Segré in questo incarico. Segré aveva rilevato dal maestro la chiarezza funzionale delle piante e la euritmica, misurata e geometricamente calibrata impostazione dei partiti architettonici, ben visibile nell’ordinata presentazione grafica dei disegni, elegantemente inquadrati nel foglio ed eseguiti a sottili linee di contorno e con acquarellature a modulate tonalità di grigio, quella tecnica che lo stesso Piermarini aveva appreso dalla sua formazione romana e che trasmetteva ai suoi allievi come una estrema eredità dalle modalità didattiche imposte da Carlo Fontana all’Accademia di San Luca. Non a caso, oltre che servirsi di Segré per l’assistenza tecnica alle proprie architetture, gli affidava a volte anche la messa in bella dei propri disegni. Pollack era giunto a Milano con un’educazione di base già maturata a Vienna; aveva seguito con attenzione gli insegnamenti del maestro a Brera, maturando un linguaggio architettonico più articolato ed essenziale, che si traduceva in disegni dai contrasti cromatici decisi ed efficaci, con cui dava forma alle più plastiche invenzioni compositive per una raffinata committenza privata ma anche alle architetture più semplificate e seriali delle fabbriche di pubblica assistenza (come gli orfanotrofi) del governo di Giuseppe II. Piermarini aveva in un certo senso protetto i propri collaboratori, favorendo il passaggio di Segré alla pubblica amministrazione come addetto alla Guardaroba del Palazzo di Corte e poi come ispettore al servizio della Soprintendenza alle Fabbriche Camerali. L’appoggio dato a Pollack a Brera gli aveva facilitato l’accesso a incarichi pubblici come quello di architetto al servizio della Giunta delle Pie Fondazioni. La versatilità di 3 AU R O R A S C OTTI TOS I N I Roberto Focosi, Rassegna data alla Milizia in Milano da Bonaparte, 9 luglio 1797; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. Pollack lo poneva in contatto con una committenza privata che stava diventando sempre più esigente e per la quale era importante un più stringato confronto con gli ambienti internazionali; sia o no una commissione ereditata da Piermarini, Pollack progettò per Ludovico Barbiano di Belgioioso una villa in un’area strategica per la vita settecentesca, nei pressi del corso di Porta Orientale, sull’area della Cavalchina nelle adiacenze del pubblico passeggio, villa terminata nel 1793 e in cui i partiti piermariniani si erano piegati a un maggior decorativismo e a una maggior eloquenza, soprattutto nella fronte verso un giardino progettato raffinatamente all’inglese, mentre l’impianto stesso del fabbricato, con un corpo principale che mediava «entre court et jardin», sembrava riattualizzare l’impianto degli hotel francesi. Il 1793 fu anche l’anno in cui Pollack cercò con un viaggio a Roma al seguito del conte Serbelloni, il committente di Cantoni, di farsi un aggiornamento sulle più innovative esperienze architettoniche, seguendo però solo in parte i consigli di Giacomo Albertolli – nipote di Giocondo, il fedele collaboratore di Piermarini e 4 valido professore della Scuola di Ornato a Brera – d’indirizzarsi soprattutto verso gli architetti dell’Accademia della Pace, e d’incontrare Camporese, Quarenghi e Milizia.4 Se Segré aveva incarnato il prototipo dell’architetto funzionario, legato a un incarico pubblico con obbligo di residenza in ufficio e con una serie ben definita di compiti quotidiani, Pollack pur mantenendo l’incarico a Brera, ampliava negli anni Novanta la sua committenza privata oltre i confini milanesi. Il percorso iniziale di Luigi Canonica seguì queste stesse linee programmatiche: aveva ben approfittato degli insegnamenti di Piermarini, distinguendosi nel 1783 come un allievo particolarmente meritevole che, come ricordava nel 1786 il segretario di Brera Carlo Bianconi «aveva profitato moltissimo nell’architettura a segno di essere stato, per un suo disegno d’invenzione, rimunerato, e posta l’opera sua nella Sala dell’architettura ove tutt’ora si vede».5 Nel 1786 era diventato aiuto di Pollack alla Scuola di Elementi di Architettura prefigurando quindi una sua possibile successione in questo incarico. Negli stessi anni, sotto l’egida di LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO Piermarini era intervenuto nelle sistemazioni interne di Palazzo Resta in Borgonuovo – una contrada prediletta dalla nobiltà che aveva visto al lavoro Vanvitelli stesso oltre al Piermarini – con soluzioni decorative in cui dava prova di aver assimilato i modi di Giocondo Albertolli. Nel 17891790 dava ulteriore prova delle sue buone capacità d’invenzione nei diversi progetti di riorganizzazione della chiesa di Imbersago, con partiti d’ispirazione piermariniana ma più serrati nei ritmi compositivi del settore centrale scandito dalle coppie di lesene ioniche e coronato da un attico con frontone; nei primi anni Novanta aveva fornito qualche disegno per il Palazzo Resta.6 Anche nella tecnica del disegno il segno asciutto di Canonica e le acquarellature a scala di grigi denotavano la sua diligente assimilazione delle lezioni braidensi. Negli anni Novanta anche Canonica cercò un impiego nella pubblica amministrazione, poiché, forse proprio nel momento di passaggio tra il vecchio ordine austriaco e l’arrivo dei francesi, fece domanda per essere assunto dalla Municipalità di Milano come soprintendente all’illuminazione notturna, un servizio istituito come servizio autonomo municipale nel 1784, nell’ambito delle riforme centralistiche di Giuseppe II, per dotare le strade di Milano di lampioni, per «accrescere il decoro urbano e servire alla sicurezza dei cittadini nelle ore notturne»; l’ufficio aveva la propria sede nel locale di San Simplicianino nel cuore di Milano ed era stato mantenuto anche negli anni successivi, nonostante Leopoldo II avesse smantellato molte delle riforme giuseppine.7 La collocazione dei lampioni, la scelta della forma a uno o più bracci in relazione alla loro ubicazione, la fornitura e il controllo della miscela con cui andavano alimentati erano i compiti del funzionario responsabile, con implicazioni non secondarie sul decoro dello spazio urbano. Coll’arrivo delle truppe francesi nel 1796, nonostante le spesso citate furie giacobine, molti funzionari rimasero al loro posto o si videro confermati nei loro incarichi, facendo prevalere la competenza nell’esercizio delle proprie mansioni e, in un certo senso, l’autonomia del loro ruolo rispetto a chi aveva fatto le nomine. Questo si confermò anche dopo la promulgazione della nuova costituzione della Repubblica Cisalpina (legge del primo termidoro anno V; 19 luglio 1797) modellata in forme centralistiche, sull’esempio di quella francese. I poteri di governo erano ripartiti fra un corpo legislativo, articolato in due camere, e un corpo esecutivo, al cui vertice stava un Direttorio di cinque membri che nominava i ministri degli Interni (da cui dipendevano le amministrazioni centrali di dipartimento che vigilavano attraverso un commissario anche sulle municipalità distrettuali e comunali), di Affari esteri, Giustizia (con una magistratura indipendente, organizzata in un moderno sistema di tribunali), Finanze, Polizia (che attraverso il suo dicastero centrale vigilava anche sulle quattro municipalità in cui era divisa Milano). Marcellino Segré, che nel 1797 aveva inoltrato domanda per essere mantenuto in servizio, vantando una perfetta conoscenza del Palazzo Nazionale (già Arciducale) e della sua amministrazione che sarebbe stata utile per il riadattamento a sede del Direttorio esecutivo e dei relativi bureaux, ottenne di essere mantenuto alla cura della guardaroba del palazzo proprio per la sua professionalità, per la sua qualifica di onesto funzionario, anche se in quell’incarico Segré rimase poco.8 Anche due fra i più attivi professionisti degli ultimi anni austriaci, come gli ingegneri camerali Bellotti e Giussani, con molteplici mansioni di controllo delle acque e dei relativi stabili camerali sul territorio, puntualmente da loro ricordati in un curriculum presentato nel settembre 1796,9 furono mantenuti in servizio. A questa conferma in attività si deve ad esempio l’incarico al Bel- Leopoldo Pollack, Villa Belgioioso, poi Reale, Milano; fronte verso il giardino. lotti dell’agosto 1797 del progetto di trasformare la Chiesa di San Vincenzo in Prato in struttura per i corrigendi e di adattare la Casa di correzione per ospitare i detenuti nel Palazzo di Giustizia, incarico a cui l’ingegnere ottemperò redigendo disegni e una memoria con cui sconsigliava per ragioni di sicurezza l’uso per i corrigendi di San Vincenzo in Prato e suggeriva la comune sistemazione nella casa di correzione.10 Canonica svolse nel 1796-1797 la sua attività di soprintendente all’illuminazione notturna che, al di là delle già ampie incombenze previste dagli Austriaci e pur rimanendo un incarico municipale, assunse coi Francesi un’accelerazione inedita per la diretta implicazione nell’organizzazione delle numerose cerimonie e feste che caratterizzarono da subito il nuovo governo: le feste consistevano, sul modello francese, in parate militari con balli e giochi, diurni e notturni e necessitavano quindi di abbondanti illuminazioni, su cui si conserva una documentazione non del tutto esaustiva. Nelle carte d’archivio il nome dell’architetto compare esplicitamente, unitamente a quello del pittore Appiani, in occasione della festa per le ultime vittorie riportate dai Francesi del 16-17 febbraio 1797, e in quella per l’anniversario della morte di Maria Antonietta del 16 ottobre dello stesso anno, ma la sua presenza risulta implicita nei costanti riferimenti all’illuminazione degli edifici che facevano da sfondo alle cerimonie e ai balli, dal Teatro alla Scala, alla Canobbiana, al Palazzo Nazionale, al Campo della Federazione (ex Lazzaretto).11 L’attività di funzionario di Canonica era quindi indispensabile al nuovo governo e la sua qualifica di architetto lo rendeva disponibile anche a risolvere problemi legati con le strutture stabili e posticce necessarie per rendere più efficace lo svolgimento delle feste. Anche Piermarini nel 1796 era rimasto al suo posto di professore di architettura a Brera, mantenendo pure la qualifica di funzionario pubblico in quanto architetto camerale, e a lui non mancarono incarichi da parte del nuovo governo: il più rilevante fu quello di organizzare gli apparati per i festeggiamenti decisi il 14 maggio per celebrare il primo anniversario dell’entrata francese in Milano e nel quale Piermarini, oltre a collaborare con Andrea Appiani, coinvolse Canonica e Faroni e il pittore Landriani.12 La festa si svolse il 9 luglio 1797 al Campo della Federazio- 5 AU R O R A S C OTTI TOS I N I Gaetano Faroni, «Tipo in pianta del locale di Santa Prassede», Milano, [1803], legenda di Luigi Canonica; Milano, Archivio di Stato, Fondi Camerali, p.a., 35. ne sull’area dell’antico Lazzaretto fuori Porta Orientale: era uno spazio delimitato e definito, ma assai ampio e di grande capacità ricettiva, che fu trasformato negli accessi, attrezzato con palchi e sedili e opportunamente illuminato; vantava inoltre al suo centro un polo di riferimento, la pellegriniana Chiesa di San Gregorio a pianta ottagonale con prospetti aperti a serliana che garantivano la visibilità del suo interno da ogni parte del campo, e che fu trasformata aprendone la copertura e con addobbo effimero composto anche da fronde verdi in una specie di Altare della Patria, di cui resta un ricordo nell’incisione di Domenico Aspari Festa della Federazione della Repubblica Cisalpina. Giuseppe Piermarini aveva progettato e curato anche la costruzione effimera di un «Arco della Riconoscenza» la cui ampia struttura a tre aperture più che cimentarsi direttamente con un confronto con l’antico (ad esempio l’Arco di Costantino) sembrava riattualizzare gli studi fatti da Piermarini molti anni prima in concomitanza con il progetto per arco trionfale bandito dall’Accademia di San Luca come prova di seconda classe nel Concorso clementino del 1766, e che aveva visto la partecipazione di architetti internazionali.13 A queste esperienze riconducono l’impianto stesso dell’arco con un solo fornice centrale e due passaggi laterali architravati, l’alto attico e il fastigio terrazzato terminale; era stato naturalmente aggiornato l’apparato decorativo ad opera di Appiani con finti bassorilievi e statue in puntuale riferimento alle imprese francesi. Una scelta quella piermariniana di grande eleganza, ma che non poteva competere, quanto a no- 6 vità di linguaggio, con quanto si andava facendo in altre zone conquistate dai Francesi: basti pensare alle proposte più rigorosamente ispirate a un gusto archeologico presenti nel progetto per il monumento alla statua della Libertà redatto da Pelagio Palagi per Bologna nello stesso 1797, o al primo Arco progettato per Faenza da Giovanni Antonio Antolini a un solo fornice, con un dorico scanalato modellato su proporzioni non immemori di quelle del dorico di Paestum, direttamente apprezzato dall’architetto nel 1785, un esempio che rivisitava in chiave schiettamente archeologica i modelli compositivi già sperimentati da Camillo Morigia nelle Legazioni pontificie.14 Le feste milanesi, che comprendevano anche corse di cavalli da Porta Orientale a Loreto, sembravano confermare il ruolo determinante per la città dell’area di Porta Orientale, quella stessa direttrice che, legata alla partenza della via di Vienna, era stata la preferita dagli Asburgo d’Austria, ma che si qualificava anche come la zona urbana più attrezzata per verde e ampiezza di spazi. L’intensa attività municipale aveva forse allontanato Canonica dalla partecipazione ai concorsi pubblici, a partire da quello bandito il 24 luglio 1797 per le otto piramidi da erigersi nel campo della Federazione a commemorazione dei caduti francesi e italiani, concorso che vide fra i giudici Piermarini, Pollack e Appiani e che fu vinto da Giovanni Antonio Antolini, che dalla Romagna era stato accompagnato a Milano da un fedele giacobino, il conte Laderchi.15 La sua proposta introduceva a Milano il culto dell’antico e il gusto dell’imitazione: Antolini, seguendo alla lettera l’enunciato del concorso, aveva individuato nella forma geometrica della piramide, corpo regolare e semplice, il veicolo di possibile trasmissione universale e non cristiana dell’idea di tomba, e se ne servì per trasporla da simbolo dell’eternità in elemento celebrativo assoluto del valore giacobino di eroi guerrieri: le piramidi, che erano state un tema prediletto anche nelle scenografie o nelle composizioni fantastiche del Settecento, incarnavano in questo caso – come era avvenuto per alcuni elementi architettonici come l’ordine dorico – il rigore e l’eternità dei nuovi valori repubblicani. Era con questa novità di linguaggio che Canonica avrebbe dovuto misurarsi, in un contesto che esulava dalla sua formazione culturale e probabilmente, come aveva già osservato Jean Soldini, nonostante le affermazioni di fede patriottica, anche dal suo orizzonte politico. Ancora a Piermarini, nella sua qualità di architetto camerale, l’amministrazione francese si era rivolta nel giugno 1797 per la sistemazione dei locali necessari per i quattro tribunali costituzionali che la municipalità consigliava di sistemare nel locale dell’ex Convento teatino di Sant’Antonio: «La commissione sulla scorta del bravo architetto Pier Marini che ne possiede la pianta esatta e le cognizioni più precise dei locali lo ha attentamente esaminato. Lo zelo con cui Pier Marini si è graziosamente prestato in queste circostanze meriterebbe ch’egli fosse prescelto alla direzione delle riparazioni che necessitano».16 Piermarini e Canonica furono poi incaricati di adattare nel Palazzo Nazionale i locali per i membri del Direttorio e per i delegati;17 e ancora nel settembre del 1797 il ministro dell’Interno chiese a entrambi di esprimere un parere sulla conservazione al patrimonio ecclesiastico, sollecitata dal parroco e dall’arcivescovo, della Chiesa di San Bartolomeo, contigua ai locali della Canonica destinati al Ministero della Guerra.18 Era un’attività soprattutto pratica che investiva problemi di minuto riadattamento o di rilascio di pareri per cui risulta difficile ritrovare specifici disegni di Piermarini o di Canonica: i disegni necessari nei sopralluoghi o per ipotizzare le possibili trasformazioni erano soprattutto piante e, trattandosi di fabbriche ecclesiastiche o camerali, erano spesso già LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO disponibili. Il fatto che a Piermarini si fosse andato affiancando Canonica dimostra che l’autorità del professore andava comunque scemando, tanto che dagli ultimi mesi del 1797 non fu più interpellato come architetto camerale, pur conservando l’insegnamento in Brera, da cui si dimise l’anno successivo, lo stesso in cui subì un furto nella sua abitazione in Borgonuovo, e in cui si ritirò nella natia Foligno.19 Come previsto dalla sua carica municipale, Canonica aveva nel frattempo svolto incarichi inerenti al decoro delle strade: ad esempio il 17 nevoso (6 gennaio 1797) aveva verificato il possibile miglioramento della circolazione nel vicolo di San Bernardino sul fianco sinistro della Chiesa di Santo Stefano, dove si richiedeva la rimozione di un arco con catena ivi esistente: dalla perizia di Canonica si ricava che si trattava di un arco a tre fornici di cui il centrale, più ampio, poteva essere bloccato con una catena per impedire il passaggio dei carri per volontà del clero della Collegiata di Santo Stefano. Canonica diede una risposta prudente che consentiva l’abbattimento dell’arco ma, per il restringersi del vicolo, aggiungeva che si doveva porre «una colonnetta al centro dei limiti del vicolo più stretto» per non consentire il passaggio dei carri.20 Sempre come funzionario municipale con mansioni di decoro urbano dovette curare la cancellazione degli antichi segni del potere in tutta la città e per questo riceveva segnalazioni dagli ispettori di polizia dei singoli rioni e dal Dicastero centrale.21 La disponibilità dimostrata da Canonica nel rispondere alle richieste del Direttorio segnalava la sua ambizione a un passaggio di ruolo che si esplicitò nel dicembre 1797 quando, in anticipo sulla partenza di Piermarini, fece presente all’Amministrazione generale di Lombardia che «come sotto il passato governo così anche in oggi possa essere necessaria la deputazione di una persona per la Sovrintendenza e l’Ispezione delle Fabbriche pubbliche per gli occorrenti adattamenti e riparazioni e possa sembrar necessaria la deputazione di un architetto per i straordinari casi di pubbliche decorazioni»,22 avanzando la domanda di nomina ad architetto nazionale. Si proclamava animato da vero patriottismo, dichiarava d’aver accettato l’incarico alla pubblica illuminazione perché privo di commissioni private, e ricordava le molte incombenze già assolte nel corso dell’anno (per le feste pubbliche, per la sistemazione dei corpi legislativi, del Direttorio esecutivo, del ministro di Polizia e per gli adattamenti allo stabile della Canonica da destinare a sede per il Ministero della Guerra) e che l’avevano costretto in vari casi a delegare ad altri le proprie funzioni di re- Pietro Gilardoni, «Facciata da farsi di nuovo al fabbricato del locale di S. Vincenzino», Milano, s.d.; Milano, Archivio di Stato, Fondi Camerali, p.m., 36. 7 AU R O R A S C OTTI TOS I N I Benedetto Bordiga, Festeggiamenti per la pace celebrata in Milano al Foro Bonaparte, 30 aprile 1801; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. sponsabile dell’illuminazione notturna. La manovra nella sua tempistica sembrava essere stata concordata perché il Direttorio esecutivo, «soddisfatto dello zelo e attività con cui aveva risposto alle proprie richieste» nominava in via provvisoria Canonica architetto nazionale il 21 dicembre 1797 (1 nevoso VI), innescando le procedure per verificare la sua possibilità di rispondere a questo incarico che risultava incompatibile con quello dell’illuminazione notturna, da cui Canonica si dimise il 3 gennaio 1798, e riconoscendogli un indennizzo per i lavori d’architettura fino allora eseguiti, in particolare 300 lire per i lavori al Palazzo Nazionale e 1200 per la collaborazione alle feste. Dopo la nomina l’attività di Canonica dovette essere sollecita e continua, applicata soprattutto su quello che sembrava essere il compito essenziale, trovare e adattare stabili per gli uffici e per le strutture di governo, con un vorticoso giro d’ipotesi legate anche alle aspirazioni dei singoli ministri e con molteplici progetti di trasformazione, anche in relazione alla disponibilità degli stabili ex ecclesiastici sui quali c’era una pressante richiesta di utilizzo per gli alloggi delle truppe dell’esercito francese e della guardia nazionale, che coinvolgeva direttamente anche le autorità municipali. L’attenzione per la sistemazione del corpo di governo si concentrava so- 8 prattutto sui grandi stabili, dai collegi ai seminari, a importanti complessi monastici come Sant’Antonio dei Teatini, mentre per altri complessi si procedeva a spezzettamenti o, anche, per risolvere problemi di necessità sempre crescenti di denaro, ad alienazioni mirate al miglior offerente. Le piante degli edifici erano disponibili o venivano elaborate ad hoc da ingegneri che erano in servizio presso i vari comparti amministrativi, ma era compito dell’architetto nazionale redigere degli inventari precisi dei materiali esistenti, deciderne la destinazione, porre gli stabili stessi in sicurezza per evitare danneggiamenti e saccheggi, controllare le spese: si veda ad esempio la cura per l’edificio dell’ex Collegio Elvetico, già destinato dagli austriaci a sede governativa e per il quale Canonica fece verifiche sullo stato dello stabile, definendo la somma da corrispondere al portiere del collegio che ne era stato di fatto il custode (12 maggio 1798).23 Fra i primi compiti dell’architetto nazionale ci fu quello di dare una congrua sistemazione al Ministero della Guerra, allora in parte collocato in un casino dipendente dalla Canonica – spesso indicato col nome di Seminario perché, oltre a essere già destinato ad accogliere i seminaristi che non avevano compiuto gli studi, aveva accolto i seminaristi provenienti dal Collegio Elvetico quando era stato destinato da Giuseppe II a sede LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO del Consiglio di governo24 – dove fu allora trasferito anche il Corpo Legislativo de’ Seniori, prima provvisoriamente sistemato nell’ex Convento di San Damiano alla Scala e per cui Canonica realizzò e attrezzò una grande sala.25 Per un riassetto del Ministero della Guerra ci si indirizzò all’ex Collegio Elvetico, di cui resta un chiaro disegno dell’architetto conservato nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio: il 22 giugno 1798 l’architetto preparò un articolato piano di spesa di lire 18.000, ottenendo l’appoggio dello stesso ministro che aveva a cuore la sistemazione della propria abitazione e dei suoi uffici. Le principali maestranze utilizzate furono il capomastro Ambrogio Crippa, i fratelli Pozzi fornitori di pietre, Domenico Riva come esecutore per i pavimenti; i documenti riportano poi pagamenti per i camini di marmo e pitture nell’appartamento del ministro, le cui decorazioni a chiaroscuro vennero eseguite da Gio- vanni Vaccani con indorature fatte dal Carabelli.26 I lavori si svolsero tra 1798 e 1799 ma finirono per essere del tutto saldati e lo stabile utilizzato per il Ministero solo dopo la parentesi del ritorno degli Austriaci nel breve periodo 1799-1800 che vi ricollocò il Consiglio di Stato. Nel 1798 Canonica si occupò di sistemare in Brera la Scuola di Incisione che era stata istituita nel 1790;27 nel gennaio fece un sopralluogo all’Ospedale Maggiore coll’ingegner Besana e il medico Crespi per attuare il progetto già redatto nel 1794 dall’ingegner Castelli architetto dell’Ospedale, della costruzione di un nuovo braccio.28 Nel febbraio dello stesso 1798 lo troviamo implicato nell’assegnazione delle stanze sull’area di San Damiano alla Scala alla Società del Teatro Patriottico, un’associazione fondata il 16 piovoso anno VI (4 febbraio 1798) «per edificare, amministrare e reggere un teatro all’effetto di emendare e formare i costu- Pietro Gilardoni [?], Palazzo Diotti, Milano, pianta del piano terreno, 1803; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 11, BC 310. 9 AU R O R A S C OTTI TOS I N I mi di una nazione e ad istruire il popolo col mezzo piacevole delle sceniche rappresentazioni, per migliorare l’arte drammatica».29 Conosciamo, da un disegno dello stesso Canonica del 1802 col rilievo di tutta l’area appartenuta al convento, lo schema della sala allora proposta (a ferro di cavallo secondo un modello piermariniano ricavato all’interno della Chiesa a pianta centrale di San Damiano), così come abbiamo il progetto non eseguito per la facciata del teatro predisposto dal Pollack.30 La commistione Canonica-Pollack sembra documentare comunque che, più che per precise scelte linguistiche per le quali ci si riferiva al professore di Brera, l’architetto nazionale era interpellato e chiamato a decidere soprattutto su aspetti eminentemente funzionali ed economici, cosa che gli consentiva comunque una contiguità con gli esponenti più rilevanti del governo. Ancora su richiesta del ministro dell’Interno ci fu la visita del 19 marzo 1798 al refettorio di San Francesco Grande per verificare la legittimità e la convenienza della vendita dei sedili del refettorio del convento da adattarsi a scuderia delle truppe.31 Per il ministro della Giustizia, Canonica propose alcuni riattamenti nelle sedi delle Carceri: nel marzo-aprile del 1798 visitò alcuni locali nelle vicinanze del Palazzo di Giustizia per collocarvi le abitazioni degli infermieri e nello specifico preparò anche due rilievi in pianta, sobriamente disegnati e con acquarellature in grigio e rosa per sottolineare le pareti da rimuovere e da mantenere.32 Per lo stesso ministero si occupò di attrezzare i locali per i tribunali, a partire da quelli collocati nella piazza del Broletto e nel Palazzo dei Giureconsulti non più organo privato del collegio: in questo contesto rientra anche la cancellazione delle mitrie pontificie che ricordavano sull’edificio la committenza di papa Pio IV Medici, incarico che si ricollegava alle precedenti mansioni di Canonica. Per questi simboli furono sollecitudini economiche e di tempo a suggerire la loro trasformazione in berrette repubblicane (4 giugno 1798), in quanto passibili di essere eseguite con un solo ponte mobile e nel tempo di una settimana colla modica spesa di lire 120 circa.33 Il 25 ottobre l’architetto fece un sopralluogo al circolo costituzionale collocato nell’ex Chiesa di Santa Maria alla Rosa34 in cui si era verificata la caduta di una porzione di soffitto di una delle volte. La perizia da lui stesa è interessante perché riferisce che la volta, pur essendo molto antica e quindi fatta con incannicciato, avrebbe potuto ancora reggere grazie alle sue catene in ferro purché si fosse rifatto il tetto per evitare le infiltrazioni d’acqua che erano state la causa della caduta e che, avendo imbevuto il soffitto, potevano provocare altri cedimenti d’intonaco, suggerendo quindi un diverso uso del locale e indicando come ottimale la destinazione a magazzino. Forse sulla base di queste considerazioni Canonica dovette suggerire come sede del circolo la vicina Chiesa di San Sebastiano.35 Il ministro delle Finanze che aveva molteplici e importanti stabili sotto la propria giurisdizione (Fabbrica del Tabacco, Dogana, Ricettoria delle Poste, Uffici finanziari in Palazzo Marino) aveva comunque iscritto dal luglio 1797 nel ruolo di propri impiegati un architetto, Gaetano Faroni, che, come ispettore e controllore, si era ben comportato in tutte le incombenze ricevute anche dagli uffici della sanità per i locali militari.36 La scelta era stata motivata dal ministro col fatto che, a eccezione dei casi veramente importanti in cui si chiedeva l’intervento di un architetto camerale, in genere i lavori d’ordinaria amministrazione venivano fatti da un capomastro che faceva sopralluoghi, decideva gli interventi e stabiliva il compenso, creando un conflitto di competenze e d’interessi. Faroni doveva visitare i locali da ripararsi, sorvegliare l’esecuzione dei lavori e concorrere col suo parere alla liquidazione delle spe- 10 se per gli stabili del Ministero. Anche in questo caso però un parere definitivo andava richiesto all’architetto nazionale. La carriera di Canonica proseguì senza troppe emozioni progettuali nel successivo anno 1799: nel marzo adattò per i censori della Contabilità nazionale i locali di San Fedele37 e, successivamente, adibì una porzione del caseggiato di Sant’Apollinare e Santa Sofia per Armeria nazionale;38 il 5 giugno (17 pratile anno VII) attrezzò a caserma del Corpo di Guardia legislativo il fabbricato dei giardini pubblici progettato da Piermarini per comodità del pubblico passeggio, facendo sgombrare le stanze a pian terreno occupate da un privato per servizi di ristoro.39 L’improvviso ritorno della Lombardia sotto gli Austriaci interruppe la carriera di Canonica che fu sostituito nella carica di architetto nazionale da Leopoldo Pollack; tornò però a subentrargli nuovamente, su esplicita richiesta, alla riconquista napoleonica del Milanese, dopo la battaglia di Marengo del 1800.40 L’avvio della seconda Cisalpina si segnalò per un ruolo ancor più rilevante assunto da Napoleone nell’incarnare le speranze di rinnovamento, attirando a Milano vari artisti e intellettuali che vedevano aprirsi nuove prospettive operative: fra di essi spiccano artisti di primo piano come il già citato Antolini, Felice Giani, Giuseppe Pistocchi, Paolo Bargigli (che avevano tutti un passato di attività a Roma e, in qualche caso, con impegno diretto nelle celebrazioni giacobine della Repubblica Romana), ma anche letterati e intellettuali come Leopoldo Cicognara, Vincenzo Cuoco, Ugo Foscolo e il lombardo Giuseppe Bossi. Canonica, reintegrato architetto nazionale, se non nel 1800 di certo nel 1801, fu direttamente impegnato nella progettazione di una nuova Porta Marengo destinata a sostituire l’antica Porta Ticinese, un progetto a scala urbana oltre che architettonica e che si segnalava per la definizione dei volumi e la severità del linguaggio, utilizzando il bugnato, e le membrature dell’ordine dorico accanto, oltre a bassorilievi e gruppo scultoreo terminale.41 Di contro a queste scelte il concorso subito bandito per la costruzione di una colonna destinata a celebrare la vittoria di Marengo fu vinto ancora una volta da Giovanni Antonio Antolini con un progetto più rigorosamente all’antica, una semplice e severa colonna dorica poggiante su un piedestallo con gradini e figure allegoriche agli angoli, poi sostituito da un più elaborato disegno con uno zoccolo circolare, un tronco di colonna e un gruppo scultoreo con Napoleone incoronato dalla Vittoria, una variante che si inseriva perfettamente come episodio celebrativo in un altro progetto allora elaborato dallo stesso architetto, quello per un grandioso Foro Bonaparte sull’area dell’antico Castello. Cogliendo le possibilità implicite nell’ordine di smantellamento del suo circuito a sei bastioni, Antolini aveva infatti preparato un progetto urbano innovativo che portava a Milano le forme di un neoclassicismo archeologico basato su volumi puri ed essenziali capaci di simboleggiare un rinnovamento generale di vita e di costumi.42 Il Foro era un’amplissima piazza circolare circondata da colonnati dorici, destinata agli eventi pubblici di quella che si sperava essere una nuova, libera repubblica, ma anche pensata come nuovo centro per la città, dotato di edifici per l’istruzione, il commercio, la finanza, la cultura e il culto delle memorie, commisti ad abitazioni civili e ornato da monumenti celebrativi con Napoleone incoronato dalla Vittoria e dalla Fama per i quali aveva elaborato dei suggestivi schizzi anche Felice Giani.43 Rispetto al linguaggio fino ad allora declinato dagli allievi di Piermarini si trattava di una vera rivoluzione, perché si affermava un’architettura di per sé eloquente, basata su un’ispirazione all’antico che imponeva volumi architettonici netti, severi colonnati architravati LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO Prima idea per l’arco provvisorio eretto in occasione dell’ingresso di Napoleone a Milano, [1807]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, D 455. 11 AU R O R A S C OTTI TOS I N I «Pianta generale dimostrante il piano terreno del Palazzo Reale di Milano e del nuovo fabbricato delle scuderie, rimesse e maneggio annessi», 1809; Lugano, Biblioteca cantonaleMendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 1, BC 279. 12 «Pianta generale dimostrante il piano de mezzani del Palazzo Reale di Milano e luoghi annessi», 1809; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 1, BC 281. LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO che riattualizzavano il modello degli antichi fori, riproposto però in forma circolare, la più perfetta e utopica delle figure geometriche e che dava anche concreto sbocco operativo ai molti disegni d’invenzione presentati ai concorsi accademici romani da architetti italiani e francesi. Il vasto piano di Antolini era disegnato con efficacia, descritto con appassionato discorrere, e rivendicava per l’architettura un preciso spazio politico; un progetto non meramente rappresentativo ma propositivo, che ridiscuteva, sotto il pretesto dell’elogio al Bonaparte, forma e funzione della città storica. L’architettura, e nello specifico l’architettura pubblica, si qualificava per la sua utilità e per la valenza civile, come aveva incominciato a prefigurare la più illuminata cultura milanese degli anni tardoaustriaci (da Verri a Parini) e come si preparava a sostenere con più decisione la critica attenta di Giuseppe Bossi, nominato nel 1801 nuovo segretario di Brera. Il progetto antoliniano compare nella pianta della città di Milano edita nel 1801 dall’incisore Giacomo Pinchetti che lo elenca al primo posto fra gli edifici dell’amministrazione pubblica e le fabbriche più rappresentative della città, seguito da: Palazzo Nazionale; Palazzo della Consulta; Palazzo Marini (residenza del Governo, di Finanza e Dazi); Broletto; Residenza dei Tribunali civili e Collegio degli Avvocati e Notai; Residenza del Tribunale superiore; Palazzo di Giustizia; Archivio pubblico; Archivio di San Fedele; Ufficio generale del Censo; Camera di Commercio; Ginnasio pubblica Università e Scuole di Brera; Teatro grande alla Scala; Teatro piccolo alla Canobbiana; Biblioteca Ambrosiana; Ufficio della Posta per lettere; Ospedale Maggiore; Amministrazione del Fondo di Religione; Teatro Patriottico; Zecca; Casa di Correzione; Fabbrica del Tabacco; Casa del lavoro volontario; Seminario. Si trattava delle fabbriche che rientravano sotto il controllo dell’architetto nazionale. Sebbene fosse stato in linea di massima approvato nello stesso 1800, il progetto del Foro Bonaparte non decollò: l’area era stata assegnata al controllo dei militari che, con le truppe del genio, avevano provveduto a demolire i sei bastioni cinquecenteschi e a spianare l’area davanti al castello, e il 16 febbraio 1801 il Governo comunicava ad Antolini che per i lavori del Foro Bonaparte gli era stato affiancato Canonica in quanto architetto nazionale, sollecitando entrambi a segnare sul terreno il perimetro dell’area destinata alla sua realizzazione e a predisporre la lapide da apporre come prima pietra per l’inizio dei lavori. L’ordine suscitò l’indignazione di Antolini che a stretto giro di posta, il 17 febbraio, replicava al presidente di Governo, Luigi Sommariva, con una lettera piccata, ma nella quale riconosceva quelle doti di attento funzionario fino allora dispiegate da Canonica: «Niuno più di me stima il merito di questo Professore, come ho più volte significato al governo, ma voi sarete altresì persuaso che niuno fuori dell’Autore può avere la scienza dell’opera che ha immaginata, la quale, dopo l’idea generale, sta principalmente riportata in nuovi grandi studi e applicazioni per lo sviluppo dei dettagli in particolare di tutte le immense parti che compongono l’opera medesima. Ciò ritenuto, io debbo fare, e lo desidero di avere sempre con il cittadino Canonica dei concerti per quella parte che riguarda la pratica, e la facilità dell’esecuzione, non già correre rischio di appoggiarne l’Ordine della medesima a doppia opinione col ritardo del servizio pubblico, e della mia quiete, che mi deve essere cara».44 Le preoccupazioni di Antolini non erano infondate. Da un lato il riferimento delle capacità di controllo degli aspetti funzionali di base di un progetto adombrava il riconoscimento di queste caratteristiche presenti nella proposta di trasformazione dell’area del Castello presentata da Ca- Palazzo Reale, Milano, veduta della sala delle Colonne (foto P. Manusardi). Palazzo Reale, Milano, sezione trasversale della Sala delle Colonne, [1815 ca]; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 1, BC 282. 13 AU R O R A S C OTTI TOS I N I nonica il 13 luglio 1800 (che prevedeva anche un arco trionfale per Napoleone), e di quella, forse da lui appoggiata, per un piano di nuova viabilità attorno al quadrilatero del Castello formalizzato dall’impresario Giuseppe Cassina il 15 settembre dello stesso anno: in entrambi prevaleva l’indicazione degli elementi viabilistici e distributivi generali, mentre la realizzazione delle architetture era affidata all’iniziativa privata,45 eludendo qualsiasi riferimento a una missione civile e repubblicana dell’architettura, fondata sulla rivitalizzazione della cultura dell’antico, che caratterizzava invece la proposta di Antolini, accompagnata anche da un preciso piano economico politico. D’altro lato il governo napoleonico si preparava a una svolta moderata e riformista che privilegiava il ceto di possidenti mantenendo il controllo delle terre conquistate dalle armate francesi, una svolta che rendeva irrealizzabile il progetto antoliniano e che fu sancita anche dai Comizi di Lione che trasformarono nel 1802 la Cisalpina in Repubblica Italiana, alla cui guida fu posto come vicepresidente il conte Francesco Melzi, mediatore capace ed equilibrato anche se convinto della necessità di dare autonomia alla Repubblica stessa.46 Del resto Canonica già nel 1801, quando si era occupato, mentre Antolini era a Parigi per presentare il suo progetto direttamente a Napoleone, di organizzare la cerimonia della posa della prima pietra del Foro Bonaparte (congiuntamente con la celebrazione delle feste per la Pace di Lunéville, tenutesi proprio sulla spianata del Castello e per le quali Paolo Bargigli aveva progettato apparati che ricordavano, dal tempio periptero ai monumenti celebrativi, le strutture effimere della festa in piazza San Pietro della Repubblica Romana del 1798), aveva scelto di non apporre un segno incisivo e tangibile di una lapide o di una stele iscritta poiché, come lui stesso affermò nel 1807, si era soltanto interrata un’urna con alcune medaglie coniate espressamente per quella cerimonia.47 In ogni caso, da quando il 6 agosto 1800 aveva ripreso il suo lavoro di architetto nazionale, Canonica era ritornato con solerzia a occuparsi della sistemazione degli uffici pubblici e della manutenzione degli stabili di governo destinati ad ampliarsi nel vorticoso movimento di dignitari, ambasciatori, generali e ministri che, a somiglianza di quanto avvenuto in Francia, cominciavano a essere assai più esigenti e ricercati nei propri appartamenti. Nel 1801 alla Villa Belgioioso, che era stata affittata per un triennio dalla Nazione e che fu destinata a temporaneo soggiorno della madre di Napoleone e poi per l’alloggio del generale in capo Murat, Canonica si occupò di rendere più capace il canale per la fornitura d’acqua del giardino, della messa in sicurezza dei tetti, del recupero della sala grande al primo piano che mancava di serramenti e del pavimento, facendo redigere da Gilardoni i rilievi e la segnalazione dei lavori necessari stanza per stanza.48 Questo risulta particolarmente importante perché il rapporto fra il salone d’onore e la sala retrostante con apertura a tre archi definito da Pollack per Villa Belgioioso e riallestito in senso più monumentale da Canonica fu poi modello per il riattamento attuato da Gilardoni dell’appartamento del Ministero dell’Interno in Palazzo Diotti. Per il Ministero dell’Istruzione l’architetto nazionale moltiplicò gli interventi a Brera, a partire dalla sistemazione della nuova Scuola di Prospettiva nel novembre del 1800 con ancora Carlo Bianconi segretario, proseguendo con la stima e le osservazioni sulle trasformazioni effettuate nell’abitazione che Bianconi si preparava nel 1801 a cedere al nuovo segretario Giuseppe Bossi, e poi con le ispezioni alle scuole inferiori che risultavano carenti di stufe, e le proposte per rendere più idoneo l’ambiente per la Scuola del Nudo in dialettica con le proposte del segretario Bossi49 e, ancora, con le ispezioni alle stanze della Biblioteca nazionale per am- 14 pliare le sale di lettura e chiudere gli scaffali aperti per evitare danneggiamenti e con le verifiche sullo stato delle serre dell’Orto botanico (e oltre a Milano anche a quelle dell’Orto botanico dell’Università pavese).50 Con la Repubblica Italiana nel 1802 un nuovo cambiamento interessò la gestione dei palazzi pubblici, perché per impulso del vicepresidente Melzi prese avvio la costituzione della Soprintendenza nazionale, a cui veniva affidata la gestione di tutto il patrimonio edilizio dello stato e che fu subito operativa, anche se il definitivo perfezionamento della pratica d’istituzione si ebbe solo nel 1804. Canonica dal 1802 divenne quindi soprintendente affiancato da Alberto Alemagna come responsabile della contabilità e da due collaboratori fissi: Gaetano Faroni, che passava alla Soprintendenza dal Ministero delle Finanze, e Pietro Gilardoni, di cui probabilmente Canonica apprezzava l’abilità grafica e l’impegno professionale, e che era apprezzato anche dal Melzi.51 A Canonica facevano capo tutti gli stabili nazionali posti sotto il diretto controllo del ministro dell’Interno e che riguardavano i Ministeri dell’Interno, delle Finanze, della Giustizia, della Guerra, del Tesoro, delle Relazioni estere, del Culto. Canonica gestì allora ufficialmente un patrimonio imponente, condividendo i compiti con i suoi collaboratori che godevano di autonomia sul lavoro ma le cui decisioni dovevano tutte essere da lui ratificate e non erano suscettibili di variazioni. Faroni e Gilardoni erano incaricati di controllare e rispondere alle richieste dei vari ministeri e a loro si ordinavano sopralluoghi puntuali in caso di necessità: dalla visita eseguita il 24 maggio 1802 da Faroni a Palazzo Marino, sede dell’amministrazione finanziaria, per verificare i danni in seguito a una scossa di terremoto, che rilevò la sola necessità di un rinforzo alle travature del tetto,52 alle ispezioni e proposte di Gilardoni per gli stabili destinati alla pubblica istruzione, come il sopralluogo ai locali di Sant’Agnese per stabilirvi delle Scuole normali;53 mentre fu direttamente Canonica a ispezionare e autorizzare in data 14 maggio la sopraelevazione richiesta dal cittadino Mojoli per il locale di Santo Spirito nei pressi della scala dove si facevano le lezioni delle scuole normali purché si impegnasse a mantenere le scuole nella loro collocazione,54 o a eseguire le ispezioni e perizie ai locali dell’ex Convento teatino di Sant’Antonio, su cui pure erano già intervenuti nel 1802 gli ingegneri Quarantini, decano dei periti d’ufficio del Censo, e Torelli, perito della cessata Agenzia dei Beni nazionali.55 Canonica nella sua attività sembrava ricavarsi un ruolo oltre che di tecnico anche di consigliere e di indirizzo, pur pronto ad adattarsi agli ordini dei ministri. Quello che poteva essere sottratto al controllo di Canonica era a volte il seguire materialmente i procedimenti per l’alienazione parziale di edifici nazionali, per cui si potevano utilizzare anche altri ingegneri: il 9 febbraio 1802 è l’ingegnere Lochis per la Commissione dell’Amministrazione del Fondo di Religione in opposizione al delegato del dipartimento d’Olona ingegner Calvi, a decidere dell’alienazione di parte della canonica della Chiesa di San Celso e analogamente avvenne per alcune aree di Sant’Eustorgio; nello stesso anno furono gli ingegneri del Censo Quarantini e Pirovano a occuparsi dei locali di San Carpoforo.56 Alcuni di questi edifici ex religiosi erano stati assegnati all’esercito per gli alloggiamenti dei militari e l’esercito tendeva a decidere in proprio trasformazioni e cambiamenti. Un rapporto dell’ispettore delle caserme Galliori del 180257 risulta particolarmente utile per fare il punto della situazione censendo gli stabili che nel corso del 1801-1802 erano entrati sotto il suo controllo e il panorama risulta assai articolato. Gli acquartieramenti dei reggimenti erano al Foro Bonaparte, a San Simpliciano, in Santa Maria Incoronata, in Santa Teresa, in Sant’Angelo, in San Marco, in Santa LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO Palazzo del Senato, Milano, aula senatoriale, sezioni, [1809]; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, BC 314. 15 AU R O R A S C OTTI TOS I N I Palazzo del Senato, Milano, prospetto, [1809]; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, Fondo Cagnola, 2353. Margherita (dove stava la prefettura di Polizia), a San Luca (con veterani e invalidi), a Sant’Eustorgio, a Santa Maria del Paradiso, a San Vittore, al Campo della Federazione, a Sant’Agnese, a Santa Maria delle Grazie, mentre altri stabili erano dichiarati come venduti (Maddalena Nera, Vettabbia e San Lazzaro), la chiesa del Giardino risultava concessa a un appaltatore legato all’esercito, la Passione era adibita ad abitazione di povere famiglie, i Giardini Pubblici erano a disposizione del Ministero dell’Interno, la Chiesa della Pace era stata restituita ai frati e anche San Vincenzo in Prato avrebbe dovuto essere restituita, mentre per il Convento di San Francesco Grande si precisava che era attribuito a non specificati modellatori italiani, e per San Girolamo che era adibito a magazzino dell’amministrazione municipale. L’esercito con i suoi funzionari e con i propri ingegneri era perfettamente in grado di provvedere alle trasformazioni di questi stabili di cui rivendicava il controllo, e non è un caso che solo in alcuni casi troviamo citato per lavori in caserme l’architetto nazionale prima e il soprintendente poi. Emblematico risulta ad esempio il caso del Convento di San Francesco Grande: una delle questioni aperte ereditate dal primo governo cisalpino era la destinazione di uno stabile per gli orfani per i quali in età austriaca Piermarini aveva adattato l’ex Convento di San Pietro in Gessate. Destinato dai Francesi ad altre emergenze, gli orfani erano stati trasferiti provvisoriamente in altri stabili compresa Brera. Nell’ottobre 1802 la loro sistemazione definitiva venne ridiscussa contestualmente a quella dell’istituzione di un magazzino generale di abbigliamento, prendendo in considerazione gli stabili di San Pietro in Gessate e di San Francesco.58 Sul tema furono redatte due perizie del tutto discordanti: quella del capo battaglione Buonvicini che optava per la collocazione del magazzino in via esclusiva nel locale di San Pietro in Gessate, e quella di Canonica che proponeva invece il San 16 Francesco, motivando la scelta di lasciare gli orfani a San Pietro in Gessate con la necessità di minori interventi di risistemazione edilizia e con la collocazione urbana del complesso, più vicino a luoghi di commercio e alle botteghe necessarie per il loro avviamento al lavoro, riprendendo le motivazioni che erano state di Piermarini. In questo caso fu il vicepresidente Melzi a decidere di accettare il parere di Canonica confermando in San Francesco il magazzino di abbigliamento. Il parere di Canonica era stato ben ponderato perché già nel giugno del 1802 aveva fatto un’ispezione alla Chiesa di San Francesco in compagnia dell’amministratore Andreoli, discutendo sulla base di un grande disegno dell’ingegner Lochis, se concedere al cittadino Cominetti una porzione di locale attiguo a quello che già questi possedeva, ma fu ancora Canonica a occuparsi della trasformazione di parte della chiesa ad Archivio di Deposito di Governo, a decidere di non aggiungere altri spazi del convento a quelli del corpo centrale della chiesa come richiesto dall’appaltatore degli «effetti di casermaggio» Martinez, e facendo infine scorporare dall’ingegner Ferrante Giussani la parte che era stata richiesta per acquisto dal cittadino Serafino Visconti d’Aragona,59 prefigurando un possibile spezzettato riuso del complesso e una sua parziale alienazione. Nell’estate del 1802 fu invece il ministro degli Interni, che aveva competenza sulle opere pubbliche, a comunicare al ministro delle Finanze di avere interpellato il ministro della Guerra e contestualmente il soprintendente alle fabbriche sull’alienazione di alcuni beni nazionali. Si trattava di stabili ex ecclesiastici sui quali si erano concentrati soprattutto gli interessi del Ministero della Guerra perché adibiti a caserme per le numerose truppe stabili e di passaggio: nell’elenco figuravano il locale della Maddalena Nera, di Sant’Antonio, di San Girolamo, di San Vincenzino e della Canonica della Passione.60 Il dibattito rimarca il ruolo di fun- LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO zionario attento e previdente di Canonica che ricorda al ministro la necessità, presente e ancor più futura, di dover dare un alloggio stabile agli uffici dei corpi di governo contemplati dalla costituzione repubblicana, sottolineando che al momento due soli ministri erano collocati stabilmente in locali nazionali, mentre il tribunale di cassazione e quello di revisione erano alloggiati in locali provvisori e i giudici, pur contemplati nel piano di governo, non avevano neppure un locale assegnato. Inoltre mettendosi in attività la gendarmeria o altre guardie di polizia sarebbe stato necessario disporre degli opportuni alloggiamenti in varie parti della città tanto per il corpo a piedi che per quello a cavallo, per i coscritti e per i relativi uffici e magazzini; infine c’erano le crescenti necessità della pubblica istruzione. L’ex Convento di San Vincenzino era occupato dai magazzini per i materiali necessari alle fabbriche e alle feste nazionali, v’erano due abitazioni di scultori (il lapidario Cittadini e il pensionato Locatelli), vi teneva le proprie sedute il Consiglio di guerra e l’amministrazione delle strade vi conservava le lastre per la pavimentazione delle vie cittadine; altre stanze erano destinate agli alloggi dei professori di Brera e infine si sarebbero dovute alloggiare in quello stabile le macchine da incendi e le persone che dovevano averne la custodia che andavano ivi trasferite da San Gerolamo. Questo a sua volta era occupato da pubblici dipendenti che sarebbe stato necessario ricollocare in caso di alienazione. Quanto al Sant’Antonio il giudizio era ancor più netto poiché Canonica riteneva che fosse troppo importante (era infatti una fabbrica ampia regolare e centrale) per non essere destinato a un uso pubblico di rilievo, tanto che aveva ritenuto utile sospendere il contratto d’affitto già accordato al cittadino Sacco per il pur benemerito, e di grande interesse per la municipalità, laboratorio di vaccinazione pubblica. Vista l’integrità dello stabile e la sua ampiezza, Canonica lo proponeva come sede del Ministero dell’Interno definendo un piano preciso di distribuzione degli spazi, in relazione alle specifiche necessità, consistenti in un appartamento per il ministro e per la sua segreteria, sei sezioni amministrative con cinque stanze per due sezioni, quattro stanze per la sezione di polizia, quattro-cinque stanze per uffici protocollo, spedizione e archivi, tre stanze per l’ufficio contabilità, tre stanze per le tasse, quattro stanze per l’Ufficio legale nazionale, un numero ancora non definito per l’ufficio del censo e poi le stanze per il corpo di guardia e per il custode. Il ministro aveva però altri programmi e fece confermare l’alienazione parziale al dottor Sacco, lasciando nel resto dello stabile gli uffici e le carceri del Tribunale speciale civile e criminale, che vennero adattati da Gilardoni seguendo le richieste, formulate dal Ministero della Giustizia, di poter disporre di otto stanze tra grandi e piccole (e rivolte indifferentemente su via Bergamini e su via Sant’Antonio) come luoghi per l’arresto e di tre altre stanze per l’esame dei detenuti.61 Analoga preoccupazione per il mantenimento dell’integrità della struttura animò i pareri negativi di Canonica per la vendita di una casa posta in contrada Marino all’ingegnere Casiraghi, che già possedeva uno stabile contiguo: l’architetto faceva presente la possibilità, attraverso questo stabile, di transitare direttamente da contrada di Santa Margherita a via del Marino, con vantaggi per i rispettivi pubblici uffici, ritornando poi sul proprio parere solo per espressa decisione del ministro. La cessione al Casiraghi fece poi aumentare le di lui aspirazioni fino alla richiesta di acquisto del Palazzo della Contabilità nazionale, ufficio che nel dicembre 1803 Canonica aveva provveduto ad allestire nei locali già destinati al Censo (la nuova vendita al Casiraghi non andò in porto, finché nel 1812 il principe Eugenio deciderà di portare nel palazzo il Consiglio del- Pietro Gilardoni, «Progetto dell’orto bottanico da costruirsi in una porzione dell’ortaglia dei soppressi PP. di S. Teresa», [1807]; Milano, Archivio di Stato, Studi, p.m., 845. le prede marittime).62 Quanto agli altri stabili citati dal ministro dell’Interno nella sua lettera all’architetto del 1802 sono documentati interventi di Canonica alla Maddalena Nera in Porta Ludovica,63 richiesta per alloggiarvi le proprie truppe a cavallo dal comandante Antonio Vidoni, ma che incominciò allora ad essere spezzettata e le cui colonne vennero smantellate e destinate ad altri stabili nazionali. L’attività di Canonica sugli stabili nazionali con le proposte di trasformazione, riallestimento degli accessi, suscitò le proteste della municipalità che rivendicava il controllo delle strade urbane ottenendo la risposta dalle autorità di governo che l’operato di Canonica come soprintendente nazionale era superiore alle necessità amministrative,64 ma ponendo per la prima volta una problematica a cui fu data più tardi soluzione legislativa nell’emanazione nel 1804 del nuovo regolamento delle strade pubbliche.65 17 AU R O R A S C OTTI TOS I N I Nel 1803 Canonica prefigurò una definitiva sistemazione di tutte le strutture governative a partire dalla scelta della sede del Ministero dell’Interno che, dopo un’ipotesi di trasferimento nel Palazzo del Monte di Santa Teresa, fu definitivamente collocato in Palazzo Diotti nella contrada di Monforte, un palazzo voluto da Giovanni Battista Diotti come abitazione propria e del fratello sull’area di un convento soppresso negli anni austriaci e che era organizzato come un vasto quadrilatero con risalti angolari, cortile elegantemente scandito su tre ordini con cariatidi al livello terminale, diversi appartamenti ai vari piani con due scaloni monumentali, alcune sale affrescate con perizia dal giovane Appiani, e a cui mancava solo una congrua facciata. Fu probabilmente Gilardoni per conto di Canonica a redigere i disegni delle piante del palazzo ai tre livelli ancor oggi conservati a Mendrisio con quel tratto chiaro e pulito che fu caratteristico di questa fase dell’amministrazione dello Stato francese. Rimaneva il problema del completamento della facciata per cui ancora una volta fu Gilardoni a preparare un progetto che prevedeva un risalto della parte centrale poi trasformato in un risalto del solo piano terra con due coppie di colonne doriche a reggere un grande balcone, una facciata che fu realizzata più tardi, nel 1812, dopo discussioni dapprima solo con Canonica e poi con la Commissione d’Ornato.66 Nello stesso 1802 sono documentati sopralluoghi alla caserma del Foro Bonaparte (il vecchio quadrilatero del Castello) per aumentarne la capienza per le truppe a piedi e a cavallo e per potenziarne il nucleo della Rocchetta, mentre la decisione governativa di dedicare a spazio per parate militari l’area antistante al Castello suggerì nuovi sopralluoghi di Canonica (12 luglio), forse anche per valutare la proposta del cittadino Moreschi di costruire un anfiteatro sulla spianata del Foro Bonaparte, che ottenne la risposta che, per non impedire le evoluzioni militari, si sarebbe potuto fare vicino al dazio di Porta Tenaglia.67 Canonica realizzò comunque un circo provvisorio davanti al Castello nel 1803 in occasione della Festa Nazionale della Repubblica Italiana del 26 giugno svoltasi tra il Castello e i Giardini pubblici con apparati effimeri ideati da Appiani.68 Ben interpretando la svolta politica moderata e con un tempismo legato alla sua contiguità con i pubblici uffici e grazie all’accentuata professionalità nella gestione di spazi e architetture, Canonica elaborò nello stesso 180369 un articolato progetto per il Foro Bonaparte che si sostituì di fatto all’ormai lontano progetto antoliniano, col quale rivendicava all’architetto un ruolo di “ordonnateur” dello spazio pubblico attraverso una precisa organizzazione del piano e un’attenta suddivisione degli spazi come strumento di controllo sociale dell’uso del suolo pubblico.70 Il suo progetto prevedeva davanti al Castello una grande piazza biabsidata e con un nicchione di fronte all’ingresso del Castello, alla quale si accompagnavano altre piazze secondarie, raccordate da viali alberati e sulle quali erano previsti edifici ad uso residenziale, da costruirsi per iniziativa privata, e per cui non si fissavano precise tipologie edilizie ma si vincolavano i costruttori al solo rispetto della uniformità dei prospetti per altezza e disegno, non basato sulla dominante presenza degli ordini ma con più sobrie partizioni a garanzia di una decorosa armonia dell’affaccio pubblico.71 Era una prassi già praticata nell’Ancien régime soprattutto per le places royales, ma che in quegli anni aveva un rilancio in chiave borghese anche a Parigi dove Percier e Fontaine aprivano rue de Rivoli, accorpando la qualifica d’imprenditori efficienti a quella di eleganti innovatori del gusto nelle architetture e negli arredi. Canonica doveva prestare particolare attenzione a quanto avveniva a Parigi, come prova la presenza nella sua biblioteca di una pianta della città datata 1804 e di 18 una guida a stampa del 1806.72 Il piano di Canonica prevedeva anche, oltre a una nuova facciata del Castello, una Piazza d’Armi rettangolare alle sue spalle, e il collegamento del nuovo circuito con la strada postale da aprirsi e da intitolare al Sempione: è il piano, di composizione estremamente elegante ed euritmica nelle proporzioni complessive, che appare nella incisione e nei disegni già nell’Archivio Cattaneo e su cui hanno dibattuto gli studi di Kannès e di Soldini.73 Poiché verso la città la porta del Castello appare affiancata da due colonne è probabile che nella stessa occasione Canonica avesse elaborato il progetto ora conservato presso il Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano con soluzioni architettoniche innovative rispetto alle abitudini milanesi nell’articolarsi di setti murari compatti arricchiti da decorazioni plastiche e trofei, utilizzando quindi un repertorio architettonico di grande impatto simbolico fondato sull’uso di ordini, bugnato e trofei, sufficientemente neutro da non essere solo elogiativo di Napoleone ma inequivocabilmente espressivo del valore militare del nuovo Stato.74 Nel corso del 1803 il ministro dell’Interno aveva ordinato a Canonica di provvedere alle richieste dei singoli ministeri a partire da quello della Giustizia, a cui facevano capo anche i diversi tribunali, di cassazione, revisione, speciale e la Commissione legale nazionale; se in alcuni interventi compare Faroni in altri sempre per il detto ministero compare Gilardoni, a cui si deve anche la stesura di un progetto per la sistemazione dell’archivio nello stesso Palazzo di Giustizia. Gilardoni, che si qualifica per la cura, la pulizia e la perfetta grafia e acquarellatura dei propri disegni, aveva proposto due tipi fra i quali fu Canonica a scegliere.75 Sempre a Faroni Canonica commissionò il controllo di altri stabili come il caseggiato della Bicocca fuori Porta Tosa adibito a deposito delle Polveri, lavori per i quali è documentato attivo il capomastro Crippa destinato a grande attività per tutto il periodo napoleonico.76 Lo stesso Crippa aveva lavorato su ordine di Gilardoni del 6 ottobre 1802 e sotto il suo controllo per la sistemazione del locale della posta dei cavalli nella contrada di Borgonuovo, con articolati lavori di rifacimento di murature e canalizzazioni di acque.77 Nel corso del 1804, denotando l’emergere della necessità della revisione di tutto il circuito urbano che da struttura difensiva si era trasformato in barriera di controllo fiscale e daziario, si moltiplicarono gli interventi alle ricettorie, alle dogane e agli uffici delle gabelle delle porte urbane da Porta Vercellina a Porta Romana, a Porta Nuova e alle strutture di testa o di snodo d’acque dei navigli interni dal Tombone di San Marco agli spurghi dei vari rastrelli del Naviglio della Martesana e alle numerose verifiche e riparazioni fatte agli affittuari delle sostre e delle conche, come quella di via Arena, sui canali interni e sul fiume Lambro (tutti interventi per cui Canonica si avvalse di Faroni e del capomastro Crippa). Ancora Faroni risulta impegnato nei locali della Zecca su un lungo periodo dal 1802 al 1804, nelle riparazioni riconosciute necessarie all’ufficio Bollo pesi e misure, o nel controllo degli stabili della polveriera di Lambrate nel rapporto con la portata e la levata d’acqua del fiume.78 Gilardoni fece il consulente di Canonica per interventi idraulici al Palazzo della Direzione delle Poste dove fece anche eseguire una lanterna capace di illuminare la scala interna, in seguito alla chiusura di una finestra da parte del proprietario dello stabile confinante, anch’egli interessato a costruire una scala.79 Dai dati relativi all’abbigliamento del portiere del Palazzo delle Finanze e del supervisore della Direzione generale delle Poste e ancor più dalle relazioni sul vestiario dei dipendenti del Ministero di Giustizia, presso i vari tribunali e dalle numerose carte relative all’approvazione dei conti per le spese non solo edi- LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO Arena di Milano; pulvinare. lizie ma anche di appalti di forniture di materiale cartaceo e di materiali per uso di riscaldamento per i singoli ministeri, e dalle molte commissioni minute (dagli spurghi dei lavandini alla fornitura di un campanello a disposizione del presidente della Commissione legale nazionale)80 si ricava un’indicazione sulla quantità se non complessità burocratica dei compiti della Soprintendenza stessa. Nel 1805 col cambio di regime di governo e la proclamazione dell’Impero e del Regno d’Italia affidato dall’imperatore al viceré Eugenio di Beauharnais, anche la Soprintendenza cessò di esistere: dal patrimonio nazionale si separò una Intendenza dei Beni della Corona e Canonica fu nominato nello stesso 1805 architetto della Casa Reale, a cui si aggiunse nel 1806 anche la carica di controllore delle Regie fabbriche; mentre il restante patrimonio di stabili nazionali rimase affidato per la gestione e la custodia ai singoli ministeri, che si dovettero scegliere i propri architetti.81 Come architetto reale Canonica dovette nel 1805 provvedere alle feste per l’ingresso e l’incoronazione di Napoleone, occuparsi della realizzazione dell’arco effimero a Porta Ticinese – un vero e proprio arco trionfale a un solo fornice con ricca decorazione, che conosciamo da un disegno di Alessandro Sanquirico e che ufficializzava il corso di Porta Ticinese come privilegiato e cerimoniale accesso alla città –, degli arredi e delle scenografie in Duomo, oltre che del riassetto delle dimore imperiali, di costumi e di parate, dando ulteriore prova delle sue capacità di saper dirigere cerimonie complesse e cimentandosi nel disegno del trono e delle suppellettili con le forme di quello stile impero con cui Percier e Fontaine avevano incominciato a rinnovare gli arredi parigini a partire, nel 1800, da quello della Malmaison per Joséphine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone. Di certo se il ruolo di Canonica era spesso legato a questioni contingenti e si esplicava in progetti di arredo temporaneo, non era certo meno importante per la definizione dell’immagine imperiale di quello del pittore di corte Andrea Appiani, col quale collaborò nella preparazione degli spazi e delle attrezzature occorrenti per le decorazioni ad affresco da eseguirsi nei reali palazzi. Negli stessi palazzi Canonica si impegnò per ricavare appartamenti imperiali riproducenti, nella infilade delle stanze e nella loro articolazione su doppia manica, i tre appartamenti di rappresentanza, ordinario e d’onore sul modello della riorganizzazione attuata nelle dimore storiche francesi di Fontainebleau e delle Tuileries.82 Nello stesso 1805 l’architetto fu incaricato di progettare un anfiteatro stabile per ogni genere di spettacoli e, traendo profitto dalle esperienze degli anni precedenti, progettò l’Arena negli spazi a fianco del Castello, dando disegni di raffinata eleganza. Per ottemperare alle sollecitazioni del principe Eugenio di affrettare i lavori, gli fu assegnato come aiuto Gilardoni ma, consapevole della necessità di un rigorosissimo controllo dello spianamento dell’area e delle strutture portanti dell’edificio, Canonica cercò piuttosto la consulenza di un ingegnere civile abile nell’utilizzo degli strumenti geodetici che individuò nell’ingegnere Pietro Pestagalli.83 I disegni preparati da Canonica univano il rapporto con l’antico denunciato dalla pianta e filtrato attraverso la trattatistica (nella fattispecie la ricostruzione del circo di Massenzio allora chiamato circo di Caracalla fatto dall’abate Uggeri e pubblicato da Bianconi nel 1789)84 con l’eleganza delle soluzioni del disegno degli alzati, le cui parti più rappresentative come la porta d’ingresso e il Pulvinare furono perfezionate tra 1807 e 1812. Nel 1808 Canonica aveva anche sug- 19 AU R O R A S C OTTI TOS I N I gerito al ministro dell’Interno di acquisire le quattro colonne di granito lucido rosso dell’ex Chiesa di Sant’Agostino, alienata a un privato che ne aveva fatto un magazzino.85 Sempre sull’area circostante il Castello trasformato in caserma, fu ancora Canonica a decidere, se non a far materialmente eseguire, l’ampliamento della Piazza d’Armi nel 1806 e a progettare i viali destinati a raccordarla al resto della città.86 In queste operazioni la sua carica di architetto della Corona si rivolgeva al controllo della qualità urbana, riallacciandosi idealmente al suo primo impiego pubblico. Queste sollecitudini per il miglioramento dell’aspetto della città trovarono conferma nella sua partecipazione autorizzata e gratuita alla Commissione di pubblico ornato istituita nel 1807. Contestualmente Canonica si dedicò a seguire i grandi palazzi, dal Palazzo Reale alla Villa di Monza, alla Villa ex Belgioioso, con operazioni che se prevedevano progetti di rifacimenti, abbellimenti e ampliamenti, comprendevano anche un’opera di manutenzione continua, analoga a quella da lui precedentemente espletata nell’incarico di architetto nazionale o di soprintendente: in questa veste redigeva a scadenza fissa rapporti sullo stato dei reali palazzi inoltrati all’intendente generale dei Beni della Corona, Giovan Battista Costabili, un intelligente funzionario, anch’egli di origini emiliane come molti dei funzionari napoleonici, che si servì di Canonica anche per pareri sulle fabbriche imperiali a Venezia.87 In Palazzo Reale, dopo aver fatto un accurato rilievo oggi conservato negli archivi parigini, Canonica progettò l’ampliamento verso contrada Larga attorno a un nuovo cortile con Cavallerizza coperta e stalle e con una serie di stanze che si segnalano per la loro raffinata decorazione oltre che per un assetto che richiamava nel suo relativo fuori scala il gusto imperiale, presente ad esempio nel corridoio scandito da due colonne e illuminato da un lucernario che media fra vecchi e nuovi quartieri.88 La cura del confort interno aveva nei progetti di Canonica la prevalenza sull’aspetto esterno, ma per la facciata verso via Larga del nuovo corpo di fabbrica egli pensò comunque a forme non immemori di modelli palladiani, il cui trattato Canonica possedeva in diversi esemplari, a cui si ispirò per un partito a semicolonne d’ordine ionico gigante, capaci di scandire con ritmo esatto e preciso, più euritmico che monumentale, la superficie.89 A Monza in cui pure erano state acquartierate truppe ma che si voleva ripristinare a una funzione residenziale per la corte, il suo operato si concentrò soprattutto sulle aree verdi e agricole circostanti la villa, con il nuovo progetto e l’ampliamento del giardino all’inglese, col controllo dell’operato del giardiniere Villoresi e l’aumento delle strutture rustiche.90 Nel 1808 si segnalano progetti firmati da Canonica e Zanoja per la realizzazione di una Ménagerie, anche questa su modello parigino, progetti interessanti alternativamente due aree distinte, una adiacente la nuova strada del Sempione e l’altra nei pressi dell’ormai superato Campo della Federazione.91 Allo stesso anno risalgono anche i progetti per la sistemazione del Senato nell’ex Collegio Elvetico, sulla base della familiarità con lo stabile derivatagli dalle precedenti esperienze, con proposte per la creazione di una grande sala per riunioni che avrebbe fatto completamente cambiare assetto all’edificio aumentando l’importanza della fronte rivolta verso i Boschetti e la Villa Belgioioso, nel tentativo di riproporre anche a Milano soluzioni adottate a Parigi nel Luxembourg.92 Per questo edificio Canonica elaborò diverse proposte progettuali sulle quali fu chiamato a esprimersi Luigi Cagnola, in una specie di supervisione per l’“ornato”. 20 Come aveva qualche anno prima affermato Antolini non era l’abilità e la competenza di Canonica su aspetti pratici e funzionali ad essere messe in discussione, ma era semmai la scarsa presenza nei progetti di Canonica di quelle capacità “retoriche” di cui il governo imperiale aveva bisogno. Tra Canonica e Cagnola si verificava in nome del linguaggio dell’architettura un nuovo confronto dopo quello che, con motivazioni del tutto diverse ma con analoghe dinamiche si era verificato a Porta Ticinese agli inizi del secolo: qui ai progetti di Canonica si erano sostituiti quelli di Cagnola e fu Cagnola a realizzare l’arco coi nuovi caselli daziari. Anche per la nuova direttrice del Sempione pur avendo Canonica per primo fin dal 1800 suggerito di onorare la gloria di Napoleone con un arco e pur essendo la sua presenza costante nell’area del Foro Bonaparte, fu Cagnola a scegliere il linguaggio ufficiale per una celebrazione retorica di Napoleone e a progettare l’arco che ancor oggi segna l’inizio di corso Sempione.93 Anche per la Ménagerie dopo tentativi di progetti unitari fra Zanoia (professore d’architettura e segretario di Brera), Canonica e Cagnola, furono elaborati due progetti uno congiunto di Zanoja e Canonica e uno singolo di Cagnola che agli inizi del 1810 fu prescelto (anche se non attuato) dal Beauharnais. A significare l’alta qualifica e la dignità sociale raggiunta, nel 1813 Canonica acquistò dallo Stato una parte dello stabile dell’ex Convento di Sant’Agnese e vi realizzò la propria casa, una dimora elegante e borghese, fornita di tutti i confort, nella quale trovò posto anche la sua biblioteca che non era quella di un bibliofilo come ad esempio quella di Cagnola ma quella di un solido professionista non disattento alla produzione francese, come prova la presenza del volume di Durand.94 Quelli che erano stati i fedeli collaboratori di Canonica nella Soprintendenza alle Fabbriche nazionali mantennero incombenze e funzioni di architetto-funzionario al servizio dei singoli ministeri: Pietro Gilardoni in particolare, come architetto del Ministero dell’Interno, ebbe da allora un potere straordinario sulle fabbriche pubbliche. Coi suoi progetti realizzati con un segno grafico di grande precisione e accurate ed essenziali acquarellature, e con un sobrio gusto decorativo, egli fu il vero artefice delle trasformazioni nei più importanti palazzi di Stato (dal Palazzo di Brera, al progetto per una Borsa di commercio in piazza dei Tribunali, alla trasformazione in Conservatorio dello stabile della Passione, alla trasformazione in deposito giudiziario del Convento di San Damiano in Monforte)95 o nei progetti di riattamento in strutture civili di conventi come quelli per San Vincenzino,96 rimanendo saldamente al suo posto anche al ritorno degli Austriaci proprio per la competenza, serietà e impegno sempre dimostrato e preparando per il nuovo governo un album con le piante degli edifici della pubblica amministrazione. Gaetano Faroni era tornato invece a lavorare per il Ministero delle Finanze. Un ruolo sempre maggiore ebbero gli ingegneri militari, soprattutto il colonnello Gaetano Rossi che dal 1805 assunse un ruolo progettuale estremamente importante sia per i progetti per il Castello,97 sia per la costruzione della più nuova e emblematica caserma milanese, quella dei Veliti del generale Fontanelli, realizzata sull’area dell’ex Convento di San Francesco e che partendo dal prospetto sulla via di Santa Valeria andò progressivamente estendendosi fino a completarsi agli inizi del secondo decennio dell’Ottocento con il fronte monumentale che ancor apprezziamo su piazza Sant’Ambrogio.98 LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO 1. G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966; L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978; J. Soldini, Alcune questioni interpretative sull’opera dell’architetto Luigi Canonica (1764-1844), “Archivio storico ticinese”, a. XII, 1981, n. 86-87, pp. 329-364; P. Gallo, Luigi Canonica (1764-1844). Il funzionario, la città, il paesaggio, tesi di dottorato in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, relatore P. Carpeggiani, Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino, a.a. 1992-1993, da cui deriva la sintesi P. Gallo, Luigi Canonica. Un professionista al servizio dello Stato nella Milano neoclassica, “Arte lombarda”, n.s., 1996, n. 117, pp. 91-98. 2. Su questi aspetti del rapporto architetti e istituzioni avevo incominciato a riflettere negli anni Settanta in tempi in cui questi problemi erano poco dibattuti traendo alcune conclusioni nel contributo A. Scotti, Architettura e burocrazia nella Lombardia neoclassica: l’architetto-funzionario da Marcellino Segré a Pietro Gilardoni, in Civiltà neoclassica nella provincia di Como, atti del convegno (Como 1979), “Arte lombarda”, n.s., 1980, n. 55-57, pp. 311-322, poi con altri saggi di argomento affine e relativi ad altre problematiche su cui si torna nei paragrafi successivi, ristampato nel volume A. Scotti, Lo stato e la città. Architetture, istituzioni e funzionari nella Lombardia illuminista, F. Angeli, Milano 1984. 3. Per una sintesi, con bibliografia, rimando a A. Scotti Tosini, La Lombardia asburgica, in Storia dell’architettura italiana, vol. VI.2, Il Settecento, a cura di G. Curcio, E. Kieven, Electa, Milano 2000, pp. 424-451. 4. Sebbene già segnalato da Mezzanotte, i dati sul viaggio di Pollack sono stati messi in evidenza da L. Maggi, Appunti di Leopoldo Pollach sull’antico; i taccuini del viaggio a Roma del 1793, “Rassegna di studi e di notizie”, a. XIXII, 1984-1985, vol. XII, pp. 227-288. 5. ASMi, Autografi, 82, 39: doc. del 10 novembre 1786. 6. Gallo, 1992-1993, p. 35 precisa che i disegni per Casa Resta sono del 17921794, ma ulteriori interventi per il palazzo in via Conservatorio datano a diversi anni più tardi. La stessa Gallo ricorda per Palazzo Orsini la testimonianza di C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle Belle Arti e delle sacre, e profane antichità milanesi, nella stamperia Sirtori, Milano 1787, pp. 406-407, contestualmente alla citazione di affreschi eseguiti da Appiani. Cfr. le schede relative a Palazzo Resta e Palazzo Orsini nel capitolo “Palazzi e residenze urbane” in questo stesso volume. 7. Per informazioni su questo servizio municipale cfr. E. Pagano, Il comune di Milano nell’età napoleonica (1800-1814), Vita e pensiero, Milano 1994, in particolare cap. I, pp. 19-22. Nel «Ruolo dei diversi officiali, e subalterni già adetti alla cessata Municipalità e che attualmente servono le quattro Municipalità, il Dicastero Centrale, la Commissione di Sanità, ed altri offici col rispettivo soldo che percepiscono secondo la Pianta Municipale» del 1797 per il settore illuminazione il direttore Luigi Canonica percepiva un soldo mensile di lire 150 (ASCMi, Dicasteri, 263). 8. Il curriculum di Segrè è in ASMi, Studi, p.a., 198. 9. ASMi, Uffici e Tribunali regi, p.a., 742. Fra le loro mansioni i due ingegneri ricordavano: il controllo e il regolamento dei fiumi e dei canali di tutto il territorio lombardo (dai canali come il Naviglio di Bereguardo, di Paderno, della Martesana e la fossa interna della città, al fiume Muzza in territorio lodigiano; dal canale Ritorto che dall’Adda portava l’acqua allo Stato veneto; al Lambro, al Ticino, all’Adda e all’Oglio con attenzione anche ai manufatti camerali; manutenzione del Po soprattutto tra Cremona e Casalmaggiore; cura dei confini dello Stato) oltre a interventi agli stabili delle Finanze generale e provinciale, compresi quelli in monopolio come la polvere da sparo o i tabacchi; e ai servizi richiesti dalla camera dei conti, per contratti d’affitto di beni, stime ecc. 10. ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 259. 11. ASMi, Spettacoli pubblici, p.a., 1-3, e 2; ASMi, Potenze Sovrane, 130. 12. Per queste feste si rimanda alla sezione La società e le feste con schede di S. Bosi nel catalogo della mostra Napoleone e la Repubblica Italiana (18021805), a cura di C. Capra, F. Della Peruta, F. Mazzocca, Skira, Milano 2002, pp. 206-210. Cfr. inoltre il capitolo “Feste e apparati effimeri” in questo stesso volume. 13. Cfr. Bosi 2002[b], nn. 254-55, p. 208; e in precedenza la scheda di A. Doria, G. Ricci, L’attività di Piermarini in Lombardia, in Giuseppe Piermarini e il suo tempo, catalogo della mostra (Foligno 1983), a cura di M. Stefanetti, Electa, Milano 1983, pp. 182-183; e M. Tabarrini, Milano. Apparati per la Festa della Federazione, in Giuseppe Piermarini. I disegni di Foligno. Il volto piermariniano della Scala, catalogo della mostra (Foligno 1998), a cura di P. Portoghesi et al., Electa, Milano 1998, p. 133. 14. Sulla biografia di Antolini si rimanda a M. G. Marziliano, Giovanni Antonio Antolini architetto e ingegnere (1753-1841), Gruppo editoriale Faenza editrice, Faenza 2000. 15. Sul disegno di Antolini (conservato all’Accademia di Brera, Biblioteca, Fondo Storico, disegni 18) cfr. A. Scotti, Il Foro Bonaparte. Un’utopia giacobina a Milano, F. M. Ricci, Milano 1989, p. 113 e figg. pp. 120-122, p. 85. Per la commissione che decretò un ex aequo fra Antolini e Domenico Cossetti cfr. “Il Corriere milanese”, 23 ottobre 1797, p. 674 (devo la notizia a Stefano Bosi, che ringrazio). 16. ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 5. 17. Ibidem, doc. del 4 pratile anno V (22 aprile 1797). 18. ASMi, Studi, p.a., 47. 19. Cfr. Giuseppe Piermarini e il suo tempo 1983, p. 183, scheda 4.196. 20. ASCMi, Località Milanesi, 327, 7. Una sintetica ma efficace descrizione degli apparati con puntuale citazione dei ruoli di Piermarini e Appiani è in BAMi, Miscellanea Napoleonica, O 46 inf (9), negli inserti relativi al 1797. 21. AMMe, Fondo Canonica, IV, 12-25. 22. ASMi, Uffici e Tribunali regi, p.a., 743, fasc. Canonica, con la documentazione relativa a questa vicenda. 23. ASMi, Autografi, 82, 39. Già gli Austriaci avevano collocato nel Collegio Elvetico il supremo consiglio di Governo, con vari uffici della Commissione ecclesiastica, del Censo, della Pubblica istruzione e delle Finanze. 24. Si veda Bianconi 1787, p. 374. 25. ASMi, Autografi, 82, 39: doc. 18 nevoso anno VI (7 gennaio 1798). Nel Fondo Canonica di Mendrisio però si conserva un rilievo del piano terra dello stabile della Canonica firmato da Canonica architetto nazionale approvato il 4 frimale a. IX che prevede la trasformazione dell’insieme in un’unica grande sede di forni per la panificazione (AMMe, Fondo Canonica, 8, D 133). 26. ASMi, Autografi, 82, 39, doc. del 22 giugno 1798 e AMMe, Fondo Canonica, 3, D 9 per il disegno in pianta con le distribuzioni dei locali e VII, 3681, 90-104 per i lavori. I seminaristi erano stati portati nel locale assegnato alla Canonica in San Vincenzino. 27. Per l’inserimento degli interventi nelle trasformazioni del Palazzo di Brera rimando a A. Scotti, Brera 1776-1815. Nascita e sviluppo di una istituzione culturale milanese (“Quaderni di Brera”, 5), Centro Di, Firenze 1979, ma anche A. Menichella, La trasformazione del Palazzo di Brera nell’età napoleonica, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi nella Repubblica Cisalpina, atti dell’incontro di studio (Milano 1997), a cura di L. Castelfranchi, R. Cassanelli, M. Ceriana, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano 1999, pp. 217-279. 28. ASMi, Luoghi pii, p.a., 381: doc. 15 nevoso anno VI (4 gennaio 1798). 29. ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 37 la citazione è da una più tarda memoria; nella stessa cartella si conserva anche il rilievo con la descrizione puntuale dei locali del convento fatta da Canonica nell’agosto del 1802. 30. Per la facciata di Pollack il disegno è alla Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano (PV m 9/44). Il progetto si inserisce nel breve periodo in cui i Francesi gli accordarono ampia fiducia nominandolo professore di Brera al posto di Piermarini, carica revocata dopo l’intercettazione di una sua corrispondenza con Vienna, il che dovette far decadere anche il progetto per il teatro. 31. ASMi, Autografi, 82, 39, doc. del 15 marzo 1798. 32. ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 227. 33. AMMe, Fondo Canonica, IV, 13; ASMi, Autografi, 82, 39, 12 pratile anno VI (9 giugno 1798); e ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 210. 34. ASMi, Autografi, 82, 39 doc. 4 brumale anno VII (25 ottobre 1798): l’abbandono da parte del circolo costituzionale e l’uso del locale come magazzino è ricordato anche in A. Rovetta, Ampliamenti e allestimenti nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, in Storia dell’Ambrosiana, vol. III, L’Ottocento, IntesaBci, Milano 2001, pp. 317-339, che pubblica anche un progetto di Leopoldo Pollack precedente al 1798 per la ristrutturazione del presbiterio e della facciata della chiesa. 35. Gallo 1992-1993, p. 39. 36. I documenti che trattano la questione si snodano nel corso dell’estate del 1797, ASMi, Uffici e Tribunali regi, p.a., 744, fasc. Faroni. 21 AU R O R A S C OTTI TOS I N I 37. AMMe, Fondo Canonica, V, 34. 38. AMMe, Fondo Canonica, VI, 35. 39. ASCMi, Località Milanesi, 183; AMMe, Fondo Canonica, V, 26 e 28; e in relazione con queste vicende si pone un disegno del Fondo Canonica conservato presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio. La sistemazione allora effettuata fu ridiscussa nel 1802 perché suscitava perplessità la presenza di truppe a cavallo per le quali non c’erano spazi attrezzati (ASMi, Vicepresidenza Melzi, 15). 40. La richiesta del 7 giugno 1800 è in ASMi, Uffici e Tribunali regi, p.a., 743, fasc. Canonica. 41. Per questi temi si rimanda alle schede di L. Tedeschi in Archivi e architetture. Presenze nel Cantone Ticino, catalogo della mostra (Mendrisio 19981999), a cura di L. Tedeschi, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 1998, pp. 131-142 e di S. Bosi in questo stesso volume. 42. Sul Foro Bonaparte oltre a Scotti 1989, con bibliografia precedente e con la pubblicazione dell’album dei disegni conservato alla Bibliothèque Nazionale di Parigi, per un inquadramento del foro antoliniano in un ampio panorama di progetti utopici e neoclassici cfr. G.P. Consoli, La “nuova architettura del nuovo secolo”: temi e tipi, in Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia, 1780-1820, catalogo della mostra (Roma 2007), a cura di A. Cipriani, G.P. Consoli, S. Pasquali, Campisano, Roma 2007, pp. 151-230 ed anche per una sintesi biografica aggiornata F. Ceccarelli, Giovanni Antonio Antolini (1753-1841), in Contro il Barocco 2007, pp. 351-356. 43. A. Scotti, Giovanni Antonio Antolini e Felice Giani: riflessioni sui disegni del Foro Bonaparte, in Architettura e urbanistica in età neoclassica. Giovanni Antonio Antolini (1753-1841), atti del convegno (Bologna-Faenza 2000), a cura di M.G. Marziliano, Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza 2003, pp. 195-207 e G. D’Amia, Il monumento celebrativo per la vittoria di Marengo: un dispositivo retorico nel progetto antoliniano per Foro Bonaparte, in Architettura e urbanistica 2003, pp. 249-268. 44. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 38 29 piovoso anno IX (17 febbraio 1801); cfr. G. Kannès, Il Foro Bonaparte tra l’Antolini e il Canonica. Un progetto di concorso ma non di esecuzione, in Milano parco Sempione. Spazio pubblico, progetto, architettura 1796-1980, catalogo della XVI Triennale di Milano, Catasto del disegno (Milano 1980), a cura di M.G. Folli, D. Samsa, CLUP Edizioni, Milano 1980, p. 111. 45. Sulla proposta di Canonica cfr. Kannès 1980[a], p. 106; il piano dell’imprenditore Cassina è in ASMi, Ministero della Guerra, cart. 560. 46. C. Capra, Una repubblica per gli italiani, in Napoleone e la Repubblica Italiana, catalogo della mostra (Milano 2002-2003), a cura di C. Capra, F. Della Peruta, F. Mazzocca, Skira, Milano 2002, pp. 15-23; sulla determinazione di Melzi, suggerendo il suo intendimento di fare della Repubblica Italiana uno strumento di mediazione fra Francia e Austria ha insistito G. Rumi, L’Ottocento milanese: ruolo e destino di una città, in Storia dell’Ambrosiana, vol. III, L’Ottocento, IntesaBci, Milano 2001, p. 4. 47. AMMe, Fondo Canonica, XVI, 275. 48. AMMe, Fondo Canonica, XII, 215 (contratto d’affitto); il 22 marzo 1802 si riferisce dell’arrivo della madre di Napoleone, i documenti su Murat sono ai nn. 212-244. 49. Un disegno di Bossi per la sistemazione della Scuola del Nudo, in collegamento quindi con i sopralluoghi chiesti a Canonica, è in R. Cassanelli, Giuseppe Bossi e la riforma dell’Accademia di Brera, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del Trattato di Tolentino, atti del convegno (Tolentino 1997), Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 2000, fig. a p. 249. Bossi in qualche caso lamentò la lentezza di Canonica nel compiere i sopralluoghi richiesti. 50. Per gli interventi a Brera, cfr. ASMi, Autografi, 82, 39 e la scheda in questo stesso volume. 51. ASMi, Vicepresidenza Melzi, 8. Si veda inoltre Scotti 1980; F. Repishti, Le Fabbriche della Corona. Uffici competenti a Milano da Giuseppe II a Francesco Giuseppe I (1786-1859), in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione, atti del convegno (Milano 2001), a cura di G. Ricci, G. D’Amia, Mimesis, Milano 2002, pp. 107-116; P. Gallo 1996. 52. ASMi, Genio Civile, 3155, doc. del 24 maggio 1802. 53. ASMi, Studi, p.a., 887 doc. 13 ottobre 1802. 54. ASMi, Fondi Camerali, p.m. 32, con parere di Canonica datato 14 maggio 1803. 22 55. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 33. 56. Ibidem. 57. ASMi, Ministero della Guerra, 763. 58. ASMi, Ministero della Guerra, 760. 59. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 33. 60. Per le richieste del ministro e le risposte di Canonica ASMi, Fondi Camerali, p.m., 34. 61. ASMi, Genio Civile, 3157 e perizia di Canonica del 13 marzo 1804 sui lavori di separazione tra la parte assegnata al dottor Sacco e la parte rimasta al patrimonio nazionale in ASMi, Genio Civile, 3155 (devo il controllo della documentazione del Genio Civile a Stefano Bosi). Presso l’Archivio del Moderno si conserva una pianta del piano terra dell’ex Convento di Sant’ Antonio, sottoscritta da Canonica che riflette questa situazione, presentando colorate in rosso le parti alienate (AMMe, Fondo Canonica, 11, D 102). 62. Per la vicenda che si snoda per un decennio tra 1803 e 1812 e che coinvolge diversi stabili cfr. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 32. 63. Ibidem. Anche in questo caso parti delle fabbriche vengono poi cedute: se prendiamo il caso della Maddalena Nera l’ispettore della pubblica istruzione Cittadini ottenne nel 1805 fuori asta di acquisire il pezzo di terreno su cui aveva formato un piccolo orto botanico, la chiesa era utilizzata come magazzino per foraggio delle reali scuderie mentre le colonne del convento, ormai inutili per quello stabile, dovevano destinarsi all’ornamento di altri locali nazionali (nel 1807 infine l’aula della Maddalena viene venduta al cittadino Epifanio Moreschi valente intarsiatore in legno). Per le sistemazioni di San Vincenzino c’è un preventivo di Canonica in ASMi, Fondi Camerali, p.m., 28. 64. Ibidem. 65. Cfr. Pagano 1994, pp. 192-193, che sperimentò soluzioni di pavimentazione che erano stati messi a punto negli ultimi anni austriaci cfr. G. Stolfi, L’urbanistica del “comodo pubblico”, in Il laboratorio della modernità. Milano tra austriaci e francesi, catalogo della mostra (Milano 2003), a cura di C. Capra, Skira, Milano 2003, pp. 49-56; nello stesso volume segnalo anche il mio contributo Le trasformazioni della città, pp. 35-47. Sulle questioni istituzionali connesse con la gestione urbana a confronto fra Italia e Francia, coll’istituzione di un corpo di ingegneri per acque e strade, cfr. anche G. Simoncini, L’intervento pubblico in Italia in periodo napoleonico: territori annessi all’Impero e Regno d’Italia, in La cultura architettonica 2002, pp. 45-55. 66. Per tutta la questione della scelta e del riattamento di Palazzo Diotti si rimanda a A. Scotti Tosini, Da collegio a palazzo: il gran progetto di Giovan Battista Diotti (1772-1782) che copre le vicende del palazzo fino alla restaurazione, a S. Bosi, Momenti d’arte in palazzo Diotti, ed infine per la sua collocazione nell’ambito delle vicende storiche napoleoniche a C. Capra, Il Palazzo Diotti nell’età Napoleonica, tutti in Palazzo Diotti a Milano, a cura di N. Raponi, A. Scotti Tosini, Milano 2005, I, pp. 73-100, 101-124 e 137-154. La stima fatta da Canonica per Palazzo Diotti il 21 febbraio 1803 è in ASMi, Vicepresidenza Melzi, 8. Nella stessa cartella le varie proposte di Canonica per la sistemazione degli altri uffici del censo, del culto e della giustizia. 67. ASMi, Ministero della Guerra, 667. In ASMi, Vicepresidenza Melzi, 15 è documentata la capienza totale del Castello (indicato col nome di Foro Bonaparte) in uomini 3812 e cavalli 496; i lavori prospettati dai militari nei camminamenti e nel nucleo della Rocchetta, su cui si chiedeva il sopralluogo di Canonica, avrebbero dovuto raddoppiare la capienza dei cavalli e portare a 900 unità quella dei militari. 68. Il disegno di circo provvisorio progettato da Appiani e realizzato probabilmente col controllo di Canonica è stato pubblicato da Mezzanotte 1966, fig. 156, e si conserva in AMMe, Fondo Canonica, 4, D 128 mentre una descrizione delle feste con analisi degli interventi di Appiani è in Bosi 2002[a], pp. 55-61. 69. Gli interventi sono conseguenti al dispaccio governativo del 31 marzo 1802 in ASMi, Fondi Camerali, p.m., 39. 70. Ci si riferisce in generale a quanto sostenuto da A. Vidler, L’espace des Lumières. Architecture et philosophie de Ledoux à Fourier [Princeton 1987], Picard, Paris 1995, introduzione pp. 11-12. 71. Soldini 1981[a], fig. 11 p. 356. L’incisione col progetto di Canonica per il Foro Bonaparte è ora conservata a AMMe, Fondo Canonica, 3, D 465. 72. Devo alla cortesia di Letizia Tedeschi le informazioni sulla biblioteca di Canonica sulla quale peraltro si sta preparando uno studio specifico da par- LA COSTRUZIONE DI UNA BRILLANTE CARRIERA DI FUNZIONARIO te dell’Archivio del Moderno a cura di Cecilia Hurley. Cfr. inoltre il saggio di C. Hurley in questo stesso volume e il testo della medesima studiosa, La bibliothèque de l’architecte Luigi Canonica. Un instrument cosmopolite et son fonctionnement, in L’architecture de l’Empire entre France et Italie. Institutions, pratiques professionnelles, questions culturelles et stylistiques (17951815), atti del convegno, (Ascona, 2006-Roma 2007), a cura di L. Tedeschi, D. Rabreau, Mendrisio-Milano 2011 (in corso di stampa). 73. J. Soldini, Il Foro Bonaparte di Luigi Canonica, “Storia della città”, a. VII, 1982, n. 22, pp. 89-94; Kannès 1980[a]; i disegni sono ora in BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 369, 370, 371, D 237, D 81. 74. Il disegno di Canonica è conservato con due altri fogli firmati del colonnello Gerolamo Rossi presso il Gabinetto dei disegni delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano. I due disegni del Rossi sono chiaramente datati 1805 mentre quello di Canonica non ha data e sembra indipendente da essi; potrebbe essere contemporaneo alla fase di ufficializzazione del suo progetto del Foro Bonaparte come avevo indicato già nel 1989 (Scotti 1989, p. 248), mentre Soldini 1981[a], p. 354 propendeva per il 1807. Nonostante i buoni rapporti fra Canonica e Rossi mi risulta difficile pensare a una loro così stretta collaborazione (proposta da Soldini 1981[a], pp. 352-353 e ripresa nel catalogo L’idea della magnificenza civile 1978, pp. 56-57), tanto da riferire a entrambi i due progetti, pure di alta qualità, del colonnello in cui sono presenti legami colla cultura francese di Ledoux, ma con qualche debito anche nei confronti dell’architettura inglese di John Dance il giovane. 75. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 34. 76. ASMi, Genio Civile, 3155. 77. I lavori vengono eseguiti nel corso del 1803, ASMi, Genio Civile, 3155. 78. Anche per questi lavori i riferimenti sono in ibidem. 79. Documenti del giugno 1804, ibidem. 80. Comunicazione di Canonica al ministro dell’Interno del 18 aprile 1803 in ASMi, Genio Civile, 3155, e ASMi, Genio Civile, 3157 per l’abbigliamento ad esempio degli inservienti del Ministero di Giustizia e per le revisioni di conti. 81. Il piano di ridistribuzione (ASMi, Fondi Camerali, p.m. 28) prevedeva che Canonica da soprintendente diventasse architetto regio, che il direttore amministrativo Alberto Alemagna fosse reimpiegato al Ministero dell’Interno a cui pure si assegnava Gilardoni; Faroni tornava alle Finanze; Giacomo Tazzini disegnatore seguiva Canonica; il computista Morazzoni passava all’amministrazione del Foro Bonaparte e lo scrittore Fumagalli passava al Ministero di Giustizia. 82. A. Pillepich, Les résidences napoléoniennes du Royaume d’Italie. Personnel et cérémonial, in Les maisons de l’Empereur. Residenze di corte in Italia nell’età napoleonica, atti del convegno (Lucca 2004), a cura di F. Ceccarelli, G. D’Amia, “Rivista Napoleonica”, 2004-2005, n. 10-11, pp. 51-61. 83. Nel 1805 coll’avvio dei progetti per l’Arena si eseguono gli scandagli sul terreno e il 7 dicembre dello stesso anno viene emanato il decreto per l’esecuzione stabile della struttura. L’interesse per una assoluta cura nella predisposizione del terreno è connessa all’uso stesso dell’Arena anche per spettacoli come le naumachie che prevedono il suo riempimento con acqua (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 39). 84. Cfr. Soldini 1981[a], pp. 361-362; ricorda anche che per l’Arena Canonica cercò di fondere gli impianti dell’anfiteatro e del circo e di costituire un nuovo organismo, mantenendo alcuni elementi del circo: la Porta Trionfale, il Pulvinare, le Carceri, le Torri e la Porta Libitinensis. 85. ASMi, Genio Civile, 3140, I: in risposta a una richiesta dell’intendente generale dei Beni della Corona Costabili, Canonica segnalava la disponibilità di 4 colonne di granito rosso con i loro capitelli d’ordine composito alte più di 7 metri e mezzo e del diametro di poco più di un metro (e che erano state una delle migliori invenzioni di Francesco Maria Ricchino) già in Santa Marta ed allora appartenenti al demanio come le due colonne di granito lucido rosso esistenti nei locali della Canonica; inoltre quattro colonne di granito lucido rosso di circa sei metri e mezzo di altezza esistevano in Sant’Agostino che era stato acquistato da un privato. Per queste di Sant’Agostino Canoni- ca chiedeva di poterle utilizzare per il Pulvinare dell’Arena essendo delle esatte misure, mentre per quelle di Santa Marta e della Canonica suggeriva di reimpiegarle per qualche monumento nel giardino di Monza o per qualche porta di città essendo di misura maggiore del normale. 86. Nel corso del 1806 si acquistano gli stabili e si prepara il terreno per l’ampliamento della Piazza d’Armi dalla forma rettangolare prevista in un primo tempo a quella quasi quadrata poi realizzata, particolarmente adatta per essere affiancata dall’Arena; vi intervennero gli ingegneri Giussani, Giudici e Bellotti attenendosi alle indicazioni del disegno di Canonica (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2067). 87. I rapporto tra Canonica e Costabili erano frequentissimi, e Canonica nell’attuazione dei lavori andò anche in questo caso mettendo a punto una squadra di collaboratori fra cui spiccano il decoratore Vaccani, lo stuccatore Bernasconi, il capomastro Fontana, il falegname Mezzanotte. 88. Per i lavori di Canonica per Monza e il Palazzo Reale G. Ricci, Progetti e cantieri per Milano e per Monza e il ruolo di Luigi Canonica, in Les maisons de l’Empereur 2004-2005, pp. 67-76, oltre al contributo della stessa G. Ricci, Una fabbrica tormentata, in E. Colle, F. Mazzocca, (a cura di), Il Palazzo Reale di Milano, Skira, Milano 2001, pp. 43-84; i rilievi che credo siano stati elaborati dall’atelier di Canonica e che riflettono lo stato del palazzo prima dei lavori di ampliamento li avevo segnalati in A. Scotti, Appunti sul rapporto Piermarini-Vanvitelli e il rifacimento del “Regio ducal palazzo” di Milano, “Storia architettura”, n.s., a. IV, 1979, n. 2-3, pp. 89-100, poi in Scotti 1984. I documenti precisano poi che occorrevano anche un maneggio coperto e delle stalle e che il tutto andava raccordato con un arco all’area del Teatro della Canobbiana (ASMi, Genio Civile, 3130, II). Del 1813 sono i disegni di Gilardoni per il voltone da farsi alla Canobbiana per adeguarlo al rettifilo della nuova fabbrica del Palazzo Reale (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22). Nel 1808 si cerca di sistemare la casa per i paggi reali con ispezioni a un edificio di proprietà Borromeo in contrada Rugabella (che risulta idoneo ma non viene utilizzato) e ad ambienti attigui alla soppressa Chiesa di San Giovanni in Conca (che risulta non adeguato). 89. Soldini 1981[a] ha sottolineato i debiti palladiani di Canonica, che sembrano appunto trovare conferma nella presenza di diverse copie del trattato palladiano nella sua biblioteca, nelle edizioni sia cinque che settecentesche. 90. Cfr. A. Maniglio Calcagno, La nascita del parco e il suo sviluppo, in Il Parco Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione pro Monza, Monza 1989, pp. 53-88. 91. Per la Ménagerie ASMi, Fondi Camerali p.m., 46, e Scotti 1984, p. 69 per una sintesi delle vicende; inoltre la scheda in questo volume. 92. Canonica presentò ben cinque progetti, che si conservano in parte a Mendrisio e in parte fra le carte di Cagnola presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano, mentre i pareri di Cagnola sul progetto Canonica si conservano a Varallo nell’Archivio D’Adda Salvaterra; sui disegni cfr. Mezzanotte 1966, figg. 229-231; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 78; S. Della Torre, L’archivio edificato dell’architettura milanese, in G. Cagliari Poli, (a cura di), L’Archivio di Stato di Milano, Nardini, Firenze 1992, pp. 197-198. 93. S. Bosi, L’Arco della Pace di Milano, Il cantiere di architettura e di scultura, tesi di dottorato in Storia e Critica dei beni artistici e ambientali, relatore F. Mazzocca, Università degli studi di Milano, a.a. 2005-2006. 94. M. Pancaldi, Casa Canonica in via Sant’Agnese: analisi e storia, tesi di laurea, relatore A. Scotti, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano, a.a. 1997-1998. 95. Per i riferimenti a Gilardoni, per Brera ancora il mio Scotti 1979[b]; per la Passione ASMi, Autografi, 84; per la Borsa di Commercio cfr. il progetto del 1809 in ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22; e per il deposito giudiziario ivi con tipo del 1810. 96. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 36. 97. Per i progetti cfr. la nota 74, sembrano essere i manifesti della sua completa autonomia decisionale sull’area del Castello. 98. ASMi, Ministero della Guerra, 760. 23 «Salone nel Giardino pubblico», Milano, sezione trasversale, [1805]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 5, D 80. 24 AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Catalogo dell’opera Architetto nazionale e reale Palazzo di Brera e Santa Maria di Brera, Milano [1779]-1822 Le vicende del Palazzo di Brera e le istituzioni in esso ospitate si incrociarono più di una volta con Luigi Canonica, forse già dal 1779, quando, allievo di Piermarini con Meschini, rilevò il complesso gesuitico (Patetta, Parisi 1995, p. 13; BCF, D 3, D 18). Nel 1798 Canonica fu impegnato per alcune modeste riparazioni necessarie alle tre sale della Scuola di Incisione del rame (ASMi, Studi, p.a., 194; ASMi, Autografi, 82, 39); l’anno successivo fu chiamato a studiare i cambi di destinazione d’uso di alcuni locali per le Scuole di Prospettiva e Nudo e per risolvere una vertenza tra Albertolli e Levati, proprio sulla Sala grande destinata alla Scuola di Prospettiva. Ancora nel 1801 si occupò della disposizione interna (Scuola del Nudo e Biblioteca) e del riscaldamento delle aule superiori, con stufe e nuove antiporte, e dell’ampliamento della sala di lettura della Biblioteca, predisponendo griglie in ottone sugli scaffali dei libri dell’Aula grande (11 aprile, 8 luglio e 9 dicembre 1801; ibidem), mentre nel settembre 1802 verificò lo stato dell’abitazione del nuovo segretario (Bossi) e la possibilità di locali per ospitarvi la Commissione degli Studi (12 settembre 1802; ibidem). Nel 1803, Bossi, segretario dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, presentò una nuova sistemazione degli ambienti dell’Accademia, inviandone una copia a Canonica «soprintendente alle Fabbriche nazionali». Circa un mese più tardi, il 26 febbraio, il segretario si lamentava con il ministro dell’Interno del fatto che Canonica «non ha per anco fatto eseguire la stima dei lavori proposti» (ASMi, Autografi, 103). Inoltre Bossi richiedeva per la Scuola di Architettura alcuni modelli in legno della trabeazione e del capitello di ordine dorico, ionico e corinzio, e di varie forme di volte, scale ed armature del tetto. Ancora il 25 luglio 1804 il segretario sollecitava Canonica per i lavori ai locali della Scuola d’Incisione, della Pinacoteca e della Scuola di Anatomia (Menichella 1999, p. 243). Con la riforma della Soprintendenza, a partire dal 1805, il maggiore responsabile degli adattamenti proposti prima da Bossi, poi da Zanoja, fu Pietro Gilardoni, architetto del Ministero dell’Interno. Nel 1809 ancora Canonica, «architetto reale» stimava i lavori alle pavimentazioni della «Galleria» (22 giugno 1809; ASMi, Autografi, 82, 39) e nel 1821-1822 fu chiamato per un parere sui lavori di rinforzo e consolidamento realizzati, su progetto di Gilardoni, dagli ingegneri Giuseppe Merli e Prospero Negri nella «sala destinata alla distribuzione dei premi». Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno conserva la minuta e la relazione di risposta, quest’ultima datata 24 dicembre 1822 (AMMe, Fondo Canonica, XXXI, 440). La planimetria, sempre conservata a Mendrisio (BC-AMMe, BC 404), relativa al primo piano dell’intero complesso, va forse riferita ai primi anni del Regno d’Italia, quando nel maggio del 1806, con un decreto vicereale, fu decisa la trasformazione della «parte superiore della Chiesa di Brera in una Galleria Reale che si unisca colla sala delle Statue appartenenti all’Accademia di Belle Arti, lasciando la parte inferiore all’uso delle sacre funzioni» (ASMi, Culto, p.m., 1540). Con il decreto del 1808 che destinava il Palazzo di Brera a «Palazzo delle Scienze ed Arti», l’8 marzo 1808 fu istituita una «Commissione per il palazzo», composta da Lamberti, Pino, Castiglioni, Zanoja, Canonica, Oriani, Cesaris, Gilardoni e Alemagna, con l’incarico di presentare un nuovo piano complessivo (consegnato il 6 agosto e approvato il 15 dicembre). Questa prima Commissione aveva valutato la proposta di demolire la facciata di Santa Maria di Brera, allineando la fabbrica con l’originario ingresso del- la Porteria e ricostruendo la nuova muratura nelle stesse forme dell’edificio del Collegio. Tale idea, approvata da Beauharnais, fu avversata da Cagnola. Inoltre la Commissione d’Ornato, in una lettera del 2 marzo 1809, contestava la cattiva disposizione dei locali destinati a sede dell’Istituto nazionale, l’eccessiva spesa dell’operazione e la demolizione della facciata trecentesca (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22). Il direttore della Pubblica Istruzione, Moscati, respinse le osservazioni sulla distruzione della facciata, proponendo con la mediazione di Canonica di conservare le sculture, soprattutto quelle del portale, in un museo da istituirsi nella stessa chiesa. La demolizione della facciata di «architettura gotica antica, incrostata con marmo bianco e nero ed ornata di alcuni pezzi intagliati ad ornato corrispondenti al gusto gotico» (ASMi, Genio Civile, 3143), fu decisa il 4 aprile 1809 e nell’agosto era già in costruzione la nuova facciata, arretrata e uniformata ai prospetti del collegio elaborati da Pietro Gilardoni (ASMi, Studi, p.m., 335). Parte dei marmi policromi furono destinati alla pavimentazione del Museo, mentre – su suggerimento di Canonica, visto che «edifici di simile genere servono opportunamente ad abbellire grandi parchi e giardini colla desiderata varietà di decorazioni» – l’Intendenza generale dei Beni della Corona ne acquistò alcuni (13 ottobre 1810) per un futuro utilizzo nei Giardini reali e nel Parco di Monza (ASMi, Studi, p.m., 841). Questi furono definitivamente trasportati a Monza nel 1810 e in parte riutilizzati nella decorazione della facciata della Cascina San Fedele, all’interno del Parco di Monza (ASMi, Genio Civile, 3127), e dei Giardini reali (leoni stilofori e altri materiali lapidei). Tale materiale di spoglio confluirà anche nel Museo Patrio d’Archeologia di Milano nel 1867 e nel 1892, a seguito di un sopralluogo di Giulio Carotti e di Emilio Barbiano di Belgioioso. Disegni Giuseppe Piermarini [con Luigi Canonica?], Pianta del piano terreno, 1779; BCF, D 3. Giuseppe Piermarini [con Luigi Canonica?], Pianta del primo piano, rilievo, 1779; BCF, D 18. [Luigi Canonica], Pianta del primo piano, [1806]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 404. Bibliografia Sant’Ambrogio 1891; Filippini 1936; Annoni 1939; Bertoliatti 1939, pp. 171-172; Tea 1941; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 423; Scotti 1979[b], pp. 26, 58; Kannès 1980[b], p. 261; Scotti 1982[a], p. 133; Ricci 1983[a], p. 175; Patetta, Parisi 1995, pp. 13-14; Menichella 1999; Bianchi 2004. (f.r.) San Pietro in Gessate, Milano 1789-1790 Dopo la decisione del 5 settembre 1768 d’istituire a Milano un unico orfanotrofio maschile, e la conseguente soppressione di alcuni ospedali destinati allo scopo, a Giuseppe Piermarini fu affidato il compito di progettare un nuovo edificio. La scelta cadde sul complesso di San Pietro in Gessate, soppresso nel 1772. I lavori d’adattamento furono in parte terminati nel 1776, quando l’edificio fu assegnato ai padri Somaschi. Nel 1788 furono intrapresi nuovi lavori, su disegno di Leopoldo Pollack. Un progetto di Luigi Canonica, relativo a un locale di disimpegno in una sala al primo piano, è conservato nell’archivio dei padri Somaschi a Genova e datato 1789. Nel 1790 l’architetto ticinese disegnò anche la nuova sistemazione dell’altare maggiore della chiesa, parrocchiale dal 1788. Con l’ingresso delle truppe napoleoniche, San Pietro in Gessate fu adibito a ospedale militare e 25 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A San Fedele e San Damiano alla Scala, Milano 1797-1798 Palazzo di Brera, Milano, pianta del primo piano, [1806]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 404. gli orfani trasferiti provvisoriamente nei locali di Brera. Bibliografia Gatti Perer 1966, p. 191. (f.r.) Disegni Luigi Canonica, Pianta di una sala, progetto di trasformazione, 1789; ASPSGe, Luoghi, Milano, 1033. Bibliografia Tolomelli 2009, p. 89. (f.r.) Vicolo San Bernardino, Milano 1797 Il 16 gennaio 1797 Canonica fu incaricato di verificare la richiesta presentata da alcuni proprietari di demolire l’arco a tre fornici esistente nel vicolo di San Bernardino alle Ossa che immetteva verso la Basilica di Santo Stefano. Eretto dalla famiglia Trivulzio, costituiva, secondo i richiedenti, un ostacolo al libero passaggio e rappresentava un retaggio di privilegi feudali. Canonica non si oppose alla demolizione, suggerendo di limitare comunque l’accesso alla piazza con la collocazione di una «colonnetta» per non consentire il passaggio dei carri (ASCMi, Località Milanesi, 327). 26 Eliminazione insegne nobiliari, Milano 1797-1798 Il 12 gennaio 1797 Canonica, «architetto e direttore della pubblica illuminazione», fu incaricato dell’eliminazione di tutti gli stemmi e le insegne nobiliari presenti a Milano e in particolare della cancellazione delle armi «dipinte sulla volta di due delle quattro porte della piazza dei Mercanti e [di] demolire tutte quelle in marmo che esistono intorno alla piazza medesima» (AMMe, Fondo Canonica, IV, 12-25). Una prima lettera di sollecito è datata 22 aprile 1797. Una successiva, inviatagli il 4 settembre 1797, lo invitava a un sopralluogo per la rimozione di tutti gli stemmi eccettuati quelli «utili alle belle arti» presenti nel Rione VII, secondo un elenco compilato dall’«ispettore Villa», come già stabilito da una lettera dell’aprile dello stesso anno (nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno si conservano gli elenchi stilati dagli ispettori di Polizia suddivisi nei diversi “rioni”) (ibidem). Canonica risulta dunque inadempiente nella distruzione delle «armi gentilizie e tutte le insegne di nobiltà [...] che ancora esistono molti di questi avanzi dell’aristocrazia sparsi nella città». Restano in questo carteggio interessanti elenchi di case e edifici di culto con armi e insegne. Dalla documentazione emerge la sua preoccupazione di garantire l’integrità estetica e architettonica degli edifici, nonostante i continui solleciti dell’amministrazione. Tanto che, dopo aver procrastinato a lungo l’esecuzione delle richieste, propose, per esempio, di trasformare le insegne di papa Pio IV presenti sulla facciata del Palazzo dei Giureconsulti in «berrette repubblicane» (9 giugno 1798; ASMi, Autografi, 82, 39), rimosse il 25 agosto 1798. Bibliografia Cusani, VIII, 1861-1884, p. 167; Calligaris 1898, p. 178; Verga 1914, p. 256; Bertoliatti 1939, p. 171; Chiesa 1944, p. 111; Raggi 1953, pp. 281-307; Mezzanotte 1966, p. 287; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 115; Gallo 1996, p. 93. (f.r.) L’attività di architetto nazionale durante il periodo della Repubblica Cisalpina è in gran parte dedicata ai lavori di adattamento di edifici già di proprietà ecclesiastica, espropriati e destinati agli uffici degli organi del nuovo Stato o al casermaggio. Si tratta perlopiù di modesti interventi documentati da liste di lavori o pagamenti di materiali conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (AMMe, Fondo Canonica, V, 29, 34). Nel 1798 Canonica è incaricato di predisporre alcuni interventi al Collegio di San Fedele per ospitare gli Uffici dei Censori della Contabilità e nell’ex Convento di San Damiano alla Scala dove fu provvisoriamente trasferito il Corpo legislativo dei Seniori (poi in parte ceduto alla Società del Teatro Patriottico). Documentano questi compiti i due rilievi delle piante della «Canonica di San Fedele» e del Monastero di San Damiano alla Scala eseguiti nel giugno 1797 oggi all’Archivio di Stato di Bellinzona (vedi il carteggio in AMMe, Fondo Canonica, V, 30). Disegni Luigi Canonica, «Pianta terrena della Canonica di San Fedele», 1797-1798; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 17. Luigi Canonica, «Pianta superiore della Canonica di San Fedele», 17971798; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 17. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 295; Scotti 1980, p. 320; Parisi 1995, p. 62; Patetta, Parisi 1995, p. 34. (f.r.) Seminario Maggiore, Milano 1797-1799 Esiste una reale difficoltà nel riconoscere se i documenti riferiti al «Seminario» riguardino l’edificio del Seminario Maggiore o quello della Canonica (cfr. scheda seguente). Le vicende del Seminario Maggiore sono, in particolare, complicate dal fatto che fu più volte soppresso, per poi essere restituito agli studi. In qualità di architetto nazionale, Canonica fu chiamato in più occasioni per predisporre piccoli adattamenti, atti ad accogliere le truppe di passaggio o gli alloggi degli ufficiali. Un primo dato che lo chiama in cau- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE sa riguarda un sopralluogo effettuato il 23 febbraio 1797 per verificare se l’aula magna del Seminario poteva essere utilizzata per ospitare i materiali delle feste che erano collocati fino a quel momento in diversi magazzini (ASCMi, Località Milanesi, 438). Il 27 novembre 1798 il ministro degli Affari interni gli ordinò di stimare le riparazioni necessarie affinché il complesso potesse ospitare l’alloggio delle reclute, mentre il 1o dicembre Canonica visitò i locali con il capitano Rossi (ibidem; altra documentazione in AMMe, Fondo Canonica, VII, 36-108). nica. I successivi progetti per i fronti dell’edificio verso la Cavalchina furono presentati da Pietro Pestagalli nel 1812 (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22, 10). Disegni Luigi Canonica, «Pianta del locale della Canonica», 1800; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 133. Luigi Canonica, Schizzo per l’ex Seminario della Canonica, 1812; ASMi, Genio Civile, 3158. Luigi Canonica, «Facciata verso il locale della Canonica», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 89. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 12. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 2, 5. Disegni [Luigi Canonica], «Pianta terrena del Seminario di Milano», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 20. [Luigi Canonica], «Pianta superiore del Seminario di Milano», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 20. Bibliografia Quadro storico di Milano, 1802; Bernascone 1889; Baroni 1935; Mezzanotte 1966, pp. 382-383; Parisi 1995, p. 62. (f.r.) Bibliografia Chiesa 1944, p. 112; Petralli, Savi 1944, p. 14; Mezzanotte 1966, p. 299; Parisi 1995, p. 62; Patetta, Parisi 1995, pp. 59-60. (f.r.) Palazzo di Giustizia e Carceri, Milano 1798 Seminario della Canonica, Milano 1797-1812 Nel 1786 (23 marzo) il Collegio Elvetico fu adibito a sede della Presidenza di Governo e la nuova destinazione d’uso costrinse gli alunni a trasferirsi nel vicino Seminario della Canonica (attuale piazza Cavour), ampliato, a spese del Governo, con il completamento dei cortili su disegno di Felice Soave. Nel 1797 (17 giugno) un decreto napoleonico soppresse nuovamente il Collegio Elvetico devolvendo le relative sostanze all’Ospedale Maggiore ad eccezione del complesso del Seminario della Canonica, assegnato al Demanio nazionale (1 agosto 1798), destinandolo a servizio del Ministero della Guerra, e successivamente a sede del Consiglio dei Seniori o Anziani (qui trasportato da San Damiano alla Scala). Canonica si occupò dei primi lavori per il Corpo legislativo dei Seniori che richiedeva la disponibilità dei locali occupati dagli uffici del «Dipartimento della Guerra» (2 dicembre 1797; ASMi, Autografi, 82, 39 e Studi, p.a., 47). Nel maggio 1798 il ministro degli Affari interni incaricò l’architetto nazionale di predisporre un piano per gli adatta- Seminario della Canonica, Milano, pianta del piano terreno, 1800; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 133. menti necessari a ospitare due ministeri e di trasformare l’ex chiesa in quartiere delle guardie (ASMi, Studi, p.a., 46). Canonica elaborò una prima idea, consegnata il 22 giugno 1798, cui fece seguito una serie di lavori tra il 1798 e 1799. Con l’arrivo degli Austro-Russi nell’ex Seminario della Canonica si installarono gli studenti di filosofia. Numerosi appunti relativi a una successiva fase d’interventi sono conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno, tra cui una planimetria autografa riguardante il progetto di sistemazione del piano terreno approvato il 25 novembre 1800 (AMMe, D 133). Questi prevedeva la costruzione di una serie di forni per la panificazio- ne, a nord del secondo cortile, allestiti nella chiesa e aperti dal 16 dicembre 1801 al 2 giugno 1802. Dal 24 giugno 1802 nei locali dell’ex seminario si stabilirono dapprima gli uffici del Corpo legislativo della Repubblica, sulla base di un progetto realizzato da Canonica, e successivamente, nel 1808, venne collocata la Stamperia reale (a questo proposito uno schizzo di Canonica per problemi relativi alle acque pluviali è conservato in ASMi, Genio Civile, 3158). Un decreto vicereale del 26 febbraio 1812, riconoscendo insufficiente la sistemazione degli uffici della Regia contabilità nei locali dell’ex Collegio Elvetico, ordinò che questi venissero trasferiti alla Cano- Nel marzo 1798 Canonica venne incaricato di studiare alcune soluzioni per «accrescere la capacità delle carceri» e per «facilitare la separazione del correzionale dal criminale» (ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 227). Egli propose di utilizzare i locali al piano terreno del Palazzo di Giustizia, occupati dall’«infermiere», spostando l’abitazione di quest’ultimo in un edificio contiguo sul vicolo di San Zeno, allora di proprietà della Camera e occupato da alcune guardie di Polizia, aprendo un nuovo ingresso nel muro di cinta. Pochi giorni dopo la prima proposta, Canonica elaborò una seconda soluzione, collocando l’abitazione dell’infermiere nell’oratorio di Camposanto «vecchio» a nord del palazzo, adattandone i locali (all’epoca l’edificio era occupato dalla Scuola della Dottrina cristiana dopo essere stato adibito a camera mortuaria per i detenuti deceduti), costruendo un nuovo solaio, per suddividere l’altezza interna, una scala, un pozzo e altre necessità. Le relazioni autografe (datate 23 marzo e 4 aprile 1798), allegate a due disegni (ibidem), descrivono i lavori previsti e gli importi di spesa. Per «maggiore economia», in realtà, si decise di non optare per la seconda soluzione. 27 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Palazzo di Giustizia e Carceri, Milano, pianta dei locali adiacenti al Palazzo di Giustizia, 1798; ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 227. Disegni Luigi Canonica, «Pianta dell’oratorio detto di Campo Santo vecchio contiguo al palazzo di Giustizia», 1798; ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 227. Luigi Canonica, Pianta dei locali adiacenti al Palazzo di Giustizia, 1798; ASMi, Uffici Giudiziari, p.a., 227. (f.r.) Ospedale Maggiore, Milano 1798 Nel dicembre 1797, l’Amministrazione centrale del Dipartimento d’Olona incaricò Canonica, l’ingegnere Besana e il medico Crespi di verificare la «perizia, i capitoli e risultato dell’asta» relativi la costruzione di un nuovo braccio dell’Ospedale Maggiore, secondo il progetto già redatto nel 1794 da Pietro Castelli architetto dell’Ospedale (ASMi, Luoghi pii, p.a., 381). La relazione, datata 2 gennaio 1798, si sofferma soprattutto sulla «conformità» del nuovo edificio rispetto a quelli precedenti e su alcune modifiche, tra le quali quelle ai condotti in cotto dei servizi da sostituirsi con nuovi in granito. (f.r.) San Sebastiano, Milano 1798, 1805 Una relazione datata 25 ottobre 1798 conservata presso l’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Autografi, 28 82, 39) attesta un sopralluogo di Canonica ai locali del Circolo costituzionale circa la possibilità di trasferirlo nella Chiesa di San Sebastiano. Ancora nel 1805 l’architetto suggerì, in seguito alla richiesta di nuove costruzioni a fianco della chiesa (una manifattura di armi bianche) e a un sopralluogo effettuato nei primi giorni di agosto, di demolire «tutte quelle case che sono di danno a quel fabbricato e così renderlo più maestoso togliendo l’attuale mostruosità» (ASMi, Studi, p.m., 276). Bibliografia Bertoliatti 1939, p. 171; Mezzanotte 1966, pp. 287, 299. (f.r.) Giardini Pubblici, Milano 1798-1805 Il 4 febbraio 1798 il ministro della Guerra ordinava di adattare il caseggiato che sorgeva nei Giardini Pubblici (attuale via Palestro) a Caserma della Guardia del Gran Consiglio legislativo, edificio identificabile con il Salone per le feste realizzato da Giuseppe Piermarini tra il 1785 e 1786. Il fabbricato era stato acquisito dalla Municipalità milanese nel 1784 dai fondi vacanti del soppresso Convento delle Carcanine e trasformato in edificio per le feste a fianco dell’area destinata al Gioco del pallone, apportando modifiche allo spazio interno e alle facciate (Ricci 1983[a], p. 177). Il complesso comprendeva anche una trattoria con caffè e biliardo. Contemporanea alla richiesta rivolta a Canonica si può forse ritenere la planimetria con la legenda «Giardini pubblici di Milano» e datata 1798, (AMMe, D 201) che ricalca il progetto, realizzato sull’area dei conventi di San Dionigi e delle Carcanine, presentato da Giuseppe Piermarini il 25 novembre 1786 e concluso nel settembre 1792. Nonostante l’opposizione della Municipalità alla trasformazione dell’ex Salone, perché «troppo manifesto che anche il giardino verrà ad essere pregiudicato nella sua conservazione ed impedito nel libero godimento a comodo pubblico», l’architetto nazionale fu incaricato il 5 maggio di provvedere allo sgombero dei locali e a procedere nei lavori (ASCMi, Località Milanesi, 183). Contestualmente fu chiamato a provvedere a creare nuovi ambienti destinati per il «caffettiere», che occupava alcune stanze al piano terreno, tra quelli già utilizzati dagli spettatori nel recinto del Gioco del pallone. Un elenco dei lavori eseguiti da Francesco Antonio Pollo è conservato nel Fondo Canonica a Mendrisio (AMMe, Fondo Canonica, V, 26-28). Nel settembre 1798 venne soppressa la Guardia del Corpo legislativo e l’edificio fu destinato a caserma delle tre compagnie di granatieri. Nel corso della riunione del 22 novembre 1804 (ASCMi, Consiglio Comunale, 4) l’amministrazione municipale approvò un nuovo progetto elaborato da Canonica «per il nuovo ordine ed abbellimento» dei Giardini Pubblici poiché lo riteneva il meno dispendioso e nel tempo stesso «il più bene ideato sia per il comodo pubblico, sia per le feste nazionali, per le quali sono principalmente destinati i Giardini pubblici». Tra i lavori stimati, nel febbraio del 1805, dall’ingegnere comunale ritroviamo la demolizione del muro che circondava lo spazio destinato al Gioco del pallone, la realizzazione di una fontana e di nuove alberature («maroniere», «mori pepiferi», robinie, tigli, platani e olmi). Contestualmente, Canonica elaborò probabilmente anche alcuni interventi al riacquisito ex Salone dei Giardini Pubblici per adattarlo nuovamente a sala da ballo (ASCMi, Consiglio Comunale, 4, 58), lavori che comportarono una spesa ingente, quantificata in 133.487 lire in un rendiconto della soppressa Soprintendenza generale alle fabbriche (ASMi, Genio Civile, 3149). Il Fondo Canonica conserva una tavola di presentazione, sottoscritta dall’architetto, rappresentante una sezione dell’edificio con la sala articolata da un ordine gigante di lesene di ordine ionico alternate ad aperture rettangolari, sormontate da bassorilievi e balconate (AMMe, D 80); superiormente corre un fregio a festoni e testine ioniche e un attico finestrato. Il profilo della copertura centrale si elevava rispetto a quello dei corpi adiacenti. La festa da ballo tenuta il 29 maggio 1805 nel nuovo Salone faceva parte di una serie di iniziative (Fiera, illuminazione del corso verso Loreto e dei bastioni, fuochi artificiali, giocolieri, costruzione di palchi e piramidi, una prospettiva verso Loreto, un palco per la battaglia di Marengo, un teatro delle marionette, un palco per i ciarlatani, obelischi, un piedistallo e una colonna con quattro telamoni) che si tennero in occasione dell’incoronazione di Napoleone. I lavori furono appaltati a Domenico Fontana e Giuseppe Brioschi, mentre tra gli artisti impegnati ritroviamo Alessandro Sanquirico, gli stuccatori Domenico Giani e Giovanni Pietro Porta. I pagamenti riportano la controfirma di Pietro Gilardoni che seguì i lavori delle maestranze qui impegnate (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 142, 185). Una nuova fase progettuale è invece documentata da alcuni fogli del Fondo Cagnola (RSBMi, Fondo Cagnola, 3407, 3404), mentre a Mendrisio sono conservate alcune tavole dei progetti di Paolo Landriani relative alla trasformazione dell’edificio in Teatro diurno (1827); BC-AMMe, BC 286, BC 287, BC 288). Disegni Luigi Canonica, «Giardini pubblici di Milano», [1798]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 201 Luigi Canonica, «Salone nel Giardino Pubblico», Milano, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 80. Bibliografia Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 506508; Mezzanotte 1966, p. 294; Patetta, Parisi 1995, pp. 106-107, 111; Garufi, Sicoli 1997, p. 32. (f.r.) San Francesco Grande, Milano 1798-1805 Nel 1798 il Governo scelse l’ex Convento di San Francesco Grande quale sede dell’orfanotrofio, in precedenza ospitato a San Pietro in Gessate e, in parte, a Brera. Il progetto di adattamento del complesso alla nuova destinazione fu elaborato da Leopoldo Pollack e limitato ai lavori necessari. AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Canonica, chiamato come architetto nazionale, suggerì in tale occasione di destinare alcuni locali all’educazione militare (ASPSGe, Luoghi, Milano, 1083; 1798, 25 settembre). L’orfanotrofio fu qui ospitato sino al 1803 per essere poi nuovamente trasferito a San Pietro in Gessate. Il 5 marzo 1798 Canonica era già intervenuto con una relazione, conservata nel fondo Autografi dell’Archivio di Stato di Milano, relativa alle sedute lignee del refettorio del convento. La destinazione d’uso dei due complessi di San Pietro e San Francesco fu nuovamente discussa negli anni della Repubblica Italiana, quando fu decisa l’istituzione di un magazzino per il «casermaggio» (abbigliamento, letti, effetti...) (ASMi, Ministero della Guerra, 760). L’architetto ticinese propose di collocarlo a San Francesco, guidato da una motivazione economica e pratica, e di lasciare il complesso di San Pietro agli orfani poiché era bisognoso di minori interventi di risistemazione ed era collocato più vicino ai luoghi di avviamento al lavoro dei minori. La ristrutturazione del «locale» di San Francesco a magazzino e casermaggio fu approvata nell’ottobre 1803 da Melzi e affidata alla direzione di Faroni. Nel settembre 1803 l’architetto nazionale intervenne di nuovo con alcuni consigli per trasformare la Chiesa di San Francesco a uso di magazzino di generi militari. (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 33). Per ovviare al problema del freddo e per suddividere i locali, suggerì di otturare alcuni sepolcri e aperture e di chiudere con steccati in legno le cappelle laterali. Nel novembre dello stesso anno Canonica informava che le opere erano state eseguite. Nuovi lavori vennero in seguito affidati a Faroni. Nel budget del 1805 della Soprintendenza alle Fabbriche nazionali si trova inserito un capitolo di spesa destinato a ulteriori lavori di adattamento di parte della Chiesa di San Francesco per collocarvi l’archivio di Deposito, lavori che videro impegnato ancora Luigi Canonica (ASMi, Genio Civile, 3149, 3153, 3163), prima della definitiva destinazione del complesso a caserma dei Veliti. Nel marzo del 1805 l’architetto richiese in uso una porzione della Chiesa di San Francesco per far dipingere le tele che dovevano decorare la macchina dei fuochi d’artificio per i festeggiamenti dell’incoronazione di Napoleone. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 299. (f.r.) Santa Maria della Rosa, Milano 1798-1808 La chiesa sorgeva a fianco della Biblioteca Ambrosiana ed era divenuta parrocchiale nel 1787 dopo la soppressione dei Domenicani e della confraternita del Santissimo Rosario che la amministrava. Un primo progetto di costruzione della facciata, rimasta fino allora incompleta, fu redatto da Leopoldo Pollack. Canonica è qui documentato una prima volta nel 1798 (25 giugno 1798; ASMi, Autografi, 82, 39) in occasione dei lavori di riparazione per il parziale crollo della volta che comportò il trasferimento del Circolo costituzionale giacobino, allora qui insediato, nella Chiesa di San Sebastiano. Successivamente, Santa Maria della Rosa fu sede del laboratorio scenografico della Scala, di un magazzino del pane e di un deposito di legnami. Dopo il 1805, le nuove esigenze determinate dalla presenza della corte a Milano e la vicinanza a Palazzo Reale fecero sì che la chiesa fosse destinata a magazzino reale con modesti adattamenti documentati tra il 1805 e il 1807 (ASMi, Genio Civile, 3140). Nell’ottobre del 1806 Canonica si espresse negativamente sull’eventualità che qui fossero ospitati i decoratori delle scene teatrali. Il 30 luglio 1808 Costabili sottopose a Eugenio di Beauharnais un progetto dell’architetto ticinese «per la costruzione di una nuova scuderia capace di ottanta cavalli da erigersi nell’attuale locale della Rosa», approvato dal viceré il 18 agosto ma mai realizzato e sostituito con il nuovo progetto di ampliamento di Palazzo Reale (ibidem). Nel piano inferiore Canonica aveva previsto una copertura a volta sorretta da colonne, mentre al piano superiore, ottenuto dalla trasformazione interna, aveva cercato di conservare l’originaria volta della chiesa (BC 203, BC 347). Egli disegnò anche un nuovo fronte principale, eliminando le irregolarità e inserendo i corpi scala nel nartece. Il prospetto appariva tripartito in senso orizzontale con un primo livello a bugnato, un pronao a tre fornici, un secondo e un terzo livello con finestre e mezzanini, e un grande timpano, al cui centro si apriva una finestra semicircolare. I rilievi iniziali furono realizzati da Felice Botta e consegnati a Canonica il 2 luglio, mentre il progetto definitivo fu approvato il mese successivo (ASMi, Genio Civile, 3140). In realtà ancora nel 1809 la chiesa era destinata a magazzino di materiali, come documentano i suggerimenti dello stesso architetto di utilizzare per lo scalone della Villa Bonaparte uno dei leoni ivi depositati e di collocarvi i legnami recuperati dalle demolizioni degli edifici che sorgevano in contrada delle Ore. Nel 1813 il complesso fu utilizzato come deposito per le scenografie teatrali e per i marmi che furono in seguito utilizzati nella Cappella di Corte di San Gottardo. Solo nel 1829 fu definitivamente approvata la cessione della chiesa alla Biblioteca Ambrosiana che ne avviò la demolizione nel 1831. Disegni Luigi Canonica, Pianta e sezione, [1808]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 203. Luigi Canonica, «Spaccato» e «facciata», [1808]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 347. «Salone nel Giardino Pubblico», Milano, sezione trasversale, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 80. 29 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Santa Maria della Rosa, Milano, pianta e sezione, [1808]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 203. Santa Maria della Rosa, Milano, prospetto e sezione, [1808]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 347. [Luigi Canonica?], Pianta, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 1n. [Luigi Canonica?], Pianta della facciata, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 2n. [Luigi Canonica?], Pianta della facciata, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 3n. tunità di trasformarli in Armeria nazionale (AMMe, Fondo Canonica, VI, 35). (f.r.) Bibliografia Venosta, II, 1867, pp. 84-86; Mezzanotte 1966, pp. 299-300; Rovetta 2001, p. 317. (f.r.) 30 Armeria nazionale di Sant’Apollinare e Santa Sofia, Milano 1799 Nel marzo 1799, Canonica come architetto nazionale fu incaricato dall’ispettore centrale del ministro della Guerra, Bianchi D’Adda, di rilevare i complessi di Sant’Apollinare e di Santa Sofia per valutarne con il capo di brigata Lalance, comandante dell’artiglieria cisalpina, e con il capitano del Genio, Lucini, l’oppor- Palazzo dei Luoghi Pii, Milano [1799-1802] Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio conserva un progetto di ampliamento del Palazzo dei Luoghi Pii riuniti di Milano, coerentemente con quanto già realizza- to da Piermarini (BCF, B 66 e B 55). L’ente era stato istituito nel 1784, concentrando in un solo organo l’amministrazione delle confraternite e delle pie fondazioni e collocandolo in una nuova sede sull’area del convento soppresso delle Cappuccine di San Barnaba. La proposta di Canonica (BC-AMMe, BC 299, BC 413) prevede di raddoppiare l’edificio esistente, riproponendolo simmetricamente e di aggiungere un attico finestrato nella zona centrale. Un disegno (BC-AMMe, BC 413) ri- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE porta tratti a matita che riducono, in una seconda versione, il fronte principale, limitando il corpo centrale. La totale assenza di documentazione non ci permette una maggiore precisione sul ruolo svolto da Luigi Canonica. Disegni [Luigi Canonica?], Prospetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 413. [Luigi Canonica?], «Pianta inservibile del locale dei LL. PP. Elemosinieri», s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 299. Bibliografia Patetta, Parisi 1995, p. 22. (f.r.) Palazzo dei Luoghi Pii, Milano, prospetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 413. Regia Zecca, Milano 1800-1801 L’edificio della Zecca fu progettato da Piermarini nel 1777 e ampliato secondo le indicazioni di Marcellino Segrè nel 1789 (disegni, capitolati e controstime dei due progetti in ASMi, Finanze, p.a., 844). Tra il 1800 e il 1801 Canonica fu chiamato a esprimere un parere, su richiesta del Ministero degli Affari interni, per la demolizione e la ricostruzione della Regia Zecca, giudicando tre diverse soluzioni progettuali. Egli esaminò le soluzioni presentate senza esprimere una vera preferenza: per il primo progetto rilevava che «inchiude la spesa della demolizione e ricostruzione della Zecca [...] la quale è totalmente esclusa nel secondo progetto. La facciata verso il giardino […] colla decorazione di 2 ordini di colonne ed aventi corrispondenti a quelle della facciata verso la piazza riesce naturalmente più dispendiosa. […] Nel primo progetto la detta decorazione più semplice si limita all’estensione della facciata […]. La decorazione della facciata verso la piazza ridotta come nel secondo progetto riuscirebbe più ragionevole e preferibile alla prima» (AMMe, Fondo Canonica, VIII, 109-113). Nel 1808 venne presentato alla Commissione d’Ornato un progetto elaborato da Gaetano Faroni per l’ampliamento dell’edificio (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22). Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 333. (f.r.) Palazzo dei Giureconsulti, dei Tribunali, Milano 1801-1802 Nel settembre del 1801 a Canonica venne richiesto un parere sul progetto di trasformare le aule del Collegio dei Giureconsulti, situate al piano terreno e adibite a magazzino dell’Agenzia nazionale dei Beni nazionali, in botteghe per stamperie (4 settembre, 25 settembre 1801 e 10 gennaio 1802, ASMi, Fondi Camerali, p.m., 37), mentre i locali superiori del palazzo avrebbero conservato la funzione di tribunale. Solo in un primo momento, come documenta la relazione autografa datata 4 settembre 1801, Canonica si oppose sostenendo la necessità di una diversa logica nella cessione dei beni di proprietà camerale, e, preoccupato dei lavori di adattamento alla nuova funzione, ribadiva la necessità di non «alterare in qualche parte la decorazione di quel fabbricato». Nelle relazioni successive egli non respinse il progetto di trasformazione del palazzo, che prevedeva l’apertura dei sottoportici, purché non si alterasse (come dal disegno allegato alla richiesta) il carattere architettonico dell’edificio (ibidem). Ancora nel febbraio e nel giugno dell’anno successivo, intervenne su analoghe proposte, giudicandole secondo gli stessi criteri. Bibliografia Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 115. (f.r.) Rocchetta del Castello, Milano 1802 Il 17 luglio 1802 Luigi Canonica venne incaricato di un sopralluogo alla Rocchetta per ricavarvi un carcere militare (ASMi, Ministero della Guerra, 667). L’episodio si inserisce all’interno del conflitto tra coloro i quali vedevano il Castello come centro civico e pubblico del futuro Foro Bonaparte e i militari che volevano mantenerne la destinazione a caserma, aumentandone la capacità ricettiva. Bibliografia Scotti 1989, p. 225. 1803), proprietario della manifattura. Un rilievo del convento, conservato all’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Fondi Camerali, p.a., 35), è da collegare all’atto di cessione datato 12 ottobre 1803 compilato da Gaetano Faroni e riporta una lunga legenda autografa. Altri riferimenti a pareri espressi da Canonica si hanno nel 1805 e si trovano nei vari documenti depositati in ASMi, Genio Civile, 3148. (f.r.) Sant’Antonio, Milano 1802-1804 (f.r.) Santa Prassede, Milano 1802 Nel 1802 il complesso di Santa Prassede a Porta Tosa fu ceduto in affitto come sede di una manifattura tessile (cotone, lino e lana). Ad Andreoli, soprintendente generale alle Fabbriche nazionali, e a Canonica, architetto nazionale, fu, secondo la prassi, richiesto un parere sulla possibilità di ospitare nei locali esclusi dall’affitto, tra i quali la chiesa, le ex monache di Santa Radegonda, allora ospitate a San Barnaba. Nel settembre dello stesso anno, Canonica, venne nuovamente chiamato a esprimere un parere sulla possibilità di ridurre gli spazi concessi alle monache, necessari per un ampliamento dell’impresa tessile. Nonostante il parere negativo, i locali furono ceduti in affitto l’anno successivo a Leonardo Breneisen (1 marzo Come soprintendente generale alle Fabbriche nazionali, Luigi Canonica predispose il progetto per la trasformazione di alcuni locali del complesso di Sant’Antonio, già occupato da un teatro di marionette, a carcere del Tribunale speciale. L’esecuzione dei lavori fu affidata a Gilardoni nel luglio del 1803. In precedenza, nel 1802, il dottor Luigi Sacco aveva ottenuto il permesso di mutare una porzione del collegio in laboratorio per vaccinazioni. L’architetto, inizialmente, si era opposto a tale scelta perché in quel momento vi era la necessità di avere a disposizione locali per uffici pubblici. In particolare per il complesso di Sant’Antonio aveva definito un piano per collocarvi il Ministero dell’Interno. Una serie di vertenze sull’esatto confine delle proprietà Sacco e quelle demaniali lo vide nuovamente coinvolto nell’aprile del 1804 (AMMe, Fondo Canonica, IX, 123) 31 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A quando il ministro confermò l’alienazione a favore di Luigi Sacco (ASMi, Genio Civile, 3157 e 3155). Nuovi lavori furono eseguiti sotto la direzione di Gilardoni nel 1806 (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 33). Un rilievo acquarellato e autografo, conservato nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno, indica alcune trasformazioni al piano superiore del complesso, le parti alienate e quelle ancora destinate a culto. Disegni Luigi Canonica, «Tipo dimostrante la pianta terrena del locale di S. Antonio in Milano», [1802-1804]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 102. Bibliografia Scotti 1984, p. 124; Patetta, Parisi 1995, pp. 27-28. (f.r.) Monte di Santa Teresa, Milano 1802-1804 Due disegni, custoditi all’Archivio del Moderno di Mendrisio (D 413, D 414), rappresentano le piante del piano terreno e di quello superiore dell’edificio, costruito su progetto di Piermarini nel 1782-1783. I due rilievi, coerenti con i fogli conservati alla Biblioteca Comunale di Foligno (BCF, B 54 e B 56), conservano tracce a matita di modeste trasformazioni relative alla distribuzione dei locali, forse databili tra il 1802 e il 1804, quando furono eseguiti alcuni lavori di adattamento, affidati a Gilardoni e Faroni (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 36). Disegni [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, rilievo, [1802-1804]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 413. [Luigi Canonica], Pianta del primo piano, rilievo «Monte di Santa Teresa», [1802-1804]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 414. Bibliografia Patetta, Parisi 1995, p. 112. (f.r.) Santa Margherita, Milano 1802-1808 Nel 1802 il complesso di Santa Margherita fu oggetto d’importanti lavori per la nuova destinazione a sede della Prefettura dipartimentale di Polizia e, per una piccola parte, a ti- 32 «Tipo dimostrante la pianta terrena del locale di S. Antonio in Milano», [1802-1804]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 102. pografia. Tra i documenti raccolti nel fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano è conservata una relazione di Canonica, redatta in occasione di una richiesta da parte di un confinante (ASMi, Genio Civile, 3158; copia in ASMi, Fondi Camerali, p.m., 34), che presenta allegati due disegni non autografi, con le sistemazioni dei locali e delle nuove aperture. Nel 1808 una parte del fabbricato fu destinata ad infermeria per i cavalli «attaccati da malattie contagiose» delle scuderie reali e su indicazione dello scudiere di casa reale, Canonica fu coinvolto nel progetto di ampliamento. La spesa fu approvata in data 8 marzo 1808. (f.r.) Villa Belgioioso, Bonaparte, Reale, Milano 1802-1812 Il conte Ludovico Barbiano di Belgioioso, tornato a Milano dopo una brillante carriera che lo aveva visto prima generale poi diplomatico e infine governatore sotto i regni di Maria Teresa e Giuseppe II, tra 1790 e 1793 si fece costruire da Leopoldo Pollack una sontuosa villa con giardino all’inglese in contrada Isara, su un vasto terreno proveniente dalle recenti soppressioni, bagnato dalla roggia Balossa. Qui egli abitò fino alla sua morte nel maggio del 1801. Gli eredi del conte cedettero in affitto la villa alla Repubblica Italiana. Il 20 marzo 1802 Antonio Andreoli, soprintendente generale alle Fabbriche pubbliche, incaricato del ministro degli Interni, e l’ingegnere Girolamo Brioschi, amministratore dell’eredità Belgioioso, firmarono il contratto d’affitto del palazzo in «Strada Isera di questa città con rustici annessi e giardino» per 150.000 lire annue e per la durata di tre anni, «incominciati collo scorso San Michele 180uno, e che termineranno col giorno di san Michele 180quattro» ad esclusione della «porzione d’appartamento al primo piano verso il giardino, che trovasi tuttora rustico e l’attuale abitazione dell’oste Felice Curtis colle cantine dallo stesso affittate» e dei locali dell’amministrazione (AMMe, Fondo Canonica, XII, 215). È dubbia la collaborazione di Luigi Canonica alla redazione del contratto; la sua successiva richiesta di una copia del documento al ministro porta a considerare tale eventualità poco probabile (AMMe, Fondo Canonica, XII, 223). Su incarico del Ministero, Canonica però iniziò a occuparsi dell’edificio dapprima come architetto nazionale, in seguito come soprintendente alle Fabbriche nazionali. I documenti conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno, segnatamente le lettere a Canonica del Ministero dell’Interno, le minute dei suoi rapporti al ministro, le comunicazioni ai sottoposti dell’ufficio della Soprintendenza, consentono di seguirne da vicino l’attività nel periodo compreso tra il 1802 e il 1805. Il 22 marzo 1802 si comunicò a Canonica che il vicepresidente Melzi aveva richiesto di allestire la Villa Bonaparte con «letti, biancheria ed altri arredi e mobili necessari per ricevere qual si conviene» Letizia Bonaparte, il cui arrivo in città era previsto per il giorno seguente. L’architetto passò l’incarico al soprintendente aggiunto, Maspoli, che organizzò il mobilio e tutto l’occorrente per l’appartamento destinato alla madre di Napoleone (AMMe, Fondo Canonica, XII, 216). Nell’aprile del 1802 Villa Belgioioso diventò residenza di Gioacchino Murat, giunto a Milano nell’agosto dell’anno precedente come generale in capo delle armate francesi in Italia. Egli vi avrebbe dimorato fino all’agosto 1803, allorché sarebbe rientrato a Parigi con la sua famiglia. Tutte le richieste di migliorie, formulate durante la sua permanenza, fu- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE rono adempiute da Canonica. Il 18 luglio 1802 l’architetto fu interpellato dal ministro degli Interni, per la richiesta dell’aiutante del generale Murat, Exalmans, di aumentare la profondità del canale nel giardino (AMMe, Fondo Canonica, XII, 219). Canonica eseguì un sopralluogo con l’ingegnere nazionale Gaetano Bellotti, il quale stese una relazione per il ministro (AMMe, Fondo Canonica, XII, 220). In seguito l’architetto venne incaricato di procedere ai lavori, che mise in esecuzione preoccupandosi di assegnare l’addebito della spesa ai proprietari (AMMe, Fondo Canonica, XII, 235). Il 6 ottobre Canonica fu invitato a visitare la sala grande al primo piano, rimasta a rustico e priva di serramenti, poiché il generale Murat l’avrebbe voluta sistemare provvisoriamente in modo da poterla utilizzare (AMMe, Fondo Canonica, XII, 226). Nella sua relazione del 9 ottobre, egli riferì che non sarebbe stato ragionevole un intervento provvisorio, data l’entità degli interventi necessari, e consigliò di eseguire i lavori a regola d’arte (AMMe, Fondo Canonica, XII, 227). Il giorno 11 ottobre il ministro lo incaricò di procedere e gli mise a disposizione 12.000 lire (AMMe, Fondo Canonica, XII, 228). Il 21 ottobre 1802, su richiesta del ministro, Canonica aveva determinato pure il valore commerciale della villa che stimò di 500.000 lire, tenendo conto che l’appartamento nobile al primo piano si trovava ancora a rustico (AMMe, Fondo Canonica, XII, 229). Per decisione di Francesco Melzi, il 19 gennaio 1803, si ratificò l’acquisto della proprietà da parte della Repubblica Italiana, avvenuto con atto del 14 dicembre 1802 al prezzo peritato da Canonica (AMMe, Fondo Canonica, XII, 231). Il 25 gennaio 1803 si chiese a Canonica di passare in esame l’intera villa per elencare i miglioramenti necessari al fine di adeguarla al rango del generale Murat. Egli delegò l’esecuzione dei rilievi a Gilardoni (AMMe, Fondo Canonica, XII, 232). Il 9 febbraio trasmise il suo rapporto dove riferì che sarebbe stato opportuno portare a termine l’appartamento principale, al primo piano nel centro della casa verso il giardino, rimasto a rustico. Egli predispose la sequenza delle stanze: «Prima e seconda anticamera, antisala, sala di ricevimento, sala à manger, due stanze attigue e di servizio alla detta sala à manger, sala di mezzo e principale, sala di compagnia, stanza da letto, primo gabinetto, altro gabinetto per toilette, ritirata o boudoir, Due stanze per donne di servizio e Guardarobba» e preventivò la spesa in 179.428 lire, precisando: «ho divisato di evitare uno sfoggio di lusso soverchiamente dispendioso, limitando perciò le dorature agli ornati delle sole tre stanze primarie [...] non introducendo alcun opera d’impegno di artista singolare» (AMMe, Fondo Canonica, XII, 233). Il 28 marzo Canonica dovette procurare una barchetta per lo stagno della villa (AMMe, Fondo Canonica, XII, 234). In una memoria, sempre del 1803, egli ricordò una fornitura di tappeti, da lui commissionata alla manifattura di Tournai per la casa ad uso del generale Murat (ASMi, Genio Civile, 3158). I lavori interni erano in esecuzione nella seconda metà del 1803, mentre il successore di Murat, il maresciallo Jourdan, risiedeva in Casa Bovara (AMMe, Fondo Canonica, XII, 236). Al piano superiore si procedeva speditamente. Nel preventivo, steso il 25 settembre per il terzo quadrimestre del 1804, tra le spese concernenti le fabbriche pubbliche ricadenti sotto la competenza del Ministero degli Interni, per la Villa Belgioioso Canonica registrò vari pagamenti a una trentina di maestranze per opere di fabbrica e a quattordici artigiani per mobili (BC 13). In assenza di documentazione precisa ci limitiamo a dire che, tra i disegni del fondo di Mendrisio, Susanna Zanuso ha riconosciuto un bozzetto per la decorazione di un soffitto (BC-AMMe, BC 4) e tre disegni di porte (BC- AMMe, BC 11, BC 16 e BC 17), per le sale al primo piano della villa. Si riscontra anche una certa somiglianza con un disegno per la decorazione del soffitto della Cavallerizza di Palazzo Reale (BC-AMMe, BC 1) e il motivo a esagoni che compare nel plafone del salone di Villa Reale. Altra traccia dei decori che furono eseguiti in quel momento si trova in una lettera del pittore Carlo Antonio Raineri, datata 22 settembre 1804, dove si legge: «gli arazzi che ho l’onore di colorire oltre alcuni animali quadrupedi, rettili ed alcune piante presentano uccelli ed insetti delle quattro parti del mondo divisi in campi separati […]» (ASMi, Genio Civile, 3153). Nel preventivo delle spese per il 1805, compilato da Canonica per il Ministero, le voci su Villa Bonaparte, comprendenti «la montatura di tutto l’appartamento terreno ordinata dal v. presid. […] manutenz. del giardino» per un totale di 95.000 lire, rappresentano il terzo capitolo di spesa dopo «Palazzo di Governo in Milano» (Palazzo Reale) e «Palazzo di Governo presso Monza» (Villa Reale) (ASMi, Genio Civile, 3126). L’architetto fu coinvolto anche in faccende minute come: il 6 e l’11 giugno 1804, egli incaricò la «Guardarobba» di fornire attrezzi rispettivamente al giardiniere Spada e al custode Belloni (AMMe, Fondo Cano- [Luigi Canonica?], Villa Reale, Milano, pianta del primo piano, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 338. 33 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Villa Reale, Milano, planimetria con progetto di ampliamento, [1810]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 2, BC 322. nica, XII, 237-238). Tra 1805 e 1809, dopo la nomina di Eugenio di Beauharnais a viceré d’Italia nella villa si procedette a tutte le manutenzioni opportune, per le coperture, le scuderie, i vialetti e le aiuole del giardino e vennero posati i parafulmini (ASMi, Genio Civile, 3138). Canonica realizzò una scala riservata per la comunicazione rapida tra i due piani (ASMi, Genio Civile, 3126; Boulogne, Bibliothèque Marmottan: lettera di Canonica a Costabili del 17 luglio 1805). Egli fu pure responsabile di tutte le opere di abbellimento volute da Eugenio di Beauharnais a partire dal 1806, opere che ricevettero impulso dal 1810, quando Napoleone decretò che la residenza fosse separata dai Beni della Corona e aggregata a quelli di appannaggio del principe. Tali interventi, susseguitisi tra 1806 e 1812, si possono in parte evincere dai carteggi del fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano e dai disegni del Fondo Canonica di Mendrisio. Nel 1808 il viceré chiese di unire l’ortaglia della Canonica al giardino della villa (ASMi, Genio Civile, 3130, 3141; Boulogne, Bibliothèque Marmottan: lettera del ministro delle Finanze a Costabili del 9 maggio 1808), affidando l’aspetto legale del- 34 la questione al nostro architetto, il quale nel 1810 disegnò pure il nuovo settore del giardino (ASMi, Genio Civile, 3154). Allo stesso anno risale anche il progetto di una sala vetrata da realizzarsi contigua alla villa verso i boschetti (BC-AMMe, BC 322, D 333), mentre fu studiata la possibilità di ricostruire in forma di esedra il granaio e il fienile, situati davanti alla corte sul lato opposto di contrada Isara (AMMe, D 325, D 331, D 336). Nell’inventario compilato nel 1810, in occasione del passaggio del complesso ai beni di appannaggio del viceré, l’edificio, denominato Reale Villa Bonaparte, appare già completamente arredato (Boulogne, Bibliothèque Marmottan: 9 luglio 1810, istromento di rilascio); tuttavia nuovi lavori per abbellire gli interni ebbero luogo tra il 1811 e il 1812 (ASMi, Genio Civile, 3130, 3154). Opere quali le quattro sovrapposte in stucco, modellate da Grazioso Rusca, per il salone del primo piano, una delle quali raffigurante la Vittoria alata sullo sfondo di una piramide, e un’altra Napoleone che soccorre l’Italia (Mazzocca 2007, p. 27) e il Parnaso, affresco di Andrea Appiani firmato e datato 1811, dipinto sulla volta della sala da pranzo, con le due lunette ancora del Rusca, testimoniano gli intenti celebrativi dei fasti imperiali che caratterizzano gli interventi di abbellimento commissionati dal principe Eugenio a Canonica e l’aggiornamento del gusto in chiave archeologica sopravvenuto con la proclamazione del Regno d’Italia. Potrebbero riferirsi a tale periodo alcuni fogli non datati del Fondo Canonica di Mendrisio: un disegno con l’apertura di un lungo corridoio riservato ai domestici, al secondo piano, (AMMe, D 327) e alcuni fogli con mobili, assegnati da Susanna Zanuso alla villa (BC-AMMe, BC 112, BC 167, BC 184, BC 155). La serie dei lavori sembra comunque chiudersi nel 1812 con il rifacimento del selciato della corte (ASMi, Genio Civile, 3154). Disegni Luigi Canonica, Planimetria generale dell’area con indicazioni progettuali, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 329. Luigi Canonica, Planimetria generale della villa e del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 330. [Luigi Canonica?], Pianta del piano terreno, rilievo, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 337. [Luigi Canonica?], Pianta del piano interrato, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 339. [Luigi Canonica?], Pianta del primo piano, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 338 (D 223). [Luigi Canonica?], Pianta del piano terreno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 340 (D 18). Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 328. Luigi Canonica, Planimetria generale con l’ampliamento del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 326. Luigi Canonica, Prospetto e sezione trasversale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 127. Luigi Canonica, Pianta della «Sala a manger», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 57. Luigi Canonica, Decorazione di soffitto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 04. Luigi Canonica, Particolare delle porte delle sale al primo piano, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 11, 16, 17. Luigi Canonica, Pianta di una sala vetrata da realizzare contigua alla villa verso i Boschetti, [1810]; AMMe, Fondo Canonica, 2, BC 322, D 333. Luigi Canonica, Piante, prospetti e sezioni di edifici rustici adibiti a granaio e fienile, [1810]; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 325, D 331, D 336. Luigi Canonica, Pianta del secondo piano, variante di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 327. Luigi Canonica, Studi per tavoli e consolles, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 112. Luigi Canonica, Studi per aste per caminiere, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 167. Luigi Canonica, Studi per aste per baldacchino, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 184. Luigi Canonica, Studi per lampadario dello scalone, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 155. Luigi Canonica, Schizzo del tempietto sul laghetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 123v. Luigi Canonica, Rilievo delle quote del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 334. Bibliografia Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 927935; L’idea della magnificenza civile 1978, pp. 39-41; Bascapè, Celona, Bassi 1986; Patetta, Parisi 1995, pp. 68-69; Mazzocca 2007, pp. 26-33; Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, pp. 327-341. (r.b.) AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Villa Reale, Milano, planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 2, D 330. Villa Reale, Monza 1802-1821 Dopo un lungo periodo d’incertezza su come utilizzare questa ex residenza, successivo all’arrivo dei Francesi nel 1796, la Villa Arciducale, poi Palazzo Nazionale o Palazzo di Governo, fu scelta dal vicepresidente della Repubblica Italiana, Francesco Melzi, quale residenza estiva e nuovamente frequentata dal 6 agosto 1803. Ben più importante per le sorti della Villa fu però la decisione di Eugenio di Beauharnais, in seguito al Terzo Statuto costituzionale (5 giugno 1805), di destinarla a vera e propria residenza di corte, ampliando i giardini con il nuovo Parco Reale e nuove pertinenze. Beauharnais soggiornò ufficialmente nella Villa già nell’estate del 1805; da Monza governava seguendo un preciso programma settimanale che prevedeva le consultazioni con i ministri e l’udienza delle autorità civili e militari la domenica, dopo la messa, il Consiglio dei ministri il giovedì, e due “circoli” settimanali (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 206). Potremmo suddividere in tre grandi settori l’impegno di Canonica per questa residenza reale, attività che non comportò la progettazione di particolari opere edilizie se non la costruzione delle nuove scuderie, di nuove serre e del teatro, ma il continuo aggiornamento e la manutenzione dei locali abitati per alcuni mesi all’anno dalla corte vicereale. In primo luogo il rinnovo degli apparati decorativi, soprattutto nei perduti appartamenti di Eugenio e Amalia; la diversa destinazione d’uso degli spazi esistenti per aggiornarli al nuovo cerimoniale di corte e ai desideri espressi personalmente da Beauharnais (biblioteca, sala del bigliardo e bureau topografico); infine gli aggiornamenti tecnologici sulla base delle mode provenienti dall’Inghilterra e da Parigi. Canonica, soprintendente generale, si occupò alla fine del 1802 delle iniziali riparazioni (ASMi, Genio Civile, 3158), limitate a un «riattamento», ma di questi lavori, come dei successivi, e dei progetti proposti e realizzati, la storiografia fa solo qualche timido cenno. È lo stesso architetto che, circa 35 anni dopo, ci descrive come «nell’anno 1802 il Governo aveva riacquistati dal demanio francese i suddetti fabbricati i quali esistevano devastati e degradati per tutto, spogliati di qualunque mobile ed addobbo [...]. Sul finire dell’anno suddetto io venni superiormente incaricato nella mia qualità di sopraintendente [...] per compilare il prospetto di tutto il bisognevole per rendere quel Palazzo abitabile per uso del capo del Governo» (AMMe, Fondo Canonica, X, 193). Tra le stesse carte del Fondo Canonica di Mendrisio, si conserva una stima delle spese necessarie per l’area destinata a caserma del complesso piermariniano sottoscritta da Andreoli, intendente generale delle Fabbriche, e Giosuè Uselli il 23 luglio 1802 (AMMe, Fondo Canonica, X, 150). La decisione di destinare la Villa Arciducale a Palazzo di Governo fu di poco precedente la lettera che il ministro degli Affari interni scrisse a Canonica, il primo febbraio 1803, ordinandogli che fosse liberata dalle truppe per restaurarla (AMMe, Fondo Canonica, X, 151). Una conferma che già nell’estate del 1803 la villa fosse nuovamente agibile è la successiva richiesta all’architetto di trasferirvi sei quadri di Martin Knoller dall’appartamento privato del vicepresidente Melzi. L’anno successivo, il 25 ottobre 1804, Canonica elaborò un preventivo per l’allestimento della «Villa Governativa di Monza» stimato in 215.000 lire necessarie per «compimento e montatura di tutta la cappuccina verso mezzogiorno [ala sud], mobili mancanti, biancheria, soppedanei, etc. ed il restauro dei giardini». Con la nomina di Beauharnais a viceré d’Italia e l’inevitabile rinuncia di Melzi alla Villa di Monza, in una delle prime note, relative ai lavori affidati al soprintendente (1805), si legge l’urgenza di una generale manutenzione dell’edificio, il rifacimento di molte pavimentazioni in legno e “alla veneziana”, gli adattamenti della Cavallerizza con una co- pertura in rame, la costruzione di cancelli agli ingressi e di serre calde, il restauro della Sala rotonda presso l’Orangérie con camini e specchi, e nuove opere nei giardini (ASMi, Genio Civile, 3126). A questi la ricca documentazione permette di aggiungere, nell’ottobre 1805, i lavori per il restauro della trattoria, della «limoniera» e delle scuderie, il ricorrimento dei tetti e la costruzione di giochi nei giardini. Tra i primi interventi decorativi, in quello stesso anno, vanno segnalate le pitture su tappezzeria realizzate da Raineri per le sale di conversazione con soggetti naturali (uccelli, farfalle, fiori e piante diverse), poi estese anche ad altre sale nella primavera del 1808 (ASMi, Genio Civile, 3140). Anche nel 1806 proseguirono i lavori di restauro all’interno, soprattutto riguardo alle pavimentazioni “alla veneziana”, disegnate personalmente da Canonica, per la sala à manger, l’antisala e la sala verso il giardino, a destra del salone, il salone, l’anticamera, verso corte a destra dell’atrio, e altre sale dell’appartamento vicereale, tra cui il gabinetto topografico. Il 14 novembre 1806, il soprintendente scrisse a Costabili Containi , intendente generale dei Beni della Corona, inviandogli un nuovo progetto complessivo per l’area occidentale e meridionale della villa che possiamo identificare con quello già pubblicato nel 1984 (Franchini 1984, pp. 88-89). La lettera di accompagnamento, conservata nel perduto fondo Demanio dell’Archivio di Stato di Milano e ora in copia alla Bibliothèque Marmottan di Boulogne, ci permette di chiarire alcuni dati fondamentali: «Coerentemente all’ingiuntomi da e.v. col venerato foglio 27 settembre [...] erasi da me tracciato il progetto che le rassegno segnato A per la costruzione delle due scuderie e luoghi annessi nella casa abitata dal massaro detto il Pollino [...] formando un sol corpo di fabbricato con locale della Trattoria e v.e. si rammenterà che il progetto e relativi disegni subordinati a s.a.r. ebbero la sorte di non riportare la superiore approvazione. In seguito però mi sono fatto a riflettere che, sostituendosi alla attuale cinta dei giardini, gli ordinati cancelli di ferro ed adattandosi il caseggiato del Polino per gli usi individuati, verrebesi ad iscoprire all’occhio la non corrispondenza di prospetti dei due giardini, mentre nell’uno apparirebbe l’Orangérie e nell’altro il caseggiato di struttura ed ubicazione affatto 35 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Scuderie di Villa Reale, Monza, prospetto sud, [1807]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 199. dissimili. Inoltre ho considerato che per riattare la casa nei modi proposti è indispensabile di rifabbricarla intieramente [...]. Tali considerazioni mi suggerirono l’idea di un nuovo progetto che in senso mio si combinerebbe assai meglio colle mire di s.a.r. e colle circostanze locali, d’esso sarebbe di atterrare del tutto il caseggiato del Pollino, lasciando sussistere soltanto la stanza della Trattoria e suo superiore che servirebbero a comodo dal giardino della frutta e di costruire invece nel lato di tramontana del giardino medesimo un nuovo fabbricato di figura uniforme a quello dell’Orangérie ed in esso collocare le scuderie e luoghi annessi di servizio la Trattoria [...]. Il compiegato tipo dinota il piano generale delle opere coll’avvertenza che la parte di nuovo fabbricato distinto in color rosso più forte sarebbe quella da erigersi subito, potendosi riservare ad altro tempo la costruzione del rimanendo. In detto tipo ho indicato nel luogo della cavallerizza gli adattamenti per l’abitazione del custode [...] e finalmente ho marcati li due padiglioni da farsi all’ingresso». Si tratta di importanti lavori, sottoposti e approvati direttamente da Beauharnais (ASMi, Genio Civile, 3138), che proseguirono l’anno successivo con la demolizione della vecchia trattoria e della precedente abitazione delle guardie, come sembra ben delineato nello schizzo preparatorio conservato a Mendrisio (BC- 36 AMMe, BC 209) e nelle planimetrie dell’Archivio disegni della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 5, 719-721, 723-724). Un foglio pubblicato nel 1984 (Franchini 1984, p. 89) evidenzia anche la sistemazione planimetrica del grande tridente, che collega la Villa Reale alla città, articolato con un sapiente uso di viali alberati e promenades plantées. Il foglio BC 199, del Fondo Canonica di Mendrisio, presenta invece una versione del prospetto meridionale, verso la città, delle nuove scuderie con i due avancorpi, dei quali uno è destinato a trattoria (vedi anche BC-AMMe, BC 211). Nel 1807, conclusi i lavori di demolizione del ninfeo orientale (si veda il progetto originale di Piermarini in BCF, B 22), furono avviati i lavori nel secondo braccio della nuova scuderia per le guardie reali (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34) e furono realizzati una serra (ASMi, Genio Civile, 3138), i nuovi ammezzati nel corpo meridionale, i padiglioni e le cancellate d’ingresso verso il nuovo viale per Milano e Vedano (tracciato nel luglio 1806 e concluso nella primavera del 1808), e, infine, il nuovo giardino a tridente che ancora oggi collega la Villa con la città di Monza. Nel 1808 Canonica avviò e completò la costruzione del nuovo Teatrino di Corte (cfr. scheda in questo stesso volume), proseguendo contemporaneamente il rinnovamento delle pavi- mentazioni, sostituendo le precedenti in cotto e verniciate a olio, con quelle “alla veneziana”. Importanti lavori, relativi all’appartamento di Eugenio, sono invece documentati nel 1809 e riguardano le decorazioni interne, le pavimentazioni “alla veneziana” e i muri in stucco lucido (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 37). Nella stessa occasione vennero rifatti anche i locali di Amalia (tappezzerie), si ritinteggiò internamente e esternamente tutto il fabbricato e si mise un marciapiede in pietra nella corte reale. Opere più modeste, ma che ci segnalano una nuova organizzazione dei locali nella villa, sono realizzate nell’«appartamento di riserva» e in quello dei «Reali infanti». Questa rinnovata attenzione per la reggia appare evidente nel luglio 1811 quando viene presentato un piano per un nuovo appartamento, occupato in precedenza dal gran maggiordomo. Le indicazioni provengono direttamente da Beauharnais: stucco lucido alle pareti, mobili in ciliegio, pavimenti in «stucco». Nell’agosto dello stesso anno, Canonica inviò a Luigi Prada, ispettore della Villa, i disegni relativi lo «scomparto della prima sala da farsi a lustro nel nuovo appartamento e le sagome per gli stipidi delle portine» (ASMi, Genio Civile, 3128). Tra gli artisti coinvolti ritroviamo Alessandro Sanquirico, Fontana (dorature), Francesco Bernasconi (stucchi) e particolare è la richiesta di sostituire «al bastone greco nella sala una bordura e di far eseguire nei campi dei trofei» (ibidem). Dopo una serie di lavori di riparazione alla cappella (ibidem) e all’Orangérie, nel 1812 furono avviate le opere di rifacimento del bureau topografico di Eugenio, del salone, della sala di conversazione e del gabinetto nel suo appartamento, tutti conclusi prima dell’estate (ASMi, Genio Civile, 3129). Nell’ottobre dello stesso anno si ripresero le opere di costruzione dei mezzanini sopra il salone, della meridiana e delle serre nel Giardino della frutta. Ancora il 30 dicembre 1812 Costabili informava Canonica della necessità di costruire nuove serre nel Giardino della frutta, simili a quelle già realizzate per gli ananas e di prevedere una loro elevazione in modo da farne un «pendant con l’Orangérie». Opere che ritroviamo in parte documentate l’anno successivo (ASMi, Genio Civile, 3132), accanto ai lavori per l’appartamento della viceregina Amalia di Baviera. Con l’arrivo degli Austriaci l’attività di Canonica sembra interrompersi se non per qualche piccola opera richiesta dal ministro Bellegarde. Fondamentale per comprendere l’assetto della villa e delle sue pertinenze alla fine del periodo napoleonico è l’inventario dei Beni della Corona compilato nel settembre del 1814 (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 219), dove sono elencati i mobili esistenti nella villa al 2 settembre 1814, AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE oltre alle non più rintracciate «sei cartelle di piante, disegni e palazzi della Corona», forse in parte quelle oggi conservate presso la Soprintendenza di Milano. Da segnalare è anche l’attenzione che l’architetto riservò in questi anni alle innovazioni tecnologiche da poco applicate a Milano nei bagni dell’Ospedale di Sant’Ambrogio. Una novità (valvola di rame che evitava esalazioni) che richiese il rinnovamento di tutti i bagni della Villa, già interessati dall’introduzione dell’«inglesina» (ASMi, Genio Civile, 3151). L’attenzione all’aggiornamento tecnologico degli impianti è uno degli aspetti meglio documentati e impegnò quasi giornalmente l’architetto di corte: in questi anni si assistette, infatti, all’introduzione d’importanti novità riguardo l’impianto idrico-sanitario (passaggio a latrine idrauliche), il riscaldamento (passaggio dai camini alle stufe), l’illuminazione, oltreché nei serramenti (controvetri, lastre di cristallo di maggiori dimensioni, porte a doppio battente), e nelle pavimentazioni (dal cotto e dal legno a quelli “alla veneziana”). Disegni [Luigi Canonica?], Pianta del piano terra, [1802]; ASMi, Confini, p.a., 384. [Luigi Canonica?], Pianta del primo piano, [1802]; ASMi, Confini, p.a., 384. Luigi Canonica, Planimetria della Villa Reale e tridente verso la città, [1806]; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Planimetria delle corti della Villa Reale e viale di accesso, [1806]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 209. Luigi Canonica, Prospetto sud delle Scuderie, [1807]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 199. Luigi Canonica, «Pianta terrena della Trattoria da farsi presso la Real Villa di Monza», [1807]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 211. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione dell’Orangérie [?], s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 7, D 362. Luigi Canonica, Cancellate per la corte della Villa Reale. Sul verso planimetria della corte, [1806]; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 351. Luigi Canonica, «Pianta superiore della caserma e trattoria», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 720. Luigi Canonica, «Pianta terrena della caserma e trattoria», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 719. Luigi Canonica, «Monza. Palazzo di Corte. Locali detti della Trattoria. Piano terreno», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 721. Luigi Canonica, «Monza. Palazzo di Corte. Locali detti della Caserma ora alloggio degli spazzini. Pianta del piano superiore», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 724. Luigi Canonica, «Monza. Palazzo di Corte. Locali detti della Caserma ora alloggio degli spazzini. Pianta del piano terreno», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 723. [Luigi Canonica], Pianta del piano nobile, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo. [Luigi Canonica], Prospetto sud, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo. [Luigi Canonica], Prospetto est, particolare, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 285; Franchini 1984, pp. 66-67, 88-89; Gallo 1996; Colle 2001[d], pp. 153-157; Ricci 2004-2005; Repishti 2006, pp. 10-12. (f.r.) Palazzo del Senato, Milano 1802, 1808-1811 Il Collegio Elvetico di Milano fu istituito da Carlo Borromeo nel 1576 per formare chierici svizzeri provenienti dai Grigioni e destinati a contrastare nei loro Paesi d’origine la diffusione della Riforma protestante. Nel 1583 si insediò nell’ex Convento delle Umiliate di Santa Maria di Vigevano dove, a partire dagli inizi del Seicento, i fabbricati preesistenti furono gradualmente sostituiti dall’attuale edificio, sviluppato attorno a due monumentali cortili, progettati da Fabio Mangone, con fronte verso il Naviglio disegnato da Francesco Maria Richini. Le vicende costruttive sono state recentemente indagate e descritte da Stefano Della Torre (1992). L’edificazione del Collegio poté terminare soltanto nel 1780, ma già sei anni più tardi Giuseppe II decise di acquisire il fabbricato per concentrarvi tutti gli uffici governativi milanesi, sotto la denominazione di Supremo Consiglio di Governo. Progettista delle modifiche fu Giuseppe Piermarini. Per accogliere i diversi uffici si attuarono interventi limitati. Soltanto la chiesa, dedicata a San Carlo, dopo essere stata sconsacrata, subì ingenti trasformazioni, sia in facciata sia all’interno. La sistemazione della contrada Marina con i Boschetti aveva intanto portato alla demolizione della corte rustica dell’antico Collegio, riprodotta da Serviliano Latuada nella sua Descrizione di Milano del 1737-1738. Per la destinazione dell’edificio, tra Orangérie [?] di Villa Reale, Monza, pianta, prospetto e sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 7, D 362. 1797 e 1809, conviene rifarsi al corposo articolo di Giovanni Vittani, pubblicato nel 1931, che poté studiare i documenti napoleonici ancora conservati nei fondi dell’Archivio di Stato, ora non più disponibili perché andati distrutti durante l’ultima guerra. Nel periodo della Repubblica Cisalpina, l’edificio divenne sede del Gran Consiglio (o Consiglio degli Juniori), ramo del Corpo legislativo e, in seguito, dal 1802, anche del Ministero della Guerra. La documentazione grafica conservata nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, comprende studi risalenti al 1802, concernenti la disposizione dei locali per il Ministero della Guerra. Un rilievo del primo piano riporta a matita, di mano del Canonica, l’allocazione degli uffici ministeriali: «Officio del Ministro, prima divisione, seconda divisione, terza divisione, topografia, direzione del Genio, burò di liquidazione, topografia, direzione del Genio, abitazione del Ministro» (AMMe, D 1). È pure conservata una seconda versione con le indicazioni delle destinazioni, modificate rispetto al disegno precedente, con legenda a china, che potrebbe essere in realtà un rilievo consegnato all’architetto in epoca posteriore (AMMe, D 9). Nel 1805, con l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia, il Corpo legislativo fu soppresso e, alla fine del 1807, fu istituito il Senato consulente, del quale si fissarono competenze e funzionamento con il Sesto Statuto costituzionale del 21 marzo 1808. In quell’occasione Napoleone determinò pure la sua dotazione economica, in parte destinata alle riparazioni del palazzo e in parte alla mobilia. Per il nuovo organo, dallo scarso potere ma assai prestigioso, fu individuato il Collegio Elvetico come sede idonea. Il Senato ne avrebbe occupato tutta la superficie tranne poche sale, riservate agli uffici del viceré Eugenio di Beauharnais. Il Ministero della Guerra dovette lasciare il palazzo, ma nel novembre 1809 il suo archivio si trovava ancora nel salone, in fondo al secondo cortile. Tra i disegni concernenti l’edificio dell’antico collegio, ora conservati nel Fondo Canonica di Mendrisio, diversi si riferiscono ai progetti di trasformazione per accogliere il Senato. Il 19 novembre 1808 Canonica fu incaricato dal ministro dell’Interno di proporre le modifiche necessarie all’adattamento dell’edificio. Tale incarico, consistente nella realizzazione di un salone per le feste, un’aula per le sedute e un congruo numero di uffici, sarebbe spettato a Pietro Gilardo- 37 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A ni, allora architetto del Ministero dell’Interno. Il coinvolgimento di Canonica è verosimilmente da attribuire alla presenza degli uffici vicereali e all’importanza della commessa, non paragonabile ai normali compiti assunti dal Gilardoni. In questo senso può essere letta anche la collaborazione del marchese Luigi Cagnola, sopraggiunta nel corso del 1809. Il 20 dicembre 1808 Canonica inviò al ministro dell’Interno una relazione sugli adattamenti da attuarsi nel palazzo, corredata di due tavole di progetto. Della relazione, andata persa, il Senato gli richiedeva invano copia il 16 agosto 1809 (AMMe, Fondo Canonica, XX, 375). La ritrovò Vittani dopo più di un secolo che se ne servì per descrivere il progetto iniziale. Una trascrizione è stata ora ritrovata alla Bibliothèque Marmottan di Boulogne. Canonica vi esponeva il suo criterio d’intervento: «nel mio progetto mi sono studiato di non alterare sostanzialmente la struttura ed Architettura di un fabbricato per sé decoroso e pregevole, né di proporre delle aggiunte di Fabbrica di nuovo impianto, quantunque il Fabbricato posto sia tutto semplice, ed eretto in origine per tutt’altro uso». Egli proponeva di aprire un secondo passaggio per le carrozze in fondo all’edificio, per consentirne l’attraversamento sull’asse longitudinale centrale, corrispondente all’entrata dalla strada lungo il naviglio. La sala al piano terreno, in fondo al cortile, ne sarebbe stata tagliata in due. In secondo luogo, l’architetto prefigurava uno «Scalone Reale» nel centro del corpo di fabbrica prospiciente la contrada Marina e, infine, individuava l’ubicazione della sala delle sedute al piano superiore, in fondo alla corte (Boulogne, Bibliothèque Marmottan). Le due tavole citate nel testo, riproducenti le piante del piano terreno e del superiore, sono introvabili. Il progetto non fu portato avanti. La consegna dell’edificio ai senatori ebbe luogo il 7 marzo 1809 e il primo aprile si tenne l’inaugurazione del Senato. Su progetto di Canonica furono realizzati gli allestimenti provvisori per la cerimonia, che interessarono il secondo cortile (palco, tribuna e pannelli decorati nei vani delle finestre del piano superiore) (AMMe, D 2, D 8). Sotto la sua responsabilità si eseguirono anche gli adattamenti urgenti, in modo da consentire le sedute dei senatori. La minuta di una sua missiva, datata 13 novembre 1809, inviata al senatore Alessandro Carlotti, presidente della Commissione per la 38 Palazzo del Senato, Milano, allestimenti provvisori per la cerimonia di inaugurazione, sezione, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D2. Fabbrica del Palazzo, dichiarava l’impossibilità di sistemare l’aula e la sala, entro il termine propostogli del 2 dicembre (AMMe, Fondo Canonica, L, 594). La sala provvisoria delle feste doveva essere al piano terra, in fondo al secondo cortile, nel vasto locale creato per le cerimonie del Collegio nel Settecento. Un disegno rappresentante l’inserimento dell’aula senatoria, senza gradinate né apparato decorativo, nella sala a piano terreno contigua al secondo scalone – esposta verso contrada Marina – chiarisce la portata effettiva di queste sistemazioni nate come temporanee (AMMe, D 5). Parallelamente, infatti, l’architetto era incaricato di studiare una trasformazione di ampio respiro, confacente all’importanza del Senato. Le cinque soluzioni che presentò – non note a Vittani – ed identificate da Gianni Mezzanotte tra i materiali dell’Archivio Luigi Cagnola, ora conservato a Milano alla Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, sono descritte da Stefano Della Torre a partire dal primo progetto, che adibiva ad aula del Senato il salone al piano terreno, in fondo al secondo cortile. In crescendo, il secondo progetto prevedeva la costruzione di un nuovo volume per l’aula sul lato occidentale del cortile di servizio. Il terzo, rielaborando il disegno del 1808, proponeva di sfondare con l’emiciclo dell’aula il perimetro dell’edificio storico verso il cortile di servizio, e di atterrare il basso corpo che lo delimitava a oriente per ricostruirlo allineato sulla contrada Marina, in modo da far corrisponde- re l’asse di questo spazio a quello dei due cortili principali. Il nuovo ingresso pedonale al Senato veniva così aperto nel centro del corpo sulla contrada Marina, affiancato da un nuovo scalone. Nell’impianto di questa proposta, Mezzanotte ha visto mutuare il progetto di Jean-François Chalgrin per l’inserimento del Senato francese nel Palazzo del Lussemburgo (1804). Nel quarto progetto il cortile di servizio veniva soppresso, insieme al basso fabbricato che lo delimitava, e veniva aggiunto a tutto l’edificio il corpo orientale mancante, sull’area della contrada di San Primo, affinché il volume dell’aula, portato in asse con i due cortili, potesse dare luogo al nuovo fronte principale dell’edificio. Il quinto progetto rappresentava un’elaborazione in senso monumentale del quarto. Tre lettere, conservate nel fondo dell’Archivio del Moderno, consentono di datare al 1809 i progetti di Canonica. La prima missiva del senatore Carlotti, risalente al 10 agosto, convocava l’architetto alla riunione della Commissione di Fabbrica il 14 dello stesso mese, per la discussione degli elaborati da lui forniti (AMMe, Fondo Canonica, XX, 376). Il 16 agosto Carlotti inviava a Canonica una lettera verbale della riunione, nella quale lo invitava a correggere i disegni dell’aula e del prospetto di levante «il cui disegno da Lei presentato, non ha incontrato l’intera approvazione né della Commissione, né del Senato». Chiedeva inoltre il preventivo di spesa per tutte le opere previste: «Scala del lato a tra- montana; per ridurre le sale ad un solo livello; pel trasporto del muro tra i n. 4 e 5; per la galleria del corpo di mezzo; e finalmente delle sale per le feste e per le cene». Il 31 agosto il senatore lo sollecitava affinché anticipasse la consegna (ibidem, 377). I disegni concernenti il Senato, conservati oggi a Mendrisio, rappresentano studi per le varianti che sono state descritte da Della Torre nel suo articolo, ma documentano anche idee non sfociate nelle proposte trasmesse da Canonica a Cagnola, incaricato di rivedere i progetti. Un abbozzo della prima proposta verifica in pianta e sezione l’inserimento dei banchi nella sala al piano terreno (AMMe, D 4, D 6), senza le caratteristiche colonne libere sui lati corti che compaiono nella corrispondente tavola della Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli (RSBMi, Fondo Cagnola, 2381). È da assegnarsi al primo progetto una tavola di presentazione acquarellata conservata a Mendrisio; si tratta di un alzato nel quale l’aula appare a doppia altezza con tre gradinate per i banchi dei senatori, un’ampia tribuna per il pubblico sul lato esterno e lo scranno reale sul lato opposto, fiancheggiato da tre nicchie su entrambi i lati con statue sormontate da bassorilievi con insegne imperiali (BC-AMMe, BC 314). Un altro disegno testimonia la nascita dell’idea del secondo progetto: vi si legge l’aggiunta di un volume per l’aula, sul lato occidentale del cortile di servizio (AMMe, D 1, volume riportato sul disegno del 1802 relativo ad uno studio per il Ministero AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Palazzo del Senato, Milano, aula senatoria, pianta, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 10. della Guerra). Un ulteriore foglio ne rappresenta la successiva precisazione con l’aula che assume una pianta circolare, mentre le viene addossata una facciata monumentale, verso contrada dei Boschetti (AMMe, D 153). In alternativa, si verifica la possibilità d’inserire l’aula senatoria al primo piano, sopra la sala, con la demolizione di tutti i tramezzi dell’antico appartamento arcivescovile, divenuto in seguito residenza del ministro della Guerra (AMMe, D 3). È documentato anche un tentativo di disporre l’aula al primo piano, tra i due cortili, con le gradinate disposte a U (AMMe, D 10). In un elaborato, Canonica rappresenta la scenografica enfilade, proposta da Cagnola per il corpo prospiciente contrada Marina (AMMe, D 7). Infine, uno schizzo sembra essere uno studio per i prospetti sulla contrada di San Primo ed è da assegnare al quarto o quinto progetto (BC-AMMe, BC 408). Sono queste le tracce rimaste nel Fondo Canonica di Mendrisio delle due proposte più interessanti e impegnative che, riprese da Cagnola, sono invece ben documentate dalle tavole della Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli (in particolare RSBMi, Fondo Cagnola, 2353 e 2354). Se i primi tre progetti possono essere ancora inquadrabili nell’attività di soprintendente di Canonica, gli ultimi due lo chiamano in gioco come architetto progettista. Il quarto e quinto progetto prevedono infatti l’inserimento dell’aula del Senato al primo piano, all’interno di un nuovo volume aggettante dal corpo di chiusura della seconda corte e con questa in asse. Il cortile di servizio diventava così una piazza d’accesso. Il nuovo fronte, opposto a quello del Richini, avrebbe ottenuto la simmetria grazie all’aggiunta del corpo di fabbrica mancante a est dei cortili, sulla contrada di San Primo. Il volume sporgente dell’aula veniva trattato con un intento monumentale, che si esprimeva nella plasticità dell’insieme. Un grande tamburo dalla copertura a cono, corrispondente alla doppia altezza interna, e il partito architettonico elaborato – con doppio ordine di lesene, sostituite da colonne nell’ingresso, alternate, nel registro superiore, a finestre balaustrate sormontate da medaglioni, e riprese da fasce nel tamburo – caratterizzavano l’insieme, in contrasto con la semplicità del disegno neoclassico proposta per l’edificio esistente (RSBMi, Fondo Cagnola, 2353). Il confronto del prospetto del Senato con quello, disegnato da Canonica, per il retro di Palazzo Reale verso contrada Larga, evidenzia nei due lavori la coerente impronta palladiana (Palazzo Iseppo Porto a Vicenza nel primo caso, Palazzo Valmarana nel secondo). Portate a termine sotto la sua cura le sistemazioni temporanee – con l’allestimento di una nuova aula per le sedute dei 35 membri al primo piano, nel corpo affacciato sulla contrada Marina –, nel 1811 a Canonica fu revocato l’incarico e solo Cagnola rimase a occuparsi del progetto fino alla soppressione del Senato nel 1814. In realtà nessuna delle proposte trovò esecuzione, e l’edificio mantenne la sistemazione ricevuta nel 1809 e 1810. Di questa si perse ogni traccia nel 1943, a seguito dei bombardamenti. Disegni Luigi Canonica, Pianta del primo piano (rilievo) con progetto per l’aula senatoria, secondo progetto, [1802 e 1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 1. [Luigi Canonica], Pianta del primo piano con l’allocazione degli uffici ministeriali, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 9. Luigi Canonica, Allestimenti provvisori per la cerimonia d’inaugurazione, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 2, D 8. Luigi Canonica, Pianta dell’aula senatoria al piano terreno, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 5. Luigi Canonica, Pianta dell’aula senatoria al piano terreno, primo pro- getto, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 4. Luigi Canonica, sezione dell’aula senatoria, primo progetto, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 6. Luigi Canonica, Sezione dell’aula senatoria al piano terreno, tavola di presentazione, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 314. Luigi Canonica, Pianta dell’aula senatoria al primo piano, secondo progetto, variante a pianta circolare, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 153. Luigi Canonica, Pianta del primo piano con progetto per l’aula senatoria, secondo progetto, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 3. Luigi Canonica, Pianta dell’aula senatoria al primo piano disposta nel corpo di fabbrica tra i due cortili, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 10. Luigi Canonica, Enfilade proposta da Cagnola per il corpo prospiciente la contrada Marina, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 7. Luigi Canonica, Studio per i prospetti del corpo da aggiungere sulla contrada di San Primo secondo il quarto e quinto progetto, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 408. Luigi Canonica, Sezione trasversale (?), [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 390. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno «Icnographia palatii olim pubblici regiminis nunc Consilii legislativi», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 13. Luigi Canonica, «Facciata del palazzo del Senato verso levante», [1809]; RSBMi, Fondo Cagnola, 2353. Luigi Canonica, «Spaccato per il longo del palazzo del Senato», [1809]; RSBMi, Fondo Cagnola, 2354. Luigi Canonica, Luigi Cagnola, Giocondo Albertolli, «Basamento quadrato da sottoporsi alla statua in bronzo di sua maestà l’imperatore e re che si deve erigere nel primo cortile del palazzo del Senato», s.d., RSBMi, Fondo Cagnola, 2364. [Luigi Canonica], «Pianta terrena di una parte del palazzo del Senato consulente» «progetto n° 1», [1809]; RSBMi, Fondo Cagnola, 2381. [Luigi Canonica], Sezione trasversale, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 410. [Luigi Canonica], Sezione trasversale, s.d; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 82. Luigi Canonica, «Pianta terrena del fabbricato del Senato consulente», s.d.; RSBMi, Fondo Cagnola, 2377. Luigi Canonica, «Tipo dimostrante il progetto degli adattamenti da farsi 39 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A nerale Jean-Baptiste Jourdan (ASMi, Genio Civile, 3153, 31 ottobre 1804), già comandante dell’Armata francese al Reno e ministro della Repubblica Francese presso il governo subalpino, succeduto a Milano a Murat nel febbraio 1803. Secondo le indicazioni di Canonica, parte del nuovo mobilio dovette essere traslocata nel palazzo dalla Villa Bonaparte: il 20 febbraio 1804 vi si consegnava infatti «la batteria da cucina e credenza» trasportate dalla villa (ibidem). I documenti permettono inoltre di stabilire che prima dell’agosto 1804 aveva risieduto nel Palazzo già Bovara il ministro dell’Interno, allora Luigi Villa. (i.g.) Archivio del Tribunale criminale, Milano 1803 Palazzo del Senato, Milano, aula senatoria, pianta, [1809]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 3. nel piano superiore del fabbricato del Senato consulente», s.d.; RSBMi, Fondo Cagnola, 2384. Palazzo già Bovara, corso di Porta Orientale, Milano [1803-1804] Bibliografia Vittani 1931; Bertoliatti 1939, pp. 171, 174-175; Petralli, Savi 1944, p. 14; Mezzanotte 1966, pp. 294, 337; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 497; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 78; Kannès 1980[b], p. 251; Soldini 1981[a], pp. 331, 354-355; Soldini 1982[c], p. 56; Celona, Mariani Travi 1983, pp. 104-105; Doria 1983, pp. 62-64; Zucchi 1989, p. 228; Della Torre 1992; Parisi 1995, p. 65; Patetta, Parisi 1995, pp. 14-15; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 16; Bosi, Canella 2002, p. 48. (r.b.) Il Palazzo Bovara (oggi corso di Porta Venezia 51), costruito su progetto di Felice Soave nella seconda metà del XVIII secolo, durante la Repubblica Cisalpina divenne sede della Legazione di Francia. È noto che nel 1800 vi abitò Henry Beyle-Stendhal, allora sottotenente del 6° Dragoni. Luigi Canonica, come soprintendente generale alle Fabbriche nazionali, dovette occuparsi dell’adattamento del Palazzo già Bovara per allestirvi due appartamenti, destinati rispettivamente «all’alloggio ministeriale e quello del Militare». Ciò è attestato da una lettera dell’incaricato del 40 Portafoglio del ministro dell’Interno Vismara indirizzata a Canonica – con la sollecitazione di condurre a termine la sistemazione degli appartamenti secondo quanto era già stato stabilito – e da una serie di calcoli, quotazioni e schizzi prodotti nello studio di Canonica e riconducibili al riattamento del palazzo già Bovara (AMMe, Fondo Canonica, XIII, 245, 4 agosto 1803; 246, s.d.). Come si evince dai documenti del fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Genio Civile, 3153, 24 settembre 1803), nel 1803 l’edificio doveva essere stato destinato in parte a residenza del ministro delle Finanze, Giuseppe Prina, e nel febbraio 1804 un’altra sua parte dovette essere destinata al ge- Pietro Gilardoni nel 1803 predispose un progetto (A) per la realizzazione di un nuovo archivio nel locale di Bellarmino (ex Oratorio di Campo Santo vecchio), in comunicazione con quello già esistente nell’attiguo Palazzo di Giustizia. Canonica, nel luglio dello stesso anno, bocciò i progetti di Gilardoni, giudicando assai scomodo e non del tutto sicuro il collocamento dell’Archivio in quel luogo (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 34). Fece quindi predisporre un secondo progetto (B) dove inseriva l’archivio all’interno del Palazzo di Giustizia sottoponendolo al giudizio del ministro dell’Interno. Il nuovo piano, «da me divisato», consisteva nella realizzazione di un corpo di fabbrica sopra l’«aula grande», verso la facciata, allineando i profili delle coperture. Il Ministero della Giustizia approvava la scelta dell’architetto ticinese nell’agosto successivo, suggerendo di trasformare l’edificio attiguo in infermeria e carcere femminile (ibidem). La destinazione ad altre funzioni del fabbricato del Bellarmino (sede delle Guardie di Polizia) rese impossibile la successiva realizzazione del progetto. (f.r.) Serre dell’Orto botanico, Pavia 1803 A partire dal 1773 si avviò a Pavia un’intensa stagione di lavori volti a trasformare l’ex Convento dei Canonici di San Epifanio in Orto Botanico, nell’ambito della politica AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE culturale promossa da Maria Teresa d’Austria orientata alla creazione di nuove istituzioni scientifiche. Risale al 1778 la costruzione delle serre lignee su progetto di Giuseppe Piermarini, chiamato in quegli stessi anni a occuparsi del rinnovamento del palazzo dell’Ateneo pavese e dell’Orto botanico di Brera a Milano. Una struttura muraria coronata da un fastigio lapideo con stemma imperiale fungeva da quinta prospettica al viale che correva fino al confine settentrionale dell’area verde e contemporaneamente da elemento di giunzione tra due lunghi corpi di fabbrica le cui vetrate inclinate erano rivolte a mezzogiorno. Nel 1780 la prospettiva di acquisire l’area alle spalle delle serre impose una rettifica al progetto, divenuto ora un elemento di cesura tra l’area del giardino botanico e la nuova parte riservata alle piantumazioni d’alto fusto. Il corpo centrale venne quindi mutato in un atrio passante neoclassico, dalle sembianze di arco di trionfo inquadrato da lesene ioniche e sovrastato da un attico di coronamento. Tra il 1789 e il 1793 Leopoldo Pollack si occupò del rinnovamento mantenendo la destinazione dei due corpi di fabbrica a calidarium e frigidarium. L’ultimo intervento che conferì alla struttura l’aspetto attuale fu commissionato a Canonica e Gilardoni. Tra il 1801 e il 1803 fu richiesto l’intervento dell’architetto ticinese per valutare il pessimo stato di conservazione delle serre dell’Orto botanico di Pavia (ASMi, Autografi, 82, 39; 30 agosto 1801; ASMi, Genio Civile, 3162). Nel settembre 1802 Canonica aveva infatti segnalato al Ministero dell’Interno la necessità urgente di apportare alcune riparazioni alle serre, procrastinate all’aprile dell’anno successivo, quando si presentarono alcune ipotesi d’intervento. I lavori alle serre dell’Orto botanico vennero inoltre ricordati in occasione di una visita di Canonica con Villoresi, a quelle della Villa Reale di Monza, durante la quale egli suggerì una loro ricostruzione, utilizzando materiali come la pietra e il ferro, in modo analogo a quanto era stato fatto nell’Orto botanico dell’Università di Pavia. Le serre di Pavia vennero in seguito ampliate e ristrutturate, utilizzando intelaiature in ferro e muratura con inserimenti di plinti, colonne, trabeazioni e profilature in granito. Furono introdotti sistemi più sofisticati per il controllo interno della tem- peratura, e fu realizzata una particolare inclinazione degli infissi, atta a favorire un’adeguata esposizione delle piante al sole, e «saggiamente divisarono di proteggere le vetriere non meno colle tende e colle maglie a filo di ferro. Tende che servir debbono d’inverno a impedire, quant’è più possibile, l’evaporazione dal calore, e d’estate a far ombra acciò non si riscaldino più del dovere, colpa del sole fiammante, le stufe stesse; maglie, che vietano alla gragnuola la rottura dei vetri» (Nocca 1818). Ancora oggi l’operato di Canonica è ricordato su una lastra commemorativa affissa accanto alla serra, su cui si legge: «Viridaria tecta Dominicus Piermarini primum instruxit quae postea Aloisius Canonica restituit». Bibliografia Nocca 1818; Giacomini 1959; Mezzanotte 1966, p. 294; Ricci 1975, p. 160; Scotti 1984, pp. 115, 125; Erba 1997; Erba 2002; Maggia, Cravanzola, Villa 2002, pp. 86-87. (e.g.) Caserma del Quartiere vecchio, Monza 1803 La caserma denominata Quartiere vecchio (ora palazzo in via Vittorio Emanuele), di proprietà comunale, fu destinata con la Repubblica Italiana a sede delle Guardie del Governo. Nel luglio 1802 la Municipalità monzese inviò alla Soprintendenza generale alle Fabbriche una stima delle riparazioni necessarie alla Caserma di San Paolo, a quella del Quartiere e al «Palazzo nazionale» (poi Villa Reale). Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio conserva un lungo capitolato datato 18 aprile 1803 con le «minute e descrizione delle riparazioni ed adattamenti da farsi alla caserma detta il Quartiere situata in questo Comune di Monza» affinché potesse ospitare circa 30 cavalli e altrettanti soldati (AMMe, Fondo Canonica, X, 152). San Vincenzino, Milano 1803-1805 Nel 1798 il complesso di San Vincenzino fu destinato a ospitare i seminaristi trasferiti dal Seminario a sua volta occupato dal Ministero della Guerra (AMMe, Fondo Canonica, VII, 39). Nel 1803 il locale fu richiesto da Giovanni Pantoli per stabilirvi una manifattura di bigiotteria «in acciaio ad uso d’Inghilterra». In tale occasione Canonica rispose che l’edificio era già utilizzato come deposito di pietre per la pavimentazione stradale e degli apparati delle feste pubbliche (quelli della festa della Repubblica Italiana del 1803), quale luogo di lavoro dei lapicidi della pavimentazione stradale e, in parte, come residenza, ospitando le abitazioni degli scultori Carnevali e Locatelli. Nel 1803 il complesso fu designato a sede dell’Amministrazione generale del Lotto e della Direzione generale del Demanio, mentre nel 1804 le scaffalature del refettorio furono riutilizzate per realizzare il guardaroba della Villa Reale di Monza. Nel settembre 1805 è ancora documentata la presenza di Canonica per lavori di adattamento dei locali per accogliere l’ufficio della Guardaroba nazionale e la sede dell’«emporio» degli articoli di cancelleria. Qui vennero temporaneamente depositati i legnami dei ponti e delle armature utilizzati per Villa Bonaparte. La successiva documentazione su San Vincenzino, ampiamente studiata da Au- rora Scotti, è conservata in ASMi, Fondi Camerali, p.m., 36, ed è relativa ai progetti per trasformare il complesso in Istituto di sordi e muti, realizzato da Gilardoni a partire dal 1809. Poco prima della definitiva cessione di San Vincenzino, nel settembre 1814, il nuovo governo ordinò lo stacco degli affreschi di Aurelio Luini qui esistenti, che furono depositati alla Pinacoteca di Brera a Milano. Bibliografia Mezzanotte, 1966, p. 299; Scotti, 1980, pp. 320-321; Scotti, 1984, pp. 115, 125. (f.r.) Palazzo di Governo [Diotti], Milano 1803-1816 Nel 1803 (23 agosto) l’ex Palazzo Diotti fu acquistato dall’amministrazione per destinarlo a sede di diversi ministeri. A Canonica, all’interno dei compiti affidati alla Soprintendenza alle Fabbriche nazionali, fu richiesto un primo progetto complessivo, che l’architetto ticinese si rifiutò di elaborare, non avendo ricevuto nessuna indicazione sulle funzioni da ospitarvi. Precede questa risposta un’analisi dettagliata dell’edificio con la descrizione dei tre piani (12 febbraio 1803; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 30) alla quale Canonica allegò un «Piano di collocazione generale dei ministeri, uffici, tri- Disegni [Luigi Canonica], Pianta, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 191. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 302. (f.r.) [Luigi Canonica, Pietro Gilardoni], Palazzo del Governo, Milano, pianta del secondo piano, [1803]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 312. 41 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A bunali ed abitazioni [...] nell’ipotesi di acquisto del palazzo Diotti» che coinvolgeva l’ex Seminario della Canonica, il Monte di Santa Teresa, San Fedele, il Broletto nuovo, Sant’Antonio, la Chiesa di San Francesco e il Casino attiguo a Palazzo Marino. Egli descrisse il palazzo come una «bastevolmente solida struttura da me riconosciuta nei fondamenti», con l’unica eccezione dei tetti in cattive condizioni (ibidem). A questa fase iniziale potrebbero essere collegati i tre disegni, con il rilievo dell’edificio, conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (BC-AMMe, BC 310, BC 311, BC 312) e l’inventario compilato da Giacomo Tazzini, già suo collaboratore. Ancora il 6 ottobre il nostro architetto rispose alla richiesta di acquisire nuovi arredi ed effetti per il palazzo, chiedendo la creazione di un fondo economico specifico. Il progetto di adattamento del palazzo fu affidato a Pietro Gilardoni, nominato architetto del Ministero dell’Interno, il quale disegnò la facciata del palazzo dei «ministri dell’Interno e della Giustizia» che fu approvata nel settembre del 1812 dalla Commissione d’Ornato, dopo alcune modifiche richieste dalla stessa (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22, 2). Nel 1816 fu deliberata la sua costruzione e furono pubblicati gli avvisi d’asta; tuttavia, nell’agosto del 1816, a Canonica fu domandato un parere sul disegno della facciata e sul capitolato delle opere per il Palazzo di Governo (ASMi, Genio Civile, 3136). Egli suggerì di elaborare altri disegni di dettaglio per una migliore esecuzione dell’opera e di modificare la scelta della pietra per le colonne e i capitelli del portale d’ingresso («miarolo rosso» anziché ceppo gentile di Brembate). Disegni [Luigi Canonica, Pietro Gilardoni], Pianta del piano terreno, rilievo, [1803]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 310. [Luigi Canonica, Pietro Gilardoni], Pianta del primo piano, rilievo, [1803]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 311. [Luigi Canonica, Pietro Gilardoni], Pianta del secondo piano, rilievo, [1803]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 312. Bibliografia L’idea della magnificenza civile 1978, p. 41; Patetta, Parisi 1995, pp. 109110; Il Palazzo Diotti 2005, pp. 86-89, 194. (f.r.) 42 Broletto, [Palazzo Carmagnola], Milano 1804-1805 Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio conserva un rilievo del piano terreno del quattrocentesco Palazzo del Broletto di Milano («Tipo dimostrante la pianta terrena del Palazzo del Broletto»). Alcuni lavori, diretti da Gilardoni, sono documentati tra il 1804 e il 1805 (ASMi, Genio Civile, 3146). Disegni [Luigi Canonica?], «Tipo dimostrante la pianta terrena del Palazzo del Broletto», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 197. Bibliografia Patetta, Parisi 1995, p. 119. (f.r.) Convento dei Trinitari, vicolo di Monforte, Milano 1804 Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno conserva un rilievo del piano terreno e superiore «del già circondario de’ Trinitari in Monforte unito al rapporto 30 giugno 1804 dall’ingegnere Righetti» relativo a un ampliamento dell’edificio. Disegni [Luigi Canonica?], Piante del piano terreno e del secondo piano, 1804; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 199. (f.r.) San Girolamo, Milano 1804 Il Collegio di San Girolamo fino al 1668 apparteneva alla Congregazione dei Poveri Gesuati; nel 1670 fu acquistato dai Gesuiti per ospitarvi il noviziato e nel 1778 dai padri Somaschi. In seguito alla soppressione dell’ordine, l’edificio fu alienato, in vari momenti successivi, e in parte destinato a Caserma dei Gendarmi (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 1875). Luigi Canonica fu chiamato in più occasioni a valutare la cessione di parti del complesso: nel 1801 al chimico Francesco Bossi, nel 1804 a Fornara e Bianchi, desiderosi di aprirvi una fabbrica per la produzione di acido solforico (ASMi, Genio Civile, 3158). (f.r.) [Luigi Canonica?], «Tipo dimostrante la pianta terrena del Palazzo del Broletto», Milano, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 197. Locale della Viola [Teatro Chimico e Botanico dell’Università], Bologna 1804 Il Fondo Canonica conservato presso l’Archivio del Moderno custodisce un rilievo non firmato della «Pianta del piano terreno del locale della Viola destinato per l’elaboratorio e teatro chimico, non che per la Scuola di Botanica dell’Università Nazionale di Bologna» (BC-AMMe, 11, BC 313). Le complesse vicende relative all’Università bolognese sono state studiate da Francesco Ceccarelli (1990) cui si rimanda per un quadro generale dell’intervento. In seguito al riordino AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE della pubblica istruzione, voluto con legge della Repubblica Italiana del 4 settembre 1802, fu redatto dall’astronomo braidense Barnaba Oriani e dal segretario dell’Accademia di Belle Arti di Brera Giuseppe Bossi un piano dettagliato, che prevedeva la riunificazione e l’ampliamento delle strutture didattiche e universitarie in un’unica area. Furono gli stessi Oriani e Bossi a suggerire di dare attuazione al loro piano, affidandolo a Paolo Pozzo, architetto già membro dell’Istituto nazionale ed estraneo all’ambiente cittadino. Alla morte di Pozzo, Giovan Battista Martinetti fu incaricato di proseguire la progettazione degli edifici, servendosi della collaborazione tecnica di Giuseppe Tubertini. L’architetto ticinese si affrettò ad elaborare, nel febbraio del 1803, un nuovo progetto per estendere le strutture universitarie (Botanica, Agraria, Farmaceutica e Chimica) all’area retrostante il Convento di Sant’Ignazio, sfruttando gli spazi adiacenti alla cinquecentesca residenza di Annibale Bentivoglio, nel cosiddetto Giardino della Viola (ASMi, Studi, p.m., 717). Un controllo dello stato del cantiere e dell’attuazione del piano di Oriani e di Bossi fu affidata, ai primi di agosto del 1804, dal ministro degli Interni a Luigi Canonica e Luigi Rossi, capo della IV divisione del Ministero degli Interni, anche per verificare il discusso operato di Martinetti e le presunte irregolarità segnalate da Giuseppe Tubertini. In tale occasione, Canonica sottolineò l’esecuzione affrettata di alcune opere edili, dimostrando tuttavia un’ammirazione per la magnificenza e la singolarità progettuale degli orti accademici. Bibliografia Ceccarelli 1990; Giumanini 1997. (f.r.) Manifattura dei Tabacchi, Milano 1804-1807 Nella seconda metà del Settecento la fabbrica dei tabacchi e delle polveri era collocata nel nuovo edificio sorto all’angolo tra strada di Porta Nuova e via della Barbola. In seguito alla riforma del sistema monetario dello Stato di Milano (ottobre 1778), si rese urgente il trasferimento (cui attese Giuseppe Piermarini) dell’antica Zecca in una casa demaniale nell’area della Cavalchina, fino ad allora destinata a Magazzino generale del Tabacco. In previ- Manifattura dei Tabacchi, Milano, prospetto, [1807].; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 405. sione di questo, nel gennaio 1779, tale magazzino fu trasferito a San Simpliciano, non distante dalla manifattura vera e propria, a quell’epoca in Sant’Angelo. Di fatto, questa soluzione – per quanto temporanea, in attesa del previsto ampliamento della fabbrica di Sant’Angelo sul terreno che di lì a poco sarebbe stato acquistato dal conte Cristoforo Casati (ASMi, Finanza, p.a., 1097) – accentuava ulteriormente i problemi già evidenziati dall’intendente generale delle Regie Finanze, Luttinger, a proposito della dislocazione degli ambienti della manifattura (locali per la lavorazione delle foglie, magazzino, abitazione del custode) e in special modo l’impossibilità di garantire una sorveglianza efficace sia delle foglie grezze, sia di quelle già lavorate. Per assecondare la crescente esigenza di spazio della Zecca (ibidem), e al fine di concentrare in un’unica sede diversi opifici statali presenti lungo lo stradone di Santa Teresa, oggi via della Moscova, l’Intendenza di finanza acquistò i fabbricati del Convento femminile di San Giuseppe e Santa Teresa delle Carmelitane scalze, a seguito della soppressione decretata nel 1782. Si aveva l’intento di trasferirvi le due manifatture del tabacco (quel- la di Sant’Angelo e un’altra ospitata in un edificio al Tombone di San Marco) con il magazzino ad esse collegato, e un grosso emporio «con qualche lavorazione di acquavite» esistente in una casa d’affitto nella contrada del Rebecchino. Il progetto fu quindi rallentato e rivisto per l’impossibilità di aumentare la quantità di acqua già derivata dal Naviglio per far fronte alle esigenze delle macine delle manifatture previste in Santa Teresa e per le modalità di lavorazione del tabacco che stavano modificandosi in quegli anni, al punto che nel 1792 non sembrava «quasi più necessario di avere un ricovero di scorta fuori del fabbricato a Sant’Angelo». All’inizio del XIX secolo, la prospettata trasformazione di Santa Teresa tornò di attualità, come dimostrano un riepilogo dei prezzi concordati da Luigi Canonica nel 1804 con il signor Botta, appaltatore di alcuni lavori (AMMe, Fondo Canonica, XV, 251), e la presentazione a firma di Pietro Gilardoni, alla metà di maggio del 1807, del progetto per «ultimare la Facciata di questo nuovo Locale di Fabbrica ad uso de Tabacchi simile alla nuova già esistente», illustrato da una tavola acquarellata (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22, 7). Quest’ultimo intervento, che si in- centrava sul completamento del corpo di fabbrica lungo lo stradone di Santa Teresa, unitamente all’allora appena avviata realizzazione di un muro di cinta «per chiudere il piazzale di Santa Teresa», seguivano di poco la soppressione dell’adiacente Convento dei Carmelitani scalzi di San Carlo (1804) e davano al complesso dell’ex Monastero di Santa Teresa uno schema planimetrico più funzionale alle attività in esso ospitate. Rispetto a tale progetto appaiono marginali le indicazioni date da Luigi Canonica nei disegni non datati (tavola acquarellata “C” del prospetto principale e due sezioni, trasversale e longitudinale), ma certamente successivi a quelli di Gilardoni, conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (BC 405, D 10). La manifattura fu successivamente ampliata tra il 1851 e il 1862 utilizzando colonnine in ferro, prodotte dalle fonderie del principe Aversperg in Hoff. Il complesso, colpito dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale, fu abbattuto (con l’eccezione di quella che fu la chiesa di Santa Teresa, oggi sede della Mediateca cittadina) e sulla sua area si costruì una nuova manifattura, lungo l’attuale viale Fulvio Testi. 43 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Disegni Luigi Canonica, «Spaccato al lungo sulla linea CD» e «Spaccato sulla linea AB. del piano terreno», [1807]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 13. Luigi Canonica, Prospetto, [1807]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 405. Bibliografia Borroni 1808, p. 149; Tatti 1844; La nuova manifattura tabacchi 1958; Mezzanotte 1966, p. 295; Ricci 1975, p. 160; Patetta, Parisi 1995, p. 103. (p.b.) Dogana, Como 1804-1805 Alla fine di agosto 1804, Luigi Canonica venne incaricato dal Ministero delle Finanze di esaminare due progetti elaborati dall’ingegner Ferranti (con ogni probabilità da identificarsi con Filippo Ferranti, nominato in seguito ingegnere “in capo” del Dipartimento dell’Adda e quindi della Delegazione provinciale di Sondrio, prima di essere trasferito a Cremona come ingegnere “in capo” della Delegazione provinciale locale) per la nuova sede della Dogana di Como (AMMe, Fondo Canonica, XVII, 361). L’architetto, compiuti i sopralluoghi nel settembre del 1804 e nel gennaio del 1805, preparò un rapporto tecnico (17 gennaio 1805; AMMe, Fondo Canonica, XVII, 360) e produsse alcuni elaborati grafici per evidenziare le correzioni suggerite. I progetti non ebbero seguito per le eccessive pretese del proprietario dell’area destinata a ospitare il fabbricato e per questioni di vicinato nel frattempo sorte. Alla fine di dicembre 1815, lo stesso Canonica scrisse all’intendente di Finanza di Como, Duodo, chiedendo la riconsegna dei tipi originali, dei quali non aveva conservato copia nel proprio archivio (ibidem). (p.b.) Santa Maria della Passione, Milano 1805-1808 La ricerca non ha finora documentato interventi di Canonica nel Monastero di Santa Maria della Passione, se non per i due rilievi conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (D 426, D 427). Il complesso venne utilizzato nel 1805 da Andrea Appiani, «com- 44 missario delle Belle Arti», per la preparazione degli apparati in occasione delle celebrazioni per l’incoronazione milanese di Napoleone. Il monastero fu utilizzato anche come deposito per gli affreschi staccati dalle chiese soppresse, mentre il refettorio venne occupato dai decoratori che lavoravano per il Ministero. Altri locali erano destinati ad abitazione di sacerdoti (ASMi, Genio Civile, 3150). L’unico possibile coinvolgimento di Canonica è testimoniato, oltreché dai rilievi citati, dalla richiesta di un parere e dalla relazione allegata nella quale, nel febbraio 1805, egli si dichiarava contrario all’ipotesi che il refettorio fosse ceduto in affitto a privati (ASMi, Genio Civile, 3164). Disegni [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 426. [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 427. Bibliografia Scotti 1984, pp. 115, 125; Patetta, Parisi 1995, p. 42. (f.r.) Palazzo Reale, Milano 1805-1813 Nel periodo del Regno d’Italia, Luigi Canonica attua nel Palazzo Reale di Milano una serie d’interventi pressoché ininterrotta, che ha termine nei primi anni della Restaurazione, quando egli mantiene solo per breve tempo l’incarico di responsabile dei reali fabbricati ricoperto durante il dominio francese, ma che continua a produrre conseguenze ancora nei due decenni successivi. In questo arco temporale, l’attività dell’architetto copre con assiduità un campo che spazia dai più minuti aspetti della manutenzione del palazzo, alla riforma architettonica e decorativa di alcuni tra i maggiori ambienti di rappresentanza, fino a progetti di ampliamento edilizio di grande scala. I più notevoli tra questi interventi possono ricondursi a tre temi: la riforma dell’Appartamento imperiale, a partire dal 1805; il riutilizzo dell’area del vecchio maneggio già esistente sul lato ovest del cortile maggiore, a partire dal 1808; l’ampliamento del palazzo verso contrada Larga mediante la realizzazione dei cortili di servizio e dei fab- bricati delle scuderie e delle rimesse, intrapresa nel 1809. Il confronto tra i disegni del Fondo Canonica conservati nell’Archivio del Moderno di Mendrisio, e il copioso carteggio d’ufficio dell’architetto della Casa reale incluso nel fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano, permette, pur con molte lacune di documentazione, di ricostruire con buona precisione il quadro e la vicenda degli interventi compiuti dall’architetto ticinese in Palazzo Reale; l’insieme di questi lavori risulta di tale portata, da far sì che l’opera di Canonica sia quella che lascia nella reggia milanese l’impronta maggiore dopo quella del suo ideatore Piermarini, destinata a permanere fino al radicale depauperamento del palazzo causato prima dalle estese demolizioni negli anni Venti del Novecento, e poi dai danni bellici del 1943. Dopo l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia avvenuta a Milano il 26 maggio 1805, e l’impulso dato dall’imperatore a una riforma del Palazzo Nazionale della Repubblica Italiana adeguato al nuovo ruolo di reggia, è nell’estate di quell’anno che Canonica inizia a occuparsi, presentando un piano di massima al viceré Eugenio di Beauharnais, della nuova sistemazione del «Grande Appartamento» in Palazzo Reale, definito pure Appartamento reale e poi «Appartamento di rappresentanza dell’Imperatore», come veniva indicato nell’inventario mobiliare del 1814 (ASMi, Potenze Sovrane, 219; pubblicato con altri inventari in Palazzo Reale di Milano 2000, pp. 104-112; cfr. anche Colle 2001[a], pp. 207226). Si tratta della serie di ambienti che si snoda nella parte ovest del cortile nobile del palazzo, lungo il percorso che dallo scalone d’onore raggiunge il grande salone (più noto come Sala delle Cariatidi), attraversando le tre Sale degli Arazzi (così dette dalla serie di sette arazzi di Gobelin con le Storie di Giasone che ne ornavano le pareti), e prosegue poi per le sale prospettanti verso il Duomo sulla facciata principale del palazzo; su questo percorso si trovavano alcune tra le più importanti sale di parata dell’assetto piermariniano, arricchite dagli stucchi di Albertolli e dalle pitture di Traballesi e Knoller. Il tema cui si applica l’architetto è il riordinamento di questi ambienti come Appartamento imperiale, imperniato sulla creazione di una Sala del Trono. Da un promemoria sulla sistemazione dell’Appartamento reale, privo di data ma collocabile al- l’inizio del 1806 (ASMi, Genio Civile, 3144), confrontabile con un interessante disegno di lavoro conservato nell’Archivio della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 243: sorta di palinsesto, la cui prima stesura è databile al 1805-1806), si desume che la prima idea è quella di collocarla nella sala d’angolo, oggi detta Rotonda, dove sarebbe stata preceduta dalle sei sale già esistenti, a partire dalla grande anticamera dopo lo scalone d’onore (le tre anticamere e le tre sale degli arazzi), e seguita da altre due, ad ampliare l’appartamento, adibite a Sala di Udienza e Gabinetto di Lavoro dell’Imperatore. In un secondo momento, forse in considerazione dell’ingresso angusto che la sala avrebbe avuto dal piccolo vestibolo, allora esistente tra la terza Sala degli Arazzi e la sala d’angolo, si decide di destinare quest’ultima a Sala dei Ministri, e la Sala del Trono diventa quella successiva, occorrendo di conseguenza aggiungere un’ulteriore sala di seguito. L’Appartamento imperiale risulta così formato dagli originari ambienti di parata piermariniani, cui si aggiungono dapprima tre e poi quattro sale nel corpo di fabbrica sulla piazzetta, ovvero quelle sale che vanno dalla Sala dei Ministri al Gabinetto di Lavoro dell’Imperatore, corrispondente al balcone; la destinazione e organizzazione degli ambienti è quella ricorrente nei palazzi reali napoleonici (cfr. Pillepich 2004-2005, pp. 51-61). Il nuovo assetto architettonico e decorativo eseguito tra 1806 e 1807, è opera di Canonica, che ricorre talvolta a soluzioni originali, come la volta circolare a bacino su insoliti raccordi piani nella Sala dei Ministri (da ciò detta, appunto, Rotonda), spiegabile forse con la circostanza che questa nell’idea iniziale doveva essere la Sala del Trono, e proponeva quindi il tema di una particolare distinzione anche sotto l’aspetto dell’architettura. Notevole è come egli controlli ogni dettaglio delle quattro ultime sale dell’appartamento, dando i disegni non solo degli scomparti e degli ornati in stucco delle volte, ma anche dei mobili e perfino delle stoffe per le tappezzerie (ASMi, Genio Civile, 3126). Le sale dell’Appartamento imperiale sono poi impreziosite dalle pitture di Andrea Appiani, già all’opera nel palazzo negli anni del vecchio regime, e nominato dal 1805 primo pittore del re d’Italia; egli dipinge nel 1808 la medaglia della volta della Sala del AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Trono, con l’Apoteosi di Napoleone in trono circondato dalle Vittorie e dalle Ore, e affresca poi, tra 1809 e 1810, le volte della contigua Sala di Udienza o dei Principi (con Vulcano e Minerva che mostrano a Clio lo scudo con le imprese di Napoleone) e della Sala della Rotonda (con Pace e Imeneo); è sempre Appiani che intraprende le opere incompiute della decorazione della Sala delle Cariatidi, dove nel 1807 realizza il fregio con i Fasti di Napoleone. Rimase ineseguita la grande medaglia della volta, il cui inizio sembrava imminente nell’estate 1805 (ASMi, Genio Civile, 3126), ma che in realtà fu rimandata per anni; così come resta, nel 1813, incompiuto il programma delle pitture nella Sala della Lanterna, della quale si dirà più avanti (cfr. Beretta 1848). A questa fase dei lavori per l’Appartamento imperiale va aggiunta pure, nella sala attigua al Salone oggi nota come Sala del Buffet (poi destinata a Sala del Consiglio di Sta- to), la realizzazione, alla fine del 1806, di un lucernario ottagono, con un partito d’illuminazione dall’alto che ritornerà a più riprese nei progetti di Canonica per Palazzo Reale. Nell’Appartamento dell’Imperatrice, che occupa i locali restanti nell’ala verso piazzetta nonché il lato est del cortile, l’architetto disegna e realizza tra 1808 e 1809 la sistemazione e decorazione di due gabinetti da bagno contigui alla camera da letto, che vengono collegati, mediante una scaletta, alle stanze del personale di servizio disposte nei mezzani superiori. Per uno dei due gabinetti, probabilmente per lo stesso di cui è data una ricercata pianta a esedra semicircolare, egli concerta con il pittore Raineri una tappezzeria dipinta a soggetti di «storia naturale» ovvero animali e piante, su espresso desiderio del viceré Eugenio di Beauharnais, come già si era eseguito nel 1805 in una sala della Villa Reale di Monza. La durata biennale di un così circoscritto lavoro dà la misura della cura per i dettagli: il raso viene commissionato a una fabbrica di Lione, e il disegno per la tappezzeria del secondo gabinetto viene fornito, in due varianti per la scelta, personalmente dall’architetto; tuttavia la tappezzeria di Raineri, pur risultando nell’ottobre 1810 eseguita per sei degli otto pezzi previsti e approvata da Canonica, evidentemente non è messa in opera, poiché non compare registrata nel già citato inventario redatto nel 1814. Nel marzo dello stesso 1808, Canonica presenta il progetto, ordinato da un decreto imperiale del precedente dicembre, per formare «una sala grande e un appartamento a uso di Sua Maestà», ricavandolo nel sito della vecchia Cavallerizza o maneggio coperto, che Piermarini aveva costruito nel 1776 sul lato ovest del cortile maggiore nell’area del distrutto Teatro Ducale. La Cavallerizza era stata, in un momento di poco anteriore al 1805, suddivisa in altezza da un solaio, formando al piano superiore una provvisoria «sala grande» o «sala delle colonne» (queste erano di legno), come si riconosce nella piante del palazzo stese da Canonica e conservate negli Archives Nationales di Parigi (pubblicate in Ricci 2001, p. 69), che attestano l’assetto dell’edificio precedente agli interventi dell’architetto ticinese, al pari della pianta del Fondo Canonica conservato presso l’Archivio del Moderno (BC-AMMe, BC 402) di poco posteriore. La stessa sala si ritrova nelle piante generali, BC 278 e 280, mentre il disegno BC 304 mostra il soffitto ornato a cassettoni per maggiore decoro, e il suo vestibolo a forcipe. Al progetto per la nuova e definitiva sala grande e per le altre sale nel sito della vecchia Cavallerizza sono collegabili vari disegni conservati nel sopracitato fondo, come quelli indicati BC 392 (sezione trasversale dell’intero corpo di fabbrica, in corrispondenza della nuova sala grande a colonne), BC «Pianta generale dimostrante il piano nobile del Palazzo Reale di Milano e delle nuova fabbrica annessa verso la Contrada Larga», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 280. 45 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A 366 e BC 420 (studi di sezione trasversale e longitudinale della sala). Altri disegni (BC 422 e 282) rappresentano la sezione in lunghezza della Galleria (oggi nota come Sala delle Quattro colonne) e la sezione trasversale dell’intera ala del palazzo, in corrispondenza della galleria medesima; tuttavia, questi ultimi fogli non sono databili a prima del 1814 (per la dicitura «I.R. Palazzo»), e paiono piuttosto di mano di Giacomo Tazzini, che con Canonica collabora dal dicembre 1810, nel ruolo subordinato di architetto ispettore di Palazzo Reale, ereditando, dopo il 1817, la carica di architetto degli I.R. Fabbricati. Tali disegni risultano comporre una serie con altre tre tavole relative allo stesso «Progetto pel nuovo Appartamento da erigersi nell’I.R. palazzo di Corte», conservate nell’Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Milano, datate 1821 e firmate «per copia conforme» da Tazzini (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 215, 217, 219). Le lacune documentarie lasciano qui spazio alle interpretazioni: pare plausibile che possa trattarsi di un progetto ideato e avviato da Canonica, e poi ripreso e completato a distanza di tempo da Tazzini, nell’usata continuità di azione dell’ufficio. Dell’originario progetto di Canonica per questa zona del palazzo abbiamo, forse, testimonianza grafica in un disegno già citato (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 243), nel quale è abbozzata a matita, come aggiunta in un momento successivo, la pianta della Galleria delle quattro colonne e delle tre sale contigue, come poi saranno realizzate; ma l’attribuzione di questa aggiunta a Canonica piuttosto che a Tazzini è incerta. Certo è invece che già da principio, quando nel 1808 propone il progetto, l’architetto ticinese ne stralcia una parte destinata a essere subito realizzata, ovvero quella riguardante la Sala dei Concerti (poi detta delle Colonne), la quale va a occupare circa metà dell’area corrispondente al vecchio maneggio, e viene eseguita dal 1808 al 1810. Qui egli sviluppa e, per così dire, rende permanente il tema della precedente sala interinale (le cui otto colonne lignee e rispettive lesene troveranno riutilizzazione per allestimenti festivi): lo spazio è suddiviso da due brevi ma imponenti colonnati corinzi ri- vestiti in scagliola a finto marmo, con trabeazione che corre continua sui quattro lati, sulla quale posa un soffitto piano ad ampi cassettoni ornati da stucchi (che il viceré, da ciò dissuaso dall’architetto, avrebbe voluto illuminato da un lucernario). A metà degli anni Venti si trasforma la restante parte dell’area, ripartita tra la galleria e le tre sale del vero e proprio appartamento, secondo un progetto che possiamo supporre fosse quello messo a punto da Canonica tra 1808 e 1810, poi ripreso da Tazzini. Il palazzo acquista così una serie di ambienti di rappresentanza, trattati con architettura elaborata e aulica dagli echi palladiani pur in spazi non di vasta estensione, che lo arricchiscono in modo significativo rispetto all’assetto piermariniano, a suo tempo realizzato con una certa economia e piuttosto povero di ambienti architettonicamente significativi, eccettuato il grande Salone delle Cariatidi. A questo, la Sala delle Colonne di ordine corinzio con due strette navate laterali separate da colonnati, a modo di una sorta di oecus aegyptius privo del registro superiore, fa da enfatico preludio, introdu- Palazzo Reale, Milano, sezione dell’ala sul lato ovest del cortile d’onore, in corrispondenza della nuova sala grande a colonne, 1808; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 392. 46 cendolo con due enfilades rese monumentali dai colonnati, attraverso l’intermedia Sala del Consiglio di Stato resa più suggestiva dall’illuminazione dall’alto. La Sala delle Colonne, a sua volta, è introdotta dalla magniloquente Galleria di ordine ionico che colpisce con un effetto ricercato e inaspettato di altezza, quasi forzato rispetto alle sue dimensioni, e che ancora sfrutta l’idea della luce portata dall’alto. Si crea così una variata e originale sequenza di spazi che viene a costituire, definitivamente, l’unico episodio di grandiosità e ricercatezza architettonica e non soltanto decorativa offerto dal palazzo. Il riutilizzo del sito della vecchia Cavallerizza è tema cruciale per la reggia milanese in epoca napoleonica, sul quale l’architetto reale è chiamato a lavorare a più riprese e dietro indirizzi differenti. È probabile, infatti, che motivo di arresto del progetto concernente il descritto nuovo appartamento e del suo slittamento di alcuni anni, sia il decreto imperiale con il quale, nel marzo del 1809, Napoleone ordinò che fosse creata in quel sito «una Galleria [...] per raccogliervi le opere più eccellenti de’ pittori e scultori italiani viventi», le statue di principi e dignitari della Corona e quadri dei fatti più illustri della storia del regno. Canonica è incaricato di presentarne il progetto entro due mesi (ASMi, Genio Civile, 3139). È un tema celebrativo di grande portata, oltre che legato a un fine di politica culturale inteso a promuovere gli studi di pittura e scultura nel paese; e che sarebbe commisurato, visto il programma, a spazi architettonici ben più cospicui di quelli offerti dal ristretto palazzo già dell’arciduca Ferdinando. A un simile progetto può essere riferito l’altrimenti inspiegabile disegno BC 399 del fondo di Mendrisio, che riporta in pianta il piano nobile del palazzo sul lato ovest del cortile maggiore, e nel quale è delineata come esistente la Sala delle Colonne (allora in corso di realizzazione), e, come progettata, una galleria che sfrutta in parte il rimanente sito dell’ex maneggio e in parte ingloba la preesistente Anticamera dei Ciambellani, così da formare un ampio ambiente oblungo, nel cui terzo medio è previsto un lucernario ottagonale di quasi nove metri di luce. Il tema dell’illuminazione dall’alto, come si è visto, ricorre insistente e trova in questo caso una sua specifica ragione nella funzione “museale” AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE dello spazio, collegandosi agli interventi di sistemazione delle sale del Museo di Brera, in quegli stessi anni attuati dall’architetto Gilardoni e ispirati ad analoghe soluzioni. È interessante che su questo stesso disegno, nell’area residua dell’ex maneggio, figurino in sovrapposizione le suddivisioni delle tre sale e della galleria di distribuzione dell’appartamento, di cui si è detto, come erano previste dal progetto presentato nel 1808, ma con una diversa soluzione della galleria in cui non compaiono le quattro colonne. Questo progetto viene dunque accantonato, a favore della Galleria delle Statue; ma solo un anno dopo, nel dicembre 1810, Canonica presenta nuovamente disegni per le stanze distribuibili nella porzione rimasta della vecchia Cavallerizza, secondo le idee del viceré, premurandosi di far presente che tale progetto non è combinabile con quello, già inoltrato a Parigi, di formare nel medesimo locale «la gran Sala delle statue» (ASMi, Genio Civile, 3127). Due strategie di intervento sono quindi a confronto, il cui esito rimase non deciso: si sarebbe posto mano a tali spazi dell’ex maneggio soltanto, come si è detto, in epoca di Restaurazione. Nei medesimi disegni del 1810, però, l’architetto delinea anche un altro intervento voluto da Beauharnais a modifica dell’assetto dell’Appartamento imperiale, che trova invece esecuzione immediata: si tratta dell’ampliamento della terza Sala degli Arazzi, da attuarsi incorporando ad essa il vestibolo di passaggio alla Sala Rotonda, e della riforma decorativa nella contigua Sala del Consiglio di Stato (quella oggi nota come Sala del Buffet), a partire da una preesistente situazione riconoscibile nel citato disegno BC 399. Il progetto studiato da Canonica evita di ridurre la Sala del Consiglio, come dapprima si era pensato allo scopo di ricavarvi una «ritirata» e una scaletta per salire alla balconata del Salone delle Cariatidi, collocando la scaletta nel forte e ingrossato spessore del muro tra la Sala degli Arazzi e il Salone. Si decide comunque di riformare l’ornato della Sala del Consiglio, introducendo un ordine di lesene e trattando le pareti non a tappezzeria, come d’uso, ma a stucco lucido similmente alla Sala delle Colonne, dove analoga era stata la scelta di un ornato architettonico a lesene per le pareti. L’ingrandimento della terza Sala degli Arazzi comporta invece, oltre al rifacimento delle Palazzo Reale, Milano, Sala della Lanterna, già Sala di Udienza, sezione trasversale e longitudinale, 1810; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 421. decorazioni a stucco, che sia demolita e ricostruita la volta (nonché la parte di tetto soprastante) per dare all’ambiente una maggiore elevazione, e che nella volta sia costruito un ennesimo lucernario, da cui la sala prenderà più tardi il nome di Sala della Lanterna. A questo tema è riferibile un disegno che mostra il grande alto lucernario rettangolare con il suo elaborato fregio decorativo (BCAMMe, BC 421). Questi lavori, completati nell’estate del 1811, trasformano dunque la sequenza piermariniana delle tre sale degli arazzi, che in origine erano le tre sale en enfilade sul lato ovest del cortile, abilmente ricavate in contiguità alla vecchia Cavallerizza: dopo la riforma attuata da Canonica, la vecchia terza Sala degli Arazzi diventa la Sala di Ricevimento o di Udienza com’è indicata nell’inventario del 1814, poi detta della Lanterna, mentre la ex Anticamera dei Ciambellani nell’angolo del cortile viene annessa alla serie delle Sale degli Arazzi, perdendo così l’enfilade originaria; inoltre la prima sala fu decorata con due arazzi di un’altra serie, quella degli Atti degli Apostoli e non già delle Storie di Giasone. La decorazione della nuova Sala della Lanterna incontra qualche incertezza, poiché in un primo momento Appiani è incaricato di eseguire disegni per due «tappezzerie di Gobe- lin» ossia arazzi da collocarvi, mantenendo quindi il primitivo carattere dell’ambiente (gli arazzi invero erano dapprima destinati alla Sala del Trono). Qualche mese dopo il progetto decorativo è mutato, e nel maggio 1812 si montano i ponti affinché il pittore esegua gli affreschi dell’ambiente, chiamato anche Sala Verde (dal colore della tappezzeria nell’inventario del 1814), benché non fossero terminate le opere di doratura e dipintura, ancora in corso nel 1813; Canonica deve concertare con lui l’allargamento delle cornici intorno agli spazi destinati alla pittura. Appiani aveva studiato un elaborato programma decorativo, consono all’importanza della sala, «destinata al tempo di Napoleone, nelle solennità, ad accogliere i grandi corpi dello Stato» (Illustrazione storicoartistica dei Reali Palazzi di Milano, 1863): il programma iconografico prevedeva quattro riquadri maggiori, con scene di storia romana, e quattro ottagoni con nudi atletici da modelli di statuaria antica. Il pittore riuscì a eseguire solo due scene e due ottagoni, prima della grave malattia che lo colpì nell’aprile 1813; la decorazione sarebbe stata più tardi completata da Hayez e Palagi coerentemente al piano primitivo, mentre Tazzini aggiunge alle pareti un ornato architettonico a lesene. Questa incompiuta e ambiziosa sala, quindi, rimane il momento conclusivo sia dell’opera di Appiani, sia di quella di Canonica per l’appartamento di rappresentanza; successivamente non vi furono episodi di rilievo. È da menzionare solo la riforma della Sala del Bigliardo (già del Caffè) nell’Appartamento dell’Imperatrice, per la quale nel maggio 1813 Canonica non stese direttamente i disegni ma chiede a Tazzini di approntarli, con «decorazioni e ornati ricchi in oro» come di prammatica, nelle due varianti in stucco lucido e in scagliola a finti marmi (ASMi, Genio Civile, 3133). A proposito della sostituzione di ornamenti con altri più sontuosi, conviene aggiungere che costante è la tendenza, negli anni del Regno d’Italia, all’arricchimento anche materico degli ambienti del piano nobile, perseguito con puntualità nelle occasioni non solo del rifacimento d’intere sale, ma anche durante gli interventi diffusi di manutenzione e di «rimonta» degli arredi. Sono aspetti minori ma degni di nota, per esempio, la sostituzione di vari pavimenti in cotto con pavimenti «a terrazzo alla veneziana», come avvenne nel 1809 per la prima Anticamera e la seguente Sala dei Ciambellani, ossia le prime due sale dell’Appartamento di Rappresentanza; o la sostituzione, attuata nel 1811, in tutte le sale del medesimo appartamento, di più eleganti portine a due bat- 47 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A [Giacomo Tazzini], Palazzo Reale, Milano, «Spaccato sulla linea CD attraversante la galleria», [1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 422. tenti alle antiquate porte ad anta unica, a partire dalla prima sala di seguito alla grande anticamera fino al Gabinetto di Lavoro dell’Imperatore (ASMi, Genio Civile, 3128). In tema di manutenzioni, un capitolato del 1810 sull’«imbiancamento» della facciata principale del palazzo, redatto dall’architetto, fornisce interessanti informazioni sulle modalità di pulitura degli elementi lapidei, e sulla stesura delle «tinte alle lesene, fasce, cornicioni e attici», ovvero sulle stesse parti in pietra (ASMi, Genio Civile, 3131). Il terzo, ma non certo ultimo per importanza, tema d’intervento di Canonica nella reggia milanese, è la progettazione e la parziale realizzazione dell’ampliamento del Palazzo verso contrada Larga, con la costruzione dei quartieri di scuderie, rimesse e alloggi annessi. L’esigenza di tale ampliamento nasceva dalla ristrettezza, rispetto ai bisogni, degli spazi di servizio disponibili per la Corte, irregolarmente sparsi in vari punti del recinto del Palazzo, impropriamente commisti anche con funzioni di rappresentanza, e comunque insufficienti per quantità (nel 1807, per la rimessa delle carrozze imperiali, ci si doveva avvalere di lo- 48 cali in sedi staccate come l’ex chiesa, ridotta a magazzino, di Santa Maria della Rosa). Il problema era poi aggravato dalla dismissione del vecchio maneggio, attuata come si è visto per ricavare nuove sale al piano nobile. Negli stessi intensi mesi del 1808, in cui studia i progetti per il nuovo appartamento e la Sala delle Colonne, nonché le modifiche all’Appartamento dell’Imperatrice, discutendoli direttamente con il viceré Eugenio, Canonica lavora a un progetto per il nuovo fabbricato ad uso di Cavallerizza e scuderie, che viene presentato alla superiore approvazione in dicembre (ASMi, Genio Civile, 3130), ed è identificabile con quello rappresentato dal disegno BC-AMMe, BC 277 (in cui l’addizione è delineata su un foglio incollato alla pianta terrena del palazzo). Nell’illustrare il progetto, l’architetto spiega di aver disegnato un ampio cortile rustico separato, che finora manca al palazzo, intorno al quale colloca i locali delle scuderie, rimesse, sellerie e i luoghi di servizio, rimuovendone l’ingombro e gli incomodi dai quartieri nobili della reggia. Sono previste scuderie per oltre centosettanta cavalli, rimesse per più di trenta carrozze e, nei mezzani su- periori, settanta stanze ripartite in vari appartamenti. Verso la contrada del Teatro alla Canobbiana è collocato il nuovo maneggio, anch’esso più grande del preesistente, così da potervi praticare internamente il passaggio di comunicazione tra il teatro e il recinto del Palazzo, come già in precedenza esisteva mediante un ballatoio esterno. Il progetto aveva una cospicua valenza urbanistica, perché l’ampliamento andava a occupare, oltre al sedime del piccolo giardino della Corte e dei locali detti della Canobbiana (compresa la rotonda delle antiche Scuole Canobbiane, destinata alla distruzione), tutta l’area densa di case private tra contrada delle Ore e contrada Larga, ancora di tessuto urbano medievale, corrispondente alla fronte posteriore del Palazzo e chiusa ai lati dalla contrada del Teatro e dalla canonica dell’Arcivescovado, nonché attraversata da un tratto del Seveso scorrente a cielo aperto (la situazione dell’area è rappresentata nel disegno BC-AMMe, BC 365). L’architetto propose dunque di chiudere l’ultimo tratto di contrada delle Ore, per ottenere l’immediata comunicazione di Palazzo Reale con i nuovi fabbricati, e di aprire una nuova via di collegamento fra il restante tratto di contrada delle Ore e contrada Larga, così come delineata nel disegno citato. È da notare come questo progetto non abbia né ricerchi alcuna relazione con il piano del 1807 studiato dalla Commissione d’Ornato (della quale lo stesso Canonica era membro), che nel sito corrispondente all’ampliamento della reggia proponeva di aprire il vuoto urbano di una grande piazza, peraltro piuttosto slegata dal sistema degli assi viari caratterizzanti il piano. Benché il progetto abbia una matrice utilitaria, esso è studiato da Canonica con molta attenzione agli aspetti di qualità architettonica, sviluppando specialmente due temi: gli assi visuali di prospettiva e la facciata su contrada Larga. Riguardo al primo punto, l’architetto prende spunto dalla circostanza che in una delle case da demolire si trova la macchina idraulica che alimentava la fontana piermariniana della piazza Tagliamento (già piazza Fontana, come tornerà a chiamarsi). Questa sarebbe stata trasportata dietro a una delle nuove scuderie e avrebbe così alimentato un’altra fontana da collocare nel centro del nuovo cortile, dove avrebbe formato «punto di visuale, tanto all’ingresso principale del Palazzo, quanto a quello che aprirebbesi in contrada Larga», mascherando il difetto costituito dal disallineamento dell’asse del palazzo con quello del nuovo fabbricato. Canonica, come mostra il citato disegno BC 277 dove gli assi visuali sono tracciati in evidenza, studiò con accorti aggiustamenti la disposizione degli androni dei nuovi edifici, in modo che la fontana, non collocata al centro geometrico del terzo cortile ma opportunamente spostata, potesse servire da fuoco prospettico ai due assi suddetti; anche sull’asse trasversale secondario, verso un quarto cortile laterale, il disegno si preoccupa di disporre una edicola di prospettiva in asse sul fianco obliquo della maggiore scuderia. L’altro tema architettonico rilevante è la facciata su contrada Larga (raffigurata nel disegno AMMe, D 21, identico a BC 368), verso la quale i fabbricati progettati si affacciano con un fronte di quasi settanta metri, «il quale meriterebbe una decorazione corrispondente al dignitoso carattere di questa parte del Palazzo Reale», anche con l’uso di dispendiosi ornati in pietra. Per essa Canonica delinea un fronte di ricchezza insoli- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE ta per il suo stile, che è certo commisurato al rango di una reggia (pur se dietro di essa si trovavano in realtà una scuderia e dei magazzini), ma si direbbe quasi in competizione con la facciata principale piermariniana, poiché esibisce un sontuoso partito di dieci colonne ioniche giganti a tre quarti, raddoppiate da paraste ai due estremi, cui è sovrapposto un piano di mezzani a modo di attico. Risonante di echi palladiani, anche nei particolari del portale ad arco e della serie di poggioli sporgenti a balaustrini, tutta la facciata ha un forte rilievo plastico, pur nella medietà non decorativamente caricata dell’ordine ionico prediletto da Canonica. Un simile carattere è assai consono al sito, poiché la facciata non prospetta su una piazza, che possa darne una visione frontale, bensì su una via pur ampia che ne offre una visione laterale, ed esibisce una fuga di colonne che conferisce al fronte grande risalto visivo, tanto più a confronto dell’adiacente prospetto del Teatro alla Canobbiana, opera di Piermarini, con il suo partito di piatte lesene. Altri interessanti studi su questa facciata (BC-AMMe, BC 419) mostrano due soluzioni meno imponenti di quella in seguito sviluppata dall’architetto, dove il prospetto è più breve e più basso ed è scandito da lesene anziché colonne, pur comparendo il pensiero di un grande frontone (sono accennati anche schizzi della fontana). Queste varianti chiariscono per contrasto l’intenzione formale sottesa alla soluzione definitiva, che porta nel disegno citato la data del 1812 ma appare già definita nel disegno in pianta del 1808, dove le colonne sono ben riconoscibili. Nel 1812, Canonica provvede anche a disegnare un arco con voltone, che collegava il nuovo prospetto del Palazzo Reale su contrada Larga con la facciata del Teatro alla Canobbiana, a sottolineare il legame tra i due fabbricati regi; l’opera è eseguita con alcune modifiche da Pietro Gilardoni (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47). Il vasto intervento è già compiutamente delineato in tutte le sue parti essenziali nell’unica pianta del 1808, accompagnata dall’elenco delle tredici case private da demolire e dal calcolo separato della porzione eseguibile per prima sull’area già di ragione demaniale della Canobbiana più quella delle prime tre case, giungendo fino a metà del nuovo maneggio. L’ingente spesa stimata per l’intero progetto è di 686.000 lire, Palazzo Reale, Milano, sezioni dei cortili del fabbricato delle scuderie, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 418. cui va aggiunta quella delle case da acquistare. Decretato l’avvio dell’opera nel gennaio 1809, Canonica sviluppa e precisa il progetto con sette disegni in pianta e alzato presentati nel maggio del 1809 (ASMi, Genio Civile, 3139); corrispondono all’elenco inviato, e sono quindi identificabili come pertinenti a questa serie, i sei disegni di presentazione AMMe, BC 279, 280, 281 (piante generali ai tre piani), BC 406 (prospetto su contrada della Canobbiana), BC 418 (due spaccati dell’interno dei cortili), e indirettamente BC 368 (facciata su contrada Larga, datata 1812 ma congruente con le piante citate). I due disegni di prospetto hanno in comune, sotto l’aspetto compositivo, la tripartizione con due ali minori ai lati e un risalto centrale, che nel fronte su contrada della Canobbiana coincide con l’edificio del maneggio, distinto con una cornice più elaborata e un partito di arcate cieche su paramento di finto bugnato. Questo modo di comporre permette di controllare la lunga estensione delle fronti, articolandola secondo principi di simmetria e gradazione, ed evita sul prospetto secondario un trattamento di troppo banale serialità. Di questo progetto, una parte fu individuata da Canonica come quella eseguibile nell’anno corrente a misura dei fondi stanziati, per un importo di 170.000 lire, comprendente metà del maneggio coperto e due scuderie contigue. I lavori hanno inizio nel giugno 1809; il disegno in pianta dell’armatura del tetto della Cavallerizza (BC-AMMe, BC 305) appartiene a questa fase che si protrae fino al 1810. La fabbrica proseguì poi per successive aggiunte di porzioni, secondo il progetto originario: nel luglio 1811 è approvato uno stanziamento di 60.000 per la continuazione del fabbricato delle scuderie, cui seguirono altre 100.000 lire nel 1812, per finire in rustico il corpo più alto su contrada Larga, corrispondente alla facciata monumentale (ASMi, Genio Civile, 3128). Un ulteriore lotto, per il proseguimento della fabbrica su contrada Larga e verso contrada delle Ore, è appaltato nel giugno 1813, e i lavori avanzano fino al novembre di quell’anno 49 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A (ASMi, Genio Civile, 3133 e 3152), quando sono interrotti per la caduta del regime. Nel 1814, mutato il governo, Canonica rassegna al maresciallo Bellegarde, luogotenente del viceré, una perizia per il completamento del fabbricato secondo il progetto superiormente adottato, allegando disegni e calcoli per le diverse porzioni costituenti il complesso. A questa fase possono essere riferiti i disegni BC-AMMe, BC 308 e 309, di mano di Tazzini, che attestano lo stato al quale era giunto il «Facciata della nuova fabbrica aggiunta al Palazzo Reale verso la contrada Larga in Milano», 1812, incisione; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 368. 50 quartiere delle scuderie. Erano stati realizzati l’intero lato su contrada della Canobbiana, con il maneggio e le scuderie contigue, e quasi tutto il lato su contrada Larga (pur con la facciata a rustico), mancando ancora quasi tutto il quarto lato del cor- tile principale e tutti i fabbricati a nord verso la nuova contrada, intorno al triangolare cortile secondario. Nel 1816 il governatore Saurau ordina di non fare per le fabbriche reali alcuna spesa, che non fosse strettamente necessaria per il loro Palazzo Reale, Milano, prospetto verso contrada della Canobbiana, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 406. AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE mantenimento. Sarà poi Tazzini, succeduto a Canonica nel ruolo di architetto degli Imperial Regi Fabbricati, a portare a termine, qualche anno più tardi, l’intervento apportando al progetto alcune modifiche. Nel 1824 egli disegna un nuovo fabbricato che occupava il sedime di contrada delle Ore, e in seguito, con la demolizione di vecchi corpi di fabbrica di servizio in fregio alla via, definisce un più ampio cortile intermedio tra il cortile d’onore e il cortile rustico di Canonica. Nel 1838 è completata finalmente la facciata su contrada Larga con una soluzione più semplice che sostituisce alle colonne piatte lesene, ed elimina poggioli e balaustre (Auletta Marrucci 2001, pp. 303-310). L’intero quartiere, dopo la devoluzione avvenuta nel 1919 del Palazzo, con altri complessi reali, al demanio dello Stato, viene abbattuto nel 1927 per costruire l’attuale palazzo degli Uffici comunali, ripristinando anche il vecchio tracciato della contrada delle Ore. Disegni Luigi Canonica, «Facciata della nuova fabbrica aggiunta al Palazzo Reale verso la contrada Larga in Milano», incisione, 1812; AMMe, Fondo Canonica, 1, D 21, BC 368. Luigi Canonica, «Primo piano dei mezzani», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 1, D 239. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno con progetto di ampliamento verso contrada Larga, 1808; BCAMMe, Fondo Canonica, 1, BC 277. Luigi Canonica, «Pianta del piano nobile del Palazzo Reale di Milano», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 278. Luigi Canonica, «Pianta generale A dimostrante il piano terreno del Palazzo Reale di Milano e del nuovo fabbricato delle scuderie, rimesse e maneggio annessi», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 279. Luigi Canonica, «Pianta generale dimostrante il piano nobile del Palazzo Reale di Milano e della nuova fabbrica annessa verso la Contrada Larga», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 280. Luigi Canonica, «Pianta generale C dimostrante il piano de’ mezzani del Palazzo Reale di Milano e luoghi annessi», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 281. Luigi Canonica, «Pianta della sala altre volte la Cavallerizza», [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 304. «Pianta dell’armatura del tetto della nuova Cavallerizza del Reale palazzo di Milano», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 305. Luigi Canonica, «Pianta dell’armatura del tetto della nuova Cavallerizza del Reale palazzo di Milano», 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 305. Luigi Canonica, «Pianta e spaccato della scuderia vicina alla Canobbiana per uso dei cavalli di sella della Real Corte», ante 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 306. Luigi Canonica, «Pianta e spaccato della scuderia vicina dei cavalli di sella di SAI il Vicere vicino alla Canobiana in Milano», ante 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 307r, 307v. [Luigi Canonica?], Sezione del piano stradale, 1812 ca; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 317. [Luigi Canonica?], Planimetria generale dell’isolato, 1808 ca; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 365. Luigi Canonica, Sezione trasversale della Sala delle Colonne, 1808; BCAMMe, Fondo Canonica, 1, BC 366. Luigi Canonica, Sezione dell’ala sul lato ovest del cortile d’onore, 1808; BCAMMe, Fondo Canonica, 1, BC 392. [Luigi Canonica?], Pianta parziale del secondo piano, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 395. Luigi Canonica, Pianta parziale del piano nobile, lato ovest del cortile d’onore, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 399. Luigi Canonica, Pianta del primo piano, 1805 ca; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 402. Luigi Canonica, Prospetto verso contrada della Canobbiana, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 406. Luigi Canonica, Sezioni dei cortili del fabbricato delle scuderie, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 418. Luigi Canonica, Prospetti verso via Larga, 1809; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 419. Luigi Canonica, Sezione longitudinale della Sala delle colonne, 1808; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 420. Luigi Canonica, Sezione longitudinale e trasversale della Sala della Lanterna, 1810; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 421. Luigi Canonica, Studio per la pianta e la sezione della Sala della Lanterna, 1810; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 199. Luigi Canonica e Giacomo Tazzini, «Palazzo Reale di Milano. Piano nobile in giro al cortile», post 1805; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 243. Luigi Canonica, «Palazzo Nazionale», pianta degli edifici annesi su contrada delle Ore, 1803 c.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8c, 254. Bibliografia Cassina, II, 1840-1844; Beretta 1848; Cantù, I, 1857-1861, p. 238; Illustrazione storico artistica dei Reali Palazzi di Milano, 1863; Mongeri 1872, p. 446; Pagani 1892, pp. 696697; Adami 1937, pp. 236-237; Mezzanotte 1966; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 65; Bascapè 1970, pp. 78-95; Scotti 1984, p. 85; Soldini 1987, p. 347; Patetta, Parisi 1995, pp. 130-132; Gallo 1996; Auletta Marrucci 2001; Colle, Mazzocca 2001; Colle 2001[a]; Ricci 2001; Pillepich 2004-2005; Ricci 2004-2005. (g.s.) Villa Reale, Stra 1807-1809 La Villa Reale di Stra trova origine intorno alla metà del XVII secolo, quando la famiglia Pisani, d’insigne nobiltà veneziana, commissionava l’ampliamento di un edificio cinquecentesco di sua proprietà. A questa nuova fabbrica si riferiscono Alvise Pisani, futuro doge di Venezia (1735), e i suoi fratelli, ricordando nel 1711, tra i beni di Stra, un «Palazzo con giardino di campi 16 che serve per comodo e nostro uso» (ASVe, Miscellanea Manoscritti, 51 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A 741; in Rallo 1995, p. 63). Intorno al 1718 Almorò e Alvise Pisani – quest’ultimo già ambasciatore dal 1699 al 1703 alla corte di Luigi XIV e avviato a brillante carriera istituzionale – mirando alla fastosità suggerita loro dalle coeve esperienze europee, soprattutto francesi, decisero di demolire l’edificio secentesco, di ristrutturare il parco e di costruire una nuova e grandiosa villa, commissionando i lavori al letterato, architetto e conservatore della biblioteca di Padova, conte Girolamo Frigimelica Roberti. Frigimelica progettò e realizzò dapprima il parco della futura dimora, che sarebbe poi stato ricordato come la migliore delle sue opere. Il giardino di Frigimelica, dal tracciato geometrico e ricco di punti focali e assi prospettici, era segnato da originali architetture, come il labirinto con la torretta belvedere, le scuderie, la cancellata, il Portale del Belvedere, le cedraie, la Coffee House; tutte opere ancora esistenti, immortalate nei disegni di Bartolomeo Gaetano Carboni, incisi e pubblicati da Pierre Nicolas Ransonnette nel 1792. Se il giardino riuscì a trovare il suo assetto definitivo prima della morte di Frigimelica nel 1732, così non fu per la grande reggia da lui progettata, che l’architetto lasciò invece irrealizzata. Dopo la sua morte e dopo avere acquistato alcune proprietà limitrofe estendendo così il loro fondo, come la Villa dei Codognola, Ca’ Graziani, e Ca’ Toffetti o “Pisanella”, i Pisani incaricarono Francesco Maria Preti di progettare e realizzare la nuova villa, la costruzione della quale terminò nel 1740. L’edificio realizzato da Preti, diverso da quello progettato da Frigimelica, è pressoché quello giunto sino a noi: l’impianto è rettangolare, connotato, al piano terreno, da un atrio centrale passante percorso da robuste colonne, affiancato da due cortili porticati, attorno ai quali erano distribuiti gli appartamenti e i locali di servizio. Per gli interni i Pisani pensarono a un programma di decorazione ricchissimo, in contrasto con gli esterni grandiosi ma sobri della villa. I dipinti, molti dei quali ancora si conservano, furono affidati ad artisti come Francesco Simonini e Jacopo Guarana e nel 1760 venne chiamato ad affrescare il grande salone da ballo Giambattista Tiepolo. Quando nel 1807, un anno dopo l’occupazione francese di Venezia, i discendenti dei Pisani, Alvise e Francesco, trovatisi in difficoltà economiche 52 Giuseppe Mezzani, «Pianta del Pianterreno del Real Palazzo di Stra», [1808]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 294. dovettero, con un atto dell’8 giugno, cedere la loro proprietà alla «Regia Intendenza Generale de’ Beni della Corona» (Bibliothèque Marmottan, Boulogne), la villa si trovava al massimo del suo splendore. A redigere la stima per la vendita furono chiamati Giannantonio Selva e Giovanni Antonio Antolini, quest’ultimo giunto in laguna nell’agosto 1806, «pel duplice oggetto del palazzo Pisani a Stra e per l’adattamento ed ammobiliamento del Reale Palazzo in Venezia» (lettera di Costabili ad Antolini, 16 agosto 1806, ASTi, Fondo diversi, 748). Ad Antolini, al suo collaboratore ed esecutore in loco, Giuseppe Mezzani, e al suo successore nei lavori per il Palazzo Reale veneziano, Giuseppe Maria Soli, si devono anche le trasformazioni di epoca napoleonica del parco e degli interni della Villa di Stra, ceduta, poco dopo l’acquisto, da Napoleone a Eugenio di Beauharnais che la ribattezzò Villa Eugenia. Le modifiche interne più rilevanti, risalenti al 1807-1808, riguardarono le due zone affacciate sul Brenta, all’estremità del palazzo, dove erano collocati una cappella e un locale adibito a rimessa per le carrozze, entrambi a doppia altezza. I locali furono trasformati con l’introduzione di un solaio tra il piano terreno e il piano nobile, in modo da accogliere gli appartamenti del viceré e di sua moglie Amalia di Baviera. La decorazione fu affidata a Giuseppe Borsato, Carlo Bevilacqua e Pietro Moro, autori, negli stessi anni, del programma decorativo di Palazzo Reale a Venezia. Al piano nobile, due dei quattro atri laterali affacciati sul ballatoio, già affrescati da Francesco Simonini, vennero tamponati e trasformati in due nuovi locali; uno di questi fu adibito a nuova cappella nella quale sarebbe stato in seguito trasportato l’elegante altare sansoviniano proveniente dalla demolita Chiesa di San Geminiano in piazza San Marco. A testimoniare l’inizio di questi lavori è un disegno firmato da Antolini, presumibilmente risalente ai primi mesi del 1807, rappresentante la «pianta del Piano terreno del Real palazzo di Stra», dove una «tinta rossa», che si incontra proprio nei locali della cappella e della rimessa «indica gli adattamenti progettati di nuovo», costituiti dall’inserimento di colonne e muri divisori, che dovevano sorreggere il nuovo solaio e suddividere i locali (ASTi, Disegni, 22, armadio 12). Altre modifiche negli interni furono apportate nel corso degli anni da Giu- seppe Mezzani, su indicazione prima di Antolini e poi di Soli. Va però sottolineato che tutti i lavori di ammodernamento della villa venivano progettati regolarmente dagli architetti dopo ogni visita del viceré, il quale durante i suoi frequenti soggiorni a Venezia e a Stra forniva le indicazioni su quanto desiderava fosse modificato o eseguito ex novo nella sua residenza. I suoi ordini, quando era possibile, venivano eseguiti prima della successiva venuta a Stra della famiglia reale. Le trasformazioni previste per la primavera 1808 sono contenute in un gruppo di piante relative ai piani terreno, nobile, degli ammezzati e del piano nobile superiore della villa, redatte da Mezzani (BC-AMMe, BC 294-297 e BC 403) e descritte in un rapporto inviato dall’ingegnere a Costabili il 9 aprile 1808. Si trattava in questo caso di lavori di manutenzione, ristrutturazione e abbellimento relativi alla necessità di costruire nuove stufe, camini, «Bagni e letti all’Inglese per gli appartamenti di SS.AA.II.», oppure di rifare alcune pavimentazioni e decorare alcuni locali (ASVe, Palazzi Reali, 16, lavori, 1807-1813). Su questo progetto e preventivo venne chiamato a fornire un parere Luigi Canonica, le cui prime AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE consulenze per Stra sembrano risalire proprio alla primavera del 1808. Egli, dopo avere esaminato le «carte e i disegni» di Mezzani, informava Costabili, con una lettera del 25 aprile 1808, nella quale affermava che il preventivo di spesa dell’ingegnere gli sembrava «esagerato» e proponeva alcune soluzioni per diminuire le spese, suggerendo, per esempio, di effettuare le rotture per introdurre i nuovi camini «dalla parte esteriore agli ambienti delle stanze, o nelle facciate del Fabbricato, evitando a tal guisa di produrre alcun guasto nelle dipinture ed ornati e la spesa de’ conseguenti restauri» (ASMi, Genio Civile, 3140). Dopo l’arrivo in laguna di Canonica, giunto a Venezia il 9 giugno del 1808 per occuparsi principalmente del progetto di adattamento delle Procuratie a Palazzo Reale (lettera di Costabili a Canonica, 4 giugno 1808; ibidem), le sue consulenze per la villa di Stra divennero più frequenti: l’11 giugno 1808 Costabili gli chiedeva di recarsi a Stra e di fornirgli un rapporto e un preventivo sui nuovi camini da realizzarsi nella villa, in quanto quelli proposti da Mezzani non lo convincevano. Domandava inoltre altri resoconti sull’«affare de’ parafulmini» per i quali era stata prevista una spesa altissima, sulle serre in costruzione e infine un ultimo parere su un «tendone padiglione» da realizzarsi davanti alla villa (ibidem). Un mese prima, il 7 maggio 1808, l’agente della Corona di Venezia, Zanetti, aveva inviato a Costabili i disegni e un preventivo datato 26 aprile 1808, per «un tendone di tela lunetta bleau da porsi nella facciata principale a mezzodì del Reale Palazzo di Stra nell’estate per riparo del sole, guarnito tutto all’intorno con frangioni bianchi [...] e fettucce bianche [...] elevato sopra il piano nobile e sostenuto di fronte sulla strada da otto colonne di legname ornate d’intaglio e suo architrave da inalzar e calar giù con otto arganetti» (Boulogne, Bibliothèque Marmottan). Canonica, il 24 giugno 1808, inviava a Costabili il rapporto richiesto, nel quale dapprima informava che Giovanni Francia, agente e custode della Villa Reale di Stra, lo aveva avvertito che i tetti necessitavano di riparazioni, poi di avere scoperto lui stesso «un cedimento» nel soffitto del «Salone superiore» e di avere indicato a Mezzani come ripararlo. Infine, riferendosi alle richieste dell’intendente elencate nella lettera dell’11 giugno, proponeva di ridurre le spese dei camini eliminandone alcuni, di diminuire anche il numero dei parafulmini e di realizzarli in modo più sicuro di quelli esistenti; dava poi il suo benestare per ciò che riguardava le serre, mentre per il tendone, giudicandolo troppo ingombrante e dispendioso, suggeriva di realizzarlo «nelle forme di quelle poste alla Villa Reale di Monza, le quali riuscirebbero più maneggevoli» (ASMi, Genio Civile, 3140). L’architetto ticinese, secondo gli ordini di Costabili, continuò a recarsi a Stra nel corso di tutta l’estate 1808 inviando regolarmente all’intendente rapporti. Di nuovo, il 20 agosto 1808, quest’ultimo chiedeva a Canonica di «portarsi immediatamente» a Stra «per combinare unitamente al signor Bertolazzi, aiutante del conservatore de’ mobili [Giovanni Casadoro], gli appartamenti per la real corte», la quale doveva «recarsi colà quanto prima» (ibidem). Il 2 settembre l’architetto rispondeva di avere fatto trasportare dal Palazzo Reale di Venezia alcuni mobili da collocare negli appartamenti reali di Stra e nei servizi, «lasciando però bastevolmente provvisto il palazzo medesimo». Aggiungeva inoltre di avere visitato le chiese di Venezia indicategli da Costabili, ma di avere trovato «in esse di adattabile ai palazzi reali» solo «le colonne della chiesa di San Giovanni Decollato e una parte di pavimento di Sansevero» (ibidem). I rapporti di Canonica per Stra sino ad ora ritrovati sembrano riferirsi per la maggior parte a lavori di trasformazioni interne, manutenzioni e ammobiliamento della villa. Non si può però dimenticare che le modifiche più importanti di epoca napoleonica riguardarono soprattutto il grande parco, avvenute soprattutto per opera di Antolini e Mezzani, sempre secondo le direttive di Beauharnais. Queste sono ben documentate da rapporti, lettere e preventivi conservati all’Archivio di Stato di Venezia (ASVe, Palazzi Reali) e all’Archivio di Villa Pisani a Stra (Rallo 1995; Rallo 2005). Con gli interventi napoleonici promossi da Beauharnais, avvenuti soprattutto tra il 1808 e il 1811, il parco mutò profondamente la sua immagine, seppure entro il percorso obbligato degli esistenti viali prospettici principali e delle sue architetture. Furono eliminate le prospettive secondarie, con le siepi e i carpini che le bordavano, fu realizzato un boschetto con sentieri serpeggianti all’inglese e ripiantati alberi «alla moda» su quasi tutti i viali. Dell’intervento napoleonico nel parco rimane un disegno di Mezzani (Archivio di Villa Pisani), inviato a Giovanni Francia con un rapporto dell’11 gennaio 1809 (ASVe, Palazzi Reali, 5; Rallo 2005, p. 222; il documento esiste in copia alla Bibliothèque Marmottan). Ma dai rapporti, risalenti al 1808, sui lavori in corso in quell’anno nel parco, inviati da Mezzani a Francia e Costabili, sappiamo dell’esistenza di almeno tre altri suoi disegni per il giardino, che, sino a oggi, non sono stati ritrovati (rapporti di Mezzani dell’8 ottobre, del 3, 12 e 25 novembre 1808, ASVe, Palazzi Reali, 16, lavori 1807-1813). Durante il governo asburgico furono apportate al parco numerose modifiche. Risale infine al 1909 la realizzazione della lunga vasca scavata tra la villa e le scuderie, con la quale si perse l’immagine del grande prato realizzato da Frigimelica e Preti. La villa, nel corso degli anni, subì altre, seppure non radicali, trasformazioni interne, in occasione dei numerosi cambiamenti di destinazione d’uso dell’edificio, che, da ospedale, allestito in occasione dei moti insurrezionali del 1849, divenne nel 1909 Istituto per le ricerche idrotecniche, nuovamente ospedale tra il 1915 e il 1920, quindi sede di diverse associazioni e, infine, ai giorni nostri, Museo Nazionale. Bibliografia Bassi 1987, pp. 232-265; Rallo 1995; Andrea Palladio e la Villa Veneta 2005; Rallo 2005. (a.p.) Luigi Canonica, Giuseppe Maria Soli Palazzo Reale, Venezia 1808 Il coinvolgimento di Luigi Canonica nella vicenda progettuale dell’adattamento delle Procuratie Nuove a Palazzo Reale ebbe inizio nel 1808, quando Gian Battista Costabili, intendente generale dei Beni della Corona, invitò l’architetto reale e l’ispettore dei Reali Palazzi di Modena, Giuseppe Maria Soli, a recarsi a Venezia entro il 9 giugno – giorno precedente l’arrivo in laguna del viceré Eugenio di Beauharnais – per verificare lo stato dei lavori nel palazzo e fornire «un dettagliato rapporto di quanto avrete congiuntamente [...] combinato dipendentemente dagli ordini, che vi darà S.A.I. medesima nonché il relativo preventivo della spesa, che potrà occorrere dietro il progetto che sarà stabilito» (lettera di Costabili a Canonica, 4 giugno 1808; ASMi, Genio Civile, 3140; Pfister 2003, p. 222). La storia della ristrutturazione delle Procuratie e del loro adattamento a Palazzo Reale – che rientra nel vasto programma di riassetto edilizio e urbano di Venezia promosso da Napoleone in seguito all’annessione della città all’appena costituito Regno d’Italia – aveva preso avvio nel 1806. Dopo l’iniziale idea di ricavare gli appartamenti reali all’interno di Palazzo Ducale, la residenza reale, a partire dal 1807, trovava sede nell’edificio delle Procuratie Nuove, del quale si prevedeva la sistemazione e il riadattamento. La decisione era stata resa ufficiale in occasione del decreto napoleonico dell’11 gennaio 1807, con il quale si annetteva la Fabbrica delle Procuratie ai Beni della Corona e si stanziavano 666.000 lire italiane per la ristrutturazione e l’ammobiliamento dei locali. A redigere i progetti per la nuova reggia era stato chiamato Giovanni Antonio Antolini, «ispettore de’ Reali Palazzi di Mantova e del Te», giunto in laguna nell’agosto del 1806 per rivestire il prestigioso incarico, su proposta di Costabili con l’approvazione di Beauharnais (lettera di Costabili ad Antolini, 16 agosto 1806; ASTi, Fondo diversi, 748). Con le prime proposte di Antolini per il palazzo, prendeva il via una lunghissima e frammentata storia progettuale, che, tra difficoltà, rallentamenti e un continuo alternarsi di stanziamenti e tagli economici, si sarebbe protratta per otto anni, sino a giungere, nel 1814, al suo epilogo: la demolizione di tutta l’ala minore delle Procuratie Vecchie e la realizzazione dell’attuale “ala napoleonica”. Sin dal suo arrivo in laguna, Antolini aveva incontrato l’ostilità degli ambienti culturali veneziani, dai quali la scelta per via burocratica di un architetto forestiero era stata interpretata come «un segno di immotivata sfiducia nei confronti della scuola veneziana» (Godoli 1977, p. 84). Ostilità che si era acuita pochi mesi dopo, quando Antolini, nel gennaio del 1807, secondo le direttive di Beauharnais, aveva redatto una proposta, l’unica tra i suoi progetti ad essere approvata, se si escludono alcune proposte relative a modifiche interne (AMMe, D 351, D 346). Egli prevedeva la demolizione della chiesa sansoviniana di San Geminiano, posta al centro dell’ala minore delle Procuratie, che doveva lasciare spazio a un grande loggiato aggettante sulla piazza, racchiudente un imponente scalone d’accesso al Palazzo Reale, la cui fronte riproduceva gli ordini dorico e 53 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A ionico delle Procuratie Nuove (Milano, collezione privata). Fu proprio con questo progetto, foriero di polemiche e controversie, che Antolini cominciò a divenire oggetto di feroci critiche da parte di alcune personalità degli ambienti culturali veneziani, critiche che vertevano non tanto sulla scelta di demolire San Geminiano (era risaputo a Venezia che l’idea fosse del viceré e non di Antolini, non si spiegherebbero altrimenti le tiepide reazioni o addirittura i consensi al provvedimento da parte dei detrattori del progetto antoliniano) quanto sul progetto dello scalone, accusato di fragilità e carenze formali (Godoli 1977, p. 90). Alla proposta fecero seguito alcuni progetti alternativi che contribuirono notevolmente a indebolire la figura di Antolini. Tra queste, la più incisiva fu quella attribuita al giudice veronese Gaetano Pinali (Venezia, Museo Correr), che fu presa in considerazione da Beauharnais al punto che alcune idee furono imposte nell’elaborazione dei progetti che seguirono. Se, da un lato, il progetto dello scalone era stato cagione di impopolarità per l’architetto di Castel Bolognese, dall’altro, vi aveva forse contribuito anche un atteggiamento progettuale troppo improntato alla cautela e rispettoso delle preesistenze che, evidentemente, non coincideva con i desideri della committenza. Questo emerge chiaramente dai progetti di Antolini a noi pervenuti. Il primo, del 1806, prevedeva la sistemazione dell’area verso il bacino di San Marco, dove si prospettava la creazione di un vasto giardino e, lungo il rio delle Beccarie, specularmente alla Zecca sansoviniana, l’edificazione di un corpo identico a quest’ultima (Venezia, Museo Correr). L’ultimo progetto ad oggi conosciuto, risalente al 1808, trasformava la pianta trapezoidale delle Procuratie in un rettangolo regolare e prevedeva la realizzazione di un’ala posta ortogonalmente all’edificio, con funzione di approdo dalla laguna (AMMe, D 350; una copia del progetto è custodita a Parigi, ANF, Cartes et Plans, NN* 27, 28). Entrambe queste proposte gravitavano attorno al bacino di San Marco e sottendevano «l’intangibilità dell’architettura della piazza» (Godoli 1977, p. 90). Impostazione che difficilmente poteva raccogliere i favori di una committenza che prospettava per Venezia un intervento importante, capace di connotare con nuovi significati politici e ideologici l’intera platea marciana. È proprio in seguito 54 al progetto di Antolini del 1808 che vennero chiamati a Venezia Giuseppe Maria Soli e Luigi Canonica ed è in seguito alle loro proposte che il ruolo dell’architetto di Castel Bolognese nella vicenda della reggia veneziana sembrò subire una svolta definitiva. Come testimonia un rapporto di Soli, inviato a Costabili il 30 giugno 1808 (ASMi, Genio Civile, 3140; Pfister 2003, p. 224), i due architetti cominciarono a lavorare ai progetti per il Palazzo subito dopo l’incontro con il viceré, nel giugno del 1808, redigendo tre proposte denominate “A”, “B” e “C”. Di queste, le prime due, diversamente dal progetto di Antolini, prospettavano per le Procuratie e tutta l’area marciana una serie d’interventi decisamente radicali. I progetti “A” e “B” contemplavano infatti sia la demolizione e il trasferimento in diversa località della grande Zecca sansoviniana, sia il prolungamento dell’edificio della Libreria ver- so il bacino con funzione di approdo, soluzione prevista simmetricamente per un nuovo corpo da edificarsi nell’estremità opposta delle Procuratie. Inoltre prospettavano di riproporre i portici delle Procuratie e della Libreria lungo tutta la parte dell’edificio antistante i giardini reali, aumentando così la larghezza dell’intera fabbrica nel mezzo della quale era previsto un passaggio che conduceva direttamente dalla piazza ai giardini reali retrostanti (AMMe, D 345, D 344, D 352, D 349). Il progetto “C”, di cui non vi è ad oggi testimonianza, secondo la descrizione di Soli prevedeva invece la creazione di un braccio attiguo alla Zecca e speculare a un altro corpo di fabbrica annesso all’edificio delle Procuratie (idea probabilmente desunta dal progetto di Pinali). Un interessante segno a matita tracciato su un progetto conservato presso l’Archivio del Moderno descrive un braccio adiacente alla fab- [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], Palazzo Reale, Venezia, pianta del piano terreno, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 345. brica sansoviniana, permettendo di ipotizzare che il foglio si riferisca proprio a un’idea preliminare alla proposta “C” summenzionata (AMMe, D 347). Va segnalato, infine, un ultimo progetto, conservato tra le carte di Mendrisio e attribuibile ai due architetti, che prevede una semplice modifica dell’edificio originario di cui viene ampliata la parte centrale, creando un corpo aggettante sui giardini reali, destinato all’appartamento dell’imperatrice (AMMe, D 348). I progetti “A” e “B” di Soli e Canonica, forse per la loro impostazione vicina ai desideri della committenza, seppure rimasti sulla carta (come del resto rimasero irrealizzati tutti i successivi progetti di ampliamento delle Procuratie), sembrano avere segnato una svolta nel ruolo di Antolini all’interno della vicenda di Palazzo Reale. Il suo progetto per le Procuratie datato 1808 sembra infatti essere stato l’ultimo da lui redatto. Del lavoro di An- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE tolini, compiuto dalla fine del 1806 sino al 1808, rimangono alcune trasformazioni negli interni delle Procuratie, ampiamente documentate nelle liste di spese e fatture di artigiani risalenti al 1807 e al 1808 (ASVe, Palazzi Reali, 3, lavori, 1807-1808). Tra le modifiche più rilevanti si riscontrano la realizzazione, nella seconda Procuratia, di una sala da pranzo ellittica e il rifacimento dell’appartamento della nona Procuratia, con la creazione di una grande stanza con alcova prospiciente la laguna. All’epoca, e già da qualche tempo, stava acquistando all’interno della vicenda un rilievo sempre maggiore il collaboratore ed esecutore in loco dell’architetto di Castel Bolognese, l’ingegnere e genero di Antolini, Giuseppe Mezzani, le mansioni del quale erano state inizialmente limitate alla messa a punto delle idee antoliniane per le Procuratie, come testimonia un nucleo di tre disegni risalenti probabil- mente al febbraio 1808 (AMMe, D 444, D 441, D 445). Nell’autunno del 1808 l’attenzione tornava a focalizzarsi sulla costruzione del grande scalone, del quale erano già state gettate le fondamenta nell’area della Chiesa di San Geminiano, ormai demolita. Da questo momento l’intera operazione fu affidata a Mezzani che fu incaricato dal viceré di preparare una serie di nuovi disegni contenenti alcune modifiche alla fabbrica. Dal loro esame emergono chiaramente le variazioni intervenute rispetto al precedente progetto di Antolini: lo scalone rimaneva inalterato nel suo aspetto esteriore, ma subiva notevoli modifiche per la presenza di un approdo coperto previsto nel canale di nuova creazione (idea anche questa già prospettata dal progetto di Pinali); alla rampa centrale si sostituivano due rampe laterali che affiancavano un passaggio tra piazza e approdo. Nel progetto era prevista [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], Palazzo Reale, Venezia, pianta del piano superiore, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 344. inoltre la soppressione di una campata delle Procuratie Nuove e l’allineamento dei due tronchi delle Procuratie Vecchie e Nuove (AMMe, D 443, D 442, D 440, D 446). Nell’autunno del 1808 Canonica era stato nuovamente contattato da Costabili per esaminare i rapporti e i preventivi di Mezzani «sulle opere di fabbrica per la costruzione de’ fondamenti del grande scalone ed annessi del R.le palazzo delle Procuratie in Venezia». Il 19 ottobre l’architetto informava Costabili della regolarità del «calcolo di valutazione delle singole fatture e somministrazioni» (ASMi, Genio Civile, 3130; Pfister 2003, p. 228). Il progetto di Mezzani per lo scalone, come si apprende da una descrizione fatta da Pinali il 15 luglio 1810 (Romanelli 1977, pp. 81-83) durante l’esecuzione dei lavori, può essere ricondotto molto probabilmente a quello infine messo in opera. Nel novembre del 1809, Mezzani, ac- cusato di irregolarità nella gestione del cantiere, veniva arrestato per essere condannato a un anno di reclusione (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 218), e nel gennaio del 1810, Giuseppe Maria Soli, già intervenuto nella vicenda due anni prima insieme a Canonica, veniva chiamato, con la qualifica di delegato speciale, per dirigere i lavori di Palazzo Reale. L’arrivo di Soli coincise con la destituzione ufficiale di Antolini dall’incarico. Alla fine dell’estate del 1810 veniva presa un’importante decisione: si sceglieva di demolire sia il grande scalone antoliniano, già in parte costruito, sia il braccio delle Procuratie Vecchie. Il motivo di tale scelta sembrò imputabile a un errore compiuto da Mezzani, il quale non aveva considerato la mancanza di assialità tra i due tratti delle Procuratie e il conseguente problema di sutura con lo scalone, errori in effetti riscontrabili nel progetto di Mezzani conservato a Mendrisio. Fu dunque affidato a Soli il compito di ricostruire un nuovo scalone e insieme tutta l’ala minore delle Procuratie, la cui demolizione era stata estesa anche al tratto di Procuratie Nuove. All’architetto modenese, affiancato nel corso dei lavori da Lorenzo Santi, si deve l’immagine dell’odierna “ala napoleonica”. Soli risolse la facciata dell’edificio verso piazza San Marco proseguendo, con una dichiarata volontà mimetica, i due ordini sansoviniani delle Procuratie Nuove; dietro, nell’area delle ex Procuratie Vecchie, collocò il nuovo scalone, realizzato a tre rampe come prospettato da Antolini, ma ruotato rispetto a quest’ultimo di 90°. Com’è stato messo in evidenza, l’idea del nuovo scalone era già stata in parte contemplata da Soli nei primi mesi del suo incarico. Un suo progetto risalente ai primi mesi del 1810 già prospettava la realizzazione del nuovo scalone ruotato di 90° e insieme – riprendendo i citati progetti “A”, “B” e “C” redatti con Canonica nel 1808, e che evidentemente dovevano avere convinto, almeno in parte, la committenza – prevedeva la creazione di due braccia ortogonali al corpo delle Procuratie Nuove, l’aumento della profondità dell’edificio, la riduzione dei cortili e un collegamento diretto tra piazza San Marco e i progettati Giardini Reali (Frank 2004-2005, p. 115, fig. 2). Sembra invece risalire alla fine dell’estate 1810 la proposta di Soli che preludeva a quella definitiva, dove si riscontrava l’abbandono delle due 55 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A la vicenda del trono napoleonico «amovibile con due sedie», commissionato a Canonica nei primi mesi del 1811, in previsione dell’arrivo a Milano dell’imperatore con il primogenito. L’11 marzo 1811 veniva incaricato di disegnare un altro trono «simile per inoltrare a Venezia» (lettere di Costabili a Canonica, 11 marzo 1811; ASMi, Genio Civile, 3127). Il 3 ottobre 1811 da Milano venivano inviate a Venezia «due poltrone con fusto dorato con Leoni alati simili, con cuscino coperto di veluto verde guarnito di piccolo gallone d’oro e di stelle d’argento ricamate» (ASVe, Palazzi Reali, 10; Pavanello 1978, p. 297). Nella stessa busta del fondo Palazzi Reali si trova il disegno di un trono a due sedie molto simile a quello realizzato da Canonica per Milano. Si può pertanto supporre che il disegno si riferisca al progetto per il trono veneziano (Pavanello 1978, p. 287). Giovanni A. Antolini, «Pianta del piano nobile, in addietro le Procuratie nuove, ora Palazzo Regio», [1807]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 351. ali sulla laguna, si delineava la facciata delle Procuratie Nuove verso il bacino di San Marco, si riconfermava la posizione del nuovo scalone e si descrivevano i prospetti verso la piazza e verso l’Ascensione (ibidem, pp. 117-119, figg. 5-8). È probabilmente riferito a questa proposta l’interessante rapporto inviato da Canonica a Costabili il 22 agosto 1810, in cui l’architetto da un lato esprimeva la sua approvazione «per la decorazione della facciata del Palazzo Reale verso la piazza di San Marco, e per la posizione, forma ed ornato del nuovo Scalone», dall’altro non rinunciava ad esternare alcune osservazioni sul suo desiderio che venisse diminuita «l’altezza assegnata all’attico in prospetto alla piazza per renderlo più proporzionato all’ordine sottoposto». Desiderio, che, aggiungeva, «è precisamente appoggiato alla pratica costante dei più insigni Maestri dell’Architettura ed in specie dall’immortale Palladio nelle citate fabbriche Porto e Barbarano di Vicenza in cui l’elevazione dell’attico non oltrepassa la terza parte dell’ordine che lo sostiene, ed è pur ovvio il riflettere che in una facciata a più ordini qualora l’altezza dell’attico si 56 avesse a regolare sulla totale elevazione della fabbrica, potrebbe agevolmente succedere che l’attico stesso superasse in altezza l’ordine su cui posa, né mi sembra in proposito adducibile il confronto applicato cogli archi di Trionfo ove trattasi di palazzo essendo sostanzialmente diversa la natura di tali edificj e conseguentemente i loro rapporti di proporzione» (lettera di Canonica a Costabili, 22 agosto 1810; ASMi, Genio Civile, 3131). Il problema della dimensione dell’attico, insieme ad altri elementi che non apparivano soddisfacenti nella configurazione sia esterna che interna del nuovo edificio, si rese evidente nel 1814, a fabbrica terminata, spingendo il nuovo governo austriaco a rivolgersi all’Accademia di Belle Arti, nella persona di Giannantonio Selva, allo scopo di avere suggerimenti per rimediare agli evidenti difetti. Selva propose allora alcune modifiche alla fabbrica fra cui quella che riguardava il mastodontico attico per il quale veniva proposto un arretramento. Nulla di quanto prospettato fu però realizzato (fatta eccezione per l’abbassamento del tetto) (Ricciotti Bratti 1930). Risalgono ancora al 1818 due rapporti indirizzati alla I.R. Giunta generale e inviati in copia a Canonica rispettivamente da Santi e Mezzani, i quali, dopo avere fornito un dettagliato rapporto su quanto era stato progettato e realizzato negli anni precedenti, esprimono nuovamente, tra le altre riflessioni, la necessità di ridurre le dimensioni dell’attico (AMMe, Fondo Canonica, XXVI, 411-412). Accanto all’attività di supervisore dei progetti per il Palazzo Reale di Venezia, Canonica, soprattutto tra il 1808 e il 1811, si occupò della progettazione di arredi e suppellettili, della fornitura di tendaggi e tappezzerie e di quanto era necessario al decoro della nuova reggia veneziana. Un cospicuo numero di carte conservate all’Archivio di Stato di Milano documenta i suoi numerosi lavori in questo campo (ASMi, Genio Civile, 3127, 3131, 3138, 3140, 3142). Oltre a inviare regolarmente da Milano rivestimenti per poltrone e a fornire tappezzerie, tendaggi e varie suppellettili, egli si occupò soprattutto di fare pervenire a Venezia campioni di mobili, spesso da lui progettati, destinati a essere realizzati in laguna. Ne costituisce esempio Disegni [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], «Progetto A Piano terreno», [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 345. [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], «Progetto A Piano superiore», [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 344. [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], «Progetto B Piano terreno», [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 352. [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], «Progetto B Piano Superiore», [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 349. [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], Pianta del piano nobile, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 347. [Giuseppe Maria Soli, Luigi Canonica], Pianta del piano nobile, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 6, D 348. Bibliografia Ricciotti Bratti 1930; Godoli 1977, pp. 81-101; Romanelli 1977; Pavanello 1978; Romanelli 1978; Colle, Mazzocca 2001; Pfister 2003; Frank 2004-2005, pp. 101-120. (a.p.) San Giovanni in Conca, Milano 1808-1811 Nel 1808 Canonica progettò una nuova «Cavallerizza» coperta nel sito della Chiesa di San Giovanni in Conca «la quale può riuscire di convenienti proporzioni, cioè alquanto più AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE larga e pressoché di lunghezza eguale alla preesistente nel Palazzo Reale». Per la sua realizzazione era indispensabile demolire la suddivisione tra navata maggiore e laterali e, di conseguenza, le volte della chiesa. A fianco della Cavallerizza si prevedeva anche una rimessa per le carrozze (ASMi, Genio Civile, 3140). Il rilievo schematico della chiesa, conservato nel Fondo Canonica di Mendrisio (BC-AMMe, BC 303), potrebbe esservi collegato. Sappiamo infatti (ASMi, Genio Civile, 3140) che, nel luglio del 1808, Felice Botta consegnava a Canonica i rilievi di San Giovanni in Conca e Santa Maria alla Rosa. Una seconda fase progettuale, tra il 1810 e il 1811 e che vide coinvolto Giacomo Tazzini, fu relativa alla sistemazione dell’antico complesso, appartenente ai Beni della Corona, per ospitare il deposito delle carrozze della corte reale. Canonica descriveva la chiesa nell’aprile del 1810 come completamente spogliata da altari, colonne e cantorie e riteneva necessarie alcune opere quali «il ricorrimento dei tetti, levare la comunicazione tra la chiesa e la sagrestia, rimettere n° 270 vetri comuni, alzare il pavimento alla porta di ingresso, levare i gradini in quattro cappelle per formare il piano e trasportare diversi marmi sotto il presbiterio» (ASMi, Genio Civile, 3127). Tuttavia un decreto di Napoleone datato 27 giugno 1811 dichiarava che «il locale di San Giovanni in Conca in Milano non sarà computato nei venti milioni assegnati alla dotazione della Corona d’Italia». Nel 1813, all’architetto venne richiesto il mausoleo di Bernabò Visconti per il costituendo Museo di «antichità» (ASMi, Genio Civile, 3133). Disegni [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, rilievo, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 303. (f.r.) Camera di Commercio, Milano 1809 Il fondo Ornato Fabbriche conserva un progetto firmato da Canonica relativo ai lavori di adattamento dei locali della «Ferrata» nell’allora piazza dei Tribunali (piazza dei Mercanti), acquistati dalla Camera di Commercio e precedentemente adibiti a pubblici «incanti». Egli suggeriva la tamponatura del precedente portico realizzato con colonne trabeate; il progetto venne approvato nella seduta del 30 marzo 1809 dalla Commissione d’Ornato. Disegni Luigi Canonica, Pianta parziale del locale e prospetto, 1809; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 25, 568. (f.r.) [Luigi Canonica?], Paggeria Reale, Milano, prospetto, [1812]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 367. San Paolo Converso, Milano 1810 Il Fondo Canonica di Mendrisio conserva un rilievo del piano terreno della chiesa e del monastero di San Paolo Converso a Milano (AMMe, D 343), confrontabile con il più dettagliato disegno datato 25 febbraio 1810 (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2465) ed eseguito pochi mesi prima della soppressione (25 aprile 1810) e della successiva alienazione e vendita a Baldassare De Simoni, Carlo Bianchi e Giovanni, Domenico, Francesco e Giuseppe Falciola (4 ottobre 1811). Disegni [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, rilievo, [1810]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 343. (f.r.) Paggeria Reale, Milano 1810-1813 Durante il Regno d’Italia i titoli nobiliari, nonché il maggiorasco, furono regolati con il Settimo Statuto costituzionale, promulgato il 21 settembre 1808. Con l’istituzione del Consiglio di Stato fu recuperato un ruolo anche ai figli della nobiltà decaduta: questi ultimi furono inseriti tra gli assistenti sul modello di quanto era avvenuto per gli uditori del Consiglio di Stato francese. Per giungere all’Assistentato si passava dalla Casa dei Paggi, istituita con decreto imperiale del 2 agosto 1804, quindi al Collegio nazionale ed infine all’Assessorato. I paggi, di cui potevano far parte anche i figli di notabili borghesi o «giovani meritori di onesta famiglia», vivevano a corte; il loro compito era lo studio e l’apprendimento delle «buone maniere di corte» e delle arti marziali; i migliori studenti venivano presentati dal gran scudiere al viceré per proseguire gli studi alla «Real Paggeria». La presenza stabile della Corte a Milano e a Monza determinò l’istituzione di una «Paggeria Reale» per la quale si studiarono alcune ipotesi di fattibilità nei locali della Canonica degli Ordinari (1806), in Palazzo Castelbarco (1808), presso San Giovanni in Conca (1808), in Palazzo Borromeo di via Rugabella (1808) e infine in Palazzo Crivelli (1810). Il nuovo regolamento del Collegio dei Paggi prevedeva una formazione della durata complessiva di cinque anni, per circa 18 allievi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, suddivisi in due classi. Oltre alle materie quali la matematica, il disegno militare, la storia e la geografia, la lingua italiana, gli allievi si esercitavano anche nelle diverse arti e nelle lingue straniere (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 205). Canonica, durante il suo soggiorno parigino nel 1810, fu invitato a visitare la Paggeria Imperiale a St. Cloud per comprendere un’istituzione inedita nell’ambiente milanese. Così, infatti, scrive: «Sua altezza imperiale, il principe viceré si degnò di indicarmi tra i locali da visitare quello della Paggeria imperiale affinché rilevassi ciò che per avventura potesse servirmi di qualche norma per lo stabilimento in Milano» (ASMi, Genio Civile, 3131). Egli descrive, nel luglio del 1810, la Paggeria parigina a Costabili come organizzata al piano terra con un refettorio, due sale per le scuole, una sala per gli esercizi da ballo, di scherma e simili, e una cappella. Al piano superiore vi erano due dormitori con camerini a «foggia di alcove». Dietro al fabbricato si trovava un giardino a «Gazon» e sul davanti un cortile con viale alberato dove si svolgeva l’«esercizio del disco», mentre per «l’esercizio di cavalleria» era utilizzato il vicino maneggio del palazzo imperiale (ibidem). È da notare che gli abiti dei paggi parigini furono disegnati da David. In realtà il progetto per la fu- 57 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A tura sede della Paggeria Reale milanese fu affidato a Pietro Gilardoni. Canonica vi rilevava però una serie di difetti, in modo particolare la costruzione di piani ammezzati per i dormitori e la disposizione, al primo piano, delle aule per la scuola e della cappella. Egli affermava che non era sufficiente l’innalzamento di un piano del fabbricato nobile, riteneva eccessiva la spesa per la riedificazione dei due casini (previsti sia a un piano che due) e non sufficientemente verificata la struttura esistente per il progettato sopralzo. Sulla base di queste osservazioni, Canonica elaborava un altro progetto di adattamento di Palazzo Crivelli (18 luglio 1810), studiando la disposizione in modo da «combinarlo in maniera di provvedere sufficientemente ai bisogni, usi e comodi dello stabilimento e nello stesso tempo di stare in un limite di spesa possibilmente ristretto» (ASMi, Genio Civile, 3131). Nel fabbricato principale al piano terra collocava le aule per le scuole e il refettorio verso il giardino, alzando la quota dei pavimenti e riformando le aperture. Nel braccio destro del cortile organizzava le cucine e i luoghi annessi di servizio, mentre nell’area dei casini progettava un nuovo edificio a due piani con entresols sopra il piano terreno nei quali prevedeva di collocare il guardaroba, le camere di servizio e le abitazioni del governatore e dei sottogovernatori. I dormitori, previsti per ospitare venti paggi, erano sostituiti da camerini separati al primo piano, cui si aggiungevano nuovi camerini per la guardia e, nei mezzanini superiori, altre camere per gli inservienti. Canonica affermava di aver indicato nella pianta allegata, ma finora non rintracciata, la possibilità di costruire un maneggio coperto nel giardino di Santa Marta. Il 4 aprile 1812 l’intendente generale ai Beni della Corona gli comunicava l’approvazione del progetto che prevedeva di «incorporare ai due reali stabilimenti della Paggeria e dell’infermeria de’ cavalli delle reali scuderie la porzione del residuo locale di Santa Marta ed orto per diversi usi etc. mediante la permuta da farsi con demanio dello Stato coi locali della Rosa e di San Vincenzino [e Santa Maria della Pace] spettanti alla Corona» (ASMi, Genio Civile, 3151; Fondi Camerali, p.m., 34). I lavori si protrassero sino al 1813 quando Canonica predispose il disegno e i relativi capitolati per il portale d’ingresso. Nuovi lavori di manutenzione sono documentati nel 58 1816 (ASMi, Genio Civile, 3136). Una tavola di progetto (già esposta nel 1945 e nel 1959 a Villa Olmo di Como) è oggi conservata a Mendrisio nel Fondo Canonica. Disegni [Luigi Canonica?], «Prospetto della Casa dei Signori Paggi Reali», [1812]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 1, BC 367. Bibliografia L’età neoclassica in Lombardia 1959, p. 79. (f.r.) Luigi Canonica, Luigi Cagnola Restauro delle Colonne di San Lorenzo, Milano 1811 Il 10 marzo 1810 il ministro dell’Interno scriveva a Eugenio di Beauharnais informandolo di aver inviato alla Commissione d’Ornato l’ordine per il restauro delle sedici colonne di San Lorenzo (ASMi, Studi, p.m., 176). Un piano di lavori per il consolidamento delle colonne era stato compilato da Luigi Cagnola e Luigi Canonica per un importo di 12.000 lire e prevedeva il restauro delle basi con l’impiego di «diversi tiranti e cerchi di ferro [...] più si dovrà rifare il zoccolo sopra cui posano le colonne suddette». Bibliografia Kannès 1980[b], pp. 262-263. (f.r.) Palazzo Clerici, Milano 1812 Il 23 ottobre del 1812 il palazzo venne ceduto dagli eredi Clerici al Ministero del Tesoro. In tale occasione Canonica fu incaricato della descrizione dell’edificio e del rilievo (affidato a Gilardoni), con particolare attenzione alle servitù, come ricorda in una lettera del 18 gennaio 1817, indirizzata all’amministratore delle fabbriche erariali (ASMi, Genio Civile, 3136-3137). (f.r.) Palazzo Bargnani, Brescia 1812-1814 La vicenda edilizia del palazzo, legata ad alcune delle più insigni famiglie della nobiltà bresciana, prese avvio nel 1671 per volere di Gaspare Giacinto Martinengo Colleoni di Pianezza, fu continuata dal figlio, Pietro Emanuele, nel primo Settecento, e fu quasi portata a termine dai fratelli Bargnani, che divennero proprietari dell’immobile dal 1764. L’edificio era sorto con impianto planimetrico a U nella quadra di San Giovanni, in un tessuto edilizio fitto e frammentato in piccole proprietà, in seguito all’acquisizione e all’accorpamento di più modesti immobili preesistenti e alla parziale modifica dei percorsi viari minori interni all’isolato. La fabbrica si sarebbe affacciata sulla strada con un nuovo prospetto rettilineo e monumentale, definito ai lati nord e sud da due nuovi sbocchi privati derivati dal «tresandello», un vicolo che delimitava il suo sviluppo sul retro del lotto. Dal 1672 intervenne nel cantiere l’intelvese Giovan Battista Groppi, che delineò l’impianto del palazzo, ancora oggi leggibile, ad eccezione dell’ala settentrionale, completata nel primo Settecento, e della facciata, riconfigurata nella parte centrale e nell’atrio di ingresso forse con l’intervento di Filippo Juvarra, che ebbe documentata familiarità con Pietro Emanuele Martinengo Colleoni di Pianezza e che nel 1729 si trovava a Brescia per un consulto sul Duomo Nuovo. L’ala settentrionale del palazzo non era ancora terminata nel 1751; la sua globale definizione avvenne presumibilmente entro il 1763, anche se nel 1764, stando all’atto di vendita dai Martinengo ai Bargnani, risultava incompiuta la parte «a monte del salone». Se le fasi edilizie del palazzo sono state ampiamente analizzate, soprattutto grazie alla puntuale esplorazione del Fondo Martinengo, conservato nell’Archivio di Stato di Brescia (Palazzo Martinengo Colleoni 2003), ancora oscure sono le vicende dell’immobile successive al suo passaggio dai Bargnani alla Corona napoleonica, che lo acquistò in previsione di stabilirvi la sede di una dimora reale. Il palazzo nel 1764 era stato acquistato da Gaetano e Gelfino Bargnani ed era poi passato in linea ereditaria a Cesare e ai fratelli Giovanni Francesco e Luigi, che mantennero la proprietà fino al 1813. Cesare Bargnani ricoprì a Brescia un ruolo politico e sociale rilevante: fu membro provvisorio della Repubblica bresciana nel 1797, fu insignito di varie cariche nella Cisalpina, divenne consigliere di Stato del Regno Italico e, nel 1809, fu nominato da Napoleone direttore generale delle Do- gane del Regno (Guerrini, 1984, I, pp. 8-10); gravato dai debiti, vendette alla Corona il palazzo di famiglia e tre case unite, tutti ipotecati. Il contratto fu siglato, in seguito al decreto imperiale del 19 marzo 1813, a Brescia il 5 aprile 1813 e a Milano il successivo 14 giugno, per una cifra di cinquecentomila franchi. L’edificio prese subito «denominazione di Palazzo della Corona». Il godimento dell’immobile da parte della Corona fu fissato a partire dal novembre 1813 e nel dicembre dello stesso anno Cesare Bargnani chiese di eseguire il trasporto dell’intestazione d’estimo del palazzo e delle case unite alla Corona. Secondo quanto indicano i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Milano, su cui si tornerà più avanti, l’Intendenza generale dei Beni della Corona tentò più volte di dare inizio ai lavori di rifacimento, ma questi, ancora nel settembre 1814, non erano avviati: nel 1815 il palazzo, mai abitato da Napoleone, passò al Demanio austriaco e i progetti del suo adattamento a Palazzo Reale furono definitivamente accantonati. Nel 1819 vi furono inserite le scuole ginnasiali e liceali; nel 1864 il palazzo fu ceduto dal Governo italiano al Comune di Brescia e nel 1925 passò alla Provincia, sempre ospitando, da allora, istituti scolastici. Per progettare l’adattamento del Palazzo Bargnani a dimora napoleonica fu chiamato Luigi Canonica, che nel 1812 ricopriva la carica di architetto reale. Il gruppo omogeneo di sei disegni conservato nel Fondo Canonica (BC-AMMe, BC 240) costituisce il rilievo del Palazzo Bargnani eseguito dall’architetto in vista dell’acquisizione dell’edificio da parte della Corona per stabilire gli eventuali lavori di adeguamento e stimare i costi dell’intervento. Il rilievo fu compiuto da Canonica con una visita a Brescia il 13 e 14 maggio 1812, visita di cui rimane testimonianza nella corrispondenza dell’architetto con l’intendente generale ai Beni della Corona, Corbetta, conservata nell’Archivio di Stato di Milano. Nella lettera del 29 maggio 1812 (ASMi, Genio Civile, 3133) Canonica illustrava lo stato dell’edificio, affermando di averne eseguito i rilievi, che corrispondono ai fogli del Fondo Canonica, e di aver formulato una proposta per il riassetto delle sue parti di servizio e per un nuovo collegamento delle due ali; proposte puntualmente riscontrabili in un progetto che accompagna i ri- AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE lievi (BC-AMMe, BC 241). Le osservazioni sullo stato degli ambienti del palazzo riportate nella missiva di Canonica sono in parte registrate anche sui rilievi, in forma di commento in calce. L’architetto, pur con qualche riserva, approvava nel complesso l’impiego del fabbricato come residenza reale, essendo «di struttura solida ed ornato cogli stipiti in pietra scolpita alle Porte e Finestre, e sebbene la di lui architettura non sia del miglior stile, ciò non pertanto presenta una decorazione di carattere piuttosto grandioso». La numerazione degli ambienti riportata nei rilievi doveva probabilmente corrispondere a un elenco, forse con la destinazione funzionale o lo stato di fatto dei singoli vani, ma di esso, ad oggi, non rimane traccia. Nella relazione che accompagnava i rilievi Canonica valutò, piano per piano, se il palazzo potesse soddisfare la nuova destinazione senza troppe modifiche e se, e dove, si potessero inserire nuove funzioni. I sotterranei, che ospitavano le cucine e altri ambienti di servizio erano giudicate di «sufficiente capacità»; il piano terreno nell’ala destra conteneva due appartamenti «in uno stato abbastanza decente» che avrebbero potuto ospitare gli alloggi degli ufficiali della Corona, mentre nell’ala sinistra i locali potevano essere destinati a uffici e ad alloggi di personale subalterno. Il piano terreno non comprendeva però al suo interno le scuderie, le rimesse e i rustici, che erano collocati in edifici detti genericamente «case», già di proprietà Bargnani, poste, come tradizionalmente avveniva nell’edilizia residenziale bresciana, sul «tresandello» che chiudeva posteriormente il lotto su cui insisteva la residenza. Canonica, sottolineando il cattivo stato di conservazione di tali annessi, che avrebbe determinato comunque la loro demolizione, propose un nuovo progetto, rilevabile nel foglio BC 241: egli ampliava e razionalizzava i locali e le funzioni dei servizi intorno a due nuove corti e introduceva, in corrispondenza con l’esistente muro di cinta della corte del palazzo verso il «tresandello», un nuovo corpo di fabbrica che avrebbe collegato sia le ali del palazzo sia il palazzo con i rustici. L’ammezzato tra piano terreno e piano nobile, così come quello tra il piano nobile e il secondo piano, era considerato adatto a contenere il personale di servizio. Più problematico si presentava inve- «Metà della Facciata di Casa Bargnani di Brescia», [1812 o 1814]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 242. ce il piano nobile, che ospitava un «appartamento di rappresentanza verso la facciata e due appartamenti nei lati del Cortile». Se il salone centrale sembrava decoroso e i vani dell’ala sinistra erano «in istato decente sebbene di gusto antiquato», l’appartamento nell’ala destra esibiva le due sale e i gabinetti privi di pavimenti, di serramenti e di decorazioni a volte e pareti; inoltre, in tutti i vani avrebbero dovuto essere sostituiti i serramenti di porte e finestre, mentre negli ambienti destinati a ospitare l’imperatore si sarebbero dovute rifare tutte le decorazioni. Canonica trovava inoltre inadeguata l’assenza di un collegamento diretto tra le ali del palazzo, dato l’impianto planimetrico a U che imponeva l’attraversamento delle anticamere del corpo di rappresentanza verso strada e lo scalone d’onore. Per risolvere tale problema distributivo, ideò un cor- po di fabbrica trasversale sul confine posteriore dell’edificio, cui si è accennato poc’anzi, con galleria collocata sopra un portico che avrebbe dovuto forse ricollegarsi formalmente a quello d’ingresso e che avrebbe dovuto collegare il palazzo con i rustici affacciati sul vicolo posteriore. Il secondo piano era ancora più problematico, essendo solo l’ala sinistra ritenuta adatta a ospitare il seguito di Corte, pur rinnovandone decorazioni e serramenti; l’ala destra si presentava invece ancora al rustico, priva di volte, serramenti, pavimenti, intonaci. Canonica giudicò lo stato dell’edificio abbastanza buono nel complesso, reputandolo solido e decoroso nei prospetti (realizzando per altro un rilievo parziale della facciata principale, delineato nel foglio BC 242), ma osservava che sarebbe stata necessaria una spesa rilevante per il rifacimento di tutti i serramenti, decorazioni, pavimenti e per la ricostruzione dei rustici, sottolineando inoltre la mancanza di giardini e la modestia del tessuto urbano in cui l’edificio era inserito; l’architetto pertanto suggeriva di contenere l’esborso per il suo acquisto. I rilievi e la relazione di Canonica si rivelano dunque preziosissimi per comprendere quali funzioni e caratteri distributivi si ritenesse indispensabile inserire in un edificio affinché fosse considerato adatto ad ospitare una dimora reale. Considerando le indicazioni progettuali, il piano nobile della dimora bresciana sembrava facilmente prestarsi ad accogliere la triplice distinzione distributiva che Napoleone aveva voluto per le Tuileries a Parigi e riproposto anche nel Grand Trianon a Compiègne e nel Palazzo Reale di Milano, con appartamento di rappresentan- 59 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A «Palazzo R. di Brescia alias Bargnani», pianta, 1812; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 241. za, d’onore e ordinario (Pillepich 2004-2005). Rilievi e relazione mettono anche in luce come, per conferire il decoro adeguato a una dimora imperiale, si ritenesse fondamentale predisporre un’immagine complessiva consona ai nuovi orientamenti del gusto, ammodernando apparati decorativi e arredi fissi che, nel Palazzo Bargnani, seguivano forme squisitamente tardobarocche. I documenti aiutano infine a precisare lo stato di fatto della fabbrica, ad oggi ignoto, al termine della proprietà Bargnani, indicando le cospicue e numerose parti ancora incomplete nel primo Ottocento. Nel 60 1814 l’Intendenza dei Beni della Corona, probabilmente con l’intenzione di far iniziare i lavori, sollecitava a Canonica una copia dei disegni forniti nel 1812, unitamente a un rilievo della facciata del palazzo, grafici che l’architetto forniva sollecitamente (23 settembre 1814; ASMi, Genio Civile, 3134). Rimane incerto se i disegni conservati nel Fondo Canonica siano i rilievi originali del 1812 o le copie fornite due anni dopo alla Corona. Disegni Luigi Canonica, Piante dei «Sotterranei», «Piano Terreno», «Piano dei Mezzani tra il piano Terreno ed il Nobile», «Piano Nobile», «Piano de’ Mezzani tra il Nobile ed il Superiore», «Piano Superiore», rilievi [1812 o 1814]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 240. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno (rilievo) con progetto di sistemazione dei rustici annessi al retro dell’edificio e di collegamento delle ali del palazzo, 1812; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 241. Luigi Canonica, «Metà della Facciata di Casa Bargnani di Brescia», rilievo [1812 o 1814]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 242. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 295; Parisi 1995, pp. 59-60; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 15; Palazzo Martinengo Colleoni 2003, pp. 5-20; Ceccarelli 2004-2005, p. 145; Pillepich 2004-2005, p. 52. (i.g.) Loggia degli Osii, Milano post 1816 Il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio conserva un disegno autografo del prospetto della Loggia degli Osii in piazza dei AR C H ITETTO NAZ I O NALE E R EALE Mercanti, con annessa una lunga descrizione delle vicende architettoniche dell’edificio, tratte dalla Storia di Milano di Giulini. Disegni Luigi Canonica, Prospetto principale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 196. Bibliografia Patetta, Parisi 1995, p. 119. (f.r.) Tribunale e Carceri, Lodi 1818 In base al compartimento territoriale delle provincie lombarde nel Regno Lombardo Veneto (notificazione 12 febbraio 1816), Lodi fu designata come capoluogo del distretto I della provincia di Lodi e Crema. Fin dai primi anni del XIX secolo, il carcere, allora funzionante e inserito nel complesso del Broletto, fu considerato inadeguato per localizzazione e spazi. Fu dunque caldeggiata l’ipotesi della costruzione di un nuovo penitenziario. I carteggi conservati presso il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, tutti datati o databili al 1818, attestano gli interventi a firma dell’ingegnere aggiunto Borsa, facente funzione d’ingegnere capo, «da eseguirsi nel locale delle carceri criminali della regia città di Lodi, per operazioni occorrenti […] in causa della rottura praticata dai detenuti», di altri generici «adattamenti del locale ad uso di carceri e tribunale» (AMMe, Fondo Canonica, XXVII, 413), nonché di un «piano combinato sul luogo in concorso del signor architetto Gilardoni e del perito» della locale delegazione. Non è documentato alcun intervento diretto di Luigi Canonica né il rilievo dell’edificio, affidato al capomastro Paolo Pastore (ibidem, 421), se non forse, implicitamente, un pronunciamento sul progetto in discussione in virtù della sua qualifica di intendente delle Fabbriche reali. Solo nel 1907 lo Stato si farà carico dell’edificazione del nuovo carcere, attivato nel 1912; tra la fine del 1927 e i primi mesi del 1928 sarà infine abbattuto l’isolato del Broletto per costruire la piazza del mercato, il palazzo dei civici pompieri e il palazzo delle poste. (p.b.) Pretura e Carceri, Morbegno (Sondrio) 1818 L’ordinamento del 1818 prevedeva nella provincia di Valtellina (coerentemente con il compartimento territoriale delle provincie lombarde nel Regno Lombardo Veneto del febbraio 1816 e le successive modifiche di quello stesso anno) un Tribunale di prima istanza e una Pretura urbana in Sondrio (per l’omonimo distretto I e per il II, di Ponte) e alcune Preture foresi: di terza classe a Tirano (distretto III) e a Morbegno (distretto IV di Morbegno e V di Traona); di quarta classe a Bormio (distretto VI) e a Chiavenna (distretto VII di Chiavenna). In vista di un generale riadattamento dell’edificio della Pretura di Morbegno – in cui avevano sede anche il protocollo, l’archivio, l’ufficio delle tasse e l’ufficio postale («la Spedizione»), oltre all’abitazione del pretore e le carceri – nell’agosto del 1818 il pretore di Morbegno, Calori, trasmise una dettagliata relazione preliminare a Luigi Canonica, del quale attendeva a breve un’ispezione (AMMe, Fondo Canonica, XXVIII, 424). L’edificio è da identificarsi con la sede dell’attuale tribunale di Morbegno in via Pretorio, restaurato negli anni 1983-1984. (p.b.) sollecitudine» e la predisposizione dei computi necessari alla valutazione del caso, evidenziando che nel frattempo si era presentata anche la possibilità dell’adattamento a tribunale, previo acquisto, del palazzo cittadino di Gaspare Casati, già dichiaratosi disponibile alla cessione (AMMe, Fondo Canonica, XXVIII, 423). Di fatto, come ebbe modo di verificare Antonio Giussani in occasione dell’intervento di restauro e ampliamento avviato nel 1915, l’edificio presentava ancora le forme riportate sulla «mappa del Caseggiato del Borgo di Sondrio con tutte le rispettive contrade esistenti in esso Comune, rilevata nel 1784 da Ambrogio Chiesa Milesi, geometra collegiato di Milano, e di cui negli uffici comunali si conserva una copia eseguita il 31 agosto 1858 dall’assistente stradale Giuseppe Mornico», eccezion fatta per la parte abbattuta «nel periodo corso dal 1816 al 1825 [ma ragionevolmente dopo il 1818], per l’allargamento dell’attuale corso Garibaldi, allorquando, ultimato il primo tronco della strada nazionale ColicoSondrio, si diede mano al secondo, che conduce al valico dello Stelvio». Bibliografia Parisi 1995, p. 62. (p.b.) Tribunale, abitazione del presidente del Tribunale e Carceri, Sondrio 1818 L’ordinamento del 1818 prevedeva nella provincia di Valtellina un Tribunale di prima istanza e una Pretura urbana in Sondrio. Al fine d’individuare quale dovesse essere la soluzione ottimale per l’adeguamento del Tribunale di Sondrio con annessa abitazione del presidente, dei custodi e dei secondini (se cioè una riedificazione integrale o un semplice adattamento o un ampliamento dell’esistente edificio, già palazzo dei governatori grigionesi), l’apposita «Commissione mista delegata alla visita dei locali giudiziari», previo sopralluogo, sottopose all’Imperial Regia Direzione del Demanio tre distinti progetti, oggi conservati all’Archivio di Stato di Bellinzona (ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 11). La stessa direzione richiese all’«architetto cavaliere Canonica» un parere in merito «colla maggior possibile 61 Milano, Pianta dei rettifili, 23 novembre 1807; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. Milano napoleonica. Luigi Canonica e la città Francesco Repishti È ormai ben noto che nel periodo compreso tra la Repubblica Cisalpina e quella Italiana, feste e celebrazioni diventarono, nell’ottica repubblicana, strumenti comunicativi di notevole portata – in verità senza vere e proprie intenzionalità nella scelta di forme e linguaggi – ed esse costituirono le occasioni, anche con complessi apparati effimeri, per la rappresentazione dei nuovi personaggi politici e per la trasfigurazione dell’immagine urbana. A testimonianza della loro importanza, queste stesse feste furono i soggetti più raffigurati dagli artisti proprio al fine della pubblicizzazione dei nuovi ideali e dei nuovi gruppi di potere, contrariamente a quanto avvenne per altri eventi storici o per le rappresentazioni urbane.1 A Milano, gli apparati effimeri rappresentarono dunque il maggiore contributo richiesto ad alcuni architetti come Piermarini, Antolini, Bargigli, Canonica e Cagnola. Inizialmente ideati per celebrare le vittorie secondo le originarie valenze simboliche, in un ideale salto temporale con l’antichità, essi si trasformarono in omaggi alle vicende personali o della famiglia reale e imperiale senza che avvenisse un cambiamento della tipologia adottata, riproponendo così piramidi, colonne e archi trionfali: gli esempi di monumenti degli antichi elencati da Milizia. La scelta dell’arco di trionfo fu, ad esempio, reiterata con una certa monotonia almeno otto volte, se vogliamo considerare anche le architetture poi trasformate in definitive; Canonica partecipò a quelli di Porta Riconoscenza (1797), di Porta Marengo (1801-1802), di Porta Ticinese (1805), di Porta Vercellina (1805) e di Porta Romana (1807) attingendo soprattutto al repertorio dei modelli più conosciuti. Un accanimento che andò forse oltre l’idea dell’azione quale legittimazione del potere propria del mondo antico e di quello rivoluzionario, e che si ricollegò di più alla lunga tradizione di come i milanesi nei secoli precedenti avevano accolto duchi e futuri consorti, imperatori e principi, regine e cardinali, che non alla distinzione, riferita da Milizia e da Blondel, sugli archi di trionfo e condivisa dallo stesso Napoleone, tra i monumenti eretti per l’utilità pubblica e quelli eretti per magnificenza.2 A questa iniziale rassegna vanno poi aggiunte la cerimonia dell’incoronazione del maggio 1805 e la relativa moltiplicazione di eventi effimeri indirizzati a un’occupazione simbolica della città: gli apparati in Duomo e a Sant’Ambrogio, il circo provvisorio con lo spettacolo delle corse, l’arco trionfale per Marengo, gli allestimenti per le rappresentazioni teatrali alla Scala, la nuova Porta Vercellina, il Salone ai Giardini Pubblici, il palco al Castello per i fuochi d’artificio, l’illuminazione pubblica della città. Cerimonie alle quali possiamo porre sullo stesso piano anche la prassi, peraltro scarsa, della ridenominazione di monumenti pubblici senza significativo riconferimento di senso: Porta Nuova in Porta Amalia, Porta Ticinese in Porta Marengo, piazza Fontana in piazza Tagliamento, Villa Belgioioso in Villa Bonaparte, Porta Orientale in Porta Ri- conoscenza, l’area del Castello in Foro Bonaparte, oltre al progetto di ridedicare la Chiesa di Santa Maria presso San Celso a San Napoleone così da trasformarla in una nuova Sainte-Geneviève. Non dissimili sono i tanti episodi, più volte studiati, relativi a concorsi e a progetti per monumenti, per porte urbiche, per piazze e fori promossi nella capitale del nuovo Regno d’Italia, che, se messi a confronto, ci sollecitano una più ampia riflessione sulle relazioni fra le istituzioni e i modi della configurazione urbana. Milano, e gli architetti che vi lavoravano, potrebbe così costituire un caso interessante per riconoscere l’esistenza (o meno) di strategie urbane. La realizzazione di molte di queste opere architettoniche fu infatti bandita per decreto; quali nuovi monumenti pubblici della capitale milanese esse furono affidate attraverso concorsi, uno strumento non nuovo ma scelto perché permetteva, su temi architettonici a volte inediti, di confrontare più proposte, così da selezionare quella meglio rispondente agli obiettivi prefissati. Di queste, molte non furono però seguite da realizzazioni: il concorso per le otto piramidi celebrative della vittoria di Marengo (1797), la colonna (1799) e il monumento (1800) ancora per Marengo, le dodici colonne per il Lazzaretto (1799), il concorso per una piazza pubblica con statua colossale (1804),3 il monumento a Rivoli (1805) e in parte i monumenti nei luoghi delle battaglie (1807), la Ménagerie e Jardin des Plantes (1808), la Porta Orientale, il concorso per un Pantheon (1810) e quello per il Moncenisio (1813). Alcune furono solo avviate e se ne persero velocemente le tracce nel loro esito concreto. Solo quattro furono realizzate: l’Arena, Porta Marengo, Porta Vercellina e l’Arco del Sempione. A queste sono da aggiungere alcuni “progetti urbani” attraverso i quali si aspirava a fondare la riorganizzazione della città: in primo luogo il Foro Bonaparte (con i progetti di Antolini, Barabino, Canonica, Pistocchi, Bargigli), la piazza del Duomo (Pistocchi), la piazza Friedland (Barberi), la piazza a Brera (Silva), le promenades sui bastioni da Porta Romana a Porta Tenaglia e l’apertura di nuovi assi viari (via della Moscova). Un tale numero di episodi in un arco temporale così ristretto, anche se diversamente motivati o rimasti solo allo stato d’ipotesi, non può dunque non interrogarci sulla possibilità di riconoscere, in un periodo estremamente ridotto del già breve, ma intenso, momento napoleonico (qui inteso dalla sua entrata in Milano), se e in che modo una nuova idea di spazialità urbana – attraverso anche la creazione di strumenti per il “governo” della città – abbia servito i nuovi protagonisti, le nuove rappresentazioni ideali e i nuovi soggetti politici. Su questi temi, sulla portata celebrativa e sui significati di tali eventi già si è scritto e discusso molto, sebbene non sia ancora chiarita l’esistenza di un vero e proprio programma nella realizzazione degli apparati appena descritti e nei nuovi interventi urbani messi a concorso. 63 FRANCESCO REPISHTI Bernardo Bellotto, Il Castello Sforzesco di Milano verso la città, 1744; Namest nad Oslavou (Repubblica Ceca), Castello. Milano, capitale di quel Regno d’Italia che arriverà a comprendere Trento e Venezia, Modena e Bologna e tutte le Marche, e l’opera di Luigi Canonica, architetto reale, costituiscono quindi un campo di prova particolarmente significativo per la verifica dell’esistenza o meno di un preciso disegno nell’uso politico della città, e, nel caso questo fosse provato, per l’individuazione di modelli ai quali i diversi autori e promotori sembrarono ispirarsi. L’interrogativo posto non può però trascurare le resistenze locali, o domandarsi il perché tale processo di trasformazione si sia rivelato, come vedremo, meno repentino della fortuna dei suoi stessi protagonisti e abbia avuto esiti solo in un momento successivo.4 Monumenti pubblici I monumenti pubblici ricordati inevitabilmente richiamano quelli proposti dalla commissione nominata a Parigi il 15 dicembre 1791,5 senza tuttavia esibire quel principio di «erigere dei monumenti destinati a perpetuare il ricordo dei principali avvenimenti della rivoluzione» o che «l’élévation des sentiments suivoit et produisoit les grands desseins et le grandes enterprises» o «les sens par de grandes images inspiroit aussi des idées plus grandes». Brousse, Dumont, Talleyrand, Kersaint, commissari parigini per i monumenti pubblici, avevano proposto in primo luogo 64 la costruzione di un Palazzo per l’Assemblea Nazionale recuperando a tale destinazione la Sainte Madeleine, un «des plus beaux morceaux qu’il y ait en Europe». L’anno prima il commissario Kersaint con Molinos e Legrand, sulla base di quel principio, aveva suggerito in cinque “memorie” la realizzazione di altri monumenti pubblici: un Pritaneo per la pubblicazione delle leggi (sul sito della Bastiglia) ideato sul modello della Torre dei Venti, un Palazzo Nazionale (alla Madeleine, ispirato al Pantheon), un circo all’interno del Campo della Federazione con al centro l’altare della Patria quale nuovo Campo Marzio, l’acquisto del Louvre e la costruzione della nuova galleria per un museo verso le Tuileries, così da formare una nuova via parallela a rue St. Honoré. Non esistono tuttavia abbastanza elementi per affermare che i successivi programmi milanesi di Eugenio di Beauharnais – suggeriti direttamente da Napoleone – riprendano idee e iniziative dell’età repubblicana che vedevano nei monumenti pubblici i testimoni «irréprochables» della storia, il tutto all’interno dei topoi del valore educativo svolto dall’architettura e del valore morale affidato al monumento. Né è possibile annoverare le proposte milanesi come delle vere e proprie attrezzature urbane secondo quanto era in parte avvenuto nei decenni precedenti e riaffermato nell’idea di Antolini:6 a Milano non abbiamo borse, dogane, ospedali, ospizi per poveri, mercati, cimiteri e fontane, semmai M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ carceri, palazzi di giustizia e caserme ottenuti adattando i locali degli ex conventi e monasteri. Né sappiamo quale fosse il grado di aggiornamento di Canonica su quanto contemporaneamente stava accandendo al di là delle Alpi, nonostante possedesse nella sua biblioteca privata una copia del celebre Discours di Kersaint pubblicato nel 1792 e un volume della Recueil et parallèle des édifices di Durand.7 Inoltre, a differenza di quanto era successo nel precedente periodo austriaco, ricordo che in questi anni nessuna nuova costruzione di edifici destinati ad ospitare organi governativi fu avviata (neppure tra le residenze reali); le nuove funzioni amministrative non furono collocate in edifici alienati alla Chiesa (ormai in cattivo stato di conservazione), ma, ad eccezione di pochi ministeri, in palazzi acquistati da privati: è il caso del Palazzo di Governo in Palazzo Diotti, del Palazzo del Ministero degli Esteri nell’ex Palazzo Moriggia, della Paggeria Reale nell’ex Palazzo Crivelli, del Ministero della Guerra trasferito a Palazzo Cusani e del Tesoro a Palazzo Clerici. In luogo di una strategia definita e di un vero e proprio uso politico dello spazio urbano, a Milano assistiamo al prodursi di un accavallarsi di progetti e all’altalenare tra volontà innovative e ripiegamenti su inter- venti collaudati e tradizionali che rivelano mentalità da Ancien régime. Un evidente ripiegamento, che possiamo considerare in continuità con il tempo precedente, è ad esempio costituito dalla moltitudine d’interventi effettuati sulle residenze reali. I Beni della Corona, previsti dal Terzo Statuto costituzionale nel giugno 1805, diventarono l’occasione per concretizzare una committenza architettonica che non ebbe il desiderio di segnare trionfalmente la presenza in città; sono i palazzi reali di Milano, Venezia e Mantova; le ville reali di Monza, Stra, Mantova e Bologna; i palazzi di Brescia, di Pusiano, di Mantova e di Bologna. Inoltre, come non ricordare la costituzione del Parco Reale di Monza, una porzione di territorio recintata di quasi 700 ettari, tutta dedicata ai piaceri venatori del principe, e realizzata solo nell’arco di quattro anni. Un piacere privato che non coincise con nessuna tipologia di bene pubblico, pur essendo stato acquisito e realizzato attraverso il demanio pubblico. La rappresentazione del potere napoleonico, dopo la lezione repubblicana, non si avvera quindi nella politica dei monumenti pubblici (i singoli casi sono perlopiù promossi dalle municipalità); la città e gli architetti milanesi, da parte loro, condensano questi “atti mancati” in apparati effimeri – strumenti immediati, economici e veloci per soddisfare Luigi Cagnola, Arco provvisorio a Porta Orientale, 1806 o 1810; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, Fondo Cagnola. 65 FRANCESCO REPISHTI Le resistenze milanesi Porta Vercellina, Milano, pianta e prospetto principale, [1805]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, D 450. quello che credono essere un desiderio di legittimazione – ai quali si oppone il compiacimento dei reali di un’autorappresentazione incardinata sul sistema delle ville-palazzo delle residenze reali (Palazzo Reale, Villa Bonaparte e Villa Reale a Monza) e dei rinnovati cerimoniali che si celebrano al loro interno. Dopo i prospettati iniziali interventi magniloquenti, la stagione del Regno d’Italia si distingue quindi più per un’urbanistica “occasionata”, provocata da grandi concorsi nazionali e vicende familiari, talvolta con risvolti intimistici propri del tema dell’abitare e della vita di corte. Le realizzazioni milanesi si pongono quindi in una via intermedia tra gli atti di “buon governo”, nel Settecento coincidenti soprattutto con interventi nel campo assistenziale, e le manifestazioni di autorappresentazione, per segnare trionfalmente la presenza reale in città con interventi effimeri. La risposta all’interrogativo iniziale sembra quindi ancora oscillare tra il riconoscere gesti mancati e l’inesistenza di possibili strategie. 66 Occorre anche considerare le possibili “resistenze” milanesi, ed osservare se queste abbiano impedito l’avverarsi di tali progetti e il realizzarsi di un vero piano urbano. Resistenze non solo riscontrabili per il continuo stato di guerra e per i ripetuti problemi economici (il ricordato pragmatismo e l’onnipresente «dominio della contingenza»).8 Una prima, forte, decisiva resistenza è costituita dalla soluzione di nominare, di volta in volta, commissioni per affrontare progetti architettonici specifici e presentati come pressanti: la facciata del Duomo, i dieci edifici da salvare, il Palazzo di Brera, la piazza Friedland, il progetto di Foro Bonaparte, la realizzazione di un Jardin des Plantes sul modello parigino... Le vicende dei progetti per piazza Friedland, proposta da Giuseppe Barberi (1807-1808), e per un Jardins des Plantes (1808-1809)9 ci permettono avanzare alcune considerazioni di carattere generale che possono illuminare sulle motivazioni di queste resistenze locali. In primo luogo è evidente l’esistenza di una oligarchia di professionisti tutta milanese composta da Canonica, Zanoja e Cagnola. Essa determina la progressiva chiusura verso gli interventi di altri architetti – e mi riferisco agli insuccessi di Pistocchi, Barberi, Antolini, Barabino, Bargigli – e ambisce a lavorare per “commissioni”, rifiutando di operare attraverso concorsi pubblici. Questo appare evidente se si analizza la cronologia degli eventi successivi il 25 novembre 1807, quando Giuseppe Barberi presentò il progetto per una piazza, da denominarsi Friedland, a fianco del Teatro alla Scala. L’idea incontrò l’approvazione di Beauharnais, che delegò a una commissione, composta da Canonica, Zanoja, Cagnola e Albertolli, l’esame del progetto. Solamente il 12 novembre 1811 il viceré autorizzò la vendita del soppresso monastero delle terziere di San Giuseppe al Comune per la creazione di questo spazio urbano, sino all’allora contrada degli Andegari, ma né la piazza né il previsto monumento al centro ebbero principio di esecuzione.10 Anche le vicende quasi contemporanee per il Jardin des Plantes milanese appaiono esemplari: in questo caso Canonica, Cagnola e Barberi furono invitati a predisporre un progetto sull’area individuata da Canonica e comprendente la Villa Simonetta (raccomandando il segreto sull’operazione non avendo acquisito ancora la villa) seguendo lo sconosciuto modello parigino. L’invito esteso a più «artisti» fu poi giustificato dal desiderio di Napoleone di poter visionare più «piani», ma per Cagnola, Zanoja e Canonica esso si configurava come «un concorso, il quale oltre l’essere mancante delle modalità solite a radicarsi in simili casi, esclude [...] l’arbitrio di non concorrere; quindi è che producendo noi un progetto particolare non sapessimo a chi ne sarebbe commesso il giudizio, in quale modo sarebbe regolato, e a quali titoli si appoggerebbe la scelta»; i tre architetti suggerivano così di conferire l’incarico a una commissione con l’obbligo di elaborare diverse proposte, ovviamente escludendo Barberi. Un secondo motivo di resistenza alla realizzazione di molti progetti nel periodo napoleonico potrebbe essere data dalla qualità dei progetti: smascherati dai loro contenuti retorici si tratta perlopiù di progetti che rivelano scarse qualità formali, costruttive e funzionali. I nuovi monumenti avevano infatti posto un problema inedito: era la prima volta che per gli architetti si verificava la possibilità di applicare quanto avevano studiato o elaborato nel corso della loro formazione accademica. Inevitabilmente i loro risultati – si vedano soprattutto gli esiti del concorso per il monumento al Moncenisio – furono quasi sempre prodotti non differenti dai molti elaborati presentati nei tradizionali concorsi accademici. M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ «Pianta generale del Foro Bonaparte», Milano, 1803; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, D 465. 67 FRANCESCO REPISHTI Giuseppe Barberi, Piazza Friedland a Milano, 1807; Milano, Archivio Storico Civico, Località Milanesi, 428. Un terzo aspetto è costituito dal ruolo assunto dall’Accademia: sino al febbraio 1807, quando Bossi rassegna le dimissioni, la Commissione permanente degli accademici (di cui Canonica fece parte sin dal novembre 1803) sembra anticipare e rilanciare con entusiamo le novità.11 In seguito, essa appare incapace di mantenere questo ruolo, evitando di opporsi alla supposta gestione oligarchica dell’architettura milanese, confermata dal fatto che all’interno della Commissione permanente (e a quella di Architettura) sono presenti periodicamente anche tutti i membri delle commissioni cittadine e non. Infine, ripensando alle vicende che accompagnarono la gestazione dei progetti per un Jardin des Plantes milanese, quale ultima resistenza all’azione dei napoleonidi a Milano, va sottolineato il ruolo sempre più importante che Roma stava assumendo e le nuove attenzioni che la città eterna richiamava, soprattutto dopo il decreto del maggio 1809 che la dichiarava città imperiale libera aggregata alla Francia.12 Un “Piano” per Milano (1805) Quanto finora esaminato porta alla formulazione di alcune risposte sulle scelte operate dagli architetti al servizio di programmi definiti da diversi attori, senza però interrogarsi sugli ideali dei veri committenti, e sulla questione se le iniziative di Napoleone e di Eugenio di Beauharnais siano comunque tra loro collegabili. Un possibile aiuto è costituito dal 68 ricco carteggio tra i due e un flebile, primo punto di partenza è individuabile nella lettera che Napoleone scrive a Eugenio il 20 giugno da Mantova, dal decreto del 21 giugno relativo alla «piantagione da farsi al Forum Bonaparte»13 e dalla risposta data dal viceré all’imperatore il 28 luglio 1805, poco più di cinquanta giorni dopo la sua nomina.14 Le due lettere costituiscono dei rari documenti nei quali è espresso un interesse per il «decoro» e il ruolo di Milano. Così Napoleone: «Je vous envoie des décrets pour des plantations d’arbres. Si le ministre de l’intérieur dort, cela ne sera pas fait. Mon intention est de planter, aux frais de la couronne, le terrain de la porte de Cerese. Parlez à m. Containi pour savoir où l’on prendera ces arbres; je ne sais où il y a des pépinières; mais les arbres propres au sol de Mantoue ne doivent pas être difficiles à trouver, puisque ce sont des arbres aquatiques et de marais. Faites faire un projet de plantation d’arbres dans le forum Bonaparte, et faites préparer ce qui est nécessaire pour y planter, en novembre et dans la saison de l’hiver, deux ou trois cent mille pieds d’arbres et des bosquets. Il faudrait voir aussi s’il n’y aurait pas moyen d’acheter et de payer en rescription des domaines les jardins qui entourent la promenade de Milan pour l’agrandir autant que possible, et les faire planter en arbres et en bosquets. Ce sont des choses que vous devez préparer et sur lesquelles vous prendrez des décrets quand j’aurai repassé les Alpes; ce sera utile et agréable à la ville de Milan. Vous m’enverrez les décrets avants de les publier, afin que je voie s’ils sont dans la forme voulue.»15 M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ Giuseppe Barberi, Piazza Friedland a Milano, 1807; Milano, Archivio Storico Civico, Località Milanesi, 428. La versione originale della lettera di Beauharnais, tra le carte dell’Archivio Nazionale di Parigi, si discosta di poco da quanto poi pubblicato dallo stesso Eugenio nelle Mémoires: «J’ai travaillé hier au plan géneral de la ville de Milan. Les rues n’en sont point alignées, ni assez larges. Point de police bien établie pour l’obligation de ceux qui bâtissent, pour la voierie etc. point de promenade. [...] Le Forum Bonaparte va être planté, il y restera au centre une belle place d’armes prolongée, en suivant le rempart jusq’aux plantations du forum. Ce sera une des plus belles promenades des états de votre mayesté. Il me reste enfin à etablir à Milan un musée [...]. Nous avons dejà beaucoup de beaux et bons tableaux parce que j’ai donné l’ordre de réunir les meilleurs ovrages des églises supprimées: de même pour les couvens. Et le licée de Milan ne pouvant etre établi à Brera car il n’y a que les classes et point de logement, nous allons nous occuper de faire arranger un beau local pour y etablir le licée que nous organiserons cette année, de force qu’il restera à Brera de suberbes ètablissements publiques tels que la bibliothèque, un cabinet d’histoire naturelle, un cabinet de physique, un museum et des écoles de dessin, sculpture, gravure etc.».16 Forse si tratta di tracce troppo esili, non in grado di riconoscere strategie urbane, comunque è certo che Eugenio nell’estate 1805 lavora a «un piano generale della città» su indicazione di Napoleone e appare evidente come, secondo tradizione, il principio che lo muove sia quello che valuta il “buon governo” sugli effetti che questo determina sulla città. Al pro- getto di una «promenade de Milan» intorno al Foro Bonaparte di Napoleone, Eugenio aggiunge altri elementi: anzitutto la regolarità e la percorribilità delle strade, poi le piazze, disegnate in modo ordinato grazie alle alberature che favoriscono lunghe promenades, luoghi per la cultura e l’istruzione, e infine l’elaborazione di “regole” per coloro che costruiscono. Tre giorni dopo (il primo agosto), Eugenio approva infatti il piano presentato da Luigi Canonica «sur l’arrengement et la plantation du Forum» chiedendo che «ce travail soit poussé avec la plus grande activité».17 Questa sua impazienza ci è confermata in una successiva lettera dello stesso architetto reale (7 agosto 1805) nella quale egli sottolinea il «desiderio e premura manifestatami dallo stesso viceré riguardo al limite di tempo in cui vorrebbe che fosse data esecuzione al progetto di Foro Bonaparte».18 Se oltre ai desiderata descritti da Eugenio nella lettera a Napoleone, elencassimo anche quanto realizzato nel corso dell’incoronazione del precedente maggio, avremmo, oltre all’allineamento degli assi viari, alle promenades plantées, al Foro, alla Piazza d’Armi, al Museo e alle istituzioni scolastiche e militari, anche un Circo. L’avvio di Eugenio sembra comunque promettente e tra i diversi interventi esiste una certa coerenza, ma non sappiamo ancora se considerarli come parti di un progetto tutto definito e disegnato, per quanto gli strumenti adottati non siano del tutto originali e presentino elementi di continuità con le esperienze urbane dei secoli precedenti. Tuttavia si intravedono importanti novità: in primo luogo l’assenza di 69 FRANCESCO REPISHTI Giuseppe Pistocchi, «Prospettiva degli ingressi al Foro da realizzarsi nel cuore di Milano», 1805; collezione privata. fulcri monumentali, di spazi dove emerge la figura del principe o complementari ad essa, mentre il Forum richiama inevitabilmente i modelli dell’antichità che a loro volta rinviano a nuovi modelli ideologici per la configurazione degli spazi collettivi. L’iconografia della piazza-foro accompagna con insistenza, alla pari dell’arco di trionfo, tutto il periodo repubblicano milanese: oltre al progetto di Antolini essa sarà riproposta dopo il 1805 ancora da Pistocchi e da Barberi e secondo nuovi ideali da Bargigli nel 1807. La definitiva versione proposta da Canonica, molto differente da tutte quelle precedenti, è originata anche dalla necessità di una piazza d’armi o di un «campo di evoluzioni militari» ed è palese la sua distanza dal progetto di Antolini: lo spazio urbano da luogo ideale totalizzante si sdoppia progressivamente in una piazza che cerca di geometrizzare, senza architetture, il vuoto tra la città e il Castello, e in una piazza d’armi, un Campo Marzio, quale luogo dove avviene l’epifania dell’imperatore dal pulvinare del suo circo. Il tutto funzionale a un disegno del verde che attraverso una promenade plantée di viali alberati disegna planimetricamente, regolarizza e uniforma i diversi spazi. 70 Il “piano” del 1807 Questo distacco dai precedenti modi può anche essere letto sullo sfondo delle operazioni che portarono alla costituzione della Commissione d’Ornato e alla successiva redazione del Piano dei rettifili. Rammentiamo brevemente i fatti, ormai noti da tempo; un primo punto di partenza possono essere considerate le riunioni del Consiglio dell’Accademia di Brera: il 10 giugno 1804, durante una seduta il segretario dell’Accademia Giuseppe Bossi legge «una mozione colla quale s’invita l’Accademia ad incaricare la commissione permanente di architettura19 o una più numerosa commissione straordinaria della redazione di un piano onde conservare i monumenti architettonici ed aver cura di tutto ciò che spetta alla pubblica decorazione».20 L’ambito protagonismo del segretario soccombe però nei confronti delle iniziative vicereali, come testimonia anche il verbale della seduta del 10 novembre 1805, quando illustra «la nuova cura che il Governo si prende dell’ornato pubblico della città e del simmetrizzamento delle strade avendo M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ eletto una commissione straordinaria che proponga quanto può a tale scopo giovar. Chiede quindi agli accademici i pareri da comunicare alla commissione [...]. Il presidente propone che si raduni all’indomani la commissione di architettura unitamente alla commissione straordinaria eletta dal Ministro dell’Interno acciò convengano insieme sulle più importanti massime da suggerire al governo intorno all’oggetto individuato».21 Infatti, in apparente continuità con le esperienze urbane dei secoli precedenti, le richieste e gli interventi di Beauharnais si fanno sempre più pressanti, sebbene la sua azione sia solo in parte confrontabile con le imprese precedenti: sollecita una relazione sullo stato dei lavori al Foro Bonaparte e attribuisce a Canonica le responsabilità di eventuali superamenti del budget (24 marzo 1806), sceglie personalmente il progetto di Gilardoni relativo al prolungamento del «pubblico passeggio» tra Porta Orientale (Riconoscenza) e il complesso del Foro-Arena (9 agosto 1806), chiede un piano economico degli interventi, respinge la proposta presentata da Pestagalli per la rettificazione della strada che dalla città conduce a Porta Nuova (12 settembre 1806), e interviene sull’idea di delineare una nuova pianta di Milano che contenga i nuovi progetti in corso (2 dicembre 1806).22 Allo stesso modo, nel novembre 1806, Napoleone scrive a Ludovico di Breme, ministro dell’Interno, relativamente alla necessità di elaborare un piano di abbellimento della capitale del Regno:23 il primo dicembre prontamente il ministro dell’Interno provvede a istituire una Commissione perché sia definito un piano di abbellimento composto da una serie di progetti monumentali. Il 6 dicembre, Giuseppe Bossi presiede così la prima riunione di questa Commissione, composta da Appiani, Canonica, Cagnola, Zanoja e Brivio, che delibera il noto elenco di dieci progetti con la relativa suddivisione: a Cagnola l’Arco del Sempione, la Porta Orientale e Porta Marengo; a Canonica Porta Vercellina, la decorazione della caserma al Foro, l’Anfiteatro, il nuovo ponte tra la contrada Sant’Andrea e i Boschetti; a Zanoja Porta Nuova, il Palazzo ai Giardini Pubblici; a Gilardoni il Palazzo del Ministero dell’Interno. Il più volte ricordato decreto istitutivo della Commissione d’Ornato è però datato 9 gennaio 180724 e sembra voluto dallo stesso Beauharnais ma con intenti completamente differenti, come documenta una sua lettera al ministro dell’Interno nella quale elenca gli scopi della stessa Commissione, riassumibili non nella predisposizione di progetti di monumenti, ma di progetti di allineamento delle strade e di ampliamento di alcune di queste («il s’agit moins de présenter des projets de monuments, que des projets d’alignément pour les rues en général et d’élargissement pour quelques autres») e nella elaborazione di un regolamento per le nuove costruzioni.25 I membri della nuova Commissione non appaiono in grado di comprendere questo cambiamento di passo, incontrando quasi immediatamente i rimproveri del viceré tanto che il 27 marzo risponde così al ministro sul nuovo regolamento inviatogli: «J’ai esaminé le reglement proposé qui m’est soumis par le ministre. Je ne puis le croire nécessaire [...]. Les devoirs de la Commission peuvent se réduire à ceci: tracer un plan de Milan et puis tirer sur ce plan les lignes qui doivent indiquer les retranchements à faire à telle rue ou les augmentations à faire à telle autres: or un travail de ce genre peut être fait par tout et ne suppose d’ailleurs le besoin ni de recevoir aucune petition, ni d’enregistrer aucune pièce».26 Ad oggi conosciamo solo un “piano” – il Piano dei rettifili – elaborato dalla Commissione d’Ornato il 23 settembre 1807 (pochi giorni dopo la legge sui Piani di allineamento) che non incontra la totale approvazione di Eugenio di Beauharnais: infatti nonostante un giudizio positivo egli si oppone alla sua adozione27 perché non lo ritiene di fatto un vero e proprio piano d’ornato.28 La stesura provvisoria (frettolosa o poco convinta) è testimoniata anche dalla scarsa cura e qualità grafica e dall’utilizzo di una pianta superata quale la carta disegnata da Pinchetti nel 1801, mentre era in preparazione la nuova versione. In assenza di un piano, a Milano proseguiranno gli interventi personali del viceré accomunati soprattutto dalla volontà di realizzare attraverso un disegno unitario una circonvallazione costituita da viali alberati (tigli, platani e castagni) in luogo dei precedenti bastioni spagnoli nell’arco settentrionale,29 tra il Castello e Porta Romana,30 creando così un sistema di passeggio pubblico secondo quanto espresso nelle ricordate disposizioni di Napoleone del 1805. I decreti di Beauharnais a favore di pubblici passeggi alberati si susseguono anche per le altre città del Regno e in modo particolare per Bologna e Mantova (1805), Venezia (1807 e 1810), Verona, Vicenza e Udine (1808). Le nuove promenades plantées sui bastioni e l’apertura di nuovi assi viari costituiscono significative novità che però si innestano ancora una volta sulle tradizionali cerniere monumentali rappresentate a Milano dalle porte urbane; a queste si aggiungono anche episodici interventi sempre promossi dal viceré-principe come la nuova piazza Friedland sull’area di Santa Maria del Giardino, disegnata da Giuseppe Barberi e approvata il 28 gennaio 1808,31 per una nuova piazza lungo la Corsia dei Servi in luogo della soppressa Chiesa di San Paolo in Compito32 e per l’inserimento di fontane nelle piazze pubbliche.33 In previsione o durante le assenze dalla capitale, Eugenio riassume periodicamente al ministro dell’Interno quali debbano essere le opere prioritarie per l’ornato della capitale milanese oltre le promenades: così il 18 settembre 180834 quando indica l’Arena (il Pulvinare, la Porta Trionfale e le Carceri), Porta Nuova (sulla base del progetto di Zanoja), Porta della Riconoscenza (secondo il progetto di Piermarini), il 2 giugno 1810 (facciata del Duomo, il Pulvinare, l’Arco del Sempione, la Porta del Castello, Porte Nuova e Marengo),35 il 17 aprile 1812 (Porta Marengo, Arco di Trionfo, Pantheon,36 una nuova strada che da Porta Tenaglia conduca a Porta Orientale,37 la circonvallazione sino a Porta Marengo) e il 26 marzo 1813 (il Pantheon con la sistemazione dell’ingresso e del viale sui bastioni, le Porte Marengo e Tenaglia, la via Moscova con la nuova caserma, il ponte a Santa Teresa).38 I nuovi regolamenti urbani Non possiamo qui dimenticare che la maggior parte delle trasformazioni urbane sono rese possibili dalle soppressioni delle corporazioni religiose e dall’alienazione dei loro beni, fenomeni che rappresentano il motore di questa “rigenerazione urbana”. La soppressione degli ordini monastico-conventuali, a cui va aggiunta la definitiva perdita di interesse per le mura a difesa della città, costituiscono i due elementi di cesura nel processo di formazione del tessuto urbano; è sufficiente ricordare come, nell’arco di pochi anni, si rendono disponibili circa un quarto delle aree e un enorme numero di fabbricati all’interno del vecchio tracciato delle mura, che, sorti per destinazioni di carattere religioso, sono utilizzati per differenti funzioni. Questi due processi costituirono in realtà, per il periodo francese, dei fenomeni di continuità con la precedente amministrazione austriaca piuttosto che di rottura sebbene presentino esiti diversi e prevalentemente 71 FRANCESCO REPISHTI Arena di Milano, pianta, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 4, D 125. 72 Arena di Milano, prospetti verso la città e verso la Piazza d’Armi, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 4, D 126. M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ militari, a causa della continua emergenza rappresentata dal problema del casermaggio e dagli elevati costi della guerra. Lo stesso smantellamento delle mura non costituisce una novità: è sufficiente ricordare la parziale trasformazione degli spalti in passeggiata così come la rappresenta Domenico Aspari alla fine del Settecento. Con l’arrivo di Napoleone si profilano indubbiamente nuove politiche urbane, anche se varia, di situazione in situazione, il peso loro attribuito. L’azione moderna di Napoleone e i suoi esiti si esplicitano ad esempio nei decreti per lo smantellamento delle fortificazioni (23 giugno 1800) o in quelli per i piani di allineamento contenuti nell’articolo 52 della legge per la bonifica delle paludi (16 settembre 1807) o in quello che istituisce le Commissioni d’Ornato (9 gennaio 1807).39 Il cambiamento introdotto nel periodo napoleonico è soprattutto inaugurato dalle diverse regolamentazioni che interessano l’assetto viario della città e che permettono di passare da una trasformazione episodica a una complessiva. È, infatti, un avviso municipale del 18 aprile 1803,40 che richiama l’obbligo di «presentare preventivamente all’Amministrazione municipale il disegno in occasione di qualunque fabbricato esteriore», che preannuncia il successivo decreto del 20 maggio 1806 riguardante un nuovo piano stradale per il quale «non si possono disporre le fabbriche in una nuova linea che però non alteri la strada, senza permesso delle autorità municipali. Esse nell’accordarlo prescrivono le condizioni necessarie pel comodo servizio del pubblico, e per la pianta regolare delle strade secondo i tipi generali che avranno ottenuta l’approvazione del Governo».41 A questi fanno seguito gli avvisi municipali del 13 giugno 1806 che precisano che «fabbricandosi in linea alle strade sarà mantenuto il rettifilo preesistente delle medesime, ove questo sia regolare. Nel caso poi fosse difettoso si dovrà modellarsi alla possibile linea prossimiore al rettifilo, che verrà prescritta seconda le circostanze»,42 quelli del 4 maggio 180743 e del 1o novembre 180944 (quest’ultimo amplia l’osservanza delle norme anche per l’interno dei fabbricati), e, infine, quello del 5 ottobre 1812 che estende il territorio di osservanza sino ai 2000 metri oltre le mura della città. Tra questi occorre ricordare anche il decreto del 3 gennaio 1811 che impone agli interventi privati l’arretramento dall’originario filo stradale per il rispetto della nuova larghezza delle vie suddivise in tre classi e l’obbligo di attenersi a un piano delle strade e delle piazze proposto dal ministro dell’Interno.45 L’importante legge del 16 settembre 1807 rende obbligatorie la redazione e l’adozione di un piano di allineamento per tutte le città con più di 2000 abitanti come strumento di riforma urbana e per migliorare la circolazione: le linee sulla carta che indicano l’arretramento e l’allineamento costituiscono una servitù cui sono soggetti i proprietari. Quando l’edificio è demolito per essere ricostruito essi vi devono sottostare e l’amministrazione cede loro un indennizzo per la porzione di superficie ceduta ad uso pubblico. Di fatto si tratta di una procedura efficace che ha un effetto nel lungo periodo attraverso un lentissimo processo di trasformazione; l’eventuale rimedio è costituito dall’esproprio, sistema in sé troppo costoso per le amministrazioni locali, ma reso possibile sia dalla legge istitutiva delle Commissioni d’Ornato del 9 gennaio 1807, sia dalla legge dell’8 marzo 1810 che autorizzava l’esproprio per utilità pubblica. I riferimenti sono inevitabilmente il Plan des artistes (1793) e il Plan d’embellissements per Parigi (1798) fondati sull’idea di regolarizzazione degli spazi: il primo, superando l’episodicità della pianta di Pierre Patte, divideva le strade in tre classi e prefigurava l’apertura di nuove strade o di nuovi assi viari; il secondo univa an- che l’ideazione di strutture urbane. Quanto accennato lascia dunque emergere l’incapacità o la scarsa volontà di gesti e atti diretti, così come l’assenza di magniloquenti utopie urbane. In quanto abbiamo visto non ritroviamo, infatti, nessun accenno di auctoritas o di renovatio, nessun gesto capace di lasciare un segno duraturo. Ritroviamo unicamente interventi occasionali e frammentati; la stessa famiglia imperiale appare consapevole dell’inopportunità di manifestazioni troppo evidenti dell’imperium, peraltro mai amate. Le uniche anomalie sono esemplificate dall’edificio dell’Arena di Canonica con il suo Pulvinare bifronte, rivolto verso il naturale luogo dell’epifania dell’imperatore, e verso la Piazza d’Armi, teatro reale della sua legittimazione del potere, e dall’arco di trionfo con i bassorilievi dedicati alle imprese militari napoleoniche. A dispetto di queste limitazioni e interventi contrastanti se non addirittura paradossali nella loro contrapposizione, l’assetto repubblicano e poi reale sembrano comunque proporre significative novità e, in tal senso, Milano costituisce contemporaneamente un episodio in continuità con la tradizione e un momento di rottura che inaugura la città “moderna”. Il periodo napoleonico costituisce dunque un definitivo spartiacque rispetto ai modi di configurazione e di costruzione della città e Milano si rivela così storicamente significativa: non ritroviamo più interventi del principe, quanto la volontà di controllare le future iniziative private indicando, attraverso l’attività legislativa, nuovi modi operativi. L’interrogativo che abbiamo avanzato inizialmente si rivela quindi mal posto, la questione va al di là della prova dell’esistenza o meno di un piano disegnato e oltre la consueta nostalgia del Piano di Antolini come l’occasione, mancata, dall’urbanistica milanese in età napoleonica. Né la novità è da ricercare nel famoso Piano dei rettifili,46 da intendere come il tentativo di creare un sistema urbano regolarizzato dalla promulgazione di una serie di leggi e regolamenti. Ciò che gli eventi successivi porteranno a compimento è il definitivo avverarsi di un controllo “pubblico” o condiviso sullo spazio urbano che non ha precedenti nell’Ancien régime e sarà affidato alla Commissione d’Ornato di cui Canonica farà parte per molti anni. Questa importante novità è già presente nella “collegialità” con cui avvengono le scelte architettoniche, ma si tratta di una ricercata condivisione «delle responsabilità di gestione dell’insieme della città, sottraendo le decisioni sugli immobili alla figura del primo architetto per affidarle ad un insieme di tecnici»47 sebbene appartenenti ancora al mondo accademico e a un gruppo oligarchico di architetti milanesi, tra i quali compare sempre Canonica. Si tratta di una fase di passaggio in previsione dell’affidamento del governo della città a un gruppo di tecnici appositamente preparati sulla base della riforma professionale e il cui percorso formativo sarà definitivamente posto sotto il controllo della Stato. Questa ricostruzione dei fatti, tutti compresi negli anni del Regno d’Italia, ci permette anche di aggiungere un’ultima riflessione: tra quanto preparato dalla commissione presieduta da Bossi nel dicembre 1806 (il Piano di abbellimento) e il Piano dei rettifili esiste uno scarto enorme. Colpisce nel primo caso l’affinità con tutte le esperienze precedenti, da cui vanno escluse le esperienze parigine tra il 1791 e 1798. Nelle proposte “puntuali” del 1806 non c’è nulla di organico, né l’idea di embellissement di una città intesa come bene pubblico, né la rappresentazione dei valori di una nuova società. Lo scopo del costruire, capovolgendo le parole di Durand, è una esercitazione accademica e non certamente «l’utilità pubblica e privata, il benessere ed il mantenimento degli individui e della società».48 73 FRANCESCO REPISHTI Arena di Milano, Carceri. Arena di Milano, Pulvinare, fronte ovest. Il secondo piano e le intenzioni di Beauharnais sono invece fondate sull’idea di mobilità all’interno di una città organizzata attraverso spazi urbani prefigurati per ospitare i nuovi bisogni di attrezzature culturali e commerciali e affidata all’esigenza di trasformazione urbana, fondiaria e d’infrastrutture di un’imprenditoria privata. Una maglia di rettifili ortogonali si sovrappone allo schema radiale con un sistema di piazze poste a cerniera tra i due sistemi; tra i rettifili, dalla scala territoriale a quella urbana, l’asse del Sempione si prolunga nel corso Napoleone trapassando la città sino all’Ospedale Maggiore.49 Un passaggio concettuale davvero sorprendente, avvenuto nell’arco di pochi mesi: da un’idea di città regolata da spazi bloccati in un tempo definito, a una dove tutto appare regolato dal movimento e da un’azione prolungata nel tempo, e a una visione unitaria della struttura della città, all’interno di una circonvallazione completamente antitetica a quella immediatamente precedente. Le necessità espresse da Francesco Milizia sono riconosciute secondo una concezione moderna: «Per abbellire una città bisogna distruggerne più pezzi. Questa demolizione non è, che apparente, ma in realtà è una nuova edificazione, più bella, e più sana [...]. Ogni città si può abbellire: vi si slarghino, si raddrizzino, e si prolunghino, quanto più si può le strade: se ne aprano delle nuove [...]. In una città grande bisognerà troppo abbattere, e troppo riedificare. S’incominci; si abbia il coraggio, e la volontà di far bene, il tempo compisce tutto».50 Decisioni che segnalano un’importante discontinuità e inaugurano la formazione di una nuova modalità d’intervento urbano basata sul controllo dell’iniziativa privata piuttosto che su azioni in prima persona, attraverso un mutato rapporto tra autorità e privati. Modernamente, oggi potremmo anche definirlo come il completamento di quel percorso compiuto dalle diverse amministrazioni cittadine verso il “governo” della città. Il re o il principe non sono più gli artefici della trasformazione della città, né la città è più il luogo del consenso politico e della creazione di spazi annessi alla sua figura. Una nuova concezione collettiva investe quella dello spazio urbano. 74 M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ 1. Già dopo la vittoria di Marengo e la prima ricorrenza della firma dell’accordo di Lunéville, avvenimenti che coincidono con la decisione d’innalzare la statua di Napoleone incoronato dalla Vittoria – un trionfo che esalta contemporaneamente l’ideale repubblicano e la figura di Napoleone – e con la posa della prima pietra del Foro Bonaparte, queste feste pubbliche si trasformano in celebrazioni personali, sappiamo giustificate da una ricerca di legittimazione di un potere acquisito con le armi. La figura di Napoleone si incrocia sempre più spesso con quelle mitologiche (Marte e Giove), così da preannunciare quelle figure che saranno all’ordine del giorno nelle manifestazioni artistiche di Milano capitale del Regno d’Italia 2. Quello a Porta Orientale per la proclamazione della Repubblica nel 1797, a Porta Ticinese per l’entrata di Napoleone e di Josephine nel maggio 1805, a Porta Orientale per celebrare il matrimonio tra Amalia ed Eugenio di Beauharnais nel febbraio 1806, a Porta Romana per Napoleone nel dicembre 1807, ancora a Porta Orientale per il matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa nel 1810. A questi vanno aggiunti gli archi definitivi di Porta Vercellina, di Porta Marengo e del Sempione. 3. Programme du monument qui doit etre érigé dans la ville de Milan à sa majesté Napoleon Bonaparte 1er empereur des francais, 4 giugno 1804; ANF, AF IV, 1708. Cfr. l’analogo Programma del monumento da erigersi in Milano alla maestà di Napoleone Bonaparte I imperatore de’ Francesi in ASMi, Studi, p.m., 278, citato da G. D’Amia, Il monumento celebrativo per la vittoria di Marengo: un dispositivo retorico nel progetto antoliniano per Foro Bonaparte, in Architettura e urbanistica in età neoclassica. Giovanni Antonio Antolini (17531841), atti del convegno (Bologna-Faenza 2000), a cura di M.G. Marziliano, Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza 2003, pp. 249-268. 4. Tale tentativo ha la fortuna di partire da profonde e specifiche analisi dedicate appunto alla Milano napoleonica, dagli studi di Gianni Mezzanotte, a quelli più recenti di Kannès, Scotti e Pillepich. Cfr. inoltre il mio articolo Passaggi pubblici e circonvallazioni a Milano durante il Regno d’Italia, in L’architecture de l’Empire entre France et Italie. Institutions, pratiques professionnelles, questions culturelles et stylistiques (1795-1815), atti del convegno, (Ascona, 2006-Roma 2007), a cura di L. Tedeschi, D. Rabreau, Mendrisio-Milano 2011 (in corso di stampa). 5. A.-G. Kersaint, Discours sur les monuments publics, prononcé au Conseil du Département de Paris, le 15 décembre 1791, imprimerie de P. Didot l’ainé, Paris 1792. 6. A. Scotti, Il Foro Bonaparte. Un’utopia giacobina a Milano, F.M. Ricci, Milano 1989. 7. Finora è documentato un unico viaggio di Canonica a Parigi, Lione e Compiègne, dal 29 marzo al 10 giugno 1810. 8. Luciano Patetta rilevava come «la stagione napoleonica milanese sembra caratterizzata dalla consapevolezza di rappresentare una fase transitoria, un precario assetto politico destinato a esaurirsi in breve tempo, nel quale è impossibile impegnarsi in programmi urbanistici a lungo termine» (L. Patetta, Architettura e Spazio urbano in epoca napoleonica, in L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978, p. 21). 9. La rilettura di quest’ultima vicenda e dei fatti che accompagnano l’elaborazione di questo progetto mi sembrano paradigmatiche sia per il processo decisionale che estranea Eugenio di Beauharnais, sia per i rapporti tra i tre più importanti architetti milanesi – Canonica, Zanoia e Cagnola – e la conseguente chiusura dell’ambiente milanese nei confronti di altri professionisti (in questo caso Barberi), sia per il ruolo avuto dall’Accademia di Brera. Nel gennaio 1808 il ministro dell’Interno informava il principe Eugenio della decisione di Napoleone di creare a Milano una Ménagerie nell’area compresa tra Villa Simonetta e il Borgo degli Ortolani. L’intervento avrebbe comportato un’«appendice» a Foro Bonaparte. Gli ordini di Napoleone non facevano che riprendere quanto stava accadendo negli stessi anni a Parigi, dove erano in corso i progetti per l’ampliamento della Ménagerie al Jardin des Plantes e quelli per la costruzione di una Ménagerie nel parco di Monceau. 10. Documentazione e disegni, oltre a quelli dell’Accademia di San Luca, in ASCMi, Località Milanesi, 428 (G. Ricci, Milano: la regola e la città, in A. Castellano (a cura di), Civiltà di Lombardia, vol. IV, La Lombardia delle riforme, Electa, Milano 1987, p. 201). Si veda anche la lettera di Giuseppe Barberi al ministro dell’Interno in data 25 gennaio 1808: «ho l’onore di informare l’e.v. che questa mattina ho fissati e descritti i confini addosso il palazzo Fiorenza [Talenti di Firenze] ove deve terminare il fabbricato della nuova piazza come ho del pari fissati i confini del convento di Santa Maria del Giardino. Ho inoltre l’onore di trasmettere all’e.v. la pianta e la descrizione di tutto ciò che in essa si ritrova diviso in tre parti: cioè n° 1 indicazione de’ corpi di fabbrica da lasciare per intero, da demolirsi in parte e intieramente pel progetto della sola piazza; 2° indicazione dei locali occorrenti volendo eseguirsi il progetto della dogana e borsa secondo la pianta; 3° indicazione della piazza sudetta in seguito della riflessione fatta dall’e.v. relativa a ridurre il prospetto della dogana eguale a quello del teatro». 11. Si vedano gli atti e i verbali della Commissione permanente degli Accademici conservati nell’Archivio storico dell’Accademia di Belle Arti di?Brera a Milano (ASABMi). 12. Si veda per Roma il rapporto del ministro delle Finanze a Napoleone datato 30 agosto 1809: «Sire, la ville de Rome n’a point de promenade publique» con la proposta di crearne una fuori da Porta del Popolo (ANF, AF IV, 1715). Il decreto imperiale relativo a un piano d’embellissement per Roma è datato 27 luglio 1811. 13. ASMi, Consiglio legislativo, 651, 21 giugno 185; il progetto è in parte strutturato con un disegno a quiconce e in parte a bosquets. 14. Precede la risposta un rapporto datato 24 luglio 1805 di Daniele Felici a Eugenio: «Si riscontra il Dispaccio di s.a.s. in data 21 Giugno p°. p°. risguardante le nuove piantagoni da farsi al Foro Bonaparte e si aggiunge un progetto di stabile anfiteatro [Canonica]» (Archive Beauharnais, Princeton University Library). Devo la segnalazione alla cortesia di Christoph Frank. 15. Correspondance de Napoléon Ier, vol. X, 8929; Mantoue, 20 juin 1805. 16. Beauharnais a Napoleone, 28 luglio 1805 in ANF, AF IV, 1708. Si veda anche la versione pubblicata in A. du Casse, Mémoires et correspondance politique et militaire du Prince Eugène, vol. I, Michel Lévy frères, Paris 1858. 17. Lo stesso giorno è istituito a Monza il Vivaio reale, funzionale sia alle alberature degli interventi urbani sia al Parco Reale di Monza. 18. ASMi, Fondi Camerali, p.m., 39. 19. Ricordo che il 26 novembre 1803 (decisione poi ratificata il successivo 4 dicembre) Canonica è nominato membro della Commissione permanente di architettura all’interno del Consiglio degli Accademici di Brera con Giacomo e Giocondo Albertolli, Levati, Landriani, Cagnola e Stratico. 20. ASABMi, A III, 1. 21. Ibidem. 22. L’inedita documentazione è conservata in ASMi, Consiglio legislativo, 652. 23. Documento non rintracciato ma riportato da E. Verga, Un piano regolatore della città di Milano nel 1807, in Primo Vere. Per gli ammalati poveri bisognosi della cura di Salsomaggiore e per l’educazione dei deficienti, Tipografia Umberto Allegretti, Milano 1907, pp. 57-76; poi ripreso da Patetta 1978, p. 23 e Ricci 1987, p. 208. 24. Bossi è sostituito da Paolo Landriani il 13 febbraio dello stesso anno. 25. 16 febbario 1807; ASMi, Consiglio legislativo, 653. Citato in A. Pillepich, Milan capitale napoléonienne, 1800-1814, Lettrage Distribution, Paris 2001, p. 230. Beauharnais al Ministro dell’Interno: «Le ministre recommandera à la Commission de ne pas perdre de vue que dans le travail qu’on attend d’elle, il s’agit moins de présenter des projets de monuments, que des projets d’alignément pour les rues en général et d’élargissement pour quelques autres; comme aussi de présenter un projet de règlement tel qu’il ne sera plus permis à personne de faire construire sans permission, ni de prendre sur la voie publique une seule ligne au de la de ce qui lui appartient. Le même reglement devra présenter quelques idées sur les moyens dì’indenniser les propriètaires, qui par l’alignement qui sera une fois arreté, seroient soumis au moment ou ils seront obligés de reconstruire ou de reconforter leurs maisons à une perte de terrain trop considerable». 26. 27 marzo 1807; ASMi, Consiglio legislativo, 653. Citato in Pillepich 2001, p. 230. 27. 14 ottobre 1808; ASMi, Consiglio legislativo, 654. 28. Si veda quanto scrive il segretario di Stato al ministro dell’Interno il 27 marzo 1809 relativamente al progetto di parziale rettificazione del corso di Porta Riconsocenza sottoposto dalla Commissione d’Ornato: «Egli non trova però luogo a deliberare su questo parziale progetto; mentre intende di deliberare soltanto un piano generale. Altronde poi allorché la prelodata a S ha desiderato che si faccia un piano d’ornato per la capitale non ha mai inteso 75 FRANCESCO REPISHTI che da esso derivar debba una restrizione delle strade» (ASMi, Consiglio legislativo, 655). 29. Cfr. F. Repishti, La trasformazione dei Bastioni spagnoli: da pubblico passeggio a percorso viario, in Milano città fortificata. Vent’anni dopo, atti del convegno (Milano 2003), a cura di G. Colmuto Zanella, D. Iacobone, “Quaderni del Castello Sforzesco”, 5, Milano 2005, pp. 112-127. Si vedano anche le disposizioni di Beauharnais relative ai pubblici passeggi, conservate in ASMi, Consiglio legislativo, 653, alla data 26 giugno 1807 (proposta presenntata da Gilardoni per il pubblico passeggio da Porta Orientale a Porta Nuova); 29 giugno 1807 (approvazione del proseguimento del pubblico passeggio da Porta Nuova a Porta Comasina); 14 agosto (ordine di formare una strada che «viene il linea retta alla barriera del Campo di Marte»); 4 settembre (approvazione del progetto “A” presentato da Gilardoni per regolarizzare la via che dalla Zecca porta al passeggio di Porta Orientale). 30. Il 18 marzo 1809 Beauharnais approva il progetto di una strada di circovalazione tra Porta Orientale e Porta Romana sul modello di quanto realizzato sino a Porta Tenaglia (ASMi, Consiglio legislativo, 655) poi limitato l’anno successivo al tratto sino a corso Monforte. 31. La documentazione conservata in ASMi, Consiglio legislativo, 654 è esemplare L’8 gennaio 1808 Beauharnais scrive al ministro dell’Interno che «Mon intention est [... que le projet de m. Barbieri pour l’ouverture et l’embellissement d’une place auprés di théatre de la Scala soit executé»; il 28 gennaio approva il progetto e nomina una commissione composta da Canonica, Zanoia, Cagnola, Giocondo Albertolli e Barberi pe la valutazione economica del progetto; il 14 aprile in una furiosa lettera al segretario di Stato scrive «Le ministre avoit-it mis sous les yeux de la Commission mon décrét du 28 janvier? S’il la fait comme je le crois, je ne puis comprendre au rapport de la Commission. Mon décrét ne demandoit point à la Commission son avis sur la place à faire, moins encore sur toute autre place que la dite Commission croirot convenable de faire. Mon décrét dit expressement que la place sera faite et que la Commission me donnera: 1° son avis sur les rectifications qu’il pourroit être convenable de faire un project de Barbieri; 2° un devis exact des depenses qu’entrainneroient l’ouverture et les constructions de la place. Le ministre temoignera mon mecontentement à la commission pour avoir si mal rempli mes intentions. Il prendra en même temps les mesures necessaires pour la prompte execution du 1er article de mom décrét et sera confiée par le Ministre à l’architecte Zanoya». 32. 7 agosto 1810; ASMi, Consiglio legislativo, 654. 33. 5 ottobre 1810; ASMi, ibidem. 34. 18 settembre 1808; ASMi, ibidem. 35. 2 giugno 1810; ASMi, Consiglio legislativo, 656. 36. Sul nuovo ingresso al Foppone così scrive Beauharnais: «je n’ai pas besoin de vous dire que cette porte principale doit être noble et que le veritable caractère de la noblesse dans un monumento de la nature de celui-ci c’est la simplicité» (17 aprile 1812; ASMi, Consiglio legislativo, 658). 37. Si veda il successivo decreto in data 17 settembre 1812 per l’apertura della contrada di Santa Teresa dalla Zecca sino a Porta Tenaglia con la relativa costruzione di una nuova Porta Tenaglia (denominata Porta Vittoria) con le colonne provenienti da Santa Marta e di un cancello in ferro, dalla parte opposta, sul confine del giardino di Palazzo Dugnani (ASMi, Consiglio legislativo, 658). 38. 26 marzo 1813; ASMi, Consiglio legislativo, 659. La costruzione di Porta Tenaglia viene subordinta ai lavori alla via della Moscova, mentre per il Pantheon scrive di non aver ancora visionato i nuovi progetti promessi da Cagnola (poi approvati il 2 giugno). 39. Decreto del 9 maggio 1807 (Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, Reale Stamperia, Milano 1807, pt. I, p. 9): «Art. 1. Ne’ comuni di Milano e di Venezia vi è una commissione istituita per l’ornato della città. 2. Questa commissione è composta in ciascheduna delle due città di cinque individui tratti dai membri delle Accademie di belle arti ivi esistenti, e dai professori o cittadini intelligenti di architettura ed arti analoghe. Essa è preseduta dal Podestà del rispettivo comune. [...] 5. Le commissioni, a richiesta delle rispettive municipalità, fanno i progetti occorrenti pel miglioramento simetrico de’ fabbricati fronteggianti le strade, e per l’allargamento o rettifilo delle strade stesse, e per la esecuzione dei progetti medesimi, dietro gli ordini delle Municipalità, si concertano coi particolari». Il decreto di nomina del ministro dell’Interno dei membri della Commissione è datato 1 marzo 1807: sulla ba- 76 se del decreto reale del 9 gennaio 1807 la Commissione «si occupa dell’esame, e giudizio de’ disegni da eseguirsi di fronte alle strade ed altri luoghi pubblici della città e di tutti gli altri oggetti portati dal succitato reale decreto. Chiunque voglia eseguire qualunque sorta di fabbrica, o ristauro ne presenta il disegno in duplo, ed in fogli bollati alla Municipalità, la quale lo trasmette alla Commissione. Il disegno comprende la pianta, e l’elevazione della fronte, ed i dettagli in una scala maggiore. [...] Per non esporre i disegni fatti contro i principi dell’arte a frequenti rifiuti dovranno questi essere sottoscritti da architetti noti, che rispondano alle osservazioni della Commissione. Approvato il disegno non può essere variato, se non sotto la presentazione di un nuovo. Sono subordinati alla Commissione anche i disegni di chiese, torri, altari e simili». Il primo marzo sono nominati commissari Landriani, Albertolli, Cagnola, Canonica, Zanoia. 40. Avviso municipale del 18 aprile 1803 relativo alle multe per l’inosservanza del Piano stradale: «[...] ed inoltre la noncuranza di presentare preventivamente a questa Amministrazione Municipale il disegno in occasione di qualunque fabbricato esteriore». 41. Decreto del 20 maggio 1806, art. 38; Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, Reale Stamperia, Milano 1806, pt. II, pp. 516-517. 42. Avviso municipale del 13 giugno 1806, Milano: «Volendo l’Amministrazione Municipale far fronte agli abusi, che possono o potessero introdursi nel fabbricato di questa capitale, e desiderando ad un tempo stesso, che a misura delle circostanze sieno possibilmente riparati i difetti già invalsi, la stessa Amministrazione superiormente autorizzata determina quanto segue: 1. Nessuno potrà fabbricare lungo le pubbliche strade, o contrade, o fare innovazioni ai fabbricati esteriori senza il previo permesso in iscritto dell’Autorità municipale. 2. Chi vorrà fabbricare, o ristaurare qualche casa, o fabbricato qualunque dovà presentare il disegno tanto della pianta della facciata colla linea precisa, su cui s’intende di fabbricare, quanto all’elevazione della medesima. Questo disegno sarà conforme ai principi dell’arte: abbraccierà le dimensioni, le sagome in grande, e le modanature della fabbrica con chiarezza, e dettaglio tale, che sia facilmente intellegibile. 3. I disegni, che mancheranno delle qualità, e delle parti sovraespresse non saranno ricevuti, né potranno essere eseguiti. 4. La semplice presentazione del disegno non autorizza ad incominciare le opere, le quali non potranno farsi se non dopo l’approvazione del disegno stesso, e la spedizione della relativa licenza; e ciò per dar luogo all’osservanza delle comuni, e rispettive ispezioni dell’Amministrazione Municipale, e della Commissione architettonica del Governo creata per gli oggetti: linea e decorazione. [...] 7. Fabbricandosi in linea alle strade sarà mantenuto il rettifilo preesistente delle medesime, ove questo sia regolare. Nel caso poi che fosse difettoso si dovrà modellarsi alla possibile linea prossimiore al rettifilo, che verrà prescritto secondo le circostanze[...]». 43. Avviso municipale del 4 maggio 1807: «Essendo un oggetto del massimo interesse all’ornamento della città anche il prospetto delle fabbriche o fronteggianti la fossa interna, o annesse ai giardini, ed altri spazi esposti alla pubblica vista, e conoscendosi d’altronde, che alcuni de’ proprietari trascurano di presentare i disegni all’atto delle riedificazioni, e de’ ristauri, si avverte il pubblico, che questi pure cadono sotto le disposizioni del reale decreto 9 gennaio 1807. Per facilitare poi le spedizioni relative all’instituto della Commissione del pubblico ornato, si prescrive, che in tutti i disegni, che s’inoltrano all’approvazione, vengano marcate nella pianta le linee delle case immediatamente laterali, e nell’elevazione le rispettive altezze, coll’indicazione in iscritto se appartengono allo stesso, o ad altro proprietario. Ne’ disegni da presentarsi si riterrà per massima, che le grondaie sian a soffitta piana, e che le finestre dei piani terreni, ove vadano munite di gelosie, siano superiori di braccia 3 once 4 al livello della strada, per togliere ogni pericolo d’offesa ai passaggieri». Sulla base dell’avviso municipale del 5 ottobre 1812 sono sottoposti al giudizio della Commissione d’Ornato anche i progetti di edifici «fuori dalle mura della città sino alla distanza di due mila metri dalle dette mura». 44. Avviso municipale del 1 novembre 1809: «Le frequenti rovine di fabbriche dipendenti particolarmente dall’uso e dall’impiego di cattivi materiali, e all’imperizia nell’assistenza e direzione delle fabbriche medesime hanno richiamato la superiore attenzione per un provvedimento; ed incaricata la Commissione di pubblico ornato, in virtù del regio decreto 9 gennaio 1807 d’invigilare per la pubblica sicurezza sulla solidità delle fabbriche che si costruiscono; e visto il dispaccio di s.e. il sig. conte ministro dell’Interno del 18 M I LAN O NAPO LEO N I CA. LU I G I CAN O N I CA E LA C ITTÀ prossimo passato agosto vengono colla superiore autorizzazione, in pendenza dell’emanazione del Piano generale proposto, stabilite le seguenti prescrizioni: 1. Femostanti gli avvisi 1° marzo e 4 maggio 1807 già pubblicati per la direzione e simetria esterna dei fabbricati, saranno d’ora innanzi notificate anche le opere di fabbrica che si eseguiranno nell’interno delle case [...]». Si veda anche il regolamento emanato il 2 maggio 1811. 45. Decreto del 3 gennaio 1811 (Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, Reale Stamperia, Milano 1811, pt. I, p. 13): «Art. 3. Dopo tale approvazione [del piano], i proprietari non potranno ristaurare o riedificare gli edifici che fronteggiano le strade, se non tenendo la fronte degli edifici medesimi entro il limite di ampiezza che sarà stato rispettivamente determinato». Il piano è proposto dal ministro dell’Interno. 46. La pianta conservata presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano porta in calce le seguenti note manoscritte: «I. dicembre 1807. Progetto di rettifili presentato a s.m. l’imperatore e re. Croce segretario della Commissione di pubblico Ornato. Avvertenze. Tutte le linee coperte di cerasa denotano le demolizioni da farsi pei nuovi rettifili. Tutti gli spazi tinti in nero segnano i ritagli delle attuali contrade da concentrarsi nelle case vicine». 47. A. Scotti, La cultura dell’abitare in Italia in età napoleonica, in Les maisons de l’Empereur. Residenze di corte in Italia nell’età napoleonica, atti del convegno (Lucca 2004), a cura di F. Ceccarelli, G. D’Amia, “Rivista Napoleonica”, 2004-2005, n. 10-11, p. 14. Si veda anche la relazione di Giuseppe Bossi letta all’Accademia di Brera in occasione della premiazione del 1806: «Il nome di architetto non verrà oggimai più come in addietro profuso alla impudente ignoranza, ma sarà premio desiderato di un corso regolare di studio severo, di cui il candidato proverà il frutto colle cautele di rigido esame affidato a giudici non nuovi alle materie di esso. Le fronti esterne delle case per ciò che spetta alla decorazione verranno considerate di pubblico diritto e non sarà più lecito al proprietario l’insultare pubblicamente ai principii, la ripetizione de’ quali invano stancherebbe le pareti delle scuole, se l’ignoranza e il capriccio prepotente se ne facessero pubblico giuoco col fatto. Di già il richiamo di antichi editti, di già nuove migliori disposizioni pongono freno agli abusi, che accumulati finirono per rendere in molte parti turpe l’aspetto della città nostra, in altre incomoda, in tutte minore della fama agli occhi dello straniero». Oppure l’intervento di Zanoia: «che non si sottragga alla salute del cittadino nella pericolosa angustia delle vie ciò che si accorda all’antica irregolarità o all’usurpazione; che l’imparziale rigor della legge raffreni la licenza degli edificatori ed avvezzando il pubblico occhio a miglior forme riconduca il desiderio ed il costume di maggiori bellezze» in Discorsi letti nella Reale Accademia di Milano in occasione della pubblica distribuzione di premi l’anno 1806, stamperia di G. Giuseppe Destefanis, Milano 1806, pp. 11, 27. 48. J.-N.-L. Durand, Précis des leçons d’architecture données à l’École polytechnique, vol. I, chez l’auteur, Paris 1802, p. 18. Su questi temi cfr. G.P. Consoli, La “nuova architettura del nuovo secolo”: temi e tipi, in Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia, 1780-1820, catalogo della mostra (Roma 2007), a cura di A. Cipriani, G.P. Consoli, S. Pasquali, Campisano, Roma 2007, pp. 151-230. 49. Verga 1907 scrive che si «compilò allora, sull’esempio di quello già escogitato per la città di Parigi, un regolamento detto della Grande e della Petite voierie (8 aprile 1808 - decreto 29 dicembre 1807) che si può ritenere se non erro, come fondamento del moderno diritto concernente l’edilizia. Le strade venivano divise in diverse categorie: corsi, traverse, strade divisionali delle isole, vicoli. [...] Ogni corso doveva terminare (lo abbiam visto nella descrizione della pianta) in una piazza corrispondente alla situazione ed al bisogno, tanto nel caso che i corsi si incrociassero tra loro e formassero trivio o quadrivio, quanto nel caso che facessero capo a strade subalterne. Quattro di queste nuove piazze dovevano essere destinate al mercato dei commestibili. Quanto al tempo da impiegarsi nella costruzione del piano regolatore si stabiliva che le strade di prima classe, da iniziarsi contemporaneamente in tutti i rioni, dovessero compiersi in quattro anni, in sette quelle della seconda, in nove quelle della terza». 50. F. Milizia, Principi di architettura civile. Terza edizione veneta riveduta, emendata, ed accresciuta di figure disegnate ed incise in Roma da Gio. Battista Cipriani sanese, 3 voll., tipografia Giuseppe Remondini, Bassano 1813, pp. 37-38. 77 «Spaccato della Porta Marenco per la linea del mezzo», [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 453. 78 PROGETTI E INTERVENTI URBANI Catalogo dell’opera Progetti e interventi urbani Foro Bonaparte, Milano 1800-1814 Nella città ancora caratterizzata da strutture risalenti al tempo spagnolo e controriformista in parte riordinata da Maria Teresa e Giuseppe II, la demolizione dei bastioni del Castello, decisa appena inaugurato il secolo, prometteva di aprire al pubblico un’area molto estesa depositaria d’importanti memorie, ampia quanto un intero sestiere urbano. Era il luogo dominato nei secoli viscontei e sforzeschi dall’edificio più splendido del ducato, disposto a settentrione tra l’abitato e giardini e boschi riservati alla caccia e agli intrattenimenti spettacolari della Corte. Venute meno le condizioni iniziali, era stato isolato dal perimetro urbano e trasformato con baluardi, rivellini e fossati in una fortezza tra le più munite d’Italia. Il vuoto così aperto dal progettato atterramento delle muraglie e dal livellamento del terreno forzò dunque gli amministratori cisalpini e napoleonici a provvedere adeguatamente, a decidere programmi destinati a produrre riflessi sull’intero assetto urbano. Nel rapido succedersi di governi – Cisalpino, della Repubblica Italiana e del Regno d’Italia – le risposte date da uomini pubblici, funzionari e architetti non rispecchiarono soltanto l’alternarsi dei poteri e d’intenzioni differenti, ma manifestarono aspetti fondamentali d’indirizzi di pensiero, di gusto e di comportamento che qui come ovunque dividevano il mondo neoclassico. Erano trascorsi venti giorni da quando Napoleone aveva ordinato di demolire gli spalti, quando una breve memoria dell’architetto di Stato propose di erigere su quelle aree una «Città Bonaparte» (13 luglio 1800), in assonanza con quanto si andava concertando per gli abitati di Napoléonville (Pontivy) e Ville Napoléon (La Roche-sur-Yon), le città amministrative collocate in Vandea dopo i fatti che avevano sconvolto quella regione (Teyssot, Morachiello 1983). Si prospettava la possibilità d’integrare la città di Milano con un quartiere di edilizia abitativa, commerciale e militare insieme, dotato di un marginale accento celebrativo rappresentato da un arco trionfale con funzione di Porta urbica, corrispondente all’antica Porta Giovia (ASMi, Comuni, 54). Quello scritto di Luigi Canonica – una breve esposizione d’idee da sviluppare quando ne fossero stati accettati i criteri direttivi – era palesemente orientato dal pensiero in via di prevalere nella Parigi postrivoluzionaria. Accentuava l’aspetto economico dell’operazione, chiamava i privati a cooperare con il potere pubblico, riduceva gli intendimenti celebrativi e prospettava di far convivere le residenze con attività commerciali e militari, concentrate queste nel solo Castello. Fondato com’era sulla considerazione dei dati di fatto emersi in quel momento, proponendosi di risolvere i problemi adottando i mezzi più adatti, rivelava un empirismo non allineato con i pareri allora prevalenti a Milano, contrastava anzi con le vedute del governo giacobino, orientato piuttosto a esprimere lo spirito della rivoluzione per mezzo di un quartiere monumentale soprattutto simbolico, celebrativo e educativo, in grado di richiamare qui i più importanti eventi pubblici. Tali vedute furono interpretate dalle architetture di Giovanni Antonio Antolini, presentate cinque mesi dopo (16 dicembre 1800) e subito approvate, con la condizione di modificarne qualche aspetto e di designare con il termine romano di “Foro” l’insieme di fabbriche, monumenti e aree dedicati a Napoleone (20 gennaio 1801) (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 38, 42). A quelle seguì prontamente il progetto esecutivo, corretto come indicato dai tre commissari consultati per giudicarlo: Carlo Barabino, già architetto degli Edili nella Repubblica Ligure Democratica, Giuseppe Maria Soli, accademico di Mantova, e Giacomo Albertolli, insegnante a Brera, libero da impegni professionali. Canonica tuttavia non fu escluso da ogni iniziativa. In quanto funzionario di Stato assistette gli architetti chiamati a dare parere, sembra aver accompagnato le tavole definitive – trasmesse a Parigi dal Comitato di governo – con parole che ne esaltavano i contenuti celebrativi (Brizio 1973, p. 415; ASMi, Comuni, 54); si firmò tra gli “associati” perché fossero incise le tavole illustrative poi ampiamente diffuse, e ancora si affiancò al progettista a dirigere le prime opere. Mentre venivano demolite le muraglie perimetrali della fortezza, dall’incarico di seguire i lavori fu escluso proprio l’Antolini quando Francesco Melzi, da pochi mesi insediato vicepresidente della Repubblica Italiana, ordinava di sospendere ogni finanziamento (28 giugno 1802; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 38) e insediava una nuova commissione esecutiva, comprendente lo stesso Canonica, un ingegnere nazionale, Giussani, e un generale, Bonfanti. In quei giorni un altro architetto giunto da Roma con la rivoluzione, Paolo Bargigli, proponeva di abbandonare il progetto ufficiale (23 maggio 1802; ibidem) e di sostituirlo con uno proprio, assai limitato, che non ebbe seguito. Quella proposta probabilmente non era soltanto opportunistica. Era ormai palese quanto fosse insufficiente il programma fino allora perseguito. Il disegno adottato esprimeva certo efficacemente i valori giacobini e descriveva un eccezionale monumento simbolico della rivoluzione, ma l’insieme non rispondeva pienamente ai bisogni della città. Si configurava come un centro direzionale, ma mancavano servizi in grado d’integrare o sostituire con pari efficacia quelli distribuiti capillarmente in ogni sestiere; il suo schema geometrico non poteva adattarsi al variare delle situazioni e osta- colava lo sviluppo dell’abitato con il quale si saldava faticosamente (fra l’altro due soli varchi pienamente carrabili si sarebbero aperti verso la trama viaria, mentre il perimetro esterno avrebbe presentato all’abitato i retri della piazza); il piano era inoltre sgradito ai militari che temevano menomata la propria competenza su quell’area; infine la spesa per realizzare l’impresa non era alla portata di contribuenti oberati da uno smisurato carico fiscale, né per la natura dei fini cercati poteva essere ridotta in misura accettabile. In quel momento d’incerte valutazioni, di contrasti di potere e di decisioni sospese si ripetevano, sui terreni livellati, adunate, celebrazioni e giochi e per questi erano allestiti abitualmente palchi di legno e gradinate provvisorie, la più apprezzata delle quali fu disegnata in figura di circo romano da Andrea Appiani, forse assistito da Canonica. A un privato desideroso di gestire spettacoli in proprio fu indicato un boschetto ai margini del Castello, verso la Porta Tenaglia. Mentre questo avveniva, Canonica interpretava i bisogni della città e gli orientamenti dei nuovi amministratori e redigeva un progetto che presentò con Bonfanti e Giussani un anno dopo l’avvento del Melzi, il 12 aprile 1803 (AMMe, D 465; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7). Come mostrano le immagini, il complesso avrebbe compreso oltre al Castello, restituito al suo intero perimetro quattrocentesco e con esterno rimodernato, una piazza d’armi – situata ai limiti della campagna al termine della strada del Sempione, circondata da filari e macchie d’alberi – e un quartiere abitativo e commerciale, distribuito in tre piazze di varie forme e dimensioni, la maggiore delle quali era destinata a “Foro” cittadino, come chiedeva la retorica di quegli anni: un’area compresa tra il cortile delle Milizie e l’abitato, conclusa da caseggiati a esedra, in parte porticati a colonne o pilastri, simili a quelli che a Parigi si andavano 79 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A profilando lungo le rues Castiglione e Rivoli e nella place des Pyramides. Come a Parigi, dietro le dimesse facciate di ogni isolato – intonacate, prive di lesene, soltanto decorate da fasce orizzontali e da balconate di ferro, come imposto dal disegno generale per adattare l’aspetto dei volumi ai vincoli topografici, agli spazi dilatati e alle effettive disponibilità d’intervento – i proprietari avrebbero ordinato a piacere l’interno. Strade radiali avrebbero assicurato una facile saldatura con l’abitato circostante. Al centro, tra il Foro e il Campo di Marte, il Castello avrebbe conservato i cortili (Ducale, della Rocchetta, delle Milizie) e la lunghissima cortina esterna della Ghirlanda, così da reggere a settentrione l’antistante spazio della Piazza d’Armi e la infinita prospettiva della strada per il Sempione. Al progetto si accompagnarono i provvedimenti amministrativi necessari per realizzarlo; si stabilì di lottizzare e vendere le aree destinate agli edifici privati, e di agevolare i lavori edili. La commissione incaricata di questi compiti fu sciolta (9 settembre 1803) con l’avvio della fase esecutiva. Il mercato tuttavia non rispose alle aspettative: ancora nel febbraio 1804 molti lotti non erano stati assegnati, e perciò il Ministero dell’Interno replicava in ottobre l’offerta di concessioni, privilegi e facilitazioni, senza per altro ottenere risultati incoraggianti (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 44). Intanto altre difficoltà sopraggiungevano. Frequenti manifestazioni civili – giochi, gare, spettacoli – ormai si svolgevano là dove si addestravano quotidianamente i militari (nel solo Castello ne erano raccolti circa 3000 con 360 cavalli) (Roncai 2005, pp. 128129) mentre stava per essere compiuto il tratto terminale della strada del Sempione e ancora attendeva di essere fondato il monumento celebrativo in forma di arco trionfale. Tutto questo concorreva a condizionare diversamente il futuro delle aree comprese tra le Porte Tenaglia e Vercellina, mentre un altro Ministero, quello della Guerra, si adoperava per riformare le pareti esterne del Castello, interessando il direttore delle fortificazioni, Gerolamo Rossi, intento allora ad accasermare migliaia di soldati in una decina di conventi cittadini soppressi e a dar sede moderna ai Veliti, la Guardia scelta appena istituita. A ciò si aggiunse il decreto napoleonico di dotare la città di un anfiteatro stabile che restituisse un ordine a quegli spazi (2 agosto 1805). Canonica fronteggiò la situazione 80 Schema ricostruttivo del primo disegno di Luigi Canonica per il Foro Bonaparte e la Piazza d’Armi (1803) sovrapposto in colore alla pianta di Milano pubblicata nel 1814 (disegno di G. Mezzanotte). proponendo un anfiteatro-circo ovale, dalle gradinate poco costose, da situare in un boschetto sopravvissuto verso la Porta Tenaglia, prossimo all’area militare (ASTi, Fondo Cattaneo, 3,7; Soldini 1981[a], p. 357, fig. 13; Soldini 1982[a], pp. 89-94; Parisi 1995, p. 59) e planimetricamente disimpegnato da quella. Osservazioni dell’imperatore, del viceré e dei ministeri lo indussero a modificare ancora il disegno, presentato il 3 gennaio 1807 e poi, con nuove varianti e conclusivamente, il mese successivo (10 febbraio 1807). Ciò avveniva poco prima che l’appena istituita Commissione d’Ornato (9 gennaio 1807) – composta da accademici e dallo stesso Canonica – redigesse il Piano dei rettifili, affrettatamente tracciato (settembre-dicembre 1807) su una planimetria che ancora rappresentava il Foro antoliniano, ormai abbandonato da cinque anni, e ignorava sia l’Arena, prossima a essere inaugurata (dicembre 1807), sia l’Arco delle Vittorie, nel frattempo fondato in luogo più esterno (14 ottobre 1807), con disegno di Cagnola analogo a quello del Schema ricostruttivo del progetto di Giovanni A. Antolini per il Foro Bonaparte (1801) sovrapposto in nero al complesso tracciato da Canonica, rappresentato in colore sulla pianta di Milano pubblicata nel 1814 (disegno di G. Mezzanotte). Carrousel, iniziato l’anno precedente tra le Tuileries e il Louvre. Così il quartiere si avviò a prendere il suo assetto completo superando anche durante i lavori situazioni in continuo sviluppo (caso non eccezionale in opere pubbliche ingenti), tra pressioni delle autorità, assegnazioni mancate e conseguenti correzioni e diversioni, nell’instabile momento economico, e ciò avvenne pur seguendo criteri che erano stati accennati nell’ormai lontano scritto iniziale. La risposta di Canonica – per il pensiero che ha controllato l’intero iter progettuale ed esecutivo, il procedimento osservato, il linguaggio architettonico e paesistico impiegato – fu speculare, opposta a quella di Antolini, che ripresentò i disegni originari anche in tardi anni successivi, come esempio prima e memoria poi. All’ideologia pietrificata Canonica oppose – con pari rigore intellettuale e legittimazione morale – le modalità del pensiero produttivo che gli era proprio, non riprese schemi ideali o ripeté esperienze già provate, ma adattò il patrimonio delle sue conoscenze e della sua sensibilità al va- riare delle circostanze e delle condizioni. Rispetto ai primi disegni e a quelli intermedi, l’assetto definitivo del quartiere napoleonico, rappresentato dalla carta di Milano del 1814, compiuto da Canonica, completato dal governo austriaco e conservato fino all’unità d’Italia, perse i fabbricati che nel corso dei lavori si erano rivelati non necessari alla popolazione, rimasta pressoché stazionaria nel primo decennio del secolo, e già dotata di servizi ben distribuiti nel tessuto urbano. Gli isolati edilizi furono sostituiti da alberi e prati, che si dilatarono in ariosi spazi prospettici, così come nella campagna lombarda le teorie dei pioppi da secoli disegnavano le praterie della pianura senza limiti con quinte infinitamente ripetute. Il quadrato Campo di Marte risultò raddoppiato, coprendo quaranta ettari di terreno recintati da un quadruplice filare di tigli e olmi, similmente al già attivato e più vasto campo di Montichiari (Fara 2006, pp. 58-59, figg. 25, 26). Vi si affacciavano, e ne segnavano gli assi, l’Arco Trionfale con la sterminata prospettiva al- PROGETTI E INTERVENTI URBANI Fabbriche da eseguirsi nel Foro Bonaparte in Milano», 1803; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 81. Luigi Canonica, «Prospetto delle Fabbriche da eseguirsi nel Foro Bonaparte in Milano», Stampa, 1803; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 369; 3, BC 370; 3, BC 371; 3, D 237. Luigi Canonica, «Pianta generale del Foro Bonaparte», Incisione di Giuseppe Caniani, 1803; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 465. Luigi Canonica, Planimetria generale, 1803; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Luigi Canonica, Prospetti di edifici sul Foro, 1803; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Luigi Canonica, Planimetria con le alberature intorno all’Arco della Pace, s. d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 456. Bibliografia citata Mezzanotte 1966; Brizio 1973; Giuseppe Pistocchi 1974; Kannès 1980[a]; Soldini 1981[a]; Kannès 1982; Soldini 1982[a]; Teyssot, Morachiello 1983; Maniglio Calcagno 1989; Scotti 1989; Parisi 1995; Godoli 2003; Roncai 2005; Fara 2006; Conforti Calcagni 2007; Consoli 2007. (g.m.) Schema ricostruttivo del progetto di Giuseppe Pistocchi (dopo il 1805) sovrapposto in nero alle aree ordinate da Canonica attorno al Castello, rappresentate in colore sulla pianta di Milano pubblicata nel 1814 (disegno di G. Mezzanotte). berata della strada da Parigi, l’Arena con il Pulvinare aperto su due fronti, e infine la parete della “Ghirlanda” sforzesca, lunga 300 metri, imponente fondale sul quale si rilevava il portale allineato con l’arco e con la strada del Sempione, disegnato da Gerolamo Rossi nel 1808 conformemente a quello immaginato nel 1803 da Canonica per la fronte verso la città (ASMi, Ministero della Guerra, 668 bis). Prati e alberi orientati su fughe multiple davano forma al “Foro”: una piazza a giardino conclusa da esedre su tre lati, assai lontana dalle memorie romane che il titolo attribuitole avrebbe voluto riproporre. Altri viali alberati collegarono il “Foro” con l’abitato, raggiunsero le porte urbiche adiacenti, percorsero e affiancarono i bastioni fino alla Porta Orientale, dove il complesso napoleonico si saldò con i giardini e i “boschetti” voluti dal regime precedente e disegnati da Piermarini, il maestro di Canonica (Conforti Calcagni 2007, pp. 71-77). Con ciò un vario e vivace sistema di giardini esteso per tre chilometri – uno spazio magnifico e poco costoso Il quartiere napoleonico del Sempione, raffigurato dalla pianta di Milano pubblicata nel 1814. – diede per qualche decennio alla città il respiro di capitale, fino allora sconosciuto, rispecchiando alla lontana le suggestioni offerte dal Campo di Marte parigino, che tra l’Ecole Militaire e la collina di Chaillot era teatro di memorabili spettacoli civili e parate militari. Ancor più accoglieva il modo ormai diffuso in tutta Europa di controllare le urbanizzazioni per mezzo di ampie aree verdi e pochi capisaldi monumentali, come voleva lo spirito paesaggistico introdotto e diffuso in tutto il continente dal classicismo degli ultimi Capetingi. Questo complesso milanese rispose in modo coerente e flessibile – quasi miracolosamente – ai tanti e variati eventi che nel corso del decennio andavano modificando la vita della città, a partire da quando la prima repubblica era stata proclamata nell’unico spazio disponibile, l’illustre ma inadeguato Lazzaretto di Porta Orientale. Non introdusse episodi dominanti e monumentali, esaltò piuttosto l’insieme paesistico uniformato da spazi aperti e fughe di strade certo scenografiche, ma motivate da abitudini e da bisogni di pratico uso. Come contemporaneamente sperimentava nella Villa di Monza, dove strutturava l’immenso Parco per mezzo di rettilinei viali alberati apparentemente sterminati (Maniglio Calcagno 1989, pp. 6175), impiegò il gusto classicista proprio dei giardini sei e settecenteschi francesi e dei maggiori episodi urbani di Parigi e di Londra, e lo fece convivere – nell’arco trionfale, nell’Arena, nel Castello recuperato – con esempi figurativi antichi piegati analogicamente all’attualità, e anche con secolari caratteri regionali. Si saldò in modo necessario e naturale con l’abitato esistente, ridusse il Piano dei rettifili a esercizio grafico senza futuro, mostrò l’opportunità di confermare e riabilitare il centro antico della città, la piazza del Duomo, cuore della vita milanese, come comprese e suggerì, dapprima in anticipo, poi a tempo scaduto, il faentino Giuseppe Pistocchi (Godoli 2003, p. 43) e disconobbero le generazioni seguenti. Disegni Luigi Canonica, «Prospetto delle Castello Sforzesco, Milano 1800-1807 Con l’arrivo dei Francesi a Milano, le vicende del Castello Sforzesco s’intersecano inevitabilmente con i progetti presentati per Foro Bonaparte, già a partire dalla relazione sul piano per la «Città Bonaparte» datata 13 luglio 1800, nella quale il «fabbricato interno del Castello» è lasciato «ad uso di caserme e magazzini militari, fonderie, fabbriche d’armi, ed altre manifatture militari» (ASMi, Comuni, 54). Sia il piano di Canonica, sia quelli di Antonio Cassina (il primo in data 25 settembre 1800, il successivo datato 25 febbraio 1801 e relativo disegno in ASMi, Ministero della Guerra, 560 e 561) furono respinti da Bianchi d’Adda, «ispettore generale della guerra», all’interno di una relazione inviata al Comitato di governo (Sommariva, Visconti, Ruga) il 7 ottobre 1800 (ASMi, Ministero della Guerra, 561), favorendo così Antolini. Parallelamente alla presentazione dei vari progetti per l’intera area proseguirono le opere di smantellamento delle fortificazioni, decise da Bonaparte il 23 giugno 1800 e affi- 81 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A «Prospetto delle Fabbriche da eseguirsi nel Foro Bonaparte in Milano», incisione, 1803; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 369, Piazza d’Armi, Arco delle Vittorie, inizio della strada del Sempione, Milano, planimetria, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 456, 82 date prima a Luigi Canonica e Ferrante Giussani (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 38) e successivamente al colonnello Gerolamo Rossi, nominato responsabile delle opere di demolizione e, in un secondo tempo, direttore delle stesse fortificazioni. Dalla ricca documentazione conservata negli archivi milanesi, appare evidente la diversità di vedute tra Antolini e i militari sulla futura destinazione dell’edificio e su come questi ultimi rivendicassero l’utilizzo dell’area circostante al Castello per scopi militari, contrariamente all’uso civile e pubblico voluto da Antolini. Fu proprio lo stesso architetto a far approvare un decreto di sospensione dei lavori, datato 27 luglio 1801, perché giudicati «in opposizione col piano di edificazione del Foro Bonaparte» (ASMi, Ministero della Guerra, 560) e a far sciogliere la Commissione militare per le demolizioni il 7 ottobre dello stesso anno. Le opere intraprese, riguardanti lo spianamento delle mura e l’eliminazione di acque stagnanti, avevano pregiudicato l’abitabilità di questo edificio, come è possibile rilevare dal cospicuo carteggio tra la direzione generale del Genio, la Commissione nominata per il Foro Bonaparte, Giuseppe Antolini e il Ministero della Guerra (ibidem; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 38). Per ovviare al problema igienico creato dalle acque stagnanti, Rossi aveva anche avanzato una proposta di costruire un canale per immettere nuovamente l’acqua nella fossa del Castello, secondo un piano che si scontrava con le soluzioni previste da Antolini (ASMi, Ministero della Guerra, 667). Un’altra occasione di contrasto fu il tracciato del viale d’accesso dalla città al Castello, dalla contrada di San Vincenzino (23 maggio 1802): Antolini e Beccaria si trovarono in disaccordo con le scelte avanzate dal generale Bonfanti e dal colonnello Rossi, rappresentanti del Ministero della Guerra. Lo stesso Rossi, circa un anno prima della relazione presentata al ministro degli Affari Interni da Bonfanti, Giussani e Canonica per il Foro Bonaparte (12 aprile 1803; AMMe, Fondo Canonica, XVI, 254; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 39), presentò il 27 luglio 1802 un progetto per la costruzione di una nuova caserma sul perimetro dell’antica cinta di mura della Ghirlanda, a destra della Porta del Soccorso, poi approvato il 2 agosto 1802. Inoltre, il 6 maggio 1803 fu accettato un suo ulteriore PROGETTI E INTERVENTI URBANI progetto per la prosecuzione della costruzione della «nuova caserma» nel corpo settentrionale del Castello (ASMi, Ministero della Guerra, 667). Come soprintendente generale alle Fabbriche nazionali, Canonica fu coinvolto in più occasioni nella verifica di alcune opere necessarie al Castello, destinato e adattato anche con nuove costruzioni a carcere e caserma militare. Per esempio, il 17 luglio del 1802, per l’alto numero di prigionieri ospitati nelle diverse carceri cittadine, fu chiamato a studiare una soluzione per adattare alcuni locali sotterranei a questo scopo e, ancora nell’ottobre 1803, gli fu chiesto di giudicare le proposte presentate da Rossi relative alla porta verso la Piazza d’Armi e la conseguente demolizione del maschio alla Porta del Soccorso (ibidem). Un vero e proprio progetto architettonico per il Foro fu presentato da Canonica nel marzo e nell’aprile 1803. Dalla descrizione del progetto, datata 12 aprile 1803 (31 marzo 1803, ASMi, Fondi Camerali, p.m., 39; 12 aprile 1803, AMMe, Fondo Canonica, XVI, 254), sappiamo che l’architetto ticinese aveva tracciato verso la città un’ampia piazza – «Piazza di pubblico passeggio ornata col monumento dedicato al Primo Console Presidente della Repubblica Italiana, due fontane e fabbriche all’intorno da erigersi» –, biabsidata e porticata con una terza esedra, disegnata da alberature, e prevedeva il mantenimento della funzione militare, conservando quanto rimaneva dell’antico Castello, compresa una parte della Ghirlanda, raccordata alle mura più interne da due corpi di fabbrica con logge (vedi scheda su Foro Bonaparte in questo stesso volume). Nel disegno “B” allegato alla relazione illustrò la proposta di «abbellimento» della facciata del Castello verso la città: «per un tratto di economia di risanare li due torrioni tali «Progetto per la facciata della Caserma al Foro Bonaparte verso la città», Milano, 1803; Milano, Civiche Raccolta d’Arte, Gabinetto dei Disegni. Gerolamo Rossi, «Progetto del Prospetto del Castello al Foro Bonaparte verso la Città», Milano, 1805; Milano, Civiche Raccolta d’Arte, Gabinetto dei Disegni. Gerolamo Rossi, «Prospetto del Castello al Foro Bonaparte verso la gran Piazza d’Armi e pianta della porta», Milano, 1805; Milano, Civiche Raccolta d’Arte, Gabinetto dei Disegni. e quali si trovano. Una soda cornice che porti una corrispondente balaustrata servirà ad ornarli: la sua superficie superiore potrà dividersi in diverse gradinate regolari circolari a modo d’anfiteatro. Questi due torrioni così abbelliti regolati potranno servire al Governo ed alle autorità al caso di qualche pubblico spettacolo. Tra l’un torrione e l’altro vi è disegnato l’abbellimento che crederessimo di fare esteriormente tanto a quel gran fabbricato che alla porta d’ingresso nel castello. L’architettura che abbiamo divisata regge a fronte de’ detti torrioni e si è regolata in modo che serva benissimo anche all’interna distribuzione per l’alloggio degli ufficiali» (AMMe, Fondo Canonica, XVI, 255). Nel disegno oggi conservato presso il Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano, il lungo fronte della caserma appare regolarizzato dall’alternarsi di campi in bugnato, con lo stesso disegno delle due torri circolari, ed epigrafi sormontate da emblemi cisalpini, a campi con muratura in laterizio con finestre semicircolari a bugne sormontate da bassorilievi. Una cornice dentellata e il camminamento coperto unificava la parte superiore. Al centro, sul modello dei numerosi portali milanesi a colonne binate, troviamo una sorta di porta urbica tetrastila di ordine dorico arcaico e attico decorato con vittorie alate. Canonica fu nuovamente coinvolto nelle vicende del Castello nel giugno 1805, quando Rossi inviò un progetto per un padiglione da realizzare tra i due torrioni. La spesa per la facciata esterna fu giudicata di competenza del Ministero dell’Interno e l’architetto fu interpellato per «fare il disegno della facciata esterna che vada d’accordo col progetto del colonnello Rossi» (ASMi, Ministero della Guerra, 667). Quest’ultima indicazione ha fatto ipotizzare (Soldini 1981[a]) una collaborazione tra Rossi e Canonica nell’ideazione dei nuovi prospetti, oggi conservati al Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano (Progetto del prospetto del Castello al Foro Bonaparte verso la città fatto per ordine di s.e. il Ministro della Guerra; Prospetto del Castello al Foro Bonaparte verso la gran piazza d’Armi e pianta della Porta firmati da Gerolamo Rossi e datati ottobre 1805). La possibile collaborazione è non completamente esclusa neppure da Kannès (1980[a]), ma ritenuta molto poco probabile da Aurora Scotti (1989). 83 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Pochi mesi dopo, nell’agosto 1805, il viceré, Eugenio di Beauharnais, approvò secondo precise indicazioni di Napoleone il piano per Foro Bonaparte presentato da Canonica, poi rivisto alla fine del 1806 con l’ampliamento della Piazza d’Armi. A Rossi si deve anche la predisposizione di un piano generale per l’area (18 novembre 1806; ASMi, Ministero della Guerra, 668), del progetto per una porta trionfale corrispondente all’arco del Sempione (1807), di un nuovo disegno per la facciata del Castello verso la Piazza d’Armi (29 giugno 1808; ASMi, Ministero della Guerra, 668 bis) e di una serie di tavole per la sistemazione del Castello, presentate a Beauharnais (31 ottobre 1810; ibidem). Disegni Luigi Canonica, «Progetto per la facciata della caserma al Foro Bonaparte verso la città», 1803; Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano. [Luigi Canonica], «Facciata dell’esistente caseggiato del demolito Castello di Milano», 6 ottobre 1802; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Bibliografia Calvi 1886, pp. 296-297; Beltrami, Del Mayno 1894, pp. 217, 219; Mezzanotte 1966, pp. 281-289; Westfall 1969, pp. 370-372; Brizio 1973, pp. 423-424; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 56; Kannès 1980[a], pp. 107-110; Soldini 1981[a], pp. 352354; Soldini 1982[a]; Soldini 1982[b]; Scotti 1989, pp. 227-249; Patetta, Parisi 1995, pp. 98-100; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 18; Gallo 1996, p. 93; Scotti Tosini 2005[a], p. 218. (f.r.) Arena, Milano 1803-1827 Difficilmente di questo edificio possono essere compresi il significato civile e la rilevanza architettonica quando si trascuri di considerare il suo rapporto con le vicende che ne accompagnarono l’origine e la sua appartenenza al Foro Bonaparte, il più importante episodio neoclassico milanese. Esso rispecchia il tormentato succedersi di situazioni che ne accompagnò l’ideazione e il compimento, e ne rappresenta con l’Arco del Sempione la componente sopravvissuta più vistosa. Rimanda cioè ai demoliti baluardi e agli ap- 84 Arena, Milano, pianta con studio delle fondazioni, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 429. pianati fossati del Castello, alle ampie aree aperte dalla seconda Cisalpina ai margini dell’abitato, attorno ai cortili sforzeschi, e subito fatte teatro di feste celebrative, parate militari e spettacoli di intrattenimento adatti al pubblico non richiamato dai teatri cittadini. Già abitualmente la folla si raccoglieva nella piazza del Castello, dove nel secolo precedente erano transitati cortei di carrozze, si erano tenute celebrazioni ufficiali, svolte elementari forme di divertimento popolare, e si erano esercitate formazioni di armati. Qui da qualche anno erano state riproposte le manifestazioni parigine che nel Campo di Marte presso l’Ecole Militaire avevano celebrato gli eventi della rivoluzione e le tappe dell’avventura napoleonica. Stabilita anche a Milano l’amministrazione francese, ripetute cerimonie e frequenti allestimenti fittizi – in aspetto di archi e colonne, altari, fuochi, statue e tempietti – avevano ricordato spettacolarmente ai cittadini le virtù antiche e l’eroismo presente, allo scopo di istruirli e persuaderli. In quelle circostanze al pubblico richiamato dallo spettacolo erano appunto dirette le note rappresentazioni didascaliche specialmente ad esso commisurate; poiché però l’interesse per i divertimenti, già presente nei primi incontri, andò col tempo pre- valendo su quello per gli allestimenti simbolici, l’aspetto ludico e quello militare attrassero progressivamente i governanti, pur fra molte diversioni e progetti opposti. Alle prime cerimonie apparecchiate occasionalmente da architetti, pittori e coreografi, e a quelle approntate da privati, nell’ambiente reso informe dalle recenti demolizioni, non seguirono subito misure appropriate e permanenti. I primi tentativi di dar ordine a quel settore della città furono infatti quanto mai lontani dalla realtà in atto, dai bisogni e dagli interessi comuni. Appena allontanati gli Austriaci, a venti giorni dall’ordine di demolire i baluardi della fortezza, prima ancora che fossero indette le gare per i lavori, una memoria di Luigi Canonica aveva proposto nel luglio del 1800 di dilatare l’abitato istituendo qui una «Città Bonaparte», un quartiere residenziale e militare attiguo ai cortili sforzeschi, compreso nelle mura urbiche, al quale si sarebbe acceduto anche dalla campagna attraversando una porta in forma di arco trionfale, celebrativo dell’Eroe. Il Comitato governativo aveva risposto subito manifestando invece l’intenzione di stabilire attorno al Castello una sorta di centro direzionale, capace di ospitare alcuni luoghi della vita pubblica, oltre che un centinaio di botteghe, come appunto era de- scritto dal progetto di un «Foro Bonaparte» commissionato all’architetto Antolini e presentato a fine anno. La geometrica assolutezza e la lucida espressione dei contenuti dottrinari di quel disegno, destinato a una celebrità europea, impressionarono i committenti e il pubblico. E tuttavia questo progetto, pur fortemente comunicativo delle emozioni del momento e propagandato per mezzo di una buona campagna pubblicitaria, risultò ostacolato da una serie di difficoltà. Quando ai primi amministratori si sostituì il governo di Melzi, non soltanto il costo delle opere fu giudicato insostenibile in tempi brevi dalla città già oberata da smisurati contributi. Il complesso edilizio proposto parve anche incertamente vitale, estraneo o d’impedimento a quanto qui avveniva naturalmente, e alla miriade di attività, commerci, servizi, attrazioni e luoghi d’incontro altrove capillarmente distribuiti nell’abitato tanto esteso e composito. Si aggiunga la presenza, al centro del complesso, dei militari della fortezza, che difficilmente avrebbero rinunciato a quella posizione dominante. Il progetto era reso anche poco promettente dal rigido disegno della sua figura volumetrica: il noto cerchio porticato di mezzo chilometro di diametro, dotato di due soli varchi carrabili, lungo il quale erano distribuite attorno al PROGETTI E INTERVENTI URBANI Ambrogio Barioli, da un disegno di Alessandro Sanquirico, veduta dell’Arena, s.d., incisione; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 435. Palazzo del Governo sale per assemblee, Teatro, Terme, Borsa, Dogana, Museo, Pantheon e botteghe con abitazioni relative. Disposti in quell’area periferica, distribuiti in tal modo e con quelle destinazioni, gli istituti e le attività previste avrebbero incontrato difficoltà a dialogare con l’abitato, bloccato nel suo prevedibile sviluppo proprio da quella presenza immutabile e non integrabile (Soldini 1981[a], pp. 362-364; Soldini 1982[a]). Non appena dunque risultò difficile dar seguito al progetto di Antolini, Luigi Canonica si preoccupò di precisare la prima proposta, immaginando un sistema che rispondesse, anche più economicamente, ai bisogni e alle aspettative comuni dell’abitato, o almeno non li contrastasse, fosse in grado di adattarsi a futuri assetti diversi e si prestasse nel presente a un uso promiscuo. Il primo disegno per il quartiere, aderente all’abitato e facilmente permeabile, avrebbe conservato le corti del Castello, aperto una piazza civile e una piazza d’armi sulle sue due fronti, eretto isolati residenziali, confermata la già prevista porta trionfale al termine della strada del Sempione e destinato a giardino alcune aree perimetrali. Quando fu chiaro che lo stato economico e l’andamento demografico non promettevano futuro all’edilizia abitativa, il progetto fu aggiornato sostituendo alle aree edifi- cabili prati e alberi e raddoppiando la Piazza d’Armi, circondata da una cortina verde; infine in luogo di previsti «boschetti per il pubblico passeggio» – là dove un tempo era stata tracciata la “tenaglia” fortificata – fu disegnato un anfiteatro stabile, il primo di tale ampiezza dall’età romana. Questo impianto raccoglieva l’usanza recente di disporre qui in tribune di legno, tela e gesso il pubblico richiamato dalle ormai ripetute e frequenti corse di cavalli e carri, gare indette dapprima a contorno delle solennità pubbliche, ma ormai richieste anche per solo intrattenimento. Similmente la Piazza d’Armi poteva unire ormai usi militari e opportunità civili, come di fatto avvenne, ripetendo l’esempio del Campo di Marte parigino. A Milano la vasta area ricalcava gli ariosi giardini dove presso il Castello avevano corso un tempo i cavalli di Filippo Maria Visconti (Calvi 1892, p. 25) e poi per Francesco Sforza convivevano cervi, caprioli e lepri (Beltrami 1894, pp. 201202). Ora, quest’area verde, circondata in anni napoleonici da alberi e architetture monumentali, rispose non soltanto a bisogni esclusivamente militari, alle esercitazioni e alle parate degli armati, ma si aprì abitualmente alle carrozze, ai cavalieri, agli spettacoli (dalle escursioni in pallone alle cavalcate ai fuochi artificiali); ca- duto poi l’impero, qui si andò «a prender aria, darsi bel tempo, e cantar le lodi della pace» (Tatti, II, 1844). Ciò si protrasse fino alla sua trasformazione nell’attuale parco (1890-1894) e all’apertura dell’ippodromo di San Siro: non luogo estraneo alla città, dunque, ma richiamo e meta di un pubblico vario, in simbiosi con l’Arena, costruita appunto contemporaneamente in sua contiguità e come sua parte. La decisione di allestire l’Arena concludeva quindi una serie di precedenti, comuni a tanti centri italiani e francesi. Per quanto sappiamo, a Genova già nel 1797 era stato proposto di aprire una piazza ovale, con tratti a gradinata, «per uso delle feste patriottiche» e insieme per le «evoluzioni militari», per altro non eseguita (Fara 2006, pp. 58, 59, XLVI). A Milano invece l’iniziativa rispondeva a un’abitudine ormai acquisita, rappresentata negli anni recenti dalle tribune montate – a baluardi non ancora demoliti – sulla piazza del Castello e sui fianchi delle sue mura per festeggiare la pace di Lunéville e la posa della prima pietra del “Foro” antoliniano (30 aprile 1801). Quando poi fu chiesto da un privato di erigere per uso venale un «anfiteatro» provvisorio (8 novembre 1802) fu indicato come adatto il «boschetto» verso Porta Tenaglia, ai limiti del- la Piazza d’Armi ancora non tracciata e livellata (Scotti 1989, p. 225). E più tardi, mentre si costruiva l’anfiteatrocirco e si livellava la Piazza d’Armi, ancora un privato chiese di allestire a proprie spese un «gioco del pallone» sul fianco orientale del Castello (AMMe, Fondo Canonica, XVI, 290, 297, 298, 307, 311). Così l’industria dello spettacolo già affiancava la politica di massa, occupando l’area che fu poi destinata all’anfiteatro pubblico e meta di infiniti assembramenti. Per la Festa nazionale della Repubblica Italiana del 1803 (26 giugno), ancora sulla piazza del Castello, di fronte alla fortezza e verso l’abitato, un apparato provvisorio aveva visto uno straordinario concorso di pubblico, richiamato dalle prime bighe e dal sensazionale insieme disegnato alla romana da Appiani, forse con Canonica, celebrato dall’abilità incisoria di Sanquirico. Qui con le tribune (disposte su un solo lato) apparvero «carceri» per cavalli e carri, e fu apparecchiata una «spina» con colonne, statue, tripodi fiammeggianti, mete, cui si aggiungeva un «pulvinare» dotato di loggiato a colonne. Questi erano gli episodi attribuiti per remota e documentata conoscenza al circo, e prefigurarono approssimatamente l’edificio costruito più tardi nell’Arena. Il materiale impiegato in questa occasione era poi stato riutilizzato negli anni seguenti per analoghi spettacoli, finché fu agibile l’apparato definitivo (Bosi 2002[a], p. 61; Selvafolta 2003, p. 182). Con una decisione soltanto apparentemente improvvisa, Napoleone approvava perciò il 2 agosto 1805 il piano perché fosse costruito un anfiteatro-circo stabile, destinato a ospitare e disciplinare il pubblico delle ripetute cerimonie ufficiali e private, fatte di spettacoli e giochi: quella decisione risultava appunto dettata proprio dalla successione di premesse, condizioni ed esperienze che si è cercato qui di descrivere. Si può presumere che il progetto fosse allora già definito nelle grandi linee sullo schema dell’impianto del 1803, sebbene le tavole di progetto giunte a noi non consentano di ricostruire interamente il percorso ideativo. La struttura complessiva appare subito nella forma del perimetro ovale proprio di anfiteatro a cui sono innestati gli episodi principali di ogni circo: la Porta Trionfale, quella Libitinaria, le Carceri e il Pulvinare. Ciò risulta nei disegni ritenuti iniziali e addirittura nelle molte vedute incise in anni repubblicani, dove sono rappresentate 85 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Arena, Milano, Pulvinare, prospetto verso la Piazza d’Armi, primo progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 431. davanti e attorno al Castello alcune tribune provvisorie. Benché l’abitudine di alzare occasionalmente gradinate di legno e “teatri diurni” non fosse mai venuta meno in piazze e strade pubbliche, a Milano come a Parigi, forse in quegli apparati recenti furono esperite prove utili a condurre ai risultati e alle mediazioni più efficaci e durature, raggiunti poi nel corso di venti anni di intermittenti lavori murari, protratti pur nell’uso ininterrotto dell’Arena e della Cavea. E infatti inizialmente furono eretti soltanto i muri perimetrali e i terrapieni portanti le gradinate erbose. Soltanto successivamente, tra il 1807 e il 1813 (quando furono completate la Porta Trionfale e il Pulvinare) e poi dopo il 1815 (quando furono alzate la Porta Libitinaria e le torri delle Carceri) le mura di pietre e mattoni sostituirono gradualmente le parti di legno, tela e gesso erette in luogo delle architetture monumentali. Nell’imminenza delle feste del 1807 erano ancora di legno il Pulvinare e la spina, alcune scale d’ingresso, le Carceri e perfino il parapetto dello spalto terminale (AMMe, Fondo Canonica, XVI, 339; 16 giugno 1807). Tuttavia il complesso apparve completo, almeno alla vista, in ogni sua parte già quando, il 18 agosto 1807, i primi cavalli percorsero il campo, quando in settembre il primo pallone aerostatico fu fatto alzare e la prima naumachia fu rappresentata, il 17 dicembre, alla presenza di Napoleone (Mantovani, III, 1985-1994). 86 I carteggi amministrativi descrivono il virtuosismo dispiegato dai costruttori, all’approssimarsi delle scadenze, preoccupati di rispettare i tempi imposti, trovare e impiegare il materiale più economico necessario e la mano d’opera sufficiente. Nel 1808, quando si tenne un pranzo dedicato agli uomini del generale Pino, evento rimasto nella memoria dei contemporanei (Topografia storica di Milano 1844-1846, pp. 15-17; Cusani, VI, 1861-1884, pp. 239-242), ancora mancavano le porte principali e le Carceri, mentre del Pulvinare le sole fondazioni risultavano gettate (Borroni 1808, p. 130). Per le cerimonie successive ancora mancavano i capitelli e l’intera trabeazione nel loggiato affacciato all’Arena; anche la fronte esterna, verso la Piazza d’Armi, era rimasta al rustico. Si rimediò inizialmente con legni intagliati e decorati; i capitelli definitivi di arenaria (pietra di Viggiù, pietra d’Arzo) sembrano essere stati eseguiti da Grazioso Rusca, protostatuario del Duomo, al quale sono dovuti sicuramente le dodici teste di leone, consegnate nel 1811 e applicate alla balconata esterna (nota di Rusca, 25 maggio 1811 in AMMe, Fondo Canonica, XVI, 359). La Porta Trionfale era invece terminata nel 1813, quella Libitinaria nel 1824 (Ferrario 1843, p. 139); alle torri dell’oppidum si lavorava ancora nell’agosto del 1826, quando sullo spalto i platani erano cresciuti a dismisura (AMMe, Fondo Canonica, XXXVI, 463). Già dagli iniziali movimenti e dal manifestarsi delle pubbliche emozioni era parso chiaro come interessare e raccogliere il pubblico, ricorrendo a spettacoli elementari, vari e frequenti. Come in antico, godevano favore corse di carri, cavalli e fantini, finte battaglie terrestri e navali, regate, gare ginniche e sfilate allegoriche, ma anche richiamavano folla banchetti all’aperto, ascensioni in pallone, fuochi pirotecnici e quant’altro potesse impressionare e intrattenere. In qualche caso, per assistere ai fuochi artificiali e alle ascese in pallone, la folla invadeva anche la Piazza d’Armi. Quanto alla collocazione dell’edificio e alle forme scelte, concorsero probabilmente il ripetersi degli incontri, il diffondersi del gusto per gli spettacoli all’aperto, l’utile assicurato agli impresari e coreografi a consigliarle, dando stabilità alle ormai usuali tribune e inducendo a ricorrere, come il gusto voleva, ai suggerimenti offerti dall’antichità. Teatri, stadi, anfiteatri, circhi, ippodromi, naumachie imperiali erano ben conosciuti, e la loro memoria era tenuta viva da una gran messe di vedute, rilievi, descrizioni scritte, ricostruzioni ideali. Il costruttore appena informato poteva far riferimento principalmente alle descrizioni grafiche di anfiteatri e circhi eseguite da Panvinio (1580, 1600), Lauro (16101615), Desgodetz (1682), Fabretti (1690), a quelle più recenti di Maffei (1728), Francesco Piranesi (1781), Bianconi (1789), Guattani (1795), ma anche alle vedute incise da Du Pérac (1575), a quelle pubblicate da Lafrery, perfino alla voce Antiquité dell’Encyclopédie, alle ultime tavole di Durand (1801) e a una moltitudine di richiami di ogni genere, oltre che alla conoscenza diretta degli antichi avanzi. Le ripetitive ricostruzioni ideali e i dettagli ripresi da tanti edifici suggerivano il repertorio da cui sviluppare i temi più adatti per l’impianto moderno. Fra queste raffigurazioni, per la loro attendibilità e ricchezza documentaria, offrivano le più complete e utili indicazioni nelle circostanze date le splendide tavole di Panvinio e quelle dettagliate di Uggeri e Bianconi dedicate al circo di Massenzio presso la via Appia a Roma. Queste ultime erano risultate da più campagne di rilievo, eseguite anche utilizzando le conoscenze acquisite dalle ricerche fino allora compiute sul meglio conservato tra i circhi di Roma antica, per secoli l’ultimo impianto murato in occidente e tale rimasto dal quarto secolo – quando si tennero le ultime corse – fino agli anni di Napoleone. Le locali esperienze recenti orientarono ad adottare un edificio che componesse le opportunità offerte dall’anfiteatro e dal circo insieme. Fu disegnata una cavea capace di contenere 30.000 spettatori; cifra lontana da quella attribuita ai più celebri edifici del passato (Colosseo, 50.000 ca; Capua, 60.000 ca; circo Massimo, forse 150.000 secondo Panvinio, 250.000 secondo Plinio; ippodromo di Costantinopoli, 80.000 ca o più). Il tracciato ovale fu suggerito dagli usi richiesti e dall’area disponibile fors’anche più che dall’intenzione di richiamare simbolicamente la memoria degli anfiteatri più noti. Così disegnato, quell’impianto consentiva di raccogliere spettacoli propri in antichità degli anfiteatri e delle naumachie (le gare, le parate, le regate) ma, opportunamente dimensionato e dotato di adatti padiglioni, permetteva di tenere anche le più comuni corse di carri e cavalli, certamente più frequenti ed economiche. La sua lunghezza (238 m) risulta largamente inferiore a quella di ogni circo antico, sempre a rettangolo molto allungato concluso da curve nei lati più brevi, ma è superiore a quella degli anfiteatri (Colosseo, 188 m, Capua 167 m, Nîmes, 133 m). La sua larghezza (116 m) è pari a quella del circo giustinianeo (120 m), ma supera quella dei circhi Massimo (ca 80 m), Vaticano (ca 80 m), e di Massenzio (ca 75 m) sic- PROGETTI E INTERVENTI URBANI ché il rapporto tra le due maggiori dimensioni (ca 2,05) è inferiore a quella media dei circhi (Massimo, ca 6,8, Massenzio, ca 6,3); ma superiore a quella media degli anfiteatri, da Alberti indicata in 1,14 oppure 1,33 (Alberti 1546, VIII, 8). Perché appunto l’area si adattasse facilmente a ogni circostanza, la spina fu resa mobile, unica oppure raddoppiata in due sequenze parallele o rimossa a seconda del bisogno. Queste spine – scrisse il contemporaneo Durelli nel 1820-1821 – «sono tutte mobili […] in occasione di naumachie vengono disposte in una sola linea […] e negli altri spettacoli vengono collocate su due linee parallele» (Durelli 1820-1821, Arena; cfr. Milano all’inizio dell’Ottocento 1992) come mostrano le tante vedute incise in quegli anni. All’interno del circuito e aderente al podio si fece scorrere l’Euripo, il fossato e corso d’acqua perimetrale che – come già nel circo Massimo e nel Flaminio (Bianconi 1789, p. 50) e in altri ancora (nell’anfiteatro di Frejus e anche in quello di Assisi, come descrisse Antolini) (Antolini 1828, Appendice, VI) – proteggeva gli spettatori e permetteva d’inondare l’Arena per rappresentare regate o storiche battaglie navali oltre che per modernamente trasformarla in patinoire invernale. A questo scopo il piano dell’Arena fu tenuto assai più basso del terreno circostante. Un fossato così disposto pare essere esistito anche in altri simili edifici romani, come s’è detto, ma non nel circo di Massenzio, spesso citato come modello dell’edificio napoleonico. La cavea disegnata da Canonica consiste in una gradinata ovale di dieci gradini, compresi tra un podio e lo spalto terminale. Diversamente dagli anfiteatri, ne emergono e la interrompono i volumi propri dei circhi: la Porta Trionfale (l’ingresso all’Arena per i cortei), la Porta Libitinaria (l’uscita per i carri), le Carceri (i ricoveri per i carri, i cavalli e le torri) e il Pulvinare, riservato alle autorità, dotato di un proprio ingresso a portico, scala, sale e loggiato. La cavea non è ripartita da passaggi orizzontali, intermedi tra il podio e la sommità (le praecinctiones), non aveva sotterranei, camminamenti interni anulari, vomitori, né è coperta da loggiato nella parte alta. Poiché anche all’esterno mancano porticati, altrimenti utili a proteggere e distribuire la folla, gli spettatori salivano dalle otto porte minori aperte nel muro perimetrale direttamente allo spalto terminale alberato, come non sembra essere mai avvenuto nell’antichità. Da qui raggiungevano i sedili per mezzo delle comuni scalette, a servizio dei settori della gradinata. A Milano queste scalette di pietra appoggiano su archi retti da pilastri affondati nel terrapieno che sosteneva la cavea e formava i gradini (BC-AMMe, BC 434). Salvo che nei cunei corrispondenti al Pulvinare, gli spettatori sedevano dunque su “zolle erbose”, forse coperte in qualche occasione da assi di legno (Sacchi 1835, pp. 67-69; Cantù, I, 1844, p. 361; Cusani, III, 18611884, p. 14; Mongeri 1872, p. 388). Ciò è avvenuto fino al 1928, quando furono collocati meno precari sedili di granito (Reggiori 1947, p. 429), fu eliminato l’Euripo e inseriti, sotto due gradinate, ambienti d’appoggio. Naturalmente questa disposizione elementare ed economica si rifaceva ai primitivi anfiteatri e circhi, dove gli spettatori sedevano sui pendii di terra accumulata appunto per disporre nel modo più semplice la cavea attorno allo spazio centrale. Modernamente, quindici anni prima che l’Arena di Milano prendesse forma, al Campo di Marte di Parigi con rialzi di terra e sedili erbosi era stato tracciato, nell’immenso spazio tra l’Ecole Militaire e la Senna, l’anfiteatro e circo allestito per raccogliere gli spetta- tori delle parate, cerimonie, gare e feste indette per celebrare la rivoluzione e poi divenuto centro d’incontro mondano (Flaubert 1884; Mosser, Rabreau 1983; Vovelle, I, 1988-1989, p. 13; II, passim; IV, p. 267; V, p. 158). A Parigi l’insieme era stato incorniciato spettacolarmente da più filari di alberi, così come alberi – un tempo in doppia fila – concludono in sommità il circuito dell’Arena di Milano. Qui l’ovale alberato integrava le aree verdi adiacenti, si saldava – per mezzo della strada voluta da Eugenio di Beauharnais nel 1806 – ai passeggi alberati apprestati già dal vecchio regime sui bastioni spagnoli fino alla Porta Orientale e ai vicini boschetti e giardini. Così un unico sistema regolava un settore cittadino, tanto esteso da comprendere appunto, tra il Castello e la Porta Orientale, i giardini del “Foro”, la Piazza d’Armi, l’Arena, i bastioni alberati, strade e spazi verdi (Soldini 1981[a], pp. 362-363): un complesso organico formato interpretando i suggerimenti offerti dal succedersi delle opportunità e dal mutare delle necessità, controllate efficacemente da Canonica. Questa sistemazione prese forma, infatti, soltanto nel corso dei lavori avviati attorno al Castello, quando fu raddoppiata la superficie destinata al- la Piazza d’Armi. Grazie a quel provvedimento, l’Arena poté essere posta come episodio tra i fondamentali, affacciato alla vasta area con il Castello e l’Arco del Sempione, mentre la strada diretta alla Porta Tenaglia, fino allora non progettata, con quella per la Porta Vercellina assunse il ruolo appena descritto, mediatore tra il “Foro” e la cinta urbica (Soldini 1981[a], ill. 13, pp. 358-362; Soldini 1982[a]). Allestita rapidamente e inaugurata pur priva delle porte principali, con pulvinare, spina e parapetti di legno (AMMe, Fondo Canonica, XVI, 341 e 339; lettere Canonica e Di Breme, 24 giugno e 16 giugno 1807) e con carceri posticce, la cavea fu subito frequentata da un pubblico che qui vedeva nella «più grande arena che sia mai stata costruita dalla caduta dell’impero romano» (Honour 1993, p. 117) un ambiente palesemente adatto alla più ampia varietà di intrattenimenti collettivi. Con un po’ di buona volontà si è voluto vedere un aspetto piranesiano nei grossi massi squadrati di ceppo rustico accostati a formare lo zoccolo a scarpa del muro esterno (Meeks 1966, p. 106), interrotto da aperture a piattabanda di pietra e sormontate – come negli esempi romani e cinquecenteschi – dall’arco di scarico di mattoni. Dai cittadini napoleo- Arena, Milano, Pulvinare, sono sovrapposte le piante dei piani e delle fondazioni, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 393. 87 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Arena, Milano, Porta Libitinaria, prospetto, variante, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 437. Arena, Milano, Porta Libitinaria, prospetto, variante, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 438. nici e poi dai sudditi di Francesco II e Ferdinando I fu accolto con favore e fu frequentato sotto ogni regime nelle più varie occasioni. Del resto, la sua istituzione sembrava promuovere la città a un rango superiore: «un solo cerchio alla romana decorerebbe una gran capitale» aveva scritto Milizia (Principii, II, cap. XVII, p. 413). Da alcuni contemporanei fu osservato che qui insolitamente in quegli anni prendeva forma «la grazia più che la romana maestà» (Cantù, I, 1844, p. 362), ben diversa dall’oratoria altrove ricercata. Ancora, fu notato l’accorgimento di distaccare dal carattere colossale proprio degli antichi anfiteatri «tutto quanto si riferiva all’ampiezza dello steccato onde servire ai moderni usi ed al moderno gusto dei pubblici 88 spettacoli» (Sacchi 1835, pp. 67-69). Le caratteristiche e le manchevolezze più evidenti furono attribuite alla fretta impiegata per stabilire l’impianto, all’economia osservata nel limitare la struttura e i servizi all’indispensabile e nell’usare materiali poveri con decorazioni limitate. Dai militari della guarnigione e del Genio fu infatti impiegato pietrame ricavato in parte dalle mura della vicina fortezza e poi del Castello di Trezzo. Il viceré Beauharnais aveva discretamente proposto di trasportare qui addirittura le colonne romane di San Lorenzo (AMMe, Fondo Canonica, XVI, 347; lettera di Di Breme 5 gennaio 1808). In luogo di quelle insigni testimonianze imperiali, al Pulvinare Canonica alzò quattro colonne di granito rosa recuperate dalla chiesa che nella via dei Tre Monasteri (Monte di Pietà) Francesco Maria Ricchino aveva costruito per il Convento di Sant’Agostino, soppresso nel 1798 (Forcella , IV, 1889-1893, p. 265). Queste colonne seicentesche dettarono dunque il disegno delle rimanenti e dell’intero portico. Nello stesso Pulvinare per decorare la sala principale fu chiamato l’allievo di Appiani, Angelo Monticelli, poi autore del sipario della Scala nel 1821; alle sculture esterne e ai capitelli si applicò Grazioso Rusca, come s’è detto. Al timpano della Porta Trionfale si dedicò Gaetano Monti ravennate, della scuola di Canova e scultore del busto di Zanoja a Brera: furono dunque chiamati artisti affermati e valorosi, ma non le firme di primo piano impegnate all’Arco del Sempione (Marchesi, Acquisti, Monti di Milano). Dove, per altro, secondo Giuseppe Bossi «pare impossibile di vedervi tanto poca arte» (Memorie inedite di Giuseppe Bossi, 1878, p. 296). Probabilmente la misura e la discrezione osservate esprimono cautela e autonomia rispetto alle forzature formali comuni in quegli anni, e forse rispecchiano una limitata partecipazione dell’autore alle emozioni allora provate da altri. Riflettono senz’altro la speciale vocazione dell’autore all’attento saper fare, la sua cura per ideare ed eseguire adeguatamente alle condizioni date. Qui Canonica dimostra di possedere un patrimonio culturale esperto anche di antichità, e di padroneggiarlo in sintonia con il gusto contemporaneo. Queste conoscenze, e quelle già acquisite svolgendo tante attività diverse, lo mettono in grado di confrontarsi con il caso particolare dell’edificio destinato a spettacoli di massa, tema antico e inedito insieme. Le scelte tratte non riflettono un comportamento pragmatico, come è spesso prospettato. Riflettono piuttosto un’idea generale di architettura, fiduciosa che far bene consista nel richiamare la tradizione più congeniale, osservare il presente e agire con competenza secondo misura e necessità, evitando abbagli dottrinari. Svalutando ogni accento attuale e transitorio, Canonica raggiunge un risultato di natura propriamente classica, che travalica la sua persona e si contrappone, in antitesi radicale, alle proposte di affrontare analoghi temi circensi esposte dai noti disegni di Boullée, e da quelli, similmente giganteschi e generici, presentati ai Grand Prix dal 1781 al 1783 da Dubois, Callet, Vaudoyer e altri, forse ispirati alla prosa esaltata di Brotier (1781) (La Colonna traiana 1988, pp. 161-175; Pérouse de Montclos 1997, pp. 126, 258-259). Di fatto, queste qualità ne fanno un unicum dei suoi anni. Nell’edificio povero di richiami napoleonici (non fu esposto che qualche simbolo imperiale, mentre le decorazioni scolpite rappresentano giochi circensi), l’architettura è sotto tono, ma – pur proponendosi come “antica” – si esprime liberamente sia quando ricompone per analogia i temi romani senza enfatizzarli sia quando osserva il gusto moderno adattando l’organismo generale e il disegno degli episodi al loro ruolo. La cavea, la struttura, la distribuzione rispondono alla varietà degli spettacoli attuali, e l’insieme si colloca accortamente nell’ambiente urbano in allestimento. Una misurata autonomia ideativa traspare dalla Porta Trionfale, modificata in corso d’opera e completata alla vigilia del crollo del regime. Di questa, Corrado Maltese ha notato la «chiaroscurale incisività», ottenuta per mezzo di un disegno metallico, non eloquente, conciso ma non dimesso (Maltese 1960, p. 31). Come proposto da Quarenghi per Bergamo (Colmuto Zanella 1995, ill. 19), il tema apparente è quello secolare dell’arco su pilastri incorniciato dall’ordine; l’insieme serba qualche ricordo dell’arco dei Gavi a Verona, ma qui le colonne sono separate dai pilastri, l’ordine è concluso da un frontone dilatato all’intera parete e i pilastri sono prolungati in altezza in un attico, privo dell’epigrafe e dei consueti rilievi. Così il portale si trasforma in un pronao di tempio dorico romano sovrapposto a una muraglia simile, alla lontana, a quella dominante sulle fronti del Pantheon e del Redentore a Venezia. Il lessico impiegato è dunque convenzionale, ma le parti così ricomposte propongono un’immagine inconsueta e festosa; l’analogia prevale sull’imitazione. Similmente le Carceri – ossia le gabbie di partenza dei carri – si risolvono in un dispositivo moderno che prolunga la memoria di consuetudini estinte. Nel circo Massimo e in quello di Massenzio esse formavano un episodio a sé stante, limitate com’erano alle estremità da due torri, ed erano allineate lungo una curva sghemba, discontinua rispetto alla cavea e dissimmetrica rispetto all’asse principale. Tutto ciò assicurava ai concorrenti pari opportunità di gara. Qui invece le Carceri – ultimate con le torri da Giacomo Tazzini nel 1826-1827 secondo i disegni di Canonica – sono PROGETTI E INTERVENTI URBANI cavallo, escursioni in pallone e discese in paracadute, caroselli di Buffalo Bill e pellerossa, «gincane aero-automobilistiche» (1906), partite di calcio, prove sportive, saggi ginnici collettivi, mostre, fuochi artificiali, tiri al piccione, cavalcate, esposizioni commerciali (Chirtani 1881, p. 287; Bertarelli, Monti 1927, passim; Candrini 1932; Carrieri 1946, passim). In tempo di guerra civile si è consumata qui la tragedia di chi ha perso la vita, fucilato in questa Arena a spalti deserti. Recentemente nella sala del Pulvinare sono stati celebrati abitualmente matrimoni; sono state tracciate nell’Arena nuove piste; è stato adattato il terreno all’esercizio degli sport attuali, convertito in campo specializzato per l’atletica leggera e il calcio (Giuntini 2007). Arena, Milano, «Profilo dell’elevazione dell’Anfiteatro», s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 434. uniformate alla curva della cavea, mentre le arcate esterne corrispondenti sono disegnate diversamente dal restante perimetro; sono in ceppo gentile, la pietra tenera impiegata in tanta edilizia milanese d’allora perché adatta a ogni ornato. Nel Pulvinare sono evitate le economie osservate nelle parti aperte al pubblico comune o riservate ai protagonisti degli spettacoli. Esso adempiva senza ridondanze al compito formale dettato dalla positura e dal fine rappresentativo, che era quello di fronteggiare e unire insieme parti del complesso e consentire – con il loggiato dominante l’Arena e la balconata affacciata alla Piazza d’Armi – di partecipare agli avvenimenti svolti nei due spazi diversi. Assieme a questo edificio accomunava l’Arena e la Piazza d’Armi anche lo stesso asse geometrico, ortogonale a quello segnato dall’Arco del Sempione e dal portale del Castello, appena disegnato dal capo del Genio militare. È stato osservato che appunto le direttrici della strada del Sempione e il diametro minore dell’Arena fissarono i capisaldi non soltanto del Foro, ma dell’intero piano urbanistico compilato dalla Commissione d’Ornato (dicembre 1807) (De Finetti 1969, pp. 65-86) ad Arena già frequentata e ad Arco del Sempione già fondato (14 ottobre 1807). Proprio in rapporto al precisarsi del ruolo dell’anfiteatro nell’insieme urbano il Pulvinare fu rimodellato du- rante i lavori (Mezzanotte 1966, pp. 290-291; BC-AMMe, BC 431) nella fronte esposta alla Piazza d’Armi, pur conservando nelle grandi linee il disegno per l’allestimento del 1803, a sua volta ispirato lontanamente alle forme riconosciute da Uggeri nei più modesti rovinati pulvinari del Circo di Massenzio. Non mancarono critiche negative appropriate: fu notato che la fretta, l’economia «e più altre circostanze» avevano condotto al rimedio un po’ primordiale delle «gradinate erbose», coperte da rustiche «verdi zolle». Fu osservato che «non essendosi terminate che otto porte, scarse riuscirono allo sfollare, e in caso di pioggia improvvisa manc[ava] un ricovero, che l’architetto intendeva preparare con un portico che coronasse l’anfiteatro o lo cingesse a’ piedi» (Cantù, I, 1844, p. 362). Ancora, non soddisfecero il disegno sobrio della Porta Trionfale e un’improprietà grammaticale nella sua trabeazione; furono giudicati inadeguati i locali del Pulvinare attigui alla sala principale (Cusani, III, 1861-1884, p. 16). L’architetto Giovanni Bareggi, chiamato nel 1826 a “restaurare” l’insieme, a vent’anni dalla fondazione, lo giudicò già in stato rovinoso (AMMe, Fondo Canonica, XXXVI, 463-465; 10 agosto 1826, 8 agosto 1827 e 15 settembre 1827). L’edizione veneziana del Durand (1833) non ricorda neppure l’Arena di Milano, pur riproducendo architetture per lo spettacolo di massa più tarde, come lo Sferisterio di Macerata. Nel giudizio comune, per altro, ha prevalso sulla qualità formale dell’architettura l’apprezzamento dell’efficienza e della facile adattabilità a ogni circostanza, sicché la sua fortuna si è prolungata fino al nostro secolo, pur comportando correzioni e adattamenti cospicui. Considerata la capienza fattasi con il tempo troppo limitata per gli spettacoli popolari della città contemporanea, nel 1934 ne fu proposto senza esito da Giuseppe De Finetti il raddoppio, con integrazioni tali da cancellarne le originarie fattezze (Reggiori 1947, p. 433). Più tardi ancora il terrapieno è stato in parte sostituito da sale e percorsi interni e al manto erboso è subentrata una gradinata di pietra. Superando dunque giudizi variamente orientati, limiti di agibilità, proposte e opere di rinnovamento, in due secoli ha ospitato manifestazioni e fatti infiniti, che sarebbe difficile elencare. Benché visitato con modesto trasporto da Stendhal, il «bel ouvrage de Napolèon» (Stendhal 1826, 8 novembre 1816) ha accolto cerimonie politiche, parate militari, comizi e banchetti pubblici sotto ogni regime, senza per altro svolgere quella parte di tramite tra i potenti e la folla, propria degli edifici di cui intendeva essere la moderna edizione. Ha ospitato gare e battaglie nautiche e giochi sul ghiaccio, corse di carri e fantini a Disegni Luigi Canonica, Prospetto della Porta Trionfale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 34. Luigi Canonica, Pianta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 125. Luigi Canonica, «Facciata dell’Anfiteatro veduta dalla parte della Porta principale», «Facciata dell’Anfiteatro veduta dalla parte posteriore al Pulvinare», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 126. Luigi Canonica, Pianta del circo provvisorio al Foro Bonaparte, 1805; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 128. Luigi Canonica, Prospetto laterale e sezione della Porta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 213. Luigi Canonica, Prospetto esterno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 214. Luigi Canonica, Pulvinare, prospetto interno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 215. Luigi Canonica, Carceri, prospetti, varianti di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 216. Luigi Canonica, Prospetto della porta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 217. Luigi Canonica, Pianta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 218. Luigi Canonica, «Metà della facciata esteriore delle Carceri», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 219. Luigi Canonica, Planimetria della «tomba», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 220. Luigi Canonica, Pianta e prospetto della porta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 221. Luigi Canonica, Pianta parziale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 222, D 224, D 226. Luigi Canonica, Prospetto e sezione 89 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A nour 1993 [1968]; Colmuto Zanella 1995; Patetta, Parisi 1995, pp. 89-93; Pérouse de Montclos 1997; Bosi 2002[a]; Buratti Mazzotta 2003; Selvafolta 2003; Fara 2006; Meijer 2006; Selvafolta 2006; Giuntini 2007; Bosi 2007; Consoli 2007; Scotti Tosini 2008. (g.m.) Porta Marengo, Milano 1801-1802 Arena, Milano, Carceri, prospetti, variante di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 216. della porta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 227. Luigi Canonica, Prospetti e sezioni, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 228. Luigi Canonica, Prospetto esterno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 229. Luigi Canonica, Pianta delle carceri, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 230, D 231. Luigi Canonica, «Piano superiore delle carceri», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 232. Luigi Canonica, Sezione trasversale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 233, D 235. Luigi Canonica, Prospetto della porta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 234. Luigi Canonica, Pianta della porta e dettaglio di ornato, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 293. Luigi Canonica, Pianta della Porta Trionfale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 454. Luigi Canonica, Pulvinare, piante, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 393, BC 394, BC 401. Luigi Canonica, Pulvinare, sezione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 407, BC 416, BC 433. Luigi Canonica, Pulvinare, prospet- 90 to interno, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 411, BC 415. Luigi Canonica, Pianta generale, studio delle fondazioni, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 4, BC 429. Luigi Canonica, Sezione parziale, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 430. Luigi Canonica, Prospetto esterno del Pulvinare, primo progetto s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 431. Luigi Canonica, Prospetto laterale e sezione del Pulvinare, studio di progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 432. Luigi Canonica, «Profilo dell’elevazione dell’Anfiteatro», sezione parziale, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 434. Luigi Canonica, Prospetto della Porta Libitinaria, variante di progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 436, BC 437. Luigi Canonica, Prospetto della Porta Libitinaria, variante di progetto s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 4, BC 438. Luigi Canonica, «Pianta dell’anfiteatro al Foro Bonaparte», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Luigi Canonica, «Elevazione dell’esteriore di una parte dell’Anfiteatro al Foro Bonaparte», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Luigi Canonica, «Spaccato dell’Anfiteatro preso sulla linea AB», «Spaccato dell’Anfiteatro preso sulla linea CD», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 7. Bibliografia citata Alberti 1546; Du Pérac 1575; Panvinio 1600; Lauro 1610-1615; Desgodetz 1682 [1779]; Fabretti 1690; Maffei 1728; Milizia 1781; Bianconi 1789; Brotier 1793; Guattani 1795; Borroni 1808; Stendhal 1826; Antolini 1828; Durand 1833; Sacchi 1835; Nibby 1838; Cassina 1840; Ferrario 1843; Cantù 1844; Tatti, II, 1844; Cusani 1861-1884; Mongeri 1872; Memorie inedite di Giuseppe Bossi 1878; Chirtani 1881; Flaubert 1884; Forcella, IV, 1889-1893; Calvi 1892; Beltrami 1894; Bertarelli, Monti 1927 [1986]; Candrini 1932; Carrieri 1946; Reggiori 1947; Maltese 1960; Meeks 1966; Mezzanotte 1966; De Finetti 1969; Middleton, Watkin 1977; Kannès 1980[a]; Soldini 1981[a]; Soldini 1982[a]; Mosser, Rabreau, 1983; Mantovani 1985-1994; De Vecchi, Scotti 1986; Morel 1988; Scotti 1989; Vovelle, I, 1988-1989; Milano all’inizio dell’Ottocento 1992; Ho- Dopo la vittoria riportata da Napoleone a Marengo (14 giugno 1800), il progetto di edificare una porta di trionfo in sua memoria all’interno dell’area urbana di Milano aveva cominciato a prendere corpo; Giovanni Battista Sommariva, addirittura, ne aveva proposto la costruzione in prossimità dell’incompiuto Duomo a testimonianza del prestigio edilizio dell’iniziativa; il progetto tuttavia non ebbe seguito. Circa un anno dopo, il 10 marzo 1801, in occasione dei festeggiamenti per il primo anniversario della battaglia, il ministro Padulli commissionò all’architetto Giovanni Antonio Antolini un piccolo monumento celebrativo da collocare nei pressi di Porta Ticinese. Chi ha descritto il monumento, caratterizzandone le seduzioni e i pregi, è stato Carlo Romussi, il quale lo ricorda: «come una piccola lapide in marmo bianco, con il piedistallo di granito e i fasci [littori] in bronzo»; al centro era riportata l’epigrafe: «A questa porta / che diede ingresso / allo esercito francese trionfatore / dopo la giornata di Marenco [sic] / il popolo cisalpino riconoscente / cangia lo antico nome / di porta Ticinese / in quello di porta Marenco [sic] / la riedifica orna consacra / al genio dello eroe / vincitore debellatore pacificatore». L’opera, riprodotta in una bella incisione al tratto conservata presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano, fu accolta con favore dal popolo milanese, tanto che le autorità decisero di conferirgli un’adeguata sistemazione, inserendola all’interno di una monumentale porta trionfale, detta Marengo, che di lì a poco sarebbe sorta dalle ceneri dell’antica Porta Ticinese, allora in via di demolizione. Alla prima fase progettuale di Porta Marengo potrebbe risalire il progetto D 32, conservato presso l’Archivio del Moderno, che congloba parti della precedente porta medievale, ma che si caratterizza come monumento napoleonico più per i motivi ornamentali PROGETTI E INTERVENTI URBANI Porta Marengo, Milano, studi per pianta e prospetto, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 32. Porta Marengo, Milano, planimetria, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 452. che non per la qualità architettonica. Non stupisce pertanto che i due mesi successivi trascorressero nella ricerca di una soluzione monumentale. Alle riflessioni presero all’inizio parte un certo numero di architetti, mentre il presidente Sommariva intervenne attivamente nella progettazione, come era avvenuto nel concorso per la colonna di Marengo (Bosi, Canella 2002, pp. 48-53). I quattro progetti di Giuseppe Pistocchi risalgono presumibilmente al giugno 1801, mentre quello di Pietro Pestagalli fu consegnato l’8 termidoro (6 agosto), a decisione già presa; è pensabile, inoltre, che a riguardo fosse stato interpellato anche Antolini. Alla fine Luigi Canonica prevalse su tutti. Per quanto il suo articolato progetto giungesse a maturazione soltanto alla fine di luglio, la prima pietra del monumento fu simbolicamente posata il 16 giugno (Comandini, I, 1900-1942, p. 19). L’8 messidoro (27 giugno) l’architetto sottoponeva al Comitato di governo una lunga relazione in cui elencava nel dettaglio le scelte progettuali adottate nella compilazione della sua proposta, la quale risulta ben riassunta graficamente nel disegno D 452 conservato a Mendrisio. La proposta non era limitata soltanto alla costru- monumento un carattere “semplice” e “grandioso”, consono all’evento bellico che doveva celebrare. Per questo, non aveva esitato a scegliere fra gli ordini architettonici quello dorico, cercando, nel contempo, di imitare gli esempi antichi, i soli capaci di fondere insieme alla «maestosa semplicità» quella «solidità che rendesse i monumenti medesimi superiori all’ingiuria del tempo» (ibidem). La costruzione della porta prese avvio ufficialmente il 12 agosto (24 termidoro) e praticamente il 21 settembre 1801, dal momento che ne dà notizia l’abate Luigi Mantovani nel suo diario manoscritto (Mantovani, I, 1985-1994, p. 345); ma doveva risultare non ben avviata già alla fine di dicembre, quando ne fu descritto lo stato di scarso avanzamento e, pertanto, venne proposta una sospensione temporanea dei lavori. Il governo concesse inizialmente a Canonica una somma di 13.000 lire; cifra tutto sommato modesta se paragonata alle 60.000 lire richieste dall’architetto. Lo stesso governo gli consentì inoltre di utilizzare il materiale di spoglio dei torrioni del Castello Sforzesco che allora si stavano demolendo. Decisione che in realtà era stata suggerita dallo stesso Canonica, il quale aveva previ- zione del singolo monumento, quanto, piuttosto, a ridefinire e regolarizzare su scala urbana l’intera area circostante la porta, sia nella zona interna (il borgo di Cittadella) che in quella esterna (il borgo di Trinità). Aveva pensato, inoltre, di rendere più comoda la piazza antistante mediante una pavimentazione, che presupponeva la demolizione di parte di una casa posta all’angolo del borgo di Cittadella. Per regolarizzare l’inserimento del monumento nel tessuto urbano preesistente, l’architetto proponeva un piano d’intervento articolato in tre fasi distinte. La prima avrebbe previsto l’abbattimento del bastione cittadino i cui detriti sarebbero serviti per porre le fondamenta del nuovo arco, mentre la seconda prevedeva la costruzione di un ponte sul canale ticinese mediante la chiusura del “guado” posto alla sinistra del corso, le cui acque sarebbero state incanalate e fatte riaffiorare sotto lo stesso ponte. La terza e ultima fase riguardava invece l’acquisto di due abitazioni private poste all’interno del corso Marengo, le quali sarebbero state in seguito demolite in modo da conferire massima visibilità alla porta (AMMe, Fondo Canonica, XI). Canonica aveva deciso di dare al suo sto la “pulitura” esterna delle lastre di granito e l’eliminazione delle punte di diamante. Nel corso del 1802 non sembra si siano verificati particolari avanzamenti nei lavori se non per il completamento delle fondamenta, come attestano le due richieste di pagamento (19 agosto e 26 novembre 1802) a favore dei capomastri Domenico Fontana e Francesco Lucchini Brioschi. I cambiamenti politici avvenuti nel 1803, con il passaggio dalla Repubblica Cisalpina a quella Italiana, e la decisione di Napoleone di non utilizzare il denaro pubblico per la costruzione di monumenti privi di utilità, contribuirono al definitivo fallimento dell’impresa. Le fondamenta furono inizialmente conservate, come documenta un articolo pubblicato l’8 maggio 1805 sul “Giornale Italiano” in occasione dell’ingresso di Napoleone in città. La loro demolizione avvenne solo nel 1807, quando cioè un gruppo di 94 possidenti milanesi, nella speranza di evitare – dopo l’annessione delle Marche – il ventilato trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Milano a Bologna, affidò a Luigi Cagnola il compito di edificare sulla stessa area l’attuale atrio di Porta Ticinese. 91 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Nonostante la mancata realizzazione, la porta è ben documentata negli otto fogli del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, cui va aggiunta la bella tavola anonima, conservata presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano (PV g. 5-16) attribuita a Canonica da Letizia Tedeschi (Tedeschi 1998[a], pp. 131134). Per qualche verso la porta si rifaceva a modelli di porte milanesi antecedenti, mentre per altri risultava estremamente diversa e autenticamente innovativa. Nell’organizzazione complessiva era, come le sue antesignane, concepita come un grande blocco inserito nelle mura della città, accessibile attraverso un ponte che copriva un fossato. Tale blocco era in effetti arretrato rispetto la cortina anche se dava l’impressione di fare effettivamente parte delle mura, con la facciata a servire da portale d’ingresso alla struttura. Questa novità di concezione era evidente anche nell’organizzazione dell’interno che, diversamente dalle porte precedenti, era articolato per contenere un impianto più o meno quadrato e una corsia centrale più larga. La porta era affiancata nella parte posteriore da due caselli daziari con porticato, regolari ma non simmetrici nella loro distribuzione interna. Molte delle novità dell’architettura della porta erano legate al suo ruolo urbano. E l’utilizzo urbano è effettivamente all’origine di molte delle sue peculiarità. Ad esempio, spiega il notevole spessore dei muri, che non rispondeva solo a una precauzione difensiva ma consentiva al monumento di sostenere alla sommità un peso cospicuo. Tali connotazioni difensive e urbane si riflettono anche nel trattamento severo e minaccioso conferito alla facciata principale. Essa era pensata articolata in tre sezioni separate. La centrale, più larga per contenere il passaggio principale, era caratterizzata da due semplici pilastri, mentre la chiave di volta, che doveva essere ornata dall’effige di Napoleone, presentava ai lati due fasce guarnite da corone d’alloro. Le sezioni laterali, più strette, erano leggermente avanzate, e prevedevano due aperture secondarie che, pur essendo più sobrie, prevedevano l’inserimento di due rilievi marmorei rappresentanti L’atto della Convenzione di Marengo e L’arrivo del primo Console Bonaparte trionfante a Milano, posizionati sopra una cornice marcapiano alla linea di imposta dell’arco principale. Ciò che risulta veramente straordinario nella facciata era tuttavia il modo 92 particolare in cui era trattato il disegno. L’ordine era dorico di un tipo eccezionalmente massiccio e austero e la superficie dei muri era rivestita quasi interamente (eccetto l’attico e la cornice marcapiano) da una forma molto raffinata di bugnato che si spingeva fino alla trabeazione appiattita e semplificata, al punto che i triglifi e le metope dovevano apparire appena sbozzati. Nei prospetti dei caselli daziari laterali questo bugnato dava l’impressione di maggiore rudezza e di aver quasi avviluppato sia i pilastri del porticato, sia le paraste interne poste alle estremità, le quali risultavano “nascoste” dall’ombra prodotta dal porticato stesso. Tuttavia, ciò che è ancora più straordinario nella facciata di Porta Marengo è il modo in cui il disegno crea un’impressione così netta di forza e indistruttibilità; effetto che è ottenuto non solo attraverso la combinazione dell’ordine dorico con il bugnato, ma anche attraverso il trattamento riservato a ciascuno dei due elementi. Ulteriore elemento di rafforzo doveva provenire poi dall’uso del granito dei torrioni del Castello Sforzesco. Anche l’interno della porta doveva risultare, per trattamento architettonico, al tempo stesso straordinario e senza precedenti. In primo luogo, l’impianto a tre corsie era notevol- mente elaborato in quanto quelle laterali non erano pensate come dei semplici corridoi, ma prevedevano al centro un nucleo quadrato con nicchie sui lati più esterni (in quella di sinistra Canonica aveva pensato d’inserire la lapide di Antolini). In secondo luogo, elemento ancor più notevole, sia i muri che i pilastri erano, come le due facciate esterne, quasi interamente coperti dal bugnato. Non vi è dubbio che la realizzazione di Porta Marengo avrebbe comportato dei costi altissimi: aspetto che fu oggetto di condanna da parte di Napoleone nel 1802, il quale impose poco tempo dopo la chiusura del cantiere. Disegni Luigi Canonica, Planimetria dell’area di Porta Marengo con le sue adiacenze e preesistenze, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 452. Luigi Canonica, «Pianta del dazio di P[orta] Ticinese», [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 31. Luigi Canonica, Studio per la pianta, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 33. Luigi Canonica, Studi per pianta e prospetto, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 32. Luigi Canonica, «Spaccato della Porta Marenco per la linea del mez- «Spaccato della Porta Marenco per la linea del mezzo», [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 453. zo», [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 453. Luigi Canonica, Sezione trasversale, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 35. Luigi Canonica, Studi per il prospetto, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 36. Luigi Canonica, «Prospetto della Porta Marengo», 1801; RSBMi, PV g. 5-16. Bibliografia Comandini, I, 1900-1942, p. 19; Romussi 1907, pp. 79-97; L’età neoclassica in Lombardia 1959, p. 77; Mezzanotte 1966, pp. 293, 327-328; L’idea della magnificenza 1978, pp. 21-24, 65; Mantovani, I, 1985-1994, p. 345; De Vecchi, Scotti 1986, p. 151; Tettamanzi 1989, pp. 74-75; Parisi, Patetta 1995, pp. 120-121; Parisi 1995, p. 61; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 17; Tedeschi 1998[a], pp. 131-141. (s.b.) Porta Vercellina, Milano 1805 Luigi Canonica riceveva l’incarico di progettare Porta Vercellina il 3 marzo 1805, dopo che Napoleone aveva comunicato al viceré Eugenio di Beauharnais la sua intenzione di PROGETTI E INTERVENTI URBANI compiere proprio da quella porta il suo trionfale ingresso a Milano in occasione della sua incoronazione a re d’Italia, programmata per il 26 maggio 1805. La stesura del progetto e la sua realizzazione avvennero probabilmente nello stesso mese di marzo, se diamo credito alle notizie riportate dall’abate Luigi Mantovani nel suo Diario manoscritto (Mantovani, II, 1985-1994, p. 460). In due giorni l’architetto formulò il progetto definitivo: una porta a un solo fornice, affiancata da due coppie di colonne d’ordine composito, reggente un attico rettangolare. La mancanza di tempo e il budget modesto costrinsero l’architetto a utilizzare il materiale edilizio (mattoni e lastre di pietra) proveniente dalla demolizione delle mura spagnole attorno al Castello Sforzesco. Per analoghi motivi la decorazione era monocroma, a tempera dipinta su calce, capace di creare l’illusione degli antichi bassorilievi in marmo. In questo modo la porta che si caratterizzava per essere la prima stabile costruita a Milano sotto l’occupazione francese, avrebbe conservato un carattere provvisorio, prossimo a quello dei numerosi apparati effimeri eretti in occasione delle feste pubbliche. Come per Porta Marengo, l’intervento comportò alcune modifiche all’assetto urbano preesistente. Dal verbale del 22 marzo 1805 si evince che il Consiglio comunale aveva proposto l’acquisto e la demolizione del caseggiato di fronte (allora occupato dall’osteria della Stella), che ostacolava la vista della porta. Nella stessa occasione il ministro dell’Interno, Daniele Felici, aveva ritenuto di collocare nello spazio dell’abitazione demolita una lapide in marmo in onore di Napoleone. L’intero stradone che dalla porta conduceva allo svincolo dell’attuale piazzale Baracca, fu invece ridisegnato e ridotto a un regolare rettifilo (Mantovani, II, 1985-1994, p. 460). Nel corso del secondo Ottocento Porta Vercellina, denominata nel frattempo Porta Magenta, si ridusse a poco più di un rudere. Il suo graduale e progressivo deterioramento suscitò ben poco rammarico nell’opinione pubblica milanese, al punto che nel 1897, in concomitanza con la demolizione delle mura spagnole nella zona compresa fra il Castello Sforzesco e Porta Ticinese, il Comune decise di abbatterla. La sua fisionomia rimane comunque documentata, oltre che dalle tavole del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno Porta Vercellina, Milano, prospetto laterale, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 319. di Mendrisio (BC-AMMe, D 16, D 463, D 450, BC 319, BC 320, BC 321), anche da un’acquatinta di Carolina Lose del 1820 circa, conservata presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano (PV p. 4-77; si intravede all’interno, oltre l’arco, il basso edificio del Corpo di Guardia), e da un dipinto di Giannino Grossi (collezione privata), reso noto nel 1947 da Giacomo Bascapè. Il Civico Archivio Fotografico di Milano possiede inoltre alcune fotografie alla gelatina che documentano il momento della sua demolizione (Donati 2004, p. 311). La facciata principale era rivestita in pietra combinata a pannelli di mattoni ed era articolata, ai lati, da coppie di colonne. La fretta che caratterizzò l’intervento spiega la forte somiglianza della facciata principale con il disegno dell’arco effimero, progettato da Canonica, in occasione della festa per la capitolazione di Mantova (febbraio 1797, vedi scheda in questo stesso volume). Il budget modesto è anche alla base della decisione di utilizzare prevalentemente i mattoni e di impiegare la pietra in quantità minore. Porta Vercellina era rivolta a Porta Vercellina, Milano, sezione, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 320. ovest, verso la Francia, un territorio amico, e costituiva uno dei principali punti d’ingresso alla città per i visitatori provenienti da nord, con le colonne rialzate su alti piedistalli in modo che le loro basi fossero quasi a filo della cortina muraria: soluzione finalizzata a rendere le colonne visibili da lontano. La facciata posteriore presentava un aspetto molto diverso rispetto al fronte principale: era liscia con una sola cornice marcapiano in linea con l’imposta dell’arco, segnato da un’enorme chiave di volta aggettante, recante una testa d’uomo (forse Napoleone). La superficie del muro era completamente rivestita di bugnato grezzo. Al termine dei lavori, Porta Vercellina ricevette giudizi poco positivi: qualcuno, fra i quali Francesco Melzi d’Eril, che fu tra i responsabili del suo mancato completamento, ne diede una valutazione negativa. La porta, ornata da monocromi dipinti non aveva quella dignità necessaria per l’ingresso di una capitale. del Dazio di Porta Verc[e]llina / facciata esterna», [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 16. Luigi Canonica, «Disegno della facciata eseguita del Dazio di Porta Vercellina. Facciata interna», [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 463. Luigi Canonica, Pianta e prospetto principale, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 450. Luigi Canonica, Prospetto laterale, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 319. Luigi Canonica, Sezione, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 320. Luigi Canonica, Prospetto verso la città, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 321. Bibliografia Bascapè 1947, pp. 35-37; Mezzanotte, Bascapè 1948, p. 90; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 347; Mantovani, II 1985-1994, p. 460; Parisi, Patetta 1995, p. 123; Tedeschi 1998[a], pp. 137, 141-142; Donati 2004, pp. 310312. (s.b.) Disegni Luigi Canonica, «Disegno eseguito 93 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Luigi Canonica, Luigi Zanoja, «Porzioni unite de’ Corpi Santi di Porta Comasina con Porta Tenaglia e di Porta Vercellina con Portello e Castello», Milano, 1809; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46. Luigi Canonica, Luigi Zanoja Ménagerie e Jardins des Plantes, Milano 1808-1809 Le vicende che accompagnano l’elaborazione di questo progetto sono paradigmatiche sia per il processo decisionale, che vede estraneo il viceré Eugenio, sia per i rapporti tra i tre più importanti architetti milanesi – Canonica, Zanoja e Cagnola – e la conseguente chiusura dell’ambiente milanese nei confronti di altri professionisti (in questo caso Barberi), sia per il difficile compito affidato al concorso indetto nel 1809 all’Accademia di Brera. Tutti i fatti si svolsero tra il gennaio del 1808 e il novembre del 1809 e sono stati già accennati, soprattutto per gli esiti finali, dalla storiografia. Il 4 gennaio 1808 il ministro dell’Interno informò il principe Eugenio della decisione di Napoleone di com- 94 prendere nel budget del ministero una somma destinata alla creazione di una Ménagerie e di un vivaio, chiedendo di verificare la possibilità di realizzarli a Monza. Nel caso non fosse stato possibile attuare l’idea, una nuova collocazione, prevista tra Villa Simonetta e il borgo degli Ortolani, già suggerita da Napoleone durante il suo soggiorno milanese, avrebbe comportato un’«appendice» al progettato Foro Bonaparte (ASMi, Camerali, p.m., 46). Gli ordini di Napoleone non facevano che riprendere quanto stava accadendo negli stessi anni a Parigi, dove erano in corso i progetti per l’ampliamento della Ménagerie al Jardin des Plantes e per la costruzione di una Ménagerie nel parco di Monceau 2 (ANF, O , 158). Il tema costituiva però una novità tipologica per il contesto milanese, come dimostra la richiesta di informa- zioni da parte del Ministero, inviata al direttore della Biblioteca di Brera, sull’esistenza di volumi e «autori che hanno trattato degli stabilimenti conosciuti in Europa sotto il titolo di Menagerie / Villa Voluptuaria / Seraglio di Fiere». Solo pochi giorni dopo, l’8 gennaio 1808, il ministro comunicò all’«architetto reale» Luigi Canonica e al professore Luigi Zanoja il desiderio di Napoleone di creare alle «porte di questa capitale una grande Ménagerie [...] affinché colla scorta di quei lumi da cui ella è adorna in materia segnatamente di belle arti voglia presentarmi un progetto sulla vista di collocare lo stabilimento ripetuto fra il locale della Simonetta ed il Borgo degli Ortolani» (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46). Il 10 gennaio 1808, Canonica richiese al consigliere del ministro, De Capitani, alcune precisazioni e dettagli sul futuro progetto, in particolare l’e- stensione, e sul fatto «se questa vorrebbesi montata sul gusto di quella di Parigi e conseguentemente se debba includere giardino di piante esotiche particolari, raccolte di animali, fiere e volatili di varie specie, fabbricati pel ricovero dei medesimi, nonché per l’abitazione d’individui addetti alla di loro custodia, gabinetti per preparazioni di storia naturale, locali pei professori, serra per la conservazione delle piante ed altri simili oggetti» (ibidem). Sulla base di queste prime indicazioni De Capitani inviò nuovamente a Canonica, Cagnola e Barberi l’invito di predisporre un progetto sull’area, individuata dallo stesso Canonica, comprendente la Villa Simonetta (raccomandando il segreto sull’operazione non avendo ancora acquistato la villa) e sul modello parigino (20 gennaio). L’invito esteso a più «artisti» era poi giustificato dal desiderio di Napoleone di poter visionare più «piani» (ibidem). Intanto, il 25 gennaio 1808, il ministro dell’Interno scriveva al ministro degli Esteri a Parigi, Marescalchi, che Napoleone aveva «ordinato che si stabilisca in vicinanza di Milano una Ménagerie o serraglio di fiere, ed un giardino di piante» e chiedendo che venisse rilevata, per poi spedirgliela, la pianta «di ciò che si è sontuosamente eseguito in Parigi», affinché gli ingegneri incaricati del progetto vi si potessero ispirare (ASMi, Marescalchi, 149). Di comune accordo, Zanoja, Cagnola e Canonica il 4 febbraio richiesero maggiori indicazioni, sulla base di quelle già sollecitate dallo stesso Canonica, proponendo di «ubicare lo stabilimento in luogo non rimoto dai pubblici passeggi e dalle porte della città, sembrandoci che sarebbe a proposito collocarlo a fianco della nuova strada del Sempione in poca distanza dalla porta». L’intenzione di affidare a diversi architetti l’elaborazione di progetti «separati» si configurava per i tre autori a «guisa a stabilire tra li medesimi un concorso, il quale oltre l’essere mancante delle modalità solite a radicarsi in simili casi, esclude [...] l’arbitrio di non concorrere; quindi è che producendo noi un progetto particolare non sapessimo a chi ne sarebbe commesso il giudizio, in quale modo sarebbe regolato, e a quali titoli si appoggerebbe la scelta» (ibidem); i tre architetti suggerivano così di conferire l’incarico a una commissione con l’obbligo di elaborare diverse proposte. Nella risposta, cui veniva allegata la planimetria dei Corpi Santi di Porta PROGETTI E INTERVENTI URBANI Vercellina e Porta Comasina appositamente predisposta dagli uffici del Censo (12 febbraio), il ministro chiarì che il modello era quello parigino più conosciuto come Jardin des Plantes e «corrispondente alla maestà del Sovrano e al decoro di una capitale» (ibidem), accettando la proposta della collaborazione tra i tre progettisti. Scelta che escluse così il già coinvolto Barberi. Inoltre si inviava alla commissione, nella successiva corrispondenza, un volume dal titolo Promenades au Jardin des Plantes, à la Ménagerie et dans les Galeries du Museum d’Histoire Naturelle (Paris 1803) come possibile guida alle scelte progettuali e alcune stampe. Il ritardo della commissione nel predisporre un progetto, giustificato dai numerosi incarichi affidati a Canonica e dal contemporaneo impegno di Zanoja nella valutazione del progetto di Barberi per la piazza Friedland a fianco del Teatro alla Scala, costrinse il ministro a stabilire un ultimatum alla consegna. Un ulteriore motivo del ritardo fu determinato dal fatto che nel Consiglio degli Accademici di Brera, il 30 luglio 1808, venne letto il programma stabilito dalla direzione generale di pubblica istruzione: «un serraglio di fiere detta in francese menagerie con fabbricati analoghi, boschetti addiacenze con comodi di museo di Storia naturale, orto botanico». Nel verbale della riunione è aggiunto, forse a sintesi di un’ampia discussione, che «un tale progetto gli accademici opinano che il segretario ritenuta l’idea esternata dal governo gli dia poi quell’esposizione e vi faccia quelle modificazioni che crederà convenire per un disegno di architettura» (ASABMi, A III, 2). Il concorso di I classe causò un evidente imbarazzo ai tre architetti chiamati a cimentarsi con «individui che da essi loro hanno ricevuto i primi rudimenti dell’arte» (ibidem). In verità la scelta del tema, come segnalò il presidente dell’Accademia Castiglioni, era stata formulato in modo indipendente dalla Direzione generale degli Studi. Su richiesta dei tre noti architetti milanesi, l’interessamento del ministro, del segretario di Stato e l’esplicita richiesta di Eugenio di Beauharnais portarono a rielaborare il concorso. Il 12 settembre 1808, sempre all’interno del Consiglio dell’Accademia, si diede quindi lettura dei dispacci del ministro dell’Interno «rilevasi dal primo che s.a.r. il principe viceré avendo valutato le rappresentanze dei signori architetti Cagnola, Canonica e Zanoja incaricati di presentare un progetto d’una mena- Luigi Canonica, Giuseppe Zanoja, «Progetto per il giardino delle piante e Menagerie nell’area compresa fra il Lazzaretto e il Naviglio di Porta Nuova», Milano, 1809; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46. gerie da costruirsi ne’ contorni di questa capitale ha esternato verbale desiderio che sia cambiato il simile argomento dato per Grande concorso di architettura del venturo 1809». A complicare le vicende, gli accademici ritennero «indecorosa» la decisione di modificare il tema già pubblicato e la respinsero, con un passo indietro degli stessi Canonica e Zanoja che si «sono piuttosto determinati a presentare i loro disegni umiliandoli direttamente alla medesima a.s.» (ibidem). Nel marzo del 1809 il progetto non era stato ancora elaborato, e solamente il 6 settembre 1809 Zanoja inviò un primo disegno sottoscritto anche da Canonica, ma non da Cagnola perché assente (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46), relativa ad un’area a nord del borgo degli Ortolani, delimitata a destra da un nuovo viale che da Porta Tenaglia si sarebbe prolungato verso Affori e quindi a Como. Nel disegno a china dei due architetti erano riportate l’Arena con il Pulvinare affacciato sulla Piazza d’Armi a nord del Castello, dotato ancora della Ghirlanda. Il 19 ottobre furono finalmente presentati due diversi progetti elaborati su una diversa area individuata dalla stessa commissione e compresa tra il Lazzaretto, il percorso dei Bastioni e il Naviglio di Porta Nuova. Il primo progetto (A), sottoscritto da Canonica e Zanoja, è oggi conservato in due copie presso l’Archivio di Stato di Milano. Il secondo, elaborato da Cagnola, si trova oggi nel Fondo Cagnola della Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano (RSBMi, Fondo Cagnola, 3412-3413). Le due soluzioni sono tra loro molto simili; il «progetto per il Giardino delle Piante e Menagerie nell’area compresa fra il Lazzaretto e il Naviglio di Porta Nuova» (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46) firmato da Canonica e Za- noja descrive un impianto simmetrico con un edificio ad ali ripiegate che comprende un parco e un museo all’aperto in cui accanto al «serraglio» per gli uccelli dei climi caldi e per «gli elefanti, zebre e simili» e alle «carceri» per le fiere, trovano posto le coltivazioni di piante esotiche, l’Orto botanico, la scuola di botanica, un lago con isoletta, un belvedere a forma di tempietto e le serre, oltre ai corpi di fabbrica per il direttore, i custodi e i giardinieri. L’impressione è quella di una sorta di collage dei possibili e futuri usi del verde in funzione pubblica, più un insieme di fantasie o suggestioni che una vera e propria proposta progettuale. I modelli di riferimento appaiono così molteplici: dal giardino paesaggistico con chiari riferimenti al parco di Butte-Chaumont di Parigi, ai disegni elaborati da Martinetti in occasione del piano del 1803 per l’Università di Bologna. Il 23 febbraio 1810 fu però scelto il progetto di Cagnola per «una più ben intesa, più armonica, e meglio simmetrizzata distribuzione delle parti, le quali in guisa sono combinate che ad ogni passo debbono offrire un tale vago contrasto ed una siffatta direi quasi magica prospettiva, che alla maggiore convenienza dell’uso, assai anche al diletto dello spettatore, doppio scopo a cui debbono tendere le mire di ogni ingegnoso coltivatore delle arti belle. Oltre che la estensione dei fabbricati in questo progetto sia più economica che nell’altra» (ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46). Disegni Luigi Canonica, Giuseppe Zanoja, «Porzioni unite de’ Corpi Santi di Porta Comasina con Porta Tenaglia e di Porta Vercellina con Portello e Castello», 1809; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46. Luigi Canonica, Giuseppe Zanoja, «Progetto per il giardino delle piante e Menagerie nell’area compresa fra il Lazzaretto e il Naviglio di Porta Nuova», 1809; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 46. Bibliografia L’idea della magnificenza 1978, p. 77; Kannès 1980[b], p. 251; Scotti 1982[a], pp. 129-130, 134; Celona, Mariani Travi 1983, p. 126; Scotti 1984, pp. 62, 69; Scotti 1985, p. 41; De Vecchi, Scotti 1986, p. 119; Momenti dell’età napoleonica 1987, pp. 218-219; Ricci 1987, p. 208; Scotti 1989, p. 281; Scotti 2000[a], pp. 281282. (f.r.) 95 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Rettifilo della Corsia dei Servi, Milano 1816 Nella seduta del 26 marzo 1816 la Commissione d’Ornato approvò un progetto presentato dai membri Paolo Landriani e Luigi Canonica relativo al rettifilo dell’antica Corsia dei Servi (oggi corso Vittorio Emanuele). L’esistenza di questa proposta è segnalata da Paolo Arrigoni che ricorda l’approvazione del progetto avendo potuto consultare il fondo Ornato Strade dell’Archivio Storico Civico di Milano prima delle perdite dovute alla Seconda guerra mondiale. Nel corso della seduta del Consiglio comunale del 19 dicembre 1816, il podestà Cesare Giulini illustrò un rapporto della congregazione municipale, datato 23 settembre, che presentava «due progetti di allargamento, e rettifilo del Corso di Porta Orientale» (unitamente a uno per corso di Porta Ticinese) «da eseguirsi all’evenienza dei casi, ed in occasione che si vorrà dai privati fabbricare le case fronteggianti li detti corsi» (ASCMi, Consiglio comunale, 14, fasc. 190; D’Amia 2001, p. 48). Purtroppo anche la perdita di questi rapporti, che non risultano allegati al verbale della seduta, non risolve tutti i dubbi circa l’estensione del progetto e sulla effettiva ragione della sua redazione. Ancora nella seduta consiliare del 31 gennaio 1817 (ASCMi, Consiglio comunale, 14, fasc. 194) si ha una conferma che il primo progetto era stato elaborato, per conto della Commissione d’Ornato, da Landriani e Canonica, mentre il secondo da Carlo Parea, ingegnere e ispettore generale presso la direzione delle Acque e Strade. Il progetto della Commissione d’Ornato proponeva un arretramento della linea dei fabbricati su entrambi i lati della corsia, in un ipotesi di rettifilo che avrebbe mantenuto «la visuale fino verso la piazza dei Mercanti»; mentre quello di Parea riguardava il solo lato meridionale per cui prevedeva però un arretramento più profondo. Maggiori dettagli sulla genesi e sull’effettiva applicazione di questa proposta sono contenuti in altri fondi archivistici. Da un rapporto datato 5 giugno 1816 emerge che i «rettifili» ideati dalla Commissione d’Ornato, «prendendo occasione dalla domanda fatta da alcuni proprietari», erano intesi quali strumenti direttori per regolare la futura iniziativa privata, fondato sul principio dell’allineamento dei caseggiati e sul rispetto della larghezza minima attribuita ai tracciati stradali se- 96 Ateneo e Bazar, Milano, planimetria, rilievo e progetto di trasformazione, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 23. condo i decreti elaborati nel periodo napoleonico (ASMi, Genio Civile, 1723). Nonostante il favore accordato dalla direzione generale al progetto dell’ingegnere Parea, perché «quello che riunisce in se gli estremi della bellezza, del comodo pubblico, e dell’economia» (limitando le demolizioni ai soli prospetti meridionali), la commissione consiliare preferì proprio per la sua radicalità la soluzione della Commissione d’Ornato, pur esprimendo l’opinione «che senza un positivo dettaglio, il quale non può certamente aversi da piccole linee, e minutissimi spazi tracciati in una Carta topografica non è possibile proporre un accertato giudizio» (31 gennaio 1817; ASCMi, Consiglio comunale, 14, fase. 194). Una prima verifica delle proposte si verificò con la proposta di arretramento delle proprietà Saroli già nel dicembre nel 1816 (vedi scheda in questo volume e documentazione in ASMi, Genio Civile, 1608) che videro coinvolto Canonica. Bibliografia Arrigoni 1926, p. 193; Reggiori 1947, pp. 153-154; D’Amia 2001, pp. 48-49. (f.r.) Ateneo e Bazar, via Manzoni, Milano [1818-1819] Nel Fondo Luigi Cagnola conservato presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano sono presenti sette disegni su lucido di un progetto per «Ateneo e Bazar» attribuito a Luigi Canonica (Pianta della Chiesa del Giardino, inv. 3824: Sezione parziale, inv. 3826; Spaccato trasversale, inv. 3827; Prospetto parziale, inv. 3828: Veduta prospettica, inv. 3829: Pianta generale, inv. 2363; Prospetto, inv. 2365) che sono copie di un progetto concernente un organismo, comprendente un ateneo, un mercato coperto e un giardino, da realizzarsi a Milano in un’area adiacente al complesso del Teatro alla Scala, più esattamente nel luogo dell’ex Convento di Santa Maria del Giardino, alienato a seguito delle soppressioni napoleoniche. Questa stessa area fu interessata, come è noto, da un precedente progetto elaborato da Giuseppe Barberi per una «Piazza Friedland». Il progetto prevedeva un nuovo assetto complessivo di piazza della Scala con la costruzione di nuovi palazzi per la Borsa e per la Dogana proprio in sostituzione della Chiesa di Santa Maria del Giardino (ASCMi, Località Milanesi, 428; ASLRoma, 2118-2119). Clelia Alberici (1963, pp. 143-150), che ha il merito del primo inventario del Fondo Cagnola pervenuto alla Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano, assegnava questi lucidi allo stesso Cagnola, collocando inoltre i fogli, che portava complessivamente a otto includendo un elaborato d’altro soggetto (inv. 3825), in piena restaurazione, giacché datava questo complesso cartaceo al 1830. Negli anni seguenti Attilio Pracchi (1978, pp. 21-25) ha corretto questa datazione e ha restituito il progetto a Luigi Canonica; inoltre, grazie all’analisi del carteggio di Federico Confalonieri, lo ha collegato, sul piano dell’ideazione che unisce istanze culturali, civili ed etiche, a una visione politica peculiare, agli ambienti de “Il Conciliatore” di Silvio Pellico e alla figura stessa del Confalonieri – proposta su cui insisteremo per quello che ne viene nella comprensione del progetto. È a quest’ultimo, difatti, che «si deve il tentativo di applicare quei principi – scrive Pracchi – allo sviluppo funzionale e morfologico di Milano» meglio rispondenti alla cultura che viene richiamata dal PROGETTI E INTERVENTI URBANI progetto in esame. Vale la pena recuperare, pertanto, nei suoi tratti salienti, quanto veniva a proporre Confalonieri (Gallavresi, II, 19101913; Carteggio di Federico e Teresa Confalonieri 1956), per guadagnare il clima in cui fu concepita la mai realizzata impresa e per affrontare con uno sguardo storico quanto più possibile aderente a tale clima non solo questi documenti ma anche e soprattutto i fogli del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno, che sono i disegni originali dei lucidi conservati presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. In data 6 luglio 1819 Confalonieri scriveva a Gino Capponi, in quel momento a Londra, per informarlo d’aver messo mano a «un’impresa totalmente nuova [...] un’isola allato al teatro della Scala» in cui si sarebbe realizzato, per il Bazar, un «luogo coperto di fiera perpetua» secondo un modello visibile, a Londra, «a Soho-Square», un «giardino all’instar di quello di Palais Royale» a Parigi, che con i suoi quindici ristoranti, venticinque caffè, diciotto tavoli da gioco, colonnato e gallerie realizzate attorno al giardino e le abitazioni dei commercianti, e, ancora, la presenza utilissima del Tribunale del Commercio e della Borsa parigini, poteva dirsi, ancora allo scadere del primo ventennio del secolo, «un esempio stimolante» (Soldini 1983, p. 6). Talché la vagheggiata isola si sarebbe presentata con una configurazione simile a tanto esempio, e cioè «con portici e botteghe da tre lati all’intorno» e una cancellata sul lato della via che fiancheggia il Teatro, mentre dal lato opposto in «idoneo fabbricato di genere greco» avrebbe trovato posto l’Ateneo, «il quale per tal modo verrebbe collocato nella parte più comoda e più aggradevole della città». Insistendo nei riferimenti a città estere, in questo caso tornando ancora una volta all’esempio londinese, scriveva l’estensore: «Se darai un’occhiata al pronao della chiesa di S. Martin Laine, vicino a Charing Cross, avrai un’idea con diverse proporzioni e più in leggero del fabbricato che destiniamo all’Ateneo». Inoltre e per tornare al confronto con Parigi, egli aggiungeva che «sessanta botteghe sarebbero riunite in questo luogo ed aperte alle manifatture, alle arti ed agli entropots meglio serventi all’eleganza ed al comodo pubblico». Troverebbe posto pure «Un Teatro diurno per le curiosità d’ogni genere che affluiscono alla città, dei bagni pubblici, la borsa, Ateneo e Bazar, Milano, Veduta prospettica dell’Ateneo, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 449. dei piccoli appartamenti ad uso di hotel garnis pei forastieri, dei tapis verts, degli agrumi, una fontana nel giardino» per mantenervi «una perpetua frescura». Complice l’illuminazione a gas che «allontanerebbe le tenebre della notte», e la summentovata presenza di «Restaurateurs, caffè, librai, [corroborati da] cattedre d’istruzione e gabinetti di lettura nell’Ateneo vicino [come sappiamo] al teatro della Scala, [...] ecco che una molteplicità di elementi renderebbero questo stabilimento il centro della vita elegante, attiva ed utile di Milano». Come si evince da questa idilliaca e financo palesemente utopica e forse anche un po’ astratta descrizione, tuttavia basata su non pochi fermi convincimenti e su taluni elementi di fatto, si tratta della traduzione in un sito ideale della città “neoclassica”, di un programma che interviene nel riordino di un’area centrale, riallacciandosi anche sotto questo profilo ai progetti viari che riprendevano i rettifili e ai riordini di intere aree centrali e suburbane all’avvio del secolo. Essa poi, con altri documenti – per esempio il più volte menzionato articolo uscito su “Il Politecnico” nel 1841 (vol. IV, pp. 499-500), dove a corollario d’una sintetica descrizione si indica in Gaetano Cattaneo, un altro probabile membro del comitato promotore, l’ideatore del progetto –, viene a confermare «la somma di coincidenze» che rende «estremamente probabile» l’identificazione dei fogli esposti con tale progetto. Poiché essi nell’architettura «lascia[no] trasparire senza resistenze il programma funzionale e civile, paradigmatica aderenza all’ideologia economica e politica dei promotori», e sono effettivamente, nelle parole di Pracchi, «l’equivalente, in campo urbano, di ciò che il Conciliatore rappresenta nel campo della cultura scientifica e letteraria». In vero la volontà «di rinnovamento civile di Confalonieri e del suo gruppo diventa qui programma di azione diretta sui comportamenti dei ceti urbani superiori, utilizzando modelli collaudati (i passages parigini, i bazar) e il linguaggio neoclassico locale, ma ricomponendoli in un intreccio di insolita densità, che si propone di condensare in un isolato centrale della Milano della Restaurazione, con espliciti sottintesi politici, il pathos funzionale delle grandi città europee; e che conferma l’ambigua disponibilità e l’indiscutibile qualità urbana della koinè neoclassica» (Pracchi 1978, p. 28). Ecco pure trovato, dunque, il senso di proposte di attività culturali da svolgersi in loco, quali lezioni di fisica sperimentale, chimica applicata alle arti, agraria, letteratura e principi generali delle arti (Soldini 1983, p. 6). Il viluppo cartaceo, per lo più costituito dall’epistolario intercorso fra i promotori, le autorità milanesi e soprattutto viennesi, prende avvio nel luglio del 1819. Esso però, pur dando una messe di dettagli, non consente di stabilire con precisione quando sia stato chiamato in causa l’architetto Luigi Canonica, sostanzialmente per un certo clima di mistero o se si vuole di carboneria che serpeggia negli epistolari stessi. Secondando un orientamento che trova ampio riscontro in Europa e manifestando così una proposta che non può certo intendersi «totalmente nuova», come viceversa pretendeva Confalonieri, anche se nuovo per la Milano del tempo ne è lo spirito. La misurata veste classicista del progetto di Canonica, adottata dall’architetto per legare il pregresso, l’edificio dell’antica Chiesa del Giardino tradotta in bazar, agli altri corpi di fabbrica del complesso, così come il 97 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Ateneo e Bazar, Milano, prospetto principale, sezioni longitudinale trasversale, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 28. Ateneo e Bazar, Milano, studio delle facciate principali, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 29. 98 risalto formale affidato significativamente al pronao dell’Ateneo, in stile ionico – un saggio da accademia, che effettivamente si pone come una citazione in fondo all’invaso porticato della piazza –, sembra suggerire la possibilità che Canonica volesse affidare a questo intervento un ruolo ricapitolativo del suo stesso impegno per Milano, facendone un emblemata. Così pure «l’incremento e la propagazione di un invocato spirito pubblico», nelle parole di Confalonieri, trova piena conferma nello schema distributivo dell’organismo e sottili allusioni, ancora, ai valori e alle azioni dell’era napoleonica. Pur mostrando qualche incongruenza o difficoltà, com’è, per esempio, per la soluzione del teatro diurno, collocato nella parte più alta dell’abside dell’ex chiesa, prevale una lineare semplicità, nella scansione spaziale cadenzata su una griglia essenziale, nella volumetria equilibrata che si avvale di morfologie collaudate che contribuiscono a dare chiarezza al progetto. Le più semplici risoluzioni stilistiche e tipologiche adottate, sommandosi a quanto appena enunciato, concorrono a dare l’impressione di generale severità unita a essenzialità e pulizia che connota il progetto, lasciando altresì intendere la pragmatica scelta di soluzioni spartane, forse per ridurre all’osso i costi vivi del cantiere. Del resto aderenti alla redazione di questi disegni che mostrano una sicurezza compositiva e una pulizia di tratto sintomatiche. L’esame dei fogli, infine, conferma l’aggiornamento linguistico di Luigi Canonica e un suo interessamento storicistico che parrebbe collocarlo in sintonia con una certa linea di ricerca che avrà esito insperato, come si evince per esempio nello studiato reimpiego dello spazio gotico dell’ex chiesa. Forse questa soluzione conferisce a Canonica un ruolo di punta nell’ambito del “neomedievalismo”. A suggerirlo è in particolare il disegno dell’interno del bazar che propone un riordino delle pareti e della volta con sequenza di archi a tutto sesto e una cornice fortemente plastica di raccordo con le falde del tetto e lo scarico degli arconi a sesto acuto, archi che scandiscono la luce di questa copertura mantenuta nel suo spirito gotico; questo intervento viene dunque a proporre una possibile – e precedente la querelle suscitata da Casa Cicogna – apertura in tale direzione. Già segnalata, d’altra parte, da Gianluca Kannès (1977, pp. 171-186), in un articolo che concerne le prime tracce di «spunti neogotici e PROGETTI E INTERVENTI URBANI romantici nella architettura lombarda», muovendo dalle accese discussioni suscitate, nel 1828, dal “caso” di Casa Cicogna (la facciata del palazzo in borgo Monforte che il conte Carlo Cicogna aveva affidato allo scenografo Alessandro Sanquirico, che aveva applicato decorazioni pittoriche medievaleggianti), all’interno della milanese Commissione d’Ornato di cui faceva parte Canonica. Al di là di note concessioni al gotico affioranti nell’opera di Moraglia, di Amati e di Voghera, di Palagi e pochi altri, affiancati peraltro da ritorni di certe istanze baroccheggianti che vanno preparando così il generale interesse per gli stili storici, si affronta alfine in quest’articolo quanto interessa più da vicino Canonica. Fra le carte dell’architetto di Tesserete si possono annoverare difatti schizzi e studi inerenti temi neogotici. «Si ha tutta una serie di fogli – scrive Kannès – in cui l’artista riprende in rapidi schizzi, merlature, castelletti, torricelle, archi acuti, studi per rovine da parco; accanto a questi, e spesso sulle stesse pagine, affiorano appunti moreschi, cancellate, arredi da giardino, combinazioni eccentriche di materiale classico, cottages e chalet in quel composito vocabolario tra rustico e storicistico che le pubblicazioni internazionali andavano diffondendo fin dai primi dell’800» (Kannès 1977, p. 177). Essi oscillano per lo più fra il 1824 e il 1840 anche se accanto a un cottage merlato del 1824 ci sono, com’è stato puntualmente rilevato, studi per torri gotiche variamente annotati 1818, 1819, 1833, che condividono con vari disegni per mobili questi inconfutabili segnali di un precoce “neomedievalismo”. Disegni Luigi Canonica, Pianta della chiesa del Giardino, [1818-1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 3824. Luigi Canonica, Sezione parziale, [1818-1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 3826. Luigi Canonica, Spaccato trasversale, [1818-1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 3827. Luigi Canonica, Prospetto parziale, [1818-1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 3828. Luigi Canonica, Veduta prospettica, [1818-1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 3829. Luigi Canonica, Planimetria, [18181819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 2363. Luigi Canonica, Planimetria, [1818- Ateneo e Bazar, Milano, prospettiva di studio dell’interno della chiesa trasformata in bazar, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 22. 1819]; RSBMi, Fondo Cagnola, 2365. Luigi Canonica, Prospettiva dell’interno della chiesa di Santa Maria del Giardino trasformata in bazar, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 22. Luigi Canonica, Planimetria, rilievo e progetto di trasformazione, [18181819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 23. Luigi Canonica, Planimetria, [18181819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 24. Luigi Canonica, Planimetria generale dell’area, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 25. Luigi Canonica, «Elevazione per il lungo della piazza coperta», [18181819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 26. Luigi Canonica, «Prospetto dell’Ate- neo e Piazza scoperta», [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 27. Luigi Canonica, «Facciata della piazza coperta», [1818-1819]; ASTi, Collezione Cattaneo, 1, 18. Luigi Canonica, Prospetto principale, sezione longitudinale, sezione trasversale, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 28. Luigi Canonica, Studio dei prospetti principali, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 29. Luigi Canonica, «Spaccato per il traverso della soppressa chiesa del Giardino», [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 30. Luigi Canonica, Veduta prospettica dell’Ateneo, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 449. Luigi Canonica, Pianta dell’edificio sull’attuale via Verdi, rilievo, [1818-1819]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 88. Bibliografia Cantù 1878, p. 135; Gallavresi, II, 1910-1913, pp. 70-71, 121-123, 138139, 143, 147-148, 167, 209, 282, 287, 362, 391, 506, 513, 530; Adami 1937; Carteggio di Federico e Teresa Confalonieri 1956, pp. 26-27, 87; Alberici 1963; Kannès 1977; Pracchi 1978, p. 28; Soldini 1981[a], pp. 332-333; Soldini 1982[a]; Soldini 1983; Parisi 1995, p. 62; Caciagli, Ceresoli 1998, p. 190; Tedeschi 1998[b], pp. 144-148. (l.t.) 99 Luigi Rados, da Gaspare Galliari, Spettacolo di naumachia dato dalla città di Milano il 9 giugno 1811, particolare; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. Le feste e la città Nascita di un patto civico Renzo Dubbini Nel cuore del secolo dei Lumi, la festa rappresenta il culmine di uno straordinario processo immaginativo e progettuale. Per riprendere concetti cari a Michel Foucault e Bronislaw Baczko, la festa «si definisce come un altrove sociale, come una eterotopia», che si colloca in spazi e tempi diversi da quelli della quotidianità.1 Essa appartiene tanto alla sfera civica quanto a quella dell’educazione pubblica, proietta il desiderio con forte carica utopica, ma la sua natura è fortemente politica, connessa ai reali processi di trasformazione dei luoghi urbani. Nella Parigi rivoluzionaria vengono riportate in auge le forme del circo, dell’anfiteatro, del colosseo, rendendo visivamente esplicita, in una rievocazione dell’antica Roma, la complessità di una strategia dagli effetti persuasivi. Come Monique Mosser e Daniel Rabreau hanno sottolineato, l’architettura si presenta “polivalente”, dalle forme molteplici e ambigue, dotate comunque di una specifica funzionalità. Non vi è indeterminazione: «i pubblici poteri avevano lasciato agli architetti il compito di ideare edifici dal preciso valore utilitario»; il risultato raggiunto è «una delle più stupefacenti rappresentazioni del linguaggio formale nell’architettura moderna».2 La dinamica temporale agisce in modo progressivo e per certi versi sintetico. Che si tratti di celebrare un evento rivoluzionario o di esaltare le gesta napoleoniche, la concezione immaginativa e il processo creativo si fondano su analoghe percezioni dello spazio, in uno spostamento che dalla dimensione effimera condurrà a una visione urbana concreta, destinata a durare. La festa, con l’assumere un criterio topografico e con l’adottare un linguaggio fortemente simbolico, diviene l’occasione per la messa a punto di tecniche e di significati che si iscriveranno profondamente nelle strategie urbane del XIX secolo. La festa realizza le condizioni per il dispiegarsi di una sottile pedagogia, «strumento educativo indispensabile alla vita sociale, per mobilitare il sentimento a sostegno delle grandi cause nazionali»;3 diviene dispositivo per l’elaborazione di manifestazioni popolari, folcloriche, politiche, in un quadro significativo per la storia dei rapporti tra culture e poteri. In questo senso la festa alimenta gli ideali pubblici e offre in parte valori che saranno fondamento di una più moderna concezione della società e dello Stato. Il processo creativo assume per questo modalità del tutto particolari. Nelle architetture della festa, il linguaggio assorbe lo sguardo, senza rimandi, senza necessità di traduzione. I segni esprimono con esattezza i valori morali, rendendoli in una rappresentazione assoluta, di fronte agli occhi di tutti. L’architettura ricorre alla propria retorica tangibile, a metafore fortemente espressive. La sua finalità è di educare, di agire sulla sfera morale, di rendere più efficace l’azione di un codice civico e laico rivolto all’uomo e al cittadino. Il monumento e in particolare la sua decorazione vengono concepiti per parlare direttamente agli animi tramite «la scrittura energica dei segni».4 La decorazione si presenta come articolazione comunicativa, la superficie più ravvicinata ove si esprime il messaggio ideologico, politico. Essa si struttura in un apparato simbolico costituito da ordini, statue, emblemi, iscrizioni all’antica, realizzato con materiali effimeri, in una simulazione della pietra perseguita con tecniche pittoriche e scultoree. Ciò rende chiaro che l’efficace trasmissione dei significati è affidata all’accuratezza del sistema linguistico e alla sua immediata percezione. Strumento del discorso è un’architettura carica di “attributi”, nel senso inteso da Quatremère de Quincy, ovvero di “simboli consacrati” alle divinità, alle arti, al governo, al potere militare, ai quali si ricorre per «qualificare acconciamente gli edifici».5 Tale processo attributivo segue un percorso ben definito, come sostiene Quatremère: «per poco che un architetto sia informato della mitologia e conosca i vantaggi dell’allegoria, troverà sempre il mezzo di introdurre siffatti ornamenti». E ancora egli precisa: «Non vi ha edificio, di qualsiasi carattere e destinazione, che non possa somministrare allusioni ingegnose, ed in cui gli attributi de’ Numi, delle scienze, delle virtù, ecc. non sieno suscettibili di quelle varietà di forme, che può suggerire l’immaginazione».6 La ripresa delle forme antiche non è implicita soltanto nel costituirsi di una fantasmagoria, ma è legata alla necessità di fornire risposte alle esigenze del presente, suggerendo l’adattamento dei modelli architettonici del passato alle funzioni contemporanee. L’architettura afferma la sua specificità e il suo potere di caratterizzazione dei luoghi. Ciò è particolarmente evidente nell’esatta distinzione – funzionale e simbolica – tra i luoghi dell’istruzione pubblica e quelli propri dell’educazione nazionale. Distinzione perseguita con rigore, nella consapevolezza che mentre l’educazione pubblica richiede licei, collegi, accademie, biblioteche, spazi rigorosamente chiusi, l’educazione nazionale predilige circhi, piazze, giardini, spazi aperti e adatti al convegno della moltitudine. Tale processo costitutivo richiede di superare il grado della teatralità per veicolare il discorso in una situazione straordinaria, oltre la “normalità” del quotidiano. Viene perciò imposta la condizione eterotopica in quanto speciale, instauratrice di comportamenti eccezionali. Si oltrepassa la convenzione, la rigidità, per privilegiare la libertà. Questa dinamica rievoca per analogia la relazione che in Jean-Jacques Rousseau favorisce l’elogio della festa collettiva in contrapposizione al teatro, opponendo trasparenza e opacità. Jean Starobinski ha osservato: «lo spettacolo oggetto ci derubava della libertà sicché, nella sala oscura, ci rendevamo immobili come cose: pietrificati da uno sguardo di Medusa. Adesso, come alla fine dello spettacolo subentra la festa a cielo aperto, così, all’oggetto opaco dello spettacolo, si vede subentrare una comunità di coscienze aperte che si rivolgono le une verso le altre».7 Lo sguardo liberato si rivolge con vitalità agli oggetti del desiderio ed è uno sguardo che predilige la luce. Come del resto avviene nel 101 RENZO DUBBINI Anonimo, Vue générale Fète de la Féderation française prise à vol d’oiseau au dessus de Chaillot, 1791; Paris, Bibliothèque Nationale, Cabinet des estampes. teatro senza palchi di Ledoux, nel quale le azioni e le emozioni di tutti – degli attori e del pubblico – vengono rivelate, esibite, messe in scena, illuminate.8 La relazione tra spazi chiusi e spazi aperti si risolve favorendo questi ultimi. Werner Oechslin, riprendendo un fondamentale studio di Mona Ozouf,9 ha ribadito «il valore quasi esclusivo dello spazio esterno, dell’“espace ouvert” e del “plein air”».10 Certo, non sempre la festa pubblica presuppone una forte organizzazione visuale, ma talvolta ne risente in modo totale. Il luogo viene circoscritto, racchiuso da limiti e soglie, l’architettura diviene eloquente. Legandosi all’evento e alle strategie che vi trovano ragione, essa viene fisicamente vissuta e contemplata. Polarizza la visione ed eccita le sensazioni. Osservava Boullée: «è negli sguardi di un oggetto adorato che noi attingiamo la vita e la felicità! Sono gli sguardi che annunciano la bellezza delle bellezze, voglio dir quelle della nostra anima».11 La tensione del processo creativo conduce a concepire un’architettura seducente, piena di carattere, di sentimento, alla quale ogni sguardo si rivolge. Aggiungeva ancora Boullée: «mettere del carattere in un’opera è l’arte di impiegare tutti i mezzi propri e relativi al soggetto di cui si tratta: così che lo spettatore non prova altri sentimenti che quelli 102 che il soggetto comporta, che gli sono essenziali e che gli sono propri».12 Valorizzazione del carattere, retorica, percezione e ridisegno del contesto fanno parte di un’unica azione progettuale. Nel culmine della fase rivoluzionaria, montagne, templi della libertà e dell’uguaglianza, archi di trionfo, monumenti dedicati ai martiri e alle guerre nazionali vengono inscritti nei luoghi urbani con il proposito di mutarne l’uso e i significati. L’architettura e gli emblemi di cui si nutre divengono oggetti liturgici offerti a una società bisognosa di una sacralità laicizzata, necessaria all’instaurazione di un ordine sincronizzato con un preciso tempo storico. Come è stato osservato da James Leith, «tutti questi templi così come il ciclo delle feste annuali prescritto dal governo avevano come fine la trasformazione dell’intero paese in una comunità o in una grande assemblea che si rinserra intorno agli ideali rivoluzionari e alle virtù civiche».13 Non tutti però avranno come esclusivo riferimento l’apparato espressivo proprio della Rivoluzione. Attivi nei concorsi della fase rivoluzionaria,14 ma sempre ispirati dal culto dell’Antico, Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine saranno gli artefici di un passaggio storico che unisce la Rivoluzione all’ascesa travolgente di Napoleone. I loro progetti, essenziali e solenni, sa- LE FESTE E LA CITTÀ pranno riunire due epoche in un’unica drammaturgia. Con l’avvento di Napoleone, lo spettacolo della festa identifica una presa di potere sugli spazi urbani insieme alla pianificazione di una strategia di assoluta caratterizzazione dell’architettura pubblica. Ciò avviene sia nella creazione di luoghi scenografici immaginati ex novo, sia quando si tratti di trasformare i luoghi simbolici dell’Ancien régime – la Bastiglia a Parigi, il Castello Sforzesco nel caso di Milano – e di renderli fulcri tanto di un programma ideologico quanto di un processo di trasformazione materiale. In un’analisi di estrema chiarezza, Carlo Zaghi ha osservato come la politica urbana napoleonica a Milano si esprima «con una genialità e una lungimiranza quale non si riscontra in nessun’altra città italiana dell’epoca».15 Si può dire che la strategia delle feste – con le sue suggestive scenografie e il suo apparato di architetture effimere – sia complementare all’azione creatrice della città permanente. La nuova architettura, nel suo complesso, si colloca nella griglia di spazi che la Commissione d’Ornato – composta dagli architetti Cagnola, Canonica, Landriani, Albertolli e Zanoja – aveva individuato cercando di conferire alla capitale del Regno d’Italia una trasparenza e una qualità analoghe a quelle di Parigi, «cercando di mettere ordine nel disordine edilizio delle passate amministrazioni […] sia attraverso l’uniformità di allineamenti delle case e ordinamenti generali per le strade pubbliche, le facciate dei palazzi, la creazione dei giardini e delle passeggiate; sia mediante provvedimenti relativi all’igiene, alla stabilità e alla sicurezza degli edifici».16 L’inscindibile legame tra le azioni dell’amministrazione francese a Milano e la strategia delle feste pubbliche si esprime tramite simboli dal forte significato politico. Come ha osservato Ornella Selvafolta, «insieme all’esercito faceva il suo ingresso in città anche “l’albero della libertà”: la prima forma, nuova e Anonimo, Rinfresco offerto a Bonaparte dalla Federazione milanese, luglio 1797; Boulogne, Bibliothéque Marmottan. 103 RENZO DUBBINI Anonimo, «Festa celebrata al Foro Bonaparte il giorno 26 giugno 1803 in memoria della battaglia di Marenco», 1803; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. significativa, di struttura effimera, centro di quelle azioni spontanee e giubilo condiviso che Rousseau aveva auspicato e che le manifestazioni della Rivoluzione francese avevano ripreso esaltando le potenzialità di aggregazione e l’alto gradiente simbolico di un elemento di natura, espressione di vitalità, sincerità, giustizia».17 Un’iconografia fatta di ghirlande, bandiere, berretti frigi, si affianca a decori desunti dalla natura, dando corpo a costruzioni architettoniche nelle quali si traducono i valori morali di un mondo rinnovato. Per il raggiungimento di un obiettivo di ordine sociale e di natura estetica, vengono mobilitati architetti, scultori, pittori, decoratori e scenografi, insieme a un gran numero di artigiani e operai. Questo forte investimento progettuale offre la possibilità di un riscontro concreto, esattamente nel momento in cui prende corpo l’idea di una città intesa come “centro di servizi”,18 ove emblemi e funzioni si possono integrare, restituendo l’immagine di un nuovo paesaggio urbano. Ma ciò avviene a determinate condizioni. Secondo Luciano Patetta, «si può affermare che il massimo sforzo del finanziamento pubblico è concentrato […] in opere nelle quali minimo è il costo dei materiali e l’impegno tecnico, massima è invece l’occupazione di mano d’opera».19 Tale scelta risponde «alla speranza di un patto sociale fra tutte le classi e all’illusione […] di riuscire a responsabilizzare e coinvolgere nell’ideale delle opere pubbliche il po- 104 polo», ricorrendo a modelli architettonici che erano già stati proposti a Parigi dal 1790. La città della magnificenza si riconosce nell’ambiziosa creazione di luoghi collettivi che devono essere i centri dinamici di una vita pubblica ove i cittadini sono protagonisti di un processo politico, culturale, ed esprimono la propria convinta adesione al governo della res publica. La costruzione della Milano napoleonica si basa su un processo di condivisione politica e di ordinamento degli spazi, con l’introduzione di tipi edilizi che dovranno rappresentare adeguatamente le azioni sociali e politiche che in questa circostanza convergono. Il tutto culminerà nella costruzione dell’Arena di Luigi Canonica e nella redazione del piano per Foro Bonaparte a cura di Giovanni Antonio Antolini.20 L’entusiasmo e la forza che derivano da una grande carica ideale si depositano in queste creazioni che, pur nascendo da modelli antichi, rivendicano l’identificazione con una prepotente modernità. Se pensiamo alla sostanza che le caratterizza vi troviamo la stessa matrice morale dei progetti di Patte, di Ledoux e di Boullée. Matrice rintracciabile anche nei commenti di Pietro Giordani in merito alle soluzioni proposte per Foro Bonaparte, e in particolare alle concezioni del Teatro e del Museo. Il Teatro, sostiene Giordani, oltre alla programmazione notturna, dovrà avere una intensa attività durante il giorno: «potranno farvisi diurne radunan- LE FESTE E LA CITTÀ Gaspare Galliari, «Veduta dei pubblici giardini di Milano in tempo delle feste pubbliche», 1810; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. 105 RENZO DUBBINI Charles Percier, Pierre-François-Leonard Fontaine, «Vue de la façade principale de l’Eglise de Notre Dame de Paris et du Portique qui la décorait le jour de la cérémonie du couronnement», 1804; collezione privata. Charles Percier, Pierre-François-Leonard Fontaine, «Vue du grand vestibule, en forme de tente, érigé à l’entrée du Palais Archiépiscopal derrière l’Eglise de Notre Dame», 1804; collezione privata. Charles Percier, Pierre-François-Leonard Fontaine, «Vue de l’intérieur de l’Eglise de Notre Dame en regardant le Trône»; da Recuil des décorations exécutées dans l’église de Notre Dame de Paris, Paris 1807. ze, o per musica, o per disputazioni di scienze, o sperimenti di fisica, o per qual altro argomento si voglia».21 L’azione civica deve dunque dare senso all’uso e all’organizzazione degli spazi; così come il Museo «dee contenere ogni esempio della felicità e della saviezza del secolo, degno è che abbian pubblico onore le Muse; e che un Museo o pubblico domicilio sia dato alle arti, dalle quali viene ogni ornamento e ogni bel diletto al viver civile». Il Museo «accoglierà tutto quello che le arti del disegno, e le meccaniche, e le scienze sperimentatrici, e lo studio della natura e della più antica istoria ha trovato e prodotto di più ragguardevole». Sono questi spazi, e queste architetture, dalla finalità pedagogica e morale, ad essere concepiti per la “felicità” di tutti, nell’accezione più ampia, rispondendo a una nuova concezione della società, dello “stato cul- turale”, con i limiti e i rischi che ciò avrebbe comportato. Come ha scritto Marc Fumaroli: «Il significato più profondo della parola “cultura”, per gli uomini come per le piante, consiste nel girarsi verso la luce, nel crescere in essa. Se amiamo la libertà è perché ci lascia trovare da soli la luce e in essa crescere. Lo Stato ha il dovere di non opporre un muro all’appello della luce. Non gli si chiede più, come ai tempi del Re Sole, di diffonderla. Si è visto fin troppo bene che, come sunlight, ha da offrire soltanto riflettori».22 L’esito di una società “aperta”, popolata di “simulacri” e di presenze “virtuali” non era ancora così scontato. Le feste avevano aperto una breccia, inondandola di una luce accecante, proiettandovi quell’istanza di libertà che le moderne città avrebbero accolto nelle forme più diverse. 106 LE FESTE E LA CITTÀ 1. B. Baczko, L’utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo [Paris 1978], trad. it. di M. Botto, D. Gibelli, G. Einaudi, Torino 1979, p. 260; sul concetto di eterotopia cfr. M. Foucault, Des espaces autres: utopies et hétérotopies, “L’architettura. Cronache e storia”, a. XIII, 1968, n. 150, p. 822. 2. M. Mosser, D. Rabreau, Il circo, l’anfiteatro, il colosseo. La Parigi della Rivoluzione come nuova Roma, “Lotus International”, 1983, n. 39, p. 108. 3. L. Bergeron, Evolution de la fête révolutionnaire. Chronologie et typologie, in Les fêtes de la Révolution, atti del convegno (Clermont-Ferrand 1974), a cura di J. Ehrard, P. Viallaneix, Société des Etudes Robespierristes, Paris 1977, p. 127. 4. Baczko 1979, p. 438. 5. A.C. Quatremère de Quincy, Dizionario storico dell’architettura, Le voci teoriche, a cura di V. Farinati, G. Teyssot, Marsilio, Venezia 1985, p. 139. 6. Ivi, pp. 139-140. 7. J. Starobinski, La trasparenza e l’ostacolo. Saggio su Jean-Jacques Rousseau [Paris 1971], trad. it. di R. Albertini, Il Mulino, Bologna 1982, p. 158. 8. Cfr. A. Vidler, Claude-Nicolas Ledoux 1736-1806, Electa, Milano 1994, p. 149 e sgg. 9. M. Ozouf, Le cortège et la ville. Les itinéraires parisiens des fêtes révolutionnaires, “Annales E.S.C.”, a. XXVI, 1971, n. 5, pp. 889-916; M. Ozouf, La fête révolutionnaire, 1789-1799, Gallimard, Paris 1976. 10. W. Oechslin, Le feste della Rivoluzione francese-Riflessioni sull’immaginario collettivo, “Lotus International”, 1977, n. 17, p. 63. 11. É.L. Boullée, Architettura. Saggio sull’arte, a cura di A. Rossi, 2a ed., Marsilio, Padova 1977, p. 140. 12. Ivi, pp. 141-142. 13. J. Leith, Le Sacré et L’Architecture en l’an II, in Les architectes de la Liberté, 1789-1799, catalogo della mostra (Paris 1989-1990), a cura di A. Jacques e J.P. Mouilleseaux, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-arts, Paris 1989, p. 176. 14. W. Szambien, Les projets de l’An II. Concours d’architecture de la période révolutionnaire, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-arts, Paris 1986. 15. C. Zaghi, L’Italia di Napoleone, UTET libreria, Torino 1989, p. 126. 16. Ivi, p. 123. 17. O. Selvafolta, Gli “ornati dell’allegrezza”: luoghi, apparati e ideologia delle feste nella Milano napoleonica, “Archivio storico lombardo”, XII s., a. CXXIX, 2003, vol. IX, p. 171. 18. G. Teyssot, Città-servizi. La produzione dei Bâtiments civils in Francia (1795-1848), “Casabella”, 1977, n. 424, pp. 56-65. 19. L. Patetta, Architettura e Spazio urbano in epoca napoleonica, in L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978, p. 22. 20. C.W. Westfall, Antolini’s Foro Bonaparte in Milan, “Journal of the Warburg and Courtauld Institute”, a. XXXII, 1969, pp. 366-385; A. Scotti, Il Foro Bonaparte. Un’utopia giacobina a Milano, F.M. Ricci, Milano 1989. 21. P. Giordani, Del Foro Bonaparte, 1806, in P. Barocchi, Storia moderna dell’arte in Italia, vol. I, Dai neoclassici ai puristi, 1780-1861, Einaudi, Torino 1998, pp. 200-201. 22. M. Fumaroli, Lo stato culturale. Una religione moderna [Paris 1991], Adelphi, Milano 1993, p. 273. 107 Alessandro Sanquirico, da un disegno di Andrea Appiani, «Veduta de’ Giardini Pubblici con monumenti eretti per la Festa del giorno 26 giugno 1803 anno II», particolare, 1803; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. 108 F E S T E E A P PA R AT I E F F I M E R I Catalogo dell’opera Feste e apparati effimeri Luigi Canonica, Paolo Landriani Festa per la presa del Castello da parte delle truppe francesi, Giardini Pubblici, Milano 5 luglio 1796 Nella Memoria della Festa ordinata all’occasione della resa del Castello di Milano alle armi francesi (AMMe, Fondo Canonica, L, 591), Luigi Canonica riferisce i dettagli dei numerosi e differenti apparati allestiti durante la prima festa ufficiale celebrata a Milano dopo l’ingresso delle truppe napoleoniche, in occasione della resa degli Austriaci asserragliati tra le mura del Castello. La «magnifica e composta» cerimonia, organizzata nei Giardini Pubblici il 5 luglio 1796 e documentata dalle pagine de “Il Corriere milanese”, ebbe inizio «alle ore 7 pomeridiane, durò quasi tutta la notte, e riuscì veramente grandiosa, brillante, bene immaginata», grazie alle scenografie architettoniche ideate da Canonica e alle decorazioni realizzate da Paolo Landriani. Nel cortile del fabbricato interno ai giardini fu allestito un salone coperto per la prevista festa da ballo, con una pavimentazione in tavole di legno e «un gran padiglione a 3 colori». L’annesso teatrino provvisorio fu pensato per la messa in scena di rappresentazioni comiche. Lungo il viale che conduceva ai bastioni trovarono sede una serie di apparati effimeri: alcune strutture gradinate a forma di anfiteatro per le orchestre, un albero della libertà «con piedestallo ornato da fasci consolari ed iscrizioni esprimenti i diritti dell’uomo», due padiglioni ottagonali per le autorità «ornati con tende e colonne a 3 colori», un arco trionfale di ordine corinzio con iscrizioni, sotto il quale venne posta la statua della libertà. L’imponente e grandioso spettacolo allestito nei giardini fu esaltato da una scenografica illuminazione realizzata con fiaccole disposte lungo i viali e con duemila palloni di carta, collocati su tutte le alberature e riproducenti i tre colori della Repubblica che, come sottolinea lo stesso Canonica, garantirono un «bellissimo effetto ed una varietà di chiaro nei diversi luoghi del giardino». Principale protagonista della festa e componente fondamentale dello spettacolo fu la folla: «la folla di popolo fu grande – riferisce l’architetto – molti danzavano, altri passeggiavano o trattenevansi alla comedia, alla festa ed alla musica», godendo del risultato di sapienti lavori d’apparatura che si sarebbero rinnovati, il 22 settembre successivo, negli «ornati dell’allegrezza» ideati per la celebrazione commemorativa dell’anniversario della fondazione della Repubblica Francese. Disegni Luigi Canonica, Studio di un apparato con albero della libertà e trofeo, [1796?]; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia “Il Corriere milanese”, 7 luglio 1796; Chiesa 1943; Gallo 1996, p. 92. (b.b.) Arco provvisorio in occasione della festa per la Capitolazione di Mantova, Milano 16-17 febbraio 1797 La Capitolazione di Mantova (2 febbraio 1797) per opera del generale Bonaparte, fu celebrata nella vicina Milano con una grande festa nei giorni 16 e 17 febbraio 1797. Per l’occasione fu chiesto al giovane Luigi Canonica di progettare un arco di trionfo provvisorio dotato al suo interno di un sofisticato meccanismo per i fuochi d’artificio (ASMi, Spettacoli pubblici, 1). La mancanza di elaborati grafici non consente un’analisi dettagliata del monumento, la cui fisionomia sembra essere stata ripresa da Canonica nel 1805 per il progetto di Porta Vercellina. Le fonti del tem- po lo ricordano a un solo fornice e ornato alla sommità da una statua in stucco personificante una Vittoria alata. Al centro dell’attico compariva un’epigrafe a caratteri d’oro recante il motto: «Viva la Repubblica Francese! / Viva l’Armata d’Italia!». La fiancheggiavano due grossi medaglioni a bassorilievo raffiguranti le effigi dei Bruti tirannicidi. Nel fregio, retto da due coppie di colonne doriche, era riportato il motto repubblicano: «Libertà / Virtù / Uguaglianza». Il Genio della Francia che abbraccia il Belgio e la Lombardia e Castore e Polluce che si giurano fedeltà su di un’ara, simboleggianti rispettivamente i principi rivoluzionari di Unità e di Fratellanza, furono i soggetti che il pittore Andrea Appiani decise di realizzare a monocromo tra gli intercolumni. Più in basso, all’interno di nicchie semicircolari, trovavano posto le personificazioni del Coraggio e della Fortezza. Ai lati del grand’arco, Canonica decise di collocare due enormi obelischi commemoranti la Legione Lombarda. L’elaborato impianto decorativoallegorico si concludeva con un’urna dorata posta ai piedi di un gruppo di nuvole contenente i «ridicoli emblemi dell’aristocrazia e del dispotismo». La Descrizione della festa ricorda come al momento dell’accensione del meccanismo interno all’apparato: «vi fu dapprima una generale illuminazione accompagnata dal lancio di una teoria di razzi di vari colori. Ad un colpo di tuono il gruppo delle nuvole s’aprì e dal suo seno comparve la Libertà, la quale col piede e con l’asta calpestava l’orgoglio, l’ignoranza e l’invidia, compagni dell’aristocrazia, ed implorava il suo trionfo totale dall’occhio raggiante della ragione. Da questa si avventa contro l’urna atterrata un fulmine che incenerisce tutti gli avanzi della tirannia, la quale tenta di risorgere dalle sue ceneri trasformata in aquila rapace, ma mentre si slancia nell’aria si polverizza». Il sofisticato meccanismo tuttavia non funzionò come previsto. Lo sto- rico Francesco Cusani precisa infatti che: «il fuoco d’artificio mal preparato svampò in globi di fumo; e se non era il timore delle guardie che vi stavano a guardia, sarebbero nati dei disordini per il malumore della folla» (Cusani, V, 1861-1884, pp. 96-97; cfr. anche ASCMi, Materie, 380). Bibliografia Descrizione delle feste date a Milano a 28-29 piovoso 1797; Cusani, V, 18611884, pp. 96-97; Bosi 2001-2002, pp. 29-30. (s.b.) Giuseppe Piermarini, Luigi Canonica Festa della Federazione Cisalpina, Lazzaretto, Milano 9 luglio 1797 «La federazione ha per oggetto la riunione del Popolo Cisalpino in Repubblica una ed indivisibile, il giuramento di odiare ogni tirannia, di difendere e mantenere la Costituzione»: il primo punto del Piano della Festa Federativa della Repubblica Cisalpina sottoscritto dai membri del Comitato di Arti e Scienze della Società di Pubblica Istruzione di Milano (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 126) – tra i quali Giuseppe Piermarini, Andrea Appiani e il neoeletto Luigi Canonica – sottolineava espressamente il valore politico-simbolico della festa federativa celebrata a Milano il 9 luglio 1797. L’episodio festivo voluto da Napoleone a seguito della proclamazione della Repubblica Cisalpina (29 giugno 1797), evidente riflesso dei profondi contenuti ideologici, politici e artistici delle feste rivoluzionarie parigine e precipuamente di quella della grande Confederazione del 14 luglio 1790, doveva promuovere la formazione di una nuova coscienza popolare e di una rinnovata identità nazionale. Giuseppe Piermarini e l’allievo Canonica, già soprintenden- 109 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Domenico Aspari, «Festa della Federazione della Repubblica Cisalpina», incisione, 1797; RSBMi, AS g. 2-30. te all’illuminazione notturna, furono incaricati dalle autorità municipali dell’ideazione e della realizzazione delle effimere architetture scenografiche per il complesso rituale celebrativo allestito nella «opportunissima» area del Lazzaretto, poi ribattezzato Campo della Confederazione o Campo di Marte, «un vasto recinto capace di 400 milla persone, quasi quadrato, recinto per tre lati da portici». Il primo numero de “L’Estensore Cisalpino” definì l’evento come «un atto che segnerà l’epoca più gloriosa de’ fasti italiani» e riferì i dettagli di un aulico e articolato cerimoniale segnato da provvisori elementi architettonici, realizzati con la collaborazione dello scenografo Paolo Landriani e del pittore Andrea Appiani. L’arco trionfale di ordine corinzio a tre fornici con attico eretto a Porta Orientale (BCF, B 4) – decorato da bassorilievi evocanti le imprese dell’Armata d’Italia – e la Chiesa di San Carlo, trasformata in tempio dedicato a Marte che accoglieva l’altare della patria (BCF, B 79), definivano i due fulcri visuali di uno spettacolo dalla «varieté pittoresque», che dal Palazzo Nazionale (ex Palazzo di Corte) attraverso il corso di Porta Orientale culminava nel Campo di Marte, teatro della festa, simulacro 110 di una spazialità urbana che, anche se artifizio, prefigurava la tensione verso la trasparenza e la leggibilità di una nuova e “parlante” organizzazione architettonica della città. L’allestimento del Campo di Marte – fissato nell’incisione realizzata da Domenico Aspari durante l’ingresso del corteo militare nel teatrale spazio aperto (RSBMi, AS g 2-30) per «eternare la memoria del principio della libertà Cisalpina» e donata in copia al Gran Consiglio (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 128) – trova riscontro in alcuni disegni dell’Archivio di Stato di Milano relativi al previsto assetto del Lazzaretto. L’Emplacement de la fédération (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 126) mostra in pianta un recinto quadrato, dominato al centro dalla struttura ottagonale dell’Hôtel de la Patrie, circondata da palchi per le autorità costituite, suddiviso in settori destinati al popolo e agli schieramenti delle truppe (riconoscibile in RSBMi, AS m 11-46). Numerose e dettagliate note di spese liquidate da Piermarini e Canonica ai tanti «artisti, operai e somministratori che hanno servito le opere in occasione della Festa della Federazione» forniscono preziose informazioni sulla molteplicità dei lavori intrapresi e la celerità nell’allestimento di una rigorosa rappresentazione scenograficamente progettata e diretta dai due architetti. Un loro Promemoria datato 23 giugno 1797 (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 126) elenca alcune precise richieste sottoposte all’amministrazione generale delle feste, tra le quali il trasferimento delle famiglie residenti nel recinto del Lazzaretto e la nomina di una commissione delegata alla festa «colla quale possano intendersi gli architetti per tutte le occorrenze». Gli ingenti «adattamenti» attuati sulle strutture preesistenti riguardarono l’apertura di porte, il consolidamento di coperture, il trasporto di terra per creare abbassamenti e rialzi; il recinto porticato fu ornato da 500 ghirlande realizzate con foglie di tigli e olmi dei Giardini Pubblici. L’effetto delle decorazioni venne esaltato dalla messa in scena di una scenografica illuminazione a fiaccole e lanterne riproducenti i tre colori dello stendardo cisalpino. Gli «scanni» trasportati dal Teatro alla Scala furono collocati in parte della piazza per assistere al solenne cerimoniale della messa celebrata dall’arcivescovo, alla benedizione delle bandiere cisalpine e al giuramento di fedeltà alla Repubblica. Corse di fantini a cavallo e sfilate di carri trionfali concorsero ai festeg- giamenti federativi: i tre carri rappresentanti la Vittoria, la Repubblica Francese e la Repubblica Cisalpina furono ideati da Andrea Appiani e per la loro realizzazione venne richiesta una consulenza al pittore francese Robert Lefèvre «che ai talenti naturali [univa] tanto entusiasmo per la Libertà» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 128) e che, negli anni successivi, avrebbe ritratto in numerose repliche i membri della famiglia Bonaparte. In una lettera del 12 febbraio 1798 (ibidem, 128) indirizzata al ministro degli Affari Interni, gli architetti delegati Piermarini e Canonica richiedevano il saldo del loro onorario e una «gratificazione» straordinaria, poi accordata, per le capacità dimostrate nella sapiente e convincente regia della prima festa federativa di Milano, rinnovata da Canonica e Appiani, il 10 piovoso anno IX (29 gennaio 1798), per la festa della Riconoscenza del popolo cisalpino verso la Repubblica Francese. In occasione dell’«augusta celebrazione», nel Campo della Confederazione venne allestito un sorprendente «trofeo scenico» e l’architetto Canonica concertò «le orchestre, i palchi, il carro per i cavalli, le bardature» (ASMi, Spettacoli pubblici, p.a., 2). Bibliografia Fondazione della Repubblica Cisalpina 1797; Cusani, V, 1861-1884, pp. 150-151; Filippimi 1936, p. 209; Bertoliatti 1939, p. 172; Mezzanotte 1966, p. 286; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 484; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 33; Celona, Mariani Travi 1983, p. 43; Giuseppe Piermarini e il suo tempo 1983, pp. 51, 181-183; Parisi 1995, p. 63; Gallo 1996, p. 93; Bosi 2002[b], pp. 206, 208; Selvafolta 2003, pp. 174-177. (b.b.) Andrea Appiani, [Luigi Canonica] Cerimonia funebre in onore dei soldati francesi morti, Giardini Pubblici, Milano 28 febbraio 1801 L’avviso del comandante della Piazza di Milano, 29 piovoso anno IX (18 febbraio 1801), annunciava per «il giorno 10 ventoso una festa funebre in memoria de’ bravi militari dell’Armata d’Italia, morti in questa campagna» (ASMi, Spettacoli pubblici, p.a., 1). Il Programme de la Fête prevedeva l’inizio delle celebrazioni a mezzogiorno «dans la promenade F E S T E E A P PA R AT I E F F I M E R I dite le Jardin public» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 137) al centro della quale sarebbe stato eretto un monumento sepolcrale in onore dei generali Dalton e Calvin e dei soldati caduti nella battaglia che aveva consentito la presa di Mantova durante la prima campagna d’Italia. Salve d’artiglieria, evoluzioni militari e sfilate delle truppe segnarono il cerimoniale di una festa dal carattere prevalentemente militare, in cui la scenografia architettonica sembra limitata al monumento funebre attribuito nel programma della festa al “celebre” Andrea Appiani. Alcuni schizzi di Luigi Canonica per un cenotafio, ascrivibili alla medesima cerimonia funebre e conservati nel Fondo Canonica a Mendrisio (AMMe, D 402, D 403), sollecitano la supposizione di un coinvolgimento dell’architetto ticinese nell’allestimento dell’apparato commemorativo. In particolare il foglio D 402 presenta, al verso, lo studio in pianta e in alzato di un monumento a forma piramidale accompagnato dalla scritta autografa «per la cerimonia funebre del giorno 10 ventoso anno 9 ai Giardini Pubblici». A convalida di tale ipotesi, il percorso professionale di Canonica attesta che, fino al 1801, le sue effettive competenze, in qualità di architetto nazionale, non si erano ancora del tutto definite e la molteplicità degli incarichi a lui affidati prevedeva spesso l’allestimento di pubbliche occasioni celebrative, anche a seguito della perizia acquisita grazie alla collaborazione con Giuseppe Piermarini negli allestimenti scenografici per la prima Festa Federativa di Milano. Disegni Luigi Canonica, Studio per monumento funebre, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 13, D 402. Luigi Canonica, Studio per monumento funebre, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 13, D 403. (b.b.) Festa per il ritorno dei prigionieri politici, Porta Orientale, Milano 9 aprile 1801 Il 19 germile anno IX (9 aprile 1801) i «Cisalpini usciti finalmente dalle carceri […] del governo austriaco» furono accolti dalla Guardia nazionale e dalle autorità milanesi alla Porta Orientale «decorata con trofei ed emblemi per cura dell’Architetto Studio per monumento funebre, [1801]; AMMe, Fondo Canonica, 13, D 402. Canonica», presso la quale venne eretto un albero della libertà. I festeggiamenti in onore dei prigionieri politici al loro ritorno in patria continuarono con «un lieto banchetto ed una recita nel Teatro Patriottico». I riscontri documentari non hanno permesso di verificare la cronaca riferita da Francesco Cusani e specificamente di precisare il contributo di Luigi Canonica negli interventi per la «commovente» cerimonia che, anche se circoscritti alla Porta Orientale e al Teatro Patriottico, testimoniano il procedimento formativo di una sapienza celebrativa che culminerà nella messa in scena dell’allestimento per l’incoronazione di Napoleone. Bibliografia Cusani, III, 1861-1884, p. 32; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. LIX. (b.b.) Paolo Bargigli, [Luigi Canonica] Festa per la Pace, Foro Bonaparte, Milano 9 novembre 1801 La grandiosa festa pubblica seguita al trattato di pace stipulato con gli Austriaci a Lunéville, segnata dalla posa della prima pietra del Foro Bonaparte (30 aprile 1801), si rinnovò nei solenni e gioiosi festeggiamenti per la firma della pace tra Francia e Inghilterra predisposti per il 18 brumale anno X (9 novembre 1801) e affidati alla regia dell’architetto romano Paolo Bargigli, nominato direttore delle feste nazionali nel maggio 1801 (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 15). Il dettagliato programma della celebrazione – differita in parte al 26 novembre a causa del maltempo – prevedeva l’arrivo del corteo delle auto- rità nel Foro Bonaparte, anfiteatro artificiale già eletto a teatro delle feste pubbliche, in cui la dominante ara centrale fu trasformata per l’occasione in «un giardino pensile abbellito da piante e alberi cariche abbondantemente di ciò che forma una cuccagna» (ASMi, Spettacoli pubblici, p.a., 1), riflesso di un’evocativa architecture naturelle ideata da David nel Campo di Marte di Parigi per la festa dell’Essere Supremo dell’8 giugno 1794. Due colonne rostrali e le statue allegoriche della Pace e delle due Repubbliche sorelle furono collocate nel giardino effimero del Foro di Milano e tra i palchi destinati alle autorità e alle orchestre. Il «giulivo spettacolo» dell’assalto della folla al rinnovato albero della libertà descritto da “Il Redattore Cisalpino” rappresentò solo l’inizio di una serie di eventi celebrativi culminanti nella coreografica illuminazione serale del Foro e nel «grandioso Fuoco artificiale» costruito dal pubblico artificiere Giuseppe Mellina e predisposto lungo il fronte principale del Castello. Le sorprendenti macchine effimere ideate per l’episodio festivo e rappresentate nella veduta allegata da Bargigli al programma dimostrano l’applicazione congiunta di una équipe di abili professionisti. Una lettera di Luigi Canonica, indirizzata al ministro dell’Interno in data 8 piovoso anno X (28 gennaio 1802), comprende l’elenco «degli artisti, operai e somministratori che dal cittadino Bargigli vennero impiegati nell’esecuzione delle opere per la decorazione della festa», tra cui lo scultore ticinese Grazioso Rusca e il pittore Alessandro Sanquirico. Un ipotetico anche se non documentato coinvolgimento di Canonica, in qualità di architetto nazionale impegnato in quel momento nelle questioni relative ai teatri alla Canobbiana e alla Scala, può essere ascrivibile alla messa in scena della scenografica illuminazione dei due teatri nazionali per la festa da ballo e l’opera, previste in occasione della pace celebrata al Foro Bonaparte. Disegni [Luigi Canonica], «Per li fochi [?] 18 brumale a. X al Foro Bonaparte». Pianta di un palco, 1801; BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 372. Bibliografia “Il Redattore cisalpino”, 6 novembre 1801; Selvafolta 2003, pp. 180181. (b.b.) 111 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Andrea Appiani, Paolo Bargigli, Brentano de Grianty, Luigi Canonica Festa della Fondazione della Repubblica, Foro Bonaparte e Giardini Pubblici, Milano 26 giugno 1803 «La Religione dello Stato, la pubblica Morale, il sentimento di Patria: ecco il soggetto, l’anima, lo scopo della saggia istituzione di una Festa Nazionale»: con decreto della Consulta di Stato, 2 maggio 1803, il governo della nuova Repubblica Italiana fissava ogni prima domenica di giugno la solenne celebrazione dei «fasti immortali della fondazione, e del risorgimento della Repubblica» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 140). Il complesso rituale della festa – prorogata a più riprese per il ritardo nei preparativi – fu diretto dal commissario delle Belle Arti Andrea Appiani in collaborazione con l’architetto per le feste nazionali Paolo Bargigli e Brentano de Grianty, direttore generale dei teatri milanesi, e «di concerto» con Luigi Canonica in qualità di soprintendente generale alle Fabbriche nazionali. La puntuale Descrizione della Festa Nazionale che si celebra in Milano nel giorno 26 giugno 1803 ripercorre gli episodi e gli apparati di un racconto che, tra i giardini di Porta Orientale e la vasta spianata del Foro Bonaparte, suggellano la dimensione celebrativa di uno spettacolo che viene pure fissato nelle efficaci stampe di Alessandro Sanquirico (RSBMi, Stampe storiche, 21202121). Dopo il canto del Te Deum in un Duomo decorato «da rovesci di stoffa damascata intervallati da fasce di lino» e l’assegnazione delle doti alle figlie dei cittadini più meritevoli nella «gran sala con pomposo apparato» del Palazzo Nazionale (Palazzo Reale) – dove furono esposti i primi quattro pannelli dei Fasti napoleonici di Appiani – i festeggiamenti si protrassero durante il pomeriggio nei Giardini Pubblici che, come da programma, «presentano l’aspetto in parte di un Tempio aperto variato di monumenti e decorazioni, in parte di una Fiera abbellita di spettacoli e trattenimenti popolari». Il duplice registro della festa fece convivere il repertorio di un ordinato giardino allegorico – animato da statue, are, mausolei, cenotafi disposti tra i boschetti e lungo i viali di tigli dove furono «create delle pittore- 112 sche grotte per consentire agli spettatori di sostare durante il passeggio» – con l’«istudiato e pittoresco disordine» creato dalle «baracche […] bizzarramente vestite a foggia di un mercato campestre» e dai «palchi e ridotti di Giocolatori e di Ciarlatani di ogni sorta». Gli attesi giochi circensi previsti nella piazza del Castello comportarono la costruzione di un grandioso circo provvisorio «chiuso da tre lati soltanto» per assistere all’«amenissimo spettacolo delle bighe» e della corsa dei fantini, ideato da Appiani come riproposizione dei modelli della Roma antica, «di quello di Caracalla, o del Massimo», archetipo architettonico già utilizzato a Parigi per celebrare la prima Festa della Rivoluzione (RSBMi, AS m 15-11). Il dettagliato Inventario delli effimeri serviti per la Festa, compilato dal falegname Giuseppe Mezzanotte al fine di conservare tutti gli apparati nel soppresso Monastero di San Vincenzino e reimpiegarli l’anno seguente nell’allestimento della Festa nazionale (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 140), traduce l’entità e la complessità dei lavori di apparatura di un’arena con annesse carceri «dond’escono i cavallieri, e i cocchi destinati alle corse», definita da ordini di strutture gradinate, da una porta trionfale d’ingresso, da un «magnifico pulvinare» e da una spina centrale lungo la quale furono collocate mete allusive ai Dioscuri, colonne commemorative e statue allegoriche. I materiali documentari esistenti non rendono conto di una supposta partecipazione del soprintendente Canonica all’elaborazione appianesca dei disegni per il provvisorio anfiteatro ligneo, ricostruito nel 1805 in occasione delle feste per l’incoronazione di Napoleone con una serie di ampliamenti attuati dall’architetto ticinese e successivamente tradotto in vera architettura nel progetto per l’Arena di Milano. Risulta invece documentato il ruolo di Canonica nella scenografica illuminazione di tutti i locali nazionali prevista dalla municipalità in conco- «Per li fochi [?] 18 brumale a.X al Foro Bonaparte», Milano, pianta di un palco, 1801, BC-AMMe, Fondo Canonica, 3, BC 372. mitanza con i festeggiamenti serali ai Giardini Pubblici e al Teatro della Scala, dove Brentano de Grianty mise in scena Il Giudizio di Numa. Bibliografia Descrizione della Festa Nazionale, 1803; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 46; Bosi 2002[a], pp. 55-61; Selvafolta 2003, pp. 181-183. (b.b.) Arco provvisorio eretto a Porta Ticinese in occasione dell’ingresso di Napoleone a Milano 8 maggio 1805 Il 25 aprile 1805, alle tre del pomeriggio, Canonica veniva informato con un dispaccio reale della volontà di Napoleone di sostituire Porta Marengo (Ticinese) a Porta Vercellina come luogo per il suo trionfale ingresso a Milano in occasione della sua incoronazione a re d’Italia. Lo stesso dispaccio lo incaricava di realizzare un arco provvisorio in legno e tela in prossimità del vecchio dazio di Porta Ticinese, le cui colonne pericolanti sarebbero state demolite per rendere l’intera area più sicura e spaziosa (Mantovani, II, 1985-1994, p. 461). Non disponiamo fino a oggi di documenti risalenti all’epoca in cui Canonica lavorò all’arco di trionfo: possiamo pertanto ricostruire la genesi dell’apparato effimero solo attraverso le informazioni lasciateci dall’abate Luigi Mantovani nel suo diario manoscritto e dall’incisione eseguita nel giugno 1805 da Alessandro Sanquirico (due esemplari si conservano nella Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, di cui uno allo stadio lineare, un terzo esemplare si trova invece nella raccolta di stampe dell’Ambrosiana, infine una versione miniata nella Biblioteca Nazionale Braidense di Milano). Il 2 maggio venne stipulato il contratto, ma i lavori dovevano essere già iniziati da qualche giorno. I legnami, infatti, erano stati trasportati a Porta Ticinese il 29 aprile, mentre la grande tela destinata a ricoprire esternamente l’arco fu depositata il giorno dopo in un magazzino posto nelle vicinanze. Canonica ebbe a disposizione sette operai, tra muratori e ornatisti, per portare a termine l’impresa entro cinque giorni. La mancanza di tempo costrinse l’architetto a riutilizzare il progetto realizzato un mese prima per Porta Vercellina, apportando tuttavia delle modifiche sostanziali all’apparato decorativo. F E S T E E A P PA R AT I E F F I M E R I stero del corso di Porta Ticinese. In realtà solo in pochi si dispiacquero della sua inattesa demolizione, avvenuta la notte del 10 maggio, a seguito di un violento temporale che lo “schiantò” rovinosamente a terra. Bibliografia Comandini, I, 1900-1942, p. 130; Bertarelli, Arrigoni 1932, n. 2155; Milano nelle vecchie stampe 1969, 34, 1003; Mantovani, II, 1985-1994, pp. 459, 461, 466, 468; Gallo 1996, p. 94. (s.b.) Incoronazione di Napoleone e festeggiamenti, Duomo, Foro Bonaparte, Giardini Pubblici, Milano 26-29 maggio 1805 Alessandro Sanquirico, ingresso di Napoleone e Giuseppina da Porta Ticinese, Milano, incisione, 8 maggio 1805; RSBMi, AS m. 15-29. Alle 17,45 di mercoledì 8 maggio, Napoleone, insieme a Joséphine de Beauharnais, faceva il suo solenne ingresso in città sopra un cocchio tirato da otto cavalli, seguito da quindici carrozze e sei cavalli. L’arco effimero, il cui allestimento era stato ultimato solo quattro ore prima, venne impreziosito in ultima battuta da una breve epigrafe in latino che il canonico Bonsignori aveva composto per l’occasione: «Quod felix faustumque sit / Napoleonem Imperatorem Augustum / Consalutat Italia / Voti compos» (Mantovani, II, 1985-1994, p. 468; nella stampa l’epigrafe risulta leggermente modificata in: «Quod Felix Faustum Sit / Imperat Napoleonem Aug. Regem Consalutat / Italia Votorum Compos»). Caratteristico del nuovo sfarzo napoleonico, l’arco provvisorio progettato da Canonica imitava gli archi della Roma imperiale e faceva rivivere gli splendori monarchici degli archi trionfali barocchi. L’immagine spartana di architettura classica promossa dall’architetto ticinese nel progetto di Porta Marengo è qui completamente ribaltata. Superfici spoglie, geometrie elementari, masse nitide sono ora sostituite da finti marmi policromi, da ricche decorazioni architettoniche e scultoree e da un coronamento formato da un’im- ponente statua della Vittoria (o Pace) seduta in trono. Il programma iconografico, ideato e realizzato a monocromo dallo scenografo Alessandro Sanquirico, doveva esaltare i trionfi delle armate napoleoniche, incarnati nella figura e nelle gesta dell’eroe Bonaparte. Stando alla stampa realizzata dallo stesso Sanquirico (Alessandro Sanquirico, Ingresso di Napoleone e Giuseppina da Porta Ticinese, 8 maggio 1805; RSBMi, AS m. 15-29), sembra che Canonica avesse collocato l’arco effimero in prossimità delle fondamenta dell’incompiuta Porta Marengo, nella speranza, forse, di ottenere da Napoleone un permesso ufficiale per riprendere i lavori. Il disegno dell’arco trionfale richiama vari modelli del passato. Il formato stretto e slanciato, ad esempio, insieme alla collocazione di una coppia di semicolonne in stile corinzio (e non composito come in Porta Vercellina), ricorda da vicino la soluzione adottata per l’Arco di Tito a Roma. Il formato e molti dettagli, tuttavia, prendono spunto anche da modelli dell’Italia settentrionale. La Porta San Giovanni a Padova di Giovanni Maria Falconetto presenta un disegno simile, con le coppie spaziate di semicolonne doriche ai lati dell’arco d’ingresso. Altre analogie si possono cogliere anche nell’Arco dei Gavi a Verona. Tuttavia la gamma di allusioni offerte dall’apparato di Canonica non si esaurisce certo con questi precedenti. La combinazione dell’ordine corinzio con le rientranze piuttosto profonde è presente anche in analoghi edifici moderni, soprattutto parigini, come i numerosi archi effimeri predisposti da JacquesLouis David e dagli architetti di corte Charles Percier e Pierre-François Fontaine in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Napoleone a imperatore di Francia (2 dicembre 1804). Nel complesso la facciata ricorda anche altri edifici antichi come l’arco d’ingresso al Foro di Traiano a Roma, noto attraverso le rappresentazioni su monete antiche nelle quali appare come un fabbricato a parecchie campate formato da un piano principale e un alto attico. Una somiglianza molto netta – e del resto più che appropriata – la accomuna anche all’immagine di una struttura simile, a una porta a unica campata, che in quegli anni era comparsa come simbolo di Milano sulle carte intestate del Comune. Le notizie riportate sul “Giornale Italiano” ricordano l’arco come grandioso e monumentale, nonostante la sua decorazione apparisse a molti poco adeguata all’aspetto au- Il Progetto di cerimoniale per l’incoronazione di Sua Maestà l’Imperatore Napoleone Re d’Italia redatto dal gran maestro delle cerimonie dell’Impero L.-P. Ségur e dal maestro delle cerimonie del Regno d’Italia Stampa Soncino descrive il «magnifico» apparato ideato per la solenne incoronazione svoltasi nel Duomo di Milano il 26 maggio 1805, la cui accorta regia era stata affidata a Luigi Canonica, già artefice di un trionfale arco effimero a Porta Marengo realizzato per l’entrata di Napoleone l’8 maggio dipinto da Alessandro Sanquirico «a due facciate con quattro colonne d’ordine corinto d’ambe le parti e una cornice con sagome intaliate, fregio ornato a festoni e aquile con trofei negli intercolumni finti bronzo, iscrizioni ed archivolto a cassettoni», decorato da «un gruppo grandissimo figurante la Vittoria dipinta d’ambedue le parti», Fame, Geni e bassorilievi eseguiti dal pittore Emilio Annone (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 141; cfr. scheda precedente). Per volere di Napoleone venne realizzata una galleria «ornata e coperta a forma di padiglione, lateralmente aperta, in modo che si potrà vedere il corteggio che deve traversarla» da Palazzo Reale fino al Duomo il giorno del fausto avvenimento. Una veduta prospettica della navata maggiore della «Metropolitana» (RSBMi, ASm 66-60) restituisce il sontuoso allestimento interno pensato da Canonica: «pezze di damaschi cremisini» ornate da veli, frange e galloni d’oro e d’argento ricoprivano le volte, le pareti, le colonne della Cattedrale e, come riferisce “Il Corriere milanese” del 30 maggio 1805, «nul- 113 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Circo provvisorio al Foro Bonaparte, Milano, pianta, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 128. la poteva pareggiare la nobiltà e la magnificenza di questo quadro». Una «nota delle chiese ove si ritrovano i damaschi cremisini» sottoposta dall’architetto al ministro per il Culto elenca le chiese milanesi alle quali vennero richieste a prestito le stoffe necessarie per l’allestimento messo in opera da apparatori giunti da Bologna con quattro colli di «tutte le drapparie raccolte in questa comune» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 186), appurata l’insufficienza delle stoffe raccolte a Milano. Il 9 maggio 1805 il cerimoniere di corte Ségur, a seguito di un sopralluogo nella Cattedrale, manifestò al ministro dell’Interno le proprie perplessità sullo stato dei lavori di apparatura: «la décoration de cette église pour ce qui est du ressort de m. Appiani va parfaitement bien; mais l’architecture est dans un retard qui m’inquiéte». Egli si riferiva segnatamente alla realizzazione del trono, delle annesse gradinate destinate alle autorità del Regno e delle tribune per il pubblico previste tra gli intercolumni, la cui urgenza era subordinata a un attento studio della «distribuzione de’ posti, che dovranno occupare nel Duomo di Milano i corpi e soggetti tutti, che sono chiamati ad assistere personalmente all’augusta ceri- 114 monia». Per facilitarne la realizzazione, il 22 aprile 1805, era stata richiesta a Canonica una «pianta dell’interno di quel tempio» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 186), riconducibile ipoteticamente a un disegno autografo dell’architetto relativo alla pianta della «porzione del Duomo di Milano con preparativi disegnati p. la Festa dell’Incoronazione» (ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 6). A seguito del rilevato ritardo nell’apparatura del Trono, il gran maestro delle cerimonie fu informato che «li suddetti travagli si eseguiscono calorosamente fuori della cattedrale stessa per la migliore disposizione» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 186). La struttura semicircolare del trono, disegnata da Canonica (BC-AMMe, BC 373) e descritta nel Progetto di Cerimoniale – memore del modello francese ascrivibile al repertorio delle invenzioni di Percier e Fontaine –, si innalzava su un’alta gradinata, aveva sullo sfondo stoffe di seta, bassorilievi, emblemi reali, infine era coronata da Fame, da trofei militari e dal grande stemma reale posto al centro: l’aquila sormontata dalla corona Ferrea (BC-AMMe, BC 374). Il baldacchino collocato sopra il trono era sorretto da quattro vittorie «a guisa di cariatidi» recanti «in una mano delle palme, e nell’altra il manto di velluto verde che discende dalla corona reale posta sopra il baldacchino». L’illuminazione del Duomo fu realizzata con numerosi candelabri appesi alle colonne e con quaranta lampadari provenienti da Palazzo Serbelloni e disposti lungo la navata centrale. Il programma delle celebrazioni redatto dalla Commissione per le feste nazionali (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 144) prevedeva per la serata del giorno dell’«incoronamento dell’Augusto Imperator de’ Francesi in Re d’Italia», fissato in origine al 23 maggio, una «brillantissima» illuminazione della cupola del Duomo, di Palazzo Reale, di Villa Bonaparte, della Zecca e, nel Foro Bonaparte, l’incendio di una eclatante e ingegnosa «machina delli fuochi artificiali» realizzata su disegno di Canonica, «consistente in un tempio nel mezzo largo braccia 70, alto tutto compreso braccia 40, con n. 12 colonne scanalate, fregio ornato e sfondo con bassorilievo a trofei e sua soffitta a rosoni» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 176), realizzato con un’armatura di legno posta tra due torrioni del Castello e ancorata alle strutture murarie, ricoperta di «tela imprimita» decorata dai pittori Sanquirico e Annone. La struttura del tempio era arric- chita da numerosi tripodi «finti bronzo», da quattro «piedestalli con trofei dipinti a chiaroscuro», da due alte piramidi e da due monumenti «con basamento a festoni» collocati sui torrioni del castello (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 176). Tra le opere di allestimento dello spettacolare fuoco artificiale, messo in scena «nel breve spazio di un giorno e mezzo» anche grazie agli esperti «machinisti e lavoratori de’ fuochi artificiali» giunti da Bologna, rientrò la costruzione del «palchettone» – realizzato in legno, drappi bianchi e cremisi decorati da frange e galloni dorati – dal quale Napoleone avrebbe potuto assistere allo spettacolo e di due palchi laterali per le autorità. Le iniziative promosse in occasione della pubblica solennità ripresero il 28 maggio con gli spettacoli delle «corse delle bighe e fantini» e dell’«innalzamento del pallone» messi in scena nel circo provvisorio allestito sull’area del Castello. Lo schematico disegno in pianta di Luigi Canonica (AMMe, D 128) mostra il progetto di «circo ingrandito, rimodernato, dipinto»: si trattava della ricostruzione dell’arena lignea concepita da Appiani per la Festa della Fondazione della Repubblica il 26 giugno 1803. Le modifiche apportate da Canonica alla struttura originaria e tese a corroborare la sintassi progettuale di un modello antico assurto a teatro del rito della festa, riguardarono l’ampliamento delle carceri, la riorganizzazione del sistema delle tribune e l’allungamento della spina centrale. I lavori di apparatura furono affidati a Domenico Fontana (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 142), mentre ad altri falegnami spettò la costruzione della struttura lignea e del pulvinare; i capitelli in stucco come le colonne furono eseguiti da Pasquale Leoni; Grazioso Rusca elaborò la statuaria, Alessandro Sanquirico le opere pittoriche conformi «al disegno dato dall’architetto soprintendente generale Canonica». Dalle stime allegate ai pagamenti, sottoscritte indifferentemente da Canonica o Pietro Gilardoni – secondo architetto aggiunto della Soprintendenza generale alle Fabbriche nazionali – è possibile ricostruire alcune parti dell’edificio: il pulvinare era di ordine corinzio con otto colonne scanalate, «cornice intaliata e ornati nel fregio finti bronzo»; le carceri erano undici, la scalinata presentava «4 scalotti […] con bassamento bugnato alto braccia 3 con schenale, e sue griglie nel parapetto davanti»; la spina centrale consisteva in un basamento lungo 260 braccia F E S T E E A P PA R AT I E F F I M E R I largo 4 e alto 2 «con piramide e suo piedistallo finto porfido alto braccia 24, due colonne granite alte braccia 13, due are con festoni finti bronzo alte braccia 3,6 larghe 2, due piedestalli tondi per le fame, ornati con festoni e due tripodi finti bronzo alti braccia 4». A questi elementi si aggiungevano le sei mete poste sopra i due basamenti «nelle due estremità della spina con suoi ornamenti finti bronzo, alte in tutto braccia 9», una «porta dirimpetto alle carceri con sua cornice e ante dipinte finto bronzo alta braccia 8 larga braccia 6» (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 176). Il 29 maggio i Giardini Pubblici di Porta Orientale ospitarono il prosieguo dei festeggiamenti culminati nella festa da ballo allestita nel chiostro del Convento delle Carcanine trasformato in sala coperta (vedi scheda in questo stesso volume). Gli apparati messi in scena nei Giardini dall’«ingegnoso architetto inventore» furono esaltati dalle scenografiche luminarie dei boschetti e dei passeggi principali. Sulla scalinata di collegamento tra i giardini e i bastioni del Castello venne innalzata una maestosa colonna illuminata da più di tremila lumini; lungo il viale della Riconoscenza, dai Giardini Pubblici fino alla Porta Orientale, furono disposte ottanta piramidi «a cinque ordini da riporvi le fiaccole»; sullo sfondo della prospettica illuminazione dello stradone di Loreto splendeva una grandiosa Aquila (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 176). Disegni Luigi Canonica, «Trono eretto nel Duomo di Milano per l’Incoronazione di S.M. l’Imperatore de’ Francesi in Rè d’Italia», [1805], incisione; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 373; D 296. Luigi Canonica, Apparati per l’incoronazione di Napoleone, stemma del trono, [1805], incisione; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 374, D 297. Luigi Canonica, Apparati per l’incoronazione di Napoleone, prospetto laterale della navata centrale del Duomo, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 298. Luigi Canonica, Pianta del circo provvisorio al Foro Bonaparte, [1805]; AMMe, Fondo Canonica, 4, D 128. Luigi Canonica, «Trono e decorazione del Duomo di Milano per l’incoronazione di Napoleone I° a Re d’Italia», incisione, [1805]; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 6. Luigi Canonica, «Porzione del Duomo di Milano con preparativi dise- gnati p. la Festa dell’Incoronazione», incisione, 1805; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 6. Luigi Canonica, «Stemma a Napoleone esposto sul trono nel giorno dell’Incoronazione nel Duomo di Milano», incisione, 1805; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 6. Luigi Canonica, «Porzione del Duomo di Milano con preparativi disegnati per la Festa dell’Incoronazione», pianta, 1805; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia “Il Corriere milanese”, 30 maggio 1805; “Giornale Italiano”, 1 giugno 1805, pp. 289-290; Cusani, IV, 18611884, pp. 149-150, e VI, 1861-1884, p. 159; Bertoliatti 1939, p. 174; Petralli, Savi 1944, pp. 13-14; Mezzanotte 1966, p. 293; Celona, Mariani Travi 1983, p. 39; Scotti 1989, p. 181; Parisi 1995, p. 63; Gallo 1996, pp. 94-95. (b.b.) Monumento per la battaglia del Tagliamento 1807 Un decreto di Beauharnais datato 28 luglio 1806 ordinò che fossero eretti monumenti nei luoghi delle battaglie più importanti combattute dalle armate francesi: Lodi, Castiglione delle Stiviere, Rivoli e Arcole, San Giorgio di Mantova, sul Tagliamento e tra Palmanova e l’Isonzo. Il decreto seguì quello del primo agosto 1805 per la realizzazione di un monumento a Rivoli per il quale due diverse soluzioni furono presentate allo stesso Beauharnais nel settembre del 1805. Poiché i progetti dei monumenti dovevano essere realizzati da architetti italiani, il ministro dell’Interno affidò all’Accademia di Brera il compito di distribuire i diversi progetti ai più «valenti e rinomati architetti e professori del Regno». Il 16 gennaio 1807 fu il ministro degli Interni a sottoporre al viceré i primi di- segni, poi nuovamente presentati dal ministro della Guerra. Quelli per Lodi e Rivoli erano stati disegnati da Canonica, quello di Palmanova da Selva, quello per il Tagliamento da Diedo e quello per Arcole da Giocondo Albertolli. A Cagnola fu richiesto un progetto per Castiglione (descrizione in ASMi, Autografi, 82) e Zanoja ne presentò tre diversi per San Giorgio di Mantova. Il capitano aggiunto dello Stato Maggiore, Galliari, preparò in tale occasione anche diciotto «abbozzi» di monumenti diversi (ASMi, Ministero della Guerra, p.m., 41). Inspiegabilmente, il 2 maggio 1807, Canonica fu informato dell’approvazione di un suo progetto ma per il monumento del Tagliamento; contestualmente gli vennero richieste delle indicazioni più dettagliate relativamente all’esecuzione dell’opera (ibidem). Gli fu anche inviato, per un parere, nel marzo del 1808, un disegno per una colonna celebrativa ornata con globo e aquila imperiale, abbinata alla richiesta di quanto fosse l’altezza della colonna del Verziere. Nella risposta Canonica sottolineò come il disegno non fosse diverso da quanto lui stesso aveva elaborato nel 1807 (ASMi, Genio Civile, 3128). In realtà, per il monumento del Tagliamento sappiamo che il primo settembre 1808 fu stipulato un contratto per la costruzione della colonna trionfale, disegnata dall’architetto Michele Giuliani di Udine, cui seguirono gli accordi per la catena in ferro e per l’aquila imperiale. Il monumento di Lodi fu invece innalzato nel 1809 su progetto e con la direzione di Giocondo Albertolli e la collaborazione di Grazioso Rusca per i bassorilievi (ASMi, Ministero della Guerra, p.m., 41), mentre quello di Arcole (Legnago) fu appaltato nel 1808 e inaugurato nel 1810. Infine, Luigi Voghera predispose un disegno nel 1809 per il monumento dedicato alla Pace di Campoformio. (f.r.) Arco provvisorio eretto a Porta Romana per l’ingresso di Napoleone, Milano 15 dicembre 1807 «Trono eretto nel Duomo di Milano per l’incoronazione di S.M. l’Imperatore de’ francesi in Rè d’Italia», incisione, [1805]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 373. Il primo settembre 1807 Eugenio di Beauharnais incaricava Canonica di ideare un grande arco provvisorio da posizionare nei pressi di Porta Vercellina in occasione della venuta a Milano di Napoleone, programmata per l’inverno. Nel giro di una setti- 115 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A mana l’architetto sottopose al giudizio del viceré due progetti di arco a un solo fornice, monumentali nel formato e decorati alla sommità da una sestiga imperiale. Il primo progetto (AMMe, D 455) ricalcava da vicino l’Arco di Traiano a Benevento, con due coppie di colonne corinzie poste ai lati della facciata principale e un alto attico ornato da statue raffiguranti guerrieri alati. Il secondo (RSBMi, AS m. 16-6), più originale e pertanto prescelto dal viceré, si presentava invece privo di colonne e impreziosito solo da un poderoso cornicione d’ordine corinzio (composto di architrave, fregio e cornice) e da emblemi militari. Il 15 settembre, Beauharnais concedeva a Canonica il salone dei Giardini Pubblici e una somma di 3000 lire come anticipo per le spese dei materiali. Parallelamente autorizzava l’architetto a far eseguire i lavori di allestimento al falegname Gaetano Rocca e quelli di ornato allo scenografo della Scala, Alessandro Sanquirico. Il piano dei lavori, approvato il 27 settembre, individuava i caratteri essenziali del progetto nella realizzazione di: scavo di profonde fondamenta lungo tutto il perimetro dell’arco per una misura di circa 20 braccia (poco più di 11 metri); realizzazione di una solida armatura composta da doppie piante di pino e relativi ponti capace di sorreggere l’intero apparato che avrebbe avuto un’altezza di 48,9 braccia (28 metri) e una lunghezza di 36 braccia (21 metri); quattro basamenti in granito rosa sopra cui collocare le insegne militari; imprimitura e decorazione della tela di rivestimento e di tutti gli accessori ornamentali. Canonica aveva preventivato una spesa complessiva di 22.000 lire milanesi ma questo, col drastico taglio dei costi della manodopera, conseguente alla grave crisi in cui versava il Milanese, veniva poi ribassato a 18.150 lire (ASMi, Studi, p.m., 187). Sebbene il materiale necessario all’impresa fosse stato predisposto da Rocca fin dalla fine di ottobre, l’incertezza sulla data e sul luogo (Porta Vercellina o Porta Marengo), dove Napoleone avrebbe fatto il suo trionfale ingresso, ostacolò non poco il regolare procedimento dei lavori. A questo proposito Canonica decise di allestire nella Chiesa di Santa Marta un magazzino dove riparare i materiali. Se l’ingresso segreto di Napoleone a Milano, avvenuto il 21 novembre da Porta Vercellina, impedì di allestire l’apparato, l’occasione per utilizzarlo si presentò poche settimane dopo, quando l’imperatore, in viaggio da Venezia, annunciava (11 dicembre) al governo milanese il suo arrivo da Porta Romana. Il 12 dicembre, in prossimità dell’osteria della Carità (posta fuori Porta Romana), Rocca e altri cinque muratori incominciarono a predisporre l’armatura di sostegno dell’apparato. I lavori proseguirono senza sosta nei giorni seguenti fino all’entrata di Napoleone, avvenuta la mattina del 15 dicembre. Tuttavia, la mancanza di tempo non permise di portare a termine l’arco (demolito l’8 gennaio 1808), né di ultimare nelle vicinanze l’allestimento di una sala per l’amministrazione generale (Mantovani, III, 1985-1994, p. 274). Stando alla testimonianza dell’abate Mantovani il monumento effimero, documentato da un disegno anonimo acquarellato e da un’acquatinta da esso derivata, ottenne pareri piuttosto negativi. La facciata principale, ad esempio, appariva fredda, asciutta e scarna. Composta da una sola campata, nei rapporti appariva del tutto simile al progetto per Porta Marengo, con la differenza però che un leggerissimo rialzo metteva maggiormente in evidenza l’attico, accentuato anche dall’imponente coronamento della sestiga. Sebbene l’apparato di Canonica non fosse provvisto di un movimento articolato, i forti effetti di chiaroscuro delle sue aperture lo avvicinavano non poco ad analoghi progetti di Percier e Fontaine, mentre la sua tipologia sembrava prefigurare in modo straordinario e puntuale quella adottata tre anni dopo da Chalgrin nel primo progetto dell’Arc de l’Etoile. Disegni Luigi Canonica, Prima idea per l’arco provvisorio eretto a Porta Ticinese in occasione dell’ingresso di Napoleone a Milano, [1807]; AMMe, Fondo Canonica, 3, D 455. Anonimo [da Luigi Canonica], disegno originale acquarellato in seppia dell’incisione: «Veduta dell’arco trionfale erettosi fuori di Porta Romana per l’ingresso in Milano di S.M. Napoleone il Grande Imp. e Re nella notte del 15 Dicembre 1807», [1807]; RSBMi, AS p. 12-68. Anonimo [da Luigi Canonica], «Veduta dell’arco trionfale erettosi fuori di Porta Romana per l’ingresso in Milano di S.M. Napoleone il Grande Imp. e Re nella notte del 15 Dicembre 1807», acquatinta, [1807]; RSBMi, AS m. 16-6. Anonimo [da Luigi Canonica], Veduta dell’arco trionfale eretto a Porta Romana, 1807, incisione; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 375. Bibliografia Comandini, I, 1900-1942, pp. 266268; Bertarelli, Monti 1927, pp. 503, 512, ill. 328; Bertarelli, Arrigoni 1932, n. 2254; Rota 1959, p. 248; Mezzanotte 1966, p. 306, ill. 186; Mantovani, III, 1985-1994, pp. 272274; De Vecchi, Scotti 1986, p. 139. (s.b.) Festa nel Palazzo del Senato, Milano 2 dicembre 1809 Arco provvisorio eretto a Porta Romana, Milano, incisione; 1807; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 375. 116 Due lettere di Luigi Canonica indirizzate ai conti senatori pretori del Senato Consulente testimoniano l’impegno dell’allora architetto della Casa Reale nell’allestimento di una festa prevista per il 2 dicembre 1809 in alcuni locali del Palazzo del Senato di Milano (AMMe, Fondo Canonica, L, 594-595), dove Canonica era intervenuto, alcuni anni prima, con un progetto di adattamento della sede collegiale a Ministero della Guerra (vedi scheda in questo stesso volume). In una missiva, datata 13 novembre, l’architetto informa la committenza sullo stato dei lavori di «adornamento» e sulle difficoltà a rispettare i tempi richiesti con un risultato «plausibile e soddisfacente» F E S T E E A P PA R AT I E F F I M E R I S. Reordino, «Veduta del Padiglione eseguito a Loreto fuori di Porta orientale del ricevimento delle LL.MM.II, RR.AA.»; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, Stampe storiche, 2155. per l’evento festivo, organizzato in occasione dell’anniversario dell’incoronazione di Napoleone a imperatore dei Francesi e del ritorno a Milano del principe Eugenio di Beauharnais, dopo la campagna militare conclusasi con la pace con l’Austria. Gli apparati della festa nel Palazzo senatorio – progettata nell’ambito di cerimonie religiose e pubblici spettacoli allestiti al Teatro alla Scala, ai Giardini pubblici, nella Basilica di Sant’Ambrogio – consistevano nella realizzazione di una sala lignea collocata nel secondo cortile del palazzo, in alcune decorazioni da eseguire nell’aula occupata dall’archivio del Ministero della Guerra e nell’adattamento di alcune sale del piano terreno con apparati di stoffe e veli fatti giungere appositamente da Bologna (vedi la scheda sul Palazzo del Senato con i relativi disegni). La riconoscenza verso la Commissione del Senato espressa, nel marzo 1810, da Canonica a seguito del compenso di «Zecchini 100» ricevu- to per aver «progettato e diretto i lavori relativamente agli apparati della Festa celebratasi in codesto Palazzo» conferma l’avvenuta esecuzione degli ornati e il successo dell’allestimento. Bibliografia Avviso, “Giornale Italiano”, 23 novembre 1809, p. 1308. (b.b.) Ingresso di Francesco I, piazzale Loreto, Milano 31 dicembre 1815 Il padiglione eretto in piazzale Loreto per il solenne ingresso a Milano dell’imperatore Francesco I e della consorte Maria Luigia, il 31 dicembre 1815, rientra nel repertorio degli spettacolari apparati effimeri ideati da Luigi Canonica in occasione dei diversificati cerimoniali festivi messi in scena durante gli anni del dominio francese. Un’incisione su dise- gno di Stefano Reordino (RSBMi, Stampe storiche, 2155) mostra l’esultanza della folla all’arrivo del corteo imperiale, radunata intorno a una sontuosa tenda dalla struttura ottagonale con pronao antistante, rivestita con stoffe drappeggiate arricchite da frange e galloni. L’efficacia degli apparati scenografici ideati da Canonica all’interno del Duomo per l’incoronazione di Napoleone si rinnova nelle scelte formali del padiglione di piazzale Loreto, a convalida dell’acquisizione da parte dell’architetto di una padronanza totale degli strumenti necessari a rappresentare il rito della festa pubblica. In tale occasione Canonica ottenne in dono una tabacchiera da parte dell’imperatrice Maria Luigia. Bibliografia L’idea della magnificenza civile 1978, p. 98; Celona, Mariani Travi 1983, p. 64. (b.b.) Arco trionfale per Francesco I, Como 1816 La notizia di un progetto di Canonica per l’arco effimero eretto presso il Municipio di Como in occasione della visita dell’imperatore Francesco I nel 1816, insieme a quella riguardante il progetto di Alessandro Sanquirico per l’arco «al di fuori della Porta Milano», è riportata da Alberto Rovi (2004, pp. 161, 174). La documentazione, conservata presso l’Archivio Storico Civico di Como (8 marzo 1816; ASSCo, Carte sciolte, 635, 2) è relativa al pagamento del trasporto da Milano di «un arco costruito di telari e tela, con tela inceratta per trasparenti e posto in opera davanti il suddetto palazzo con armature tanto per sostenerlo che per l’illuminazione di detti trasparenti». Bibliografia Rovi 2004, pp. 161, 174; Rovi 2006, p. 52. (f.r.) 117 Giovanni Brenna, «Topografia della Reale Villa di Monza coll’attiguo Parco e con l’annessa città di Monza e rispettivi dintorni», 1836; collezione privata. Il Parco Reale di Monza Francesco Repishti Sappiamo quanto sia difficile aggiungere novità decisive sulle vicende del Parco Reale di Monza; ma, a dispetto di una storiografia, anche recente, tanto ampia quanto ripetitiva, occorre valutare nuovamente almeno tre questioni: in primo luogo il percorso ideativo, da affidare alla lettura delle planimetrie conservate negli archivi di Vienna, Bellinzona, Milano e Monza, e delle minute conservate a Milano e Mendrisio; successivamente i possibili modelli di riferimento conosciuti sia alla committenza vicereale, sia all’architetto; infine il tema delle nuove tipologie degli edifici rurali disegnati da Canonica, qui rinviato alle schede. Gli interrogativi sulla paternità ideativa e sulla data d’avvio appaiono tutt’altro che marginali all’interno di una prospettiva più generale che deve tenere conto dei significati sottesi all’istituzione del Parco: al di là di un’affermazione immediata di sovranità, il Parco si pone, infatti, anche come un atto “rifondativo” a scala territoriale che fissa nuovi caratteri e modelli che, naturalmente, si evolveranno nel tempo. Inoltre, altri riferimenti legano Monza – una delle capitali del regno longobardo, custode della Corona Ferrea e sede estiva della precedente corte arciducale – all’immaginario imperiale e vicereale. Su questi aspetti occorrerebbe soffermarsi in maniera più approfondita poiché la notazione apre a suggestive ipotesi, ancora difficili da validare, che configurano la costituzione del Parco come un’azione che ebbe un possibile punto di partenza nella presenza della Villa, ma che coinvolse anche un piano ideologico attraverso il recupero della Corona Ferrea eletta a simbolo della legittimazione del Regno d’Italia napoleonico e del principale ordine cavalleresco. Il carattere privato della committenza vicereale1 costituì nel caso del Parco di Monza la scena ideale per un’ibridazione tra la cultura francese e quella italiana, all’interno della quale Canonica riuscì a elaborare un progetto abile nel rispondere ai desideri come ai programmi e alle strategie rappresentative anche dei successivi regnanti. Gli antefatti Il processo ideativo percorso da Canonica ha, come vedremo, alcuni aggiustamenti progressivi sulla base delle indicazioni del principe. Ad oggi possediamo solo tre planimetrie legate al Parco che si ritengono precedenti alla sua costituzione ufficializzata nel giugno del 1805. Due di queste, tra loro componibili, sono conservate nella Österreichische Nationalbibliothek di Vienna,2 mentre la terza si trova nel Fondo Cattaneo, oggi conservato all’Archivio di Stato di Bellinzona.3 Si tratta di planimetrie pressoché identiche, ma attribuite, dalla letteratura, a Giuseppe Piermarini (Vienna) e a Luigi Canonica (Bellinzona).4 Le carte viennesi anticipano il disegno dell’architetto ticinese e sono state da molti autori considerate come l’espressione di una volontà di creare un parco annesso alla Villa durante gli ultimi anni della prima dominazione austriaca. A questa prima fase piermariniana va sicuramente riferita anche la planimetria del 1791, custodita nell’Archivio di Stato di Milano – Tipo dimostrativo l’area superficiale del fondo occupato dal fabbricato ad uso della Reale Villa di Monza5 –, che evidenzia con precisione il problema delle preesistenze viarie limitanti l’annessione dei fondi circostanti la Villa. Un confronto tra i documenti di Vienna e Bellinzona rivela che si tratta di un pressoché identico progetto relativo ai giardini annessi alla Villa Reale, articolato in una serie di spazi a matrice geometrica e che fa riferimento a diversi strumenti “linguistici”. A nord, infatti, troviamo contrapposto un giardino pittoresco, quest’ultimo interrotto dalla «Vigna Toscana», mentre ad est il disegno si estende, cercando una relazione tra i giardini e il territorio agricolo circostante. La volontà di Ferdinando d’Austria e, forse, quella di Francesco Melzi d’Eril, che abita la Villa all’inizio del secolo, appaiono identiche e trasmesse da maestro ad allievo, da Piermarini a Canonica. Dalla terrazza-ninfeo della Villa Reale, limite orientale della proprietà arciducale, un canale d’acqua assiale si prolunga verso est e termina in un bacino circolare, rond point di un sistema di viali alberati. A quella data il confine orientale delle proprietà della Villa era fissato dalla «via pubblica» che dal borgo Carrobiolo di Monza conduceva a nord, verso Vedano e Biassono. Le due proposte costituiscono un primo tentativo di superare questo ostacolo, prolungando sino al Lambro o alle cascine esistenti nuove allée alberate, ad eccezione del percorso che, piegando ad est e oltrepassando il fiume, portava a La Santa. I due progetti dovrebbero però essere gli esiti di due concezioni almeno apparentemente opposte. Sulla loro datazione esistono ancora molti dubbi per avvicinarli temporalmente: il foglio di Vienna – che presenta un attento rilievo della situazione idrica dell’area – potrebbe, al massimo, essere posticipato alla breve stagione degli Austro-Russi, mentre il progetto di Canonica dovrebbe essere anticipato al 1803 durante la permanenza di Melzi d’Eril alla Villa Reale.6 Questa somiglianza andrebbe motivata dalla frequentazione da parte del giovane architetto dello studio del maestro, oppure dal ristretto numero di esempi conosciuti e applicati in Italia. Mi riferisco in primo luogo alle analogie con i lunghi assi presenti nelle Vedute dei giardini della reggia di Caserta autografe di Luigi Vanvitelli, ma anche ai più celebri canali d’acqua di Sceaux e di Versailles, esempi che però perdono la loro efficacia se confrontati con le proposte successive. 119 FRANCESCO REPISHTI Giuseppe Piermarini, Planimetria della Villa di Monza con i giardini, [1791]; Wien, Österreichische Nationalbibliothek. 5 giugno 1805 La prima indicazione, in ordine temporale, sulla volontà imperiale di realizzare un Parco Reale a Monza è contenuta nel primo articolo del Terzo Statuto costituzionale del Regno d’Italia, promulgato da Napoleone il 5 giugno 1805: «È specialmente assegnato un capitale di dieci milioni in beni nazionali per l’acquisto dei palazzi posti ne’ contorni di Brescia e di Bologna, pei fondi necessari alla formazione dei parchi di Monza e dei boschi di Ticino». Se per un verso lo Statuto certifica la data di nascita del Parco, per un altro nulla aggiunge sui motivi che spinsero l’inserimento di questo oggetto in un documento fondamentale per l’organizzazione politica e amministrativa del neonato Regno d’Italia. Napoleone giunge a Milano l’8 maggio 1805 e tra questa data e quella del 5 giugno va collocata la decisione di creare il Parco di Monza, località forse suggerita dall’arcicancelliere Francesco Melzi, sebbene la nomina di Beauharnais a viceré gli avesse troncato ogni illusione vicereale e un’improvvisa gotta. Ad oggi infatti non possediamo nessuna indicazione, nel ricco epistolario tra Napoleone ed Eugenio, che accenni al Parco prima del già ricordato Terzo Statuto costituzionale. Il mese successivo, il primo luglio 1805, Costabili Containi, intendente generale ai Beni della Corona, scrive a Luigi Canonica, comunicandogli che «sua altezza serenissima il viceré si è degnata di manifestarmi essere sua intenzione di avere un parco nei contorni di Monza. Affinché si possa formare un’idea dei luoghi e del modo di formare un tal parco è necessario avere sott’occhio la pianta dei terreni. 120 Questa è l’operazione di cui in obbedienza degli ordini di sua altezza serenissima debbo incaricarvi e che vi riuscirà facilissima con l’aiuto delle tavole censuarie. Per questa ragione io sono certo che presenterete sollecitamente il vostro lavoro, come desidero, perché volendo sua altezza giovedì prossimo fare una gita a Monza […] vorrebbesi in tale circostanza avere sott’occhio il disegno accennato per le osservazioni e le misure».7 Dalla lettura di questo documento (1 luglio 1805) emergono almeno due indicazioni iniziali: l’attribuzione a Beauharnais della decisione di costituire il Parco e il desiderio perché questo sia realizzato nel minor tempo possibile, fretta peraltro palesata in altri interventi avviati nella seconda metà del 1805. Queste sono in parte confermate dalla risposta di Canonica alla richiesta di Costabili, inviata con una prima proposta progettuale il 7 agosto 1805, dopo un incontro con lo stesso Beauharnais avvenuto il 29 luglio, durante il quale si ha un passaggio diretto dei desiderata del principe: «mi sono occupato di delineare e colorire sopra una copia della mappa censuaria di Monza il sito attuale di quella Real Villa tracciando poscia sulla mappa stessa l’estensione del parco desiderato da s.a.s. il viceré. In tale operazione ho creduto di prescegliere quelle parti di territorio che sono per una parte in prospetto alla facciata principale del Palazzo, primieramente colla vista di potere volendo abbellire quella data porzione che resta di fronte alla suddetta facciata ed in secondo luogo per sopprimere la tratta di strada tortuosa conducente a Vedano che in oggi passa al lato di levante e limita l’estensione dei giardini, facendola risvoltare sui lati di mezzogiorno e ponente indi prendere una dire- I L PA R C O R E A L E D I M O N Z A zione rettilinea verso Vedano [...] e per l’altra parte cioè lungo il lato di levante si estendono sino al Lambro, servendo quel fiume di naturale opportuno confine; nel resto non sapendo di quale precisa ampiezza debba essere il Parco, ho stimato di comprendere li caseggiati di Mirabello e Mirabellino e la cassina Casaglia, ritenendo la congruenza di aggregarli a maggior comodo ed abbellimento del parco stesso».8 Una di poco successiva descrizione dei confini del Parco, legenda di un Disegno che rapresenta un progetto topografico per la formazione del Parco annesso al Palazzo Reale di Monza, è conservata all’Archivio del Moderno di Mendrisio: «la linea che racchiude il Parco è la delineata in giallo; essa parte dall’angolo di levante e mezzogiorno del recinto de’ Giardini Reali, va per retta linea al ponte sopra il Lambro detto delle Grazie, circonda il locale del convento a due lati, e per retta linea si dirige sino alla Santa, costeggia sempre la detta strada, indi risvolta al sito ove prende una sola direzione poco sotto il molino Salice e la Casa Alta, sino all’incontro dell’attuale esistente stradone del Mirabello. Da questo punto piega la linea verso ponente in direzione poco sopra il Mirabellino e si estende sino all’incontro ad angolo retto d’altra linea che parte dall’angolo di ponente e tramontana del recinto de’ sudetti giardini».9 L’estensione della prima proposta presentata il 7 agosto 1805 è dunque più piccola di quella successiva – 2220 pertiche contro le 3234 pertiche (oltre 210 ettari) – e documenta senza più dubbi l’esistenza di più fasi progettuali, tra loro comunque molto ravvicinate. Fasi confermate da una lettera di Canonica, indirizzata a Costabili il 29 agosto 1805, con un contenuto analogo alla precedente (riportando un’identica estensione di 3234.23 pertiche),10 e nella quale riafferma che la proposta nasce «dietro le massime che ebbi l’onore di prestabilire e concertare con s.a.s. il viceré». L’urgenza del progetto porta Canonica ad essere nuovamente a Monza il 4 ottobre per delimitare con paletti il futuro perimetro del Parco; nella relazione annessa aggiunge che «in tale operazione mi sono studiato di evitare per quanto era fattibile la divisione de pezzi di terreno da acquistarsi»11 e il 15 ottobre invia a Costabili un primo disegno che tiene conto delle numerose suddivisioni catastali. Intanto, il 14 ottobre il prefetto del Dipartimento d’Olona aveva ordinato alla Municipalità di Monza di nominare un esperto da affiancare all’ingegnere Ferrante Giussani durante la ricognizione dei fondi necessari per la costituzione del Parco Reale; nella risposta del 18 ottobre la Municipalità suggerisce il nome del «pubblico agrimensore» Giosuè Usuelli. A questa data l’estensione del Parco, come specificata dalle “coerenze” contenute nella lettera, corrisponde a quella indicata in una successiva planimetria, sempre conservata nel Fondo Cattaneo a Bellinzona,12 offrendo un dato possibile per la sua datazione successiva al 1805. Un atto importante per cogliere la portata finanziaria dell’operazione e che può essere preso come data ante quem della prima definitiva configurazione è la successiva «Descrizione e stima de’ fondi compresi nel Luigi Canonica, «Disegno dei Giardini presso il Palazzo Nazionale di Monza con altri fondi coerenti», [1803]; Bellinzona, Archivio di Stato, Fondo Cattaneo. 121 FRANCESCO REPISHTI Real Parco da farsi per la Real Villa di Monza», datata 23 giugno 180613 e compilata proprio dall’ingegnere Ferrante Giussani per la Direzione generale del Demanio.14 Il documento riporta le stime di tutti i fondi, case, ville situati nei comuni di Monza e Vedano interessati dalla formazione del Parco Reale; dei rispettivi beni vengono indicati i proprietari, i numeri di mappa, la misura censuaria e il loro valore. L’estensione totale assommava a 3133 pertiche e 17 tavole, per una quotazione d’estimo di circa 875.125 lire. La lunga descrizione di Ferrante Giussani ha permesso di chiarire da tempo alcuni luoghi comuni ancora presenti nella letteratura: in primo luogo che l’operazione di stima e acquisto dei fondi fu eseguita dalla Direzione generale del Demanio e non dalla Corona, a cui i beni furono ceduti dopo l’11 novembre 1806. Inoltre osservando la stima, i maggiori possessori non appaiono i conti Durini, indicati da alcuni come proprietari della Villa Mirabello, e neanche gli appartenenti all’aristocrazia milanese, segno che l’alienazione delle grandi proprietà religiose aveva portato a una parcellizzazione delle proprietà a favore di altre classi sociali. Infine, dal documento appare che la maggior parte del territorio annesso non era boscato ma indicato come «aratorio vitato», poco favorevole alla caccia che dai molti documenti sembra essere l’unico vero motivo generatore di questa impresa. Occorre anche rilevare, per ciò che riguarda l’aspetto economico, che i precedenti proprietari dei beni incorporati nel Parco non furono saldati Raffaele Albertolli, Villa Reale di Monza, 1803; Monza, collezione privata. 122 con denaro, ma furono loro cedute in cambio proprietà provenienti dalle corporazioni religiose soppresse. L’intera operazione potrebbe essere quindi letta come un “ricongiungimento” delle molte proprietà alienate in un’unica entità geografica. Ai primi mesi del 1806 vanno quindi ricondotti due importanti documenti tra loro correlati: la descrizione Tipo dimostrante il progetto per giardini e Parco annessi alla Real Villa di Monza, una minuta autografa di Canonica15 e la planimetria relativa indicata con il titolo Tipo del Parco e Giardini reali di Monza16 che attestano alcune variazioni al progetto iniziale. Queste iniziali fasi progettuali sono spiegate in una lunga lettera che l’ingegnere Giovanni Angelo Giudici scrive a Costabili il 3 ottobre 1805, relativa alla necessità che i confini del Parco coincidano il più possibile con quelle delle proprietà ivi comprese. In particolare una modesta modifica è leggibile proprio nella planimetria custodita a Bellinzona, dove sono riportati tracciati rettilinei dei confini a sud e a nord.17 L’importanza di questo dettaglio è, infatti, ricordata ancora dallo stesso Canonica il 4 luglio 1806 quando invia a Costabili «il tipo su cui ho delineato il perimetro del Reale Parco di Monza stato dapprima indicato da s.a.s. e quello stato recentemente proposto dal nuovo progetto. Su questo ho creduto opportuno d’introdurre qualche modificazione motivata dalle seguenti considerazioni che le subordino e sono: I. Il perimetro rettifilato non può risultare precisamente come è stato marcato a motivo di qualche I L PA R C O R E A L E D I M O N Z A Martin Knoller, veduta del Giardino della Villa Reale di Monza, s.d.; Milano, collezione privata. Martin Knoller, veduta del Giardino della Villa Reale di Monza, s.d.; Milano, collezione privata. inesattezza della mappa su cui fu delineato, né si può formare l’angolo retto al sito di risvolto della nuova strada per Vedano. II. Sembra non conveniente il rettifilo della strada che dall’angolo dei Giardini reali conduce al ponte delle Grazie, poiché si verrebbe con esso a escludere il locale della Lavanderia per il Palazzo. III. Si osserva che col rettifilo dalla Cassina Casalta fino alla strada della Santa si aggiungerebbe una piccola porzione di terreno e si dovrebbe dimezzare non pochi pezzi che servono di sbianche ed altro. IV. Sembra troppo sensibile della nuova strada a Vedano».18 Proprio per questi motivi, pochi giorni dopo, il 9 luglio 1806, l’architetto invia a Costabili un «originale» di una nuova versione del disegno complessivo dell’area che tiene conto di nuovi ampliamenti. Stupisce, ma asseconda una prassi che Canonica adotterà in altre occasioni, il tono della lettera: «In esso mi sono studiato d’introdurre tutti quelli accessorii e comodi indicati dall’indice annesso al disegno, li quali mi sembrarono opportuni a rendere più aggradevolmente ornato e idoneo il Parco agli usi cui è destinato. Siccome però un progetto di simil natura è per se stesso suscettibile d’infinite combinazioni a seconda dei gusti et idee parziali mi avvanzo di chiedere che v.e. nel comunicarlo a s.a.s. voglia avere la compiacenza di pregarla a manifestare in proposito li superiori suoi divisamenti riguardo alle modificazioni od aggiunte che opinasse d’introdurvi».19 Costabili a sua volta gli risponde il 13 luglio: «con piacere parteciparvi che la prelodata altezza reale è stata assai soddisfatta del disegno tutto», sebbene suggerisca alcune modifiche alla strada per Vedano che egli indica personalmente sulla stessa pianta che ritorna con la lettera. Sulla base di tutti questi inediti elementi è così possibile datare definitivamente la planimetria conservata all’Archivio di Stato di Bellinzona che presenta il problema dei due rettifili e la difficile angolazione della strada che dal vialone immette a Vedano. Il disegno documenta infatti la rielaborazione della pianta iniziale secondo quanto indicato da Beauharnais e si colloca temporalmente prima di «un nuovo progetto», rinviato da Costabili a Canonica per l’ultima correzione. Così si spiegherebbe, viste le modifiche richieste, il motivo per cui è conservata oggi tra le carte personali dell’architetto e non negli archivi pubblici. Nei numerosi carteggi, Eugenio di Beauharnais rivela, in più riprese, il desiderio di avere prima possibile a disposizione un territorio per la caccia: tra le indicazioni che invia per l’anno successivo ordina che il Mirabellino sia adattato a Casino di caccia, che siano avviati i lavori della strada per Vedano, che sia fatto tutto «il movimento della terra e che si piantino gli alberi lungo i designati stradali» e, soprattutto, che si dia inizio alla costruzione del muro di recinzione, per evitare la fuga o il furto degli animali. Infatti, sempre nel luglio del 1806, data che conclude la prima fase progettuale, è stampato il bando per la gara d’appalto relativo il tratto di mura parallelo alla nuova strada per Vedano mentre Canonica presenta contestualmente il disegno «per la piantaggione del Parco Reale».20 Stabiliti dunque i confini entro il giugno 1806, alcuni dettagli e il disegno generale delle piantagioni sembrano non essere ancora definiti a tale data. Il disegno complessivo del Parco, corrispondente all’attuale, sarà elaborato da Canonica solo nel corso del decennio successivo: il 31 dicembre 1806 Beauharnais decreta infatti una «II ampliazione» dei terreni compresi nel Parco, cui fanno seguito una terza, datata 27 febbraio 1807 – coll’acquisizione dei fondi di San Giorgio – e una quarta, nel 1808.21 Lo stato di fatto con i diversi ampliamenti succedutisi e le proprietà catastali è rappresentato in una planimetria conservata presso la sede dell’Amministrazione del Parco di Monza.22 Contestualmente, dalla parte opposta della città, complementare al Parco Reale, Beauharnais ordina a Canonica, nel settembre 1806, di avviare i lavori per la realizzazione del «Regio Vivaio delle piante». L’area, posta a sud di Monza tra il Mulino del Castello e l’antico Cimitero di San Gregorio, denominata Vallazza, di proprietà dell’Ospedale di Monza è acquisita dal Ministero delle Finanze ed è descritta in una serie di schizzi elaborati da Luigi Villoresi. Il vivaio è un elemento fondamentale per il disegno vegetale del Parco e, proprio per questo motivo, già nel settembre 1805, l’architetto ticinese aveva individuato l’area come ideale per- 123 FRANCESCO REPISHTI «Tipo del Parco e Giardini reali di Monza», [1806]; Bellinzona, Archivio di Stato, Fondo Cattaneo. Gaspare Galliari, veduta della Villa Augusta, 1808; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. ché posta vicino a Monza, esterna alla Porta di Milano, esposta a est, con una parte in leggero rilievo, provvista di acqua per l’irrigazione, dotata di un edificio per l’alloggio del custode e il deposito degli attrezzi, delimitata dal fiume e da un muro di confine. Riguardo alle essenze necessarie per il vivaio e quindi per il Parco, ancora una volta si evidenziano gli stretti rapporti tra Milano e Parigi, tanto che Canonica afferma: «gli alberi fruttiferi conviene farli tutti venire dal gran vivaio di Parigi, non solo, per averne tutte le qualità, ma per saperne i veri nomi con precisione e sicurezza. Degli alberi stranieri fori di noi introdotti o introducibili si per ornamento che per vantaggio […] ben ragionato nel tomo III degli atti della Società patriottica alle pagine LIX. Gli alberi e arbusti nostrani sono quanto noti altrettanto facili ad aversi».23 Rispetto a molti progetti contemporanei e a quelli posteriori, già a partire dal primo progetto, il piano di Canonica rivela per la sua scala territoriale un sistema spaziale inedito nel contesto lombardo. Anzitutto per lo schema originato dall’asse dell’allée verso levante grazie alla scomparsa della terrazza-ninfeo, opposto a quello disegnato da Piermarini a ovest, e dal sistema di triangolazioni di percorsi che conducono anche a edifici preesistenti. Gli spazi triangolari compresi sono «distribuiti all’inglese con boschetti e piante di alto fusto» e intersecati da percorsi sinuosi preesistenti. A dispetto dei termini adottati, emerge una vera e propria ispirazione ai modelli francesi sui quali ritorneremo più avanti, nella seconda parte del testo. A queste operazioni si affianca il disegno dei grandi viali alberati verso Monza (il tridente) e il progetto del «nuovo stradone da Sesto San Giovanni al palazzo Reale di Monza».24 Questa scala territoriale cerca solo di connettere episodicamente il complesso Villa-Parco al territorio circostante, e l’area del Parco, recintata da un muro lungo il quale si aprono solo le porte di Monza, Vedano, San Giorgio e La Santa, rivela fin dalle prime fasi un carattere introverso. Come abbiamo visto, la caccia costituisce il principale motivo della costituzione del Parco Reale, e, a differenza di un’opinione diffusa, solo in un secondo momento è suggerito un parziale “cambio” di destinazione d’uso di questa vasta area. Ancora una volta sarà Canonica che, su richiesta dello stesso Eugenio, elaborerà una diversa organizzazione delle aree agricole. Ci aiuta in questa ricostruzione una preziosa relazione datata 27 agosto 181325 che è preceduta dalle pressanti richieste dell’intendente generale dei Beni della Corona, in cui è comunque ribadito il concetto che le «caccie reali sono l’oggetto primario cui è destinato il Parco».26 124 Le fasi successive Altre tre planimetrie sono conservate a Vienna – Tipo dimostrante il Parco unito alla Cesarea Reale Villa presso Monza nello stato attuale. A; Tipo dimostrante il Parco unito alla Cesarea Regia Imperiale Villa presso Monza nello stato a cui dovrebbe esser ridotto. B;27 Disegno del Parco di Monza28 – e vanno lette unite alla Descrizione dello stato attuale dell’I.R. Parco di Monza29 e alla Classificazione dell’I.R. Parco di Monza in varie colonie,30 documenti tutti non datati. Questo fondamentale insieme documentario, compilato da Luigi Canonica e Bartolomeo Pestalozza Borsini, è stato più volte studiato riferendolo al periodo napoleonico, con la conseguenza di un’errata ricostruzione delle fasi progettuali.31 La dicitura «imperiale» non lascia infatti dubbi, la collocazione archivistica del materiale e il ritrovato pagamento per i disegni32 rafforza questa certezza: la complessa operazione che mira a una razionalizzazione della produzione agricola e boschiva deve essere quindi assegnata alla committenza asburgica. Va tuttavia ricordato come questa nuova fase fosse stata avviata già nell’agosto del 1813 quando Canonica invitò l’Intendenza dei Beni della Corona a una più chiara scelta delle funzioni del Parco così da essere in grado di studiare meglio la conservazione o la demolizione di alcuni edifici. La classificazione dell’I.R. Parco di Monza in varie colonie prima ricordata suddivide l’intera area recintata in ventisei «colonie» o unità in parte affidate alla stessa amministrazione o destinate alle cacce e in parte date in affitto sia per una migliore gestione, sia per una maggiore rendita economica. L’iniziale proposta di Canonica che rifletteva una complessità formale e funzionale, sospesa tra luogo di rappresentanza e luogo privato per le cacce del principe, attingendo una pluralità di modelli subisce così un drasti- I L PA R C O R E A L E D I M O N Z A Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Tipo dimostrante il Parco unito alla Cesarea Reale Villa presso Monza nello stato attuale. A», 1816; Wien, Österreichische Nationalbibliothek. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Tipo dimostrante il Parco unito alla Cesarea Regia Imperiale Villa presso Monza nello stato a cui dovrebbe esser ridotto. B», 1816; Wien, Österreichische Nationalbibliothek. 125 FRANCESCO REPISHTI Auguste Garneray, le temple de l’amour, s.d., Musée National des Châteaux de Malmaison et Bois-Préau. Tempietto nei giardini della Villa Reale, Monza. co cambiamento, riproponendo un ideale agricolo, di per sé eloquente di un nuovo corso politico. La relazione dell’agosto 1813 ci permette di datare come successive sia le due planimetrie della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, sia quelle all’Archivio di Stato di Vienna, perché riportanti il laghetto, previsto dopo la rettificazione del corso del fiume Lambro, all’altezza del Mulino del Cantone. Ma se le due carte («A» e «B») sembrano essere successive la fine del Regno d’Italia, più difficile appare la datazione di altri tre disegni sempre da assegnare al nuovo corso politico. Si tratta di un disegno suddiviso in dieci splendide tavole conservate alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna e recentemente pubblicate da Laura Sabrina Pelissetti33 che riproducono una situazione successiva la carta «B» e prossima al progetto «A», quest’ultime già discusse in precedenza; la più nota pianta conservata presso la Biblioteca Civica di Monza, forse precedente alle due,34 e la più tarda mappa conservata presso la Soprintendenza di Milano (post 1819).35 Difatti la nuova dominazione austriaca, con il viceré Ranieri, impone la suddivisione dell’«Imperiale Reale Parco di Monza» in varie «colonie» destinate alla caccia e all’attività agricola. Si tratta di un cambiamento interpretabile come l’espressione della volontà di ricreare un ideale territorio modello, quale metafora ideologica del buon governo del principe; è infatti la stessa Amministrazione centrale che chiede all’intendente generale che «le spese giornaliere derivanti dalla manutenzione dei Giardini e fabbricati dell’I.R. Villa di Monza, delle cacce etc. [siano] compensate dai prodotti del Parco».36 Nell’arco di pochi anni, il Parco, ormai formato, è quindi percepito come una porzione di territorio idealizzato, un esempio di “bel paese”, uno «spazio di campagne» che poco ha in comune con un luogo reale dove «intorno gli si muove un popolo» come descriverà Carlo Cattaneo. Non più un giardino o un parco per le cacce, ma un modello esemplare da imitare per le attività agricole orientate all’innovazione e alla sperimentazione di nuove colture, opzioni che suggeriranno l’appellativo di “tenuta agricola modello” o “Regia Mandria”.37 Documenta questo passaggio una vera e propria campagna di rilievo e restauro di tutte le cascine elaborata da Canonica e Borsini – forse nel 1819, come è documentato sul verso delle tavole oggi conservate in una sessantina di cartelle presso il Fondo disegni antichi della Soprin- tendenza di Milano –. I disegni di Milano completano in molti casi i fogli preparatori conservati a Mendrisio e anticipano alcuni dei progetti elaborati successivamente da Giacomo Tazzini. 126 Modelli Al di là di queste precisazioni che ricostruiscono una sequenza e ideali diversi da quanto finora pubblicato, ciò che è forse più interessante considerare è l’evoluzione dell’immagine del Parco e la sua percezione da parte dei suoi protagonisti. Questo enorme giardino è, di fatto, l’esito di un programma politico capace di trasformare un territorio in uno spazio formalizzato e in un luogo rappresentativo e simbolico di un nuovo ordine.38 Il Parco Reale di Monza nasce esclusivamente come luogo destinato a tenuta di caccia, contrapposto ai Giardini dove trovano luogo altri divertissement della corte (il Giuoco del Pallone, le giostre e le altalene, e gli attrezzi per gli esercizi ginnastici). Il muro che lo circonda, i recinti e le griglie lignee lungo il fiume Lambro non permettono agli animali importati o allevati di uscire dall’area: fagiani, galline faraone, pavoni, merli, quaglie, e allodole, beccacce e anatre, ma anche conigli, lepri, cervi, caprioli, daini sono i nuovi abitanti di questo enorme recinto.39 La villa del Mirabellino diviene un Casino di caccia affrescato con scene venatorie, le cascine si trasformano in allevamenti di animali selvatici e in luoghi di residenza per i cacciatori o stalle per i cavalli e sono espressamente costruiti il Serraglio dei cervi e le fagianaie. I lavori per la costruzione del Parco cancellano o trasformano quasi tutte le tracce preesistenti su questa porzione di territorio: il progetto prevede un ridisegno profondo che comprende opere colossali di movimenti di terra per il livellamento dei tre terrazzamenti su cui si articola;40 le oltre quaranta cascine sono ricostruite o travestite con forme idealizzate; la vegetazione è stravolta41 e le alberature sono impostate secondo assi geometrici; il fiume Lambro e le rogge sono rettificate; qua e là sono disperse ricostruzioni d’ipotetiche vestigia per dare dignità storica al luogo, recuperando decorazioni provenienti dai monumenti milanesi demoliti. Nelle diverse varianti del progetto elaborato da Canonica – tutte tra loro molto simili – emergono soprattutto riferimenti ai modelli francesi: in I L PA R C O R E A L E D I M O N Z A particolare alle contemporanee situazioni delle residenze imperiali di Compiègne, Versailles e Fontainebleau, o a quelle più vicine all’educazione e alla famiglia di Eugenio come la Malmaison. A questi inevitabili riferimenti è forse possibile aggiungere anche una serie di suggestioni presenti nei numerosi piani di città francesi attuati nell’Ancien régime. Nonostante l’avversione nei riguardi del recente passato, l’organizzazione del Parco Reale non manca infatti di fare emergere ricordi di tracciati urbani che però s’infrangono e s’interrompono contro il muro che lo delimita, senza che questi possano aprirsi all’intero territorio (a questo Canonica ovvierà scegliendo Landmark naturali o architettonici). Un’analoga organizzazione spaziale su promenades planteés connoterà anche buona parte dell’urbanistica milanese durante il Regno d’Italia, seguendo espressamente le indicazioni di Napoleone e di Eugenio. Eppure nelle descrizioni autografe di Canonica l’aggettivo «inglese» ricorre più volte. Canonica conserva e adotta nel Tipo del 1805 – che contiene fin dall’inizio tutti gli assi ordinatori dell’attuale Parco – modelli tra loro diversi, all’interno di un’unica fondamentale destinazione d’uso. Un atteggiamento frammentario o l’espressione di un sincretismo che permette di coniugare riferimenti e richieste forse non sempre chiare: da una parte, l’area intorno alla Villa è frantumata dal moltiplicarsi di parterre geometrici che si distendono verso sud, mentre a nord il giardino all’inglese di Piermarini è ampliato sino al nuovo asse stradale ponendosi anche come il contenitore dei divertissement e delle rovine storiche. Al centro dell’area troviamo una «campagna» e una «vigna» elaborata sui modelli italiani, a est i grandi assi derivati dai modelli francesi che delimitano aree boscate. Sappiamo ancora poco della cultura paesaggistica di Canonica per cogliere appieno l’intenzionalità delle sue scelte che sembrano opporsi e non aderire, come è stato recentemente affermato, «alla contemporanea cultura del giardino, adesione chiaramente leggibile nell’ampliamento di quel brano che il Piermarini aveva collocato lateralmente al palazzo».42 Altra cosa sono, infatti, i Giardini reali rispetto al Parco, e il precedente milanese costituito dal «giardino all’inglese di [...] Ludovico di Barbiano e Belgioioso» realizzato su disegno di Leopoldo Pollack dal 1790 al 1793 che costituisce uno dei modelli più vicini e apprezzati, come aggiungerà anche Silva nell’edizione del 1813.43 In precedenza, abbiamo anche posto l’attenzione sul ruolo “attivo” di Eugenio che si attua attraverso una serie d’indicazioni personalmente suggerite a Canonica o tramite Costabili.44 La questione non può essere sottovalutata e deve essere calata nella cultura e nell’atmosfera del viceré che rimanda a quello dell’imperatrice-madre, Joséphine. Il riferimento alla Malmaison è dunque d’obbligo, anche alla luce delle scelte operate in piena autonomia da Joséphine, come è raccontato nelle pagine del Journal di Pierre Fontaine:45 «Notre hérésie sur le gout présent de jardins nous avait fait tort dans l’esprit de Madame. Parler d’ordonnance et de régularité en fait de jardins c’était blasphémer. On ne voulait que des groupes, des effets, des oppositions et sortout du sentiment». Lo scontro in questo caso è tra i modelli di giardino di Percier e la radicalità dei sentimenti di Joséphine, orientati su quanto già nel secolo precedente Jean Marie Morel – «le patriache des jardins anglais»46 – aveva tratteggiato nella sua Théorie des jardins. Si potrebbe dunque ipotizzare un legame tra le attenzioni botaniche dell’imperatrice e la promozione delle scienze botaniche e agrarie, tra cui una sorta di collezionismo di piante rare esemplificato nel decreto vice- reale (Milano primo agosto 1805), che stabiliva l’istituzione a Monza di un «vivaio regio per la conservazione de’ frutti, degli alberi, degli arbusti e delle piante indigene ed esotiche necessarie per le piantaggioni sui sentieri e sulle strade per l’abbellimento de’ Giardini pubblici del Regno». In modo analogo, Eugenio dà un impulso al restauro e alla realizzazione di nuove serre simmetriche alla tradizionale orangerie; serre anche calde per accogliere specie rare (fiori, ananas...).47 Né va dimenticato che il ministro delle Relazioni estere, Ferdinando Marescalchi, aveva suggerito al Ministero dell’Interno, nell’aprile del 1803, di caldeggiare l’acquisto da parte delle biblioteche nazionali dell’opera di Etienne-Pierre Ventenat dedicata ai giardini della Malmaison.48 In questi stessi anni a Compiègne opera Louis Martin Berthault: qui trasforma in parco paesaggistico il giardino di Gabriel, rimasto incompiuto, creando – come afferma Georges Teyssot – «uno dei primi giardini “misti”, formula che svilupperà nei grandi progetti successivi, come il giardino del Re di Roma sulla collina di Chaillot a Parigi».49 Ed è proprio intorno a questa idea di “misto”, ampliandone anche i significati assegnati da Teyssot, che possiamo individuare i caratteri del Parco di Monza e l’abilità di Canonica a registrare questo cambiamento di mentalità: in primo luogo la flessibilità formale, ottenuta da un’ibridazione tra il gusto all’inglese, già conosciuto attraverso Piermarini e Silva, e le suggestioni dei tracciati francesi (anche urbani), che si trasformerà anche in una flessibilità di segni e significati per i successsivi sovrani: oltre ai già ricordati programmi celebrativi, la caccia, la memoria di un diverso antico (medievale), la ricercata resa economica dei fondi attraverso l’istituzione di colonie agricole, la passione per la botanica, l’assenza di inutili fabriques... I riferimenti alla Malmaison e a Compiègne,50 comunque corretti, non sono in grado da soli a supportare come modello il disegno elaborato da Canonica, progetto che si fonda soprattutto sui tracciati di caccia ordinati da lunghe allée alberate che rimanda a interventi urbani. Quello della caccia è un significativo topos della monarchia francese – un’altra “continuità” con i simboli dell’antico regime –, ma vissuto con lo spirito di uno stato di “guerra permanente” come racconta anche la splendida rappresentazione di Napoleone durante una partita di caccia nella foresta di Compiègne (1811) conservata al Museo dell’Hermitage. Più volte è stato supposto che a fianco di Canonica vadano prese in considerazione, nel ruolo di progettisti, anche le figure di Luigi Villoresi e di Ercole Silva.51 I frequenti contatti con Villoresi sono ampiamente documentati tra le minute delle lettere di Canonica, ma, sempre da queste, non emerge un suo ruolo progettuale. Sappiamo ad esempio che è quest’ultimo a elaborare la disposizione delle varie essenze, o delle alberature dei viali che da Milano conducono a Monza, o che è lui a sovraintendere i lavori di livellamento del terreno, a proporre il restauro dei giochi d’acqua del giardino, a progettare le stufe per le serre degli ananas, ma in nessun caso si accenna al disegno o al progetto generale per il Parco Reale. Al contrario è Canonica che gli invia le direttive (le disposizioni) per le alberature delle ville del Mirabello e del Mirabellino.52 Infatti, una lettera inviata da Costabili a Canonica il 24 luglio 1806, ci informa che Villoresi è incaricato ufficialmente della «sopraintendenza e sopravigilanza a tutte le opere e lavori e contratti relativi e così pure della compra economica degli alberi che occorreranno per la formazione del Reale Parco e ciò dietro anche la vostra consulta».53 1. Sulla costituzione del Parco di Monza non è finora emerso nessun riferimento diretto a Napoleone né tra le carte di archivio, né tra le Memoires o le 127 FRANCESCO REPISHTI Correspendances. 2. Giuseppe Piermarini, Planimetria della Villa di Monza con i giardini, [1791]; ÖNBW, 281 (204b-205b); cfr. A. Maniglio Calcagno, La nascita del parco e il suo sviluppo, in Il Parco Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione pro Monza, Monza 1989, p. 57. 3. Già nella Collezione Cattaneo a Manno ora all’Archivio di Stato di Bellinzona: Luigi Canonica, Disegno dei Giardini presso il Palazzo Nazionale di Monza con altri fondi coerenti, [1803]. 4. Cfr. Maniglio Calcagno 1989, p. 63. 5. Compilata dal «geometra» Antonio Ferrario e datata 8 giugno 1791, già in ASMi, Fondi Camerali, p.a., 311, ora in ASMi, Miscellanea mappe e disegni, 130. La dichiarazione annessa è invece conservata all’AMMe, Fondo Canonica, 200. Cfr. C. Mozzarelli, La villa, la corte e Milano capitale, in La Villa Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione Pro Monza, Monza 1984, p. 19. 6. Il foglio è stato più volte riferito all’epoca cisalpina per la dicitura di «Palazzo Nazionale». Durante la Repubblica Italiana la villa è anche indicata come «Villa governativa». Sugli adattamenti alla villa durante il soggiorno di Melzi si veda la scheda relativa in questo stesso volume (AMMe, Fondo Canonica, X, 148-193). 7. Costabili a Canonica; 1 luglio 1805; ASMi, Genio Civile, 3126. F. Repishti, Monza. Dalla Repubblica Cisalpina al Ventennio (1796-1942), in F. Repishti, F. Süss, Monza. Dalla Repubblica Cisalpina al Ventennio (1796-1942), Libri e libri, Monza 2006, pp. 7-31. 8. Canonica a Costabili; 7 agosto 1805; ASMi, Genio Civile, 3126. Dal 7 agosto la corte di trasferisce a Monza. 9. AMMe, Fondo Canonica, X, 157: «Disegno che rappresenta un progetto per la formazione del parco annesso al Palazzo Reale di Monza - Spiegazione», trascritta integralmente in Maniglio Calcagno, 1989, pp. 83-84. 10. Canonica a Costabili; 29 agosto 1805; ASMi, Genio Civile, 3126. L’estensione ci aiuta a comprendere che a questa data Canonica aveva già ipotizzato un disegno poi effettivamente realizzato con l’acquisizione dei terreni sulla base della stima di Ferrante Giussani (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070). Cfr. F. Repishti, L’acquisizione dei fondi necessari alla formazione del “Reale Parco e Regia Mandria” di Monza (1806-1811), in I giardini del “Principe”, atti del convegno (Racconigi 1994), a cura di M. Macera, L’Artistica, Savigliano 1994, vol. I, pp. 71-74. 11. I primi confini documentati del Parco (che permettono per la prima volta di datare con precisione i progetti di Canonica) sono: a est, per una piccola parte il viale di Mirabello e il fontanile, per la maggior parte la strada che dalla Santa conduceva a Monza e che dalla Villa portava a Monza; a sud, la vigna dei padri di Santa Maria delle Grazie e il fiume Lambro; a ovest, il nuovo viale per Vedano e, a nord, la nuova strada posto sopra il Mirabello e il Mirabellino. 12. Luigi Canonica, Tipo del Parco e Giardini reali di Monza, [1806]; ASTi, Fondo Cattaneo. Cfr. Maniglio Calcagno 1989, p. 65. 13. ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070. Il documento sottoscritto da Ferrante Giussani in data 23 giugno 1806 è indicato come «Tabella di riassunto di tutti i Possessori dei Beni compresi nel Perimetro del Parco della Real Villa di Monza in ordine alfabertico, e numero progressivo colle totalità di Perticato, Estimo, Valore Capitale della Stima ed indennizzazione a termini delle istruzioni colle avvertenze per norma dei compensi tra il Demanio Generale, e la Corona, alla quale si consegneranno i suddetti fondi liberi da ogni peso, che rimaner deve a carico del Demanio a favore del quale resterà il capitale corrispondente». Nella tabella sono indicate le cascine della Covetta, della Bastia, del Sole, della Valnera, della Maddalena, del Porcione, di San Fedele, della Pairana, delle Mifralie. 14. La nomina dell’ingegnere Ferrante Giussani per la stima dei fondi compresi nel Parco di Monza è datata 19 settembre 1805 (ASMi, Genio Civile, 2120). 15. AMMe, Fondo Canonica, X, 157: «Tipo dimostrante il progetto pei giardini e Parco annessi alla Real Villa di Monza». 16. Luigi Canonica, Tipo del Parco e Giardini reali di Monza, [1806]; ASTi, Fondo Cattaneo. Cfr. Maniglio Calcagno 1989, p. 65. La legenda di questa pianta (AMMe, Fondo Canonica, X, 157: «Tipo dimostrante il progetto pei giardini e Parco annessi alla Real Villa di Monza») è trascritta sempre da Maniglio Calcagno 1989, p. 84. 128 17. Giudici a Costabili; 3 ottobre 1805; ASMi, Genio Civile, 3126. 18. Lettera di Canonica a Costabili; 4 luglio 1806; ASMi, Genio Civile, 3144. 19. Lettera di Canonica a Costabili; 9 luglio 1806; ibidem. 20. Il primo tratto di muro è quello che dal confine nord dei Giardini reali proseguiva parallelamente alla nuova strada per Vedano. Milano, 24 luglio 1806; ASMi, Genio Civile, 3144. Ancora in costruzione nel maggio 1812. 21. Si tratta delle proprietà a Biassono e Santa, l’uso delle acque per la lavanderia e la sbianca (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070). Tra queste le aree boscate a nord di San Giorgio. Il 30 maggio 1809 Canonica invia all’intendente dei Beni della Corona una planimetria dettagliata con indicato il «tratto di muro da costruirsi» (ASMi, Genio Civile, 3139) 22. Pubblicata per la prima volta da A. Merati, Due preziose carte: la nascita del Parco, in Il Parco, la Villa, “Quaderni dell’Amministrazione Comunale di Monza”, vol. I, 1998, pp. 6-9. 23. ASMi, Genio Civile, 3158. 24. Tra il nuovo viale proveniente da Sesto e quello già esistente verso la Villa Reale, il progetto presentato da Giovanni Angelo Giudici, ingegnere alle strade, prevede la formazione di una “piazza”. Anche l’attuale viale Cesare Battisti subisce alcune trasformazioni: è disegnato con due strade carrozzabili fiancheggiate da una caditoia per le acque, un parterre al centro, e due strade “coperte” da una doppia alberatura ai lati. 25. In agosto (1813), Canonica accompagnato da Luigi Villoresi, dal capitano delle cacce, dal primo cacciatore Antonietti e dall’ispettore Prada visita attentamente l’area del parco ormai recintato per stabilire sugli “oggetti” della caccia «vale a dire sulle piantagioni a bosco da ritenersi, da accrescersi e da riformarsi, sulle strade da sopprimersi o da farsi di nuovo per le più facili comunicazioni». Egli aggiunge anche di aver voluto rettificare l’andamento del Lambro su indicazione dello stesso Beauharnais scegliendo di realizzare un lago. L’architetto infine ricorda che, risolto il problema della caccia, rimangono da «sistemarsi le località e il riparto delle coltivazioni assegnabili ai fittuari, cioè quali debbano ritenersi a prato, quali da seminarsi a biade e quali per le piantagioni fruttifere per le viti o simili» (27 agosto 1813; ASMi, Genio Civile, 3152). 26. Lettera di Canonica all’intendente generale dei Beni della Corona; 6 febbraio 1813; ASMi, Genio Civile, 3132: «Dietro le osservazioni da me fatte che le diverse operazioni le quali annualmente si vanno eseguendo nel Parco Reale presso Monza non corrispondono in gran parte a quelle ideate e tracciate dal piano originariamente proposto ed adottato pel Parco medesimo, giacché vi si introducono delle variazioni ed innovazioni suggerite e forse promosse dagli usi e dai bisogni delle Caccie Reali costituenti l’oggetto primario cui è destinato il Parco». Numerosi sono i contrasti tra Canonica e i responsabili delle cacce. 27. ÖNBW, FKB VUES K 15a, A+B. Le due planimetrie sono senza data e sono firmate da Luigi Canonica. Pubblicate da Maniglio Calcagno 1989, pp. 66-67, ma riferite al 1808. Cfr. Repishti 2006, pp. 10-13. 28. La carta è conservata presso l’Archivio di Stato di Vienna. Cfr. Maniglio Calcagno 1989, p. 74. 29. Descrizione dello stato attuale dell’I.R. Parco di Monza in conformità dei numeri segnati nel corrispondente tipo A e relativa generale identificazione di quanto resta a farsi per la sistemazione di esso Parco risultante dal tipo B, sottoscritta da Canonica e Borsini (ÖNBW). L’architetto relaziona il 15 marzo 1815 sullo stato del patrimonio arboreo, dopo il sopralluogo effettuato con Borsini (ASMi, Genio Civile, 3135). 30. Classificazione dell’I.R. Parco di Monza in varie colonie per norma dei relativi affittamenti con annesse le porzioni di terreno a comodo delle cacce, e per gli usi dell’Amministrazione in corrispondenza dei numeri marcati col tipo B, sottoscritta da Canonica e Borsini. 31. Si vedano anche le altre relazioni di Borsini relative alla demolizione dei mulini di Valnera, Salice, e della Cascina Rossa (30 agosto 1815) in ASMi, Genio Civile, 3135. Per i disegni conservati presso la Soprintendenza di Milano si veda l’importante lavoro di Ivana Novani in M. Rosa (a cura di), La villa, i giardini e il parco di Monza nel fondo di disegni delle Residenze Reali Lombarde, Skira, Milano 2009. 32. Una prova ulteriore è il pagamento a Luigi Canonica «architetto dei reali e imperiali palazzi» datato 17 agosto 1816 per «la formazione di una copia dei tipi rappresentanti i piani dei palazzi reali di Milano e di Monza, contenuti in sei tavole, non che dei tipi colorati del piano generale del Parco alla I L PA R C O R E A L E D I M O N Z A cesarea reale Villa presso Monza, uno cioè dimostrante lo stato attuale e l’altro lo stato cui dovrebbe ridursi», «i quali tipi sono stati rimessi a Vienna». I tre disegnatori impegnati sono Giuseppe Perego, Felice Vergani e Giuseppe Castellini in ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 241. 33. ÖNB, Wien. Cfr. L.S. Pelissetti, Dal giardino del Piermarini al Parco Reale. Mode, ispirazioni e competenze professionali a Monza tra fine Settecento e inizio Ottocento, in Il parco della Villa Reale di Monza al bicentenario della fondazione. Contributi, riflessioni, prospettive, atti del convegno (Monza 2005), a cura di L.S. Pelissetti, Comune di Monza, Monza 2006, pp. 61-82. 34. Una successione può essere individuata dall’assenza del tracciato del viale di Vedano, dalla planimetria della Cascina Monzina e dalla presenza di un laghetto con un’isola al centro (sappiamo dopo il 1813). Cfr. Merati 1998, pp. 6-9. 35. SBAPMi, Fondo disegni antichi, 7, 84. La lunga legenda è a due colori. Cfr. A. Maniglio Calcagno, N. Nasini, Villa Mirabello e villa Mirabellino nel Parco di Monza: dai giardini Durini al parco storico, in F. De Giacomi (a cura di), Le ville Mirabello e Mirabellino nel Parco Reale di Monza, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2006, pp. 103-119. Nel testo la carta è datata posteriore al 1814 e attribuita a Giacomo Tazzini. La presenza della Torre-belvedere nei Giardini, non notata, posticipa la datazione come successiva al 1819. 36. 9 agosto 1815; ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 241. 37. A partire dal settembre 1817 viene ordinato che nessun colono possa abitare all’esterno del perimetro del Parco e che siano ampliate le cascine Costa, Bastia, Monzina. 38. Interessante notare la totale assenza, nella documentazione raccolta, di un’attribuzione di senso attraverso riferimenti mitologici. 39. Nel maggio 1808 dalla Baviera giungono 23 cervi per il nuovo Serraglio al Bosco Bello. In una lettera, datata 11 novembre 1810, l’ispettore alla Villa Reale, Prada, narra a Canonica dell’irritazione del viceré durante una battuta di caccia a cavallo, per aver dovuto interrompere l’inseguimento di un daino per essersi trovato «imbarazzato a dover passare col cavallo le diverse acque del Parco» (ASMi, Genio Civile, 3127). Nel 1811 i «fabbricati» destinati alle cacce sono la Cascina Gerona, il Serraglio dei cervi, la Fagianaia, il Casino del Roccolo, i caselli delle porte di San Giorgio, del Serraglio, della Santa, del Cavriga e di Vedano, la Torre del Mulino del Cantone e parte del Mirabello (ANF, O2, 1207). 40. Il Parco si articola su almeno tre distinte fasce all’interno della valle del fiume Lambro. 41. Sappiamo con precisione tutte le specie impiantate: dalla Villa Reale verso Vedano troviamo tigli, aceri neri, robinie pseudoacacie, platani; sul viale del Cavriga roveri; sui viali a levante ancora roveri, robinie, castagni d’India, pioppi cipressini (Pairana), oltre a tigli, sorbi e frassini; robinie, ciliegi e noci allo «stradone del Gergnello (viale del Mirabello)»; roveri e castagni a nord nell’area del Serraglio dei Cervi; tigli, robinie, platani e aceri nel giardino a tridente verso la città; platani sul viale per Vedano; platani, robinie, aceri e pini sul vialone verso il Rondò (ANF, O2, 1207). Nell’autunno del 1811 sappiamo che nei vivai si trovano 30 000 piante da collocare nel Parco. 42. Cfr. Maniglio Calcagno 1989, p. 73. 43. E. Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi [Milano 1813], a cura di G. Venturi, Longanesi, Milano 1976, pp. 259-266, la nota a pié pagina riporta: «Questo giardino per il suo riparto, per la mossa e l’andamento del terreno, per l’intelligenza con la quale è divisato risulta per un vero modello; la piantagione solo non vi corrisponde. Il disegno è di Brown, ossia il disegno commesso a quest’artista combinò perfettamente con quello, che frattanto dispose l’intelligente proprietario, s.a.i. vi ha combinata la nuova aggiunta». 44. Oltre a quelle già accennate, tra le minute di Canonica si trovano altri «promemoria degli ordini ricevuti da s.a.». Si veda per esempio quella in ASMi, Genio Civile, 3140 datata 11 maggio 1808 relativa le strade interne ed esterne al Parco. 45. P.F.L. Fontaine, Journal, 1799-1853, vol. I, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Institut Français d’Architecture, Société de l’Histoire de l’Art Français, Paris 1987, p. 15: 10 dicembre 1800 «Madame voit avec peine que nous faisons quelques allées droites, elle veut que tout soit à l’anglaise, une avenue plantée directement pour aller d’un lieu à un autre lui parait un barbarisme contre les règles du jardinage». La citazione è alla data 7 settembre 1801, p. 31. 46. Ibidem. 47. Gusto che si era comunque diffuso in Lombardia già alla fine del Settecento come testimoniano i casi di Villa Silva a Cinisello, Cusani a Desio e Litta a Lainate. Il vicerè si comporta in modo analogo anche per il giardino di Villa Bonaparte a Milano. Si veda a questo proposito la lettera di Canonica all’intendente dei beni dell’appannaggio, datata 23 marzo 1810 (oggi in copia alla biblioteca Marmottan di Boulogne, ma in origine nel perduto fondo Demanio, Corona Beni dell’Archivio di Stato di Milano alla busta 217): «S.a.r. prima di partire per Parigi si è degnata di incaricarmi del progetto per l’ampliamento del giardino della Villa Bonaparte» suggerendo un fabbricato per la Serra calda e «tappetti e piantagioni e spazi per collocarvi edifici, monumenti e giuochi di intrattenimento». 48. Marescalchi scrive al ministro degli Interni caldeggiando la sottoscrizione dell’opera di Ventenat «onde usare un’attenzione a madame Bonaparte protettrice dell’autore e dell’opera» in ASMi, Studi, p.m., 73. Cfr. Cfr. M. La Rosa, L’albero della libertà. Orti botanici e agrari: uno spazio per sperimentare, in Momenti dell’età napoleonica nelle carte dell’Archivio di Stato di Milano, a cura dell’Archivio di Stato di Milano, New Press, Como 1987, p. 54. 49. G. Teyssot, “Un’arte così ben dissimulata”. Il giardino eclettico e l’imitazione della natura, in M. Mosser, G. Teyssot, L’architettura dei giardini d’occidente. Dal Rinascimento al Novecento, 3a ed., Electa, Milano 1999, p. 363. 50. Dove opera come architetto-paesaggista Louis-Martin Berthault (17701823). Nominato nel 1805 architetto dell’imperatrice Josèphine, succede a Morel e disegna il parco della Malmaison (circa 700 ettari come quello di Monza) con l’aiuto di botanici (Howatson, Delahaye, Bonpland). Nel 1813 Berthault «est regardé comme l’un des plus habiles compositeurs de jardin» (ANF, O2, 239). 51. Soprattutto dell’edizione del 1801 del volume Dell’arte dei giardini inglesi. Silva nell’edizione del 1813 non cita mai Canonica. 52. Canonica invia a Villoresi i tipi per le «piantaggioni» Mirabellino verso ponente secondo il piano generale del parco; ASMi, Genio civile, 3151; 30 marzo 1812. 53. Costabili a Canonica; 24 luglio 1806; ASMi, Genio Civile, 3144. 129 Luigi Canonica, Cascina Frutteto, pianta e prospetto, [1820]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 7, BC 238. Catalogo dell’opera Parco Reale di Monza Giardini della Villa Reale, Monza 1802-1819 Per ricostruire la situazione precedente l’intervento di Canonica ai Giardini Reali possediamo diverse vedute e incisioni, più volte pubblicate nei volumi dedicati alla Villa e al Parco. Rimangono poco conosciute due vedute – la grotta con la cascata e il laghetto con il ninfeo di Nettuno – dipinte da Martin Knoller, di collezione privata, forse le stesse che Melzi richiese di trasportare a Monza nel 1803 (Anedi 1998, p. 138). Sicuramente Canonica interviene durante il periodo della Repubblica Italiana nella realizzazione di alcuni giochi per i soggiorni di Francesco Melzi. A questo proposito si veda il «Riassunto di tutte le spese fatte dal cittadino Luigi Villoresi giardiniere ed agrimensore per la ristaurazione e manutenzione dei Giardini Nazionali presso Monza in tutto l’anno 1804 come da liste e confessi spediti alla Soprintendenza Generale» (AMMe, Fondo Canonica, X, 166). Fin dalle prime proposte per l’ampliamento dei Giardini, Canonica decise di modificare gli spazi di pertinenza della Villa Reale, ancora modellati dai progetti di Giuseppe Piermarini e non molto dissimili dall’organizzazione che lo stesso aveva dato per i Giardini Pubblici di Porta Orientale. Infatti, se non è possibile intravedere diversità tra le carte della Österreichische National bibliothek di Vienna attribuite a Piermarini e un foglio conservato a Bellinzona presso l’Archivio di Stato elaborato da Canonica forse per Melzi, relativo a un possibile ampliamento dei giardini di Monza, forte è lo scarto rilevabile nel progetto presentato nel 1805 e descritto come «Tipo dimostrante il progetto pei giardini e Parco annessi alla Real Villa di Monza» (Maniglio Calcagno 1989, pp. 83-84). In particolare, Canonica conformò il lungo cannocchiale orientale con un «piano inclinato a giardino all’inglese con boschetti, monumenti e piantag- gioni di vario genere», a nord disegnò il laghetto «in parte esistente e da ampliarsi formandovi un’isola nel mezzo», una collina «da elevarsi colla terra di escavazione del lago con piantaggioni di viti particolari alla parte di mezzogiorno e bosco selvaggio alla parte di tramontana; sulla sommità di questa collina farebbe buon effetto un antico edificio figurato in rovina», a est, verso il nuovo viale per Vedano, una «gran piazza contornata da piantagioni con teatro di verde e gabinetti di varie forme all’intorno per collocarvi diversi giuochi come la giostra, altalena e simili» e il «sito per il giuoco del pallone ed altri esercizi ginnastici» e un’«altra porzione di giardino all’inglese con boschetti e monumenti» e, infine, un’area «continuazione del bosco indicato alla lettera D con romitaggio» (ibidem). L’estensione non era molto differente da quella attuale e il confine era realizzato da cancellate lignee. A questa proposta si contrappose il piano elaborato probabilmente dal capitano delle cacce, tutto orientato a ricreare situazioni naturali favorevoli all’allevamento e alla vita degli animali, mentre «nel resto per quello che riguarda delizia e simetria e disegno degli edifici e giardini si lascia all’ispezione del Reggio architetto» (AMMe, Fondo Canonica, X, 157). Ancora tra i primi lavori avviati nell’estate del 1805, quando Beauharnais scelse Monza come residenza estiva, troviamo una lunga lista di riparazioni e ammodernamenti delle strutture della giostra con cavalli, del gioco del «naso», dell’anello, delle «pallette», delle frecce, e della «casa del romita vicino al laghetto» (30 agosto 1805; ASMi, Genio Civile, 3126). A questa si aggiungeva anche la personale richiesta di Eugenio di Beauharnais, tramite Costabili, di decorare la barca esistente nel laghetto come quella già realizzata nella Villa Bonaparte (26 luglio 1805; ibidem). Alla fine dell’estate, approvati da Beauharnais, ebbero avvio i lavori di Villa Reale e giardini, Monza, planimetria, particolare, 1806-1807; ASTi, Fondo Cattaneo. demolizione della terrazza piermariniana che costituiva il confine orientale, così come rappresentato in una veduta da Raffaele Albertolli. Nell’ottobre 1805 sappiamo che furono demoliti i muri e le scale «sostenenti la terrazza al lungo della facciata del palazzo» e fu trasportata «terra per formare un piano inclinato fino al di là della strada attuale» (22 ottobre 1805; ibidem). L’elenco delle opere avviate in quel momento prosegue in modo molto dettagliato, tale da permetterci una precisa ricostruzione degli interventi attribuibili a Canonica: «canale da farsi che deve serpeggiare nel suddetto piano con piantazioni di piante scelte con diverse strade ed alcuni monumenti fra le piante [...], steccato da farsi di novo nel perimetro del giardino [...] per separarlo dal gran parco [...], aggiunta al giardino d’un pezzo di terreno da acquisirsi al di là del viale verso tramontana e questo da adattarsi all’inglese con trasporto di terra, piantazione tutta di nuovo, sito da adattarsi per il torneo a cavallo, altro per il giuoco del pallone e per il bersaglio ed altri giuochi diversi, una sala a forma di tempio, ed alcuni monumenti ornati di sculture [...], tempietto vicino al laghetto da ripararsi con tetto di rame, serramenti e ornati nell’interno [...], sito dell’antica laiterie da adattarsi con tutti gli addobbi, e mobili per l’interno, canale da farsi tutto all’intorno per isolare il fabbricato formandovi un laghetto con canale che deve estendersi fino allo steccato del giardino un ponte levatoio per attraversare il canale e due barchette [...], diverse statue in marmo da collocarsi nel luogo ove esistevano dapprima [...], sedili in varie parti del giardino, casino da adattarsi contiguo alla vigna toscana e diverse piantazioni». Sulle riparazioni effettuate al gioco della giostra, tra le carte del Fondo 131 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Canonica di Mendrisio è conservata una nota relativa alle operazioni svolte dal falegname Gaetano Rocca nell’agosto del 1805 (AMMe, Fondo Canonica, X, 171), mentre i materiali ottenuti dalla «demolizione della fossa, ponte e darsena in prospetto alla Villa» furono richiesti dal marchese Cusani per la sua villa di Desio in cambio di alcune piante esotiche per gli stessi giardini (15 gennaio 1807; ASMi, Genio Civile, 3142). L’importanza dell’intervento di Canonica per i Giardini Reali non ha dunque bisogno di essere sottolineata, ma meglio precisata. Ciò è possibile anche grazie a una serie di documenti contabili che nel 1811 il soprintendente generale, Costabili Containi, invia all’amministrazione imperiale, – e allo stesso Napoleone – sollecitando un fondo straordinario proprio per queste opere: «non ignora vostra maestà che una vasta superficie di terreno a semplice coltura venne destinata per la formazione del Parco [...] similmente si diede nuova forma ai Giardini con ampliazione di terreno ed arricchimento di piantaggioni tanto indigene che esotiche; moltiplicando la quantità di agrumi e dando mano all’erezione di un corpo di serre necessarie alla conservazione delle piante, delle erbe e dei fiori che a dovizia mi sono procurato dai più ricchi e scelti giardini d’Italia e della Germania. A queste operazioni si aggiunsero non indifferenti movimenti di terra per elevare artificiose montagnole, introdurvi delle cascate d’acqua, praticarvi sentieri, tappeti e quant’altro conviene ad un luogo di 2 piacere» (6 settembre 1811; ANF, O , 1207). Nella documentazione allegata sono descritte tutte le operazioni sino ad allora condotte e così è possibile ricostruire una serie di “situazioni” presenti: dalla piazza del gioco del pallone che confina con il «bosco delle piante esotiche e fruttifere» e alla pepiniére tra questo e il lago, dalla vigna toscana, alla «pinniera chiconce delle roveri, le ceste di fiori nella parte del giardino verso Monza, i giardini della frutta, delle serre e degli agrumi a occidente, ancora i giochi come la giostra» (ibidem). Meno ricca appare invece la documentazione per gli anni successivi, con solo brevi cenni ai lavori di restauro alla facciata della grotta (20 maggio 1811; ASMi, Genio Civile, 3127), al «gioco della giostra» (20 settembre 1812; ASMi, Genio Civile, 3129), ai giochi d’acqua e ancora alla grotta dei giardini (27 luglio 1814; ASMi, Genio Civile, 3134). Era lo 132 stesso giardiniere del Parco, Luigi Villoresi, che descriveva a Canonica, il 25 luglio 1815, lo stato di abbandono dei «giochi d’acqua del giardino», proponendone senza successo il restauro, mentre Luigi Prada, due giorni dopo, gli chiedeva il permesso di demolire la “darsena” del laghetto e di riparare il tempietto (ASMi, Genio Civile, 3135). Modesti interventi alla «grotta del giardino inglese» sono invece documentati nella primavera del 1817. Infine, un capitolo importante è quello dedicato alle nuove serre calde progettate da Villoresi e realizzate su disegno di Canonica. Dopo un primo sopralluogo nel giugno 1806, l’architetto suggerì di sostituire le precedenti, realizzate in legno, con serre in pietra e ferro, come aveva già fatto a Pavia per l’Orto botanico dell’Università (ASMi, Genio Civile, 3144) (vedi scheda in questo stesso volume). Non meno importante appare il tema delle sperimentazioni botaniche all’interno dei Giardini Reali, che vedono Canonica coinvolto nella realizza- zione delle serre. Un primo esempio è una «nota delle piante che trovansi moltiplicate nei Reali Giardini di Monza», ricevuta da Beauharnais, che il ministro dell’Interno trasmette al direttore generale della Pubblica istruzione affinché ne siano provviste le collezioni botaniche universitarie (20 luglio 1813; ASMi, Studi, p.m., 73). Infine un interessante inventario datato 30 settembre 1814, oltre a fornire la distinta degli attrezzi per il giardinaggio, ci informa sulla quantità e qualità dei vasi piantumati nell’Orangerie, nel Giardino della frutta e nel «Giardino delle Serre ossia di Botannica»: sono censite circa 12.550 unità tra le quali agrumi, piante esotiche, diverse specie di rose e fiori tropicali (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 219). Un’interessante descrizione dei Giardini è contenuta nelle pagine del volume di Ercole Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi (Milano 1813), che però non fa riferimento a Canonica: «Il gran viale introduce alla gran corte, racchiusa da’ superbi cancelli dorati, e preceduta da’ regolari giardini di aranci di fiori di frutti, divisi da vaghe cancellate, al cui ingresso vi hanno due stabili padiglioni per le sentinelle a cavallo [...]. Sul fianco destro de’ giardini accosto il palazzo sono collocati i serbatoi riscaldati dalle stufe pei più delicati prodotti della botanica, stati nuovamente ricostruiti con molta sagacità ed intelligenza. La copia de’ rari e scelti vegetabili che vi si conservano è indicibile, e sono mantenuti con infinita cura ed istruzione. Sul fianco opposto ne’ simmetrici giardini si trovano i giuochi della giostra, del dondolo, della leva e tant’altri. Le vicine roccie sono superlativamente ben imitate, e per di sotto in parte racchiudono grotte, congegnate con bell’artificio di acque, di tuffi e di vedute. Superiormente vi ha il laghetto, oltremodo vago e delizioso, adornato da bel tempietto dorico sulla ripa più alta. Qui vi hanno cadute d’acque, e sulla costa a canto il passeggio aggradevolmente si prolunga. Per di sotto il laghetto si travede un sito orrido e selvaggio, che fa contrapposto coll’amenità che lo circonda, situato fra sterpi e sassi informi, chiamato l’antro di Polifemo. Avanti il palazzo il terreno erboso scende con dolce pendio e grandemente si diffonde, percorso da sinuosi sentieri e penetrato ed interrotto da’ differenti massicci di piantagioni diverse. E irrigato dal fiume che vi scorre con spontanei raggiri e che si va perdendo fra cespugli e fra i boschi laterali. I suoi ponti di legno sono leggeri e vaghi, e molto ben variati». Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetti della grotta nei giardini. s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 202. Luigi Canonica, Meccanismo a ruota, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 380. Luigi Canonica, Schizzi di grotta, gazebi, facciate, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 77. Luigi Canonica, Schizzo di rovina, s.d; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 79; 11, D 254. Luigi Canonica, «Ananas», Pianta, prospetto e sezione di una serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 124. Luigi Canonica, «Serra per fiori», Pianta, prospetto e sezione di una serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 142. [Luigi Canonica], Giostra, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 3, 42. Parco Reale, Monza (?), pianta e prospetti della grotta nei giardini, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 202. Bibliografia Perpenti 1833; Gozzoli, Rosci 1975, p. 27; La Villa Reale di Monza 1984, PA R C O R E A L E D I M O N Z A passim; Maniglio Calcagno 1989; Rosa Mello 1989, pp. 150-159; Anedi 1998; Repishti 2006, pp. 9-15; Repishti, Süss 2006, p. 39; Drusi 2009, p. 150; Stolfi 2009[a], pp. 144-145. (f.r.) Trattoria, Villa Reale, Monza 1805-1809 L’edificio denominato Trattoria sorgeva attiguo alla Villa Reale, al margine del confine ovest dell’area che la circondava, ed è rappresentato in alcune planimetrie compilate da Canonica. Dopo alcune trattative condotte dallo stesso architetto, nel 1805 l’edificio fu acquisito dal Demanio in quanto ancora appartenente alle proprietà personali dell’arciduca Ferdinando d’Austria (ASMi, Genio Civile, 3126 e Bibliothèque Marmottan, Boulogne). Le prime indicazioni di lavori alla Trattoria «vecchia», descritti come «urgenti», sono documentate tra le carte del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno alla fine del 1805. Il 14 novembre 1806, egli scrisse a Costabili Containi, intendente generale dei Beni della Corona, inviandogli un nuovo progetto complessivo per l’area occidentale e meridionale della Villa (ASMi, Genio Civile, 3144). Il piano sottoposto e approvato direttamente da Beauharnais (ASMi, Genio Civile, 3138), proseguì l’anno successivo con la demolizione della vecchia Trattoria e della precedente abitazione delle guardie, come sembra ben delineato nello schizzo preparatorio conservato a Mendrisio (BC-AMMe, 7, BC 209) e nelle planimetrie custodite nel Fondo disegni antichi della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Milano. Nel 1807 e nella primavera del 1808 furono così avviati i lavori al nuovo corpo di fabbrica, rivolto verso la città che avrebbe dovuto ospitare la nuova scuderia delle Guardie reali, alloggi e un nuovo edificio della Trattoria, mentre quello precedente fu demolito dopo l’ottobre 1808 (ASMi, Genio Civile, 3140). Disegni Luigi Canonica, «Pianta terrena della Trattoria da farsi presso la Real Villa di Monza», 1808; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 211. [Luigi Canonica], «Pianta superiore della caserma e trattoria», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 759. «Pianta terrena della Trattoria da farsi presso la Real Villa di Monza», 1808; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 211. [Luigi Canonica], «Pianta terrena della caserma e trattoria», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 758. [Luigi Canonica], «Monza. Palazzo di Corte. Locali detti della Trattoria. Piano terreno», [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 50, 760. (f.r.) Regio Vivaio, Monza 1805-1811 Un decreto del principe Eugenio, datato Milano primo agosto 1805, stabiliva l’istituzione a Monza di un «vivaio regio per la conservazione de’ frutti, degli alberi, degli arbusti e delle piante indigene ed esotiche necessarie per le piantaggioni sui sentieri e sulle strade per l’abbellimento de’ Giardini pubblici del Regno» (cfr. lettera di Beauharnais a Napoleone datata 28 luglio 1805; ANF, AF IV, 1709b). Avviato il disegno e la costruzione del Parco Reale di Monza, Beauharnais chiese a Canonica nel settembre 1806 (richiesta indicata come «pressantissima») d’iniziare anche i lavori per la realizzazione di un «Regio Vivaio delle piante». L’area, posta a sud di Monza, tra il Mulino del Castello e l’antico Cimitero di San Gregorio, denominata Vallazza, di proprietà dell’Ospedale di Monza, fu acquisita dal Ministero delle Finanze (3 novembre 1806) ed è descritta in una serie di schizzi elaborati da Luigi Villoresi. Canonica, nel settembre 1805, l’aveva individuata come luogo ideale in quanto posta vicino Monza: esterna alla Porta di Milano, esposta a est, con una parte in leggero rilievo, provvista di acqua per l’irrigazione perché lungo il Lambro, dotata di un edificio per l’alloggio del custode e il deposito degli attrezzi, e già delimitata dal fiume e da un muro di confine. Egli, nell’elaborare il preventivo delle spese necessarie, indicò anche quali dovessero essere le operazioni preliminari per la delimitazione del fondo e gli adattamenti indispensabili per l’abitazione del custode, questi ultimi illustrati nel disegno allegato alla puntuale relazione datata 30 settembre 1806. Altra documentazione relativa alla costruzione e alla manutenzione del muro di cinta e dell’abitazione del custode, i cui capitolati furono compilati da Canonica e seguiti da Pietro Gilardoni (1806, 1811), è conservata in ASMi, Fondi Camerali, p.m., 26. Interessanti le indicazioni autografe dell’architetto sulla provenienza delle piante necessarie per l’avvio del vivaio: «gli alberi fruttiferi conviene farli tutti venire dal gran vivaio di Parigi, non solo, per averne tutte le qualità, ma per saperne i veri nomi con precisione e sicurezza. Degli alberi stranieri fori di noi introdotti o introducibili si per ornamento che per vantaggio […] ben ragionato nel tomo III degli atti della Società patriottica alle pagine LIX. Gli alberi e arbusti nostrani sono quanto noti altrettanto facili ad aversi» (ASMi, Genio Civile, 3158). Per la sua conduzione Canonica suggerì a Castiglioni, direttore del Regio Vivaio e dipendente della Pubblica Istruzione cui era affidata la gestione del vivaio, l’intervento del giardiniere delle Isole Borromee, ma la richiesta non ebbe l’esito sperato. La ricchezza e l’importanza botanica raggiunte dal Regio Vivaio di Monza sono riscontrabili nel Catalogo delle piante vendibili nell’imperiale e regio vivajo presso Monza, stampato dalla tipografia Corbetta nel 1830 e conservato nel fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Genio Civile, 2943). La successiva cessione del Regio Vivaio, per l’ampliamento della stazione ferroviaria di Monza (15 dicembre 1899), è invece documentata tra gli atti del fondo Real Casa dell’Archivio di Stato di Milano (cartella 2). Disegni [Luigi Canonica], Planimetria, 1806; ASMi, Genio Civile, 3158. [Luigi Canonica], Schizzi relativi all’area, 1806; ASMi, Genio Civile, 3158. [Luigi Canonica], Pianta della Cascina Vallazza, progetto di trasformazione, 1806; ASMi, Genio Civile, 3158. (f.r.) Cascina Latteria, Parco Reale, Monza [1805-1818] La Cascina Latteria, demolita nella seconda metà dell’Ottocento, sorgeva tra l’attuale Valle dei Sospiri e il complesso di Santa Maria delle Grazie, tra il corso del fiume Lambro e la roggia Pelucca e ci rimanda alla celebre Laiterie di Hubert Robert e Thévenin 133 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A dove, secondo la moda del tempo, le dame dell’aristocrazia degustavano latte e formaggio e ne offrivano ai loro ospiti. L’edificio è indicato nella prima ipotesi dei confini del Parco, foglio conservato all’Archivio di Stato di Bellinzona e databile al 1805-1806, ma è anche rappresentato in alcune carte precedenti relative ai «giardini presso il Palazzo Nazionale» e quindi precedente all’intervento di Canonica. La cascina costituiva il fondale di un’ampia area con vegetazione regolarizzata – prima della formazione del Parco a giardino paesaggistico – e conclusa da un’abside semicircolare. Un successivo documento conservato presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 18, 149), non riferibile a Canonica, ci descrive un edificio con una sala ellittica al centro su due piani («camera da letto») e due ali contrapposte, situato al confine settentrionale di un ampio parco, secondo modelli progettuali per le ville proposti da Leopoldo Pollack, Carlo Amati e dallo stesso Canonica, come si evince anche da un disegno conservato a Mendrisio (AMMe, 7, D 20). Nella legenda allegata a una delle prime ipotesi di progetto del Parco Reale (1805-1806), Canonica suggeriva di trasformare «l’antica latteria» in un luogo isolato «con un canale d’acque per formare un sito di solitudine» (AMMe, Fondo Canonica, X, 157); nel 1811 l’intero fondo circondato dal fiume, dal fontanile, dal muro di confine e dalla strada era sede di una delle pepiniére del Parco. Nel luglio 1818 l’assistente al Parco e alla Villa Reale di Monza inviò a Canonica un preventivo per alcuni lavori di riparazione alla cascina. (f.r.) Mulini Valnera (Pagnone), Parco Reale, Monza [1805-1819] Nella prima descrizione del progetto del Parco compilata da Canonica nell’estate del 1805, i mulini di Valnera furono destinati a «ridursi in porticati solitari per ricovero de’ cervi e simili in tempo di neve» (AMMe, Fondo Canonica, X, 157). Successivamente sarebbero stati utilizzati per la residenza degli «ispettori» delle chiuse del fiume. Modesti lavori sollecitati da Luigi Prada sono documentati nel 1807 e nel 1809 (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34-35). All’interno della successiva relazione, 134 Villa Mirabello, Parco Reale, Monza, pianta, prospetti, sezione e particolare della gronda della Tinaia, [1811]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 200. databile ai primi anni della Restaurazione, redatta dall’ingegnere Bartolomeo Borsini e dall’architetto Luigi Canonica, conservata presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna e da unire alla planimetria “A”, gli edifici dei mulini di Valnera sono descritti come «da abbattersi totalmente [...]. Il fondo presentemente occupato dai detti fabbricati e dagli orti annessi verrà ridotto a prato co macchie». (f.r.) Villa Mirabello, Parco Reale, Monza 1805-1821 La villa o «palazzo» del Mirabello, ricostruita nelle attuali forme tra il 1666 e il 1675 su disegno di Gerolamo Quadrio, fu ceduta da Giacomo Durini a Carlo Giuseppe Vimercati Sanseverino nel 1804 (8 giugno) e nuovamente venduta al Regio Demanio il primo dicembre 1806, in cambio di alcune proprietà a Crema, provenienti da enti ecclesiastici soppressi. Gli interventi di Canonica ai due complessi residenziali del Mirabello e del Mirabellino (poi Villa Amalia o Augusta) sono strettamente connessi ai lavori che coinvolsero i beni compresi nel Parco Reale. Nella relazione inviata il 7 agosto 1805 all’Intendente ge- nerale, Costabili, circa una prima ipotesi di estensione del parco, Canonica scriveva: «nel resto non sapendo di quale precisa ampiezza debba essere il parco ho stimato di comprendervi li caseggiati di Mirabello e Mirabellino e la cassina Casaglia, ritenendo la congruenza di aggregarli a maggior comodo ed abbellimento del Parco stesso» (ASMi, Genio Civile, 3126). All’interno del piano generale del Parco, Canonica destinò la villa a diverse funzioni, mai di rappresentanza, ma legate all’amministrazione del Parco e alla presenza della Corte durante i mesi estivi. Dai numerosi documenti che attestano piccoli interventi di manutenzione, sappiamo che nel 1807 nei locali del Mirabello fu ospitata provvisoriamente la fagianaia (poi al Mirabellino) e che dieci piccole colonne furono trasferite da qui al Mirabellino, sempre per la fagianaia; nel 1810 alcuni locali furono adattati per la residenza delle balie (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 35); nello stesso anno troviamo indicati anche gli alloggi dei palafrenieri e del «primo piqueur» delle cacce, oltre all’allevamento dei cavalli per le cacce; nel 1811 furono qui custoditi gli «uccelli da giuoco»; nel 1812 fu alloggiata la nutrice della viceregina e, infine, nel 1813 il giardiniere Rossi. Tra i disegni del Fondo Canonica, conservati all’Archivio del Moderno di Mendrisio, un foglio è riferibile al complesso del Mirabello e rappresenta la sezione del corpo di fabbrica del locale della «tinaia» e di quello dell’oratorio (BC-AMMe, BC 201). I lavori relativi alla «separazione» del locale destinato al torchio sono ampiamente documentati nel maggio 1811 (ASMi, Genio Civile, 3128), mentre l’adattamento dell’ex cappella e della sala contigua per l’alloggio del «primo piqueur» delle cacce è segnalato nel luglio dello stesso anno. Solo nel dicembre 1826 sono invece documentati i primi importanti interventi di trasformazione progettati da Giacomo Tazzini. Questi riguardarono la demolizione della scalinata verso il Lambro, come si evince dai rilievi conservati presso la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 29), l’eliminazione del fastigio curvilineo e di alcune decorazioni sulle facciate principali. Una serie di queste tavole di difficile attribuzione (Di Bella, Lazzaroni, 2006, p. 69), con la numerazione dei locali e delle fronti, è relativa al progetto di ampliamento, con l’aggiunta di un portico esterno, del locale adibito a tinaia e torchio (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 24; Novani 2009, p. 394). Disegni Luigi Canonica, «Spaccato della ti- PA R C O R E A L E D I M O N Z A naia» e sezione del corpo con l’oratorio, [1811]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 201. Luigi Canonica, Pianta, prospetti, sezione e particolare della gronda della Tinaia, [1811]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 200. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989; Di Bella, Lazzaroni 2006, pp. 69-70; Repishti, Süss 2006, pp. 60-61. (f.r.) Cascina Caimi (Lavanderia), Parco Reale, Monza 1806-1819 Nel dicembre 1808 Canonica suggeriva di demolire alcuni fabbricati posti all’interno del Parco di Monza perché in parte abbandonati o il loro restauro risultava troppo oneroso. Tra questi indicava i mulini di Valnera e del Cantone, le cascine Caima e Trezzi, sebbene «non è peranco superiormente prestabilito il sistema generale per la coltivazione e la destinazione generale delle singole parti del Parco» (ASMi, Genio Civile, 3130). La cascina sorgeva a est del fiume Lambro poco più a nord del complesso conventuale di Santa Maria delle Grazie e nei rilievi appare di forma quadrata, con un portico su colonne con capitelli quattrocenteschi, forse reimpiegati nelle testate dell’attuale Cascina Casalta, e due «stallini». Nel rilievo (BC-AMMe, 7, BC 231) è specificata la sua destinazione d’uso, con scritta autografa di Canonica, «per abitazioni di cacciatori e canile». La tavola corrispondente al rilievo è invece conservata nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 96) ed è sottoscritta da Canonica e Borsini (sul verso è riportata la data 1819): sono qui indicati in rosso i due ambienti per le stalle e il completamento del canile che chiude due dei quattro campi del portico. Nella relazione conservata a Vienna presso la Österreichische Nationalbibliothek compilata da Canonica e Borsini, dopo il passaggio della Villa e del Parco alla corona austriaca, la cascina è descritta con «un portico in quattro campi ed in due luoghi superiori. Questo caseggiato si può conservare, modellandolo mediante le opportune riparazioni ed anche ampliandolo in proporzion di villino necessari pel lavoro dei fondi compresi nella colonia I». Villa Mirabellino, Parco Reale, Monza, «Pianta terrena della Villa Augusta nel Reale Parco presso Monza», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 571. Una serie di disegni, conservata presso l’Archivio della Soprintendenza di Milano, potrebbe essere ricondotta all’attività progettuale di Canonica; sebbene rimanga difficile distinguere con certezza la grafia dell’architetto ticinese da quella di Giacomo Tazzini, la nuova proposta prevedeva la costruzione di due portici laterali, suddivisi in tre campi con pilastri e travatura lignea, differenziati dal resto della costruzione per il rivestimento in laterizio. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1806-1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 231. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Cascina Cajma per abitazione de cacciatori e canile» con l’ampliamento previsto, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 96. [Luigi Canonica], «Cascina Caimi I piano», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 100. [Luigi Canonica], «B. Lavanderia piano superiore», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 104. [Luigi Canonica], «D. Fianco della cascina Caimi», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 95. [Luigi Canonica], «A. Cascina Caimi», con l’ampliamento previsto, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 106. [Luigi Canonica], «C. Facciata della cascina Caimi» con l’ampliamento previsto, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 10, 94. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, p. 49; Repishti 2006, p. 15; Novani 2009, p. 377. (f.r.) Villa Mirabellino, Augusta Amalia, Parco Reale, Monza 1806-1817 Costruito dal 1776 su disegno di Giulio Galliori per il cardinale Angelo Maria Durini in collegamento ideale e paesaggistico con la Villa Mirabello, il Mirabellino fu successivamente ceduto a Costanza Trivulzio (1795) e definitivamente acquisito dal Regio Demanio l’11 novembre 1806, all’interno dei beni da comprendersi nel Parco Reale. Poco prima della cessione, nel luglio 1806, l’ingegnere del Demanio, Ferrante Giussani, predispose una stima dell’edificio, descrivendolo composto da un salone centrale a doppia altezza, sei camere e tre sale nel corpo centrale; l’ala nord era occupata dall’oratorio, dalla sacrestia, utilizzata dal cardinale durante i soggiorni estivi, e da locali di servizio, mentre l’ala sud comprendeva una sala da bigliardo e un salone. A diffe- renza del Mirabello, utilizzato per funzioni legate alla vita del Parco e all’allevamento dei cavalli per le cacce, il Mirabellino, negli anni del Regno d’Italia, divenne un luogo privato per la coppia vicereale, come documenta la famosa incisione di Bellemo, su disegno di Galliari (1808), che illustra la vita di corte nel parco. Sullo sfondo si intravede il fronte est dell’edificio, caratterizzato da modanature tardosettecentesche e da un timpano mistilineo, modificato tra il 1837 e il 1840 da Giacomo Tazzini. I sopralluoghi e gli interventi alla villa di Luigi Canonica furono frequenti e ben documentati, dal 1806 al 1817. Grazie al materiale conservato nel fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano, sappiamo che nel piano generale presentato a Eugenio di Beauharnais, nel 1806, la villa era inizialmente destinata a Casino di caccia (ASMi, Genio Civile, 3144). Fu ribattezzata Villa Amalia, in onore della viceregina, perché ceduta in dono da Eugenio di Beauharnais alla moglie il 21 giugno 1807 nel corso di una festa, durante la quale venne apposta a ricordo una targa marmorea. Da ex residenza di delizia per il cardinale Durini, la villa si trasformò così nel luogo preferito da Augusta Amalia di Baviera che qui organizzò feste e rappresentazioni teatrali. Dopo un primo intervento nel 1807 135 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A per la costruzione di una fagianaia (ASMi, Genio Civile, 3142), poi crollata e ricostruita sempre su disegno di Canonica dal maggio 1808, così come è descritta nell’incisione citata di Bellemo e in un disegno della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 572), l’architetto ticinese predispose, l’anno successivo, un primo piano generale che interessò l’edificio e l’intorno, migliorando la viabilità tra la Villa Reale e la Villa Augusta. Un secondo piano di lavori fu presentato nel dicembre del 1811 e riguardò sia l’area ad ovest, con ingenti movimenti di terra per la livellazione e le nuove piantumazioni (segnalate da Canonica a Villoresi), sia la zona a nord, con la costruzione del belvedere previsto dal «piano generale del Parco», e il giardino occidentale. Non sappiamo con precisione a quando risalga la realizzazione della cancellata, sull’originaria via che conduceva da Monza a Vedano, con basse colonne di ordine dorico arcaico su plinti e sormontate da sfere. Sono documentati interventi all’interno sino al marzo del 1813, quando Eugenio di Beauharnais visitò personalmente i lavori, tra i quali va segnalato il rifacimento di una sala superiore. Ancora nel 1817 (ASMi, Genio Civile, 3137) l’ispettore Prada inviava un «conto preventivo» della spesa occorrente per l’esecuzione delle riparazioni urgenti «da farsi al locale del Mirabellino». Un’ulteriore fase di lavori fu avviata tra il 1827 e il 1840, su progetto di Giacomo Tazzini, e riguardò cicli decorativi affidati al pittore Domenico Trolli, il salone delle cacce (1831), l’ampliamento della fagianaia (1828), la costruzione di un portico e di un fastigio per la facciata orientale (1834-1840). Disegni Luigi Canonica, Studio per la fagianaia al Mirabellino, 1807; ASMi, Genio Civile, 3142. [Luigi Canonica?], «Disegno in pianta ed in alzata della Fagianeria, [1807]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 572. [Luigi Canonica?], «Mirabellino. Pianta della faggianeria alla villa Mirabellino nell’I.R. Parco di Monza, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 560. [Luigi Canonica?], «Pianta terrena della Villa Augusta nel Reale Parco presso Monza», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 601. [Luigi Canonica?], «Pianta superio- 136 Villa e Cascina Pelucca, Sesto San Giovanni, prospetti e sezione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 208. re della Villa Augusta nel Reale Parco presso Monza», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 40, 602. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989; Repishti, Süss 2006, pp. 59-60; Rosa, Marchini 2006, pp. 78-80. (f.r.) Villa e Cascina Pelucca, Sesto San Giovanni 1806-1818 La Villa Pelucca fu acquisita dal Regio Demanio, nell’ambito delle operazioni atte alla formazione del Parco di Monza il 26 aprile 1806 e fu destinata ad allevamento personale dei cavalli di Eugenio di Beauharnais (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070). La villa e le sue pertinenze godevano dell’alimentazione di acqua fornita dal fontanile della Pelucca, situato nell’area del Parco. La roggia (in origine Rabia e Bulgara) attraversava da nord a sud tutto il centro abitato sino alle tenute della Rabina e della Pelucca, situate nei territori di Balsamo e Sesto San Giovanni. Solo dopo i due decreti del 15 marzo 1810 (Ottavo Statuto relativo alla dotazione della Corona ed agli appannaggi dei principi e delle principesse d’Italia e Nono Statuto sulla fissazione dell’appannaggio al viceré d’Italia) la villa entrò a far parte dei beni di appannaggio. Canonica ebbe come referente il colonnello-barone Triaire, aiutante di campo del viceré e scudiere di corte. È infatti a quest’ultimo che il 5 settembre 1810 Canonica scriveva informandolo: «mi sono recato al locale della Pelucca a visitare e rilevare le misure del braccio di fabbricato a destra entrando ad oggetto poi proporre e di calcolare i modi e la spesa per adattare ad uso di un picciol appartamento giusta le intenzioni di S.A.R. i locali superiori al portico», inviando i «tipi» illustranti le opere necessarie (ASMi, Genio Civile, 3131). Triaire rispondeva il 14 settembre 1810, comunicandogli che aveva sottoposto al viceré i disegni delle trasformazioni alla Pelucca, tutte approvate ad eccezione delle dimensioni di due ambienti che si sarebbero voluti di uguale ampiezza (ASMi, Genio Civile, 3154). L’8 ottobre 1810 Beauharnais verificava nuovamente la pianta con le modifiche suggerite e le approvò. Una successiva lettera di Canonica, datata 5 dicembre, annuncia la fine dei lavori alla «scuderia grande» (ibidem). Numerose altre spese sono documentate tra le carte dell’Archivio Beauhar- nais, conservato alla Princeton University Library. Disegni Luigi Canonica, «Prospetto verso la strada di Monza», «Spaccato AB», «Facciata CD», s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 208. Luigi Canonica, Prospetto laterale, prospetto principale e sezione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 346. (f.r.) Cancellate, Villa Reale, Monza 1807-1808 Il nuovo riassetto dell’area a ovest della Villa Reale comportò la definizione di due distinte corti, chiuse da due serie di cancellate: la prima all’altezza dei corpi di fabbrica della cappella e della Cavallerizza, la seconda lungo la nuova strada per Vedano, con pilastri e due «caselli» simmetrici ai lati. A queste cancellate si aggiunsero quelle delimitanti i due giardini all’italiana ai lati del viale d’ingresso, il disegno (BC-AMMe, BC 351) delle quali fu sottoposto a Costabili da Canonica il 18 febbraio 1807 (ASMi, Genio Civile, 3142). Il disegno suggeriva due differenti soluzioni: cancellate con pilastri a base PA R C O R E A L E D I M O N Z A Bibliografia Franchini 1984, p. 104. (f.r.) Luigi Canonica, Giovanni Angelo Giudici, Luigi Villoresi Viale Milano-Monza 1807-1819 Parco Reale, Monza, planimetria delle corti di ingresso, [1808?]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 209. quadrata su un dado continuo, oppure con colonne di ordine dorico arcaico scanalate (quest’ultima soluzione risulta vicina a quanto sarebbe poi stato realizzato alla Villa Mirabellino). Gli appalti per la loro realizzazione furono compilati personalmente da Canonica nel febbraio del 1807, mentre nel giugno dello stesso anno fu affidato allo scultore Gaetano Monti l’incarico di elaborare uno stemma con aquila imperiale per la loro decorazione (Bibliothèque Mar- mottan, Boulogne). Il contratto prevedeva circa 65 braccia di cancellate, divise in diciassette tratte, intervallate da pilastri in pietra. Disegni Luigi Canonica, Planimetria delle corti di ingresso [1808?]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 209. Luigi Canonica, Prospetto con due varianti per le cancellate delle corti d’ingresso, 1807; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 351. Nel giugno del 1807 l’ingegnere della Direzione generale di Acque e Strade, Giovanni Angelo Giudici, fu incaricato del progetto del nuovo viale da Sesto San Giovanni alla Villa Reale di Monza (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070, Ricci 1987, p. 184). Giudici, nel disegnare la piazza che si formava nel punto d’incontro tra i due viali, modificò anche l’ultimo tratto, l’attuale viale Cesare Battisti, già progettato da Giuseppe Piermarini: «oltre alla continuazione delle due allée vi ho stabilito due strade carrozzabili larghe cadauna braccia 12 fiancheggiate da cune di rizzo per il colo larghe cadauna braccia 2 lasciando nel mezzo il tappeto verde da adattare a piacere» (ibidem). Lo «stradone» che giungeva da Sesto era invece largo 20 braccia con marciapiedi fiancheggiati da alberature per altre 6 braccia. L’acquisto delle aree, la costruzione della strada e le alberature furono a carico dello Stato, mentre alla Corona furono imputate le spese per le aree circolari, gli spazi a verde intermedi e per la costruzione di un nuovo edificio centrale, di cui abbiamo un accenno nelle descrizioni di Giudici. Del coinvolgimento di Canonica nell’operazione abbiamo tracce negli scambi epistolari con Giudici, quando quest’ultimo espressamente dichiarava di lasciargli «tutte queste operazioni di architettonica simetria» (ASMi, Genio Civile, 3142). Ancora oggi, sul perimetro del Rondò dei Pini, verso ovest, è conservato un padiglione ottagonale con un piccolo edificio annesso. Infine, è conservata una planimetria (BC-AMMe, BC 210) che rappresenta il rondeau esagonale, in corrispondenza della Cascina Rabina, e un particolare con le demolizioni necessarie per la formazione di un nuovo viale a fianco della «strada ferrata». Su indicazione di Luigi Villoresi, giardiniere del Reale Parco, Canonica predispose nel 1815 anche il disegno di «alcune tratte di strade» perché fosse possibile «il giro dell’I.R. Parco» (ASMi, Genio Civile, 3135). Disegni Luigi Canonica, Planimetria del viale tra Sesto e Monza, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 210. Luigi Canonica, Planimetria del viale tra Sesto e Monza, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 400. Bibliografia Franchini 1984, p. 66; Repishti, Süss 2006, p. 47. (f.r.) Cascina Rossi o Zoccorina Parco Reale, Monza 1807-1819 La Cascina Rossi sorgeva a est del lungo viale del Mirabello («viale da tramontana a mezzogiorno detto del Gernetto») e a sud dell’attuale viale degli Aceri. Un’altra cascina, denominata «Rossa» o «Lavanderia del Rosso», appare nella cartografia poco più a sud della Fagianaia e per questa sono documentati modesti lavori nel 1807 (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34). All’indomani del passaggio di poteri tra Francesi e Austriaci, fu eletta una commissione per valutare lo stato di conservazione degli edifici esistenti nel Parco Reale e l’eventualità di un loro restauro o di una loro demolizione. La relazione di Canonica e Borsini sulla Cascina Rossi, conservata a Vienna, riporta: «Piede di casa detta la cascina Rossa consistente in quattro luoghi terreni con tre camere superiori, in tre stallini colle rispettive cascine, ed in un pozzo. Da demolirsi a cagione della cadente sua struttura per cui in parte dà luogo a temere un vicino disastro. [al margine] La demolizione della controscritta cascina è stata eseguita». In realtà la cascina è ancora indicata in un successivo disegno di Tazzini e nella cartografia del Brenna del 1836. La sua demolizione va quindi datata al 1847, contestualmente alla ricostruzione della Cascina Cernuschi. (f.r.) Cascina Lavanderia, (Lavandaia), Parco Reale, Monza 1808 Un edificio con questa funzione sorgeva all’estremità del borgo Carrobiolo al termine della strada orientale del tridente che dalla piazza Au- 137 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A gusta conduceva alle Grazie, sull’area attualmente occupata dagli impianti per il gioco del tennis. Appare descritta già nei primi progetti per il Parco nel 1805 perché considerata una dipendenza di servizio della Villa Arciducale. In seguito questa funzione fu assegnata anche alla Cascina Caimi. Sul perimetro del muro che delimitava la proprietà fu successivamente realizzata la Porta Gotica nel 1840 su progetto di Giacomo Tazzini. Tra i disegni del Fondo Canonica custodito presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio è conservato un rilievo dello stato di fatto, forse databile al 1807-1808 quando Canonica indicava l’edificio fra quelli che necessitavano di riparazioni (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34; ASMi, Genio Civile, 3130). Nella relazione redatta dall’ingegnere Bartolomeo Borsini e dall’architetto Luigi Canonica, al n. 133 è descritto il «caseggiato detto la Lavanderia Nuova consistente in due luoghi terreni con altrettanti superiori, in una stalla con cascina ed in un portico con pollaio. Da ritenersi, ancorché in mediocre stato, ampliandolo all’occorrenza». Altre volte sono indicati i Mulini del Salice o altre cascine con questa funzione (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34). Disegni Luigi Canonica, Pianta della Cascina Lavanderia, dei mulini Asciutti, di San Giorgio e del Cantone, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 192. [Luigi Canonica], Pianta della Cascina Lavanderia, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 32, 443. (f.r.) Casino del Roccolo, Parco Reale, Monza 1808 Nell’aprile del 1808 Costabili informò Canonica che il viceré aveva espresso il desiderio che fosse costruito un piccolo edificio all’interno del Roccolo. Il progetto elaborato con la consulenza del capitano della caccia, responsabile del piano degli edifici all’interno del Parco, era già in costruzione nell’estate del 1808. Appena terminato l’edificio risultò però essere «troppo alto» (ASMi, Genio Civile, 3130). (f.r.) 138 Ponte delle Grazie con il sistema di cancelli, Parco Reale, Monza, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 204. Chiuse fiume Lambro, Parco Reale, Monza 1808-1809 Nell’aprile 1809 Canonica preparò una serie di disegni per alcuni cancelli «amovibili» studiati per evitare la fuga (o l’entrata) di animali all’interno del Parco; in particolare per il ponte presso l’ex Convento di Santa Maria delle Grazie e per la chiusa dei Bertoli. Il meccanismo ideato, grazie ad alcune colonne in pietra posate nell’alveo del fiume, aveva il vantaggio di poter essere manovrato da una sola persona, a seconda della portata d’acqua, e di aprirsi in caso di trasporto di materiali trascinati dalle piogge abbondanti. Nella relazione originariamente allegata ai disegni (ASMi, Genio Civile, 3139) l’architetto descriveva il meccanismo: «mi sono studiato di combinare il meccanismo più semplice colla sufficiente solidità e nello stesso tempo in maniera che a qualunque escrescenza o diminuzione d’acqua si possano al movimento alzare od abbassare i cancelli coll’opera di una sola persona a misura della variante altezza dell’acqua». Il contratto per l’esecuzione dei lavori (ASMi, Genio Civile, 3141) venne formalizzato il 30 giugno 1809: le parti in legno, comprese le rastrelliere, erano previste in rovere mentre le colonne da collocare nell’alveo in pietra di ceppo. Disegni [Luigi Canonica], «Pianta dello stato attuale del ponte di sortita del fiume Lambro nel R. Parco», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 25, 320. [Luigi Canonica], «Elevazione del ponte con cancelloni del fiume Lambro nel I.R. parco», s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 25, 321. [Luigi Canonica], Pianta, prospetto e sezione di una chiusa, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 26, 371. Luigi Canonica, Ponte delle Grazie con il sistema di cancelli, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 195. Luigi Canonica, Ponte delle Grazie con il sistema di cancelli, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 204. Luigi Canonica, Chiusa dei Bertoli, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 205. [Luigi Canonica?], Fondi del Parco con chiusa, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 206-207. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, p. 213. (f.r.) Serraglio dei cervi, Parco Reale, Monza 1808-1811 L’edificio, destinato a recinto degli animali, ammirato dai viaggiatori dell’Ottocento, fu uno dei primi ad essere realizzato, sebbene in tempi diversi. Sappiamo che nel maggio 1808 arrivarono a Monza, provenienti dalla Baviera, 23 cervi per il nuovo Serraglio al Bosco Bello. Canonica prima di questa data aveva elaborato diverse proposte (ASMi, Genio Civile, 3139). Nel Fondo Cattaneo di Bellinzona sono conservati vari schizzi preparatori nei quali egli ipotizza la costruzione di un vestibolo a pianta quadrata, con funzione d’ingresso al recinto, in forme neogotiche, con un arco ogivale affiancato da due torrette laterali sormontate da pennoni con mezzelune. Tra le diverse versioni proposte, Canonica suggeriva, infatti, di erigere «nel punto A una porta con successivo andito coperto per l’ingresso del principe e d’altre persone al Serraglio ove potessero rimanere al coperto la carrozza o i cavalli». Conclusa la costruzione dell’arco di ingresso nell’agosto del 1809, il capitano delle cacce sollecitò più volte l’architetto perché provvedesse a realizzare un’abitazione per il custode e, successivamente, a risolvere i problemi per l’abbeveraggio dei cervi (ibidem). Nella Descrizione dello stato attuale compilata da Canonica e Borsini, oggi conservata a Vienna, questa costruzione fu indicata «da conservarsi e ridursi mediante le seguenti operazioni assentate nel detto congresso tenutosi presso l’Amministrazione centrale. Da circondarsi con fitta siepe viva al lato di ponente compiendo PA R C O R E A L E D I M O N Z A Serraglio dei cervi, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 7, D 291. l’esistente siepe alla parte di mezzogiorno. Da ridursi in generale il fondo a bosco ceduo, lasciandovi alcuni spazi a pascolo in varie località, nei quali s’impianteranno dei gruppi di castani d’India. Da spianarsi le ripe arborate, levando le piante esistenti sulle medesime. Da estirparsi la porzione di vecchio bosco, levando le roveri». Successivi lavori sono ampiamente documentati nel 1829, quando furono ricostruite le due torrette dell’arco ogivale (ASMi, Genio Civile, 3366), e nel 1831, quando si realizzò un nuovo portico. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto principale, [1808]; AMMe, Fondo Canonica, 7, D 291. Luigi Canonica, Schizzi preparatori, [1808]; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia Lose 1825; Tatti, II, 1844; Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 120-122, 127; Repishti, Süss 2006, p. 51; Garufi 2009, p. 305. (f.r.) Porta del Parco su viale Cavriga (viale della Favorita), Monza 1808-1817 Tra il 1808 e il 1809, su indicazione di Eugenio di Beauharnais, Canonica progettò e fece costruire come ingresso al Parco, lungo la nuova strada per Vedano, un piccolo edificio sull’area denominata del «Giuoco del Pallone». Il «sito per il giuoco del pallone e altri esercizi ginnastici» sorgeva a ove- st della giostra, lungo l’attuale viale Brianza, con una planimetria rettangolare molto allungata. Il principe aveva personalmente rifiutato il suggerimento di Canonica di realizzare due casini simmetrici («per un maggiore ornamento in quella situazione»; ASMi, Genio Civile, 3142) e aveva richiesto di progettarne uno solo con un’altezza che non eccedesse quella del muro di cinta. Una volta realizzato l’edificio si sarebbe rivelato però poco adatto ad essere un’abitazione stabile, tanto da essere successivamente modificato con l’aggiunta di un locale superiore per l’alloggio della guardia e, ancora nel luglio del 1817, di un nuovo «stallino» (ASMi, Genio Civile, 3137). Le fasi progettuali per la vera e propria porta d’ingresso al Parco sono invece documentate a partire dal 1810. Sappiamo infatti che nel settembre di quell’anno, a Venezia, l’intendente generale dei Beni della Corona, Costabili, sottopose a Eugenio di Beauharnais una serie di varianti elaborate da Canonica (ASMi, Genio Civile, 3131). Il progetto approvato e poi realizzato prevedeva quattro pilastri in pietra (granito rosa di Baveno) e cancellate in ferro. Le altre soluzioni – cinque diverse –, elaborate sul modello dell’arco trionfale o a padiglione, sono conservate nel Fondo Cattaneo di Bellinzona. Il viceré richiese inoltre di elaborare identiche soluzioni, con cancelli di legno, per le porte di Villasanta e di San Giorgio. Il foglio (AMMe, D 242), che evidenzia un ingresso affiancato da due edifici a due piani con paramento in bugnato in intonaco, presenta caratteristiche differenti rispetto agli altri disegni, tanto da far dubitare la sua pertinenza a questo progetto. Disegni Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco?, [1810]; AMMe, Fondo Canonica, 7, D 242. Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Prospetto della Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Luigi Canonica, Studi per la Porta del Parco, 1810; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 7779; Repishti, Süss 2006, pp. 44-45. (f.r.) Fagianaia, Parco Reale, Monza 1808-1819 All’interno del Parco di Monza è documentata l’esistenza di più fagianaie non sempre identificabili. Un primo progetto (1807) per una fagianaia nei pressi della Villa del Mirabellino, a sud, dopo un crollo del precedente edificio venne approvato nel 1808 e piccoli adattamenti si succedettero almeno sino al 1817. Sempre nel 1808 fu avviata inoltre la costruzione di un’abitazione campestre per il custode, su progetto di Luigi Canonica. Nel settembre dello stesso anno, durante un sopralluogo, l’architetto si accorse che a poca distanza dall’allevamento dei fagiani esisteva un altro stabile, destinato a lavanderia, che avrebbe potuto soddisfare il bisogno abitativo. La relazione di Borsini e Canonica riporta al punto n. 144: «fabbricato della Fagianeria con sito annesso circondato ai tre lati di levante, mezzogiorno e ponente da siepe viva di roveri e rubinie ed a tramontana in parte dal fontanile della Pelucca e nel resto da siepe viva e morta». (f.r.) Cascina Piotta, Parco Reale, Monza [1808-1819] La cascina sorgeva a poca distanza e a meridione dell’attuale Cascina Cernuschi. Dell’edificio, oggi non più esistente perché demolito nel 1847, il Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio (BCAMMe, BC 221, BC 222) conserva un rilievo e un progetto di ricostruzione nel quale sono previsti la regolarizzazione del fabbricato a ovest, un nuovo corpo simmetrico a est e l’aggiunta di portici a sud e sul lato ovest. La configurazione a doppia U, nel progetto di Mendrisio, prevedeva per il fronte sud due testate con archi ogivali, una corte con ballatoio (con «colombaja» centrale) e le due falde laterali. Nella planimetria conservata presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano, identica è l’ipotesi progettuale mentre più semplice è l’al- 139 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Cascina Piotta, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1808-1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 221. zato. Altre notizie relative a lavori e riparazioni dell’edificio, realizzati nel 1807 (come alle cascine del Sole e del Brianzolo), sono conservate in ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34. Nella Descrizione dello stato attuale (ÖNBW) la Cascina Piotta è descritta come «formata da luoghi terreni coi corrispondenti superiori, da una stalla con cascina e da un portico con pozzo. Da demolirsi per la sua situazione e cadente struttura». Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1808-1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 221. Luigi Canonica, Piante e prospetti delle cascine Cernuschi e Piotta, [1808-1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 222. [Luigi Canonica], Pianta, progetto di trasformazione, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 15, 124. [Luigi Canonica], Prospetto, progetto di trasformazione, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 15, 125. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296. (f.r.) 140 Mulino del Cantone, Parco Reale, Monza 1809 Il Mulino sorge lungo il corso del fiume Lambro ed è raffigurato nelle tavole delle mappe di Carlo VI (1722) con un impianto a L e due piccoli corpi di fabbrica. Nel giugno del 1809 l’intendente generale dei Beni della Corona, Containi Costabili, suggerì a Canonica di preparare un progetto di restauro della «torre del Cantone», «che venisse adattata in modo che, oltre a far colpo d’occhio, potesse servire ad uso di colombaia», e suggerendo «di dar alla torre con poca spesa un aspetto di qualche si sa di antico» (ASMi, Genio Civile, 3141). L’originario edificio del mulino venne così in parte demolito e Canonica nel luglio successivo preparò una serie di disegni (pianta, prospetto e sezione) della torre «in modo da renderla servibile ad uso di colombaia e nidi di passeri o d’altri uccelli procurando ad un tempo il possibile risparmio di spesa» (ibidem). Il 15 luglio 1809 il progetto fu approvato. Forse a queste fasi possono essere ricondotti i fogli conservati presso la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano, disegnati con una grafia molto incerta Cascina San Fedele, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 235. (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 46, 659 e 671). L’attuale aspetto dell’edificio si deve agli interventi di Giacomo Tazzini (1840; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 46) come documentano le tavole di progetto conservate presso lo stesso archivio nelle quali la torre appare senza merlature superiori. Disegni Luigi Canonica, Pianta della Cascina Lavanderia, dei Mulini Asciutti, di San Giorgio e del Cantone, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 192. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Il Parco Reale di Monza 1989, p. 38. (f.r.) Cascina San Fedele, Parco Reale, Monza 1809-1810 Le vicende della Cascina San Fedele sono direttamente legate a quelle della facciata della demolita Chiesa di Santa Maria di Brera (1809). L’Amministrazione dei Beni della Corona, su suggerimento di Canonica, aveva acquistato «i marmi di sagoma e d’intaglio gotico che formano l’ornato alla suddetta facciata escluse soltanto le lastre piane e le figure scolpite che devono riservarsi pel musei» (ASMi, Genio Civile, 3143). Nel corso del 1810 Canonica sollecitò più volte il trasporto dei marmi da Brera a Monza per impiegarli nella ricostruzione dell’antico xenodochio, intitolato a San Fedele, compreso nel Parco Reale. I due disegni conservati nel Fondo Canonica in deposito presso l’Archivio PA R C O R E A L E D I M O N Z A Cascina Colombirolo, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1809-1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 213. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 47, 120122, 125; Pelissetti 1999; Bianchi 2004; Repishti 2006, p. 15; Repishti, Süss 2006, p. 50. (f.r.) Cascina Cernuschi, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 223. del Moderno (BC-AMMe, BC 234, BC 235) documentano lo stato di fatto precedente l’intervento, descrivendo l’antica chiesa dedicata a San Fedele. Il primo progetto di ricostruzione non prevedeva il reimpiego dei pezzi più antichi, ma una sopraelevazione del fabbricato (che comportava il totale rifacimento delle coperture) e l’aggiunta di un locale adibito a stalla e un portico antecedente a ovest. La nuova parte si differenziava per il rivestimento a mattoni e cantonali in pietra. Al posto della demolita abside della chiesa Canonica collocava un enorme pozzo. Solo in una seconda fase (Giacomo Tazzini, 1824; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 17 e 38) una nuova costruzione sostituì, in un sito poco più a nord, il precedente edificio; fu anche previsto il collegamento visivo con la torre dei Giardini Reali attraverso lo sbancamento di al- cuni tratti a margine del viale Cavriga. La facciata principale fu risolta con un paramento in bicromia con una tripartizione della superficie e timpano centrale. Le tre aperture ogivali per piano, con marmi in parte di reimpiego, furono integrate da elementi d’invenzione, come la doppia serie di archetti pensili disposti sul fianco. Due corpi laterali, in laterizio, caratterizzati da archi ogivali furono aggiunti sui fianchi, mentre una lanterna-belvedere completò il corpo centrale dell’edificio. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto delle cascine San Fedele e Cattabrega, progetto di trasformazione, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 234. [Luigi Canonica], Pianta e prospetto, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 235. Cascina Pajrana, Parco Reale, Monza 1809-1819 La cascina, oggi non più esistente, sorgeva a est del fiume Lambro e dei Mulini di Valnera. Il Fondo Canonica a Mendrisio (BC-AMMe, BC 217, BC 237) conserva due rilievi dello stato di fatto che corrispondono con la Descrizione dello stato attuale, sottoscritta da Canonica e Borsini: «formato da un portico a tetto e da due luoghi terreni, pollaio, stalla con cascina e da due camere superiori. Questo caseggiato si potrà conservare riparandolo ed ampliandolo per la colonia n° II». Un modesto intervento alla travatura lignea del tetto è documentato nel 1809. Nel 1817 era denominata «Cascina Pajrana altre volte Lavanderia». Tra il 1833 e il 1837 le cascine Pajrana e Poncione furono demolite. Disegni Luigi Canonica, Pianta, [18091815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 217. Luigi Canonica, Piante e prospetti delle cascine Costa e Pajrana, rilievo, [1809-1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 237. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, Pianta, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 16, 140. Bibliografia Novani 2009, p. 381. (f.r.) Cascina Cernuschi (dell’Ospedale), Parco Reale, Monza [1809-1819] Nel rilievo conservato presso il Fondo Canonica (BC-AMMe, BC 223) la cascina si presenta con un unico corpo di fabbrica composto da due locali con l’annessa stalla-fienile. Il progetto di Canonica, sia nella versione preparatoria (BC-AMMe, BC 222), sia in quella di presentazione (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 14, 133), prevedeva il mantenimento delle murature originarie e l’aggiunta di portici sul fronte principale, 141 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A nelle testate di quello opposto e a sud, così da modificare l’impianto trasformandolo a forma di U, mentre le coperture erano sostituite e rialzate. Nei locali a nord Canonica collocava la stalla con il pollaio, a sud la cucina e la scala interna per l’accesso alle stanze superiori. Gli interventi dell’architetto si limitarono alla regolarizzazione del fabbricato attraverso una ricercata simmetria degli elementi strutturali e una regolarizzazione delle coperture. I materiali adottati non si discostavano da quelli tradizionali con pilastri in cotto lasciato a vista e murature intonacate. L’attuale configurazione della cascina si deve invece alla ricostruzione progettata da Tazzini, approvata nel marzo del 1847 e collaudata nel 1850 (ASMi, Genio Civile, 2983 e SBAPMi, Fondo disegni antichi, 14). Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1809]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 223. Luigi Canonica, Pianta e prospetto delle Cascine Cernuschi e Piotta, progetto di trasformazione, [18081819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, BC 7, BC 222. Luigi Canonica, Pianta e prospetto, progetto di trasformazione, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 14, 133. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Il Parco Reale di Monza 1989, p. 48; Garufi 2009, p. 300; Novani 2009, p. 380. (f.r.) Cascina Colombirolo, Parco Reale, Monza [1809-1819] Non si hanno notizie documentarie di un intervento eseguito sotto la direzione di Canonica, ma all’Archivio del Moderno di Mendrisio e presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano sono conservati i disegni autografi relativi a un progetto di riforma dell’edificio con la parziale demolizione della torre «colombera», l’ampliamento della stalla e l’aggiunta di un portico con la realizzazione di due camere superiori. Nella Descrizione dello stato attuale sottoscritta da Borsini e Canonica, la cascina è indicata come «formata da tre luoghi terreni con altrettante camere in primo piano, colombaja 142 [Luigi Canonica], Cascina Casalta, Parco Reale, Monza, pianta, [1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 226. in secondo piano, da stalla con cascina pozzo e pollaio. Da demolirsi perché male situata non essendo d’altronde capace per l’abitazione dei contadini della colonia n° XVI. Lo si confermerà però interinalmente in pendenza della costruzione del seguente nuovo caseggiato», raffigurato a forma di C al termine del nuovo viale in direzione della Cascina Monzina. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, progetto di trasformazione, [18091817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 213. Luigi Canonica, Pianta e prospetto, rilievo, [1809-1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 214. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, Pianta e prospetto, progetto di trasformazione, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 11, 107. Bibliografia Garufi 2009, p. 301; Novani 2009, p. 378. (f.r.) Cascina Rabina (Bergerie), Cinisello Balsamo 1810-1811 La Cascina Rabina sorgeva lungo l’attuale viale che unisce Monza a Sesto San Giovanni, all’altezza della Cascina-Villa Pelucca, e fu acquisita dal Demanio il 26 aprile 1806 nell’ambito delle operazioni atte alla formazione del Parco di Monza (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2070). Nell’agosto del 1810 la proprietà entrò a far parte dei beni di appannaggio di Eugenio di Beauharnais, su espressa indicazione dell’aiutante di campo Triaire, che propose di destinarla a bergerie, forse in analogia con quanto esisteva alla Malmaison. Canonica predispose così il progetto di «nuova fabbrica per la bergerie colla distribuzione che mi è sembrata più congrua nella vista di simmetrizzare il complesso del fabbricato, al quale effetto trovo necessario d’introdurre qualche picciola aggiunta a destra […]. Quanto alle forme e alle dimensioni della bergerie mi sono attenuto a quelle espresse nei disegni della Bergerie de la Febré che v. s. si è compiaciuta di comunicarmi avendo soltanto creduto di computare nella perizia che le colonne abbiano ad essere di vivo sebbene in quella siano indicate di legno» (ASMi, Genio Civile, 3131). Il fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano conserva due copie dei capitolati di appalto, redatti da Luigi Canonica, del «Nuovo fabbricato ad uso di Bergerie nella Cascina Rabina sulla strada di Monza in vicinanza della Pelucca» e quelli per l’«appalto per le somministrazioni dei legnami e per le opere da falegname occorrenti al nuovo fabbricato ad uso di Bergerie» (ASMi, Genio Civile, 3154). Nel marzo dell’anno successivo, Canonica invitò l’appaltatore Giuseppe Fossati a mettere in opera le colonne «all’effetto che si possa far eseguire al più presto la soffitta ed il plafone» (ASMi, Genio Civile, 3127), mentre nel dicembre 1811 i lavori risultavano ormai conclusi. Disegni Luigi Canonica, Prospetto, [18101811]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 197. Luigi Canonica, Planimetria del viale tra Sesto e Monza con la Cascina Rabina, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 400. Bibliografia Franchini 1984, p. 66; Repishti, Süss 2006, p. 47. (f.r.) PA R C O R E A L E D I M O N Z A Ponte alla Cavriga e Ponte San Giorgio, Parco Reale, Monza [1810-1815] Nel 1815 Canonica venne chiamato a un sopralluogo per il restauro del ponte sul Lambro lungo il viale Cavriga, da lui precedentemente ideato (1806) con una struttura lignea e ricostruito nel 1811 (ASMi, Genio Civile, 3127-3128). Della primitiva versione non si conservano disegni, mentre l’attuale ponte fu realizzato su disegno di Tazzini tra il 1831 e 1832 come documentano le tavole di progetto conservate presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano. Diversa è la situazione del ponte indicato come quello «presso San Giorgio», forse corrispondente alla chiusa sulle acque del Lambro o quello necessario agli abitanti della frazione, dopo l’annessione all’interno del Parco (1808) dei percorsi viari di collegamento con Villasanta. Il ponte è indicato tra le priorità per il 1808 ed è descritto con due porte che lo chiudono (ASMi, Genio Civile, 3149); realizzato nel 1809, fu riformato nel 1811 con l’allargamento delle porte per favorire il passaggio a cavallo (ASMi, Genio Civile, 3128). (f.r.) Cascina Passerina, Parco Reale, Monza [1810-1819] Della piccola Cascina Passerina, oggi non più esistente, il Fondo Canonica a Mendrisio conserva due rilievi dello stato di fatto. Il 30 luglio 1810 Canonica elaborò una stima dei lavori necessari perché fosse possibile alloggiarvi «due pigionanti» visto lo «stato rovinoso in cui trovasi la cassina» (ASMi, Genio Civile, 3131). Modesti lavori sono documentati nel settembre 1817, sebbene l’edificio fosse indicato fra quelli «da demolirsi, di vecchia ed irregolare struttura». La cascina fu poi demolita nel 1842 e i materiali reimpiegati nella costruzione del portico alla Porta di San Giorgio. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1810-1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 216. (f.r.) Cascina Monzina, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 227. Cascina Casalta (Casaglia), Parco Reale, Monza 1811-1819 Il complesso della Cascina Casalta comprendeva diverse abitazioni disposte su due corpi di fabbrica divergenti e un terzo corpo a loro ortogonale, sul margine della valle del Lambro, a poca distanza dalla Villa del Mirabello. L’insolita planimetria a forma di H è descritta nei rilievi (BC-AMMe, BC 226) che ci offrono una situazione dello stato di fatto precedente le trasformazioni operate soprattutto durante il Regno Lombardo-Veneto. Particolare è la lunga e ampia scalinata posta a est del complesso con un portale d’ingresso settecentesco, successivamente riutilizzato negli ingressi laterali della Villa del Mirabello. Il corpo di fabbrica posto sul declivio (oggi ancora esistente) si presenta più regolare di altri, sia in pianta, con uno scalone, sia nel prospetto, con un balconcino in ferro battuto, con elementi quindi estranei all’architettura rurale. Nel rilievo è pure indicato il locale della ghiacciaia, di forma rettangolare con un’ampia abside. Nel luglio 1808 la cascina fu destinata a canile e abitazione per i cacciatori al servizio del Parco, funzione poi svolta dalla Cascina Caimi. Ulteriori trasformazioni sono documentate nel novembre del 1811 quando venne decisa la demolizione della torre ormai pericolante. Il disegno firmato da Canonica e Borsini, conservato presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 25, 294), documenta una serie di primi interventi suggeriti per ospitare i coloni ed è da datare agli anni successivi al dominio francese, precisamente al 1819. Anche l’attuale assetto del corpo sud, con il probabile reimpiego delle colonne e dei capitelli provenienti dalla demolita Cascina Caima, è, diversamente da quanto affermato dalla letteratura, successivo. Infatti, nel 1826 venne demolita la parte a sud, prossima al nuovo porticato del Mirabello, il corpo di fabbrica a est e l’ultimo tratto a ovest dell’edificio rimanente, come si evince dalle numerose tavole conservate all’Archivio di Stato di Milano. Solo in un secondo momento furono aggiunti il portico e le logge, mentre nel 1840 furono costruite due nuove stalle. Un ulteriore progetto fu elaborato nel 1844, ma solo tra il 1884 e il 1896 l’edificio fu oggetto di ampliamento, seguendo un disegno di Luigi Tarantola. Disegni [Luigi Canonica], Pianta, [1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 226. [Luigi Canonica], Prospetti, [1815]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 225. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, Pianta, 1819; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 25, 294. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, p. 46; Repishti, Süss 2006, pp. 57-58; Novani 2009, p. 395. (f.r.) Porta di Vedano e Villasanta, Parco Reale, Monza [1813-1819] Nell’ottobre 1808 (ASMi, Genio Civile, 3130) Canonica inviò a Costabili Containi, intendente dei Beni della Corona, i disegni del «casino» annesso alla porta del Parco costruita in corrispondenza del viale di Vedano. Ancora nell’estate del 1813 lo stesso architetto fece alcuni preventivi per la «ricostruzione del casino della Guardia alla porta di Vedano» (ASMi, Genio Civile, 3133). Dallo schizzo autografo pubblicato nel 143 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A 1989 (Il Parco Reale di Monza 1989, p. 128), sappiamo che il progetto iniziale prevedeva un arco doppio neogotico, di forma ogivale, con al centro lo stemma della famiglia Visconti, come entrata dall’abitato di Vedano, e un casello ottagonale, su due piani con copertura a tetto. Anche l’ingresso di San Giorgio sarà in seguito realizzato con un arco ogivale, dal profilo esterno spezzato, a imitazione di quello di Vedano. Negli anni Venti dell’Ottocento, su progetto di Tazzini, fu aggiunto il corpo lineare addossato a nord lungo il muro del Parco, successivamente ampliato nel 1853. Canonica progettò anche i primi edifici alla Porta di Villasanta, come documenta un suggerimento del luglio 1817 per la costruzione di un nuovo «stallino» (modesti lavori ai cancelli sono segnalati nel 1811). Disegni [Luigi Canonica], Pianta e prospetto della Porta di Vedano, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo. [Luigi Canonica], Piante dei vari ingressi al Parco, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 55, 872. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, p. 128. (f.r.) Cascina Fornasetta, Parco Reale, Monza 1814-1819 Della cascina, oggi non più esistente, il Fondo Canonica conserva un rilievo dello stato di fatto (BC-AMMe, BC 218) identico al foglio di presentazione rintracciato nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano. Modesti lavori sono documentati nel 1814 e nel settembre 1817, prima della demolizione avvenuta nel 1833. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1815-1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 218. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Cascina Fornasetta per abitazione dell’uccellatore», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 13, 112. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Novani 2009, p. 379. (f.r.) 144 Cascina Monzina, Parco Reale, Monza 1814-1819 strutturali, l’uniformità delle coperture e lo studio compositivo delle testate meridionali. Mulini di San Giorgio (Tognetti), Parco Reale, Monza [1815] Si tratta di una delle cascine più grandi del Parco Reale, sito d’importanti ritrovamenti archeologici, che sorgeva nei pressi del confine est del Parco, a nord dell’ingresso di San Giorgio. Interventi diretti da Canonica sono documentati nel dicembre 1814 e nel settembre 1817 e riguardano modesti lavori di restauro alle murature e alle coperture. Nel luglio 1817 l’architetto suggeriva, tra «le opere imprescindibili da effettuarsi», la «costruzione di due stanze terrene. Sotto di un portico». Un progetto di ricostruzione («nuova cascina da erigersi nell’I.R. Parco in sostituzione della Monzina in stato di deperimento») fu presentato da Tazzini nel 1827, ma l’edificio venne definitivamente demolito nell’aprile del 1841. I disegni di Canonica (BC-AMMe, BC 227, BC 228), conservati all’Archivio del Moderno di Mendrisio (rilievo dello stato di fatto e prima ipotesi) e all’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 48, 738) (progetto definitivo riferito al precedente) tendono a razionalizzare la semplice pianta lineare ridefinendo uno schema fortemente simmetrico con una corte a U. Le due ali, leggermente divergenti, di cui una parzialmente preesistente, si articolano in fabbricati a corpo doppio, su due piani, con porticati a tutt’altezza che ospitano rispettivamente le stalle e i fienili; mentre le irregolarità dell’edificio, destinato alla residenza, sono mascherate da altri portici con falde molto basse ma unitarie. Un arco centrale, passante, collega le due metà. Un progetto conservato nel Fondo Cattaneo a Bellinzona, identificato come «Prospetto da erigersi nell’I.R. Parco presso Monza», presenta numerose analogie con l’impianto della Cascina Monzina. Quest’ultimo fa parte della serie di progetti elaborati da Canonica, forse con l’aiuto di Bartolomeo Borsini, per la costruzione o ricostruzione dei quattro più importanti edifici rurali del Parco: le cascine Frutteto, Monzina, Nuova e Bastia. Tutti tra loro molto simili, tali progetti attestano quale criterio fondamentale per la ricercata monumentalità quello della simmetria. A questo possiamo aggiungere la variazione dell’altezza dei corpi di fabbrica disposti con ali ortogonali, l’alternanza nel trattamento delle superfici murarie, la sottolineatura degli elementi Disegni Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Cascina Monzina», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 48, 738. [Luigi Canonica], Rilievo dello stato di fatto e progetto di trasformazione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 228. [Luigi Canonica], Pianta e prospetti, rilievo, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 227. Il rilievo di Canonica conservato all’Archivio del Moderno di Mendrisio (BC-AMMe, BC 192) attesta la situazione precedente ai lavori di ricostruzione avviati da Giacomo Tazzini (1830-1842), come documentano anche le numerose tavole di progetto conservate nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano, di mano di Giacomo Tazzini e più volte pubblicate (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 47). Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 50, 119, 126; Garufi 2009, pp. 302-303; Novani 2009, p. 434. (f.r.) Disegni Luigi Canonica, Pianta dei Mulini di San Giorgio, del Cantone, Asciutti e Cascina Cattabrega, Parco Reale, Monza, pianta e prospetti, [1815-1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 233. PA R C O R E A L E D I M O N Z A della Cascina Lavanderia, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 192. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296. (f.r.) to, progetto di trasformazione, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 37, 596. Bibliografia Repishti, Süss 2006, p. 49. (f.r.) Cascina Cattabrega, Parco Reale, Monza [1815-1819] Mulini Asciutti, Parco Reale, Monza [1815-1820] La cascina sorge lungo il viale del Mirabello («del Gernetto»), divenuto asse regolatore del Parco, sul margine della valle del fiume Lambro. Alcuni modesti lavori sono documentati nel 1807 (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34), mentre l’edificio fu oggetto di ricostruzione su progetto di Canonica, dopo il 1815, come attestano i rilievi e i disegni conservati all’Archivio del Moderno di Mendrisio (BC-AMMe, BC 232-234) e, forse, alcuni fogli, di difficile attribuzione, custoditi nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 37). All’originario edificio di forma irregolare, Canonica aggiunse un corpo di fabbrica quadrato e tripartito, con due portici laterali. Più complessa appare la soluzione definitiva della sagoma della copertura che varia per mantenere liberi tutti i prospetti. Il nuovo fronte principale, a ovest, su due piani presenta una porzione centrale conclusa triangolarmente con tre fornici, al piano superiore, e due ali con aperture circolari; un basamento in pietra di ceppo, modanature in laterizio e superfici intonacate o a mattone a vista. Nel 1826-1827 e nel 1838 la cascina venne interessata da nuovi lavori, su disegno di Giacomo Tazzini, che comportarono la demolizione e la ricostruzione del corpo originario a est, che Canonica aveva ipotizzato di mantenere, e il sopralzo delle coperture nella parte centrale (ASMi, Genio Civile, 2983). Un successivo ampliamento fu suggerito da Luigi Tarantola nel 1884 (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 37). Poco distanti dal Lambro, i Mulini Asciutti subirono alcuni lavori di manutenzione tra il 1815 e il 1817 che comportarono il «rialzo» di due portici. Sui rilievi degli edifici, conservati all’Archivio del Moderno di Mendrisio, sono accennate a matita alcune modeste modifiche. Nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano vi sono inoltre alcune tavole di rilievo e di progetto che riportano l’indicazione «1820. Originale Canonica». Si tratta di un primo progetto di regolarizzazione dei fabbricati attuato con demolizioni parziali e la costruzione di portici. La configurazione attuale, tuttavia, con il corpo di fabbrica attraversato dalla roggia e i due rustici a est, si deve a Giacomo Tazzini, che presentò il progetto, oggi conservato nel fondo archivistico milanese, il 30 luglio 1834. Disegni Luigi Canonica, Piante e prospetti delle cascine San Fedele e Cattabrega, progetto di trasformazione, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 234. Luigi Canonica, Pianta e prospetti, progetto di trasformazione, [18151819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 233. Luigi Canonica, «Piano superiore della cascina Cattabrega», [18151819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 232. [Luigi Canonica], Pianta e prospet- to si oppose al progetto non rilevando «il bisogno d’introdurre maggior corpo d’acqua anche nel caso di ridurre a compimento il piano di sistemazione del Parco medesimo, giacché il metodo di coltivazione stabilito non esige maggiore quantità d’acqua di quella che attualmente serve al medesimo. Una maggiore quantità d’acqua dovrebbesi piuttosto aggiungere alla roggia che serve ai Giardini Reali qualora si volessero effettuare le operazioni progettate d’ampliamento del laghetto anche nella vista di dare a quelle acque pressoché stagnanti un maggiore moto di deffluimento e di rendere in tal modo più salubre l’aria» (ASMi, Genio Civile, 3158). (f.r.) Ponte di Valnera (delle Catene), Parco Reale, Monza [1816-1820] Nell’agosto del 1816, Canonica visitò con il soprintendente Prada il ponte «situato sul viale in prospetto» alla Villa Reale. In quell’occasione propose la sostituzione di numerosi pezzi della struttura lignea, mentre Prada aveva precedentemente suggerito la costruzione di un ponte a unica arcata in pietra. Presso l’Archivio di Stato di Milano è conservato un progetto, non rintracciato ma pubblicato nel 1989 (Il Parco Reale di Monza 1989, p. 212), firmato da Canonica e Luigi Fossati relativo al ponte in oggetto, disposto lungo il cannocchiale visivo della Villa Reale. Il ponte, a Disegni Luigi Canonica, Pianta dei Mulini Asciutti, del Cantone, di San Giorgio e della cascina Lavanderia, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 7, BC 192. Luigi Canonica, Pianta, progetto di trasformazione, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 44, 670. Luigi Canonica, Prospetto e parziale prospettiva dei portici, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 44, 667. Luigi Canonica, Prospetto, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 44, 668. [Luigi Canonica], Planimetria generale, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 44, 631. Bibliografia Novani 2009, p. 427. (f.r.) Nuovo emissario del lago di Pusiano 1816 Nel maggio 1816 a Canonica venne richiesta una verifica del progetto di costruzione di un nuovo emissario dal lago di Pusiano, al fine di ottenere una maggiore disponibilità di risorse idriche per il Parco di Monza. L’architet- Cascina Costa, Parco Reale, Monza, pianta, prospetti e sezione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 236. 145 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A due archi ribassati con spalle in muratura, ha la pila centrale formata da quattro colonne di ordine dorico arcaico in ceppo. La parte superiore è suddivisa in due piani inclinati delimitati da parapetti in granito e catene di ferro. Disegni Luigi Canonica, Luigi Fossati, «Pianta ed elevazione del Ponte», [1816-1820]; ASMi. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, p. 212; Repishti, Süss 2006, pp. 58-59; Savio 2009, p. 275-277. (f.r.) Cascina Bastia, Parco Reale, Monza 1817 Non sono documentati interventi di rilievo su questa cascina, preesistente alla costituzione del Parco e rilevata insieme agli altri edifici colonici da Canonica. Nel luglio 1817 egli suggerì, tra «le opere imprescindibili da effettuarsi», la «costruzione di due stanze terrene e di un portichetto» (ASMi, Genio Civile, 3137), lavori forse documentati nel progetto conservato presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano, non datato e firmato, e in quello presente a Mendrisio (BC-AMMe, BC 224). L’attuale conformazione si deve al progetto elaborato da Tazzini tra il marzo e il luglio del 1847, custodito, in diverse varianti, presso l’Archivio di Stato e l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34). Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, rilievo, [1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 224. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, Pianta, 1817; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 447. [Luigi Canonica], «Pianta terrena della cascina Bastia nell’I.R. Parco di Monza, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 452. [Luigi Canonica], Pianta, rilievo, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 457. [Luigi Canonica], Prospetto nord, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 460. [Luigi Canonica], Prospetto e sezione, s.d.; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 459. [Luigi Canonica], Prospetti, s.d.; 146 Cascina Nuova, Parco Reale, Monza, pianta e prospetti, [1819].; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 212. SBAPMi, Fondo disegni antichi, 34, 456. Bibliografia Novani 2009, p. 408. (f.r.) Cascina Costa (delle Monache, Costa Alta), Parco Reale, Monza [1817-1819] Modesti lavori sono documentati nel 1809 (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 35) e nel 1817 tra luglio e settembre, quando Canonica suggerì, tra «le opere imprescindibili da effettuarsi», il «prolungamento dell’attuale stalla con caseggiato superiore ed adattamento di una stanza». Nel progetto, conservato nel Fondo Canonica di Mendrisio (BC-AMMe, BC 236) e confrontabile con rilievi precedenti (BC-AMMe, BC 237), si può osservare come l’architetto conservi la struttura originaria, regolare, circondandola sui quattro lati con un portico su pilastri a doppia altezza, e ballatoi lignei, nell’ordine superiore. La scala è collocata al centro dell’edificio, come attualmente (in luogo del pozzo), mentre il corpo delle stalle con il fienile è posto a nord ad occupare una parte del portico. Nel disegno di Mendrisio non compaiono invece i due padiglioni, a nord, presenti nel foglio dell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano, forse realizzati da Tazzini (successivamente a un ampliamento del locale delle stalle), e documentati anche nel progetto di riforma presentato ma non realizzato nel 1884. Il foglio milanese (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 36, 492), la cui paternità è difficilmente riconoscibile tra Canonica e Tazzini, presenta una soluzione del prospetto sud prossima a quella definitiva ancora oggi conservata. Disegni Luigi Canonica, Piante e prospetto delle cascine Costa e Pajrana, rilievo, [1809-1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 237. Luigi Canonica, Pianta, prospetti e sezione, progetto di trasformazione, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 236. [Luigi Canonica], Pianta, prospetto e sezione, progetto di trasformazione, [1817-1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 36, 505. [Luigi Canonica o Giacomo Tazzini], Pianta delle cascine Passerina e Costa, [1817-1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 36, 492. (f.r.) Torre-belvedere, Giardini Reali, Monza 1818-1819 Si tratta di una delle ultime opere documentate e ideate dall’architetto ticinese a Monza. Un dettagliato elenco delle spese sostenute per la torre nei «giardini I. R. nella vigna Toscana», conservato tra le carte del Fondo Canonica di Mendrisio, attesta l’intervento di Canonica tra il 1818 e il 1819 al fine di trasformare il «casino della vigna Toscana secondo il disegno di vecchia fortezza» o in «torre gotica» (AMMe, Fondo Canonica, X, 185187). Un’interessante serie di tavole è oggi conservata presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 5-6). Una parte dei disegni, firmati da Tazzini, è datata 1822 («per copia conforme») e riporta nella legenda il riferimento: «Pianta di parte dei Giardini Reali presso Monza ove di recente furono eretti il Belvedere e il finto Castello». I progetti prevedevano un ampliamento a ovest della Torre, realizzando un nuovo portico, e del castello, con un sistema di murature e chiusure. Tra i disegni milanesi si distingue il foglio 66, riconducibile a Canonica, che ipotizza, a matita, un diverso orientamento della Torre. PA R C O R E A L E D I M O N Z A Disegni Luigi Canonica, Schizzo della torre gotica dei Giardini Reali di Monza, 1819; AMMe, Fondo Canonica, X, 186. [Luigi Canonica], Planimetria della nuova Torre-belvedere e del finto castello, [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 6, 65-66. Bibliografia Repishti, Süss 2006, pp. 40-43. (f.r.) Cascina Nuova, Parco Reale, Monza [1819] Nella lunga e dettagliata relazione compilata da Canonica e Borsini, conservata a Vienna, era ipotizzata la costruzione di un nuovo edificio, mai realizzato, lungo la strada interna per Biassono. Il sito corrispondeva all’area oggi compresa tra la piscina comunale e il muro di confine. A Canonica sono assegnabili, con certezza, due fogli, mentre altri due sono più incerti, tutti conservati presso l’Archivio del Moderno. Lo schema planimetrico è ancora una volta a C con due diverse corti porticate: a ovest l’«aja», a est un’area porticata su tre lati, delimitata da un’ampia esedra con, al centro, un portico coperto denominato «barco» e due «letamai». L’architetto si soffermò soprattutto nell’elaborazione del portale centrale (cfr. le schede sulle cascine Monzina e Frutteto), rivestito in bugnato, e nel disegno delle due testate delle ali. Tra i molti disegni non riferibili ad alcun progetto occorre aggiungere anche il foglio AMMe, 7, D 246 dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, nel quale Canonica studia l’ipotesi di una cascina e di un oratorio, in due varianti, a pianta rettangolare prostila o ottagonale. Questa seconda variante ci permette a sua volta di ipotizzare che il foglio AMMe, 15, D 92 possa essere riferito alla Cascina Nuova. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetti del barco, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 196. Luigi Canonica, Pianta del barco, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 194. Luigi Canonica, Pianta e prospetti, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 212. Luigi Canonica, Pianta e prospetti, Cascina Nuova, Parco Reale, Monza, pianta e prospetti, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 196. Cascina Gerona, Parco Reale, Monza, pianta e prospetti, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 219. 147 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 229. Luigi Canonica, Pianta e prospetti, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 229v. Luigi Canonica, Pianta e studi per la Cascina Nuova, [1819]; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 188. (f.r.) Cascina Gerona, Parco Reale, Monza [1819] Nell’area poi inclusa nel Parco Reale sorgevano una Cascina Gerona superiore e una Cascina Gerona inferiore. Della Cascina Geroncello (inferiore), non più esistente, ma documentata all’interno del Serraglio dei cervi, il Fondo Canonica conserva un rilievo (BC-AMMe, BC 220) dello stato di fatto e un progetto di restauro (BC-AMMe, BC 219) pressoché identico, nelle forme e nelle soluzioni, al progetto presentato per la Cascina Colombirolo. Canonica rielabora l’edificio, di forma rettangolare, aggiungendo ai lati una nuova stalla con pollaio e un portico, che raddoppia anche l’abitazione. In quest’ultimo corpo sono inseriti elementi architettonici comuni ad altri interventi: gli archi di scarico delle murature in cotto lasciati a vista, colonne di ordine dorico arcaico, con architravi realizzati da travature lignee, zoccolatura della muratura in ceppo. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetti, progetto di trasformazione, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 219. Luigi Canonica, Pianta e prospetto delle cascine Geroncello e Passerina, rilievo, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 220. (f.r.) Cascina Michelona, Parco Reale, Monza 1819 Della cascina, oggi non più esistente, nel Fondo Canonica presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio (BC-AMMe, BC 215) e nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Culturali di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8, 85) sono conservati due piante e un prospetto dello stato di fatto. L’edificio sorgeva sull’area dell’attuale Cascina 148 Cascina Fontana, Parco Reale, Monza, Luigi Canonica, pianta e prospetto, [1815-1817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 230. Frutteto ed era utilizzato come vivaio (1811). È documentato pure in un elenco di spese per riparazioni, datato settembre 1817, poco prima di essere demolito per la costruzione della nuova Cascina Frutteto. Disegni Luigi Canonica, Prospetti e pianta, [1819]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 215. Luigi Canonica, Bartolomeo Borsini, «Cascina Michelona», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 8, 85. [Luigi Canonica], Piante e prospetto, progetto di trasformazione, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 31, 431. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Garufi 2009, p. 301; Novani 2009, p. 376. (f.r.) Cascina Fontana (Lomagna), Parco Reale, Monza [1819] Posta a nord, poco lontana dalla Villa del Mirabellino, deve le sue attuali forme, recentemente restaurate dopo un rovinoso incendio, alla ricostruzione avviata, su disegno di Giacomo Tazzini, tra il 1827 e il 1830 e l’aprile del 1838 (ricostruzione dei rustici annessi). Modesti lavori antecedenti sono documentati nel 1807 (ASMi, Villa Reale, Fabbricati di Corte, 34). Presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio si conserva un primo progetto di Canonica relativo alla ricostruzione delle abitazioni e all’aggiunta di un nuovo portico (BC-AMMe, BC 230). La successiva versione di presentazione (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 19, 170), firmata da Canonica e Borsini, attesta alcune soluzioni per l’edificio dei rustici e delle stalle, mentre il disegno pubblicato nel 1989 (Il Parco Reale di Monza 1989, p. 124) presenta il prospetto princi- pale rivolto a est, dove l’architetto ha adottato un linguaggio neogotico, suddividendo la facciata in tre campi con una loggia-balcone al centro, inquadrata da un arco ogivale (fogli analoghi in SBAPMi, Fondo disegni antichi, 19). I materiali utilizzati (cotto, ceppo e pietra arenaria), marcano l’articolazione dei volumi e privilegiano la rigida simmetria dei prospetti. Una serie di progetti successivi (circa una ventina di disegni), di difficile attribuzione – per la maggior parte riferibili a Tazzini, ma alcuni probabilmente anche a Canonica – è oggi conservata nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano. Tali fogli esibiscono una pianta pressoché quadrata con finti loggiati su pilastri ottagonali, su entrambi i lati. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, progetto di trasformazione, [18151817]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 230. Luigi Canonica e Bartolomeo Borsi- PA R C O R E A L E D I M O N Z A Luigi Canonica, Planimetria, [1820]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 239v. Luigi Canonica, «Pianta generale della nuova cascina per due masserie da erigersi nell’I.R. Parco di Monza nel centro dell’esistente frutteto», 1820; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 31, 429. [Luigi Canonica], Prospetto e sezione della loggia del belvedere, [1820]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 31, 428. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 117-119, 121-123; Repishti 2006, p. 15; Repishti, Süss 2006, p. 48; Garufi 2009, pp. 303-304; Novani 2009, p. 406. (f.r.) Cascina Frutteto, Parco Reale, Monza, pianta e prospetto, [1820]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 239r. ni, «Cascina Lomagna detta anche Fontana», [1819]; SBAPMi, Fondo disegni antichi, 19, 170. Bibliografia Il Parco Reale di Monza 1989, pp. 48, 119, 124; Repishti, Süss 2006, p. 51; Garufi 2009, p. 301. (f.r.) Cascina Frutteto, Parco Reale, Monza [1820] Progettata da Canonica, dapprima recuperando la preesistente Cascina Michelona, poi esterna all’area del frutteto, infine al centro, seguendo un consueto schema con corpo centrale e ali laterali di minore altezza, fu realizzata solo successivamente da Giacomo Tazzini come documenta una serie di tavole (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 31). La preesistente Cascina Michelona compare ancora nella planimetria dello stato di fatto, riferibile al 1815- 1818 e conservato a Vienna, senza una precisa relazione con la disposizione della vegetazione, mentre il nuovo edificio, nel progetto complessivo di sistemazione del Parco (B), è collocato al vertice nord del rombo che ne ordina la complessiva sistemazione. Tale proposta subirà radicale revisione nell’ultima e definitiva variante di progetto. Infatti negli anni della Restaurazione, Canonica concepisce quattro cascine che dovevano assurgere a modello ideale per l’architettura rurale lombarda, e il progetto per la Cascina Frutteto fu uno degli ultimi realizzati da Canonica per il Parco e fu funzionale alla suddivisione di questo in colonie agricole. Nel disegno definitivo di Canonica, riferibile al 1820, secondo quanto segnato sul verso del foglio (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 31, 429), la nuova cascina è posta al centro di una circonferenza delineata da una roggia e dal sistema degli orti che si dispongono a raggiera. Da questa, otto viali di accesso disegnano l’intorno alberato con fi- lari di piante fruttifere componendo il disegno romboidale riconoscibile nelle diverse planimetrie del Parco. Lo schema a U è aperto verso sud, rigidamente simmetrico, con un corpo mediano con funzione residenziale, porticato con archi su pilastri, aperto al centro e sopraelevato con l’aggiunta di un’altana. Una balconata lignea, arretrata rispetto agli archi e interrotta al centro, svolge il ruolo di distribuzione dei locali del primo piano e non interferisce con la monumentalità degli archi. I fabbricati rurali, le stalle e i soprastanti fienili, sono disposti nelle due ali, separati, ma raccordati con il blocco mediano da portici coperti e sorretti da colonne di ordine dorico arcaico con trabeazioni lignee. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1820]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 238. Luigi Canonica, Pianta e prospetto, [1820]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 7, BC 239. 149 LUIGI CANONICA. COMMITTENZA PRIVATA Sequenza delle facciate dei Palazzi Traversi e Greppi sull’odierna via Manzoni, già corsia del Giardino. La Milano di Canonica «Cette jolie capitale» Gianni Mezzanotte, Irene Giustina Decoro urbano Nella città soggetta al mare di cose nuove portate dagli armati francesi, il contributo di Luigi Canonica si segnala per i tanti interventi eseguiti, per la costante scrupolosità osservata, per i risultati omogenei raggiunti e per la conseguente impronta impressa sull’abitato. Questo apporto non ebbe il carattere assertivo sostenuto da Bossi, non propose radicali rigenerazioni civili o architettoniche, al modo di Antolini e Pistocchi, non perseguì immediati fini politici, fu anche lontano dalle incertezze e dai fragili virtuosismi formali che avevano interessato la generazione precedente, quella di Piermarini e Cantoni. Le cariche pubbliche ricoperte e insieme la professione esercitata privatamente lo condussero a fronteggiare impegni edilizi diversi e a risolvere con pronte decisioni difficoltà di ogni natura. Quando infatti fu chiamato a rispondere alle necessità di uno Stato nascente in via di approntare le proprie strutture, dovette impegnarsi in temi che si estendevano dalla massima alla minima scala, dall’inventare un piano urbanistico all’adattare all’uso civile o militare un convento, all’allestire un minuto addobbo interno, dirigendone e contabilizzandone i lavori esecutivi. Si trovò in tal modo a esercitare un controllo che in qualche momento comprese l’intera realtà urbana. Nell’affrontare quei temi si propose di tenere comportamenti duttili e di adottare modi rapidi, laconici, adattabili economicamente alla varietà delle circostanze, tali anche da soddisfare il difficile problema di far corrispondere e uniformare realtà tanto distanti, oltre che di fondere il gusto contemporaneo con l’impronta controriformista ancora in parte conservata dall’abitato. Fu attento ad adattare il dettaglio alla grande dimensione, così che negli spazi del quartiere del Sempione e in alcune vie dell’abitato antico – tanto nelle corsie dei Servi e di Porta Nuova quanto in vicoli meno frequentati – apparvero immagini uniformi, coralmente ordinate. Attorno al Castello, dimenticando la prospettiva rinascimentale, dispose interminabili teorie di alberi allineati per disegnare vasti spazi, lunghi percorsi e raccordi con l’abitato, prolungati fino a saldarsi con i passeggi sui bastioni perimetrali e con i giardini e “boschetti” centrali, già da qualche decennio abitualmente frequentati dal pubblico. Nelle vie della città antica introdusse sobri ed esili episodi, promosse volumi e pareti sullo schema semplice e regolare che era stato anticipato negli isolati progettati per il Foro Bonaparte e poi sperimentato nel 1805 da Giocondo Albertolli nella Casa Melzi a Porta Nuova. Esteriormente questo motivo fu rappresentato da un piano inferiore bugnato, porticato o meno con colonne o pilastri, piani superiori intonacati, spesso ripartiti in fasce soltanto orizzontali. Le aperture e i particolari – ridotti a contorni delle finestre con o senza cappello, a balconi dal parapetto di ferro o di pietra, a mensole scolpite e a fasce marcapiano e cornici lisce o modanate – ingentilivano la parete con un disegno misurato, profili sicuri e proporzioni non banali. Canonica interpretava così a Milano il gusto altrove provato da oltre un secolo, da quando in forme classiche, non archeologiche, non romane, lontane da memorie venete e da pretese razionalistiche, si era manifestato nel Louvre e negli Champs Élysées, oltre che nei celebri parchi della regione parigina. Quel gusto si era poi diffuso come componente tra le fondamentali del movimento architettonico nel continente. Parallelamente, a Bath, nel Circus (1754) e nel Royal Crescent (1767) ripetute e accostate particelle edilizie identiche componevano interi complessi; queste unità concorrevano a disegnare volumi apprezzabili soltanto alla scala urbana e paesistica, e fondevano spazi alberati, superfici erbose e aree abitate. Nei sobborghi di Londra fabbricati di analoghe o più modeste fattezze si univano lungo ininterrotte uniformi cortine stradali. Le ricercate corrispondenze e continuità tra le grandi e le minime dimensioni ponevano ai costruttori così orientati difficoltà rilevanti: fra le altre, come adattare in modo appropriato edifici e aree ai vincoli topografici dati e alle possibilità effettive d’intervento, adottare forme semplici e regolari capaci di reggere il confronto con le visuali imposte dalle sistemazioni paesistiche e dalle prolungate quinte stradali. E anche come configurare le pareti con motivi in grado di integrarsi con situazioni generali e architetture prestabilite, non sacrificare le finiture delle singole parti alla coerenza degli insiemi. Estesi all’edilizia comune e di profitto, quei temi furono raccolti nel primo Ottocento per caratterizzare e uniformare contrade e quartieri del continente, e l’esempio fu offerto dagli aggiornamenti che si andavano facendo allora a Parigi tra le places de la Concorde e del Palais Royal, nelle rues Castiglione, des Pyramides e in altre ancora, e a Londra in Bedford Place e in Russel Square (1800-1814). Le dimensioni forzate e l’economia portavano a escludere espliciti richiami a esempi antichi e a limitare l’impiego della grammatica cinquecentesca a pochi episodi. In ogni caso le facciate erano pensate come parte degli spazi pubblici, indipendenti dagli interni: a Parigi il disegno di Percier e Fontaine per la rue Rivoli servì poi a dare una fronte al Ministero delle Finanze (1824). Allora nel tessuto antico dell’abitato di Milano, accanto a rari episodi celebrativi moderni (le porte Marengo, del Sempione, Nuova e Vercellina) e ai contemporanei palazzi rappresentativi e di servizio, con il concorso di molti si diffuse un’edilizia poco variata ma dal disegno sorvegliato, da cui derivò il volto che può essere ricondotto principalmente alla regìa e all’esempio di Luigi Canonica, raccolto e promosso dagli istituti preposti all’edilizia. Qui, in strade anguste e lunghe corsie, rettificate secondo le indicazioni della Municipalità e della Commissione d’Ornato,1 sulle pareti bidimensionali dei nuovi fabbricati non mansardati, appiattite su un unico piano, furono limitati gli ornamenti plastici e impiegati materiali poveri (intonaco, ceppo, beola e serizzo; raramente fu usato il miarolo o il granito); vi prevalse la tinteggiatura di un solo colore in tutte le 153 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Palazzo in corso di Porta Vigentina 1. Casa Bellotti in via Brera 10. 154 tonalità: era la «couleur jaune qui donne un caractère ignoble à presque toutes les maisons de Paris» lamentata da Balzac.2 L’ordine fu ridotto da struttura a commento e spesso limitato al profilo delle trabeazioni e delle cornici, il disegno fu esercitato a impreziosire dettagli in grado di umanizzare gli ambienti così formati; percepiti soltanto dappresso, essi saldavano le differenti scale alle quali erano rapportati gli insiemi, come non potevano gli schemi e i tipi suggeriti da Durand. Canonica, i suoi aiuti Gilardoni, Faroni e Tazzini, il coetaneo Arganini e altri più giovani costruttori non guadagnati al gusto per il colossale e celebrativo – Amati, Crivelli, Pizzala, Clerichetti – si impegnarono negli anni napoleonici e fino alla metà del secolo a proporzionare le aperture, a incolonnare e ritmare le finestre, a ripartire le superfici in fasce orizzontali anche diversamente trattate, evitando di segnalare il termine delle cadenze, che potevano essere ripetute indefinitamente su pareti senza limiti prefissati. All’architetto ottocentesco le scelte ancora possibili in quell’ottica consentirono di rapportare le fronti stradali con spazi esterni di ogni dimensione, di inserirle facilmente fra le architetture esistenti e di raccordarle con la destinazione dell’edificio e con il livello economico dell’abitante. Nel disegno la combinazione risultò più importante dell’invenzione; dal modo di accostare e trattare pochi motivi (finestre, balconi, cornici, modanature tratte da Vignola, Palladio, Scamozzi) derivarono toni discreti e discorsivi, talvolta eleganti e gradevoli. Una riservatezza non convenzionale si diffuse in rioni di diversa levatura.3 Balzac ne apprezzò il “carattere” e l’“originalità”, Stendhal amò ricordare la proporzione «piena di poesia» delle facciate,4 e apprezzò le strade pavimentate con acciottolato padano, corsie di beola, e marciapiedi protetti dalle gronde dei tetti sporgenti. Una impressione di omogeneità ambientale, di accuratezza esecutiva e insieme di attenzione alla vita quotidiana sembrò prevalervi per qualche decennio.5 In Borgonuovo case di massimo livello e dimessa apparenza governarono l’accento complessivo dell’aristocratica contrada, soltanto identificandosi per profili accurati, cadenze e proporzioni misurate; sfumature appena avvertite dal passante distinguevano gli edifici nel loro succedersi interrotto soltanto da portali arcuati e profondi androni. È la «strada di nobili palazzi, dai portoni accuratamente lustrati e custoditi» che ancora indenne impressionò nel 1920 Mario Praz, appena avviato a rivalutare lo spirito neoclassico in tempi sordi a quel richiamo.6 Similmente fu ammodernato il quartiere di Montenapoleone con le vie Sant’Andrea, del Gesù, Santo Spirito, Bigli, Spiga e quello di Porta Nuova. Lungo altre strade, botteghe e appartamenti d’affitto suggerirono di aumentare i piani e di inserire qualche ornamento meno inibito: a Porta Romana la casa detta della “farmacia Foglia” fu ornata da otto ritratti immaginari dei maggiori naturalisti, fisici e chimici del secolo, imitando i medaglioni introdotti da Aspari nella Casa Pianca sul corso di Porta Vercellina (grandi degli Sforza, modellati da Pompeo Marchesi), da Canonica nel Palazzo Brentani Greppi nella corsia del Giardino (artisti, letterati e scienziati) e da Faroni nella Casa Beccaria nella contrada di Brera (Beccaria e milanesi illustri). Quel disegno si rifaceva alle monete e medaglie antiche e alle imagines clipeate, era stato reinventato dall’Amadeo e da Bramante in Lombardia, si era poi diffuso nel secolo seguente e infine era stato ripreso a Milano soprattutto in anni napoleonici. In edifici di minor rilevanza furono ridotti i balconi, i cappelli e i contorni delle finestre, ma raramente fu disattesa la cura di qualche particolare. Pareti così composte invasero brani di strade e di quartieri, il gusto impresso da Canonica fu diffuso nell’Accademia dalla scuola di Amati e fu accetta- LA MILANO DI CANONICA Palazzo in via Borgonuovo 9. Fronti della Casa della Farmacia Foglia sul corso di Porta Romana. to dalla Commissione d’Ornato e dalla Municipalità;7 così l’abitato, povero di veri monumenti emergenti, acquistò ambienti uniformi e una certa atmosfera discreta, nella quale consistette per qualche decennio il suo fascino.8 saldamente sorvegliati dalla Municipalità – in particolare dalla Commissione d’Ornato, che, più che imporre, ratificò una prassi di controllo del rapporto tra strada e fabbricato in atto già dal tardo Settecento11 – con l’obiettivo precipuo di far acquisire alle cortine edilizie, e quindi all’immagine e alla forma della città, una sembianza dignitosa, omogenea, non soggetta all’arbitrio del gusto del singolo. Come si è detto, l’aspetto «sobrio, regolare, uniforme»12 acquisito dalla città nell’arco di quegli anni fu influenzato in larga parte dall’impronta di Luigi Canonica. Tralasciando gli interventi celebrativi, dal carattere episodico e con prevalenti accenti persuasivi, il segno da lui impresso sul volto urbano può essere più efficacemente considerato valutando la sua attività nell’ambito dell’edilizia civile e in particolare in quella residenziale, «non già nei templi e nelle opere monumentali, ma nei fabbricati di continuo uso delle popolazioni, quali sono i palagi, le case e gli altri edifici puramente civili».13 La sua opera in questi campi ha goduto in passato una fortuna critica assai modesta, spesso anche per la frammentarietà e la scarsità delle fonti archivistiche; tuttavia, i documenti, in buona parte inediti, conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio consentono oggi di esaminare puntualmente tale attività, mettendo in luce la quantità e la rilevanza degli incarichi privati ottenuti e la qualità dei risultati. Lo schema compositivo dei prospetti La ricordata intensa attività edificatoria che investì Milano nel periodo intercorso tra l’arrivo dei Francesi, nel 1796, e gli anni Quaranta del XIX secolo, pur non modificando radicalmente l’impianto dell’abitato, comportò una capillare trasformazione del tessuto urbano. Gli interventi, tesi per lo più ad ammodernare o a sfruttare in modo più intensivo l’edilizia esistente, riguardarono un numero altissimo di immobili, che furono demoliti e ricostruiti, o accorpati e rimaneggiati, rinnovati, rialzati, frazionati; come documentò Luigi Tatti, «nel solo decennio tra 1834 e 1844 furono riedificate a Milano circa 800 case».9 La trasformazione in atto fu colta come un’importante occasione per accrescere il decoro complessivo del volto urbano: «è difficile trovare in Milano una sola via dove la metà o più delle case non sia da pochi anni rabbellita», osservava Carlo Cattaneo nel 1842.10 I cambiamenti furono 155 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Palazzo D’Adda, corsia del Giardino, Milano, progetto per la facciata, 1818; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 8, D 182. Casa Miniscalchi, Verona, progetto per la facciata, 1832; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 319. 156 Dall’età austriaca Canonica si trovò a intervenire sulle residenze delle più illustri famiglie dell’aristocrazia milanese, tra cui quelle di Egidio Gregorio Orsini in Borgonuovo – ricevendo il plauso di Carlo Bianconi nella Nuova Guida di Milano (1787)14 – dei Resta alla Passione, dei Porcari in San Giovanni alle Quattro Facce; negli anni francesi furono ancora suoi committenti i Resta, i Greppi nella casa in Sant’Antonio iniziata dal maestro Piermarini, i Cagnola in contrada Cusani. Durante la Restaurazione, abbandonati gli incarichi pubblici, si dedicò, nelle aree più significative della città, alle nobili abitazioni dei Greppi e dei D’Adda, dei Visconti di Modrone, dei Perego, forse dei Porro Lambertenghi, e alle dimore di facoltose famiglie, come i Traversi, ordinando anche gli arredi, i giardini urbani e diverse ville e parchi fuori porta. La sua riflessione toccò anche lo stabile d’affitto, con una prima sperimentazione nei progetti per gli edifici prospettanti sulle piazze del Foro Bonaparte, in età napoleonica, e con interventi, soprattutto negli anni Trenta dell’Ottocento, per rilevanti edifici, come quelli richiesti dai Visconti di Modrone o dai Saroli, spesso connessi alle rettifiche stradali con cui la Municipalità mirava allora a riordinare il centro cittadino. Canonica non mancò infine di affrontare anche il tema della residenza agiata, di cui la sua abitazione in contrada di Sant’Agnese era un cospicuo esempio.15 Quale sensibile interprete della società in mutamento, riuscì ad aggiornare l’immagine tradizionale della dimora nobiliare, rendendola più consona alle esigenze e ai gusti della committenza, e suggerì, per edifici con tipi edilizi ormai consolidati, come la casa borghese o lo stabile d’affitto, un aspetto rassicurante e ordinato che, con poche variazioni, poteva essere facilmente ripreso anche nell’edilizia diffusa; fattore unificante, per le diverse soluzioni degli alzati, era in ogni caso la piena rispondenza a criteri di velocità e semplicità esecutiva e di controllata economia. Fu capace, così, di tradurre efficacemente in architettura le principali esigenze della società del suo tempo indipendentemente dalla temperie politica, fornendo al privato, come al pubblico, la possibilità di esprimersi sempre su un tono di alto decoro, ma secondo l’utile e le disponibilità di ciascuno. Con spiccata professionalità egli comprese e contribuì a for- LA MILANO DI CANONICA Palazzo D’Adda, corsia del Giardino, Milano, progetto per la facciata. 1818; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 8, D 183. mare quella nuova «indole dell’architettura civile» che, secondo l’acuta definizione di Defendente Sacchi,16 conciliando «il lusso coll’economia», aveva acquistato «leggiadria ed eleganza», ma aveva irrimediabilmente perso «grandezza», concorrendo a definire un volto differente, moderno, della città, fatto di «case, ma non palagi». Le scelte adottate da Canonica possono puntualmente riconoscersi sia nelle sue opere, ancora oggi esistenti e a lui ascrivibili, sia nel cospicuo numero di disegni e progetti rimasti a documentare la sua amplissima attività, in gran parte ora conservati a Mendrisio. Tale produzione consente di delineare le sue principali attitudini progettuali, che rivelano una discreta ricchezza creativa, spesa, come si cercherà di mostrare, soprattutto in modulazioni di dettaglio a partire da un principale schema compositivo che costituisce il più generale quadro di riferimento. Sul foglio come nel costruito, egli tende a elaborare un impaginato architettonico di impeccabile e delicato disegno, assai vicino ai modi di Percier e Fontaine, senz’altro debitore al gusto di Giocondo Albertolli e anche di Piermarini.17 La raffinatezza espressiva è determinata tanto dalla grazia proporzionata degli elementi architettonici quanto dalla loro misurata distribuzione nel prospetto; l’accurato smorzamento degli accenti plastici privilegia lievi aggetti e valori di superficie, esaltando l’effetto-parete della quinta muraria, su cui la luce e gli occhi trovano rari punti di cattura. Con questi modi, per gli alzati dell’edilizia civile propone un telaio compositivo estremamente semplice: la parete piena è suddivisa orizzontalmente, mediante cornici marcapiano, in due o tre, eccezionalmente quattro, campi murari, entro cui sono regolarmente distribuite e allineate teorie di aperture, in prevalenza rettangolari, con semplici contorni. Il campo terreno usualmente presenta un rivestimento con bugnato gentile,18 mentre i registri superiori, entro cui può eventualmente comparire l’ordine architettonico, sono lisci, semplicemente intonacati. Lontana da accentuazioni chiaroscurali, la parete è in genere priva di articolazione plastica e di rado esibisce elementi che possano sottolineare assi o punti specifici nella sua compagine. Se impiegato, l’ordine archi- tettonico si dispone preferibilmente con lesene, mentre gli aggetti sono spesso limitati a pochi balconi a sbalzo su mensole lapidee, ai cappelli architravati delle aperture del piano nobile – eventualmente anch’essi appoggiati su mensole – e a robuste modanature di sottogronda. L’ingresso, che pure si evidenzia per forma, sempre centinata, spesso per la maggiore ampiezza della luce e per la presenza di un balcone soprastante, costituisce semplicemente un punto di interesse del prospetto, ma di rado partecipa a delineare un vero e proprio asse centrale. Limitatamente agli edifici pubblici, possono essere enfatizzati il corpo o l’accesso centrale o gli assi preminenti dell’edificio, inserendo, sull’impianto che configura l’alzato, l’ordine architettonico, circoscritto a poche campate ed eventualmente sormontato da un timpano al fine di riproporre il motivo classico della fronte di tempio.19 Indipendentemente dalla presenza, per altro rara come si è detto, di elementi di particolare emergenza, lo sviluppo della composizione è confinato solo dalle estremità fisiche entro cui si snoda il prospetto dell’edificio, ma potrebbe essere prolungato su un numero imprecisato di campate, essendo espunto il bugnato d’angolo così come qualsiasi altro elemento di demarcazione laterale della facciata.20 La teoria di allineamenti verticali delle aperture trova un contrasto solo in pochi ma assertivi accenti orizzontali, con le cornici marcapiano che suddividono la parete in campi murari e la forte sottolineatura del filo superiore del prospetto, che – con la sovrapposizione di architrave, ventualmente di fregio, e di cornice, dotata in genere di dentelli o mensole – riprende la forma e il ruolo di una trabeazione canonica in assenza dei piedritti, o costituisce proprio la trabeazione quando l’ordine è completo. La costante cura per l’attenuazione degli accenti plastici comporta una preferenza per superfici lisce, dove i toni privi di acuti, ma raffinatamente composti, dello schema impiegato sono scanditi dal telaio grigio disegnato da rivestimenti, modanature e sobri ornamenti lapidei su registri murari intonacati. Il ruolo di trabeazione affidato alla fascia di sottogronda conferma l’osservata indifferenza nei confronti dell’ordine architettonico. Svincolan- 157 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Palazzo Greppi, corsia del Giardino, Milano, disegno esecutivo della facciata, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 8, D 212. dosi significativamente dalla sintassi classicista, l’ordine non è più utilizzato come codice di strutturazione compositiva del prospetto: è in genere omesso e, quando utilizzato, è piuttosto considerato un elemento decorativo e simbolico, sovrapponibile all’assetto adottato e teso a suggerire e a sottolineare la rilevanza dell’edificio o della sua committenza. Attestano tale attitudine le varianti di numerosi progetti che, spesso sul medesimo foglio, prevedono i piedritti dell’ordine all’interno della composizione già configurata della fronte, ad esempio negli studi del prospetto del Palazzo D’Adda nella corsia del Giardino (AMMe, D 182, D 212) e di quello esterno del Pulvinare dell’Arena a Milano (BC-AMMe, BC 431) – in cui gli ordini non sono poi stati impiegati – o della Casa Miniscalchi a Verona (AMMe, D 319). Canonica riesce così a elaborare, per l’edilizia civile, uno schema d’alzato basato su una successione di aperture allineate e ritagliate entro una superficie muraria suddivisa in campi orizzontali; questa intelaiatura è adattabile a qualsiasi articolazione ed estensione di facciata, come mostrano i progetti per il Palazzo D’Adda, con corpo padronale centrale su quindici/diciassette campate (AMMe, D 182, D 183), e per quello di soli tre assi nella Casa Visconti di Modrone nella contrada delle Asole (AMMe, D 241). Lontano, però, da una replica banalizzata, mostrando il carattere creativo dell’attitudine progettuale di Canonica, l’impaginato è declinato con varianti tali da adattare l’esterno dell’edificio alla posizione urbana entro cui è inserito, alla levatura della committenza e quindi 158 alle sue esigenze di rappresentatività, alla necessità di sottolinearne la destinazione pubblica, se ad essa è assegnato. Variando le modulazioni, esso acquista precisi significati sul piano espressivo e simbolico, consentendo di distinguere con immediatezza nell’edilizia abitativa prospetti che riflettono la posizione sociale dei proprietari e dei residenti, e di identificare altrettanto chiaramente l’architettura pubblica nella quinta urbana, grazie all’accentuazione di alcuni elementi topici. Ulteriori variazioni, mai ripetute e potenzialmente infinite perché giocate sui dettagli degli elementi architettonici e decorativi, consentono infine di conferire specifiche peculiarità ai singoli edifici, pure se collocati nello stesso contesto urbano e aventi affine grado di rappresentatività e analoga funzione. Alcune modulazioni nei prospetti dell’edilizia residenziale Nell’edilizia abitativa le principali modulazioni dello schema compositivo sono calibrate in relazione allo stato sociale dei committenti/residenti e alle destinazioni minute dell’edificio, e consentono di delineare prospetti appropriati a esplicitare la dimora nobiliare, la casa del ceto benestante ma non aristocratico, lo stabile d’affitto con botteghe al piede. Le diverse soluzioni possono essere riconosciute esaminando i disegni di studio e progetto di Canonica e, pure se in più stretta misura per via di non poche incertezze attributive, considerando gli alzati degli edifici ancora oggi esistenti, a lui ascrivibili in tutto o in parte. LA MILANO DI CANONICA Sulla base, dunque, di una verifica incrociata tra i progetti e le facciate eseguite – attribuibili, appunto, con opportune cautele21 – è possibile notare che, in genere, nei prospetti delle dimore nobiliari urbane Canonica tende a modulare lo schema sui tre, tradizionali, piani fuori terra, più, eventualmente, un seminterrato che si evidenzia in facciata attraverso modeste prese di luce. L’alzato è ordinato orizzontalmente su una fascia a bugnato liscio al piano terreno (prevista nel Palazzo D’Adda in corsia del Giardino e nello scomparso Palazzo Visconti in contrada della Cerva; adottata nel Palazzo Traversi e nel Palazzo Greppi in corsia del Giardino, anche se quelle attuali sono il frutto di cospicui riattamenti dei piani terreni, e nel Palazzo Resta), e due registri superiori intonacati. In quello centrale, corrispondente al piano nobile, è evidenziata tra due cornici marcapiano una fascia muraria corrispondente all’altezza dei parapetti delle aperture – di tradizione cinquecentesca e ancora pienamente utilizzata da Piermarini – entro cui sono inseriti, quando presenti, anche gli sporti dei balconi, che hanno balaustre marmoree e appoggiano su mensole lapidee. L’ordine, canonico o a più semplici fasce (adottate diffusamente anche da Piermarini), è in genere espunto; anodine teorie di aperture, rettangolari e con semplici mostre, appoggiano sulle fasce marcapiano sia al piano nobile sia al terzo piano fuori terra (ad eccezione di quelle del Palazzo Resta). Le finestre del piano nobile presentano un cappello trabeato, che può eventualmente essere appoggiato su mensole e avere la cartella centrale liscia o decorata con bassorilievi; le aperture dell’ultimo piano sono invece costituite da porte-finestre (salvo il Palazzo Resta, con finestre) protette da un parapetto di ferro battuto inserito a filo del muro. Il portone di ingresso – che, pure se posto spesso al centro della teoria verticale di aperture, sembra trovare la sua collocazione più in relazione alle necessità distributive dell’edificio che alla volontà di sottolineare l’asse centrale – è centinato, con protome in chiave, ed è sormontato (ad eccezione del Palazzo Resta, privo di aggetti in facciata) dal balcone del salone posto al piano nobile. Il prospetto è sempre concluso superiormente dal forte accento orizzontale del cornicione, che riprende gli elementi di una vera e propria trabeazione con una sovrapposizione di architrave, eventualmente del fregio (decorato o liscio), e della cornice, piuttosto aggettante e dotata di dentelli e/o mensole. Un disegno esecutivo del prospetto del Palazzo Greppi in corsia del Giardino (AMMe, D 212), redatto con grande sinteticità in quanto diretto al cantiere, consente di distinguere chiaramente come l’impianto compositivo sia declinato nel prospetto della residenza nobile. Poche, ulteriori modulazioni consentono a Canonica di adattare la configurazione descritta agli stabili destinati alla rendita. Questi edifici, rivolti al ceto benestante e medio, potevano presentare un’estensione molto variabile, esibendo negozi al piede e, superiormente, appartamenti distribuiti su tre o anche quattro piani. In risposta alla crescente domanda abitativa, tali tipi di immobili andavano occupando in città sempre maggiori spazi, richiedendo soluzioni semplici, economiche, ma nel contempo di grande decoro; Leopoldo Pollack ne aveva proposto una prima interessante soluzione in Porta Romana, nel 1793-1794.22 La variante, più raffinata, elaborata da Canonica per il loro prospetto si ritrova nei progetti per la Casa Saroli nella corsia dei Servi (1834-1835, tralasciamo per ora la presenza dell’ordine architettonico, su cui si tornerà più avanti) e per le case Visconti di Modrone nella contrada dell’Agnello (1833-1836) e nella contrada delle Asole (1836 ca.) (AMMe, D 243, D 225, D 241).23 In particolare, alle facciate dei primi due fabbricati va riconosciuto uno specifico valore d’esempio, in quanto le soluzioni furono approntate da Casa Visconti di Modrone alle Asole, Milano, studi di progetto per la facciata, [1836]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 241. Casa Saroli, Milano, studio di progetto per la facciata, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 243. Casa Visconti di Modrone in contrada dell’Agnello, Milano, prospetti relativi al progetto di arretramento, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, 9, Fondo Canonica, D 255. 159 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Palazzo Traversi, foto attuale del prospetto sulla via Manzoni già corsia del Giardino. Canonica in occasione dei lavori di allargamento e rettifica della corsia dei Servi, decisi dal Comune e dalla Commissione d’Ornato a valle di un complesso dibattito sulla riqualificazione del centro cittadino.24 Per questi stabili lo schema compositivo di base è come “stirato” in altezza, adattato a coprire fino a cinque piani fuori terra. Il piano terreno è risolto ancora con un rivestimento di bugnato liscio, ma ora, al suo interno, si snodano le teorie di aperture delle botteghe, sormontate in genere da un sopraluce, corrispondente al mezzanino con i depositi. Superiormente, è collocato il campo intonacato che comprende il piano nobile e il terzo piano fuori terra, a cui possono sovrapporsi una o due ulteriori fasce murarie, di altezza ridotta, destinate al quarto o al quinto piano. Al piano nobile, dove sono collocati gli appartamenti signorili, è di solito assegnata una maggiore enfasi attraverso gli elementi decorativi, più curati, mentre ai piani superiori, e soprattutto in quello di sottotetto, destinato agli alloggi più modesti, sono associate soluzioni più semplici. Anche per questi edifici lo schema può ridursi a poche campate (la Casa Visconti in contrada delle Asole, sviluppata su tre sole luci), o pro- 160 lungarsi secondo necessità (una decina di luci nelle case Saroli e Visconti di Modrone nella contrada dell’Agnello). Se il prospetto possiede però una certa estensione ed è articolato su più lati (ad esempio nelle case Saroli e Visconti di Modrone nella contrada dell’Agnello, entrambe in angolo), Canonica ammette modeste variazioni di tono, tese a smorzare la reiterazione di un unico motivo architettonico e a configurare con lievi differenze i lati su cui l’alzato si snoda. Le teorie di aperture nella fascia terrena bugnata, destinate alle botteghe e agli ingressi, sono definite da semplici arcate su pilastri sormontate da sopraluci quadrangolari (nella Casa Saroli) o, preferibilmente, sono ispirate a motivi cinquecenteschi, richiamando a volte il motivo della serliana (nella Casa Visconti alle Asole), a volte il motivo, collegabile a quello del Palazzo Caprini, ad arcate su pilastri entro cui sono ritagliate le luci delle botteghe con architrave a piattabanda e sopraluce semicircolare (nella Casa Visconti di Modrone all’Agnello). Un’interessante variante di quest’ultimo partito è utilizzata, tra l’altro, in edifici sia residenziali (nei fabbricati verso le piazze subalterne del Foro Bonaparte, AMMe D 369) LA MILANO DI CANONICA sia pubblici (ad esempio, nell’Ateneo Bazar, AMMe D 449), che presentano un portico terreno: qui le arcate su pilastro dei portici bugnati lasciano intravedere sulla parete di fondo la sequenza delle luci delle botteghe architravate e sormontate da sopraluci quadrangolari, riproponendo sostanzialmente lo stesso disegno, risolto però in profondità.25 Nei registri superiori, intonacati, le aperture rettangolari – porte-finestre, finestre e finestrelle – sono allineate ordinatamente in assi dal ritmo serrato e riquadrate con semplici cornici; si differenziano in genere le aperture del piano nobile, che mostrano un cappello architravato. La serialità adottata è interrotta essenzialmente solo dagli aggetti dei balconi, variamente distribuiti sui piani anche se prevalenti in quello nobile. La destinazione dell’edificio a un ceto più modesto e la conseguente maggiore economia nel trattamento del prospetto comportano che i poggioli, collocati su mensole marmoree, presentino semplici balaustre metalliche; fa eccezione la Casa Saroli, che al piano nobile esibisce balconcini con balaustre marmoree, analoghe a quelle dei palazzi nobiliari, ma ciò è dovuto probabilmente alla rilevanza della posizione urbana goduta dall’edificio. Nei piani superiori, alla presenza di porte-finestre, sono previste ancora, come nelle residenze nobiliari, ringhiere metalliche collocate a filo del muro. Un’ulteriore modulazione dell’impianto compositivo definisce il prospetto dello stabile d’affitto sviluppato su quattro piani fuori terra ed è riconoscibile nella porzione obliqua della facciata della Casa Saroli nella corsia dei Servi (AMMe, D 243). Qui, alla fascia terrena bugnata con l’ingresso sono sovrapposti tre campi murari intonacati, divisi da disadorne cornici marcapiano. Il ruolo e il significato di ciascun piano sono suggeriti solo dagli elementi architettonici e dai dettagli decorativi: al piano nobile sono previste aperture decorate da un cappello architravato su mensole e balconi con balaustra marmorea; al secondo piano, le aperture sono sormontate da un semplice cappello architravato e affacciano su un poggiolo con parapetto metallico; al terzo piano le aperture, più basse per via della minore altezza del sottotetto, sono solo schermate da una ringhiera metallica a filo del muro. Il tema non aveva particolari caratteri di novità, essendo esplorato anche da altri in quegli anni, ad esempio da Carlo Amati nella Casa Jouvet Guidon nella contrada Zebedia (1833);26 ma l’efficacia assertiva dello schema proposto in quella porzione della Casa Saroli, sviluppato emblematicamente su una sola campata, provava la validità universale della soluzione ideata e la sua adattabilità a prospetti di qualsiasi estensione, favorendone l’ampia diffusione in città. Nelle residenze nobiliari milanesi eseguite o solo progettate, con le cautele attributive cui si è accennato in precedenza, l’ordine architettonico sembra essere stato impiegato solo nel Palazzo Traversi in corsia del Giardino (1829-1832).27 Qui l’ordine, appoggiato sulla fascia bugnata del piano terreno, si sovrappone al tema di base con campi orizzontali dando luogo a una reinterpretazione del tradizionale schema cinquecentesco riconducibile al Palazzo Caprini. La fascia corrispondente al parapetto delle aperture del piano nobile è utilizzata per ospitare i piedistalli aggettanti dei piedritti, mentre le lesene giganti si estendono su due piani collegandosi alla trabeazione che conclude superiormente il prospetto. L’uso del corinzio, riconducibile alla soluzione proposta da Vignola, e la ricchezza dei dettagli – lesene scanalate, fregio decorato con girali, cigni e strumenti musicali, dentelli, modiglioni e riquadri con rosette in sottocornice28 – contrastano con la pacatezza espressiva consueta in Canonica ma sono probabilmente sollecitati, entro un contesto urbano prestigioso, dalla committenza, desiderosa di esplicitare la raggiunta e controversa affermazione sociale ed economica. Con toni ben più pacati, l’ordine è impiegato anche in due edifici residenziali di media levatura: in uno stabile d’affitto, la già ricordata Casa Saroli (AMMe, D 243), e nella casa ove Canonica stabilisce la sua dimora, nella contrada di Sant’Agnese (dal 1812). L’impiego dell’ordine in un Presenza e ruolo dell’ordine architettonico In questo quadro, non sorprende che l’ordine completo di lesene o colonne sia ridotto sostanzialmente a commento decorativo e simbolico, a elemento sovrapponibile, come si è detto, secondo la levatura della committenza, la rappresentatività dell’edificio o del contorno urbano. L’attenzione volta ad attenuare gli accenti plastici comporta una preferenza per superfici piane e, coerentemente, quando le contingenze richiedono l’uso dell’ordine, l’architetto ticinese preferisce impiegare lesene, poco aggettanti e in prevalenza lisce, che vanno a porsi sopra lo schema di base costituendone una specifica variante. L’ordine predominante è senz’altro quello ionico – raramente Canonica impiega il corinzio (Palazzo Traversi) e il dorico (progetto degli edifici affacciati sulla Gran Piazza del Foro Bonaparte) – con una specifica propensione per la declinazione gigante, che abbraccia in genere due piani, più, eventualmente, un ammezzato. Casa Canonica sull’odierna via Sant’Agnese. 161 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA «Prospetto delle Fabbriche da eseguirsi nel Foro Bonaparte a Milano», 1803; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, BC 369. Ateneo Bazar, progetto della facciata, Milano, [1818-1819]; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, D 29. fabbricato destinato alla rendita è probabilmente sollecitato dal contorno urbano in cui il suo prospetto viene a inserirsi, adeguandosi al profilo di alto decoro che il progetto del riordino della corsia dei Servi, deciso dalla Municipalità con il controllo della Commissione d’Ornato, si proponeva di raggiungere. Qui sono adottate sobrie lesene ioniche, con fusto liscio e fregio privo di decorazioni; l’ordine, impiegato nella declinazione gigante e vicina ai modi di Palladio (tralasciando però il fregio pulvinato) e di Scamozzi, abbraccia il piano nobile e il secondo piano, adattato duttilmente alla “stiratura in altezza” dello schema compositivo e sviluppato con modi analoghi – tranne che per gli aspetti decorativi – a quelli osservati nel Palazzo Traversi. Canonica, tuttavia, deve misurarsi con la maggiore altezza della Casa Saroli, predisponendo un assetto opportuno per la fascia corrispondente al piano di sottotetto sopra quelli distinti dall’ordine. Tale registro è efficacemente collegato proprio all’ordine sottostante utilizzando lo sporto della trabeazione: questa offre lo spazio per sviluppare lungo il sottotetto una balconata continua protetta da una sottile ringhiera metallica. Il parapetto, oltre ad assolvere la funzione di schermo all’affaccio, assume nel contempo il ruolo di coronamento della trabeazione, attualizzando in chiave economica, adeguata al ceto più modesto cui l’edificio è destinato, il celeberrimo, monumentale motivo della balaustra marmorea, di origine cinquecentesca. In modo analogo, l’ordine è utilizzato da Canonica anche nel prospetto 162 LA MILANO DI CANONICA Casa Saroli, corsia dei Servi, Milano, particolari delle mensole, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 243. Casa Visconti di Modrone, contrada dell’Agnello, Milano, particolare delle mensole e delle botteghe, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 264. della propria casa, con lesene ioniche lisce giganti e con trabeazione coronata dalla ringhiera metallica, che protegge la balconata del sottotetto. La Casa Canonica, tuttavia, propone un’ulteriore modulazione, costituendo, tra le dimore urbane ascrivibili al ticinese, l’unico esempio in cui manca il campo terreno bugnato. Del resto, non vi sono botteghe e non è una residenza nobiliare, ma è l’abitazione di un architetto, e qui l’ordine sembra caricarsi maggiormente di significati simbolici, divenendo una sorta di manifesto, ricollegabile, lontanamente, alla cinquecentesca Casa Brentani a Mantova. L’ordine, rispondente alla declinazione indicata da Vignola, si sovrappone e quasi prevale sullo schema, spiccando dal piano della strada, su un basso zoccolo lapideo; e non è un caso che qui presenti un’esemplare base ionica vitruviana, soluzione ben più raffinata rispetto alle ordinarie basi attiche associate usualmente allo ionico e sempre utilizzate anche da Canonica, sia negli esterni sia negli interni. La maggiore cura per la soluzione del dettaglio architettonico si rivela inoltre anche nell’inconsueto trattamento del piano di sottotetto, con ordine a fasce – che richiama quelli piermariniani – sormontato da una cornice ionica contratta. Non è privo di interesse sottolineare che il partito architettonico adottato nella Casa Canonica (e successivamente adattato alla Casa Saroli) presenta forti analogie con quello proposto qualche anno prima (1808) per la facciata dell’ampliato Palazzo Reale verso la contrada Larga (BC-AMMe, BC 368 e AMMe, D 21).29 L’eccezionalità della posizione e la valenza simbolica intervengono probabilmente nelle scelte, assai insolite, operate negli edifici residenziali affacciati sulla piazza principale nel progetto per il Foro Bonaparte destinati anch’essi al ceto agiato ma non aristocratico (AMMe, D 369).30 Lo schema compositivo, con piano terreno bugnato e due fasce murarie superiori forate da teorie di aperture rettangolari, qui presenta un’altra variante: il piano terreno è porticato ed è definito da un ordine dorico trabeato, inquadrato entro due archi su pilastro bugnati posti alle estremità. Un portico trabeato dorico – con colonne lisce e prive di base e con fregio risolto in angolo, more romano, con mezza metopa – sembra essere impiegato da Canonica solo in questo caso, probabilmente in ossequio al significato marziale associato alla piazza d’affaccio, dominata dal Castello Sforzesco, e all’intenzione di ricreare una quinta urbana che potesse in parte richiamare i fori di età romana. E come nella Casa Saroli e nella propria dimora, Canonica sfrutta l’aggetto della trabeazione per realizzare al piano nobile una balconata continua, schermata da balaustra di ferro battuto che nel contempo corona e sfuma verso l’alto la cornice dell’ordine. Nelle facciate degli edifici prospettanti sulle piazze subalterne e sulle contrade l’ordine è invece omesso: verso le piazze presentano al piano terreno botteghe e portici ad archi su pilastri, mentre verso le contrade il campo murario terreno è pieno, con registri regolari di finestre. Tali semplici modulazioni si adattano duttilmente a qualsiasi scelta 163 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino, oggi via Manzoni. adottata nella partizione degli interni, destinati all’affitto, la cui definizione è affidata completamente alla proprietà. Canonica si avvale dell’ordine completo anche quando l’edificio civile riveste un ruolo di particolare emergenza all’interno della quinta urbana, dovendo essere identificato con immediatezza come “fuoco”, eventualmente per l’importanza della sua funzione pubblica. In questi casi l’ordine è utilizzato come un motivo topico, che sottolinea alcuni punti o assi particolarmente rilevanti, ed è associato spesso al timpano andando a comporre il motivo della fronte di tempio, di cui è privilegiata la declinazione ionica. Con tali propositi e modalità, la fronte di tempio è adottata ad esempio nei teatri di Mantova, Cremona, Sondrio, ed è proposta, a Milano, a enfatizzare gli assi centrali di ingresso nel progettato Ateneo Bazar (AMMe, D 29 e D 449); privo del timpano, l’ordine è previsto anche in una variante per la facciata esterna del Pulvinare dell’Arena, omesso poi nella realizzazione (BC-AMMe, BC 431). 164 Il repertorio architettonico e decorativo Come si è cercato di mostrare, a fronte di modesti e limitati impieghi dell’ordine architettonico completo, le soluzioni adottate da Canonica negli alzati dell’edilizia civile e residenziale affidano essenzialmente le variazioni dello schema compositivo alle diverse combinazioni degli elementi architettonici, delle modanature e di pochi elementi decorativi. Grande cura è sempre dedicata al disegno del profilo superiore del prospetto, equiparato, come si è detto, alla trabeazione di un vero e proprio ordine, anche se privo dei piedritti. Diversi studi di dettagli attestano le numerose varianti previste, distinte, nelle differenti declinazioni, dalla presenza di dentelli, modiglioni e rosette di sottocornice, molteplici combinazioni di modanature. Nelle cornici esterne del Pulvinare dell’Arena e del Palazzo Greppi in corsia del Giardino possono riconoscersi trabeazioni ioniche ricollegabili a quelle proposte da Scamozzi. LA MILANO DI CANONICA Le sequenze delle aperture – con i loro profili e l’eventuale impiego di cappelli architravati, con o senza mensole, e di qualche sobria decorazione – accordate variamente con le diverse soluzioni degli sporti, concorrono poi a definire, come una sorta di abaco, l’espressione di ciascun piano e la soluzione complessiva, analoga ma sempre diversa, di ogni prospetto. Testimoniano tale attitudine progettuale, in cui con più evidenza si esprime la carica creativa di Canonica, i numerosissimi studi e disegni di dettagli, accompagnati spesso da sagome al vero, che completano i suoi progetti. Gli affacci dei balconi delle residenze di alta levatura collocati al piano nobile (presenti, si è già detto, anche in un ragguardevole stabile d’affitto, come la Casa Saroli) sono sempre schermati da parapetti marmorei con balaustri dal disegno classico – vicino a quello bramantesco – e sono appoggiati su mensoloni lapidei, mentre i parapetti metallici, sia a sporto (nell’edilizia di media levatura) sia a filo del muro (negli stabili d’affitto come nelle dimore nobiliari), sono tipicamente costituiti da una griglia sottilmente disegnata a rombi regolari, soluzione, anche questa, che ebbe una straordinaria diffusione. Gli intradossi delle mensole d’appoggio, a voluta o diritte, accoppiate o singole, presentano decorazioni fitomorfe (progetto per il Palazzo Greppi nella corsia del Giardino, BC 247) oppure tre scanalature, con due diverse terminazioni: con protome leonina (nella Casa Saroli, insieme con variante a gocce – AMMe, D 243 – e nell’esterno del Pulvinare dell’Arena) o con gocce (nel Palazzo Traversi nella corsia del Giardino), riprendendo e semplificando, in quest’ultimo caso, il motivo cinquecentesco delle men so le/triglifi adottato, ad esempio, da Sanmicheli nel Palazzo Bevilacqua a Verona. Nella balconata al piano nobile di uno stabile d’affitto – Casa Visconti di Modrone nella contrada dell’Agnello – la mensola/triglifo è ancora impiegata ma, coerentemente, in una versione semplificata priva di terminazione, mentre al terzo piano, di minore rilievo, è adottata una mensola del tutto sprovvista di decorazioni. Le soluzioni studiate per le teorie di finestre osservano una gerarchia ancora più rigida in relazione al piano in cui sono collocate e alla rilevanza dell’edificio, vedendo abbandonato l’uso del timpano incombente.32 Le aperture del piano nobile presentano sempre un cappello architravato, che nelle dimore patrizie appoggia su mensole a voluta con decorazioni fitomorfe e cartella centrale decorata (Palazzo Greppi in corsia del Giardino, progetto del Palazzo D’Adda, 8, D 183) o è costituito da una trabeazione contratta, con fregio decorato e cornice con dentelli (Palazzo Traversi); negli stabili d’affitto, invece, il cappello appoggia su semplici triglifi con terminazione a gocce (Casa Visconti di Modrone alle Asole) o è privo di sostegni e presenta un fregio liscio (Casa Saroli, Casa Visconti di Modrone in contrada dell’Agnello). Per le aperture dei piani superiori, sia nell’edilizia nobiliare sia in quella di tono minore, sono previste semplici riquadrature ed eventualmente, al secondo piano degli stabili d’affitto, poggioli lapidei sorretti da piccole mensole; nei fabbricati più modesti le finestre di sottotetto presentano spesso una variante ancora più austera, priva di cornice. Particolare attenzione è poi dedicata a decorazioni minute: ad esempio, per le luci delle botteghe al piede degli stabili d’affitto sono meticolosamente studiati gli ornamenti in ferro battuto degli architravi, risolti con misurati disegni geometrici che suggeriscono trame analoghe ma non uguali. Negli edifici di grande rilevanza Canonica mostra infine di prediligere, tra gli altri, il motivo ornamentale antico dei clipei che racchiudono bu- Particolare del clipeo con il busto di Ennio Quirino Visconti sulla facciata di Palazzo Greppi in via Manzoni. sti di personaggi illustri in alto rilievo. Tale decorazione, come già ricordato, era ampiamente diffusa negli esterni neoclassici lombardi, adottata ad esempio intorno al 1823 da Domenico Aspari nella Casa Pianca, da Gaetano Faroni nella Casa Beccaria, e da Simone Cantoni, che la impiegò a Como dapprima nella facciata verso il lago della Villa Olmo e in seguito nel prospetto del Liceo.33 Il motivo dei clipei, sperimentato da Canonica negli interni – ad esempio nel Salone delle Colonne del Palazzo Reale di Milano (1808; BC-AMMe, BC 366 e BC 240) o nella sala tetrastila della Villa Visconti a Besate (1822; AMMe, D 132 e D 435) – e previsto nel prospetto esterno della progettata nuova sala del Collegio Elvetico (1809),34 è infine adottato nella facciata del Palazzo Greppi nella corsia del Giardino (compiuta entro il 1833), contemplando una teoria di tondi, in asse con le aperture, tra le finestre del piano nobile e quelle del secondo piano. I clipei, che incorniciavano busti lapidei di esimi letterati, storici, artisti e scienziati italiani, alla cui esecuzione contribuì lo scultore Gaetano Manfredini,35 consentivano di elaborare una versione più sobria e misurata della soluzione del prospetto con ordine architettonico completo di piedritti, pure se ad essa in sostanza equivalente: significativamente limitati alla sola porzione padronale della facciata del palazzo, erano elementi decorativi facilmente inseribili nell’assetto dell’alzato e adatti, attraverso l’evidente richiamo all’antichità, a suggerire e sottolineare il rango della dimora. E proprio nella sequenza dei prospetti del corpo padronale del Palazzo Greppi, del suo più severo corpo dei servizi e dell’attiguo Palazzo Traversi sull’odierna via Manzoni, in una quinta-parete unitaria che si sviluppa per quasi un intero isolato, si possono ancora oggi rinvenire alcuni dei tratti più esemplificativi dell’evidenziata attitudine progettuale di Canonica, riconoscendovi, nonostante i cambiamenti avvenuti, lo schema compositivo, alcune modulazioni impiegate e gli elementi con cui furono declinate. 165 G IAN N I M E Z ZAN OTTE, I R E N E G I USTI NA Il primo paragrafo del presente saggio è di Gianni Mezzanotte, i successivi sono di Irene Giustina. 1. Alcune misure discusse o adottate dal Consiglio comunale nei primi decenni del secolo per ammodernare le strade della città sono state ricordate da V. Adami, Le strade di Milano al principio del secolo XIX, “Archivio storico lombardo”, a. II, 1937, fasc. 1-2, pp. 230-241. Allora furono considerate le possibilità di aprire piazze dietro, davanti e intorno al Duomo, lungo le corsie dei Servi, del Durino, del Giardino, di fronte a S. Lorenzo e presso la Scala, di isolare la chiesa di S. Sebastiano, di allargare la corsia dei Servi dalla corsia del Duomo alla via Montenapoleone. Quest’ultima iniziativa pubblica, la maggiore attuata in anni austriaci, fu realizzata da privati con successivi interventi conclusi alla metà del secolo dalla piazza e chiesa di S. Carlo, di Carlo Amati. Vi fu interessato – sia come membro della Commissione edilizia sia professionalmente – Luigi Canonica, che propose con Paolo Landriani nel 1816 un primo progetto d’insieme e vi eseguì la Casa Saroli; più tardi vi costruì la Casa Visconti di Modrone (1833-1834) e appoggiò, o ispirò, con Andrea Pizzala, un ordinamento della piazza del Camposanto (1840) diverso da quello eseguito (P. Arrigoni, La sistemazione del Corso e della Piazza posteriore al Duomo, nella prima metà del secolo XIX, “Città di Milano”, a. XLII, 30 giugno 1926, n. 6, pp. 191-197; G. D’Amia, Architettura e spazio urbano a Milano nell’età della Restaurazione. Dal tempio di San Carlo a piazza del Duomo, New Press, Como 2001, pp. 48, 136). Le norme che a partire dall’insediamento della Commissione d’Ornato (1807) hanno regolato l’aspetto delle cortine stradali fino alla metà del secolo – altezza di finestre, balconi e grondaie, mensole per poggioli e ringhiere, pitture delle facciate, collocazione dei pluviali, raccolta dell’acqua e dei rifiuti, serramenti di botteghe, sporti e ingombri e altro – sono raccolte in Gride, regolamenti, tasse e tariffe diverse tuttora in vigore nella Congregazione municipale per uso de’ possidenti, negozianti, esercenti, appaltatori, privati ec. ec. della Regia città di Milano, A. Lombardi, Milano 1850, capitolo “Fabbriche e strade”, pp. 111-200. 2. H. de Balzac, Le Père Goriot [Paris 1835], a cura di P. Citron, Garnier-Flammarion, Paris 1966, p. 24. 3. «Non avvi oramai strada, in cui una o più fabbriche di tal fatta non vi siano state innalzate» (A. Morselli, Cenno storico-filosofico sull’architettura, coi tipi di Omobono Manini, Milano 1834, p. 139). 4. H. de Balzac, Les petits bourgeois, (postumo, a cura di C. Rabou), CalmannLevy, Paris 1877, I, p. 3. Stendhal scrisse «Les Milanais ont trouvé une certaine proportion, remplie de grâce, entre les pleins et les vides de la façade d’une maison. L’on cite deux architectes, M. le marquis Cagnola […] et M. Canonica»; «...Sous Napoléon, il me semble que l’on a inventé, à Milan, pour les maisons particulières, une certaine architecture pleine de grâce. La façade du palais de la police Contrada Santa Margherita [l’antico convento omonimo, ammodernato] […] peut servir d’exemple. La distribution des croisées est gaie et gracieuse; les rapports des pleins et des vides est parfait; les corniches osent être saillantes» (Stendhal, Rome, Naples et Florence [Paris 1826], a cura di P. Brunel, Gallimard, Paris 1987, 27 octobre, 18 novembre 1816). Sui rapporti dello scrittore francese con la architettura di Milano sono esaurienti le annotazioni raccolte in A. Scotti, Itinerario nell’autocoscienza: Stendhal e l’architettura milanese, in Stendhal e Milano, atti del XIV Congresso Internazionale Stendhaliano (Milano 1980), L.S. Olschki, Firenze 1982, vol. II, pp. 789-800. Si veda anche O. Rossi Pinelli, L’iniziazione italiana di Stendhal nella Milano del Foro Bonaparte, in Stendhal a Milano 1982, pp. 777-788. 5. «Les rues de Milan sont les plus commodes du monde et sans crotte. Il y a longtemps dans ce pays-ci que l’on songe à ce qui est utile au simple citoyen» (Stendhal 1987, 5 dicembre 1816) Precedentemente aveva scritto: «Les rues de Milan sont aussi commodes que les nôtres sont dégoûtantes […] voyez les rues de Milan. Propreté parfaite, rouler doux pour les voitures, marcher doux pour les piétons, et cependant à Milan on n’a que des cailloux […] quand j’aurais voulu me crotter je ne l’aurais pas pu» (Stendhal, Journal d’Italie, publié par P. Arbelet, Calmann-Lévy, Paris 1911, pp. 129 e 132, 9 e 10 settembre 1811). Il rapporto soddisfacente tra l’architettura e il pubblico comporta scelte edilizie poco appariscenti, ma formalmente efficaci e anche utili. Stendhal riconosce quest’ultima qualità particolarmente alla contrada dei Due Muri, laterale alla piazza del Duomo, dove Canonica aveva appena allestito il Teatro Re. Le strade di questa città conservano un posto anche nei ricordi stesi nel 1832, quando con uno schizzo descrive la corsia di Porta Nuova, e indica la parte interrotta della fronte del Palazzo D’Adda progettata da Canonica. Visitando quel palazzo – scrive – «J’était ravi, c’était pour la première fois que l’architecture pro- 166 duisait son effet sour moi […] Milan a été pour moi de 1800 à 1821 le lieu où j’ai constamment désiré d’habiter» (Stendhal, Vie de Henry Brulard, a cura di B. Didier, Gallimard, Paris 1973, cap. 47, pp. 431, 432). Commentò più tardi il milanese “Giornale dell’ingegnere, architetto e agronomo”: «le nostre contrade, scevre di quell’acerbo contrasto che incontrasi altrove dall’orgoglio di cento palazzi fra mille tuguri […] presentano allo straniero quell’aspetto uniforme di novità e quell’aria di agiatezza che lo sorprendono e lo allettano» (Dei palazzi di Milano e della nuova casa Poldi Pezzoli, “Giornale dell’ingegnere, architetto ed agronomo”, vol. II, agosto 1854, p. 82). 6. M. Praz, Architettura neoclassica in Lombardia, in id., Gusto neoclassico, 3a ed. aggiornata e notevolmente accresciuta, Rizzoli, Milano 1974, p. 152. 7. Quei modi furono contrastati da visionari e celebrativi e poi sopraffatti dai critici romantici assai prima della metà del secolo. Giuseppe Caselli lamentò nel 1827 che «la faccia di Milano» fosse «dannata all’inconveniente dell’uniformità», pur apprezzando l’antesignana “graziosa” Casa Melzi a Porta Nuova (G. Caselli, Nuovo ritratto di Milano in riguardo alle Belle Arti, co’ tipi di Francesco Sonzogno, Milano 1827, pp. 239-246). Della «noia inseparabile dalla monotonia degli edifici di molta estensione ed insieme di estrema semplicità» diffusi nell’abitato si rammaricarono nel 1834 (Morselli 1834, p. 138) e poi Giulio Ferrario riferendosi a un’opera di Canonica modificata da Girolamo Arganini, la fronte della Casa D’Adda, ancora a Porta Nuova (G. Ferrario, Memorie per servire alla storia dell’architettura milanese dalla decadenza dell’impero romano fino ai nostri giorni, Tipografia Bernardoni, Milano 1843, pp. 141-142). Condivise il parere anche Luigi Tatti, sostenendo come in città nei primi decenni del secolo si fosse diffuso «un genere sobrio, regolare, uniforme, senza impronta individuale, ed in cui i posteri forse lamenteranno la mancanza di originalità », e ricordando come si fosse offerto quasi «un meccanismo, comodissimo a chi manca di genio» contribuendo a «diffondere [...] un amore universale di regolarità, un certo senso di euritmia ed una tal quale emulazione fra la moltitudine: donde quella generale lindura che si scorge anche ne’ minori fabbricati, la quale talvolta, sotto la mano di qualche privilegiato artista, seppe raggiungere anche l’eleganza» (L. Tatti, Edifizii. Vicende dell’architettura, in Milano e il suo territorio, a cura di L. Litta Modignani, C. Bassi, A. Re, tipografia Pirola, Milano 1844, vol. II, pp. 300-301). Su la «sazievole monotonia», il «freddo, liscio e monotono canone», l’assenza di «ogni lampo d’originalità» si esercitò la locale opinione successiva, accompagnando la progressiva scomparsa di quella edilizia e degli ambienti da essa creati (da A. Caimi, Delle arti del disegno e degli artisti nelle province di Lombardia dal 1777 al 1862, Luigi e Giacomo Pirola, Milano 1862, pp. 21-27, a C. Cantù, Milano. Storia del popolo e pel popolo, Tipografia e libreria Ditta Giacomo Agnelli, Milano 1871, p. 295). 8. I pareri espressi in queste note si richiamano alle pagine dedicate a Canonica in Mezzanotte 1966; giudizi sottolineati da M. Praz, Neoclassico lombardo, “Il Tempo”, 15 marzo 1967 e Praz 1974, pp. 152-154, e ripetuti dalla letteratura successivamente dedicata al neoclassico milanese. In particolare nell’ordinamento della «parete forata priva o quasi di aggettivazioni plastiche» Paolo Portoghesi ha riconosciuto uno dei temi coltivati dalla creatività neoclassica (P. Portoghesi, Rileggere il neoclassicismo, in L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978, pp. 7-8). 9. Tatti, II, 1844, p. 300. 10. C. Cattaneo, Nota ad un articolo del sig. Filarete Chasles nei Débats del 27 ottobre 1842, “Il Politecnico”, I s., vol. V, 1842, fasc. 30, p. 595. 11. Sulle vicende e sulle responsabilità del controllo urbano tra Sette e Ottocento si veda, anche per gli ampi riferimenti bibliografici, G. Ricci, Milano: la regola e la città, in A. Castellano (a cura di), Civiltà di Lombardia, vol. IV, La Lombardia delle riforme, Electa, Milano 1987, pp. 183-208. 12. Tatti, II, 1844, p. 300. 13. D. Sacchi, Dell’indole e dello stato attuale delle arti del disegno in Lombardia, “Il nuovo Ricoglitore”, marzo 1833, n. 99, pp. 163-164. 14. C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle Belle Arti e delle sacre, e profane antichità milanesi, nella stamperia Sirtori, Milano 1787, pp. 406407: «[...] Fabbricato nella presente grandiosa forma con facciata ne’ rigorosamente bella, ne’ finita ancora dalla estinta Illustre Famiglia Secchi Borelli nel principio di questo secolo, ed ora ridotta a comoda, ed elegante forma nell’interno dall’Ecc.mo Marchese Maggiordomo Maggiore della Reale Arciduchessa con la direzione del giovine Luigi Canonica scolare del Piermarini. Il nostro Andrea Appiani, che ne ha abbellito un Gabinetto facendovi Amore, che vittorioso LA MILANO DI CANONICA ritorna in Cielo, stà ora dipingendo a fresco nella bella camera per i pranzi la domestica ordinaria Tavola di Giove. Abbiamo ogni ragione di credere che farà onore a se, ed al luogo. Fra non molto qui saranno i bei quadri di Casa D’Adda». 15. Per le vicende relative a queste residenze urbane, come anche per gli interventi di minore entità, si vedano le relative schede in questo volume. 16. Sacchi 1833[a], pp. 165-166. 17. A.M. Brizio, Storia universale dell’arte, vol. VI, Ottocento-Novecento, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1962, pp. 52-53, 64; G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966, pp. 281 e 284. 18. Se porticato, il piano terreno assume in genere il disegno ad arcate centinate sorrette da pilastri. Solo nel caso delle fronti delle case sulla Gran Piazza del progetto del Foro Bonaparte il porticato prende la forma di un colonnato trabeato. Su questo tema si tornerà più avanti nello scritto. 19. Il motivo della fronte di tempio si ritrova ad esempio nei progetti dell’Ateneo Bazar, della sede dei Luoghi Pii Riuniti, in una variante per la Casa Miniscalchi a Verona, e nei prospetti di diversi edifici teatrali realizzati. 20. Fanno eccezione i Luoghi Pii Riuniti, con fasce bugnate laterali, e il Palazzo Resta, con modestissimi aggetti laterali dotati di riquadrature a fasce, anche se in questi casi l’attribuzione a Canonica non è certa; il bugnato d’angolo del Palazzo D’Adda, oggi visibile, è invece una aggiunta tardo ottocentesca. 21. La rispondenza tra il progetto di Canonica e l’eseguito può oggi ravvisarsi, infatti, solo nel prospetti del Palazzo Greppi e del Palazzo Traversi (pure se con qualche differenza dal progetto, oggi conservato a Bellinzona, ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 14), siti entrambi nella corsia del Giardino (l’attuale via Manzoni), oggi sedi bancarie profondamente rimaneggiate nel tempo. Le numerose altre dimore aristocratiche progettate, in tutto o in parte, da Canonica, ancora esistenti, oggi esibiscono prospetti che o non sono riconducibili con certezza all’intervento del ticinese, o che, pur essendo a lui, interamente o in parte, ascrivibili, hanno subito, nel tempo, cospicue alterazioni. Sono questi i casi, ad esempio, del Palazzo Resta (nell’odierna via Conservatorio, oggi sede universitaria) o del Palazzo D’Adda (sull’attuale via Manzoni, ora in prevalenza destinato a uffici), che hanno raggiunto la loro globale consistenza con un contributo di Canonica certo, anche se in parte imprecisato. I documenti grafici, tuttavia, consentono di stabilire che il prospetto del Palazzo Resta, pur ponendo problemi cronologici e attributivi, può plausibilmente rispondere a un’idea di Canonica: la presenza di un suo disegno per il portone di ingresso del palazzo, ancora oggi perfettamente riconoscibile, e la documentata presenza del ticinese nella lunga vicenda edilizia della dimora, degli arredi e del giardino depongono a favore anche di una sua proposta per la soluzione dell’alzato, pure se non è nota. Numerosi schizzi e progetti permettono inoltre di conoscere le proposte di Canonica per la facciata del Palazzo D’Adda, realizzata poi in difformità dal progetto e molto rimaneggiata nella seconda metà del XIX secolo. Non si hanno invece elementi per stabilire se le esistenti facciate di altre dimore nobiliari in cui, stando ai documenti noti, Canonica è, o potrebbe essere, intervenuto (come ad esempio i palazzi Porcari Amman in via Boito, Cagnola in via Cusani, Perego in via Borgonuovo), siano state ideate dal ticinese e costruite conformemente al progetto. Canonica dovette interessarsi anche al riordino del prospetto del Palazzo Visconti di Modrone in contrada della Cerva, ma l’edificio è scomparso e i disegni, per altro riguardanti un rimaneggiamento, non possono avere riscontro. È noto anche un progetto del prospetto della Casa Rota a Milano, ma vi sono consistenti dubbi sull’autografia di Canonica. Su tutti gli edifici citati si vedano le relative schede in questo volume. 22. Mezzanotte 1966, pp. 178-179. La casa fu decorata con le sculture recuperate dalla demolita Porta Romana; aveva paramento di mattoni a vista, bugnato angolare, timpani incombenti sulle finestre. 23. Gli edifici sono tutti scomparsi nel XX secolo. I prospetti sono documentati da disegni autografi di Canonica, conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio. Sulle vicende progettuali e edilizie di questi immobili si vedano, più avanti, le relative schede di Irene Giustina. 24. Sul dibattito e la realizzazione della rettifica della corsia dei Servi, anche per ulteriori ed estesi riferimenti bibliografici, si veda D’Amia 2001. 25. Un’ulteriore variante di questo motivo si trova nel piano terreno bugnato del prospetto della Fabbrica dei Tabacchi (BC-AMMe, BC 405), ove è una teoria di finestre rettangolari sormontate da piattabanda e sopraluce semicircolare con concio di chiave in rilievo. Modulato ancora diversamente, con finestre alternate a porte rettangolari sormontate da architrave e sopraluce semicircolare con conci centrali in rilevo, il motivo è presente anche nel prospetto esterno dell’Arena. 26. Mezzanotte 1966, fig. 269; A. Dallaj, C. Mutti (a cura di), Il fondo Amati del Castello Sforzesco, vol. II, Marsilio, Venezia 1998, pp. 181-182. 27. La modulazione del prospetto del Palazzo Traversi verso la corsia del Giardino è molto simile a quella della Casa Cagnola in contrada Cusani, in cui Canonica risulta aver lavorato nel 1813; la scarsità di documenti od oggi noti non consente però di stabilire con precisione il contributo di Canonica e il progetto della facciata della Casa Cagnola è attribuito a Pietro Pestagalli, datato al 1824 (Mezzanotte 1966, p. 297). Su questi edifici si vedano le relative schede di Irene Giustina contenute in questo volume. 28. I fregi «che ornano la facciata dell’elegantissima» Casa Traversi sono attribuiti da Defendente Sacchi allo scultore Giacomo Buzzi-Leone; si veda D. Sacchi, Nuove opere d’architettura eseguite in Brescia, “Il nuovo Ricoglitore”, n. 108, dicembre 1833, p. 823. Sono rilevabili tuttavia cospicue difformità tra le decorazioni del fregio, la fascia marcapiano e le balaustre marmoree dei balconi previste nel già citato progetto della facciata, conservato a Bellinzona, e quelle attualmente visibili, ma non è dato di sapere se queste siano il frutto di cambiamenti voluti da Canonica, se siano state realizzate al di fuori del suo controllo, o se siano state oggetto di più tarde modifiche. 29. La facciata del Palazzo Reale è risolta, tuttavia, con caratteri monumentali e retorici, presentando un’accentuata simmetria, un aggetto della parte centrale e una maggiore plasticità attraverso l’uso di semicolonne; inoltre, lo sviluppo dell’ordine è inquadrato ai margini da piedritti binati, le semicolonne appoggiano su un piedistallo continuo, il piano nobile presenta una teoria di balconi e tutti gli sporti sono definiti da balaustre marmoree, compresa la balconata dell’attico appoggiata sulla trabeazione. Le basi dell’ordine ionico, infine, sono attiche. Sul progetto, non realizzato, e sulle relative nuove precisazioni cronologiche qui riportate, si veda la scheda di Giuseppe Stolfi in questo volume. 30. Su Foro Bonaparte si veda più avanti la scheda di Gianni Mezzanotte. 31. Il motivo della fronte di tempio è rinvenibile anche nei disegni di progetto per la facciata del Palazzo Miniscalchi a Verona, datato al 1832 (AMMe, D 323 e D 319), e del Palazzo Vertova Brentani a Bergamo, datato al 1803-1804, poi non eseguito (AMMe, D 238); una doppia fronte di tempio si riscontra anche nel prospetto dei Luoghi Pii Riuniti a Milano (BC-AMMe, BC 413), ma incerta è l’attribuzione a Canonica. Per le datazioni e le vicende di questi progetti si vedano le relative schede in questo volume. 32. Il timpano incombente sulle finestre non è un motivo che Canonica sembra prediligere. Nell’edilizia residenziale urbana si ritrova, ad esempio, solamente in uno studio di variante del prospetto della Casa Visconti di Modrone alle Asole (AMMe, D 241), mentre i timpani attualmente presenti sulle aperture del piano nobile del Palazzo D’Adda sono stati introdotti nel tardo XIX secolo (si veda la relativa scheda). 33. Il progetto del Liceo risale al 1804 e la facciata fu completata tra il 1812 e il 1816; cfr. Mezzanotte 1966, p. 294; N. Ossanna Cavadini, Simone Cantoni architetto, Electa, Milano 2003, pp. 301-308. Il progetto per il prospetto della villa risale al 1782-1783, cfr. ibidem, p. 195. 34. Sulle datazioni, qui riportate, le vicende progettuali e gli interventi di Canonica nel Palazzo Reale e nel Collegio Elvetico, si vedano le schede contenute in questo volume a cura di Giuseppe Stolfi e di Riccardo Bergossi. Il prospetto della progettata nuova aula del Collegio Elvetico è conservato presso la Raccolta Bertarelli di Milano (RB 2353); clipei decorativi si ritrovano anche in una sezione sul cortile del Collegio proposta da Canonica (AMMe, D 8), analizzata nella relativa scheda in questo volume. 35. I clipei della facciata del Palazzo Greppi ospitano, da sinistra a destra, le figure di Alessandro Volta, Pietro Verri, Vincenzo Monti, Andrea Appiani, Cesare Beccaria, Leonardo Da Vinci, Maria Gaetana Agnesi, Antonio Canova, Giuseppe Parini, Giovanni Antonio Lecchi, Ennio Quirino Visconti; il progetto è documentato in AMMe, D 302. Il busto del Visconti, come si evince dalla documentazione (AMMe, Fondo Canonica, XL, 523), fu modellato dallo scultore Gaetano Manfredini, entro il novembre 1830, dietro un compenso di 100 lire milanesi. I busti erano realizzati in pietra di Viggiù, materiale locale facilmente lavorabile ed assai economico, che dunque facilmente si prestava ad accrescere il decoro della facciata incidendo però in modesta misura sull’economia della fabbrica. Il motivo dei clipei decorativi fu altre volte impiegato da Canonica nei progetti della facciata della Casa Miniscalchi a Verona (1822; AMMe, D 323) e dell’Ateneo Bazar a Milano (AMMe, D 29, su cui si vedano le relative schede più avanti nel volume). 167 Progetto per la facciata di Palazzo Greppi in corsia del Giardino, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 8, BC 247. Catalogo dell’opera Palazzi e residenze urbane le aperture del piano nobile. Una leggera accentuazione dell’asse centrale è ottenuta sovrapponendo al portone centinato d’ingresso, con concio in chiave decorato, il balcone centrale con parapetto di pietra appoggiato su mensoloni a voluta. Unica deroga alla semplicità della soluzione della parte superiore del prospetto è costituito dai cappelli architravati collocati su mensole a voluta e decorati con festoni che arricchiscono le aperture del piano nobile. Al secondo piano, porte-finestre con semplici mostre unite al piede da una bassa cornice marcapiano, sono schermate da ringhiere metalliche a filo del muro. Sul prospetto adiacente a quello illustrato nel disegno si scorge al piano nobile l’aggetto di un altro balcone. Casa Agnesi, contrada di Sant’Andrea, Milano s.d. La presenza di una planimetria della Casa Agnesi tra le carte dello studio Canonica (D 286) documenta un possibile legame tra questo edificio e l’architetto. Tuttavia, date l’esiguità delle informazioni deducibili dal disegno, di dubbia autografia e privo di datazione, e la difficoltà nel reperire notizie utili sull’immobile o sulla committenza, non è possibile precisare con chiarezza l’effettivo ruolo svoltovi da Canonica. Il disegno illustra la planimetria dell’edificio; sembra di potervi leggere un rilievo cui è sovrapposta, tratteggiata, in alto al centro e a destra, una possibile variante di ampliamento. L’impianto dell’edificio si estende su un lotto molto profondo, articolato intorno a due corti centrali di perimetro irregolare, parzialmente porticate, e concluso sul retro da un piccolo giardino delimitato da muri rettilinei di confine. Il vestibolo d’ingresso è affiancato sulla destra da locali di servizio, che si allungano su cinque campate. I diversi corpi edilizi sono distinti dalla presenza di semplici corpi-scala, mentre la scala principale, su pianta all’incirca quadrata con tromba centrale, sembra aprirsi al centro a sinistra, sulla corte maggiore. Disegni [Luigi Canonica], Pianta del piano terreno, rilievo e progetto [?], s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 286. (i.g.) Casino Rota sul Naviglio di Porta Nuova, Milano s.d. Un disegno conservato presso l’Archivio del Moderno (D 44), siglato “LC”, illustra il prospetto parziale dell’edificio, limitato alle cinque Disegni [Luigi Canonica?], «Facciata del Casino del Nobile Signor Don Giacomo Rota situato lungo il Naviglio di Porta Nuova presso i Giardini Pubblici», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 44. Bibliografia L’età neoclassica in Lombardia 1959, p. 78; Patetta, Parisi 1995, pp. 81, 83. (i.g.) Palazzo Visconti di Modrone, contrada della Cerva, Milano s.d. [Luigi Canonica?], «Facciata del Casino del Nobile Signor Don Giacomo Rota situato lungo il Naviglio di Porta Nuova presso i Giardini Pubblici», Milano, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 44. campate d’angolo. Il foglio, di dubbia attribuzione, potrebbe far ipotizzare un intervento progettuale di Canonica finora non evidenziato da altre fonti documentarie. La facciata, elevata su tre piani più il seminterrato, è caratterizzata da un rivesti- mento bugnato al piano terreno e da due piani superiori con aperture inquadrate, nelle campate alle estremità, da doppie lesene a fascia appoggiate sul marcapiano posto tra piano terreno e piano nobile corrispondente in altezza ai parapetti del- L’identificazione dell’edificio illustrato nei fogli D 433, D 185, D 112, D 208 conservati nel Fondo Canonica presso l’Archivio del Moderno è piuttosto problematica. Gli scarsi riferimenti rinvenibili sui fogli permettono d’individuare con certezza solamente la proprietà dell’immobile, del duca Visconti di Modrone, e la generica collocazione del palazzo, sul «terraggio» lungo il tratto del Naviglio interno detto di San Damiano. È noto che i Visconti di Modrone risie- 169 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A devano a Milano nel cospicuo palazzo in contrada della Cerva 351 (oggi via della Cerva 28), che si ergeva su un’area dell’antico terraggio affacciato verso il tratto di Naviglio detto appunto di San Damiano. Gravemente colpito dalle incursioni aeree del 1943, il palazzo fu interamente demolito e sostituito con una nuova costruzione. In assenza di attendibili dati archivistici, non rimangono sicure tracce della sua originaria conformazione; lo stato dei suoi prospetti verso la contrada della Cerva e verso il Naviglio nel primo Settecento è noto attraverso le vedute di Marc’Antonio Dal Re (Milano nel Settecento 1976, pp. 82-83). Con tale debole impalcato documentario non è possibile stabilire una esatta rispondenza tra l’edificio illustrato nei disegni di Canonica e il Palazzo Visconti di Modrone in contrada della Cerva. Nei Registri catastali conservati nell’Archivio di Stato di Milano è del resto attestato che, intorno al palazzo in cui risiedevano i duchi, lungo la contrada della Cerva e la contrada denominata «terraggio di San Damiano» (l’odierna via Ronchetti) – che si innestava, piegando ad angolo, nella contrada della Cerva –, vi era una grande concentrazione d’immobili di proprietà dei Visconti di Modrone (ASMi, Registri Catastali, 2629 e Sommarione dei possessori a tutto il 1838, 2630; dati confermati complessivamente ancora nella “Guida Savallo” (Milano 1896). In quella zona erano altresì numerosi gli immobili appartenenti ad altri rami della famiglia Visconti (Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 1006-1008; Bascapè 1977), con conformazione originaria (molti furono quasi interamente ricostruiti dopo i bombardamenti del 1943) e avvicendamenti di proprietà nell’ambito della stessa famiglia ancora oggi non completamente chiariti. Non si può escludere, dunque, che il palazzo raffigurato nei disegni di Canonica possa essere stato un immobile allora di proprietà dei Visconti di Modrone collocato a fianco o nei pressi di quello in cui la famiglia risiedeva, e ora non più riconoscibile nel contesto edilizio e urbano profondamente mutato nel secondo dopoguerra. Nei fogli sembra plausibile riconoscere un progetto di rifacimento parziale di un edificio preesistente, con l’interessamento di parte di un immobile attiguo, ma non è dato di sapere se il progetto sia stato in tutto o in parte eseguito. Gli stabili, di cui sono raffigurati i prospetti verso il «terraggio» e verso il Naviglio e una 170 Palazzo Visconti di Modrone, contrada della Cerva, Milano, prospetto parziale verso il Naviglio interno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 185. sezione, sono articolati su tre piani fuori terra con ammezzati, ma presentano quote d’interpiano differenti. Può essere di qualche rilievo sottolineare che la compagine del prospetto verso il Naviglio dell’edificio attiguo a quello interessato dal progetto di Canonica (raffigurato a sinistra nel foglio D 185), è molto simile a quella del prospetto del Palazzo Visconti di Modrone illustrato nella veduta settecentesca di Dal Re, con il doppio registro di aperture riquadrate, ammezzato intermedio e fasce marcapiano. L’edificio si sviluppa su tre piani fuori terra e presenta un impianto a U. La facciata verso il terraggio presenta al centro un portale centinato decorato con bugne di lunghezza alterna e un impaginato ordinato con tre serie di semplici finestre rettangolari su poggiolo; mentre il portone sembra essere una preesistenza, riconducibile al gusto diffuso tra il XVII e il primo XVIII secolo, le aperture sembrano il frutto di una regolarizzazione neoclassica vicina a soluzioni spesso adottate da Canonica. Verso il Naviglio, l’edificio presenta un piano terreno bugnato, distinto da un portico ad archi su pilastri, e due registri di semplici finestre nei piani soprastanti; il portico si snoda su tre arcate (più due contratte, architravate e con sopraluce, ai lati) al centro della facciata e su due campate nella profondità delle ali protese verso il Naviglio. Considerando che in letteratura è ricordato che nel Palazzo Visconti di Modrone, probabilmente dopo il 1750, si dovettero alzare due ali distese verso il canale a chiudere il giardino (Mezzanotte, Bascapé 1948, p. 1008), potrebbe rafforzarsi l’ipotesi che il progetto di Canonica riguardi il rifacimento o del corpo centrale della residenza dei Visconti di Modrone in contrada della Cerva, o di un edificio attiguo a uno dei bracci del nobile palazzo. Nel Fondo Canonica (AMMe, XLVI, 573) è presente, inoltre, un fascicolo sulle «opere da eseguirsi per la ricostruzione e riattamento della casa di ragione di s.e. ill. sig. duca Visconti di Modrone posta sul terraggio di S. Damiano»: le carte si riferiscono a un progetto, redatto in «5 tipi» da Luigi Canonica, a cui l’appaltatore delle opere avrebbe dovuto attenersi. Doveva trattarsi del rinnovamento complessivo, dai fondamenti sino al tetto, di un edificio ubicato nel terraggio di San Damiano (la generica indicazione poteva quindi riferirsi sia alla contrada della Cerva, sia al «terraggio» propriamente detto). Non vi sono dati certi che permettano di collegare il documento agli immobili illustrati nei disegni del Fondo Canonica. Un unico riferimento ai «due pilastri isolati del portico e spalle laterali», rivestiti di lastre di ceppo, consente di stabilire un possibile nesso con il prospetto del piano terreno verso il Naviglio, porticato e bugnato, dell’edificio illustrato nel foglio D 185. Un altro documento conservato nel Fondo Canonica (AMMe, XLVI, 583) riporta il preventivo di Pietro Balzarini per diver- se opere di muratura, riferite alla demolizione e al rifacimento di un edificio di proprietà Visconti di Modrone, ma, ancora, non è possibile individuare con precisione l’immobile, considerando anche che Canonica lavorò in numerosi edifici di proprietà della stessa nobile famiglia, sia a Milano sia fuori città (si vedano le schede in questo volume). A Mendrisio si conservano, infine, diversi disegni di Canonica relativi ad arredi fissi e mobili e riferiti all’edificio sul «terraggio»: questi potrebbero essere plausibilmente collegabili con il progetto elaborato per i Visconti nel «terraggio di San Damiano», attestandone la notevole ampiezza di scala. Disegni Luigi Canonica, Prospetto parziale verso il terraggio di San Damiano [contrada della Cerva?], s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 433. Luigi Canonica, Prospetto parziale verso il Naviglio interno, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 185. Luigi Canonica, Prospetto laterale e sezione longitudinale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 112 Luigi Canonica, Modano per gronda, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 208. Bibliografia Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 1006-1008; Milano nel Settecento 1976, pp. 82-83; Bascapè 1977. (i.g.) PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E Palazzo Candiani, strada Risara, Milano s.d. Tra i disegni del Fondo Canonica (D 341) è conservata una planimetria del complesso di edifici che componevano il settecentesco Palazzo Candiani, ancora oggi esistente e corrispondente al numero civico 4 di via Palestro, adiacente i giardini della Villa Reale. La disposizione planimetrica (D 341) è la medesima raffigurata nella carta degli Astronomi di Brera e comprende anche l’area delle scuderie che si estendevano verso il Seminario della Canonica e l’attuale piazza Cavour (oggi scomparsi e sostituiti dal Centro Svizzero). Relativamente all’intervento di Canonica non si hanno però altre tracce: il palazzo del conte Giuseppe Candiani fu realizzato probabilmente tra il 1764 e la metà degli anni Settanta come documenta una serie di permessi rilasciati dall’Amministrazione comunale (ASCMi, Località Milanesi, 192). In seguito alla costruzione della Villa Belgioioso fu rettificata e pavimentata la via Risara (via Palestro) anche con il contributo dei Candiani e dei Dugnani. La proprietà del palazzo è successivamente intestata al conte Francesco Bulgarini nel 1825 (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 49), Luigi Confalonieri (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 50) e infine a Egidio e fratelli Gavazzi che, acquisendo la proprietà, commissionarono nel 1862 il rifacimento e il sopralzo dell’attuale facciata a Giuseppe Balzaretto, mentre la ricostruzione di quella su piazza Cavour era avvenuta l’anno precedente (ASCMi, Piano Regolatore, 1515). Il foglio attribuibile a Canoni- ca riporta alcuni tratti a matita che suggeriscono l’idea di costruzione di nuovi edifici a fianco delle stalle e in prossimità dell’atrio biconco delle stesse. Disegni [Luigi Canonica], Planimetria generale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 341. (f.r.) Palazzo Orsini, contrada del Borgo Novo 1522, Milano [ante 1787-1805] Il Palazzo Orsini (oggi in via Borgonuovo 11), nella sua composizione attuale, è il risultato di una complessa vicenda costruttiva, che a partire dalla seconda metà del Seicento si è prolungata fino al XX secolo, in particolare con consistenti interventi datati agli anni Cinquanta e Novanta (per la vicenda edilizia si veda Avanzini 1998-1999). L’inizio della costruzione del palazzo si deve alla famiglia nobile dei Seccoborella, feudatari di Vimercate. Nel settimo decennio del Seicento si decise di unire le fabbriche insistenti su due lotti confinanti nella via Borgonuovo per dare origine a un unico complesso e costruire una «casa da nobile». Giovan Battista Seccoborella e i suoi successori furono gli artefici della composizione del palazzo nelle forme e nei modi caratteristici del periodo e legarono le sorti del palazzo a quelle della famiglia. Nel 1750 il palazzo, di grande prestigio, fu comprato dal marchese Giulio Gregorio Orsini per farne la propria [Luigi Canonica], Palazzo Candiani, Milano, planimetria generale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 341. residenza. Egli vi eseguì sicuramente ampi lavori di ristrutturazione poiché nel 1756 l’edificio era indicato nei documenti come «fabrica che sta facendo». I lavori interessarono sia le strutture che gli apparati decorativi e adeguarono la decorazione delle sale al nascente gusto neoclassico, in un susseguirsi continuo d’interventi fino agli anni Ottanta del Settecento. Interessante è la serie di busti monocromi, affrescati nella volta del grande salone centrale al primo piano dell’ala verso il giardino, databile anteriormente al 1763, che convive nella stessa volta con un grande ovale tipico del barocchetto settecentesco. Una successiva fase d’interventi venne attuata nella fabbrica dalla famiglia Orsini, in particolare da Egidio Gregorio. Questa fase si può datare a partire dai primi anni Ottanta del Settecento e prosegue fino ai primi due decenni dell’Ottocento. Gli appartamenti subirono un primo riordino da parte di Egidio Gregorio in occasione della nascita, nel 1785, dell’ultimogenita e del matrimonio, due anni dopo, del primogenito Giulio Gregorio Gaetano. In questo momento deve essere collocata la collaborazione di Luigi Canonica, testimoniata anche nella Nuova guida di Milano dell’abate Carlo Bianconi (Bianconi 1787, p. 456). Alla bibliografia consolidata, che ascrive il rinnovamento neoclassico del palazzo alla mano di Canonica si aggiungono ora inediti documenti archivistici, che consentono di precisare alcuni contorni dell’intervento del ticinese (Archivio Orsini Pio Falcò già nella Villa Mombello di Imbersago, oggi non consultabile; il re- gesto è in Avanzini, 1998-1999). Con certezza, nel 1797 Luigi Canonica seguì diversi lavori di riordino del grande giardino retrostante il palazzo, a cui è collegabile anche un disegno, di mano dello stesso, che ne rappresenta i confini (Archivio Orsini Pio Falcò). Il disegno fu redatto in occasione di lavori per un riassetto complessivo del giardino, con la demolizione di piccoli edifici di servizio e una nuova piantumazione di alberi e arbusti. Interessante è la nota che emerge dai documenti, da cui risulta che Egidio Gregorio Orsini diede incarico all’abate Bianconi, durante un periodo di sua assenza, di controllare i giardinieri che si occupavano delle nuove piantumazioni. In occasione del matrimonio della figlia di Egidio Gregorio, Beatrice, che nell’aprile del 1804 sposò Antonio Valcarzel Pio Savoia y del Povil, venne dato all’architetto ticinese un nuovo incarico: lo studio di un progetto per realizzare un gabinetto nell’appartamento femminile di Beatrice, nel quartiere della casa in angolo verso il giardino confinante con il palazzo oggi al numero 9 della via Borgonuovo. Canonica propose un primo progetto a pianta rettangolare, che venne superato – anche per risolvere problemi con la proprietà confinante – da un ulteriore progetto a pianta ovale di particolare e felice impostazione architettonica. I disegni di entrambi i progetti sono inediti e anch’essi conservati nella parte di archivio della famiglia Orsini Pio Falcò, già nella Villa Mombello a Imbersago. La soluzione architettonica del progetto del piccolo locale si lega alle scelte decorative in modo così riuscito che l’effetto reso è di grande unitarietà e chiarezza, ma nello stesso tempo di varietà e ricchezza di colori, forme e materiali, benché assolutamente equilibrato. Risalendo al maggio 1805 gli accordi con la proprietà confinante, ai cui atti sono allegati i disegni di Canonica, si può dedurre che questa sia la data di progetto del gabinetto ovale e che la sua realizzazione sia avvenuta nello stesso anno o sia di poco più tarda. Antonio Valcarzel, marito di Beatrice, venne prematuramente a mancare nel 1814, e anche in questa occasione la famiglia chiese a Luigi Canonica una collaborazione per disegnare un catafalco per la cerimonia funebre. Nel 1819 il palazzo venne lasciato in eredità a Beatrice che, senza prole, raccolse attorno a sé, in Italia, i giovani nipoti del defunto 171 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A marito. Nell’Ottocento è quindi la famiglia dei Valcarzel Pio Falcò che fece dell’edificio in Borgonuovo la propria residenza, dandogli un unitario e definitivo assetto e adattandolo al gusto ottocentesco. Il palazzo era affittato sia a nobili, sia a facoltose famiglie borghesi, ed era pertanto frazionato in più appartamenti. A interventi databili al 1828 e inerenti soprattutto un miglior utilizzo dei collegamenti verticali e la creazione di ammezzati e sopralzi, collaborò attivamente l’architetto Gerolamo Arganini, già altre volte a fianco di Luigi Canonica. Solo successivamente alla morte di Beatrice, nel 1861, si intrapresero più importanti lavori di ristrutturazione generale, affidati all’architetto Clerichetti, che delineò anche la nuova facciata e unì in un unico disegno i differenti fronti delle proprietà precedentemente accorpate. L’ultimo erede Falcò, senza discendenti, vendette nel 1917 il palazzo a una società industriale. Da allora, passando più volte di mano, l’edificio è rimasto fino a oggi patrimonio immobiliare di aziende lombarde. Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, 1797; Archivio Orsini Pio Falcò. Luigi Canonica, Progetto per un gabinetto, [1805]; Archivio Orsini Pio Falcò. Luigi Canonica, Progetto per un gabinetto ovale, [1805]; Archivio Orsini Pio Falcò. Bibliografia: Bianconi 1787, p. 456; Pirovano 1822, p. 288; Caffi 1885, p. 84; Bascapè 1945, pp. 195-196; Bascapè, Perogalli 1964, p. 228; Mezzanotte, Bascapè 1968, pp. 440-441; Parisi 1995, p. 63; Avanzini 1998-1999; Colle 2001[c], pp. 251-259. (a.a.) Appartamento di Cesare Roma, presso Monforte, Milano 1789 Le carte conservate nel Fondo Canonica documentano, attraverso una nota autografa di Luigi Canonica per la fornitura di serramenti (Milano, 15 agosto 1789; AMMe, Fondo Canonica, I, 1), un intervento dell’architetto nella residenza del capitano Cesare Roma – per altro ancora interamente da individuare data l’esi- 172 guità delle testimonianze documentarie – nella zona di Monforte, parrocchia di San Babila. La nota, compilata da Canonica a Milano nel 1789, costituisce l’accordo, sottoscritto dal falegname Antonio Melone, per la realizzazione di sei finestre con scuri e di tre porte-finestre, con la descrizione dettagliata di tutti gli elementi e i materiali secondo il disegno previsto dall’architetto. (i.g.) Palazzo Porcari, Milano 1792-95 L’attribuzione a Canonica d’interventi progettuali per il Palazzo Porcari, poi Cozzi, Amman (via Boito 8) è stata recentemente ribadita da Alessandro Morandotti sulla base della relazione storico-artistica compilata da Lucia Gremmo nel 1994 in occasione del vincolo ai sensi della legge italiana 1089 del 1939. Il palazzo, già Rossi di San Secondo, fu acquisito nel 1791 da Antonio Porcari che avviò alcune opere di trasformazione affidate a Luigi Canonica. Nell’atto di cessione del palazzo a Pietro Cozzi (1° giugno 1795) si accenna al pagamento delle competenze dell’architetto ticinese per lavori eseguiti tra il luglio 1792 e l’aprile 1795. Sulla base di questa testimonianza, Morandotti assegna a Canonica il disegno dell’attuale fronte su strada, del cortile e dello scalone d’onore. La precisa distinta dei lavori accennava infatti ai disegni in pianta e alzato dello scalone e del cortile interno comprese le sagome per le aperture, le cornici e le gronde. Interventi, probabilmente successivi al 1795, riguardarono le stanze del piano terreno verso il retrostante giardino; tra queste si segnalano la sala centrale di forma ellittica con un soffitto decorato da affreschi in stile pompeiano e l’ambiente attiguo coperto da una volta a botte lunettata con motivi geometrici in stucco. Bibliografia Morandotti 2001, pp. 343-351. (f.r.) Lavori per il conte Coca, (Milano) [1793] I documenti conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio lasciano intendere, attraverso una no- Palazzo Resta, Milano, sala con lesene ioniche, prospetto parziale e sezione longitudinale, 1813; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 55. ta delle spese per ferramenta consegnate al conte Coca, un intervento di Canonica per il nobiluomo (AMMe, Fondo Canonica, I, 2; 9 ottobre 1793). La nota, sicuramente non autografa, datata 9 ottobre 1793, contiene a margine tre annotazioni autografe che attestano la consegna di altre «ferramenta» non incluse nella partita, quali materiali per le gelosie, «manette» in ottone e altro ancora. Tale lista, riferita in prevalenza a parti di serramenti, potrebbe indurre a ipotizzare un più ampio lavoro di Canonica nell’edificio, che però, ad oggi, rimane ancora interamente da individuare. (i.g.) Palazzo Resta, contrada della Passione 243, Milano [1794-1813/1814?] La storia del Palazzo Resta, secondo quanto indicato da Calvi e da Mezzanotte e Bascapè, iniziò nel 1724, quando il nobiluomo milanese Carlo Resta (1680-1767) da Porta Ticinese si trasferì alla Passione, ampliando o forse ricostruendo interamente la casa da nobile in cui era andato ad abitare; l’intervento doveva essere ultimato entro il 1743 (Calvi, II, 18751885, Resta, tav. VI; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 1027-1028). Il palazzo fu poi ampliato e reso più grandioso dal 1791, quando Giuseppe Resta (1730-1801) comperò dal conte Brebbia una attigua casa con giardino posta sull’angolo dello stra- done della Passione; lo stesso Resta acquistò nel 1798 «il circondario e sua ortaglia annessa» del vicino soppresso Monastero di Santa Marcella. Nel primo Ottocento la proprietà Resta si configurava dunque come un ampio complesso edificato dotato di un grande giardino e situato al n. 243 della stretta (o contrada) della Passione (odierna via Conservatorio 7), in angolo con lo stradone della Passione (odierna via della Passione). È plausibile supporre che tra la fine del Settecento e il primo Ottocento fossero condotti cospicui lavori per rendere omogeneo il complesso, cresciuto in diverse fasi edilizie, e adeguarlo al corrente gusto neoclassico. Furono rimaneggiate la facciata principale verso la stretta e quella laterale, più articolata, verso lo stradone della Passione, così come dovettero essere ridisegnati i prospetti e i porticati sulla corte interna; il prospetto laterale che oggi si affaccia sulla via Mascagni fu invece lasciato nella preesistente configurazione tardobarocca, ancora ben leggibile. Il rinnovamento in senso neoclassico fu esteso anche agli interni – introducendovi, o forse rimaneggiandovi, una cappella – e all’ampio giardino, ridisegnato secondo il gusto all’inglese. Nel 1943 l’edificio fu colpito dai bombardamenti e fu poi restaurato da Emilio Lancia per la società Chatillon, subentrata ai Resta Pallavicino nella proprietà del palazzo. Dal 1970-1971 nell’immobile si è insediata la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E Palazzo Resta, Milano, sala con lesene ioniche, prospetto parziale e sezione trasversale, progetto, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 64. Palazzo Vertova Brentani, Bergamo, «Impianto superiore della Casa di Bergamo», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 365. (si ringraziano la Presidenza, l’Ufficio coordinamento didattico e la Biblioteca della Facoltà di Scienze Politiche). In seguito alla destinazione pubblica, l’edificio ha subito numerosi, ampi rifacimenti e adattamenti. Il grande giardino, col tempo, è stato ridotto a una modesta striscia di verde. I documenti grafici conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio costituiscono una inedita testimonianza del coinvolgimento di Luigi Canonica nei lavori ottocenteschi di rifacimento della Casa Resta. Ad oggi è assai difficile datare con precisione e definire nel dettaglio il carattere del suo intervento. Scarso aiuto proviene dalla ricerca documentaria d’archivio: non sembrano conservarsi scritti che permettano di definire tempi e modalità del progetto, mentre i documenti riguardanti le vicende edilizie del palazzo conservati nel Fondo Ornato Fabbriche dell’Archivio Storico Civico di Milano, e segnalati nel relativo inventario, sono andati perduti durante l’ultimo conflitto mondiale. I disegni del Fondo Canonica di Mendrisio permettono di collocare l’intervento di Canonica tra il tardo Settecento e, all’incirca, il 18131814. Al 1794 risale infatti il progetto per il portone d’ingresso, di «miarolo rosso», centinato e inquadrato da lesene con protomi leonine al posto dei capitelli (D 135), in tutto simile a quello realizzato, ancora oggi in opera; al 1813-1814, secondo quanto riportato sul verso dei disegni, risalgono due progetti per l’adattamento neoclassico dei parati progetto, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 203r. Luigi Canonica, Planimetria del giardino con tempietto e torre, studio di progetto, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 203v. (i.g.) decorativi, insieme con gli arredi fissi e mobili, di alcune sale del palazzo (AMMe, D 55, D 64; forse D 175). In particolare, i fogli documentano studi per una sala con volta a padiglione, con intradosso decorato di stucchi, e con alzati definiti da un ordine ionico di lesene, forse rivestite di marmo o di stucchi policromi a imitazione del marmo. Al 1814 risalgono anche i due progetti per il rifacimento all’inglese del grande giardino annesso al palazzo (D 203), a cui si aggiunge forse il progetto di un’altalena (AMMe, D 176). Inoltre, numerosi fogli relativi a progetti di arredi fissi e mobili, contenuti nella Cartella Resta del Fondo Canonica, sembrano riferibili allo stesso intervento, testimoniandone l’effettiva complessità, soprattutto nell’innesto sulle preesistenze tardobarocche (AMMe, 14, D 166D 181; AMMe, 8, D 55, D 64, D 135, D 203). Disegni Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione del portone di ingresso sulla stretta della Passione n. 243 (oggi via Conservatorio 7), progetto, 1794; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 135. Luigi Canonica, Prospetto parziale e sezione longitudinale di una sala con lesene ioniche, 1813; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 55. Luigi Canonica, Prospetto parziale e sezione trasversale di una sala con lesene ioniche, progetto, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 64. Luigi Canonica, Planimetria del giardino con tempietto e serra, studio di Proprietà Tarasconi, corso di Porta Orientale 710, Milano 1803 Presso l’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Genio Civile, 3160) è conservato uno scambio di lettere tra Luigi Canonica, all’epoca soprintendente generale delle Fabbriche nazionali, e l’Amministrazione Municipale del Comune di Milano che documenta una prassi inusuale tra i due organismi: il 26 maggio 1803 sono trasmessi a Canonica alcuni disegni (pianta e prospetto presumibilmente, ma essi non sono conservati) riguardanti la facciata di un palazzo che il «cittadino Tarasconi» vuole erigere sul corso di Porta Orientale. Canonica, esaminati i disegni, risponde a sua volta il 27 maggio 1803, affermando di non aver trovato nulla di irregolare nel progetto. Tuttavia consiglia di arretrare i davanzali delle finestre del piano terra, pericolosi per i passanti. Né presso l’Archivio Storico Civico di Milano, né nel Fondo Canonica conservato a Mendrisio sono presenti ulteriori documenti. (p.c.) Palazzo Vertova Brentani, via Masone 28, Bergamo [1803?-1804] Il Palazzo Vertova Brentani sorge nella contrada Masone, vicinia di San Giovanni dell’Ospedale, sul sito della quattrocentesca «domus magna» dei nobili Grassi de Locatelli, della quale rimangono tre lati del portico e una sala a monte. Tra il XVII e il XVIII secolo la proprietà passava ai nobili Vertova. Giuseppe Vertova incaricò Luigi Canonica di redigere il progetto per la ristrutturazione sia della casa in città che della villa a Seriate. Con la morte del titolare il patrimonio andava alla vedova Francesca Bossi e quindi al secondo marito Ottavio Tasca (1827). Seguivano nuovi intestatari: Davide e Giorgio Brembati (1839), Angelo Maria Medolago Albani (1857) e infine i nobili Brentani (1885). Del progetto rimane una planimetria del piano nobile (D 365) così come un primo schizzo del prospetto (AMMe, Fondo Canonica, XIV, 249) indicato per Bergamo ma con diversi elementi somiglianti alla villa di Seriate. Canonica prevedeva l’organizzazione degli appartamenti e la costituzione di un fronte principale impostato sul corpo centrale sporgente, d’ordine dorico al piano nobile e concluso da timpano triangolare, e due ali simmetriche. I locali di servizio situati oltre al primo cortile dovevano essere in parte demoliti per allargare la corte inferiore e allineare il fronte verso il brolo. Visto il tono delle lettere conservate è da ritenere che il rapporto sia stato interrot- 173 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Palazzo D’Adda, corsia del Giardino 1470, Milano 1810-1818 Casa Bianchi, Milano, pianta e prospetto della facciata con particolari delle mensole e delle cornici marcapiano, 1809; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 44. to e quindi l’intero progetto non sia stato portato a termine. La distribuzione ai lati sud e ovest del piano nobile corrisponde fedelmente al disegno, ad eccezione della camera ovale che è spostata sul corpo in facciata. Si rinunciò all’ampliamento della corte interna, mentre vi sono diverse discordanze tra la bozza del prospetto e lo stato attuale nell’estensione complessiva, nell’assenza del timpano, nell’aggiunta di un piano e nella rinuncia dell’ala destra. Disegni [Luigi Canonica], «Impianto superiore della Casa di Bergamo», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 365. Luigi Canonica, Schizzo del prospetto, 1804; AMMe, Fondo Canonica, XIV, 249. (p.m.) Casa Bianchi, corsia di Monte Napoleone, Milano 1809 Si ha notizia di questo edificio e di un progetto del rifacimento della sua facciata ascrivibile a Luigi Canonica 174 attraverso i documenti conservati nel Fondo Ornato Fabbriche dell’Archivio Storico Civico di Milano (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 44). Il 24 maggio 1809 Carlo Bianchi presentava domanda alla Commissione d’Ornato per modificare il prospetto verso la corsia di Monte Napoleone della casa di sua proprietà in contrada di San Pietro all’Orto, situata forse al civico 892-893; l’incertezza intorno al numero civico dell’immobile è motivata dalla contraddittorietà dei dati contenuti nella pratica e dalla difficoltà nell’individuare con esattezza i confini dell’edificio, che si estendeva appunto tra le contrade di San Pietro all’Orto e di Monte Napoleone. La richiesta di riforma era presentata per Carlo Bianchi da Giacomo Tazzini, ma era accompagnata da un disegno firmato da Luigi Canonica. Il disegno illustrava l’alzato dell’edificio, la sua proiezione in pianta con le modifiche previste e i particolari dei poggioli dei balconi e delle cornici marcapiano. La facciata, su quattro piani fuori terra più gli abbaini, si configurava con una fascia terrena a bugnato liscio; al di sopra, su un piano intonacato, si allineavano cinque ordini di aperture alternando, nel piano nobile e nel secondo piano, finestre e porte-finestre. Gli unici elementi decorativi erano costituiti da due balconi con ringhiere di ferro battuto al piano nobile e dalle cornici marcapiano, che definivano i registri corrispondenti al piano nobile, insieme, con il secondo piano e al terzo piano. Le porte finestre, al secondo e al terzo piano, erano schermate da parapetti di ferro battuto a filo della muratura. Il disegno era approvato, come attesta la nota sul margine destro del foglio, il 25 maggio 1809, con firma di Giocondo Albertolli. Nel 1810 la proprietà Bianchi, ancora con domanda firmata da Giacomo Tazzini, chiedeva alla Commissione di modificare il progetto approvato e già in corso d’opera, uniformando le fattezze delle aperture del secondo piano a quelle del piano nobile. La variazione, da quanto si può desumere dalla pratica, piuttosto confusa, dovette essere approvata. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto della facciata, con particolari delle mensole e delle cornici marcapiano, 1809; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 44. (i.g.) Il monumentale Palazzo D’Adda Borromeo, posto lungo il tratto più periferico di quella che anticamente era la corsia del Giardino (oggi via Manzoni 39-41), verso la contrada dell’Annunciata, fu costruito in varie riprese e compiuto in buona parte nel XVIII secolo (Bascapè 1977, pp. 255-256). Il palazzo è articolato intorno a una corte quadrangolare porticata ed è accompagnato da un ampio giardino retrostante. La facciata, su tre piani, si compone di una parte principale estesa su quindici campate, corrispondente al corpo dominicale organizzato intorno alla corte, e di due parti laterali, di cinque campate ciascuna, corrispondenti a più modesti edifici con cortile, annessi al palazzo, un tempo in parte aventi funzioni di servizio e in parte destinati alla rendita. Due sono i corpi scala principali, uno alla destra dell’ingresso posto tra il corpo di fabbrica perpendicolare a quello d’entrata e l’ala verso il giardino, e uno monumentale alla sinistra, di forme pienamente neoclassiche, decorato con lesene ioniche e tondi con busti in basso rilievo, collocato perpendicolarmente rispetto al portico d’ingresso al palazzo. Completato e rimaneggiato nel XIX secolo, l’edificio vide poi quasi interamente ricostruiti i corpi verso il giardino a seguito dei gravi danni bellici subiti e un cospicuo adattamento degli interni per l’inserimento di uffici che occupano ancora oggi la gran parte del complesso. Dalle pagine di Stendhal si attingono alcune interessanti notizie sullo stato del palazzo intorno al 1800. In quella data infatti lo scrittore, al suo arrivo a Milano con le armate napoleoniche, ricorda che la facciata della «casa D’Adda n’était point finie, la plus grand partie étaite alors en briques grossiéres», e che vi era «une cour magnifique» e «un éscalier superbe» (Beyle-Stendhal 1927, II, p. 317). Nel 1800 dunque, mentre buona parte del palazzo doveva essere completa, con il portico e la scala, probabilmente quella alla destra dell’ingresso, già eseguiti, mancava ancora la definizione della facciata. Ordinato con grande semplicità, il prospetto dell’edificio presenta oggi tre registri di aperture, cui si aggiungono quelle del seminterrato, allineate verticalmente e risolte con semplici mostre. Unici elementi decorativi sono costituiti dai PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E timpani delle finestre del piano nobile, alternatamente curvi e triangolari, e dall’emergenza plastica del portone d’ingresso centrale: questo è accompagnato da due coppie di colonne libere che sorreggono una balconata rettilinea su cui si aprono tre finestre, in corrispondenza con il salone principale posto al piano nobile. Una fascia bugnata terrena, due cantonate con bugne di alterna lunghezza ai margini e una cornice superiore con dentelli e mutuli delimitano il campo della facciata, scandito orizzontalmente al suo interno da due semplici fasce marcapiano. Il filo superiore del prospetto è coronato da un attico che al centro presenta le armi della famiglia D’Adda. Il progetto dell’alzato verso la corsia del Giardino è generalmente attribuito a Girolamo Arganini, sulla base della generica indicazione fornita nel 1822 da Pirovano (Pirovano 1822, p. 290); Caimi nel 1862 ha attribuito invece allo stesso Arganini l’intero edificio (Caimi 1862), mentre Mezzanotte e Bascapè hanno per primi fatto risalire la riforma del palazzo intorno al 1820-1825 associandola alla committenza di Febo D’Adda, non indicando però né l’entità, né l’autore dell’intervento (Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 904-905). I disegni del Fondo Canonica conservato presso l’Archivio del Moderno permettono ora di precisare alcuni caratteri del rinnovamento ottocentesco di cui è stato oggetto il palazzo e di ascrivere, in via del tutto inedita, a Luigi Canonica un cospicuo ruolo in tale riforma. A testimonianza di ciò rimangono tre fogli autografi dell’architetto, due varianti per la facciata (D 182, D 183) e una pianta parziale del piano nobile dell’edificio (D 117) che contempla il rinnovamento del corpo di fabbrica verso la corsia del Giardino, con gli ambienti più significativi del palazzo. Grazie a una scritta autografa posta sul verso del foglio D 117, che illustra la pianta del piano nobile, si può datare il progetto al 1818 e collegarlo documentatamente alla committenza di Febo D’Adda (1772-1836), figura di spicco della nobiltà milanese, discepolo di Giuseppe Parini, impegnato in alte cariche politiche già prima dell’invasione francese del 1796 e durante la dominazione napoleonica. Dopo il ritorno degli Austriaci, Febo vide riconfermata e accresciuta l’importanza del proprio ruolo politico, venendo nominato consigliere di Governo, «consigliere intimo», vicepresidente del governo di Lombardia e cavaliere dell’ordine di Leopoldo, ma un ruolo socialmente rilevante era senz’altro ricoperto anche dalla moglie, Leopolda Kevenhüller, dama di palazzo dell’imperatrice d’Austria (Calvi, II, 1875-1885, D’Adda, tav. VII). Non è stato possibile accertare nell’archivio Borromeo D’Adda la presenza di documenti che attestino l’esecuzione del progetto da parte di Canonica, o che ne precisino i contorni; i fogli conservati nel Fondo Canonica, tuttavia, pur non permettendo di ricostruire con esattezza l’entità dell’intervento dell’architetto, offrono la possibilità di fare alcune plausibili ipotesi sul suo contributo alla riforma del braccio del palazzo verso la corsia del Giardino. Le due proposte di Canonica per l’alzato e per il piano nobile di quell’ala dell’immobile sembrano essere, almeno nelle principali linee compositive, alla base dell’intervento eseguito e sono ancora oggi in buona parte riscontrabili nell’edificio esistente. Il progetto in pianta delineato nel foglio D 117, datato 1818, tocca, come indica l’acquarellatura rosa del disegno, la distribuzione degli ambienti e prevede un nuovo corpo scala sulla sinistra, più monumentale rispetto a quello esistente e direttamente connesso alle sale di rappresentanza. Queste sono distribuite su corpo doppio e collegate in infilata, con gli ambienti più significativi affacciati ovviamente verso la corsia del Giardino e, al centro, il grande salone delle feste. Sul margine destro del corpo di fabbrica è presentato lo studio per un nuovo nucleo di ambienti, probabilmente un appartamento privato, che, con una cospicua modifica dell’assetto esistente, prolunga il corpo di fabbrica a destra, oltre l’antico perimetro del palazzo. Ancora oggi, a eccezione di quest’ultimo nucleo di sale, profondamente mutato, si può notare la rispondenza delle partizioni murarie degli ambienti di rappresentanza all’ipotesi raffigurata nella pianta di Canonica; cospicue differenze tra il progetto e l’esistente si riscontrano solo nella posizione e nella forma dello scalone principale, alla sinistra dell’ingresso, forse ripensato dallo stesso architetto o forse riprogettato e costruito da altri su due rampe, sviluppate perpendicolarmente rispetto al portico d’ingresso. Gli orientamenti di Canonica per la soluzione della facciata del palazzo sono visibili in due studi nei fogli D 182 e D 183. Il primo sembra attestare un’idea iniziale più ricca e movimentata, con un prospetto tripartito orizzontalmente da due fasce marcapiano, con il piano terreno bugnato. Diciassette semplici aperture rettangolari scandiscono il prospetto sulle tre fasce, ma le cinque ai lati presentano un ritmo più serrato rispetto alle sette mediane. L’asse centrale è sottolineato dal portone centinato con voluta in chiave sormontato da un balconcino appoggiato su mensole, posto in corrispondenza con la porta-finestra centrale del piano nobile. La monotonia del lungo prospetto è mitigata solo dal trattamento a bugnato riservato al piano terreno, appoggiato su un alto zoccolo di base, con i conci degli architravi delle finestre disposti a disegnare una piattabanda. Lo studio raffigurato nel foglio D 183 sembra corrispondere maggiormente al progetto eseguito – poi rimaneggiato forse da Arganini e certamente negli anni Ottanta dell’Ottocento (interventi documentati, in via di pubblicazione) – ed è collegabile alla soluzione planimetrica presentata nel foglio D 117, datata al 1818. Canonica, che si concentrò solo sulla facciata del corpo dominicale del palazzo escludendo l’edificio annesso sulla destra, delineato tuttavia nella pianta, optò per una soluzione semplicissima e risolta interamente su valori di superficie, con l’unica eccezione dell’aggetto del balcone centrale collocato sopra l’ingresso e, forse, con un modesto rilievo della parte centrale rispetto all’intero piano di facciata. Il lungo prospetto scandito da una serie di quindici aperture, ridotte nel numero rispetto al progetto precedente e pertanto più largamente ritmate, veniva diviso in tre comparti orizzontali, rispondenti ai tre piani dell’alzato, mediante fasce marcapiano. Il piano terreno era distinto da un bugnato liscio, che non sembra però essere stato realizzato; le finestre del piano nobile presentavano un coronamento architravato appoggiato su piccole mensole ai lati di una mostra centrale, mentre quelle del secondo piano presentavano semplicissime cornici; una cornice aggettante su mensole marcava infine il profilo superiore della facciata. L’asse centrale era sot- Palazzo D’Adda, Milano, prospetto, studio di progetto, 1818; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 182. 175 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A tolineato da un semplice portone archivoltato, sormontato da un balcone che si estendeva su tre campate e era appoggiato su quattro mensoloni scanalati. Il bugnato della fascia terrena, l’attico di coronamento, i timpani delle finestre del piano nobile, le cantonate bugnate che definiscono ancora oggi la facciata del palazzo rispetto agli annessi laterali sono frutto d’interventi tardo-ottocenteschi. Le colonne libere ioniche che sorreggono attualmente il balcone non erano contemplate nei progetti di Canonica, ma erano già in opera negli anni Ottanta del XIX secolo. Disegni Luigi Canonica, Pianta parziale del piano nobile, progetto, 1818; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 117. Luigi Canonica, Prospetto, studio di progetto, 1818; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 182. Luigi Canonica, Prospetto, progetto, 1818; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 183. le di quattro piani fuori terra e modificata nelle aperture terrene, sarebbe stata scandita orizzontalmente da tre fasce marcapiano, ordinatamente ritmata da cinque ordini di semplici finestre rettangolari. Unici elementi di rilievo, disposti sull’asse centrale del prospetto, erano il balconcino centrale al piano nobile, sopra il portone d’ingresso, e un abbaino con timpano e con oculo circolare all’ultimo piano. Le porte-finestre del terzo e del quarto piano erano schermate da ringhiere di ferro battuto a filo della muratura; il balcone centrale del piano nobile sembrava presentare anch’esso una balaustra di ferro. Particolari delle mensole sostenenti il balcone e delle cornici marcapiano, insieme con una pianta del prospetto con le modifiche contemplate, completavano il disegno realizzato da Canonica. Il rinnovamento della facciata illustrato nel foglio presentato alla Commissione d’Ornato, con la redistribuzione delle aperture e la conseguente rettifica delle quote d’inter- piano, induce a supporre una campagna di lavori assai estesa che avrebbe dovuto investire l’edificio anche al suo interno, ma di tale progetto, a oggi, non rimane traccia. Il progetto di modifica della facciata fu approvato dalla Commissione il 25 maggio 1812, a firma di Paolo Landriani. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetto della facciata, con particolari delle mensole e delle cornici, 1812; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 34. (i.g.) Albergo della Gran Bretagna, corsia di San Giorgio alla Palla 3323, Milano 1812-1826 Sull’area occupata dal mercato della Balla, alla scadenza di un contratto d’affitto, è documentata una richiesta (1810) presentata da Francesco Melzi Bibliografia Pirovano 1822, p. 290; Caimi 1862; Calvi, II, 1875-1885; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 904-905; Bascapè 1977, pp. 255-256; Stendhal 1994. (i.g.) Disegni [Luigi Canonica], Prospetto principale, [1833-1834]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 17. Casa Appiani, borgo di Monforte 252, Milano 1812 L’intervento di Luigi Canonica in questo edificio (corso Monforte 38 in data 1865, oggi non più riconoscibile in un isolato profondamente modificato nel XX secolo), commissionato da Andrea Appiani e sino ad ora ignoto, è documentato nel fondo Ornato Fabbriche conservato nell’Archivio Storico Civico di Milano (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 34). In data 12 maggio 1812, il «Pittore Andrea Appiani» presentava domanda alla Commissione d’Ornato per introdurre alcune modifiche nell’edificio in borgo di Monforte 252, evidentemente di sua proprietà, attiguo a quello ove era collocata la sua abitazione; alla domanda allegava il progetto da eseguire, firmato da Luigi Canonica. Appiani, desiderando realizzare un ambiente a uso di studio, richiedeva di sopralzare di circa 10 braccia (5,95 m) l’edificio e di modificare il disegno del suo prospetto. La nuova facciata ideata da Canonica, innalzata di un piano per un tota- 176 d’Eril di poter costruire un nuovo edificio (ASCMi, Località Milanesi, 15, 26). Nel 1822 l’edificio al numero 3323 della corsia di San Giorgio alla Palla appariva già costruito perché venne presentata la proposta di allineamento della corsia «col rettifilo dell’Albergo detto della Gran Bretagna» (Milano ritrovata 1986, p. 227). Il progetto dell’Albergo è attribuito da tempo dalla storiografia a Luigi Canonica, senza prove documentarie. Giulio Melzi d’Eril nel suo volume dedicato al Palazzo Melzi alla Cavalchina conferma l’intervento di Canonica indicandone i riferimenti archivistici (Melzi d’Eril 1987) cui va aggiunto il disegno conservato presso il Fondo Canonica (D 17), d’incerta attribuzione. L’edificio, oggi scomparso, è inoltre rappresentato in una incisione del 1825: disposto su due livelli, il primo adibito a botteghe con mezzanini, e un secondo con arcate cieche al primo piano che inquadravano le aperture rettangolari a loro volta sormontate da altri mezzanini, esso presentava su via Torino un paramento a bugnato liscio e un portale centrale con un archivolto che comprendeva anche la fascia dei mezzanini e, superiormente, un balcone. Bibliografia Clerc 1837, p. 18; Mongeri 1872, p. 481; Verga 1931, p. 437; Bascapè 1945, p. 108; Mezzanotte 1962, p. 346; Mezzanotte 1966, p. 296; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 80; Milano nelle vecchie stampe, I, 1969, p. 98; Ricci 1975, p. 160; Milano ritrovata 1986, pp. 92, 185, 227-229, 299; Melzi d’Eril 1987, p. 43. (f.r.) Casa Canonica, contrada di Sant’Agnese 2772, Milano [post 1812] Casa Appiani, Milano, pianta e prospetto della facciata con particolari delle mensole e delle cornici marcapiano, 1812; ASCMi, Ornato Fabbriche, I. 34. La casa che Luigi Canonica costruì come propria dimora intorno al 1812 (oggi via Sant’Agnese 2) si trovava nei pressi della Basilica di Sant’Ambrogio, sulla vasta area che era appartenuta al Monastero di Sant’Agnese, fondato nel 1467 da Bianca Maria Sforza e destinato alle monache Agostiniane. Quando Canonica entrò in possesso dei fabbricati che adattò a personale abitazione, l’area in cui essi si trovavano era di proprietà del Rea- PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E [Luigi Canonica], Albergo della Gran Bretagna, Milano, prospetto principale, [1833-1834]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 17. le Demanio, a sua volta entratone in possesso nel 1798, a seguito della soppressione del monastero. Alla metà del XVIII secolo, poco tempo prima della soppressione, il perimetro dell’isolato occupato dal monastero era delimitato dalla contrada di Sant’Agnese (oggi via Sant’Agnese), da via del Terraggio e dal corso di Porta Vercellina (oggi corso Magenta). Annessa al monastero era la Chiesa di Sant’Agnese, la cui sagoma è ancora riconoscibile nel Catasto teresiano, realizzata all’incirca alla fine del XVI secolo su un organismo edilizio preesistente. La chiesa presentava un impianto a doppia aula e il lato della chiesa interna forniva la misura del chiostro principale, porticato su tre lati e di forma quadrangolare, sul quale si affacciavano i locali del monastero. Altri due cortili più piccoli e irregolari, che servivano da affaccio per locali di servizio, completavano l’estensione dei possedimenti delle monache (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 2407). La chiesa non aveva un ingresso diretto dalla strada, ma si raggiungeva attraversando una corte porticata antistante alla facciata. Alla corte si accedeva da un ingresso posto sul muro di cinta che la separava dalla strada, al civico 2772 e che si innestava sul lato meridionale della chiesa, sviluppato lungo la contrada. Il monastero fu soppresso nel 1798, e tutta la proprietà fu ceduta al Ministe- ro della Guerra, che insediò in quest’area una caserma. La chiesa venne destinata a deposito di fieno e, a questo scopo, il portale d’ingresso fu irregolarmente allargato per consentire il passaggio dei carri. Tra il maggio 1811 e l’agosto 1812, Luigi Canonica acquistò in più fasi tutta l’area occupata dalla chiesa, dal convento e dai cortili annessi e vi costruì la propria casa. Alla sua morte, egli lasciò la casa agli Asili Infantili di Milano (IIPABMi, Origine e dotazione – sostituzione a corpi – Milano, 791, 3, Atti 855 del 1845). La proprietà passò in seguito all’Università Cattolica, per conto della quale, tra il 1920 e il 1924, il fabbricato fu restaurato con consistenti modifiche, venendo adattato a prima sede dell’Ateneo. Tale intervento cancellò l’organismo abitativo progettato da Canonica, e l’unico elemento sopravvissuto di quell’immobile, ancora oggi visibile al n. 2 di via Sant’Agnese, è la facciata sulla strada. Tra il primo maggio 1811 e il 19 agosto 1812, in tre fasi distinte, testimoniate da altrettanti contratti di acquisto dal Reale Demanio (ASMi, Notarile, 49737, 1 maggio 1811; Notarile, 46440, 3 febbraio 1812; Notarile, 49745, 19 agosto 1812), Luigi Canonica entrò in possesso di tutta l’area occupata dalla Chiesa e dal Monastero di Sant’Agnese. La prima acquisizione riguardò la chiesa interna ed esterna; l’anno successivo Canonica comprò il fabbricato utilizzato come caserma (che corrispondeva ai due lati est e ovest del chiostro del monastero) e pochi mesi dopo, il 19 agosto 1812, completò l’acquisto dell’intero lotto. Il 26 marzo 1812, ancora prima di aver ultimato l’acquisto dell’isolato, l’architetto richiese licenza di edificazione della propria abitazione alla Commissione d’Ornato; a questa richiesta (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 77, 5, 26 marzo 1812) doveva essere allegato un disegno «dimostrante l’esteriore prospetto cui vorrebbe ridurre verso la contrada di S. Agnese il proprio caseggiato col civico n° 2772», che non si è conservato. Il progetto fu approvato dalla Commissione nell’aprile del 1812. Canonica utilizzò largamente le preesistenze come una guida per il nuovo intervento. La casa si configurava come costituita essenzialmente di tre parti: il corpo principale verso la strada, di forma rettangolare, che, con ingresso, porticato e scalone, conteneva l’abitazione vera e propria con gli ambienti di rappresentanza; un secondo corpo che, verso levante, conteneva locali di servizio ed era porticato verso il giardino; oltre il giardino, a nord, vi era il terzo corpo, dove erano ubicate le serre e le scuderie. Il lato verso ovest invece era chiuso da un semplice muro. Il corpo dell’abitazione verso la strada corrispondeva al fabbrica- to che in precedenza costituiva la chiesa interna del complesso monastico, con una estensione iniziale anche a una campata della chiesa esterna; l’abitazione dovette essere ulteriormente estesa, in un momento che si può supporre successivo, anche alla seconda campata della chiesa esterna. La facciata della Casa Canonica fu risolta su tre piani, con un ordine di sei lesene ioniche giganti, che inquadrano piano terreno e piano nobile. L’ordine sorregge una trabeazione con cornice marcata che costituisce lo sporto di una balconata con ringhiera in ferro battuto su cui affacciano le finestre del piano di sottotetto, scandite da un basso ordine a fasce in corrispondenza delle lesene sottostanti. L’ordine presenta un intercolunnio discretamente ampio, che produce un ritmo blando, e si sovrappone a una massa muraria, che per la sua consistenza si impone come superficie piana, priva di ombre, scandita orizzontalmente da fasce marcapiano. Le finestre del piano terra sono prive di cornici; il portale d’ingresso è ad arco a tutto sesto ed è sormontato da un balconcino con ringhiera in ferro battuto con motivi a losanghe. Le aperture del primo piano sono costituite da porte-finestre che occupano tutta l’altezza del piano, dalla cornice all’architrave, e presentano a filo del muro ringhiere a losanghe che riprendono quelle del balconcino centrale. Il disegno BC 298 raffigura una porzione della pianta della proprietà Canonica, corrispondente alla chiesa esterna ma priva dell’ultima campata contenente l’altare, il cortile prospiciente con il portone sulla strada e alcuni locali accessori verso l’interno. Il confronto tra questa pianta e quella conservata all’interno della perizia allegata all’atto di acquisto da parte di Canonica (ASMi, Notarile, 49737, notaio Ignazio Baroggi, 1 maggio 1811) permette di ipotizzare la datazione del foglio a un momento successivo al 1811. Nella perizia la chiesa, già trasformata in deposito di fieno adiacente alla caserma, appare infatti ancora intera; nel disegno BC 298 la chiesa si sviluppa invece solo su tre campate, mentre la quarta è già inglobata nel «Caseggiato del sig. Luigi Canonica», che si sviluppa a est, in corrispondenza dell’antica chiesa interna, come indica la scritta che si trova sul disegno. Ciò induce a ipotizzare che nella parte destra del disegno, dove si trovava effettivamente l’abitazione di Canonica, il fabbricato fosse già stato completato. Si può dunque supporre che l’architetto abbia deciso, in un 177 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Nel disegno BC 298 si può anche notare uno schizzo a matita raffigurante una scala a doppia rampa posta parallelamente al muro verso la strada. La scala è collocata nell’area della chiesa esterna che non è annessa alla dimora di Canonica, ed è difficile ipotizzare se questo schizzo sia soltanto un’idea di progetto o se sia stato effettivamente realizzato. Disegni Luigi Canonica, Pianta parziale del piano terreno, studio di progetto, [post 1812]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 298. Bibliografia Soldini 1981[a], p. 343; Soldini 1982[d], pp. 56-59; Patetta, Parisi 1995, p. 70; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 15; Pancaldi 1997-1998; Scotti 2004-2005, p. 12. (p.c.) Casa Kramer, stradone di Sant’Angelo, Milano 1813 Casa Canonica, Milano, pianta parziale del piano terreno, studio di progetto, [post 1812]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 298. momento posteriore al 1811, di ingrandire la propria casa, annettendovi un’altra campata della chiesa esterna (che secondo i documenti notarili sopracitati doveva essere comunque già interamente in possesso dell’architetto). Nel disegno, infatti, la campata più a destra della chiesa è delimitata da un muro colorato in rosso (quindi, secondo la simbologia ancor oggi in uso, corrispondente a nuova costruzione), contrassegnato dalle lettere «A» e «B» (che non è noto però a cosa rimandassero) e indicato dalla scritta come «Porzione riservata al sig. Canonica». L’ipotesi di una successiva aggregazione di un’altra campata dell’antica chiesa esterna alla Casa Canonica sembra essere verificabile anche attra- 178 verso l’analisi del prospetto dell’edificio. In esso si può notare infatti una cospicua difformità della soluzione architettonica dell’ultima campata a sinistra rispetto allo sviluppo complessivo della facciata: l’ordine è omesso, le cornici marcapiano perdono il loro aggetto per diventare soltanto delle fasce piatte, la balconata del piano attico si interrompe. È molto probabile, dunque, che il disegno della facciata della Casa Canonica fosse già definito prima che l’architetto decidesse di annettere alla propria casa un’altra porzione dell’ex Chiesa di Sant’Agnese: ciò giustificherebbe anche il fatto che complessivamente le campate del prospetto siano dispari e che il portale si trovi oggi in una posizione asimmetrica. Nel 1797 Giovanni Adamo Kramer acquistava dalla Repubblica Cisalpina la proprietà al civico 1428 di Milano nella quale dal suo arrivo in città, nel 1782, aveva risieduto con la sua famiglia e aveva installato la manifattura di stampa delle tele indiane. Si trattava di un’antica residenza della famiglia Barbò, alla Cavalchina, dal 1758 divenuta proprietà della Casa di Correzione. L’edificio, non privo di una certa regolarità, rivolgeva il suo affaccio principale a nord-est, in direzione di Porta Orientale e del bastione, ai piedi del quale andava ad attestarsi il terreno di sua pertinenza. L’ampio quadrilatero un tempo rurale sul quale insisteva, delimitato dalla strada al dazio di Porta Nuova a occidente, dallo stradone di Sant’Angelo a meridione e dalla strada della Zecca a oriente, doveva ormai presentarsi ingombro di baracche e materiali necessari alla manifattura e alla vicina Zecca. Luigi Canonica fu chiamato da Giovanni Adamo Kramer a occuparsi del progetto d’ampliamento della sua abitazione nel 1813. Il lavoro consisteva nell’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica come prolungamento a meridione dell’edificio esistente. L’intervento di Canonica è documentato dal fascicolo conservato all’Archivio Storico Civico di Milano, comprendente, oltre alla petizione del Kramer del 31 maggio, una sola tavola autografa concernente, come d’uso, il disegno della fronte dell’ampliamento (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 146). L’unica planimetria che è stato possibile reperire è riferita all’esproprio di tutta la proprietà Kramer attuato poco dopo l’Unità (1862), in occasione dell’apertura di via Principe Umberto. Confrontata con il prospetto citato sopra, la pianta del piano terreno consente una chiara lettura dell’intervento di Canonica. In primo luogo dall’architetto era attuata la rotazione dell’asse della preesistente dimora con la creazione del nuovo affaccio principale verso lo stradone. Arretrato dalla pubblica via, dalla quale lo separava un giardino, l’edificio veniva così ad assumere un ruolo importante, degna immagine della famiglia Kramer che durante il Regno d’Italia ricevette la patente di nobiltà. Il nuovo volume, a due piani, con funzione abitativa, è caratterizzato da un impianto assai semplice, articolato in due sale a pianta pressoché quadrata, con un’ampia scala in posizione intermedia, schema che sembra doversi ripetere al piano nobile. In prospetto si traduce in una composizione su due piani e tre assi, secondo un modello di chiara impronta palladiana, molto diffuso nelle ville lombarde dell’epoca e ricorrente anche per i teatri. Il piano terreno è costituito da uno zoccolo a bugnato liscio, con risalto centrale. Su questo poggiano quattro lesene con capitelli di ordine ionico che incorniciano la finestra a serliana del primo piano e sono sormontate da un frontone. Solo la presenza di finestre laterali al piano terreno, invece che di porte, differenzia il prospetto di Casa Kramer da quello del Teatro di Sondrio. Disegni Luigi Canonica, «Prospetto di casa Kramer verso lo stradone di S. Angelo», 1813; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 146. Bibliografia Caffi 1885, p. 84; Per quale Milano 1973, p. 86; Bergossi, Cisotto 1991, p. 73. (r.b.) Casa Cagnola, contrada Cusani 2279, Milano [1813] Il progetto della nuova residenza che l’ingegnere Giuseppe Cagnola fece realizzare nelle vicinanze del Castello in contrada Cusani (oggi via PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E Cusani 5, angolo via Rovello) è tradizionalmente ascritto a Pietro Pestagalli, con incerta datazione tra il 1822 e il 1825 (1822, in Bagnoli, II, 19691971, p. 436; 1824 in Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 776-777; 1825 in Mongeri 1872, p. 486). I documenti conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno permettono ora di gettare nuova luce sulle vicende progettuali e costruttive dell’edificio, indicando il possibile coinvolgimento di Canonica e riportando una cospicua fase di lavori almeno al 1813 (AMMe, Fondo Canonica, LIII, 712). Rimane infatti tra le carte dell’architetto ticinese la copia, autografa e datata 12 aprile 1813, del contratto con il capomastro Giosuè Ventura per le opere murarie da realizzarsi al fine di rinnovare l’edificio preesistente. Il documento, articolato per punti, descrive in dettaglio le opere previste dalle nuove murature di fondazione fino ai tetti, comprese le demolizioni, le finiture degli intonaci, i pavimenti, i serramenti, camini e lavandini. Non è dato di sapere, allo stato degli studi, se il progetto sia stato del tutto o in parte realizzato e quale sia stata l’eventuale relazione tra il contributo di Canonica e quello di Pestagalli, non accompagnandosi al documento disegni che permettano di illustrare e riconoscere l’entità dell’intervento del ticinese. Bibliografia Mongeri 1872, p. 486; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 776-777; Bagnoli, II, 1969-1971, p. 436. (i.g.) Palazzo Greppi, contrada Sant’Antonio 4798, Milano [1814 e 1820 ca] Il palazzo (oggi via Sant’Antonio 19), già appartenuto alla famiglia Trivulzio, nel 1776 fu venduto dal conte Lurani Cernuschi al conte Antonio Greppi (1722-1799), figura di primo piano nella società e nella politica milanesi del secondo Settecento, capo della Ferma generale nonché imprenditore, commerciante e banchiere di grande successo. L’edificio, ancora in via di costruzione e di ingrandimento al momento della vendita, tra il 1776 e il 1778 fu completato e ampliato su progetto di Giuseppe Piermarini, che da Antonio Greppi ricevette numerosi rilevanti incarichi riguardanti altri suoi palazzi in città e in campagna. Il grande immobile si affacciava sulla contrada di Sant’Antonio in Porta Romana, al civico 4798, e si estendeva su un articolato e profondo lotto che giungeva sino alla parallela contrada Larga, da cui aveva un ingresso al civico 5318; a esso erano inoltre uniti due “casini” affacciati verso la stessa contrada ai civici 4773 e 4778. Piermarini rinnovò l’edificio articolandolo intorno a due corti rettangolari, una principale porticata, e un’altra, alla destra, più piccola e priva di portici. Il corpo principale del palazzo era seguito da un giardino, che lo congiungeva al casino affacciato sulla contrada Larga, e sulla destra era collegato da una lunga manica agli annessi delle stalle, prospettanti anch’essi verso la medesima contrada (Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 471473; Bascapè, Perogalli 1964, pp. 221-222; Il Palazzo di Antonio Greppi 1995; Stolfi 1996, pp. 315-340). In assenza del progetto autografo di Piermarini, un foglio conservato nel Fondo Canonica (AMMe, 14, D 342) costituisce un documento assai importante per ricostruire l’intervento eseguito dell’architetto folignate. Il foglio raffigura infatti un rilievo del piano terreno del Palazzo Greppi, eseguito dall’ingegnere collegiato di Milano Ercole Stagnoli e datato 10 marzo 1800, cioè pochi anni dopo i lavori di Piermarini. Sulla planimetria, accompagnata da un’accurata legenda, sono indicate le destinazioni funzionali di tutti gli ambienti, permettendo finalmente di determinare con precisione la distribuzione originaria del piano terreno del palazzo. Tale rilievo poteva essere stato forse eseguito nell’ambito delle azioni intraprese dai figli di Antonio Greppi, morto nel 1799, per stabilire le quote ereditarie dell’ingente fortuna del padre, così come poteva essere stato sollecitato dai suoi nipoti Antonio, Paolo e Giuseppe, che con la morte del padre Marco Greppi (1745-1800), primogenito del conte Antonio (Greppi 1995, pp. 9-12; Greppi 1996, pp. 353-399), avevano ereditato anche il palazzo in contrada Sant’Antonio. La planimetria eseguita nel 1800 fu tenuta in considerazione da Luigi Canonica nel 1820, quando, chiamato nel Palazzo Greppi per un intervento di cui oggi sfugge ancora la precisa entità, stese un rilievo planimetrico dell’edificio (21 novembre 1820), sostanzialmente copiando il rilievo di Stagnoli, anche nella soluzione grafica, e rimandando le destinazioni funzionali degli ambienti, numerati in pianta, ad altro documento. Il rilievo – che doveva essere accompagnato appunto da una relazione – è noto in quanto pubblicato nel 1995 (Righini Ponticelli 1995, p. 31): il foglio risultava allora conservato nel fondo Archivio della Nobile Famiglia Greppi dell’Archivio Storico della Diocesi di Milano, ma, a oggi, nella stessa unità archivistica il documento non è più rintracciabile e sembra essere andato disperso. Tra i documenti del Fondo Canonica di Mendrisio si è ritrovata però la «Descrizione e stima della casa da nobile [...] dei fratelli conti Greppi», minuziosamente compilata da Canonica nel 1820 e riguardante lo stato di fatto di tutti gli ambienti del Palazzo Greppi e le migliorie da apportarvi (AMMe, Fondo Canonica, XXIV, 497, marzo-aprile 1820). Molto probabilmente, si tratta della relazione che doveva accompagnare il rilievo del piano terreno pubblicato nel 1995 e che non era stata allora ritrovata nell’Archivio Storico della Diocesi di Milano. I documenti, insieme con altri datati sempre intorno al 1820, erano stati redatti da Canonica, quale perito incaricato di stimare il valore della proprietà dei fratelli Greppi – tra immobili, arredi e suppellettili – nelle contrade Sant’Antonio e Larga; ciò in occasione del di- stacco di Paolo dalla casa paterna e in vista di una sua nuova, autonoma sistemazione. L’attività dell’ingegnere collegiato di Milano Ercole Stagnoli si incrociò ancora con quella di Canonica in occasione di perizie relative a questioni di confine tra le proprietà Brentani (per la quale Stagnoli lavorava) e Gargantini (per la quale Canonica svolse le opportune perizie) in corsia del Giardino (AMMe, Fondo Canonica, XXIV, 488); perizie di Stagnoli sono inoltre attestate nel 1818 relativamente a un confine del Palazzo Mellerio in corso di Porta Romana (Palazzo Mellerio 1996, p. 104). La presenza nel Fondo Canonica di due fogli raffiguranti il progetto per una porta e per un camino con specchiera per il Palazzo Greppi e la loro datazione al 1814 (BC, D 113; si veda il saggio di Susanna Zanuso) induce a presumere che l’intervento del ticinese nell’edificio fosse di qualche anno antecedente alla perizia svolta per la proprietà e che avesse implicato anche il ridisegno di alcune decorazioni e arredi fissi, seguite forse dalle riparazioni e dalle migliorie segnalate nella «Descrizione e stima» del 1820. È noto invece che gli affacci della proprietà sulla contrada Larga furono rimaneggiati da Giacomo Tazzini nel Palazzo Greppi, contrada Sant’Antonio, Milano, prospetto e particolari decorativi di una specchiera su camino, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 113. 179 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A 1822, con la sostituzione delle gronde di legno con altre di beola e dei poggioli con balconata su mensole di pietra e con ringhiera di ferro. Altre indicazioni documentarie sembrano escludere un successivo coinvolgimento di Canonica nel rinnovamento del palazzo, indirizzando piuttosto l’attenzione ancora su Giacomo Tazzini, che lavorò al rimaneggiamento più generale del corpo e del cortile secondario attorno al 1835. Il prospetto di quella parte del palazzo sulla contrada di Sant’Antonio subì cospicue modifiche, e i documenti confermano che Tazzini provvide ad aprire i due ingressi laterali centinati alla destra del portone centrale (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 132/2, 5 marzo 1835), egli inoltre nel 1838 sostituì le mostre in cotto delle finestre al piano terreno e del secondo piano della facciata del corpo principale con altre di pietra (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 134/1, 29 marzo 1838). Disegni Luigi Canonica, Prospetto di una porta con variante parziale, 1814; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 250. Luigi Canonica, Prospetto e particolari decorativi di una specchiera su camino, 1814; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 113. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, 1820; ASDMi, Fondo Greppi. Bibliografia Mezzanotte, Bascapè, 1948, pp. 471473; Il Palazzo di Antonio Greppi 1995; Patetta, Parisi 1995, pp. 74-78; Righini Ponticelli 1995, p. 31; Greppi 1996, pp. 353-399; Palazzo Mellerio 1996, p. 104; Stolfi 1996, pp. 315-340. (i.g.) Giardino del Palazzo Perego di Cremnago, via Borgonuovo, Milano 1817Il Palazzo Perego di Cremnago, che oggi sorge al civico numero 14 di via Borgonuovo, è il risultato di una ricostruzione pressoché totale dell’edificio eseguita negli anni del dopoguerra. La precedente costruzione era in origine la cinquecentesca «casa da nobile […] con domuncola» situata al numero civico 1521 della contrada di Borgonuovo acquistata da Gaetano I Perego dal marchese Giuseppe Antonio Molo il 4 maggio 1773. Una planimetria conservata nell’Archivio 180 Giardino di Palazzo Perego di Cremnago, Milano, planimetria del giardino, 1817; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 321. privato Perego di Cremnago permette di leggere l’antica distribuzione dell’edificio, organizzato intorno a una corte centrale circondata sui quattro lati da un porticato ad arcate, con androne di accesso decentrato rispetto al portico ma in asse con l’apertura di passaggio al piccolo giardino, uno spazio circoscritto da muri perimetrali interessato dalla presenza di una nicchia a pilastri inserita nella parete di fondo, a completamento del cannocchiale. Oltre il diaframma con nicchia del «giardinetto» si estendeva un lungo appezzamento di terreno: era il vasto spazio a giardino del Monastero di Sant’Erasmo, confinante a sua volta con un altro giardino, quello delle monache dell’Annunziata, la cui chiesa si ergeva a fianco del palazzo di casa D’Adda, lungo quella che è attualmente via Manzoni. In analogia a quanto operato da molti esponenti dell’aristocrazia milanese, Gaetano Perego intraprese una serie d’importanti interventi di ristrutturazione della sua nuova dimora in Borgonuovo dopo l’acquisto del 1774. Le modifiche all’edificio preesistente apportate dal proprietario interessarono sia gli aspetti architettonici, che quelli decorativi e il giardino: «ben poco fu mantenuto […]: oltre al grande portale a arco in granito di Baveno e ceppo gentile, forse solo il cortile a colonne e qualche muro maestro». Alcune note di pagamento, conservate nell’Archivio Perego attestano il coinvolgimento di Giuseppe Cavagna, Giovanni e Antonio Zanetta per gli stucchi e Gerolamo e Carlo Benzoni, che si dedicarono a opere come il reintegro di serramenti e porte, l’aggiunta di balaustre. Gli interventi alla facciata furono affidati al milanese Francesco Bozzolo, che realizzò una cortina con quattro balconi con ringhiere in ferro battuto. Tra i lavori promossi da Gaetano Perego immediatamente dopo l’acquisto della proprietà, è compresa la realizzazione della «prospettiva», il rifacimento cioè della nicchia a pilastri situata sulla parete di fondo del «giardinetto», commissionata al «marmorino» Antonio Rossi attraverso il Bozzolo. Fu realizzato, secondo il progetto di Bozzolo, ancora oggi allegato alla nota del pagamento effettuato nell’agosto del 1774 conservata nell’Archivio Perego, un manufatto di richiamo neoclassico che si proponeva come fulcro prospettico della visuale che partiva dall’esterno del palazzo, da via Borgonuovo, ed era composto da una nicchia di profondità limitata, in cui era inserito un sedile di pietra ovale; affiancavano il vano due lesene di ordine dorico posizionate su basi quadrate con decori di ghirlande a rilievo a corredo dei capitelli; un grande timpano corredato da una conchiglia centrale e affiancato da elementi decorativi coronava la nicchia. Per l’evoluzione del giardino, un momento di particolare importanza si identifica con l’anno 1778 quando, in seguito alla soppressione del Monastero di Sant’Erasmo, avvenuto il 24 febbraio di quell’anno, il giardino e l’ortaglia furono divisi tra i Perego e i Borromeo D’Adda, la cui proprietà si estese allora fino a confinare con quella dei Perego. Risale probabilmente a questo ampliamento un primo progetto per un giardino all’italiana – da alcune fonti ritenuto già opera di Canonica –, in cui alla precedente proprietà si sovrappone un elaborato giardino con aiuole dai raffinati motivi ornamentali, pensato in due varianti e concluso sul fondo, a ridosso della proprietà delle Annunziate, da un’esedra preceduta da una grande vasca ellittica. Anche un secondo spazio situato lateralmente rispetto al giardino principale, utilizzato anticamente come orto del Convento di Sant’Erasmo, fu ripensato con l’inserimento di un elaborato bacino ovale circondato da profili mistilinei. È poi datata al 18 settembre 1781 la commessa conferita da Perego a Grazioso Rusca di una statua raffigurante Vertunno, da posizionare nel proprio giardino. Realizzata in pietra di Viggiù, la scultura, di cui oggi si conserva il disegno di mano del Rusca nell’archivio privato Perego di Cremnago, Milano, è ancora presente all’interno di quella parte del vasto giardino che sarebbe stata espropriato nel XX secolo. PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E La proprietà del palazzo in Borgonuovo passò poi a Luigi I, che sposò nel 1792 Cristina de Capitani da Vimercate, con la cui dimora il Palazzo Perego confinava. Nel 1808, Luigi I acquistò dal cognato, Giuseppe de Capitani da Vimercate, l’edificio confinante. È con Luigi I che la presenza di Canonica in Palazzo Perego diventa certa: risale infatti all’anno 1817 un disegno autografo dell’architetto, la «Pianta del Giardino della casa civile con ortaglia unita di ragione dell’ill.mo sig.r don Luigi Perego» (Archivio privato Perego di Cremnago, Milano), nella quale viene rilevato il tracciato di un nuovo muro di confine, realizzato nella parte destra del giardino, in confine con un brano superstite della proprietà delle monache dell’Annunziata, annessa poi dagli Adda. Il disegno testimonia il passaggio ai Perego di una vasta porzione dell’area appartenente alle Annunziate, che porterà all’interno del giardino del palazzo di via Borgonuovo anche un’antica peschiera. È infatti segnalata la demolizione del muro di confine tra le due proprietà e il tentativo da parte di Canonica di tracciare assi incrociati per delineare le traiettorie su cui impostare la progettazione del nuovo spazio, dando priorità al già esistente asse centrale che parte dal portone d’ingresso del palazzo, prolungato fino a giungere alla peschiera. Il disegno, di cui esiste una versione, sempre nell’archivio privato Perego di Cremnago, Milano, acquarellata e altamente definita, intitolata «Planimetria del Giardino antico annesso alla casa civile dell’illustrissimo signor don Luigi Perego» che reca l’iscrizione «Dedicata alla illustrissima signora donna Cristina Perego Vimercati», mostra l’impostazione del giardino in quel momento, realizzata o modificata rispetto alla primaria pianta settecentesca, in una versione ulteriore: parterre erbosi rettangolari con angoli arrotondati e vasche d’acqua al centro, che si concludono con una forma semicircolare in prossimità del muro di separazione dal territorio delle monache dell’Annunziata; la porzione di giardino situata sulla destra, un tempo l’orto del Monastero di Sant’Erasmo, risulta trasformata secondo i canoni paesaggistici, con sinuosi vialetti e aiuole irregolari e giunge al confine con la proprietà D’Adda. Da questo secondo elaborato si apprende un’ulteriore informazione circa la porzione di proprietà dell’Annunziata: il disegno reca l’indicazione «Nuova ortaglia dell’Annunciata di casa Perego», registrandone l’annessione all’interno delle proprietà di Perego potrebbe ricondurre il foglio a questa opera. Disegni Luigi Canonica, «Pianta del Giardino della casa Civile con Ortaglia unita a tramontana di ragione dell’illustrissimo sig. don Luigi Perego», 1817; Archivio privato Perego di Cremnago, Milano. [Luigi Canonica ?], Planimetria dedicata a Cristina Perego Vimercati, s.d.; Archivio privato Perego di Cremnago, Milano. Luigi Canonica, Portale del palazzo di contrada di Borgo Nuovo 1502, 1817; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 192/3. [Luigi Canonica], Pianta e prospetto della scalinata di un giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 245. Luigi Canonica, Planimetria del giardino, 1817; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 321. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione della serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 318. Bibliografia Sioli Legnani, Mezzanotte 1945, p. 18; Mezzanotte 1966, p. 294; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 442; Cassi Ramelli 1971; Ricci 1975, p. 160; Perego di Cremnago 2003-2004; Romiti 2005, p. 463. (a.c.) Giardino di Palazzo Perego di Cremnago, Milano, pianta, prospetto e sezione della serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 318. Luigi Perego. È a questa nuova e ampliata situazione che si sovrappone il progetto di Canonica (D 321); l’ormai vasto giardino venne ripensato completamente, con una rielaborazione che lo lega alle forme all’inglese: una prima aiuola ellittica, situata in prossimità della facciata posteriore del palazzo, la cui apertura di passaggio tra cortile e giardino diventa il punto privilegiato di osservazione prospettica, è circondata da un viale che si sdoppia ai lati di un vastissimo prato, seguendo il quale ci si inoltra nel fitto del parco. Canonica legò la già esistente porzione all’inglese al nuovo progetto e presentò un’idea completamente nuova per l’ultimo appezzamento di giardino entrato a far parte della proprietà Perego: ancora aree irregolari in cui inserì un corso d’acqua, derivato dalla roggia dell’Annunciata che scorreva oltre il muro di cinta, e viali che si inoltravano in boschetti e conducono a radure. Una serra, di cui a Mendrisio si conserva un disegno (D 318), è inserita tra due degli assi visivi che si dipartono dal passaggio di acceso al giardino. L’elaborato mostra come Canonica abbia pensato a un edificio dal fronte lineare di richiamo classico e come abbia invece proposto una facciata posteriore dai richiami neogotici, con bifore e aperture archiacute e un rivestimento – pittorico probabilmente – a graticcio. La peschiera si trasforma in uno dei momenti culminanti del percorso, inserita in eremitico isolamento nel fitto di alberature nella parte più remota del parco. Sempre nel novero di disegni conservati presso l’Archivio del Moderno figura un progetto non autografo per il prospetto e la pianta della scalinata di un giardino (D 245): la forte analogia con la peschiera di casa [Luigi Canonica] Palazzo Porro Lambertenghi, contrada dei Tre Monasteri 1597, Milano [entro il 1822] Il Palazzo Porro Lambertenghi è situato a Milano nell’attuale via Monte di Pietà 15, già Contrada dei Tre Monasteri 1597. Nonostante la grande notorietà del palazzo, legata all’attività culturale e politica del suo proprietario, assai celebrata in letteratura, le notizie riguardanti la sua edificazione e la sua architettura sono molto scarse: Francesco Pirovano, nella guida Milano nuovamente descritta (1822), in seguito ripreso da molti autori, ne attribuisce il progetto a Luigi Canonica, ma non è stato finora possibile rintracciare alcuna documentazione archivistica che permetta di comprovare tale attribuzione. Bibliografia Pirovano 1822, p. 287; Caffi 1885, p. 84; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 439; Bascapè 1977, p. 193. (p.c.) 181 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino 1163, Milano [1828-1836] Nel XVIII secolo il palazzo, nobile dimora dei conti Brentani, si ergeva lungo il primo tratto della corsia del Giardino (oggi via Manzoni 6), nell’isolato che dalla Chiesa di San Giovanni alle Case Rotte si estendeva fino alla contrada del Morone. L’isolato era in buona parte occupato dal fabbricato cinquecentesco dell’Orfanotrofio di San Martino, con l’annessa chiesa, e dall’istituto detto il Conservatorio, destinato ad accogliere donne in difficoltà, anch’esso con chiesa annessa, affidato alle monache Benedettine di Santa Maria del Soccorso. L’orfanotrofio, una volta dismesso, nel 1773 sarebbe stato acquistato da Antonio Carlo Anguissola, con il fine di ampliare verso la corsia del Giardino la dimora avita, affacciata sulla contrada del Morone (Morandotti, Stolfi 2002). Il sedime su cui insisteva il Palazzo Brentani era compreso tra la Chiesa di San Martino degli Orfani a nordest, e i fabbricati delle monache di Santa Maria del Soccorso a sud; sempre a sud, ma nella profondità del lotto, l’area confinava anche con parte delle proprietà annesse alla Chiesa di San Giovanni alle Case Rotte. È noto come si presentasse nel XVIII secolo la facciata del palazzo verso la corsia del Giardino grazie a una veduta di Marc’Antonio Dal Re (Arrigoni [1927], fig. 50): il prospetto era sviluppato su tre piani fuori terra, più un seminterrato e un ammezzato tra piano nobile e secondo piano, con undici campate su cui erano rigorosamente allineate le aperture. Semplici cornici marcapiano scandivano orizzontalmente in tre fasce il piano di facciata e il gusto tardobarocco con cui era risolto il prospetto si esprimeva attraverso alcuni importanti elementi decorativi in pietra, quali il monumentale portone centrale con grandi volute sorreggenti un balcone convesso, nei balconcini curvi apposti alle aperture del piano nobile, nei balconcini delle porte-finestre del secondo piano e nella cornice a mensoloni, fortemente aggettante, che concludeva superiormente la facciata. Il sedime fu poi comperato dal conte Paolo Greppi, che all’incirca dal 1828 decise di riformare il palazzo chiamando Luigi Canonica a realizzare un progetto assai complesso, riguardante sia l’impianto planimetrico sia la fac- 182 Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino, Milano, pianta del piano terreno, rilievo e studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 306. ciata lungo la corsia del Giardino, in larga parte compiuto tra il 1832 e il 1833 (Milano e il suo territorio 1844, II, pp. 824-825; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 410-411; Bascapè 1977, pp. 243-244). L’architetto intervenne in modo deciso, non stravolgendo però l’edificio preesistente, bensì adeguandolo a più confortevoli e funzionali criteri distributivi e ai nuovi orientamenti espressivi del gusto neoclassico. Il palazzo mantenne all’incirca il precedente sviluppo su un perimetro irregolare intorno a una corte quadrangolare porticata solo su due lati, con scalone d’onore alla sinistra dell’ingresso; al palazzo si affiancava un più modesto edificio di servizio, che presentava un ingresso secondario e che era articolato intorno a una piccola corte interna, mentre un ampio giardino si estendeva dietro al palazzo, nella profondità del lotto. Canonica rimaneggiò lo scalone, rendendolo più monumentale, ampliò la corte spostando il colonnato antistante a quello di ingresso in posizione più arretrata, e ridistribuì e razionalizzò pressoché tutti gli ambienti del palazzo; riordinò ampiamente il corpo di fabbrica di servizio e ridisegnò anche il giardino. Canonica riformò inoltre la facciata, articolandola su tre piani, con piano terreno a bugnato liscio e i campi superiori, suddivisi da fasce marcapiano, semplicemente intonacati. La regolarità del ritmo delle aperture, sviluppate mantenendo le undici campate preesistenti, sarebbe PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E stata interrotta al centro dal portone centinato con spalle di granito e testa leonina in chiave, sovrastato dalla grande balconata rettilinea sviluppata lungo le tre aperture centrali del piano nobile. Unici elementi decorativi, nella compostezza complessiva della soluzione, sarebbero stati undici tondi con teste ad altorilievo di celebri personaggi di cultura, artisti e scienziati italiani, posti sopra alle finestre del piano nobile. A questa facciata si sarebbe accompagnata sulla sinistra quella del corpo di servizio, anch’essa rinnovata e regolarizzata su cinque campate di aperture, armonizzata al nuovo disegno del prospetto principale. Se le facciate rinnovate da Canonica hanno subìto nel tempo ben pochi cambiamenti, l’articolazione planimetrica e la distribuzione degli interni del palazzo, frutto del suo intervento, sono state quasi totalmente cancellate, venendo più volte profondamente rimaneggiate con il cambio di destinazione dell’edificio a uso degli istituti bancari che si sono alternati nella proprietà a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Nel 1862 l’edificio fu venduto alla Banca d’Italia (allora Nazionale) (Broggi, Burckhardt 1992, p. 6, per gentile concessione degli autori, che si ringraziano, insieme con l’architetto Daniela Simona Beretta), che provvide nel 1905 a ridurre a portico vetrato i lati della corte principale per ricavare delle gallerie d’accesso agli sportelli bancari (ASCMi, Ornato Fabbriche, II, 326). Lo stabile fu acquistato in seguito dalla Banca Commerciale Italiana, che avviò dal 1913-1914 cospicui lavori di riforma, ancora oggi d’incerta datazione. Nel 1913 il piano terreno del palazzo, insieme con quello dell’annesso di servizio, suddiviso in affittanze, vide modificato il piano terreno della facciata con l’apertura, al posto delle finestre, di luci a tutta altezza per negozi (ASCMi, Ornato Fabbriche, II, 18, prot. 26336). Nel 1924-1925 scomparvero infine i due cortili e i corpi interni per lasciare spazio al terzo salone dello stabile principale con accesso dalla piazza della Scala. Nel 1934-1936 il palazzo fu coinvolto nella radicale ristrutturazione degli interni della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala condotta da Giuseppe De Finetti. In particolare, al secondo piano di piazza della Scala fu ricavato, a ridosso della facciata interna, un ampio corridoio che distribuisce ancora oggi gli uffici dell’alta direzione e che collega l’edificio tramite una Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino, Milano, prospetto, progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 248. scala monumentale al piano nobile del Palazzo già Greppi (Giuseppe De Finetti 1981, p. 31; Broggi, Burckhardt 1992, p. 10). Nella seconda metà del Novecento l’edificio subì ulteriori trasformazioni. In particolare, nel 1962 furono ripristinate le finestre della facciata che erano state sostituite da aperture per botteghe (Broggi, Burckhardt 1992, p. 10), inserendo una finestra anche nell’apertura che costituiva anticamente l’ingresso di servizio del palazzo. L’edificio è stato infine recentemente restaurato, insieme con l’attiguo Palazzo già Traversi. La cospicua quantità di disegni e di varianti eseguite da Canonica per il palazzo Greppi suggerisce, per maggiore chiarezza, di analizzare il progetto su un duplice registro, esaminando dapprima il contributo relativo alla facciata e in seguito quello relativo all’impianto planimetrico. Il progetto della facciata L’iter progettuale del rinnovamento della facciata del Palazzo Greppi verso la corsia del Giardino è documentato da dieci disegni conservati nel Fondo Canonica custodito presso l’Archivio del Moderno, cui si aggiungono due disegni conservati nell’Archivio Storico Civico di Milano. Un gruppo di disegni riguarda la fase progettuale della facciata, mentre un secondo attesta la richiesta di approvazione del progetto definitivo alla Commissione d’Ornato. Il complesso dei fogli converge nel mostrare che l’idea sostanziale del progetto fu fin dall’inizio molto semplice e sobria, risolta su valori puramente superficiali e improntata sulla scelta di differenziare con un rivestimento di bugnato liscio il piano terreno dalla parte soprastante. Quest’ultima avrebbe presentato, su uno sfondo intonacato e privo di ordini architettonici, una sequenza regolare di semplici aperture nel piano nobile e nel secondo piano, eventualmente divise da una cornice marcapiano; sarebbero stati eliminati, rispetto alla facciata preesistente, il seminterrato e l’ammezzato tra il piano nobile e il secondo piano, pure se mantenendo invariata la sequenza delle aperture su undici campate. Una fascia marcapiano avrebbe mediato il passaggio tra piano terreno bugnato e piano nobile, per un’altezza corrispondente ai parapetti delle finestre del piano nobile e dei balconi; questi, variamente studiati e proposti, avrebbero costituito gli unici aggetti del prospetto. La facciata avrebbe presentato l’ingresso centrale centinato sormontato da un balcone rettilineo sorretto da due coppie di mensole. Sviluppando questa idea di fondo, i fogli BC 245, BC 246, BC 244 si riferiscono a una soluzione iniziale, in seguito abbandonata, distinta in leggere varianti. I disegni presentano un’articolazione delle aperture del piano terreno differente da quella poi realizzata, che include, oltre alla sequenza di finestre del piano terreno, le finestre più piccole del seminterrato e del piano ammezzato al di sopra. Nel disegno BC 245 appaiono inoltre due porte d’ingresso secondarie, collocate al centro della sequenza delle aperture ai lati del portone principale. Nei tre disegni, in corrispondenza della fascia di separazione tra piano terreno e piano nobile, sono contemplati tre balconi, su cui affacciano la finestra centrale della facciata e le finestre centrali delle porzioni laterali del prospetto. Tale soluzione tende a individuare nell’alzato tre assi verticali che si alternano con regolarità a coppie di finestre, movimentando così la composizione. Un’ulteriore variante delle idee espresse nei disegni precedenti, un poco più vicina a quella realizzata, si trova nel foglio BC 244, in cui il prospetto mantiene sostanzialmente lo stesso motivo complessivo con un solo ingresso centrale, ma esclude l’ammezzato tra piano terreno e piano nobile. Un secondo gruppo di fogli propone alcune varianti su una soluzione com- 183 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A plessiva che si avvicina molto a quella maturata per la realizzazione; si tratta dei disegni BC 243, D 307, BC 248. Questi fogli mostrano, pure se con differenti declinazioni, una soluzione simile a quella del precedente gruppo di disegni, ma con accenti orizzontali più marcati grazie all’introduzione di un’altra fascia marcapiano posta tra piano nobile e secondo piano, poi realizzata. A questa novità introdotta nel prospetto corrisponde anche il cambio di proporzioni delle finestre del secondo piano – ancora incerta nel foglio D 307 e definita nei fogli BC 243 e BC 248 – che si allungano fino a diventare portefinestre schermate da una ringhiera a filo del muro e appoggiate alla cornice sottostante. In questi studi scompare il piano ammezzato e le finestre del piano terreno bugnato presentano proporzioni più allungate. Una variante significativa è illustrata nel foglio BC 248, in cui sono contemplati, oltre alle aperture del seminterrato, due ingressi secondari, con diversa soluzione formale, posti in corrispondenza delle campate alle estremità laterali. Entrambi gli ingressi hanno un sopraluce, suggerendo la presenza di un ammezzato che però non compare nel resto del prospetto e facendo presagire un’ancora incerta distribuzione interna dei locali. Altre differenze cospicue in questi fogli riguardano i balconi: a unico sporto lungo quanto la facciata (BC 243), con tre elementi nel foglio BC 248 (quello centrale allungato su tre aperture e due balaustre laterali a filo di muro in corrispondenza di singole aperture ai margini del prospetto), con un solo elemento centrale allungato su tre aperture (D 307). Il progetto definitivo della facciata compare nel disegno illustrativo BC 247, mentre l’esecutivo è raffigurato nel foglio D 212. Il prospetto, che presenta minime difformità rispetto a quanto eseguito, si configura su tre fasce orizzontali definite da cornici marcapiano con una teoria regolare di undici semplici aperture per ogni fascia. Il valore di superficie su cui è giocato l’intero prospetto è leggermente forzato nella campata centrale, marcata plasticamente dalla presenza del portone centinato d’ingresso, con modiglione in chiave; su cui incombe il balcone padronale; lo sporto si estende lungo le tre aperture centrali del piano nobile, appoggiato su coppie di mensole a modiglione e arricchito da un parapetto con balaustri marmorei. Il resto della facciata si snoda con semplicità, misura e scarso 184 [Luigi Canonica], Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino 1163, Milano, pianta e prospetto della facciata, con particolari delle mensole e delle cornici marcapiano, 1830; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 132/1. rilievo, con un piano terreno definito da un alto zoccolo su cui appoggia il bugnato liscio, traforato da semplici finestre, che presentano, come unico elemento decorativo, i conci dell’architrave disposti ad alta piattabanda. Sulla cornice marcapiano superiore, alta quanto il parapetto di balcone e finestre, appoggiano le aperture del piano nobile, impreziosite da un cappello architravato appoggiato su mensole e decorato con festoni; al di sopra, in asse con le aperture, sono collocati clipei circolari che avrebbero ospitato i ritratti in altorilievo, realizzati in pietra di Viggiù, di italiani celebri; il relativo piano di progetto è riportato nel foglio D 302: da sinistra sarebbero stati raffigurati Alessandro Volta, Pietro Verri, Vincenzo Monti, Andrea Appiani, Cesare Beccaria, Leonardo da Vinci, Gaetana Agnesi, Antonio Canova, Giuseppe Parini, Giovanni Antonio Lecchi, Ennio Quirino Visconti (quest’ultimo realizzato dallo scultore Gaetano Manfredini nel 1830). Il secondo piano presenta portefinestre rettangolari con semplici mostre appoggiate sulla cornice marcapiano e schermate da leggeri parapetti di ferro battuto, posti a filo dei montanti. Una cornice di sottogronda conclude l’alzato con un ag- getto sostenuto da mensole a modiglione. Il foglio D 212 sembra documentare infine la fase esecutiva del progetto, illustrando il prospetto nelle sue linee essenziali, con quote e misure relative alle dimensioni e alle reciproche distanze sia delle bugne di rivestimento sia di singoli elementi architettonici. Nel fondo Ornato Fabbriche dell’Archivio Storico Civico di Milano si trova inoltre la documentazione relativa all’approvazione del progetto di Canonica per la nuova facciata del Palazzo Greppi, essenziale per comprendere le diverse fasi della sua progettazione e puntualizzare alcune datazioni relative alla sua costruzione. Il progetto definitivo, documentato da un disegno del prospetto, della sua proiezione in pianta e dei dettagli degli sporti, fu sottoposto alla Commissione d’Ornato, che l’approvò nell’aprile 1830 (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 132/1, 8 aprile 1830). La vicenda del rinnovamento della facciata, tuttavia, dovette iniziare qualche tempo prima con il ridisegno del prospetto del corpo di servizio, collocato fra il corpo padronale dell’edificio e l’attigua proprietà Traversi, già dell’Orfanotrofio di San Martino. A testimonianza di ciò rimangono le pratiche sottoposte in data 31 ottobre 1829 alla Commissione d’Ornato per l’approvazione del progetto definitivo, conseguita il 5 novembre 1829 con firma di Giocondo Albertolli (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 134/4). Un disegno di studio di questa della facciata, pure se parziale, è conservato a Mendrisio (D 37). Il progetto, sopralzando il prospetto preesistente e regolarizzandone le aperture, riprendeva, proponendone una versione semplificata, lo schema compositivo della facciata del corpo padronale del palazzo. Il prospetto era suddiviso in tre registri da due fasce marcapiano, con piano terreno rivestito di bugnato liscio e i due superiori semplicemente intonacati. La sequenza regolare di cinque assi su cui erano allineate le aperture presentava una modesta sottolineatura del centro grazie alla presenza dell’ingresso centinato, che sostituiva il preesistente portone, più basso e architravato, ed era sormontato da un balcone su mensole. Le aperture del piano nobile presentavano un coronamento architravato che riprendeva il disegno delle finestre del palazzo padronale, mentre il piano bugnato presentava, rispetto a quello dell’attiguo palazzo, un maggior numero di aperture, comprendendo an- PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E che quelle del seminterrato e dell’ammezzato, comparse nel prospetto principale solo nella fase iniziale del progetto e poi eliminate. Il progetto dell’impianto planimetrico È assai difficile ricostruire il progetto di Canonica per l’impianto del Palazzo Greppi, poiché l’intervento è quasi interamente scomparso a causa dei ripetuti rifacimenti cui il fabbricato è stato sottoposto e, ad oggi, non sono noti grafici relativi a un piano che si possa ritenere definitivo e realizzato. Il rinnovamento dell’immobile è infatti documentato solo da disegni di studio, che presentano differenti ipotesi e varianti. Si tratta di sei fogli, conservati a Mendrisio: di questi, quattro si riferiscono al piano terreno, uno al piano nobile e uno allo studio per una sala circolare collocata al piano terra. Non è possibile datare con precisione l’intervento; un documento del 24 luglio 1829, relativo a questioni di confine della proprietà Greppi, attesta che in quella data il «nuovo fabbricato» era già in costruzione (Archivio Storico Banca Intesa, Patrimonio Banca Commerciale Italiana, Immobili. Documenti di proprietà, 3, 1, 3, pezzo n. 6), mentre un altro documento, conservato a Mendrisio, indica che già dal 1828 Canonica stava lavorando alla riforma del palazzo, rilevando lo scalone esistente (AMMe, 8, D 303). I fogli D 304 e D 308 raffigurano planimetrie che comprendono sia il rilievo dell’esistente sia studi e proposte per il rinnovamento del palazzo, e sembrano essere i disegni iniziali della serie. Canonica pare essersi concentrato sul rifacimento della corte, con l’arretramento del colonnato antistante a quello verso l’ingresso e la creazione di un secondo portico gemello a quello verso l’entrata; contestualmente, studia la regolarizzazione degli ambienti disposti nell’ala alla destra della corte, di quelli collocati oltre la corte nella profondità del lotto e la disposizione delle aperture. Propone inoltre una nuova soluzione per lo scalone principale (D 304), che amplia, riprendendone le forme, lo scalone preesistente (quasi certamente raffigurato nello stato di fatto dal foglio D 308); posto alla sinistra dell’ingresso, il nuovo corpo-scale era strutturato con due rampe parallele disposte lungo l’asse longitudinale dell’edificio e precedute da un piccolo vestibolo biabsidato a cui si accedeva mediante una prima breve rampa di scalini. Molta attenzione è inoltre rivolta al ripensamento degli ambienti alla de- Palazzo Brentani Greppi, corsia del Giardino, Milano, salone circolare, pianta e sezione trasversale, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 301. stra del vestibolo d’ingresso, con la presenza di scale secondarie. Le scuderie sembrano essere riconfermate a sinistra dell’entrata, nel corpo di facciata, e, a fianco di queste, è rilevato l’impianto del corpo di servizio annesso al palazzo, mostrando una distribuzione degli ambienti e una serie di aperture verso strada poi ampiamente riformate. In particolare, il locale più a sinistra di tale annesso è confinante con la proprietà Traversi, attiguo al corpo longitudinale della Chiesa di San Martino degli Orfani, che insisteva sul sedime prima di essere demolita per fare spazio al nuovo Palazzo Traversi verso la corsia del Giardino, ideato dallo stesso Canonica. La revisione dell’andamento dei confini tra le proprietà Traversi e Greppi è contemplata nei disegni D 305 e D 306 ed è descritta in alcuni documenti, tre dei quali redatti da Canonica, databili al 1829 (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 513-516, 518). Il foglio D 305 illustra il particolare della riconfigurazione del confine con il passaggio alla proprietà Greppi di una parte della proprietà Traversi attigua al corpo di servizio del Palazzo Greppi, nella profondità del lotto, e con la cessione alla proprietà Traversi proprio dell’ultimo locale alla sinistra dell’annesso di servizio del Palazzo Greppi, attiguo alla Chiesa di San Martino agli Orfani. Il foglio D 306 illustra un progetto che tiene conto del nuovo profilo del lotto dei Greppi, e che presenta un rimaneggiamento dei locali dell’annesso di servizio simile a quello probabilmente eseguito; certamente le aperture verso la facciata assumono la disposizione e la sequenza ancora oggi riconoscibili. In questo disegno sembrano configurarsi più chiaramente gli ambienti disposti nel- l’ala di facciata e alla destra della corte, inoltre, sulla sinistra, è presentata un’ipotesi per lo scalone – preceduto ancora da un vestibolo biabsidato e da una breve rampa di scalini accessibili dal portico d’ingresso – assai vicina a quella realizzata, come si può riscontrare in un disegno del 1905 (ASCMi, Ornato Fabbriche, II, 326, 23697) e come hanno confermato del resto anche i più recenti restauri del palazzo (su gentile segnalazione dell’architetto Mario Broggi). Nella planimetria D 306 compare nel corpo di fabbrica destro, in corrispondenza del portico più interno della corte, un ambiente quadrangolare in cui è ricavato un salone circolare delimitato da otto colonne libere per tre quarti, il cui particolare è studiato nel foglio D 301, che ne propone la pianta e la sezione trasversale con prospetto parziale. L’alzato della sala evidenzia un ordine di colonne ioniche che reggono una trabeazione su cui è impostata una volta leggera ribassata a sezione policentrica appesa alle travi portanti del solaio superiore. Come indica la destinazione funzionale esplicitata nel foglio D 306, l’ambiente circolare doveva ospitare la sala da pranzo, essendo effettivamente attiguo alle cucine e ad altri locali di servizio collocati nella stessa ala. Di tale ambiente oggi non rimane più alcuna traccia. Nel foglio D 84 è raffigurata una planimetria del piano nobile del Palazzo Greppi, su cui è difficile pronunciarsi, essendo la distribuzione profondamente mutata col tempo. Lo studio sembrerebbe risalire a una fase precedente la ridefinizione dei confini con la proprietà Traversi mostrando, sulla destra, l’annesso di servizio al palazzo ancora esteso su quella campata che sarebbe poi stata ceduta ai Traversi, e un andamento del perimetro del sedime Greppi che sarebbe poi stato modificato. La pianta pare un rilievo dello stato di fatto (vi è ancora disegnato il balconcino convesso settecentesco al centro della facciata) in cui è presentato lo studio del nuovo scalone con i relativi collegamenti agli ambienti circostanti, della scala di servizio nell’ala ad esso opposta, e della riforma degli ambienti rivolti verso la corte, sia nel braccio di fabbrica verso strada, sia in quello ad esso antistante. A Mendrisio sono inoltre conservati documenti scritti che attestano l’intervento di Canonica intorno al 1836 per questioni relative all’innalzamento di una piccola fabbrica che doveva essere costruita dai Greppi sul confine con una proprietà attigua (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 559) e, in data 185 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A imprecisata, per un’altra piccola fabbrica, da erigersi nel cortile della Chiesa di San Giovanni alle Case Rotte, che sarebbe stata appoggiata al muro di cinta del giardino del Palazzo Greppi (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 536). Ampia documentazione conservata a Mendrisio attesta e precisa infine la cospicua attività di Canonica anche in relazione al disegno di decorazioni, arredi fissi e mobili del palazzo, nonché alle scelte per la sistemazione del retrostante giardino. Disegni Luigi Canonica, Prospetto, studio di progetto s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 245. Luigi Canonica, Prospetto, studio di progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 246. Luigi Canonica, Prospetto, studio di progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 8, BC 244. Luigi Canonica, Prospetto e sezione parziale, studio di progetto, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 8, BC 243. Luigi Canonica, Prospetto, studio di progetto. Sul verso, studio della controfacciata verso il portone di ingresso, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 307. Luigi Canonica, Prospetto, progetto (disegno illustrativo in pulito, riquadrato, con ombreggiature), s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 8, BC 248. Luigi Canonica, Prospetto, progetto (disegno illustrativo in pulito, riquadrato, con ombreggiature), s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 8, BC 247. Luigi Canonica, Prospetto, progetto esecutivo, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 212. Luigi Canonica, Schema per la disposizione dei tondi in facciata, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 302. Luigi Canonica, Prospetto parziale della facciata dell’annesso di servizio verso la corsia del Giardino, studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 37. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, rilievo e studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 308. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, rilievo e studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 304. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, particolare di una porzione del confine tra le proprietà di Paolo Greppi [a destra] e Giovanni Traversi [a sinistra], 1829; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 305. Luigi Canonica, Pianta del piano terreno, rilievo e studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 306. 186 Luigi Canonica, Pianta e sezione trasversale di un salone circolare. Sul verso studi per scala, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 301. Luigi Canonica, «N° 3. Pianta del piano nobile», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 84. [Luigi Canonica], Pianta e prospetto della facciata con prospetti laterali delle mensole e delle cornici marcapiano, 1830, ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 132/1. Bibliografia Arrigoni [1927], fig. 50; Milano e il suo territorio 1844, vol. II, pp. 824825; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 410-411; Bascapè, Perogalli 1964, p. 222; Bascapè 1977, pp. 243-244; Patetta 1978, p. 93; Giuseppe De Finetti 1981, p. 31; Soldini 1981[a], pp. 343, 348; Broggi, Burckhardt 1992; Patetta, Parisi 1995, pp. 69-71; Morandotti, Stolfi 2002. (i.g.) Palazzo Perego, Borgo Nuovo 1521, Milano [1829] I documenti conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio permettono di ampliare i contorni dell’attività svolta da Canonica nella nobile residenza della famiglia Perego in Borgo Nuovo (ora via Borgonuovo 13) (Sioli Legnani, Mezzanotte 1945; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 851853). Mentre i disegni attestano il già provato coinvolgimento di Canonica nella sistemazione del grande giardino annesso al palazzo (vedi la relativa scheda in questo stesso volume), le carte del Fondo Canonica permettono, in via inedita, di estendere l’intervento dell’architetto anche alla sistemazione dell’edificio e all’espletamento di perizie inerenti a contenziosi di servitù di confine. Pur essendo difficile datare e definire l’entità complessiva dei lavori svolti dal ticinese nella residenza dei Perego, data l’esiguità delle informazioni emerse in tal senso, è possibile iniziare a metterne in luce, tuttavia, alcuni puntuali aspetti. Egli nel 1829 certamente svolgeva per i Perego il ruolo di perito di parte in un contenzioso insorto con i vicini Marietti, relativo all’abbassamento del muro di confine tra i rispettivi giardini (perizia autografa di Canonica, marzo 1829; AMMe, Fondo Canonica, XXXIX, 469). In data imprecisata, Canonica stendeva inoltre una minuta relativa a una serie di lavori di am- modernamento dell’edificio sollecitati da problemi di servitù di confine tra i Perego e i vicini Uboldi (AMMe, Fondo Canonica, XXXIX, 470). Le opere, di non lieve entità, dovevano riguardare demolizioni e innalzamenti di scale, finestre, canne di camino, muri divisori comuni, soffitte. (i.g.) Palazzo Antona Traversi già Anguissola, corsia del Giardino 1154, Milano [1829-1832] Il Palazzo Antona Traversi (oggi via Manzoni 10) fu realizzato intorno al 1829-1830 come ampliamento del Palazzo già Anguissola. Tale edificio, dimora dei nobili Anguissola già dalla fine del XVII secolo, si trovava in contrada del Morone 1164 e il sedime aveva affaccio pubblico solo verso quella contrada, mentre, verso la corsia del Giardino, confinava con la proprietà del cinquecentesco Orfanotrofio di San Martino; questo si estendeva in angolo tra le due vie, occupando l’area con il fabbricato dell’Istituto e l’annessa Chiesa di San Martino degli Orfani. L’orfanotrofio, abbandonato in favore di una nuova e più ampia sede disposta nel 1768 nel quadro di una complessiva riforma degli istituti assistenziali milanesi, insieme con la chiesa sconsacrata, fu messo all’asta nel 1773 e fu acquistato da Antonio Carlo Anguissola, che vide la possibilità di ricostruire e ampliare la dimora avita. A un primo, ambizioso progetto di Simone Cantoni, databile tra il 1773 e il 1775, di cui si ha traccia in una pianta conservata nell’Archivio di Stato di Bellinzona, seguì un più contenuto piano di Felice Soave che, tra il 1775 e il 1778, provvide a realizzare una ricostruzione parziale e un complessivo abbellimento dell’edificio esistente (Morandotti, Stolfi 2002, pp. 12-17). Nel 1817 la dimora fu venduta al facoltoso avvocato Giovanni Battista Traversi, figura di spicco nella compagine sociale milanese, che volle ampliare l’edificio verso la corsia del Giardino, allora in corso di trasformazione come uno dei distretti più eleganti della città. Secondo Pirovano entro il 1822 erano già stati elaborati diversi disegni per la facciata, ma sembra che solo più tardi, nel 1829-1830 (1830 in Mongeri 1872; 1829-1830 in Mezzanotte, Bascapè 1948; 1830 in Morandotti 2001; 1829 in Morandotti, Stol- fi 2002), fosse chiamato per realizzare il nuovo corpo di fabbrica Luigi Canonica, nel contempo impegnato nella riforma dell’attiguo Palazzo Greppi già Brentani. I rapporti tra Canonica e Traversi erano tuttavia già in corso almeno dal marzo 1828, quando Canonica curò per lo stesso Traversi (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 505), e contestualmente per Paolo Greppi, i rilievi e le operazioni relative alla permuta di porzioni delle rispettive proprietà che erano attigue lungo la corsia del Giardino (si veda, a questo proposito la scheda su Palazzo Brentani Greppi in questo stesso volume). Definito il nuovo confine del lotto, fu poi realizzata la parte della dimora Traversi prospiciente alla corsia del Giardino, occupando l’area su cui insisteva l’Orfanotrofio di San Martino, tra la contrada del Morone a nord e la Chiesa di San Martino degli Orfani a sud, confinante appunto con il sedime dei Greppi. La documentazione conservata a Mendrisio (ibidem) permette di precisare che Canonica iniziò a lavorare sulla pianta del palazzo nel marzo 1829 e che tra maggio e giugno consegnò la «copia del Disegno della pianta in netto», insieme con «altra bella Copia»; i lavori, con una prima «livellazione» iniziata nell’agosto 1829, si protrassero almeno fino al 1832, quando si definivano la pavimentazione del portico e parti del rivestimento lapideo. Il nuovo edificio si snodava intorno a una corte quadrata ad angoli smussati, porticata con colonne e pilastri angolari dorici privi di base, a cui immetteva un profondo vestibolo d’ingresso. A dirimpetto dell’entrata, sul lato opposto della corte, si apriva lo scalone monumentale che costituiva l’elemento di collegamento con il retrostante Palazzo già Anguissola; sui lati diagonali della corte erano posti, rispettivamente a destra e a sinistra, gli anditi verso il giardino, nella profondità del lotto, e verso la contrada del Morone, alla corte d’ingresso del Palazzo già Anguissola. Il corpo della dimora verso la contrada del Morone, già adibito a stalle, venne a sua volta ricostruito adattando l’impianto all’andamento curvilineo della strada (Broggi, Burckhardt 1992, p. 3, per gentile concessione degli autori e dell’architetto Daniela Simona Beretta, che si ringraziano). Il progetto di Canonica per la facciata del palazzo verso la corsia del Giardino si conserva nel Fondo Cattaneo, depositato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona. In questo PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E prospetto fu abbandonata la consueta semplicità compositiva, adottando, per legare il piano nobile e il secondo piano, un ordine gigante corinzio con lesene scanalate; questo fu appoggiato sopra un podio liscio costituito dalla fascia di granito del piano terreno e venne coronato da una trabeazione completa con fregio riccamente decorato a rilievo, utilizzando le pietre di Saltrio e di Viggiù. La tripartizione orizzontale del prospetto, sottolineata mediante fasce marcapiano apparentemente arretrate rispetto all’ordine, costituisce l’elemento di continuità visiva con l’attigua, più semplice facciata del Palazzo Greppi già Brentani. Scarse evidenze documentarie e grafiche sono ad oggi disponibili in relazione al progetto dell’edificio. In alcuni disegni di Canonica eseguiti per il Palazzo Greppi già Brentani sulla corsia del Giardino, si trova traccia dello stato di fatto di parte del sedime Traversi prima dei rifacimenti avviati nel 1829-1830 dallo stesso Canonica. I fogli AMMe, 8, D 308, D 305 e D 306, con numerose carte conservate nel Fondo Canonica presso l’Archivio del Moderno relative al progetto del Palazzo Greppi, documentano la revisione del confine, assai irregolare, tra le due proprietà, attestando la presenza della Chiesa di San Martino degli Orfani nel sedime Traversi, non ancora demolita, e la cessione ai Traversi di un locale posto all’estremità dell’annesso di servizio del Palazzo Greppi (coerente al corpo longitudinale della chiesa), nonché di una piccola area triangolare nella profondità del lotto. Viceversa, è attestato il passaggio dai Traversi ai Greppi di una porzione della corte e dello stabile Traversi all’interno del lotto. Nel Fondo Canonica di Mendrisio è conservata una minuta intitolata «Traversi», probabilmente prodotta anch’essa in occasione dello studio di Luigi Canonica, che riporta un preventivo di costi relativi a demolizioni, nuove costruzioni e a elementi edilizi da mettere in opera (AMMe, Fondo Canonica, LIII, 720). Il documento riguarda muri, tavolati, scale, colonne, soffitti, tetti, gronde, nonché forniture di stipiti, porte, serramenti, capitelli e altro; un complesso di elementi edilizi che indica, quindi, un cospicuo lavoro condotto all’interno di una proprietà Traversi ed è plausibile che il documento si riferisca proprio ai rifacimenti e all’ampliamento eseguiti nella porzione del palazzo verso la corsia del Giardino. Le carte conservate a Mendrisio do- cumentano inoltre la minuzia con cui Canonica si occupò, tra il 1830 e il 1832, delle finiture e dei rivestimenti lapidei dell’edificio, definendo le pietre vive della facciata verso la corsia, del nuovo scalone, dell’alzato verso la contrada del Morone, del cortile «civile» (pietra di Viganò), del pavimento del portico (lastre di beola), dei poggioli, del canale di cimasa e della gronda della facciata (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 510). Per il prospetto, ancora da costruirsi, nel 1830 furono ordinate le lastre di «granito rosso delle migliori cave di Baveno» (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 522); per il nuovo scalone, rivestito in «miarolo rosso» (granito rosa di Baveno), furono in parte riacconciate le lastre dello scalone preesistente, demolito, e in parte aggiunte lastre nuove realizzate sulle sagome fornite da Canonica, mentre per i pavimenti esterni furono utilizzate lastre di «miarolo bianco [...] martellato [granito bianco di Montorfano]» e lastre di beola con i trottatoi di «miarolo bianco» per il portico; tutti i materiali dovettero essere forniti dai «sostrari di vivi Polli e Pirovano» (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 511). Proprio con tali fornitori, Nicola e Davide Pirovano con i soci Luigi e Venanzio Polli, nel 1831 dovette aprirsi una vertenza in merito al rifacimento di alcune parti lapidee della cornice del piano terreno del palazzo (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 512, 527-528), che non dovevano soddisfare Canonica, definito dallo stesso Traversi «autore e direttore della fabbrica» (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 528). L’obbligazione per la fornitura dei vivi del pavimento del portico, redatta il 19 gennaio 1832 da Canonica e sottoscritta da Pirovano e da Traversi, indica che per i trottatoi erano previste lastre di «miarolo bianco», mentre per il pavimento del portico dovevano essere impiegate lastre di beola (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 517). Il documento fa riferimento anche a un disegno di progetto, molto probabilmente quello che si conserva nel Fondo Canonica di Mendrisio, che illustra lo studio di varianti per la pavimentazione della corte ottagonale d’ingresso all’edificio dalla corsia del Giardino (BC-AMMe, 9, BC 384). Il foglio, per altro non autografo, ad oggi sembra costituire, insieme con quello della facciata conservato a Bellinzona, l’unica testimonianza grafica del progetto di Canonica per il Palazzo Traversi. Dopo l’intervento dell’architetto tici- nese, il complesso mantenne sostanzialmente inalterato il proprio assetto sino al 1910, quando la società assicurativa “La Popolare Vita”, diventata proprietaria degli stabili, promosse tra il 1910 e il 1912 una riforma a uso utilitario che doveva mutarne profondamente il volto. Furono aperte botteghe a tutta altezza in luogo delle finestre al piano terreno, le strutture murarie furono parzialmente abbattute e ricostruite con strutture metalliche, furono chiusi i porticati dei due cortili d’ingresso, su via Morone e su via Manzoni; furono modificati sia la distribuzione interna, sia i collegamenti verticali del corpo principale del palazzo, e venne ricavato un piano supplementare nella porzione di via Morone (ASCMi, Ornato Fabbriche, II, 605). Nel 1913-1914, con la proprietà Crespi, furono reintrodotte nella facciata verso via Manzoni due finestre ai lati del portone in luogo delle botteghe da poco aperte (ibidem). Nel dopoguerra il palazzo passò alla Banca Commerciale Italiana e fu adattato più volte al nuovo uso con interventi invasivi e disorganici. Recentemente si sono conclusi i restauri conservativi, sia del corpo disegnato da Soave, adibito ad Archivio Storico della Casa Visconti alla Vettabia, Milano, prospetto e dettaglio di prospetto, studio di progetto, 1831; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 145. 187 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Banca Commerciale Italiana, sia di quello ideato da Canonica. Disegni Luigi Canonica, Prospetto, [18291831]; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 14. Bibliografia Pirovano 1822, p. 294; Bossi 1828 [1818], I, pp. 237-238; Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Zucoli 1841, pp. 120-121; Milano e il suo territorio 1844, II, p. 416; Caimi 1862, p. 21; Mongeri 1872, p. 486; Mezzanotte, Bascapè 1948, pp. 411-412; Bascapè 1977, pp. 244-246; Soldini 1981[a], pp. 346, 348; Mulazzani 1990, pp. 913; Broggi, Burckhardt 1992, p. 3; Parisi 1995, p. 62; Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, pp. 113-129; Morandotti, Stolfi 2002, pp. 20-21. (i.g.) Casa Visconti alla Vettabia, Milano 1831 Nell’ambito dei numerosi lavori svolti da Canonica per la committenza Visconti, un disegno conservato a Mendrisio testimonia l’intervento dell’architetto su un immobile di proprietà di quella famiglia nella zona di Porta Ticinese; si trovava tra le parrocchie di San Pietro in Campo Lodigiano e di Sant’Eufemia, nella zona in cui la Vettabbia si distaccava dal Naviglio interno, all’incirca dove attualmente si snoda la via della Chiusa. In assenza di più puntuali riscontri documentari, peraltro non deducibili dal disegno, è difficile individuare con precisione l’immobile, dato anche il cospicuo numero di proprietà Visconti, in prevalenza case d’affitto con botteghe, indicate nei registri catastali relativi alle aree delle succitate parrocchie. Il disegno raffiga il prospetto perimetrale della proprietà, costituito da un muro di cinta in cui si apre la cancellata d’ingresso, innestato in un corpo di fabbrica, probabilmente di servizio, che offre due fianchi alla strada. L’alzato dell’edificio è articolato su una sequenza di semplici arcate a tutto sesto con concio in chiave a rilievo appoggiate su pilastri. Il prospetto più lungo del fabbricato si snoda su un leggero pendio. Il dettaglio del muro di cinta mostra un particolare dei pilastri che inquadrano la cancellata; questi sono sormontati da sfere, probabilmente di pietra, appoggiate su elementi tronco-piramidali definiti da modanature di larghezza decrescente. 188 Casa Visconti di Modrone, contrada dell’Agnello, Milano, prospetti relativi al progetto di arretramento, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 225. Disegni [Luigi Canonica], Prospetto frontale AB, laterale BC e dettaglio di prospetto, studio di progetto, 1831; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 145. (i.g.) Casa Visconti di Modrone, contrada dell’Agnello 971-973, Milano [1833-1836] L’edificio, intestato fin dalla metà del Settecento all’Opera Pia Modrone, amministrata dalla nobile famiglia Visconti di Modrone, si ergeva poco lontano dalla zona absidale del Duomo, all’incirca sull’angolo della contrada dell’Agnello con la corsia dei Servi. Lo stabile, scomparso con i rifacimenti dell’isolato nella ricostruzione postbellica, era piuttosto articolato e distinto da tre numeri civici: destinato a casa d’affitto con botteghe al piede, fu riformato in occasione dell’allargamento e della rettifica della corsia dei Servi decisi dal Consiglio comunale nel 1832, per il tratto che, andando dalla piazza di San Paolo alla contrada di Santa Radegonda, comprendeva anche la contrada dell’Agnello. La prima fase dell’intervento, tra le contrade di Santa Radegonda e dell’Agnello, fu eseguita tra il 1833 e il 1834, e la Casa del duca Visconti di Modrone fu arretrata con la corresponsione di un indennizzo di 130.000 lire (Succinta descrizione 1834, p. VI; Adami 1937, pp. 233234; D’Amia 2001, p. 73). Luigi Canonica, che aveva consolidati rapporti di lavoro con i Visconti di Modro- ne, testimoniati da numerosi interventi nei loro immobili milanesi e fuori città (vedi le schede in questo stesso volume), fu chiamato, contestualmente ai lavori che stava conducendo nella casa posseduta dallo stesso ramo della nobile famiglia in contrada delle Asole, a redigere il progetto di riforma dello stabile in contrada dell’Agnello. L’edificio fu demolito per la parte destinata ad arretrare e ricostruito dalle fondazioni ai tetti, come testimonia un documento autografo di Canonica, che fornisce un elenco dettagliato delle cospicue opere che dovevano essere appaltate in conformità al progetto (AMMe, Fondo Canonica, XLVI, 581). Tre disegni del Fondo Canonica (D 209, D 14v, D 283) contribuiscono a precisare i contorni cronologici dell’intervento, che fu eseguito tra il 1833 e il 1835-1836, date peraltro confermate anche da altri due fogli, conservati rispettivamente a Bellinzona e a Mendrisio, che illustrano i nuovi alzati della Casa Visconti in contrada dell’Agnello e che sono datati 1834 e 1835-1836. I rinnovati prospetti della Casa Visconti erano molto semplici, su quattro piani fuori terra più il sottotetto e l’ammezzato tra piano terreno e piano nobile. La fronte verso la corsia dei Servi si snodava su quattro campate mentre quella verso la contrada dell’Agnello si sviluppava su sei campate. Al piano terreno, bugnato, era reiterato il motivo delle aperture rettangolari delle botteghe sormontate da sopraluci semicircolari; si deve osservare l’assenza di un portone d’ingresso. I piani dei prospetti erano ripartiti orizzontalmente mediante due fasce marcapiano; sopra una spessa cornice con modiglioni si ergeva il piano di sottotetto, definito superiormente anch’esso da un’ultima cornice. Sulla facciata verso la corsia dei Servi tutte le aperture del piano nobile, così come quelle del secondo e del terzo piano, erano portefinestre che permettevano l’affaccio verso la strada con balconi su mensole o con parapetti posti a filo dei montanti, mentre verso la contrada dell’Agnello la maggior parte delle aperture era costituita da finestre. Su entrambi i prospetti, le aperture del piano nobile erano decorate con un coronamento architravato e tutte le aperture erano sottolineate mediante riquadrature dei profili; i disegni D 299 e D 300 mostrano le varianti previste per le aperture dei tre piani residenziali, proposte in forme semplici che si prestavano, con alta versatilità, a essere facilmente adeguate a portefinestre (on eventuale coronamento e con diversi tipi di balcone), o a semplici finestre. Disegni Luigi Canonica, Prospetti relativi al progetto di arretramento della Casa Visconti di Modrone in contrada dell’Agnello, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 225. [Luigi Canonica?], «Prospetto del nuovo fabbricato da erigersi nella corsia del Duomo», 1834; ASTi, Fondo Cattaneo, 3, 2. Luigi Canonica, Prospetto verso la corsia dei Servi e sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 103r. Luigi Canonica, Prospetto verso la corsia dei Servi e sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 103v. Luigi Canonica, Sezioni, progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 93. Luigi Canonica, Prospetto parziale verso la corsia dei Servi, studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 60r. Luigi Canonica, Dettagli di modanature, studio, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 60v. Luigi Canonica, Piante, prospetti e sezione dei piani terreno e ammezzato verso la corsia dei Servi e verso la contrada dell’Agnello; progetto del bugnato, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 14r. Luigi Canonica, Dettaglio del bugnato del piano terreno, progetto esecutivo, 1835-1836; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 14v. Luigi Canonica, Prospetto del piano terreno verso la corsia dei Servi [in basso]; prospetti parziali e profili la- PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E terali del balcone al primo piano [al centro] e al terzo piano [in alto]; studio di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 264r. Luigi Canonica, Studi per modanature, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 264v. Luigi Canonica, Modano, 1833; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 209. Luigi Canonica, Porte, finestre e poggioli, progetto, 1833; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 300. Luigi Canonica, Porte, finestre e poggioli, progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 299. Luigi Canonica, Sezioni di stipiti, progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 244. Luigi Canonica, Sagome di stipiti, progetto esecutivo, 1835; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 283. Luigi Canonica, Cornice marcapiano tra quarto piano e sottotetto del prospetto verso la corsia dei Servi [sopra] e del prospetto verso la contrada dell’Agnello [sotto]; progetto esecutivo, 1835; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 97. Luigi Canonica, Sezioni delle gronde e dei canali di gronda, varianti di progetto, 1835; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 54. Bibliografia Succinta descrizione 1834; Adami 1937, pp. 230-241; Soldini 1981[a], p. 343; Patetta, Parisi 1995, p. 88; D’Amia 2001. (i.g.) Palazzo Beolchi, Cuggiono 1834 La nobile Geltrude Beolchi lasciava, al momento della morte avvenuta nel 1828, al luogo Pio di San Benedetto di Cuggiono una somma di denaro e il proprio palazzo, affinché in esso si realizzasse l’ospedale dei Santi Benedetto e Geltrude. Del progetto di adeguamento e ampliamento della struttura venne incaricato l’architetto Giovanni Battista Bossi, originario di Cuggiono, che si avvalse della consulenza di Canonica. Nel registro dei conti relativo agli «Adattamenti e Fabbrica dell’Ospitale» il 7 aprile 1834 è annotato il pagamento di una giornata e mezza di lavoro al muratore Carlo Calcaterra, impiegato per scavare e “visitare” le fondazioni di palazzo Beolchi su richiesta dello stesso Canonica (Archivio Parrocchiale Cuggiono, Sezione storica - Ospedale SS. Benedetto e Geltrude, 1, 1). Casa Visconti di Modrone, contrada dell’Agnello, Milano, particolari delle gronde e dei canali di gronda, 1835; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 54. Bibliografia Visconti 2009, pp. 287-291; Mira 2009, pp. 155-180. (p.m.) Casa Saroli, corso Francesco 622-624, Milano 1835 La Casa Saroli si trovava lungo il lato settentrionale del centralissimo corso Francesco – così come era stata ribattezzata l’antica corsia dei Servi – attigua al fianco orientale della galleria De Cristoforis, quasi all’angolo con la contrada del Monte. L’edificio vide la propria fronte arretrata e ricostruita in occasione della rettifica del tracciato della corsia dei Servi, a seguito di un lungo e ampio dibattito iniziato a partire dal primo Ottocento, nel quadro delle numerose iniziative intraprese con l’intento di riorganizzare globalmente la città a partire dagli spazi pubblici e dalle infrastrutture viarie e di promuovere nuovi interventi di abbellimento urbano. In particolare, un progetto di ampliamento della corsia dei Servi era stato redatto da Paolo Landriani e Luigi Canonica in seno alla Commissione d’Ornato, approvato nella seduta del 26 marzo 1816 (D’Amia 2001, pp. 48-49). Al favore generale espresso per la proposta di Landriani e Canonica, come per le altre numerose che intanto erano state presentate, si opposero tuttavia difficoltà pratiche che emersero con evidenza appena si iniziò a discutere del caso concreto relativo all’arretramento della Casa Sa- roli, che avrebbe dovuto coincidere con il tratto iniziale della rettifica della corsia (ASCMi, Consiglio Comunale, 14, fasc. 194, seduta 31 gennaio 1817, relazione della Commissione consiliare, in D’Amia, 2001, p. 50) e che trovava in opposizione la Commissione d’Ornato e quella consiliare. Quest’ultima riteneva infatti sufficiente l’ampiezza della corsia, attestata sulle 22 braccia (ampiezza fissata in età napoleonica come misura minima per i «corsi» urbani), e riteneva che fosse possibile limitare l’arretramento della Casa Saroli recando un minore aggravio alle casse comunali; la Commissione d’Ornato riteneva inevitabile, invece, l’arretramento proposto, in quanto regolato sul filo della Chiesa di Santa Maria dei Servi. L’indennizzo che Saroli avrebbe dovuto ottenere per la parte di proprietà che avrebbe dovuto cedere al Comune aprì un ampio dibattito intorno allo strumento dell’esproprio e alle modalità di calcolo delle quote da assegnare ai privati. Nel frattempo, la Casa Saroli dovette essere ricostruita e ultimata entro l’agosto 1831; in quella data infatti, in occasione del dibattito su una nuova proposta di rettifica del solo lato settentrionale della corsia, in Consiglio comunale si notava come il nuovo allineamento proposto imponesse un altro arretramento, con ulteriore contributo municipale, del fabbricato di proprietà Saroli di recente costruito. Il contratto con Michele Saroli per il riallineamento imposto al suo caseggiato dalla nuova linea di rettifilo fu definito infine nel dicembre 1834 (processo verbale della se- duta consiliare del 29 dicembre 1834 in ASCMi, Consiglio Comunale, 30, 945; D’Amia 2001, p. 72). La Casa Saroli, insieme con l’adiacente galleria De Cristoforis, scomparve negli anni Trenta del Novecento, quando fu costruito il Palazzo delle Toro Assicurazioni nel quadro degli interventi che andarono a costituire la piazza San Babila. Tre disegni conservati a Mendrisio attestano il coinvolgimento di Luigi Canonica nel progetto di arretramento della Casa Saroli e la data «1835» apposta al foglio D 270 indica che i disegni riguardano l’allineamento previsto per l’edificio dopo la definizione della linea di rettifilo della corsia dei Servi nel 1834. Nel foglio D 243 è illustrata la nuova facciata dello stabile, presentata con dettagli architettonici e decorativi e con la proiezione in pianta dell’arretramento previsto. All’andamento obliquo dell’esistente facciata (con il margine occidentale sporgente rispetto alla fronte dell’attigua galleria De Cristoforis e definito da un angolo acuto emergente sulla corsia), Canonica oppose una facciata con andamento rettilineo, arretrando il prospetto a partire dal margine orientale e correggendo con uno smusso obliquo la sua terminazione occidentale, ad angolo. Il disegno D 270, che illustra uno studio del filo occidentale della facciata con la definizione delle quote in altezza, mostra proprio l’attenzione di Canonica per le relazioni dimensionali da instaurarsi tra la nuova facciata della Casa Saroli e il prospetto dell’attiguo fabbricato De Cristoforis. Anzi, il disegno del prospetto di tale fabbricato, progettato da Andrea Pizzala tra il 1831 e il 1832, doveva essere stato per Canonica un importante elemento di orientamento per la soluzione dell’alzato della Casa Saroli: i due prospetti sembrano infatti aver avuto molte affinità, a partire dalla fascia terrena bugnata e dagli ingressi laterali con sopraluce semicircolari, per arrivare all’articolazione su quattro piani fuori terra e al disegno dei balconcini del piano nobile e del secondo piano. La facciata della Casa Saroli si configurava su quattro piani, più un ammezzato tra il piano terreno e il piano nobile, e presentava soluzioni leggermente differenti tra la parte rettilinea della facciata, sviluppata su sette campate, e la terminazione occidentale smussata, sviluppata su una sola campata, ove si apriva probabilmente l’ingresso principale. Il prospetto presentava un piano terreno bugnato, su cui 189 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Casa Saroli, Milano, pianta, prospetto e dettagli della facciata, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 243. appoggiava, nella porzione rettilinea, un ordine ionico gigante con lesene che abbracciavano il piano nobile e il secondo piano. Sulla trabeazione appoggiava una balconata in ferro battuto che si snodava lungo tutta la parte rettilinea del prospetto e su cui affacciavano le aperture del terzo piano; qui Canonica sembra aver riproposto, pure se su scala più ampia e complessa, il motivo architettonico già sperimentato nella facciata della propria abitazione in contrada Sant’Agnese. Gli accenti orizzontali del prospetto erano segnati da fasce marcapiano presenti su tutti i piani ed emergevano con maggiore evidenza nella porzione smussata del prospetto, dove non si estendevano l’ordine di lesene e la balconata superiore. La parte rettilinea della nuova facciata ospitava al piano terreno una sequenza di luci centinate per botteghe interrotta al centro da un ingresso, mentre la parte smussata, sviluppata su una sola campata, era occupata al piano terreno dall’ingresso principale, accompagnato da semicolonne tuscaniche trabeate e sormontato da un sopraluce centinato corrispondente al superiore piano ammezzato, motivo, questo, cinquecentesco spesso ripreso, opportunamente adattato, nell’architettura neoclassica. Le finestre del piano nobile erano coronate da un cappello architravato e presenta- 190 vano balconcini di pietra al centro sopra l’ingresso, nelle campate ai margini e nella parte obliqua della facciata. Semplici riquadri profilavano le finestre del secondo piano mentre le aperture del terzo non presentavano decorazioni. La porzione occidentale obliqua del prospetto, priva dell’ordine architettonico, era comunque nobilitata mediante una ripresa più enfatica delle soluzioni previste per le aperture della parte rettilinea della facciata e con la sottolineatura della gerarchia dei diversi piani anche attraverso il differente disegno dei balconcini. Al piano nobile era prevista infatti un’apertura con coronamento architravato, simile a quello delle finestre attigue ma sostenuto da mensole a voluta e con un balconcino marmoreo uguale a quelli attigui; al secondo piano era posta un’apertura simile a quelle attigue del piano nobile, con semplice coronamento architravato, aggiungendovi però un balconcino con ringhiera di pietra e di ferro battuto; al terzo piano era prevista un’apertura simile a quelle attigue del secondo piano con l’aggiunta di una ringhiera di ferro battuto posta a filo dei montanti. Canonica aveva inoltre minuziosamente studiato i dettagli decorativi di questa parte della facciata, dai capitelli alla trabeazione, alle mensole, alla cornice di gronda (D 243). Disegni Luigi Canonica, Pianta, prospetto e dettagli della facciata, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 243. Luigi Canonica, Pianta e prospetto parziale della facciata, 1835; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 270v. Bibliografia D’Amia 2001. (i.g.) Casa Visconti di Modrone, contrada delle Asole [3280?], Milano [1836 ca] La via delle Asole, o delle Asine, era anticamente un breve tratto di strada che collegava i pressi della Chiesa di San Sepolcro alla corsia della Lupa (odierna via Torino), correndo parallela alla piazzetta di Santa Maria Beltrade. Oltre la corsia della Lupa, la strada si prolungava verso la contrada della Balla (odierna via Unione) attraverso un primo tratto chiamato «il Malcantone», che si trovava appunto in angolo con la corsia della Lupa. Dieci disegni del Fondo Canonica conservati all’Archivio del Moderno documentano che Canonica provvide a riformare una casa di proprietà Visconti di Modrone nella contrada delle Asole, in una data che una nota ap- posta sui fogli D 160v. e D 437 permette di collocare intorno al 1836. Un documento conservato nello stesso Fondo Canonica risalente al 1831 riporta inoltre una dettagliata stima di opere d’imbiancatura in una Casa Visconti di Modrone al Malcantone (AMMe, Fondo Canonica, XLVI, 575). Tali interventi rientrano nel quadro dei solidi rapporti professionali che l’architetto aveva intessuto con la nobile famiglia milanese, compiendo cospicui lavori in numerosi immobili di sua proprietà, sia a Milano, sia fuori città (si vedano le relative schede). Nella contrada delle Asole e al Malcantone i catasti storici attestano almeno quattro immobili – case d’affitto con botteghe – di proprietà, intera o parziale, dei Visconti di Modrone, direttamente intestati a loro o all’Opera Pia Modrone; tuttavia, l’identificazione degli edifici riformati è piuttosto problematica. Si è riscontrata, infatti, l’assenza di documentazione utile (le cartelle del fondo Ornato Fabbriche, conservato nell’Archivio Storico Civico di Milano, relative agli immobili dei Visconti di Modrone sono andate distrutte e le ricerche sugli archivi della famiglia oggi accessibili non hanno dato alcun esito), mentre gli stabili ottocenteschi dei Visconti sono stati cancellati dai profondi cambiamenti del tessuto edilizio lungo la via delle Asole, interessata da ampie demolizioni e ricostruzioni che negli anni Trenta del Novecento hanno dato luogo all’assetto dell’attuale piazza di Santa Maria Beltrade, e del Malcantone, trasformato una volta nel primo Novecento e una seconda, nel dopoguerra, in seguito ai cospicui danni bellici (Milano ritrovata 1986, passim). Confrontando le mappe catastali e i sommarioni ottocenteschi con i disegni di Canonica per la casa in contrada delle Asole, sembra di poter stabilire una relazione più precisa con un sedime stretto e profondo al civico 3280, uno stabile d’affitto di proprietà, almeno dalla metà del Settecento, dell’Opera Pia Modrone, amministrata allora dal conte Alessandro Visconti marchese di Modrone (ASMi, Tavola del Nuovo Estimo per la Città di Milano – Porta Ticinese, 2636, 32; 1757), e nel 1838 intestato a Uberto del fu Gaetano Visconti di Modrone (ASMi, Sommarione dei possessori a tutto l’anno 1838, Porta Ticinese, 2638, 34). L’edificio si articolava con il lato più corto affacciato sulla contrada delle Asole e la sua conformazione a C ricorda quella dello stabile raffigurato nei disegni del- PA L A Z Z I E R E S I D E N Z E U R B A N E Casa Visconti di Modrone, contrada delle Asole, Milano, varianti per il prospetto verso la Contrada delle Asole, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 241. l’architetto ticinese, composto da due fabbricati uniti in profondità da un sottile corpo intermedio posto su un lato di una corte interna. Il progetto di Canonica riguardò il sopralzo e il rifacimento del prospetto verso la strada e la sistemazione delle parti interne, probabilmente con l’inserimento di una nuova scala nel corpo intermedio e l’aggiustamento delle quote d’interpiano nella profondità del lotto. Egli previde ben tre varianti per la facciata dello stabile, ordinata molto semplicemente su tre campate con quattro piani fuori terra. Al piano terreno, a fianco del portone centinato, erano due aperture con sopraluce per botteghe; due cornici marcapiano inquadravano in un unico registro le finestre del piano nobile – con balconcino centrale – e del terzo piano, mentre il quarto piano si apriva nella fascia di sottotetto con più piccole aperture. Riguardo all’intervento di Canonica in una Casa Visconti di Modrone al Malcantone, è possibile solo evidenziare che il documento conservato a Mendrisio riporta una dettagliata stima – indirizzata all’attenzione di «sua eccellenza il signor duca Visconti di Modrone» – per il pagamento di opere di tinteggio e scagliola eseguite da Gaetano Bergonzoli. Dalla stima si evince che lo stabile doveva essere costituito da quat- tro piani, più gli ammezzati, e doveva presentare botteghe al piede per la vendita di vino, pasta e castagne. Disegni Luigi Canonica, Prospetto e sezione, rilievo, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 160. Luigi Canonica, Sagome, progetto esecutivo, 1836; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 160v. Luigi Canonica, Tre prospetti verso la Contrada delle Asole, varianti di progetto, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 241. Luigi Canonica, Particolare della cornice con mutuli, studio di progetto, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 241v. Luigi Canonica, Sezione longitudinale parziale, studio di progetto, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 159v. Luigi Canonica, Prospetto frontale e laterale di una porta, progetto esecutivo, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 159. Luigi Canonica, Sezione longitudinale sulla corte, rilievo e studio di progetto, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 50v. Luigi Canonica, Progetto, Sezione longitudinale sulla corte, rilievo e studio di progetto, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 50. Luigi Canonica, Sagoma, progetto esecutivo, 1836; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 437. Luigi Canonica, Sagoma, progetto esecutivo, [1836]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 436. (i.g.) Palazzo dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo, Milano 1836-1837 Risale agli anni 1836 e 1837 il carteggio con la Commissione del Pubblico Ornato della Congregazione municipale della Regia Città di Milano, della quale Luigi Canonica era membro dalla sua costituzione nel 1807, per la sistemazione della piazza di Campo Santo dietro al Duomo dalla corsia del Duomo alla contrada dell’Arcivescovado (AMMe, Fondo Canonica, XLVIII, 586-589). Nella seduta del 14 aprile 1836 la Commissione d’Ornato, composta da Canonica, Pizzala, Amati, Besia, Peverelli e Moraglia, fu chiamata a esprimere un parere sul progetto presentato dall’Amministrazione della Fabbrica del Duomo per la nuova sede sull’area dell’ex Camposanto ed elaborato da Pietro Pestagalli. Nel corso di quattro sedute (14, 21 aprile e 20 e 26 maggio) la Commissione, su indicazione di Luigi Canonica e An- drea Pizzala, suggerì la costruzione di un «edificio con porticato estendendosi con un unico disegno dalla corsia dei Servi all’Arcivescovado, edificio che dovrà essere la prima opera di una nuova piazza del Duomo tutta cinta da portici» (Arrigoni 1926, p. 195). Successivamente, all’interno del dibattito che vedeva contrapposte le soluzioni presentate da Pestagalli e da Pollack, nell’aprile del 1837 a Canonica venne personalmente richiesto un parere sui progetti di sistemazione dell’area. Nella relazione, sottoscritta il 19 aprile 1837, egli approvò la scelta di un porticato continuo, come già indicato dalla Commissione d’Ornato, ma suggerì l’eliminazione dei corpi avanzati laterali (riferendosi al modello di piazza San Marco a Venezia) e la collocazione di colonne sporgenti per 2/3 del diametro nel portico: «in tal modo le sole forme e le belle proporzioni della pura architettura greco romana anche senza vistosi ornamenti e intagli costituirebbe il pregio e la dignità dell’edificio» (AMMe, Fondo Canonica, XLVIII, 588). Tra i fogli del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno è conservata una pianta acquarellata (in grigio è indicato l’oratorio di Camposanto) e parte di un prospetto riconducibile alle indicazioni espresse da Canonica nel 1837. Disegni [Luigi Canonica?], Pianta e prospetto, [1837]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 397. Bibliografia Arrigoni 1926, p. 195; D’Amia 2001, pp. 135-136. (f.r.) 191 Teatro Grande, Brescia. Luigi Canonica architetto di teatri Giuseppe Stolfi L’attività di Canonica come architetto teatrale è, nella Lombardia del primo Ottocento, di preminente rilevanza: egli dà la sua impronta a molte realizzazioni in questo campo, grazie a un ruolo di autorità e di egemonia professionale che si incardina nelle cariche ufficiali di cui egli è investito da successivi governi nel corso di un ventennio, e che si sviluppa attraverso apporti di vario genere, tali per numero e importanza da conferirgli una posizione di spicco tradizionalmente riconosciuta dalla letteratura storicocritica. Mentre Piermarini, suo predecessore in un analogo ruolo durante il governatorato dell’arciduca Ferdinando d’Austria, si era trovato a misurarsi con la progettazione e costruzione ex novo di un certo numero di teatri regi, il coinvolgimento di Canonica in interventi di tema teatrale prende differenti forme, e spazia su più versanti: l’adattamento a teatro di edifici preesistenti, l’elaborazione di disegni per la costruzione di nuovi teatri per committenze sia di “società” aristocratiche sia di imprenditori (la cui esecuzione è curata da altre figure), la consulenza su progetti teatrali studiati da altri architetti, la supervisione di progetti di riforma di teatri già esistenti. Siamo dunque di fronte a un’attività multiforme e duttile, che lungo un arco di tempo più che trentennale applica un repertorio ben definito di criteri e soluzioni a misura dei temi costituiti da casi e incarichi di diversa natura, traendo da questo repertorio le risposte più consolidate e più appropriate alle esigenze poste da tali mutevoli occasioni. In questa attività sono riconoscibili alcuni filoni fondamentali e ricorrenti, che caratterizzano il repertorio professionale di Canonica in materia di teatri. Due, tra essi, sono principali: il primo riguarda l’immagine e l’inserimento nel paesaggio urbano dell’edificio teatrale e ha il suo fulcro nel tema della facciata; il secondo concerne la rispondenza della fabbrica alla propria funzione e si incentra sul tema della sala teatrale, e in particolare della definizione della sua figura in pianta. Sia il tema della facciata, sia il tema della pianta della sala sono affrontati mediante la ricerca e la messa a punto di soluzioni tipiche, il cui basilare riferimento è costituito dalla rielaborazione d’importanti realizzazioni compiute in ambito locale nei decenni precedenti, assai più che da esperienze straniere nel campo dell’architettura teatrale o da apporti offerti dalla trattatistica e dalla riflessione teorica francese e italiana. Peraltro, questo modo di operare è pienamente in linea con la generale attitudine dell’architetto ticinese verso la progettazione, che privilegia, in coerenza con il suo ruolo di funzionario di governo, la definizione di un repertorio di soluzioni controllate, semplici e ripetibili, sotto il segno di una grande sobrietà ed essenzialità sia concettuale sia formale, e relega in secondo piano ogni più tradizionale inclinazione alla complessità di concezione e all’invenzione singolare. In tale attitudine si può vedere, più ancora che l’esito della formazione nell’ambiente accademico e professionale della Milano del tardo Settecento, connotato dalla scuola di architettura di Brera e dall’egemonia di Piermarini, la naturale evoluzione di un ruolo profes- sionale ufficiale legato all’amministrazione pubblica, che si misura con una committenza tale per sua natura (pur nel mutare dei governi) da porre precisi e ricorrenti vincoli per quanto concerne il genere e la quantità degli incarichi, i tempi di esecuzione, le risorse economiche disponibili: fattori tutti che fortemente convergono nell’indirizzare l’attività di progettazione verso un’attenta e controllata economia di mezzi, tanto economici quanto compositivi. Simili considerazioni, nella loro generalità, sono applicabili all’intera opera di Canonica, come già a quella di Piermarini, definendo una tendenza di lungo periodo nell’architettura di ambito milanese nel passaggio tra Sette e Ottocento; ma trovano una particolare attinenza allo specifico tema dei teatri, fornendo criteri di lettura unitari per la molteplice attività dell’architetto ticinese in questo campo. È possibile riconoscere il definirsi del repertorio di Canonica come architetto teatrale negli incarichi da lui svolti, per la realizzazione o la riforma di teatri, durante il primo decennio di attività quale architetto di Stato. Nel Teatro Patriottico (poi Filodrammatici) di Milano, intervento d’incerta attribuzione che tuttavia con ogni probabilità può essergli ascritto sulla scorta delle guide contemporanee,1 e che si colloca tra 1798 e 1800, egli si misura per la prima volta con il cruciale tema della figura della sala teatrale, da inserire nell’invaso della soppressa Chiesa di San Damiano alla Scala. Se nel disegno autografo di rilievo, databile al 1798, il tracciato sottilmente delineato in pianta della sala del nuovo teatro può essere interpretato come un primo e già orientato abbozzo di progetto, il disegno realizzato, testimoniato dal rilievo in pianta di Landriani nel 1824,2 evidenzia la soluzione messa a punto nell’occasione: una figura a ferro di cavallo delineata secondo il metodo di tracciamento geometrico che Piermarini aveva adottato nei teatri alla Scala e della Canobbiana, ovvero una curva formata da un semicerchio continuato da due archi, aventi raggio pari a quattro volte il raggio del semicerchio e centro su una linea che ne prolunga il diametro, mentre la tangente da tale centro al cerchio di base intercetta sugli archi della curva il punto che stabilisce la profondità della sala e la posizione del proscenio.3 Intorno alla sala così configurata si alzano quattro ordini di logge, che sono qui continue anziché suddivise in palchetti secondo l’uso tradizionale legato alle esigenze del pubblico aristocratico; questa inusuale caratteristica è dovuta al particolare caso di una committenza “democratica” nel clima della Repubblica Cisalpina, avendo la Società del Teatro Patriottico il fine istituzionale di formare e istruire il popolo per mezzo del teatro di prosa. Un’altra soluzione iconografica da notare è il profondo proscenio definito da due coppie di paraste, versione più modesta di quella ideata da Piermarini per la Scala e la Canobbiana; nel Patriottico però questo schema non è connesso alla presenza di palchi di proscenio come nei due citati teatri regi, e nella sua essenzialità di forme può essere ricondotta alla ragione funzionale di «una imboccatura del 193 G I US E P P E STO LF I Leopoldo Pollack, Progetto per la facciata del Teatro di S. Damiano alla Scala, 1798; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, PV m 9-44. Teatro di corte della Villa Reale, Monza. 194 proscenio alquanto più stretta verso il palcoscenico» quale criterio da seguire per «il buon esito della sonorità della voce».4 Il medesimo partito di sala è, pochi anni dopo, adottato da Canonica nel suo progetto per il Teatro Carcano. Quando il progetto per la costruzione di questo nuovo teatro, di committenza privata e imprenditoriale, era stato presentato al Ministero dell’Interno e da questo girato per esame a Canonica nella sua qualità di soprintendente alle Fabbriche nazionali, l’architetto aveva giudicato che il disegno della pianta fosse difettoso nella configurazione e nelle proporzioni, non idonee rispetto alle condizioni di visuale e di ascolto: e proprio questo aspetto è al centro del suo decisivo apporto alla progettazione del teatro, ribadito dalle fonti coeve delle guide e attestato da alcuni suoi disegni del 1803, corrispondenti alla fabbrica realizzata nelle parti essenziali, ovvero la sala e il palcoscenico.5 La sala disegnata da Canonica ha pianta a ferro di cavallo, secondo la costruzione geometrica della sala scaligera; e pure riprese dall’illustre modello sono soluzioni come il proscenio profondo a colonne binate racchiudenti palchi, e il piccolo atrio a forcipe d’ingresso alla platea. L’alzato è a cinque ordini, compreso il loggione, con l’usato sistema a palchetti; è elegantemente ornato da stucchi e dorature, e un dipinto abbellisce la volta, che riscuote la lode dei contemporanei per la sua riuscita sonorità. Il teatro appare ideato sul modello della Scala e della Canobbiana per quanto riguarda la concezione di pianta e alzato, che è intesa come modello già consolidato e razionale risposta alle basilari esigenze funzionali della sala di spettacolo; e che, come tale, sarà sistematicamente riproposta da Canonica nella sua progettazione teatrale, pur in diversi contesti di luogo e committenza. Nei progetti per i teatri Patriottico e Carcano, l’architetto nazionale non ha occasione di misurarsi con il tema della facciata. Nel primo caso un disegno di facciata, ambizioso e non eseguito, è dato in un secondo momento da Leopoldo Pollack, che si ispira all’idea di applicare a un basso avancorpo una fronte colonnata di tempio dorico esastilo, e all’alta fronte dell’ex chiesa due rilievi di Fame alate alludenti in modo “parlante” alla natura dell’edificio. Nel secondo caso, non vi è spazio per disegnare una facciata al teatro, poiché questo, realizzato sul sito dell’ex Monastero di San Lazzaro, si trova assai addentrato nell’interno dell’isolato, tanto da comunicare con il corso di Porta Romana mediante una lunga sequenza di locali di passaggio. L’affaccio sul corso del Teatro Carcano è, così, solo un breve prospetto di edilizia ordinaria, che si inserisce e confonde mimeticamente con la cortina delle case d’abitazione, contraddistinto appena dal bugnato di basamento e dalle aperture ad arco al piano terreno. Il tema della facciata assume, invece, parte importante nel progetto per il Teatro Concordia di Cremona, della cui ricostruzione Canonica è incaricato nel 1807. Nel teatro cremonese, egli ripropone per la sala il collaudato modello della figura a ferro di cavallo (che sostituisce la settecentesca pianta a U della sala preesistente), intorno alla quale dispone quattro ordini di palchi più un loggione, e palchi di proscenio racchiusi tra colonne binate, come nel Carcano; ma vi aggiunge la dotazione dei camerini retrostanti a servizio di ogni palco, apprezzato “comodo” derivante dall’esempio del Teatro alla Scala e dalla tradizione milanese del vecchio Teatro Regio Ducale, che incontra le esigenze della committenza aristocratica costituita da una società di palchettisti. Ma il tema sul quale l’architetto ha modo di misurarsi per la prima volta con ampiezza d’impegno è quello della facciata, e dell’inserimento del teatro nella città: il fabbricato, voluto «di figura regolare» e affacciato su un largo corso da cui gode di visuali d’infilata, si impone nella cortina urbana mediante l’avanzare di un prospetto a sette assi esaltato, al L U I G I C A N O N I C A A R C H I T E T T O D I T E AT R I centro, da un pronao colonnato in forma di fronte di tempio classico, con quattro colonne ioniche giganti sormontate da frontone. Questa soluzione di facciata è forse più maestosa, nell’aulica citazione classicista, che elegante, non persuadendo del tutto la giustapposizione alquanto secca del pronao con la fronte retrostante dal disegno in sé compiuto; ma indubbiamente risulta assai efficace nel connotare in senso monumentale la fabbrica teatrale, sottolineandone con i mezzi propri dell’architettura il valore di edificio di pubblica utilità e alludendo a una sorta di tempio civico, emergente nella vita della moderna città; peraltro, l’uso di questo motivo architettonico è coerente con il linguaggio dell’edilizia monumentale, ispirata a un’idea di magnificenza civile, che si realizza e ancor più si progetta a Milano e in Lombardia nel periodo dell’egemonia francese.6 Se Milizia, nei Principi di architettura civile e nel saggio Del teatro,7 aveva lamentato la povera architettura delle facciate dei teatri italiani, così esigua di valenze rappresentative da rendere difficile l’identificazione dell’edificio di pubblico spettacolo come tale, la soluzione ideata da Canonica per il teatro di Cremona offre una valida e fortunata risposta a tale esigenza di riconoscibilità, designando il teatro come primaria fabbrica civile nel paesaggio urbano, mediante l’applicazione ad essa di un motivo architettonico evocativo di grandezza e maestosità (pur con una certa economia di disegno e mezzi), piuttosto che simbolico della destinazione d’uso specifica. È interessante, in proposito, confrontare la facciata del Teatro Concordia con il citato disegno di Pollack per la facciata del Teatro Patriottico, dove l’idea della fronte di tempio, pur se limitata a decorazione plastica, è arricchita e rafforzata da iconografie “parlanti”: è evidente come l’architetto viennese sia più interessato agli aspetti di rappresentazione, rispetto a Canonica che combina una forma architettonica aulica, ma generica, con il compito funzionale del colonnato quale portico delle carrozze; mentre al medesimo tema Piermarini, nel basso portico in muro bugnato della Scala, aveva invece dato una forma di funzionalistica essenzialità, pensata a stretta misura dell’esigenza d’uso connessa al “comodo” di smontare al coperto dalle carrozze, e risolta lessicalmente con semplicità di mezzi solo facendo avanzare il basamento bugnato dell’edificio. Siffatti raffronti sono utili a delineare le valenze e i limiti dell’idea di Canonica per la facciata monumentale di teatro, quasi un modello nel suo prestarsi alla ripetizione e applicazione in casi diversi, proprio in virtù della sua qualità formale bastantemente rappresentativa e al tempo stesso generica, nonché della sua appropriata funzionalità: un’accorta combinazione, destinata perciò a riscuotere notevole fortuna. Con questi primi interventi, negli anni iniziali dell’Ottocento, Canonica ha avuto già modo di acquistarsi reputazione di architetto esperto in materia di teatri; se si considera pure che egli detiene una posizione ufficiale d’influenza, rivestendo dal 1805 le cariche di architetto reale e poi di controllore dei regi fabbricati, in cui è confermato per qualche tempo anche durante la Restaurazione austriaca, si comprende come l’architetto sia chiamato replicatamente a Milano e in provincia per una serie d’incarichi di tema teatrale, in cui sono con regolarità e costanza riconoscibili le linee di un suo repertorio professionale formato alla prova delle precedenti realizzazioni. A Brescia, dove egli è chiamato nel 1808, subito dopo l’incarico per il teatro cremonese, a valutare i progetti presentati in concorso da Pollack, Berenzi e Donegani per la ricostruzione della preesistente sala teatrale settecentesca, il tema centrale appare quello della figura della sala: proprio su ciò Canonica fa leva per riprovare i disegni proposti, criticando la mancanza in essi di una «curva moderna», ovvero la forma a ferro di cavallo che egli ha già più volte adottato, e che qui ripropone in un nuovo pro- getto, per il quale nell’occasione approfondisce l’argomento stendendo un apposito «Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia».8 Il disegno di Canonica per il teatro bresciano presenta, come altri tratti caratterizzanti, una volta o meglio un soffitto piano, se non per un breve raccordo curvilineo con le pareti;9 un proscenio profondo con palchi interclusi, qui non racchiuso da colonne ma da una sorta di lesene a fasce, soluzione elegante e semplificata negli aggetti rispetto a quella a colonne d’impronta piermariniana; un alzato a cinque ordini di palchi (come nel Carcano e nel Concordia) invece dei sei dapprima previsti; i camerini a servizio dei singoli palchi, secondo il consolidato schema dei teatri “di società” gradito alla committenza. La descritta figura della sala, ormai sistematicamente adottata da Canonica come modello di riferimento e punto qualificante della sua progettazione, compare poi nei disegni per il Teatro Re a Milano (1812), caso simile a quello del Carcano sia per tipo di commissione (non da società di palchettisti, bensì da imprenditore teatrale) e di pubblico Teatro della Concordia, Cremona, «Piano terreno del primo ordine de’ palchi», 1807; Cremona, Museo Civico. 195 G I US E P P E STO LF I Teatro della Concordia, Cremona, «Spaccato per il lungo sulla linea AB», 1807; Cremona, Museo Civico. (non aristocratico, bensì borghese per un repertorio di “commedia italiana”); sia, conseguentemente, per le soluzioni funzionali e formali relative alla facciata, di tipo analogo a una casa d’abitazione, e al numero ridotto di camerini. La sala a ferro di cavallo è delineata, in due successive versioni diversamente ruotate per un adattamento migliore al sedime disponibile, prima con l’usuale tracciamento della Scala, poi in una seconda e definitiva versione leggermente modificata nella geometria in modo da avere una più larga apertura di proscenio, vista la piccola dimensione del teatro; il proscenio è del tipo consueto, profondo con palchi inseriti, ma con piatte lesene anziché colonne. La sala a ferro di cavallo è ancora adottata nel progetto per il Teatro Sociale di Mantova (1817), dove è accompagnata, come è carattere dei teatri con committenza “di società”, dai camerini privati corrispondenti ai palchi, e da un certo sviluppo dei locali di ridotto e ritrovo, mentre l’alzato è dell’usato tipo a cinque ordini; la si ritrova pure nei disegni per il Teatro Sociale di Sondrio (1820), una piccola sala a due soli ordini di palchi più loggione. Essa è, ancora, al centro del parere formulato da Canonica nel 1825 sul progetto di Carlo Barabino, vincitore del concorso per il nuovo Teatro Carlo Felice a Genova, che aveva proposto una sala di figura ellittica; qui, in seguito al consulto dell’architetto ticinese che punta sul tema dell’interno e della sala, ai disegni da lui prodotti e al confronto che si instaura tra i due progettisti, la sala è realizzata secondo il piano proposto da Canonica, in applicazione dello schema a ferro di 196 cavallo nella versione della pianta scaligera. È bene considerare, in proposito, che la scelta di tale figura per la forma della sala teatrale non era all’epoca un dato scontato, e che questo dibattuto tema era oggetto di molteplici soluzioni. Il rinomato esempio della Scala aveva, certo, avuto gran peso nella fortuna della figura a ferro di cavallo, che Giovanni Antonio Selva aveva nel 1789 adottato per il Teatro della Fenice a Venezia; e che gli autori del tempo attestavano essere considerata «la forma più bella, e più atta alla distribuzione e visione delle persone».10 Ma va pure ricordato che nella prima decade dell’Ottocento Pollack costruisce il Teatro Sociale di Bergamo (1803) scegliendo per la sala una pianta a ellisse troncata dal proscenio;11 e che la sala disegnata da Giuseppe Cusi per il Teatro Sociale di Como (1810) ha pure forma ovale troncata, con diversa proporzione. Questi progettisti guardano, verosimilmente, sia a precedenti realizzazioni teatrali italiane, come il celebre Teatro Regio di Torino opera di Benedetto Alfieri, o il più recente teatro di Imola progettato da Cosimo Morelli (1779); sia al panorama internazionale e francese in particolare, dove la trattatistica illuminista di Patte propugnava per ragioni fisiche di acustica il primato della pianta a ellisse,12 ed esisteva una tradizione di teatri a pianta di matrice ovale (Opéra di Parigi, Berlino, Lione); ma dove anche erano numerosi gli esempi recenti di teatri di suggestione antiquaria, con sala a semicerchio raccordato con rette perpendicolari al proscenio (Odéon a Parigi, di Peyre e De Wailly, L U I G I C A N O N I C A A R C H I T E T T O D I T E AT R I Teatro Grande, Brescia, «Spaccato del teatro preso sulla linea AB», [1809]; Torino, Biblioteca dell’Accademia Albertina, Progetti di vari teatri, D. CAN. 10. 1778), o a cerchio troncato dal proscenio (teatro di Bordeaux, di Louis, 1772), filone cui si era ispirato Giovanni Antonio Antolini disegnando il teatro incluso nel grande progetto urbano del Foro Bonaparte a Milano (1801).13 Ancora nel 1836, il pittore scenografo e architetto milanese Paolo Landriani confuta che l’ormai comunemente affermata figura a ferro di cavallo sia la più adatta a rispondere alle esigenze funzionali di migliore visibilità e acustica, proponendo invece che l’invaso teatrale abbia forma di salone quadrilatero, affinché la maggior parte dei posti sia disposta parallelamente al proscenio. La figura di sala definita da Piermarini, e alla cui diffusione Canonica molto contribuisce, è poco debitrice a suggestioni teoriche che si riconducono al teatro degli antichi piuttosto che alla fisica della propagazione del suono, ma è piuttosto l’esito di una consolidata esperienza professionale, appoggiata alla tradizione italiana, che ne riconosce la conformità alle composite esigenze d’uso poste dal teatro dell’epoca, tra le quali è centrale la fruizione del teatro come luogo sociale, nonché un’accettabile rispondenza ai requisiti funzionali di visuale e acustica, e una sufficiente duttilità e ripetibilità in casi differenti per committenza e natura. L’attenzione di Canonica per soluzioni tipiche e ripetibili è evidente anche nell’altro principale tema della sua opera di architetto teatrale, quello concernente la facciata. La soluzione ideata per il teatro di Cremona, l’alto pronao a colonne analogo a fronte di tempio, è da lui applicata quando (non Teatro Grande, Brescia, «Pianta terrena e del primo ordine dei palchi», [1809]; Torino, Biblioteca dell’Accademia Albertina, Progetti di vari teatri, D. CAN. 12. 197 G I US E P P E STO LF I Teatro della Concordia, oggi Ponchielli, Cremona. Teatro Sociale, Sondrio. molto frequentemente) si ponga il tema di una facciata di rappresentanza, ovvero nel caso di grandi teatri “di società” come quello di Mantova: dove, disponendo della favorevole e rara occasione di poter progettare di pianta un edificio teatrale a blocco, libero su tre lati e inserito con grande evidenza nel tessuto urbano, l’architetto valorizza la facciata, prospettante su una piazza e sfondo frontale di un corso, applicando al solito prospetto di due piani con basamento bugnato un pronao di sei colonne ioniche e frontone, che con la sua aulica imponenza copre quasi l’intera fronte (qui Giovanni Battista Marconi rimedierà alla secca giunzione del pronao sul prospetto retrostante, inserendo due semicolonne). È interessante notare che i due misurati elementi di ornato simbolico presenti in questa facciata, ovvero le statue di Muse allegoria della funzione dell’edificio e la corona di alloro nel timpano, sono inseriti per iniziativa della Commissione d’Ornato e non dell’architetto, poco incline secondo il suo costume a discostarsi dalle soluzioni di monumentalità sobria ed essenziale da lui predilette, e agevoli a replicarsi da parte sua come di emuli: ne è esempio il citato Teatro Sociale di Como, dove Cusi aveva disegnato una lunga facciata di quindici assi al cui centro avanza un pronao esastilo di un sontuoso ordine corinzio, replica amplificata della facciata del teatro cremonese. Nel piccolo Teatro Sociale di Sondrio invece, non potendo realizzare un portico d’ingresso, Canonica si limita a riproporre in versione ridotta i partiti della facciata della Scala, con un ordine di lesene al primo piano su basamento bugnato ad archi; ma di nuovo per il teatro di Novara, nel 1831, egli torna ad avanzare la sua idea favorita di un pronao colonnato, poi non eseguito. L’altra soluzione tipica, adottata da Canonica per i teatri “d’impresa”, è l’anonima facciata nel genere della casa d’abitazione, dove appena gli archi d’ingresso nel basamento designano la funzione: questa si ritrova identica nei teatri Carcano e Re, al pari di altri teatri milanesi dello stesso genere come il Santa Radegonda. A un determinato tipo di committenza, dunque, corrisponde, anche per il tema della facciata (come e più ancora che per l’interno), un’appropriata soluzione tipo, che si ripete nei teatri di Canonica come in altri realizzati da progettisti coevi. Come già per la figura della sala, è indicativo anche a questo riguardo delineare un confronto con le facciate teatrali disegnate da altri architetti, come quelle ideate da un progettista assai più inventivo e immaginoso qual è Pollack per il Patriottico di Milano e per il Sociale di Bergamo: esse si mostrano, ciascuna a suo modo con forte specificità, arricchite e rese “parlanti” da elementi celebrativi e allegorici (Fame alate, rilievi alludenti a musica e teatro), secondo un orientamento che si ritrova in facciate di illustri teatri dell’epoca come il San Carlo di Napoli ricostruito da Antonio Niccolini (1817) o il Regio di Parma di Nicolò Bettoli (1829). La soluzione tipo di Canonica per la facciata monumentale di teatro a fronte di tempio, in ordine ionico ovvero nello stile “moderato” per eccellenza,14 è, invece, solenne quanto generica, e potrebbe valere (come in effetti vale, in molta progettazione e produzione del periodo) per qualsiasi facciata di edificio pubblico o di rappresentanza; e neppure è sfruttata, come in esempi neoclassici europei come il teatro di Bordeaux, la suggestione di declinarla come tempio delle Muse. Perfino nel genere modesto dei teatri d’impresa, le anonime fronti di Canonica si confrontano con ben diverse interpretazioni del tema: ne è esempio Giacomo Tazzini, che disegna (ante 1818) la facciata del popolare Teatro Fiando, deputato alle rappresentazioni di marionette, nel registro formale di un palazzo nobiliare, con ordine architettonico e ornato figurativo a bassorilievo opera di Pompeo Marchesi.15 Entrambe le soluzioni tipo che si sono evidenziate nell’opera di Canonica per la facciata di teatro, quella monumentale a fronte di tempio e quella ordinaria da casa di abitazione, sono accomunate dall’essere prive di peculiarità individue, e replicabili invece con facilità e minimo adattamento al caso singolo, grazie all’agevole inseribilità in contesti diversi. Un siffatto carattere poco rappresentativo e antisimbolico, peraltro ben riconoscibile nell’opera tutta di Canonica, denota forse da un lato un limitato interesse verso la singolarità inventiva, ma dall’altro una capacità non trascurabile di formare un “genere” di linguaggio architettonico, in grado di costituire parte importante del paesaggio urbano neoclassico della città del primo Ottocento. 198 L U I G I C A N O N I C A A R C H I T E T T O D I T E AT R I 1. L’attribuzione a Canonica del Teatro Patriottico, non direttamente attestata da documenti, risulta però attendibilmente dal concordare della testimonianza di L. Bossi, Guida di Milano o sia Descrizione della città e de’ luoghi più osservabili ai quali da Milano recansi i forestieri, vol. I, presso Pietro e Giuseppe Vallardi, Milano 1818, p. 251 («Ora nel locale della chiesa sorge un piccolo, ma elegantissimo teatro a uso di una società di dilettanti. Il disegno è dell’architetto cavalier Canonica»), con il citato disegno autografo conservato in ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 37, che rimandi interni datano al giugno 1798. Altre fonti attribuiscono invece questo intervento a Piermarini. 2. Il disegno in pianta di teatro non precisato, ma senz’altro identificabile con il Teatro Filodrammatici, «rilevato dall’accademico signor architetto Paolo Landriani» e datato 10 agosto 1824, è conservato in ASTi, Fondo Cattaneo; ed è pubblicato in G. Parisi, Il Fondo Canonica nelle raccolte luganesi, “Il disegno di architettura”, a. VI, 1995, n. 12, pp. 55-66. 3. Per un approfondimento sul tema del tracciamento della curva della sala si veda G. Mezzanotte, L’architettura della Scala nell’età neoclassica, Il Polifilo, Milano 1982. 4. «Il buon esito della sonorità della voce dipende dai seguenti princìpi: dalla forma della curva comunemente adottata ne’ moderni teatri; dalla stessa curva non interrotta da risalto alcuno; dal parapetto de’ palchi costruito di tavole; dalla volta di forma ellittica, schiacciata più che si può e di sodo intonaco; dall’imboccatura del proscenio alquanto più stretta verso il palcoscenico, e finalmente da una leggera inclinazione della soffitta del proscenio verso la scena, perché la voce a guisa di raggio si spanda più facilmente in tutto il teatro» (P. Landriani, Aggiunta alle osservazioni sui teatri e sulle decorazioni, Cesarea regia tipografia, Milano 1818, p. 10). 5. La più prossima delle guide di Milano che attribuiscono il Teatro Carcano a Canonica è B. Borroni, Il forastiere in Milano, ossia Guida alle cose rare antiche e moderne della città di Milano, suo Circondario e Territorio, stamperia di Pasquale Agnelli, Milano 1808, p. 53. Dei tre disegni dell’architetto relativi a questo teatro, conservati in ASTi, Fondo Cattaneo, uno è pubblicato in J. Soldini, Per la storia del Neoclassicismo a Mantova: la costruzione del Teatro Sociale dell’architetto Luigi Canonica attraverso i documenti dell’Archivio Storico, “Bollettino d’arte”, VI s., a. LXIX, 1984, n. 23, pp. 79-88. La fabbrica realizzata è testimoniata, poco prima della demolizione avvenuta nel 1916, da una pianta pubblicata in B. Gutierrez, Il Teatro Carcano, 1803-1914. Glorie artistiche e patriottiche, decadenza e resurrezione, 2a ed. Sonzogno, Milano 1916. 6. Sul tema si vedano G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966 e L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978. 7. F. Milizia, Principi di architettura civile, 3 voll., stamperia di Jacopo de’ Rossi, Finale Ligure 1781 [nell’edizione Milano 1847 a p. 373]; F. Milizia, Del teatro, per Arcangelo Casaletti, Roma 1772, p. 114. 8. Nel caso del teatro bresciano il disegno finale della pianta risulta un poco diverso dai precedenti: infatti la scelta, per gli archi di prolungamento della curva, di un raggio pari a tre volte (anziché quattro) il raggio del cerchio di base, e la profondità della sala poco maggiore della sua larghezza, ne avvicinano la forma a quella del San Carlo di Napoli piuttosto che a quella della Scala; e ciò mostra la flessibilità dell’architetto nell’adattare i suoi schemi progettuali per trarre il miglior partito dalle condizioni preesistenti in cui si trova a operare. 9. Un disegno acquerellato dell’alzato e della volta di questo teatro, che ne evidenzia pure la raffinata decorazione, si trova in Storia di Brescia, promossa e diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, vol. IV, Dalla repubblica bresciana ai giorni nostri (1797-1963), Morcelliana, Brescia1964, p. 97 tav. f.t. Il tema del soffitto piano o “quasi piano”, inteso quale punto qualificante della progettazione della sala di spettacolo sotto l’aspetto dell’acustica (si veda anche Landriani), torna replicatamente nei più tardi pareri forniti da Canonica per i teatri di Sondrio, Novara e Castiglione delle Stiviere. 10. Come si legge in P. Landriani, Del teatro diurno e della sua costruzione, P. e G. Vallardi, Milano 1836; qui peraltro l’autore riferisce dell’opinione corrente, da cui egli dissente giudicando che tale forma si sia affermata «più per forza di costume che per quella della ragione», non essendo affatto la più idonea a offrire le migliori condizioni di visuale del palcoscenico. 11. Sul progetto di Pollack per il Teatro Sociale di Bergamo si veda F. Buonincontri, Il sistema teatrale a Bergamo tra il XVIII e il XIX secolo, “Storia della città”, a. VII, 1982, n. 22, pp. 65-80. 12. P. Patte, Essai sur l’architecture théâtrale, ou de l’ordonnance la plus avantageuse à une salle de spectacle, relativement aux principes de l’optique et de l’acoustique. Avec un examen des principaux théâtres de l’Europe, chez Moutard, Paris 1782. La duratura influenza di questo testo è comprovata dalla traduzione italiana uscita nel 1830 proprio a Milano, con un commento del più volte citato Landriani (G. Ferrario, Storia e descrizione de’ principali teatri antichi e moderni corredata di tavole col Saggio sull’architettura teatrale di M.r Patte illustrato con erudite osservazioni del chiarissimo architetto e pittore scenico Paolo Landriani, tipografia del dottor Giulio Ferrario, Milano 1830). 13. Si veda su questi esempi L.L. Secchi, 1778-1978. Il Teatro alla Scala. Architettura, tradizione, società, Electa, Milano 1977, pp. 91-94, dove si accostano le piante di vari teatri dell’epoca in Italia e in Europa. 14. Così l’ordine ionico era sempre stato caratterizzato fin da Vitruvio, e tale si era mantenuto nella trattatistica rinascimentale e classicista, che gli aveva riconosciuto una posizione intermedia tra gli estremi assai più connotati del severo e robusto dorico e del ricco e delicato corinzio; tale connotazione di mezzo, secondo Vincenzo Scamozzi, rendeva l’ordine ionico quello più atto a «servire à tutti i generi di edifici» (V. Scamozzi, L’Idea dell’architettura universale, presso l’Autore, Venezia 1615, vol. II, lib. VI, cap. XXI; si veda sul tema E. Forssman, Dorico, ionico, corinzio nell’architettura del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 68-82 in particolare). Il tradizionale carattere mediano e moderato dello ionico, che meno degli altri ordini si presta quindi ad assumere valenze iconografiche, sembra dare esauriente ragione della preferenza ad esso accordata da Canonica, progettista coerentemente incline a un linguaggio piano e agevolmente replicabile e a un classicismo “professionale” di pronto repertorio, e poco interessato alle possibilità espressive dell’architettura coltivate invece da altri filoni della cultura architettonica neoclassica. 15. Data e attribuzione di questo teatro risultano dalle notazioni di Bossi 1818, p. 38 e F. Pirovano, Milano nuovamente descritta, tipografia di Giovanni Silvestri, Milano 1822, p. 425. 199 Teatro Re, particolare della pianta, 1812; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 5, BC 284. Catalogo dell’opera Architettura dei teatri Teatro Patriottico, Filodrammatici, Milano 1798-1800, 1805-1806 L’attività filodrammatica della Compagnia dei Giovani Repubblicani della Comune di Milano era stata ospitata, a partire dal luglio 1796, nel piccolo teatro a palchi del Collegio dei Nobili (via Fatebenefratelli), istituzione fondata nel Cinquecento, affidata prima ai Gesuiti e poi ai Barnabiti e soppressa in epoca napoleonica. Nella messa in scena di pièces democratiche, a opera di giovani dilettanti in arte drammatica fondatori della Società del Teatro Patriottico, si era rinnovato il carattere privato del teatro “a sala” settecentesco allestito in nobili dimore, quale conseguenza dell’arrivo delle truppe francesi, ma con l’obiettivo di diffondere ideali repubblicani attraverso rappresentazioni teatrali educative ispirate all’esaltazione di un’identità nazionale e rivolte a un vasto pubblico. Nel 1798, il reinsediamento dei Barnabiti nei locali del collegio costrinse il gruppo filodrammatico alla ricerca di un nuovo spazio teatrale. Il 4 febbraio 1798 il Consiglio dei Seniori, che fino a poco tempo prima aveva avuto come sede la chiesa sconsacrata di San Damiano alla Scala annessa al Convento dei frati Gerolimini, concesse l’aula alla Società del Teatro Patriottico affinché potesse essere adattata a teatro, valutando il valore dell’attività teatrale per l’evoluzione di uno spirito pubblico e di una morale repubblicana. L’architetto nazionale Luigi Canonica fu incaricato dalla Società di studiare un opportuno allestimento del nuovo Teatro Patriottico nella soppressa chiesa. L’opinabile coinvolgimento dell’architetto ticinese e il suo effettivo ruolo in un progetto che per consuetudine di memorie viene attribuito a Giuseppe Piermarini – affiancato dagli allievi Leopoldo Pollack e Luigi Canonica in veste di direttore dei lavori – è finora documentato da un unico elaborato grafico (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 37). Nel disegno autografo e titolato «pianta di San Damiano alla Scala» – non datato ma quasi sicuramente risalente al 1798 – è rappresentata l’area di progetto in contrada di San Damiano, la chiesa in disuso e alcuni spazi di pertinenza del Convento dei frati Gerolimini. Canonica sviluppò il nuovo organismo teatrale sfruttando l’intera superficie della chiesa a navata unica e ricavando un palcoscenico molto profondo nell’area absidale, a dimostrazione di una capacità a operare secondo criteri razionali nella trasformazione di edifici religiosi preesistenti, che l’architetto confermerà alcuni anni dopo nel progetto per il Teatro Re progettato sull’area della soppressa Chiesa di San Salvatore in Xenodochio. L’usitata configurazione a ferro di cavallo è tracciata in forma schematica e non presenta la consueta suddivisione dettata da uno schema a palchi, che viene scartato in favore di una sala con quattro ordini di logge sovrapposte. L’applicazione di un modello francese, che privilegia l’uso delle balconate e una sala più allargata, sembra risvegliare una polemica settecentesca relativa alla struttura preferibile per un moderno teatro pubblico, avviata nell’ambito della teoria teatrale dal celebre scritto di Pierre Patte e che sarà rinnovata nelle Osservazioni di Paolo Landriani nel 1815. Nel caso del Teatro Patriottico si tratta in realtà di una richiesta avanzata dalla committenza, intenzionata a esprimere anche attraverso l’impostazione distributiva della sala le nuove ideologie democratiche. Alcuni locali, annessi al nuovo teatro, evidenziati nella tavola firmata da Luigi Canonica, furono oggetto di una lunga e dibattuta contesa con i proprietari, i fratelli Soresi. Questi ambienti vennero consegnati alla Società filodrammatica nel settembre 1800 al fine di favorire un’attività di prosa che, a seguito dell’inaugurazio- ne del Teatro Patriottico nel dicembre dello stesso anno, si impose nel sistema teatrale milanese, accanto al repertorio del vicino Teatro alla Scala. Mentre Canonica si applicava in un primo studio dell’invaso teatrale, ipoteticamente riveduto e precisato da Piermarini – anche se la sua partecipazione può essere messa in discussione – l’architetto Leopoldo Pollack fu incaricato di fornire «un pensiero» per la facciata esterna del «Teatrino di S. Damiano alla Scala», dicitura che identificò il Teatro Patriottico nei primi anni della sua costruzione. Il progetto non realizzato (RSBMi, PV m 9-44), dimostra il tentativo di applicare al fronte della chiesa, nel rispetto della struttura preesistente, precisi elementi architettonici, figurativi e formali, appartenenti a un vocabolario monumentale riconducibile alla consolidata iconografia dell’architettura teatrale, riletta alla luce dei recenti esempi di derivazione francese. La soluzione architettonica del solenne pronao a colonne ioniche che Canonica avrebbe adottato nel 1807 per il fronte del Teatro della Concordia a Cremona e riproposto nel Sociale di Mantova, appare nel disegno di Pollack come struttura di rivestimento resa più austera dalla scelta del dorico e dal rilievo del timpano. L’evolversi della situazione politica influì sull’opera della Società del Teatro Patriottico divenuta, nel 1805, Accademia de’ Filo-Drammatici a seguito della decisione di istituire una vera e propria scuola di arte drammatica, finanziata dal contributo dei soci tra i quali figurava lo stesso Canonica. Il 17 settembre 1805, il Collegio di amministrazione del Teatro ora Filo-Drammatico, al fine di eseguire una revisione finanziaria della società, nominò un’apposita commissione di periti, incaricati di stimare «lo stato e l’importo de’ miglioramenti» occorsi per la trasformazione in teatro della ex Chiesa di San Damiano alla Scala. Le «cogni- zioni» e lo «zelo» riconosciute a Canonica, affiancato nella stima dagli ingegneri Giusti e Merlo, assicurarono la stesura di un’attenta relazione consegnata nel dicembre 1806 e sottoscritta dall’architetto (AMMe, Fondo Canonica, XIX, 373). L’Archivio di Stato di Bellinzona conserva tra le carte del Fondo Cattaneo due carte titolate «Facciata del Teatro de’ Filodrammatici di Milano nell’ex chiesa di S. Damiano alla Scala», firmate da Giuseppe Pollack e datate rispettivamente al 1813 e al 1816. Disegni Luigi Canonica, «Pianta di San Damiano alla Scala», s.d.; ASMi, Spettacoli Pubblici, p.m., 37. Bibliografia Wilson 1837, p. 226; Cusani, V, 1881-1884, pp. 359-360; Nivellini 1948; Mezzanotte 1966, p. 301; Guicciardi 1970; Manzella, Pozzi 1971, pp. 65-71; Ricci 1972, pp. 6469; Parisi 1995, p. 63. (b.b.) Teatro Carcano, Milano 1802-1803 L’istruzione e il divertimento di un pubblico teatrale sempre più numeroso furono le motivazioni prioritarie addotte nell’istanza inoltrata all’autorità governativa il 19 novembre 1802 (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 38), per l’apertura di un nuovo teatro pubblico a Milano, in occasione del successivo carnevale. La richiesta di edificazione, avanzata da Giuseppe Antonio Canonica a nome di Giuseppe Carcano, rende noti i nomi dei due principali promotori di una vicenda progettuale che coinvolse Luigi Canonica nella realizzazione di un’aula teatrale che diventò, negli anni successivi, ricorrente termine di confronto e modello per numerose sale costruite a Milano e in centri minori della Lombardia. 201 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Teatro Patriottico - Filodrammatici, Milano, «Pianta di San Damiano alla Scala», s.d.; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 37. Nella prima metà dell’Ottocento, una recente e diffusa pratica imprenditoriale, accolta da nobili e meno nobili interessati alla diffusione di un educativo programma teatrale, oltreché a un investimento economico – Carlo Torelli per il Teatro Lentasio, Carlo Re per i teatri Santa Radegonda e Re, Giuseppe Carcano per il teatro omonimo –, rese possibile la nascita di nuovi organismi teatrali dai repertori diversificati, sorti a Milano per iniziativa privata accanto e in concorrenza alle ormai consolidate sale dei teatri regi alla Scala e alla Canobbiana. Il successo di un’attività teatrale privata, ospitata a partire dal 1797 nel palazzo di famiglia situato in contrada del Naviglio dell’Ospedale Maggiore, aveva indotto Carcano a ricercare uno spazio consono all’allestimento di un teatro d’opera stabile e pubblico, individuato nel soppresso Monastero di San Lazzaro in corso di Porta Romana. La scelta di un ta- 202 le sito trasferì oltre la cinta dei navigli gli interessi commerciali legati alla gestione di numerosi luoghi teatrali, tra cui il Carcano e il Teatro di marionette Lentasio (1805), sorti durante il periodo napoleonico lungo un asse di ingresso trionfale alla città e rivolti alla platea borghese delle aree urbane periferiche. L’analisi della documentazione esistente permette di chiarire solo in parte una vicenda progettuale alquanto contraddittoria e rende ardua la dimostrazione di un’assoluta paternità del disegno per il Teatro Carcano, da sempre attribuito a Canonica. La lettera autografa di Luigi Canonica, datata 30 novembre 1802 e indirizzata al ministro degli Affari interni (ASMi, Genio Civile, 3154), attesta il coinvolgimento dell’architetto, allora soprintendente alle Fabbriche nazionali, nella fase iniziale di approvazione del «disegno in pianta dell’ideato teatro da erigersi nel locale di S. Lazzaro», presentato dal «cittadino» Francesco Olivazzi per delega di Giuseppe Antonio Canonica. Il nome di quest’ultimo – il cui ipotetico ruolo d’impresario e il legame di parentela con l’architetto Canonica supposto dalla letteratura confondono la decifrazione dell’intero iter progettuale e dei suoi diversi interpreti – comparirà alcuni anni dopo anche in occasione del progetto per il Teatro della Concordia di Cremona. La pianta schematica disegnata dal «capomastro» Giuseppe Antonio Canonica per il teatro cremonese (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 14) suggerisce di attribuire al medesimo autore l’esecuzione dell’unico «abbozzo in pianta», sottoposto all’autorità ministeriale per l’autorizzazione a costruire il Teatro Carcano, anche se si tratta di un’ipotesi suscettibile di ulteriori verifiche. La revisione effettuata da Luigi Canonica su tale progetto evidenziò una serie di «mancanze» nella struttura architettonica e nella configurazione scelta per l’invaso teatrale, ma, valutato il carattere puramente speculativo del nuovo teatro, il soprintendente ritenne opportuno di soprassedere e di indirizzare ogni attenzione alle fasi del cantiere. Egli suggerì così un sopralluogo di esperti periti, affinché la costruzione avvenisse sulla base di esclusivi criteri di solidità. Nell’agosto del 1803, Canonica con Gaetano Maspoli e Pietro Gilardoni compilò la perizia di «solidità e sicurezza» del teatro, osservando che non vi era «alcun difetto o cosa da rilevare sulla di lui solida costruzione» (ASMi, Genio Civile, 3154). L’esistenza di tre ulteriori tavole di progetto relative al Teatro Carcano, realizzate dall’architetto ticinese nel 1803 (ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 21), prova comunque, il suo diretto coinvolgimento e il suo determinante apporto nella definizione della nuova sala teatrale. Ipoteticamente incaricato solo in una seconda fase, Canonica si applicò nel disegno di una perfetta curva a ferro di cavallo, al fine di garantire a tutti gli spettatori una visuale «universalmente libera» e assicurare una «equabile» propagazione del suono. Nella scelta dei rapporti proporzionali tra sala, palcoscenico e ridotti, egli si ispirò alla corrispondenza tra le diverse parti dell’organismo teatrale inaugurata da Piermarini alla Scala, individuata nel rapporto 12 :16 :10 e replicata nel Teatro di Monza. Lo schema ideato da Canonica per il nuovo teatro milanese fu l’esito di una ricca e codificata eredità acqui- sita dall’architetto e, pertanto, il Carcano divenne, in seguito, insieme alla Scala, oggetto di studio e di rilievo da parte di successivi progettisti. Tra gli architetti che negli stessi anni si confrontarono con un simile tema progettuale, Carlo Amati riconobbe nei due teatri un modello di razionalità compositiva e chiarezza distributiva (Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano, Fondo Amati, Ridisegni dei progetti per i teatri Carcano e alla Scala), divenendo per lui vitali fonti d’ispirazione quando, nel 1809, progettò il rifacimento del Teatro di Monza. Nella disposizione dei palchi su quattro ordini coronati da un loggione, la riduzione del numero dei «camerini di ritirata», posti oltre il corridoio anulare e deputati a luogo di conversazione e gioco nei teatri d’opera alla Scala e alla Canobbiana su modello del perduto Teatro Ducale, fu il riflesso di un’imprenditorialità teatrale, nata dall’iniziativa di un privato, con la conseguente conversione dei proprietari palchettisti in una nuova e diversa utenza. L’inconsueta localizzazione del nuovo teatro arretrato rispetto alla cortina stradale, in una zona interna al tessuto cittadino e quindi difficilmente raggiungibile, condizionò molto la soluzione del rapporto del Carcano con la città. L’intervento speculativo su aree disponibili in prossimità d’importanti assi urbani determinò la concezione di un nuovo fronte teatrale dal carattere anonimo, palazzo tra i palazzi, escludendo per il Carcano la possibilità di realizzare un prospetto immediatamente riconoscibile nella specifica destinazione d’uso. In risposta alla mutata realtà urbanistica ottocentesca, la soluzione del monumentale e funzionale portico ideato alla Scala, già ridotto a un balcone sostenuto da colonne nel Teatro alla Canobbiana per rispettare l’allineamento del fronte stradale, si semplificò ulteriormente in un modesto edificio destinato ad abitazioni, dove al piano terra una semplice pensilina segnava l’accesso alla lunga galleria, che conduceva alla sala teatrale del Carcano, inaugurata la sera del 3 settembre 1803. Disegni [Luigi Canonica?], «Tipo de’ fabbricati ed ortaglie di ragione del cittadino Giuseppe Carcano situati in Porta Romana», 1801; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 21. A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I Luigi Canonica, Pianta, 1803; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 21. Luigi Canonica, Prospetto, 1803; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 21. Bibliografia Amati, I, 1828-1830, p. 27; Gutierrez 1914; Canella 1966, pp. 60-61; Mezzanotte 1966, pp. 291-292; Mezzanotte, Bascapè 1968, p. 244; Manzella, Pozzi 1971, pp. 75-80; Ricci 1972, pp. 78-81; Roda 1980, p. 323; Soldini 1984, p. 83; Parisi 1995, p. 62; Patetta, Parisi 1995, p. 141. (b.b.) Teatro ex Arciducale, Sociale, Monza 1802-1806 L’originario Teatro Arciducale di Monza, costruito su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1777, fu distrutto da un incendio il 22 gennaio 1802. Il disegno piermariniano era stato modificato nel 1795 e l’allungamento del teatro aveva comportato l’occupazione della retrostante via. Dopo l’incendio, gli appaltatori Giuseppe e Luigi Fossati progettarono la ricostruzione e Canonica fu invitato a esprimere un parere sui disegni presentati. In una prima relazione, datata 24 giugno 1802 (ASMi, Genio Civile, 3156), espresse un parere favorevole: «Coll’ispezione del tipo dimostrante la pianta terrena ho potuto riconoscere che il nuovo teatro si vorrebbe costruire in tutto simile a quello incendiato tanto per la forma, quanto per la distribuzione e quantità de luoghi, essendosi calcolato di far uso de vecchi fondamenti e de muri che tutt’ora sussistono in molta parte»; lodò la scelta di utilizzare la pietra (molera) per i parapetti dei palchetti e per i pilastrini che lo sostenevano, ma consigliò di modificare la «curva interna del teatro e la direzione dei palchetti per rendere la prima più favorevole alla musica e la seconda alla visuale del palco scenico. Ma tale osservazione non si può precisare su di un picciol tipo. […] Non essendosi poi presentato dal progettante alcun disegno in elevazione non ho luogo di fare alcuno rilievo su ciò che riguarda l’interna decorazione del teatro, forma del palco scenico, armatura, volta». A Canonica fu però richiesto un esame più approfondito, o probabilmente un progetto; questi rispose che sarebbe stato suo desiderio intervenire in modo diretto, ma per mancanza di tempo declinava e approva- va il piano presentato dai Fossati, che prevedeva poche modifiche rispetto al progetto piermariniano. Nell’ottobre del 1802 i fratelli Fossati presentarono un secondo progetto («la pianta e lo spaccato dell’interna alzata») nel quale era «corretta la figura per favorire meglio la vista e la musica; sono accresciuti due palchi per fila […] si è resa l’altezza del teatro capace d’un quinto ordine pel loggione» (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 49). Ancora una volta Canonica venne interpellato per un parere che fu inviato nel febbraio dell’anno successivo. L’architetto ticinese osservava come l’introduzione delle due nuove file di palchi comportasse un eccessivo allungamento della platea con il conseguente «accorciamento» dello spazio destinato al palcoscenico. Inoltre giudicava che la quinta fila di palchi, prevista nella nuova versione, portasse a un’altezza poco proporzionata alle dimensioni della platea, che la larghezza dei palchi risultasse scomoda a due persone, mentre l’uso di pietra molera, per il sostegno delle file superiori e per i parapetti dei palchi, non fosse idonea, visto la tendenza di questa pietra a rompersi facilmente. Infine, esprimeva il parere che «dietro tali rilievi […] il migliore partito da prendersi per la riedificazione del teatro in discorso sia quello di attenersi alle precise dimensioni dell’incendiato il quale era stato dallo stesso architetto Piermarini riformato dall’originaria struttura alcuni anni prima che seguisse l’incendio e ridotto ad una sufficientemente ben intesa e regolare configurazione». Una successiva memoria autografa al ministro degli Interni è datata 18 luglio 1803 (ibidem). Dopo questa “bocciatura”, nell’aprile del 1806 i Fossati sottoposero all’attenzione del Ministero dell’Interno un altro progetto; era inevitabile che l’architetto reale fosse chiamato a un terzo giudizio. Appare chiaro che l’obiettivo del Ministero fosse quello di dissuadere i Fossati, ma anche altri privati, a presentare progetti non eseguiti da professionisti: «da quanto adunque ho osservato intorno ai disegni mi risulta che nel complesso la progettata forma di edificazione del teatro riuscirebbe sufficientemente solida e regolare. Nel dettaglio però mi sono avveduto che alcune parti sono suscettibili di qualche riforma […] qualora il progetto fosse adottato in massima e si volesse aderire all’erezione del teatro dovessero li signori progettanti far ese- [Luigi Canonica?], Teatro alla Scala, Milano, pianta, progetto di ampliamento, [1812].; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 309. guire li disegni da un professore architetto […] e li disegni medesimi si sottoponessero all’esame dell’Accademia di Belle Arti in Brera, tanto più che trattandosi di un edificio destinato ad uso di divertimento del pubblico qual è un teatro, merita uno speciale riguardo e disamina la di lui costruzione. Subordino inoltre che nei disegni presentati non vede- si marcata alcuna distinzione pel palco regio […] e per ultimo dai suddetti disegni non possono rilevarsi gli ornati d’abbellimento interni ed esterni del teatro» (ibidem). Il severo giudizio di Canonica portò all’affidamento, nel 1809, del progetto di riedificazione del teatro a Carlo Amati. La proposta, approvata da Beauharnais il 29 novembre 203 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A 1809, prevedeva l’allargamento della curva verso il proscenio «poiché si otterrebbe in tal modo una visuale più diretta dalle loggie al palcoscenico»; l’anno successivo il teatro fu finalmente inaugurato dopo un accordo con i precedenti proprietari, tra i quali risultavano ancora gli eredi dell’arciduca Ferdinando d’Austria, la Corona e i nuovi palchettisti. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 399; Monza a Teatro 1985; Dallaj, Mutti, I, 19971998, p. 51 e II, 1997-1998, pp. 114115; Repishti, Süss 2000. (f.r.) Teatro alla Scala, Milano 1804, 1813, 1830 La vicenda degli interventi di Luigi Canonica riguardanti il complesso del Teatro alla Scala di Milano, realizzato da Giuseppe Piermarini tra il 1776 e il 1778, è una storia di tangenze, occasioni minori e incontri mancati, quasi sorprendente per un architetto tanto attivo e influente nel campo degli edifici teatrali, ma che nel corso della sua lunga attività non ebbe modo di lasciare una forte impronta nel teatro più importante dello Stato. Emblematico, in proposito, è il primo episodio di questa vicenda. Il 15 giugno 1804 Canonica, in qualità di soprintendente per le Fabbriche nazionali, riceve incarico dal ministro dell’Interno della Repubblica Italiana, Daniele Felici, di studiare il rinnovamento della decorazione della sala del Teatro alla Scala, che si giudica superata e non più rispondente al gusto corrente (ASMi, Genio Civile, 3146). L’esecuzione del disegno delle nuove pitture, da realizzare sulla volta e sui parapetti dei palchi, è stata affidata ad Andrea Appiani, che ricopriva in quel tempo la carica di commissario alle Belle Arti della Repubblica; il pittore ha però dovuto concordare con l’architetto le «massime» e il piano degli abbellimenti, ricomponendo così il binomio all’opera pochi anni prima con apprezzato esito nell’intervento del Teatro Patriottico, dove Appiani aveva dipinto la medaglia della volta e diretto la realizzazione delle decorazioni nei parapetti dei palchi (opera di Gaetano Vaccani). L’incarico non trova però esecuzione: i due artisti fanno concordemente presente al ministro come, a causa della ristrettezza del tempo disponibile, non fosse possibile compiere l’inter- 204 vento ordinato, che si voleva concluso entro il successivo mese di luglio, perché il teatro fosse pronto in occasione della festa nazionale stabilita per il 16 di agosto. In quell’anno, dunque, Canonica interviene nel teatro solo per la sostituzione degli originari pavimenti di cotto nelle tre sale del ridotto con più eleganti pavimenti in terrazzo alla veneziana, da lui preferiti al parquet di rovere per pratiche ragioni di durevolezza e facilità di manutenzione (ASMi, Genio Civile, 3150). L’impresa della nuova decorazione della sala venne invece rinviata e fu realizzata tre anni dopo, nel 1807, per opera del pittore scenografo scaligero Giovanni Perego, senza che in tale circostanza sia noto un ruolo di Canonica, che pure è verosimile abbia fatto parte della commissione insediata (stando alla notizia di Borroni, 1808) per coordinare i lavori. Se nessun documento noto attesta un suo intervento (tranne, indirettamente, una sua lettera del dicembre 1804 che menziona un «progetto approvato» per la ridipintura e riforma della volta; in ASMi, Genio Civile, 3153), è tuttavia possibile riconoscere che alcune idee esposte da Canonica al ministro, nel carteggio del 1804, ebbe in parte corrispondenza con quanto realizzato da Perego e sono comunque una preziosa testimonianza dell’approccio dell’architetto a questo tema. Rileva dunque Canonica, a proposito della vecchia decorazione della sala, la convenienza di riformare lo scomparto e gli ornati della volta, togliendo «l’attuale miscellanea di fasce e riquadri con isfondature», che era arricchita da un gran numero di piccoli rosoni in stucco opera di Albertolli, al fine di ridurla a una sola superficie curva, su cui dipingere abbellimenti più eleganti e «analoghi», ossia appropriati tematicamente al teatro. Ma le osservazioni dell’architetto non si limitano all’aspetto decorativo: a suo avviso, infatti, occorrerebbe ristudiare la curva della volta riducendone il profilo, così da farla più risonante; e anche rendere praticabile la finta balconata sovrastante il loggione (che Piermarini aveva probabilmente realizzato per evitare che la volta, decorata architettonicamente a scomparti come una volta reale, pesasse visualmente sulle esili piantane lignee degli ordini di palchi). Le considerazioni esposte da Canonica si muovono dunque su due piani, quello del linguaggio formale e quello dell’adeguatezza funzionale. Sotto il primo aspetto, è espressa un’esigenza di semplificazione dei [Luigi Canonica?], Teatro alla Scala, Milano, studio per l’ampliamento del palcoscenico e dei servizi, pianta, [1812]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 11. partiti da un lato (l’addebito a Piermarini di un disegno troppo trito è divenuto comune nel primo Ottocento), e di conformità iconografica alla funzione dall’altro; ed è manifestata contrarietà a un ornato della volta di tipo architettonico (nel 1807, infatti, Perego, su un simile orientamento, avrebbe dipinto sulla volta una decorazione cosiddetta a finto velario, ovvero ispirata alla presunta copertura con grandi teli dei teatri antichi). Sotto il secondo aspetto, è dedicata grande attenzione al modo di assicurare la migliore acustica della sala, agendo sull’importante fattore rappresentato dalla volta, che l’architetto ha voluto rendere liscia e di ridottissima curvatura, secondo un orientamento che era patrimonio corrente della letteratura specialistica del periodo: nell’Essai sur l’architecture théatrâle di Patte è riprovata radicalmente la presenza di ornamenti in rilievo nella volta, in quanto pregiudizievole per la sonorità del teatro; nell’Aggiunta e nelle Osservazioni di Landriani si legge che la curva della volta dev’essere «schiac- ciata più che si può» e «liscia come la tavola armonica di un cembalo», oltre che fatta di legno intonacato (Landriani 1818, p. 10; Osservazioni 1815, p. 260). Ma il piano formale e quello funzionale, naturalmente, si intersecano: rendere reale la finta balconata appare il modo per giustificare con una funzione un elemento formale altrimenti inteso come gratuito, quando non si condivida più il presupposto (la volta a comparti e la sua «solidità apparente») che ne aveva motivato l’ideazione. Nel 1813 Canonica riceve per la Scala due commissioni quale architetto regio. Il conte Annoni, ciambellano del viceré Eugenio di Beauharnais, lo incarica di curare il riallestimento dei palchetti reali, ossia del doppio palco nel secondo ordine a sinistra di ragione della Corona, direttamente collegato al Casino Reale adiacente al lato sinistro del teatro; il Casino rappresentava una sorta di dipendenza del Palazzo Reale annessa al teatro, voluta dall’arciduca Ferdinando e retaggio dell’epoca in cui il vecchio Teatro A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I Casino Reale, Milano, «Sala per cena», pianta e sezioni, progetto, 1813; ASMi, Spettacoli Pubblici, p.m., 44. Ducale costituiva un annesso entro il recinto della residenza regia (a proposito di questo incarico, va ricordato che fin dall’origine l’interno dei palchi della Scala era ornato e arredato secondo il gusto e a discrezione del singolo proprietario; e questa individualità decorativa risultava una singolare nonché duratura caratteristica del teatro milanese, mantenuta fino al 1930). L’architetto disegna in questa occasione un interno di grande raffinatezza ed eleganza: trasponendo in un piccolo ambiente la suggestione delle tradizionali «gallerie degli specchi», egli riveste l’intero giro delle pareti del palco doppio con quindici specchiere, racchiuse tra cornici e lesene lignee riccamente intagliate e dorate con motivi di candelabre, che moltiplicano illusoriamente lo spazio anche grazie alla pianta irregolare dei palchetti; le specchiere poggiano su un lambris in scagliola dipinto a finto marmo bardiglio, e anche il pavimento è in scagliola a riquadri, mentre il soffitto è dipinto a ornati «in lucido e oro»; non manca neppure un camino [Luigi Canonica?], «Casino del Teatro alla Scala», s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 315. in marmo di Carrara per il «comodo» degli illustri spettatori, né i particolari raffinati come i «chiodi romani» delle piastrelle in maiolica dello stesso camino (ASMi, Genio Civile, 3133). Un particolare iconografico degno di nota, che caratterizza questa decorazione, è la presenza ricorrente negli intagli delle lesene del motivo della Corona Ferrea, emblema del Regno d’Italia; ma l’aspetto singolare è che qui viene adottata l’iconografia della corona originale conservata nella cattedrale di Monza, anziché quella di forma raggiata che figurava nello stemma del regno così come nelle insegne (disegnate da Appiani) dell’Ordine della Corona Ferrea istituito da Napoleone nel 1806 (La Corona ferrea, I, 1995-1998, pp. 197-212). Risulta che tra la fine del 1808 e l’inizio del 1809 lo stesso imperatore, ravvisato l’errore, volesse tornare alla forma reale della corona, ma l’intento non ebbe esecuzione; la presenza della corretta iconografia nell’ornato dei palchetti reali sembra quindi non circostanza casuale, ma voluta seppur episodica riabilitazione dell’iconografia della vera Corona Ferrea. Il secondo incarico ricevuto nel 1813 dal conte Annoni riguarda un progetto di ampliamento del Casino Reale, allo scopo di crearvi una nuova «sala per cena» da usare in occasione delle feste da ballo (ASMi, Genio Civile, 3133; Spettacoli pubblici, p.m., 44). Canonica progetta anche in questo caso un interno di eleganza raffinata, nel quale dà ricercata forma a un vano rettangolare di base grazie alla creazione sui lati brevi di due esedre semicircolari, ottenute scantonando i quattro angoli con altrettanti diaframmi formati da due colonne del prediletto ordine ionico (un altro studio per una sala più piccola nel Casino Reale è in un disegno all’Archivio del Moderno di Mendrisio, BC 315). Benché il progetto venga approvato dal viceré, la sua esecuzione incontra notevoli difficoltà, coinvolgendo aspetti più complessi legati alla conseguente rettifica della contrada Filodrammatici, alle convenzioni già stipulate con l’impresa- rio dei teatri, e agli indennizzi per i necessari espropri. Tali complicazioni sono esposte al ministro dell’Interno dall’ingegnere capo dello stesso Ministero, Innocenzo Giusti, impegnato in quel tempo nella nuova fabbrica del palcoscenico del teatro, che si esprime in termini fortemente critici verso il disegno studiato dall’architetto reale, con il quale dichiara di non volere «promiscuità di progetti, e di direzione», ricusando di poter «dipendere da un semplice architetto»; le difficoltà devono essere serie, poiché dopo questo episodio il progetto di Canonica rimane senza alcun seguito (l’architetto ha trovato però il modo di riutilizzare il disegno, realizzando nel 1829 l’assai simile salone per la villa del duca Litta a Biumo, Varese). Nel 1813-1814, come si accennava, è realizzata nel Teatro alla Scala un’opera di ben maggiore impegno e importanza, l’ampliamento del palcoscenico e dei locali di servizio del complesso teatrale. Atterrando edifici retrostanti di proprietà Fiorenza e 205 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A del soppresso Convento di San Giuseppe, nonché il vecchio fabbricato dei camerini, viene prolungato l’originario edificio piermariniano e «continuata la fabbrica con maestosa architettura in tutto il braccio laterale che ora fa fronte alla nuova piazza di San Giuseppe» (Bossi 1818). Tradizionalmente questo intervento è legato al nome di Canonica, unito a quello del citato ingegnere Giusti. Tuttavia, la testimonianza prossima della Milano nuovamente descritta di Pirovano (1822), i non buoni rapporti professionali tra i due personaggi, i dati ricavabili dalla documentazione d’archivio superstite, che concordemente riportano a Giusti quale diretto responsabile di tutte le fasi dell’intervento dal disegno presentato nel 1812 all’esecuzione (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 48), e non ultima la mancanza di ogni traccia di questo pur rilevante argomento nella ampiamente conservata corrispondenza d’ufficio dell’architetto, convergono nel far pensare che l’apporto di Canonica all’ampliamento scaligero sia stato limitato e pertinente a una fase preliminare e di studio, attestata solo da due disegni, conservati all’Archivio del Moderno di Mendrisio (D 11, D 309), la cui testimonianza resta tuttavia isolata. In una pianta terrena del teatro, è accennato nel colore rosa delle nuove costruzioni l’inizio della fabbrica di prolungamento del palcoscenico, delineata alla medesima scala in un altro disegno e sostanzialmente corrispondente in figura a quanto realizzato, ma con pilastri di sezione diversa e assai più esile. Nel luglio 1830 Canonica è chiamato dal duca Visconti, in rappresentanza della direzione degli I.R. Teatri, a far parte di una delle varie commissioni che vengono successivamente formate dal governo, allo scopo di definire il programma dei lavori di rifacimento della sala teatrale e della sua decorazione, e poi di dirigerne l’esecuzione. Si tratta, in particolare, della commissione straordinaria che ha il compito di esaminare la proposta, presentata del pittore scenografo Alessandro Sanquirico, di rinnovare le decorazioni del proscenio, in aggiunta al progetto del pittore Vaccani che era stato appena faticosamente approvato e appaltato dopo un iter di molti anni e due concorsi; e di proporre ulteriori lavori oltre a quelli già predisposti (ASMi, Genio Civile, 3694). La commissione non era altro che quella già nominata per la direzione delle opere di abbellimento, composta da 206 Teatro della Concordia, Cremona, prospetto, s.d.; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 49. tre architetti funzionari governativi (Pestagalli, Caimi e Tazzini), con l’aggiunta ad hoc di altri due membri, ossia Canonica e lo stesso Sanquirico. I lavori diventano l’occasione per toccare tutti gli aspetti della riforma della sala teatrale, e aprire così la via a una profonda revisione del progetto Vaccani, che modifica l’intero programma decorativo utilizzando molte idee di Sanquirico. Lo svolgimento dell’intricata vicenda fuoriesce dall’argomento di queste note; basti qui dire che, sebbene non sia agevole distinguere il contributo individuale di Canonica al lavoro della commissione (che si esaurì in cinque sedute e nel dettagliato rapporto da essa presentato al governo il 15 agosto 1830), la decorazione realizzata porta anche qualche impronta dell’architetto ticinese oltre che di Sanquirico. In più circostanze, infatti, i due si alleano contro funzionari governativi facendo prevalere le loro idee, in particolare riguardo al proscenio, dove le decorazioni piermariniane furono sostituite da quelle disegnate dallo scenografo, contro il parere dell’Accademia di Belle Arti, in base a un argomento di coerenza e unità di tutta la nuova decorazione della sala; mentre per la trabeazione (solo architravata) dello stesso proscenio si riaffaccia il solido senso pratico di Canonica, che ne suggerisce la conservazione, anziché il rifacimento voluto da taluni per renderla «più uniforme ai precetti» dell’ordine architettonico. Disegni Luigi Canonica, Pianta e sezioni della sala per cena nel Casino Reale, progetto, 1813; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 44. [Luigi Canonica?], Pianta parziale con progetto di ampliamento del palcoscenico e dei servizi, [1812]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 11. [Luigi Canonica?], Pianta, progetto di ampliamento, [1812]; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 309. [Luigi Canonica?], Prospetto, rilievo, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 5, D 310. [Luigi Canonica?], Sezione di una sala nel Casino Reale, progetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 315. [Luigi Canonica], «Parallelo delle curve di diversi Teatri d’Italia», s.d.; BAATo, Disegni architettura teatrale, D.CAN.1-D.CAN.2. Bibliografia Borroni 1808, pp. 178-180; Bossi, I, 1818, pp. 249-251; Pirovano 1822, pp. 415-419; Cantù, I, 1857-1861, p. 243; Mezzanotte 1966, p. 292; Secchi 1977, pp. 107-108; Mezzanotte 1982, pp. 99-100; La Corona ferrea, I, 1995-1998, pp. 197-212; Patetta, Parisi 1995, p. 141; Il Teatro alla Scala 2005, pp. 32-34. (g.s.) Teatro della Concordia, oggi Ponchielli, Cremona 1807-1808 Il settecentesco Teatro Nazari di Cremona, opera dell’architetto Giovanni Battista Zaist, fu interamente distrutto nel settembre del 1806 a causa di un violento incendio che cancellò ogni memoria delle strutture in legno di matrice bibienesca. Il rovinoso avvenimento – infausto destino anche per il successivo edificio ottocentesco – divenne occasione per rinnovare una struttura teatrale in cui, solo un anno prima, l’autorità locale aveva rilevato problemi di sicurezza e di degrado. La società dei palchettisti, unanime nella proposta di una celere ricostruzione, era consapevole della necessità di realizzare un edificio teatrale all’avanguardia, concepito secondo i più moderni caratteri estetici e funzionali, dove i criteri introdotti da Piermarini avrebbero dovuto assumere un valore esemplare. L’orientamento verso recenti esempi di architettura teatrale edificati in Lombardia e l’aggiornamento rispetto al vivace dibattito allora in corso, determinò la scelta di Luigi Canonica. L’architetto fu convocato a Cremona nel gennaio del 1807 per illustrare alla commissione delegata a soprintendere la nuova fabbrica i principali caratteri del progetto per il Teatro Carcano di Milano, edificato nel 1802 grazie al suo fondamen- A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I tale apporto e individuato come possibile modello sul quale riflettere e valutare un’idea progettuale per l’edificio cremonese. Alcuni mesi dopo l’architetto ticinese presentò sette tavole di progetto corredate da alcune Memorie manoscritte, redatte in data 5 aprile 1807. Gli elaborati grafici autografi (Museo Civico di Cremona) dimostrano i criteri applicati da Canonica al fine di rispondere alle richieste di «comodità, solidità e bellezza» espresse dai responsabili alla costruzione e raggiunte con uguale attenzione nelle diverse parti del teatro, nei locali di rappresentanza, nella sala teatrale, nel palcoscenico e nei locali di servizio annessi. La soluzione planimetrica adottata conferma l’applicazione dell’ormai codificato schema a ferro di cavallo con quattro ordini di palchi e un loggione. La curva della sala teatrale si restringe ora verso il grande e profondo palcoscenico, la cui disposizione abilmente strutturata e più sistematica evoca le inedite ricerche sull’area scenica già applicate da Cosimo Morelli nel teatro di Imola. Nel caso del progetto cremonese, l’ampiezza della superficie disponibile permise a Canonica di dotare ogni singolo palco di un antipalco o «camerino» posto al di là del corridoio anulare. Questo piccolo vano più specificamente privato – come avrebbe precisato Pierre Patte nel 1830 – veniva utilizzato durante le rappresentazioni come luogo deputato alle conversazioni e al gioco, e come tale era entrato a fare parte della tradizione architettonica del teatro all’italiana. La particolarità spaziale adottata da Canonica a Cremona – riproposta subito dopo nel progetto per il Grande di Brescia (1808-1810) e più tardi nel Sociale di Mantova (1817-1818) e nel Carlo Felice di Genova (1825-1826) – trovava un precedente importante in Piermarini e la sua prima applicazione nel settecentesco Teatro Regio Ducale di Milano di Gian Domenico Barbieri. La professionalità di Canonica si esplicita nella capacità di studiare e definire con il medesimo rigore l’unità architettonica teatrale del palco e l’edificio nella sua totalità, concepito a scala urbana in un sistema più ampio e articolato. Tra gli elaborati di progetto, la pianta generale (ASMi, Spettacoli Pubblici, p.m., 49) mostra il nuovo organismo teatrale inserito nella città, pensato nella medesima posizione del precedente cercando di valorizzare il contesto urbano esistente. Nella volontà di realizzare un teatro dalla «figura regolare» anche attraverso l’acquisizione della vicina corte dei Padri della Missione, l’architetto prevedeva un ampliamento dello stretto vicolo che conduceva alla Chiesa di S. Pietro al Po. Nel dichiarato intento di creare una facciata dal carattere «semplice» e «sodo», conveniente a un’architettura teatrale, Canonica sembra ispirarsi al linguaggio palladiano al fine di raggiungere una monumentalità sempre misurata. Egli compose un fronte geometrico su due piani, segnalato dalla Commissione di pubblico ornato per lo stile grandioso e sobrio, che manifesta i caratteri del palazzo urbano attraverso il trattamento differenziato delle superfici, con un bugnato al piano terra teso ad accentuare l’orizzontalità e un intonaco liscio nel livello superiore. Il pronao a quattro colonne di ordine ionico si innesta in posizione centrale rispetto al corpo teatrale e assume la funzione di filtro tra la strada cittadina e l’asse di penetrazione verso l’interno, rispondendo alla moderna esigenza di diversificare gli ingressi per i pedoni dal percorso delle carrozze. Nella memoria di progetto l’architetto motivò la scelta del timpano sorretto da colonne, ritenuta migliore rispetto al modello piermariniano del maestoso portico a pilastri con terrazza superiore, che già nel caso del Teatro alla Scala era stato motivo di disapprovazione per la scarsa ampiezza della strada antistante. Nel teatro di Cremona una simile scelta progettuale avrebbe compromesso la leggibilità di un fronte aggettante su una delle strade principali della città e la soluzione ideata risultò preferibile, anche in considerazione a questioni di ordine economico. Come in ogni suo studio relativo ad architetture teatrali, Canonica non tralasciò aspetti più dichiaratamente tecnici. Alcuni importanti accorgimenti costruttivi emergono nel confronto tra le memorie dell’architetto e i capitoli del contratto con il direttore dei lavori di cantiere, Francesco Mina, nominato dalla Società del teatro per aver presentato un preventivo di spesa inferiore a quello da lui proposto. Le indicazioni relative alla realizzazione delle colonne per il pronao d’ingresso – completamente in pietra o solo nella parte dello zoccolo e del capitello – e della volta in cotto per i corridoi e i retropalchi, pensata per garantire una maggiore solidità all’intera struttura, si uniscono al suggerimento di preve- Teatro della Concordia, Cremona, «Pianta Generale», [1807-1808]; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 49. dere tre pozzi per la fornitura dell’acqua necessaria a tutti i servizi del teatro e dimostrano un approccio sperimentale che molto spesso determinò scelte di carattere estetico. Disegni Luigi Canonica, «Piano Terreno del primo ordine de’ Palchi», 1807; Cremona, Museo Civico. Luigi Canonica, «Spaccato del Teatro sulla linea CD», 1807; Cremona, Museo Civico. Luigi Canonica, «Spaccato per il lungo sulla linea AB», 1807; Cremona, Museo Civico. Luigi Canonica, «Pianta Generale», [1807-1808]; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 49. Luigi Canonica, Prospetto, s.d.; 207 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Teatro della Concordia, Cremona, sezione trasversale, 1807; Cremona, Museo Civico. ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 49. Bibliografia Maggiori 1832, p. 288; Caffi 1885, p. 84; Signori 1928, p. 128; Mezzanotte 1966, pp. 292, 294; Santoro, II, 1969-1972, pp. 33-59; Soldini 1981[a], pp. 339-342; Il Teatro Ponchielli 1995, pp. 29-39; Santoro 1995, pp. 59-97; Santoro 2004, pp. 9-33. (b.b.) Canonica disegnò due gradinate lignee perimetrali sul modello di anfiteatro e un luogo distinto, rialzato, per i principi. Egli accennò anche alla possibilità di realizzare un progetto più costoso con «proscenio in cotto con meccanismi necessari per quattro mutazioni di scene e sipario, abbassando una porzione del pavimento per praticare sotto al palcoscenico, e così pure la platea con muro e parete in curva a figura d’anfiteatro e sua volta corrispondente formando un palco e ritirata annessa per le LL. AA. II.» (ASMi, Genio Civile, 3140). Già il 2 aprile Costabili informò Canonica di aver presentato il progetto a Eugenio di Beauharnais che lo aveva immediatamente approvato e gli ordinava di avviare subito la costruzione, aggiungendo un passaggio dal palco reale al palcoscenico e un locale per i domestici (ibidem). Nello stesso mese l’architetto si recò a Monza per «dare le disposizioni relative alla costruzione del teatrino», trovando il locale destinato a questa funzione – il «magazzino di fabbrica vicino alla stanza di Bigliardo dei Camerieri» – occupato da mobili e oggetti. Le prime indicazioni operative di Canonica riguardarono, infatti, la costruzione di un altro magazzino per collocarvi questi oggetti. Il 14 maggio Prada gli chiese di visitare il nuovo teatro, mentre il 13 agosto Alessandro Sanquirico venne pagato per le decorazioni interne ( ibidem). Lavori successivi sono documentati nel 1814 quando, all’interno del cortile, venne realizzata una cisterna. Disegni Luigi Canonica, Pianta, sezione e prospetto del boccascena, 1808; ASTi, Fondo Cattaneo. Teatro di corte della Villa Reale, Monza 1808 La prima indicazione relativa al «desiderio» di Eugenio di Beauharnais che «venisse disposto in un locale del Reale palazzo presso Monza» un teatro di corte è datata 22 marzo 1808. Costabili invitò Canonica «ad occuparvi immediatamente di questa idea ed a sottopormi un progetto in proposito con conto preventivo della spesa» (ASMi, Genio Civile, 3138). Il 29 marzo 1808 l’architetto scrisse all’intendente generale di aver preparato un primo progetto per il teatrino da collocarsi nel piano terreno in prossimità della Cappella Reale. Non avendo ricevuto informazioni sul genere di teatro, se fosse stabile o temporaneo, l’architetto reale concepì un palcoscenico con tavole di pioppo, un proscenio con un’armatura lignea da ricoprirsi con una tela dipinta, le «quinte e teloni per due mutazioni compresa la pittura di tre scene e sipario con armatura e cordami» da muoversi manualmente. Per la platea 208 Villa Reale, Monza, Teatro di corte, pianta, sezione e prospetto del boccascena, 1808; ASTi, Fondo Cattaneo. Bibliografia Merati 1965; Franchini 1984, pp. 82, 85; Repishti, Süss 2000, pp. 133-137; Coppa 2002, p. 276; Ricci 20042005, p. 72. (f.r.) Teatro Grande, Brescia 1808-1810 L’Accademia degli Erranti di Brescia aveva ospitato, a partire dal 1664, il primo teatro pubblico allestito nella città. La struttura teatrale in legno posta nel portico sottostante la sala accademica fu oggetto di successive trasformazioni di adeguamento, fino alla decisione di costruire un nuovo invaso teatrale nell’area della cavallerizza destinata alle esercitazioni equestri e marziali dei nobili accademici. Nel 1745, Antonio Cugini realizzò il progetto di una sala con pianta a U, ideato cinque anni prima dall’architetto e scenografo Pietro Righini, che fu completato dal magnifico salone del Ridotto disegnato da Antonio Marchetti e dal monumentale scalone d’ingresso opera dell’abate Gasparo Turbini. La necessità di un più grande e moderno teatro determinò il successivo intervento ottocentesco, promosso da una Deputazione composta dalla A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I Municipalità e da alcuni rappresentanti dei palchettisti. Le diverse aspirazioni dei cinque membri della commissione alla fabbrica, eletta il 6 aprile 1805, si tradussero nel duplice incarico assegnato all’architetto bresciano Vincenzo Berenzi e a Leopoldo Pollack – autore del Teatro Lentasio e con Piermarini del disegno per il Patriottico e artefice due anni prima del progetto per il teatro di Bergamo. Il confronto tra la tradizione architettonica locale e l’avanguardia milanese di matrice piermariniana si risolse, nel gennaio 1806, con la presentazione di due diverse soluzioni tra le quali i palchettisti – principali promotori finanziari dell’intera opera di ricostruzione – avrebbero dovuto scegliere l’impianto per il nuovo edificio teatrale. I dettagliati verbali di assemblea dei proprietari dei palchi rivelano le ripetute valutazioni condotte al fine di scegliere il progetto migliore sulla base di criteri di «bellezza, armonia, ottica e solidità». Nelle due strutture teatrali pensate da Berenzi e da Pollack ed esplicitate in un unico modello ligneo composto da due parti, i cinque ordini di palchi e il loggione previsti si impostavano su una sala a ferro di cavallo la cui diversa curvatura, insieme alla valutazione della solidità strutturale, divenne motivo per sottoporre i progetti al giudizio dell’Accademia nazionale di Belle Arti di Bologna. Nonostante il parere dell’istituzione accademica, più favorevole al teatro concepito dall’artefice bresciano, la persistente esitazione nella scelta del progetto da parte dei palchettisti determinò un forte ritardo nella demolizione della sala teatrale settecentesca – prevista solo a seguito dell’effettiva approvazione del progetto esecutivo – e le dimissioni della Commissione alla fabbrica. Il nuovo Consiglio speciale eletto per soprintendere alla costruzione del teatro sottopose i progetti alla riconosciuta competenza di Luigi Canonica. Giunto a Brescia nell’aprile del 1808, l’architetto si espresse sulla «sproporzionata grandezza» delle sale teatrali disegnate dai due candidati architetti, oltre a riscontrare l’inesattezza di una terza soluzione progettuale proposta da Giovanni Donegani, al fine di costruire il nuovo teatro salvaguardando le strutture murarie esterne del precedente edificio e soddisfare in questo modo le istanze di alcuni palchettisti. La revisione effettuata da Canonica sui disegni della nuova sala teatrale rilevò la mancanza di una «curva moderna» e determinò la proposizione da parte dell’architetto ticinese di un nuovo progetto, risultato di un attento studio nella definizione scientifica dell’esatta curvatura per l’aula del teatro bresciano. Nel consistente corpus di disegni, schizzi e studi conservati presso l’Accademia Albertina di Torino – relativi alla progettazione del teatro di Brescia e a vari esempi di teatri in Italia, Francia, Inghilterra, Germania – il Parallelo delle curve di diversi Teatri d’Italia (BAATo, D. CAN. 2) tracciato da Canonica mise a confronto le dimensioni dell’organismo teatrale pensato per Brescia con l’ampiezza delle sale del San Carlo di Napoli, del Regio e del Carignano di Torino, del Teatro Argentina di Roma, nei quali il tipo del grande teatro d’opera pubblico all’italiana aveva ormai raggiunto una precisa configurazione. Insieme a questi esempi l’architetto disegnò il profilo delle sale della Canobbiana e della Scala di Milano, evidenziando la concentricità della curva del nuovo teatro di Brescia e del modello milanese. Luigi Canonica sottopose al giudizio del Consiglio speciale due ipotesi progettuali: lo schema tipologico studiato adottando per ogni ordine 32 palchi dotati di camerino, preferito dallo stesso autore, trovò il con- senso del Consiglio che rinunciò a una seconda soluzione fondata su 34 unità per livello. La volontà di realizzare un teatro «moderno» nelle proporzioni, dotato di comodità fondate sulla maggiore dimensione del palcoscenico e dei singoli palchi, si impose nell’attenta valutazione dei consiglieri, nonostante questa scelta potesse influire notevolmente sulle spese di realizzazione, a discapito inoltre di una minore capienza del teatro rispetto ai progetti presentati dagli architetti Berenzi e Pollack. Operando secondo criteri di proporzione e con l’approvazione dello stesso Consiglio, Canonica valutò la soppressione del sesto ordine previsto in origine per la struttura teatrale e, sulla base di tale conformazione, studiò la disposizione dei palchi di proscenio servendosi dell’esperienza maturata nella costruzione del Teatro Carcano. Lo scambio epistolare relativo all’anno 1809 tra Canonica e Marc’Antonio Fè, nel ruolo di presidente del Consiglio speciale (ASBs, Teatro Grande, 171, 12), testimonia l’avvenuto avvio del cantiere diretto da Giovanni Donegani, durante il quale una serie di modifiche apportate al disegno della sala necessitarono il parere dell’architetto. Interpellato a Milano nel mese di maggio, Canonica fornì motivate indicazioni che, sviluppando principi di armonia, prospettiva e acustica, precisarono l’esatta descrizione della curva della sala, l’inclinazione del proscenio e della platea destinata a un pubblico seduto, la necessità di una volta piana e di un raccordo ellittico con le pareti del teatro secondo un linguaggio ormai codificato. Il grande valore attribuito da Canonica all’area del proscenio, definito quale «cornice al quadro della scena», si esplicita nell’attenzione dimostrata alla definizione di un apparato ornamentale appropriato alle dimensioni relativamente ampie e a un gusto neoclassico ribadito dalla complessa decorazione della sala teatrale, ideata da Giuseppe Teosa, per celebrare Napoleone vittorioso nella battaglia di Austerlitz, al quale il nuovo Teatro Grande doveva essere dedicato. Canonica abbandonò l’uso di colonne binate delimitanti i palchi di proscenio e si servì di una riquadratura a bassorilievo in stucco per la quale fornì due diverse versioni, precisate in accurate tavole di dettaglio inviate a Brescia nell’agosto 1809 insieme ai disegni relativi agli ornati del palco reale (ASBs, Teatro Grande, 171, 8). Per l’unità principale del teatro sede delle autorità, enfatizzata come alla Scala da uno sviluppo su due ordini, Canonica studiò una struttura a Teatro Grande di Brescia, «Spaccato per il Longo, spaccato per traverso», [1809]; BAATo, Progetti di vari teatri, D. CAN.15. 209 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A pianta circolare e un carattere degli ornati dagli stilemi cesarei consoni a una dedicazione imperiale, lasciando all’arbitrio del Consiglio la scelta del panneggio interno. Il rigore metodologico applicato da Canonica nella definizione strutturale e decorativa della sala teatrale napoleonica di Brescia, inaugurata nel dicembre 1810, che mira a far coincidere aspetti estetici e formali con esigenze di carattere pratico, è avvalorato dalla capacità dimostrata dall’architetto di tenere sempre in grande considerazione questioni di ordine tecnico. Le sue acute osservazioni relative alla realizzazione delle capriate lignee per la copertura della sala palesano la grande cognizione in campo ingegneristico e la precisa adesione a un moderno atteggiamento funzionalista. Disegni Luigi Canonica, Sezione trasversale, «Spaccato del teatro sulla linea CD», 1809; ASBs, Teatro Grande, 171, 56, tav. 10. Luigi Canonica, «Pianta del real palco, pianta dell’ingresso e profilo del palco del teatro di Brescia», [1809]; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 24. Luigi Canonica, Pianta e sezione, [1809]; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 24. Luigi Canonica, Studio per il palco reale, [1809]; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 24. Luigi Canonica, Sezione, [1809]; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 24. Luigi Canonica, «Parallelo delle curve di diversi Teatri d’Italia colla loro capacità in piedi quadrati», tavola preparatoria, [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.1. Luigi Canonica, «Parallelo delle curve di diversi Teatri d’Italia», [1809], BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.2. [Luigi Canonica?], «Pianta del piano terreno e del primo ordine di palchi del nuovo Teatro di Brescia apertosi nell’anno 1811», [1811]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.3. Luigi Canonica, «Spaccato del Teatro preso sulla linea AB», [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’I- 210 talia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.10. [Luigi Canonica?], «Pianta terrena e del Primo ordine de’ palchi del nuovo teatro di Brescia secondo il disegno originale del sig.r Caval.e Canonica Regio architetto» [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.12. Luigi Canonica, Teatro Grande di Brescia, prospetto di boccascena, schizzo di sezione, [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.13. [Luigi Canonica?], «Pianta del piano terreno e del primo ordine di palchetti del teatro di Brescia» [1811]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.14. Luigi Canonica, «Spaccato per il Longo» e «Spaccato per traverso» [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.15. [Luigi Canonica?], Teatro Grande di Brescia, schizzo di sezione trasversale e longitudinale, [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.16. [Luigi Canonica?], «Soffitto del Teatro di Brescia dipinto come tutto il rimanente del teatro dal insigne pittore Teosa di Brescia», [1811]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.17. Luigi Canonica, «Sagoma in grande della cornice del Palco reale» [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.31. [Luigi Canonica?], Teatro Grande di Brescia, schizzo della pianta [1809]; BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN.32. Bibliografia Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Odorici 1864; Caffi 1885, p. 84; Ugoletti 1909, p. 137; Mezzanotte 1966, pp. 292, 295; Rapaggi 1979, pp. 113-114; Il volto storico di Brescia, V, 19781985, pp. 125-128; Il Teatro Grande di Brescia, II, 1985-1986, pp. 113130; Parisi 1995, p. 62. (b.b.) Teatro Re, Milano 1812-1813 L’alienazione di numerosi edifici religiosi, seguita alle riforme teresianogiuseppine e alle soppressioni monastiche effettuate durante la prima Repubblica Cisalpina, costituì il presupposto necessario alla realizzazione di alcuni luoghi teatrali nel denso tessuto urbano milanese. Come nel caso dei teatri dei Filodrammatici, Lentasio, Carcano e Fiando – edificati sulle aree della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, del Monastero di San Lazzaro, dell’Oratorio del Bellarmi- Teatro Re, «Primo disegno», pianta, 1812; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 285. no – il Teatro Re occupò la Chiesa di San Salvatore in Xenodochio. Nel 1811 la vendita dell’edificio religioso, situato nell’isolato compreso tra le due centralissime contrade dei Due Muri e di San Salvatore (attuale zona di via Silvio Pellico), rappresentò un’appetibile occasione rivolta alla recente pratica imprenditoriale nella costruzione e gestione di nuovi organismi teatrali, già sperimentata con successo nei teatri Carcano e Lentasio. L’esperienza di zelanti proprietari e di nuovi appaltatori fu iterata dal celebre marionettista Carlo Re, ex calzolaio e responsabile nella gestione del Teatro Santa Radegonda. A partire dal 1810, la volontà di aprire il locale a un pubblico più vasto diversificando un cartellone limitato a spettacoli di marionette, aveva indirizzato l’impegno del Re alla definizione di un progetto di «riforma» dell’ormai obsoleta struttura in legno del Santa Radegonda, realizzata nel 1802 sull’area della soppressa chiesa omonima. Il progetto per una A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I Teatro Re, Milano, pianta, 1812; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC, 284. nuova sala a ferro di cavallo, ideato dall’architetto e scenografo Giacomo Pregliasco, risale a questa prima proposizione di rinnovamento. Il parere contrario di Anastasia Franzini, partecipe con Re dell’impresa teatrale, e l’opposizione espressa dalla Direzione dei Teatri regi – attiva nella tutela dei teatri alla Scala e alla Canobbiana dalla concorrenza di nuove sale – costrinsero l’impresario a orientare l’intervento verso una diversa area di progetto, individuata a seguito del proficuo acquisto della Chiesa di San Salvatore. Nel settembre 1811, Carlo Re sottopose all’autorità ministeriale la richiesta di costruire il nuovo Teatro San Salvatore, poi denominato Teatro Re all’inizio del 1814 in occasione della sua inaugurazione. L’affidamento dell’incarico all’autorevole architetto Luigi Canonica, avrebbe assicurato il superamento degli inevitabili ostacoli derivanti dall’ambizioso progetto di costruire a Milano un nuovo organismo teatrale che sarebbe diventato la più importante sala milanese per spettacoli di prosa. L’esigenza di dotare la città di un teatro specializzato nella messa in scena di «commedie italiane» fu la motivazione addotta da Carlo Re, che avrebbe garantito rappresentazioni a cura della Compagnia Reale, impossibilitata a usufruire dei due teatri regi e delle strutture troppo decentrate del Carcano. Nel rispetto delle rigide direttive introdotte a partire dal 1806, al fine di regolare l’allestimento di nuove sale teatrali e l’ampliamento di quelle esistenti, l’autorizzazione governativa per la fabbrica del Teatro San Salvatore fu concessa al suo proprietario non titolato nel febbraio 1812, a condizione che non venisse superata la capacità del Santa Radegonda. Il confronto in pianta tra i due organismi teatrali, sottoscritto da alcuni periti a lavori conclusi, servì evidentemente a verificare tale clausola e il coinvolgimento di Luigi Canonica, tra i responsabili della perizia, fu determinante per l’approvazione del progetto, nonostante la capienza di persone risultasse alla fine superiore. Tra i due elaborati grafici relativi al Teatro San Salvatore poi Re, datati 1812 e attribuiti a Luigi Canonica, un «Primo disegno» in pianta (BC 285) mostra l’applicazione dell’ormai consolidato schema tipologico a ferro di cavallo, sovrapposto alle strutture della preesistente chiesa. Nel primo ordine vengono previsti diciotto palchi compresi i due del proscenio, dotati solo parzialmente di camerini posti oltre il corridoio anulare. Come per il Teatro Carcano, il peculiare sistema di conduzione imprenditoriale modificò l’organizzazione planimetrica della struttura teatrale. Lo spazio destinato nel teatro d’opera pubblico di origine piermariniana alla realizzazione di unità più specificamente private e riservate a nobili palchettisti viene utilizzato per migliorare il sistema di distribuzione interna, garantendo collegamenti verticali più ampi e agevoli tra i tre contemplati livelli e il loggione. Accessi differenziati sono previsti per la platea e per i palchi. L’attenzione a questioni di ordine distributivo è confermata in una seconda tavola di progetto (BC 284) in cui la sala subisce una lieve rotazione in senso antiorario rispetto allo studio grafico precedente, mantenendo inalterata la forma a ferro di cavallo. Tale conformazione corrisponde all’effettiva struttura del teatro rilevata prima della sua demolizione, avvenuta a seguito del riassetto di piazza del Duomo e della costruzione della Galleria Vittorio Emanuele. Il disegno mostra il tentativo di sostituire l’unica scala pensata nella prima ipotesi, che si svolge a tre rampe entro un ristretto vano con accesso dal corridoio dei palchi, con due nuove e ampie scale simmetriche addossate alla struttura curvilinea dell’invaso teatrale. La rotazione della sala nei limiti di una ristretta superficie di progetto compressa nel consolidato tessuto urbano milanese, permette di migliorare lo sviluppo dell’area scenica, sulla base di una razionalità tecnica e compositiva che Canonica avrebbe rinnovato, nel 1813, confrontandosi con il progetto di ampliamento per il palcoscenico del Teatro alla Scala. L’obbligata collocazione di un anonimo ingresso al teatro – posto lungo il modesto fronte stradale dal tracciato spezzato di vicolo San Salvatore e approvato dalla Commissione d’Ornato a condizione «che vi si possa arrivare al coperto dalla pioggia» – indusse Canonica a un attento studio formale del ridotto e semplice vestibolo. Un pubblico diversificato e un accentuato aspetto speculativo nella gestione della struttura teatrale avevano ridimensionato l’originario carattere rappresentativo del luogo teatrale, con il quale l’architetto si confronterà nuovamente in successivi progetti per monumentali “Teatri di Società”. Disegni Luigi Canonica, Pianta, 1812; BCAMMe, Fondo Canonica, 5, BC 284. Luigi Canonica, Pianta. «Primo disegno», 1812; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 285. Luigi Canonica, Pianta, 1812; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 26. Bibliografia Amati, I, 1828-1830, p. 27; Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Wilson 1837, p. 226; Canella 1966, p. 63; Mezzanotte 1966, pp. 292, 295; Sanguinetti 1969; Manzella, Pozzi 1971, pp. 90-95; Ricci 1972, pp. 89-91; L’idea della magnificenza civile 1978, p. 79; Patetta, Parisi 1995, pp. 142-143. (b.b.) Teatro alla Canobbiana, Milano 1812-1824 Il 21 agosto 1779, La Fiera di Venezia di Antonio Salieri inaugurò il «Teatro Piccolo alla Canobiana», realizzato su disegno di Giuseppe Piermarini nell’area a fianco delle Scuole Canobbiane, adiacente alla residenza arciducale. Tre anni prima, la perdita del vicino Teatro Regio Ducale allestito nel palazzo medesimo e distrutto dalle fiamme, aveva determinato la costruzione di un nuovo «Teatro Grande» sull’area della Chiesa di Santa Maria alla Scala e di una struttura teatrale minore, rispondente alle richieste di un pubblico borghese sempre più numeroso e alla possibilità di offrire un repertorio di prosa alternativo all’opera lirica. La precisa configurazione del teatro d’opera pubblico all’italiana concepita da Piermarini alla Scala nel 1776 fu quindi replicata un anno dopo alla Canobbiana, dove l’«Imperial Regio Architetto» perfezionò ulteriormente i caratteri precipui dell’organismo teatrale, riconoscibili nell’esatta costruzione geometrica del tracciato a ferro di cavallo della sala, nella rigorosa disposizione dei tre ordini di palchi dotati di camerino e del loggione, nella celebrativa distribuzione dei ridotti. L’efficace razionalità compositiva inaugurata da Piermarini nei due teatri regi milanesi divenne esemplare nel nuovo secolo, in una vivace ricerca di progetto condotta a livello internazionale nel campo della moderna architettura teatrale. Lo studio e il rilievo dei fondamentali rapporti di proporzione tra sala, palcoscenico e ridotti, tra luce del boccascena, larghezza e lunghezza dell’invaso teatrale – applicati dall’illustre maestro in funzione di un’ottima visibilità e di un’adeguata acustica – divennero indispensabili nel disegno dei teatri di Carlo Amati, Leopoldo Pollack e Luigi Canonica, le cui tavole di progetto furono spesso pre- 211 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Teatro alla Canobbiana, prospetto parziale, 1812; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47. sentate unitamente alle piante dei teatri alla Scala e alla Canobbiana, per indicare il valore fondamentale di tali modelli nell’applicazione di determinati principi compositivi. Il tema di un’aula teatrale perfetta si associa al rinnovato disegno del fronte. L’adeguamento al carattere settecentesco della dimora nobiliare milanese ripartita in facciata da un primo ordine bugnato e dalla scansione di doppie lesene nei piani superiori – associato alla Scala a un monumentale portico per le carrozze introdotto per la prima volta da Piermarini – si accentua nel Teatro alla Canobbiana in risposta al preciso obbligo di mantenere l’allineamento della quinta urbana. L’adesione alla cortina stradale lungo la contrada Larga precluse la riproposizione del canonico portico carrozzabile, sostituito da un modesto balcone al piano nobile sostenuto da colonne binate. Le specifiche esigenze funzionali di accesso al luogo teatrale determinarono la creazione di un «voltone» laterale destinato al transito delle carrozze, realizzato attraverso l’apertura di una nuova strada denominata contrada della 212 Canobbiana, prolungamento di via Rastrelli. Nei primi mesi del 1812, l’autorità ministeriale sottopose alla Commissione d’Ornato l’intenzione di demolire il portico posto sul fianco destro della Canobbiana e la superiore sala annessa al ridotto, proponendo la realizzazione di un cavalcavia terrazzato che, a seguito delle recenti opere di ampliamento del Palazzo Reale e di allargamento della strada della Canobbiana, avrebbe reso possibile un collegamento tra il teatro e la rinnovata dimora reale, già previsto «per comodo della Corte» nelle fasi iniziali del progetto teatrale. La partecipazione di Luigi Canonica, architetto reale, al «Progetto della nuova Terrazza» è documentata da tre elaborati grafici presentati nel gennaio 1812 (ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47), nei quali a un rilievo dell’esistente in pianta e prospetto, egli allegò la soluzione del nuovo «voltone» bugnato ad arco ribassato con balaustrata superiore. Il progetto fu approvato nel maggio 1813 e realizzato con la direzione dell’architetto Pietro Gilardoni a seguito di una lieve correzione nel tracciato dell’arco scemo (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 22, 2, sono conservati due disegni di Pietro Gilardoni per l’arco laterale al teatro). La connessione attuata alla Canobbiana tra l’organismo teatrale e la Corte rappresenta forse l’ultimo episodio nella rappresentazione di un teatro inteso come luogo privilegiato del principe e della classe aristocratica. Nella prima metà dell’Ottocento, l’autonomia raggiunta dall’edificio teatrale, la sua collocazione nel denso tessuto urbano e l’apertura a una realtà sociale più ampia, diedero origine al moderno tema progettuale insito nel diretto rapporto tra teatro e città, in una coerente visione urbanistica indagata e valutata da Canonica in molti progetti teatrali a Milano e in centri minori della Lombardia. A partire dal 1823, la documentazione relativa al rifacimento della decorazione della volta e dei parapetti dei palchi nel Teatro alla Canobbiana riferisce un nuovo coinvolgimento dell’architetto ticinese, interpellato per la sua «somma intelligenza» e lo «squisito gusto anche nelle cose di Teatro». L’incarico conferito dal governo nel settembre 1823 prevedeva la formulazione di un parere sull’insieme dei disegni presentati dagli artisti concorrenti, sottoposti in precedenza all’esame dell’Accademia di Brera. In una puntuale relazione, redatta in data 6 ottobre 1823 e indirizzata alla Direzione del Demanio (ASCMi, Spettacoli pubblici, 64), Canonica espresse innanzitutto la propensione per una decorazione a grisaille, supportata da ragioni di carattere tecnico dettate da una preziosa esperienza nell’ambito della progettazione teatrale, tra le quali una migliore riflessione della luce con un conseguente «effetto ottico» superiore, una maggiore durata rispetto a un dipinto a colori alterabile per il fumo dei lampadari e dei vapori, una precauzione nella scelta dei materiali tesa alla tutela dagli incendi. I precisi criteri di valutazione indicati da Canonica indirizzarono la scelta sull’opera dei pittori Gaetano Vaccani per la decorazione della volta e Giacomo Cambiasi per l’ornato dei parapetti dei palchi, oltreché sul famoso scenografo della Scala, Alessandro Sanquirico, per il ricco apparato decorativo della sala adibita alle feste da ballo sul palcoscenico. L’attitudine a riservare notevole attenzione a questioni di ordine tecnico e l’abile interdisciplinarietà riconoscibili nel metodo dell’architetto ticinese, sono ribadite dalla grande precisione dimostrata nelle modalità di esecuzione dell’apparato decorativo concepito per il Teatro alla Canobbiana. Canonica fece realizzare dai pittori ornatisti alcuni campioni su tela e su legno al fine di favorire la scelta di un dipinto a chiaroscuro, preferito a un ornato bianco a vernice lucida e con sagome dorate come quello suggerito inizialmente dalla committenza. L’ esecuzione dell’intera opera, conclusa alla fine del 1824 dopo un’attenta supervisione di Luigi Canonica e dell’accademico Paolo Landriani, avvalorò l’effetto della ponderata distribuzione decorativa, fondata su una sobrietà e un’esattezza di matrice piermariniana. Disegni [Luigi Canonica], «Pianta superiore della sala annessa al ridotto» e prospetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 5, BC 283. Luigi Canonica, «Alzata di due porzioni di Facciata del nuovo Fabbricato annesso al Palazzo Reale del Teatro alla Canobbiana col Progetto A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I della nuova Terrazza per comodo delle Carrozze», 1812; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47. Luigi Canonica, «Facciata del Teatro alla Canobbiana. Fabbricato da riformarsi. Elevazione del nuovo Fabbricato della Real Corte», 1812; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47. Luigi Canonica, pianta del «Fabbricato del Teatro della Canobbiana», del «Fabbricato da riformarsi» e del «Nuovo Fabbricato della Real Corte», 1812; ASMi, Spettacoli pubblici, p.m., 47. Luigi Canonica, «Casa annessa al teatro della Canobbiana», s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 2, 1. Bibliografia Canella 1966, pp. 46-47; Manzella, Pozzi 1971, pp. 59-64; Ricci 1972, pp. 50-54; Soldini 1981[a], pp. 331, 335-336; Scotti 1984, p. 115. (b.b.) Teatro Sociale, Mantova 1817-1818 La puntuale Memoria firmata da Luigi Preti nel 1824 relativa alla costruzione del «Nuovo Teatro» di Mantova riferisce le principali vicende di questo edificio sorto nella contrada di Pradella e promosso per iniziativa privata. La centralità dell’edificio e la sua migliore accessibilità rispetto a realtà teatrali già esistenti in città, quali il Teatro Regio, rappresentano una prerogativa fondamentale sottolineata nella ricca letteratura sulla teoria teatrale e ribadita dai nobili promotori quale condizione favorevole alla diffusione di un progetto culturale e sociale, letto alla luce di rinnovati fenomeni urbani ed economici. Sull’esempio di altri centri italiani, anche a Mantova il Teatro della Società divenne il fulcro di un’importante riqualificazione del suolo urbano attuata nella nuova zona commerciale della città, come era già avvenuto per la piazza Virgiliana. L’inserimento della forma teatrale, dalla geometria regolare disegnata da Luigi Canonica, permise di rettificare gli isolati interessati dall’intervento a seguito della demolizione di alcuni caseggiati e determinò la creazione di una place pubblica dominata dal nuovo monumento teatrale pensato a scala urbana. Incluso nel novero della Commissione esecutiva per il nuovo teatro, eletta il 12 gennaio 1817 su autorizzazione dell’I.R. Delegazione Provinciale, Luigi Preti suggerì il nome del ticinese ormai affermatosi a Milano, Cremona e Brescia nell’ambito della progettazione di sale teatrali. Tra le due diverse soluzioni presentate alcuni mesi dopo da Luigi Canonica, delle quali non è possibile verificare i contenuti attraverso la documentazione esistente, la Commissione del nuovo teatro scelse il disegno più «maestoso». Il carattere di imponente grandiosità riconosciuto nell’ipotesi progettuale eletta venne individuato nella chiara componente simbolica di derivazione classica del pronao a sei colonne di ordine ionico adottato in facciata, suggerito all’architetto dallo schema già utilizzato nel Teatro della Concordia di Cremona. Il solenne portico carrozzabile con il quale Canonica risolve il rito di transizione tra la città e il teatro, si innesta su di un fronte il cui partito architettonico – bugnato al piano terreno e trattato a intonaco liscio nel livello superiore – esalta l’effetto volumetrico della struttura ed evoca le forme anonime della nobile dimora cittadina. In questa immagine di palazzo tra i palazzi, che rispecchia la tipologia del teatro neoclassico milanese, il nuovo organismo teatrale mantovano si adegua al contesto urbano e diviene parte della piazza antistante, come nel caso del Teatro Sociale di Como ideato da Giuseppe Cusi nel 1811. Qui l’imponenza simbolica del pronao di ordine corinzio prospiciente la piazza è moderata da un maggiore sviluppo delle ali laterali che dissolvono la studiata articolazione delle masse, più evidente nel Sociale di Mantova. Per la chiarezza geometrica e la ricercata sobrietà ornamentale, il disegno ideato da Canonica per la facciata del nuovo teatro risultò evidentemente troppo modesto alla Commissione d’Ornato mantovana, impegnata nella verifica del progetto a seguito dell’autorizzazione governativa alla costruzione della struttura teatrale concessa alla fine del 1817. Nell’aprile dell’anno successivo, i membri della Commissione suggerirono, tra le considerazioni di carattere tecnico e funzionale, una maggiore e più immediata riconoscibilità dell’edificio nella sua valenza di architettura teatrale. Le muse Melpomene e Talia, poste nelle due nicchie laterali all’ingresso principale, insieme a un motivo allegorico collocato nel timpano, divennero gli elementi necessari alla composizione di un fronte architettonico parlante. Per quanto riguarda l’esterno del teatro di Mantova, lo scambio epistolare tra la Congregazione municipale e la Commissione d’Ornato riferisce altre osservazioni avanzate dal collegio mantovano durante gli anni successivi alla posa della prima pietra nel giugno 1818. Le modalità richieste per l’esecuzione delle colonne del pronao – in marmo invece che in cotto come realmente furono realizzate – e il suggerimento di collocare un attico in facciata come elemento di mascheramento del tetto, individuavano la volontà di esaltare il carattere grandioso del teatro derivante dall’uso di materiali e da dispositivi già collaudati nel piermariniano Teatro alla Scala. Il disegno firmato dall’architetto direttore dei lavori Giovanni Battista Marconi (ASMn, Teatro Sociale) testimonia come il portico del Sociale di Mantova, pensato da Canonica come risoluzione funzionale di una duplice concomitanza tra percorsi pedonali e carrozzabili, sia stato oggetto di attenzione progettuale anche in fase d’opera. Proprio per agevolare il passaggio dei pedoni e per una libera circolazione delle carrozze, nell’estate del 1820 venne inoltrata alla Commissione d’Ornato la richiesta di aumentare la larghezza del portico accostando due semicolonne alla facciata del teatro. L’ormai codificata pianta a ferro di cavallo venne ripresa nella soluzione planimetrica studiata da Canonica per l’interno del teatro di Mantova, dove l’aula teatrale si sviluppa su quattro ordini e un loggione. I ventisette palchi previsti per ogni livello vennero dotati di camerini, già introdotti in progetti precedenti come spazi privati destinati alla conversazione e al gioco. L’abilità dimostrata dal progettista e la sua risposta alla richiesta di un teatro moderno vennero riconosciute nel perfezionamento della curva della sala, nella particolare esecuzione della volta, negli angoli arrotondati previsti all’interno dei palchi, nella maggiore ampiezza e sistematicità del palcoscenico. Nel raggiungimento di un alto livello di espressione formale oltre che di perfezione nelle condizioni acustiche e di visuale, in risposta a moderni ideali di funzionalità, Canonica si confronta con l’autorevole lezione del Piermarini dispensata a Mantova, nel 1783, nella ricostruzione della sala teatrale bibienesca del Regio Ducale distrutta dalle fiamme solo due anni prima. L’esatta definizione dell’invaso teatrale e l’attento disegno di un’area scenica più ampia e profonda, divennero elementi di riferimento fondamentali per la realizzazione del Teatro Sociale di Mantova, inaugurato dopo un lungo cantiere nel dicembre 1822. Bibliografia Preti 1824; Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Caffi 1885, p. 84; Mezzanotte 1966, pp. 292, 296; Amadei 1973; Soldini 1981[a], p. 342; Soldini 1984, pp. 79-88. (b.b.) Teatro Sociale, Como 1818-1819 Il progetto del Teatro Sociale è concordemente attribuito dalla storiografia a Giovanni Cusi e riferito al 1810-1811. Il cantiere subì anche dopo l’inaugurazione (1813) alcuni interventi dovuti all’instabilità del terreno ricavato dal riempimento dell’antico fossato del castello. Nell’Archivio del Teatro Sociale di Como sono conservati due documenti che attestano un coinvolgimento di Canonica: un primo “Parere” indirizzato alla Commissione amministrativa del Teatro e l’appalto dei lavori relativi alla facciata sud (16 luglio 1819), affidati al capomastro Carlo Ferrario, «fermo restando il parere dell’architetto Luigi Canonica». Bibliografia Como e la sua storia, III, 1994, p. 314. (f.r.) Teatro Sociale, Pedretti, Sondrio 1820 Nella sua Grande illustrazione del Lombardo Veneto, Cesare Cantù sottolinea la consapevole convinzione, espressa dalla cittadinanza di Sondrio durante il periodo della Restaurazione, di erigere un luogo teatrale. L’opinione pubblica si era infatti affidata alla profonda cognizione nell’ambito dell’architettura teatrale ottocentesca dimostrata dal nobile Gaudenzio De Pagave che, sulla base di progetti teatrali riconosciuti come modelli, scelse il nome del progettista ticinese distintosi nell’ideazione di tali architetture. Nel suo ruolo di imperial regio delegato per la Provincia di Sondrio, De Pagave aveva promosso la costituzione di una società composta da ventisei azionisti determinati a finanziare la 213 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A pubblica struttura, per i quali la costruzione dell’edificio rientrava in un progetto rispondente a eletti ideali civili e morali, oltre a rappresentare un’occasione d’investimento. Come nel caso dei numerosi teatri sorti in altri centri della Lombardia per iniziativa di società locali, a Sondrio, i nobili promotori della nuova fabbrica nominarono una commissione presieduta dal De Pagave, che il 19 giugno 1820 fu incaricata d’indire e deliberare l’asta pubblica dell’opera, aggiudicata al costruttore veronese Pietro Poli. Nel capitolato d’appalto (BCSo, Teatro Pedretti, 1) veniva indicato il mese di agosto dell’anno successivo quale termine perentorio dei lavori e soprattutto si richiedeva che il compimento delle opere fosse esattamente conforme ai disegni ideati da Luigi Canonica, visionati e approvati in precedenza dai membri della Società del Teatro. La documentazione esistente non permette di conoscere con esattezza la data di attribuzione dell’incarico all’architetto ticinese, la cui consulenza richiesta per il Sociale di Sondrio fu anche suggerita dall’ingegnere capo della Provincia di Sondrio, Giuseppe Cusi, che alcuni anni prima, durante il suo apprendistato a Milano, aveva collaborato con Canonica alla definizione del progetto per il Teatro Carcano. Il progetto per il nuovo teatro rientra in un articolato intervento di trasformazione urbanistica relativo alla creazione della piazza Nuova, oggi Garibaldi, destinata ad accogliere la fiera e il mercato per divenire nuovo centro della città. Il programma di diffusione culturale insito nella recente istituzione teatrale sondriese si dimostra coerente con dinamiche di qualificazione urbana e sviluppo economico che, come per il Sociale di Mantova, individuano nel teatro un elemento fondamentale del sistema infrastrutturale e rappresentativo della città. L’architettura dell’edificio teatrale nobilita il nuovo spazio pubblico e si confronta con le eleganti forme dei fronti di edilizia pubblica ottocentesca tra i quali il Palazzo del Tribunale, pensati come quinte architettoniche della piazza e sorti negli anni successivi. L’architetto elaborò cinque tavole di progetto menzionate nel contratto d’appalto firmato il 22 agosto 1820 e conservate solo in parte (BCSo, Teatro Pedretti, 2), che restituivano le soluzioni adottate attraverso le piante del piano terra e del primo piano, il prospetto del fronte principale e le due 214 [Luigi Canonica?], Teatro Sociale-Pedretti, Sondrio «Facciata del Teatro», s.d.; BCSo, Teatro Pedretti, 2. sezioni trasversale e longitudinale. Nell’impostazione della planimetria per il vano teatrale, Canonica si avvalse del codificato schema a ferro di cavallo sviluppato in altezza dalla distribuzione dei ventotto palchi su due ordini e da un loggione. La sala disegnata secondo la curva preferibile, l’area scenica debitamente profonda e pendente al fine di garantire la migliore prospettiva, predominano sugli ambienti del grande atrio e dei ridotti, nella piena libertà d’ideazione progettuale assicurata all’artefice dall’assenza di costruzioni preesistenti. La pianta del piano terra, nella quale furono indicate una serie di variazioni minime per alcuni spazi di servizio annessi previste in corso d’opera, dimostra la precisione raggiunta da Canonica nel disegno delle diverse parti dell’organismo teatrale, evocanti in scala ridotta il prototipo del teatro d’opera inaugurato alla Scala. I criteri compositivi del modello piermariniano si rinnovano in forma semplificata anche nello studio del fronte teatrale, dove chiarezza compositiva e ordine stilistico si mostra- no attraverso un rigoroso impiego della geometria. Nel prospetto disegnato da Canonica e pervenuto in forma di copia, emerge l’equilibrata tripartizione del fronte trattato con un robusto bugnato nel primo ordine, per la finitura del quale l’architetto aveva proposto l’impiego della pietra locale di Cedrasco, alla quale si dovette rinunciare per l’elevato costo. La superficie a intonaco liscio del superiore austero piano nobile, interrotta da un’essenziale finestratura, è scandita nella parte centrale da quattro paraste ioniche culminanti nella forma triangolare del timpano. In fase d’opera le proporzioni previste da Canonica per il frontone furono in realtà ridimensionate su indicazione di Cusi, non condizionando però l’immagine d’insieme del prospetto dominata da una sobrietà nel linguaggio architettonico, risultato della parafrasi di un repertorio accademico. Il portico in facciata a tre arcate si appiattisce sulla facciata del teatro di Sondrio e perde il suo originario aspetto funzionale per divenire puro elemento grafico bidimensionale di partitura dell’alzato. Nell’articolazione del fronte teatrale, al ricercato effetto volumetrico delle masse subentra la netta geometria dei risalti orizzontali e verticali, tracciati sulla parete muraria attraverso l’essenzialità di cornici, lesene e modanature, le cui proporzioni vennero attentamente studiate anche grazie all’apporto di Girolamo Carminati de Brambilla, che nel rapporto del 21 febbraio 1823 redatto in qualità di direttore dei lavori (BCSo, Teatro Pedretti, 1), lamentava la mancanza di tavole in dettaglio relative agli elementi di ornamento del fronte. Nella relazione indirizzata alla Commissione esecutiva del nuovo teatro e relativa allo stato dell’edificio teatrale inaugurato l’anno successivo, alcuni aspetti tecnici attentamente considerati da Canonica venivano ugualmente reputati mancanti di un necessario studio grafico. Il veloce ed elementare disegno in sezione presentato dall’architetto ticinese conferma la «difettosa semplicità» della struttura portante a capriate pensata per la copertura. Nonostante tale armatura reggesse A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I la volta piana eseguita in forma «lodevole» al fine di garantire la migliore acustica, lo schema strutturale prescelto dal progettista era giudicato inadeguato al principio di solidità richiesto in un’architettura simile. Tale atteggiamento sembra tradire la sapiente valutazione di questioni di ordine tecnico sempre dimostrata da Canonica, ora affidata all’attenzione del direttore dei lavori a causa, forse, della concomitanza del progetto per Sondrio con altre importanti consulenze sempre nell’ambito teatrale. Disegni Luigi Canonica, «Pianta del Piano Terreno», s.d.; BCSo, Teatro Pedretti, 2. Luigi Canonica, «Spaccato per Traverso», s.d.; BCSo, Teatro Pedretti, 2. [Luigi Canonica?], «Facciata del Teatro», s.d.; BCSo, Teatro Pedretti, 2. Luigi Canonica, Studio di una facciata e sezione di un teatro [?], s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 15, BC 316. Bibliografia Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Caffi 1885, p. 84; Chiesa 1944, pp. 111112; Petralli, Savi 1944, p. 17; Mezzanotte 1966, pp. 292, 296; Soldini 1981[a], pp. 355-358; Da Prada 1995, pp. 217-219; Bertolini 19951996; Civiltà artistica in Valtellina, IV, 1996, pp. 81-92; Sondrio e il suo territorio 2001, pp. 185-187; Valenti 2003. (b.b.) Teatro Sociale-Pedretti, Sondrio, «Pianta del Piano Terreno», s.d.; BCSo, Teatro Pedretti, 2. Teatro Carlo Felice, Genova 1825-1826 La vivace cultura teatrale genovese, animata nel Settecento dai repertori diversificati delle due principali sale pubbliche del Falcone e di Sant’Agostino, determinò la necessità di prevedere a Genova la creazione di un nuovo teatro, le cui forme magnifiche e rinnovate secondo i più moderni ideali celebrassero l’importanza della città. Nel 1799, l’architetto genovese Emanuele Andrea Tagliafichi elaborò una proposta che prevedeva di collocare il nuovo organismo teatrale, pensato nelle due varianti all’antica e in forma moderna, nella centralissima area del soppresso trecentesco complesso conventuale di San Domenico. Le difficoltà nel finanziamento dell’opera approvata dal governo ligure indussero il Tagliafichi a riproporre il progetto in epoca napoleonica. Negli elaborati grafici realizzati con la collaborazione del figlio, inviati a Parigi e approvati alla fine del 1810 (ANF, N III, Gênes 14), la monumentale successione degli spazi di rappresentanza prevaleva nella struttura teatrale, evocando i principi compositivi di un celebrativo modello teatrale francese attentamente studiato dall’architetto e associato allo schema compositivo del teatro d’opera italiano nell’organizzazione della sala a palchi su sei ordini sovrapposti. L’aspetto “grandioso” e il carattere “sontuoso” dell’articolata composizione di Tagliafichi preclusero la fase esecutiva del progetto, nel momento in cui l’avvicendarsi di eventi politici, quali la caduta dell’impero napoleonico e l’annessione della Liguria al Regno di Sardegna, confermarono la dimensione anacronistica del progetto. Nel 1824, l’istituzione di una «Direzione per servizio delle pratiche dei Teatri» presieduta dal marchese Ettore Veuillet d’Yenne, governatore della città di Genova, aveva sancito un rinnovato interesse regio verso le realtà teatrali esistenti, riaffermando l’esigenza, condivisa da nobili e borghesi, d’innalzare un teatro rispondente a principi compositivi di comodità e di eleganza. Nel gennaio 1825, il Corpo decurionale deliberò a favore della costruzione della nuova struttura teatrale per opera della città e concesse l’area di San Domenico precedentemente individuata e interessata da interventi di demolizione, inducendo la Direzione dei Teatri a nominare un’apposita Com- missione responsabile della presentazione di un valido disegno ai membri del collegio direttivo. L’approvazione del progetto definitivo, firmato dall’architetto civico Carlo Barabino, giunse nel mese di dicembre dello stesso anno, a seguito di attente valutazioni e motivate discussioni determinate dalla scelta iniziale effettuata dalla Commissione di non bandire un concorso. Durante la prima seduta del 27 gennaio 1825, i funzionari avevano deciso di esaminare il progetto elaborato da Barabino per incarico pubblico e le tavole grafiche di Tagliafichi, ripresentate dal figlio alla Direzione dei Teatri di Genova, valutando inoltre la necessità di richiedere un «preventivo consulto» e un «voto» a Luigi Canonica. L’architetto fu invitato a Genova nel mese di febbraio per esaminare i progetti ed eventualmente formulare una nuova ipotesi grafica e un preventivo di spesa. Un elenco delle sette tavole con la distinta dei vari ambienti, oltre alla delibera di pagamento pari a «dieci doppi da lire novantasei» effettuata nel gennaio 1826 dai capi della Direzione dei Teatri di Genova a favore dell’architetto per i disegni realizzati per il nuovo «Teatro di S. Domenico» e inviati a Genova (AMMe, Fondo Canonica, XXVII, 351-353), confermano l’applicazione di Canonica nella ricerca di una precisa configurazione relativa all’interno del teatro, dimostrata attraverso restituzioni in pianta dei diversi ordini e in sezione della platea, dell’area scenica e dei ridotti. La venuta a Genova di Canonica rese inevitabile un ripetuto confronto con Barabino, auspicato dalla stessa Commissione esecutiva consapevole delle incertezze compositive, quali l’ormai desueta forma ellittica della sala, insite nel primo progetto presentato dall’architetto genovese che, nonostante le grandi capacità dimostrate nell’opera di rinnovamento urbano genovese, per la prima volta si era applicato nella risoluzione di questo programma architettonico. Le successive varianti progettuali elaborate da Barabino, prima di giungere alla soluzione definitiva per il teatro Carlo Felice, mostrano in che modo la competenza di Canonica avesse contribuito alla definizione dell’aula teatrale, esito di un tacito accordo sottoscritto dai due progettisti in data 17 marzo 1825 (ASCGe, Amministrazione Decurionale, 1199), nel quale Barabino si riservava la responsabilità di definire i due fronti verso piazza San Domenico e strada di San Se- 215 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A bastiano. La soluzione planimetrica dell’interno, lasciata alla cura di Canonica ma rivendicata pochi mesi dopo dall’architetto locale, è verificabile nella preziosa opera in folio dal titolo Piante e prospetti del teatro Carlo Felice di Genova inventato e diretto da Carlo Barabino, pubblicata a Genova nel 1827. La pianta di Canonica, dichiarata come modello dal quale fu tratta la curva della sala realizzata e come tale inserita nella raccolta dei disegni, mostra l’applicazione del codificato schema piermariniano a ferro di cavallo. I palchi dotati di camerino sono disposti lungo la curva dell’aula, la cui perfetta descrizione – alla quale il Barabino si ispirò nella revisione finale dei suoi disegni – fu riconosciuta dallo scenografo Paolo Landriani ed equiparata al modello del Nuovo Ducale di Parma. L’accademico parere formulato dall’architetto torinese Ferdinando Bonsignore (ASCGe, Amministrazione Decurionale, 1199) – interrogato dalla Direzione dei Teatri alla fine del 1825 in merito alla validità dei due diversi disegni in pianta realizzati da Canonica e Barabino – confermò la sicura capacità tecnica dimostrata dal primo nel tracciare una curva perfetta, necessaria a garantire condizioni ottimali di visibilità e di acustica e adottata di riflesso dal secondo. La composizione di quest’ultimo fu giudicata superiore nell’armonica e simmetrica distribuzione dei locali di rappresentanza e degli spazi annessi – i ridotti per i balli e per le feste, le sale per il gioco e per la conversazione, il caffè, la trattoria – rispondenti a un concetto di monumentalità architettonica che celebrasse il tema del grande teatro pubblico inserito nel tessuto cittadino. Nonostante alcune Osservazioni – relative a problemi di distribuzione per l’eccessiva angustia dei vani scala e alla previsione di un unico ingresso alla platea – rese note dai membri della Direzione dei Teatri sobillati dal Barabino che non convenì sul disegno del rivale, Canonica dimostrò a Genova un moderno approccio funzionalista teso a interpretare le ambizioni monumentali della città ligure, memore dell’esperienza maturata applicando lo schema del teatro ottocentesco milanese e la grandiosità di modelli teatrali internazionali riconoscibili tra i suoi disegni di studio e rilievi. Nel gennaio 1826, a seguito dell’approvazione del progetto di Barabino e dell’inizio del cantiere, l’architetto ticinese ricusò la proposta avanzata 216 dalla Direzione dei Teatri di soprintendere alla corretta esecuzione della sala e del palcoscenico, impegnandosi a fornire eventuali consulti per corrispondenza, come attestano alcuni schizzi relativi all’esecuzione della volta e della struttura di copertura prevista per il nuovo teatro (AMMe, Fondo Canonica, XXVII, 355-358). Disegni Luigi Canonica, Schizzo relativo alla volta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, XXXIII, 448. Luigi Canonica, Schizzo di monaco, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, XXXIII, 449. Bibliografia Barabino 1827; Franscini, I, 18371840, p. 425; Alizeri, III, 1870-1880, pp. 85-86; Codignola 1928, pp. 117135; Mezzanotte 1966, pp. 292, 296, 302; De Negri 1977[b], pp. 125-156; Monleone 1979, pp. 7-13; De Negri 1986; Di Roma 2005, p. 510. (b.b.) Teatro Coccia, Novara 1831 Il «progetto di riforma e miglioramento» ottocentesco relativo al «Teatro della Città di Novara» comportò un articolato intervento teso a dotare di una forma moderna la settecentesca struttura teatrale ideata dall’architetto pontificio Cosimo Morelli. La costruzione di un teatro stabile come organismo autonomo nel tessuto cittadino che sancisse la rappresentazione di spettacoli rivolta a un pubblico aristocratico – messa in scena fino ad allora in spazi teatrali interinali allestiti in nobili dimore – era stata promossa dal conte Luigi Maria Tornielli da Vergano, sollecito nella costituzione di una società di nobili palchettisti creata nel 1776 e attento nella scelta di un esperto progettista interprete della vivace ricerca formale allora condotta nell’ambito della progettazione teatrale. La profonda esperienza maturata nella concezione dei teatri di Macerata, Osimo e Forlì aveva suggerito a Cosimo Morelli per il teatro di Novara uno schema compositivo in cui l’applicazione di una cavea a forma di U, la sovrapposizione di tre ordini di palchi con parapetti a balconcino più un loggione e il soffitto coperto da un velario dipinto, riproponevano il tipo a sala aristocratica ba- rocca, confrontando la tradizione bibienesca con il nuovo linguaggio del teatro d’opera pubblico. Tale sintesi sarebbe evoluta, subito dopo l’incarico novarese, nell’esemplare e inedito profilo ellittico della sala teatrale di Imola. Inaugurato nella primavera del 1779, il teatro di Novara risultò quasi subito privo dei necessari locali accessori e richiese un preventivo progetto di ampliamento presentato nel 1785 dall’ingegnere Giuseppe Vigorè (ASNo, Disegni Tornielli Brusati, XLIV, 2), tesoriere della Società teatrale e direttore dei lavori durante il cantiere morelliano. L’aggiunta di due corpi di fabbrica laterali al perimetro rettangolare permise di dotare il teatro degli ambiti camerini richiesti dai proprietari dei palchi e di spazi di servizio utili all’area scenica. L’ampliamento dell’atrio settecentesco determinò la creazione di un porticato esterno le cui forme resero riconoscibile la specifica destinazione d’uso dell’edificio, qualificando l’immagine esterna del teatro connotata in origine dall’austero e anonimo carattere tipico della dimora nobiliare. La conformazione della sala non interessò questa prima opera di restauro e divenne oggetto di modifiche solo nel secolo successivo, a seguito di osservazioni di carattere formale e tecnico esposte dai palchettisti, che resero necessari un rilievo dell’edificio, eseguito dagli ingegneri locali Rasario e Busser, e l’esecuzione di una perizia per opera di un qualificato architetto teatrale ravvisato nella figura di Luigi Canonica. La specifica competenza progettuale riconosciuta dai membri della Società del Teatro nell’opera dei «superbi teatri» realizzati a Brescia, Mantova e Cremona, determinò l’affidamento del progetto di riforma all’architetto ticinese che, a seguito di attenti studi eseguiti sulle tavole di rilievo, raggiunse Novara il 13 marzo 1831 per visionare l’edificio esistente e considerare l’esigenza di opportune modifiche della sala e dell’area scenica. La lettera autografa inviata da Milano il 25 maggio 1831 al direttore del Teatro di Novara (ASNo, Teatro Coccia, 206) e allegata ai «tipi in pianta ed elevazione» eseguiti da Canonica, riferisce le attente considerazioni fatte dall’artefice per giungere a un progetto conforme ai principali «miglioramenti» ricercati dalla committenza. Tra le richieste avanzate, l’ipotesi di dotare il teatro di un maggiore numero di palchi, variando le dimensioni della sala in altezza o in lunghezza, fu subito sconsigliata da Canonica, consapevole delle conseguenze di un’alterazione nelle misurate proporzioni dell’invaso teatrale a discapito di condizioni armoniche e prospettiche ottimali. L’attenzione a questioni di ordine economico confermò la sconvenienza di una simile dilatazione, dimostrata graficamente dall’architetto in una delle due soluzioni planimetriche inviate al collegio teatrale, in cui l’aggiunta di due palchi per ogni ordine avrebbe comportato lo slittamento dell’arco di proscenio e la costruzione di un nuovo corpo di fabbrica necessario all’estensione del palcoscenico. Verificata l’impossibilità di modificare le modeste dimensioni dell’aula teatrale, Canonica elaborò un ulteriore disegno in pianta attuando le trasformazioni richieste nei limiti della struttura settecentesca (ASNo, Fondo disegni, III, 48). Sebbene la documentazione iconografica esistente non sia autografa, il confronto tra la descrizione degli elaborati prodotti e le indicazioni d’intervento elencate dall’architetto ticinese nella comunicazione inviata a Novara legittima un’attribuzione a lui delle tavole. Le variazioni indicate in pianta con il colore rosa interessarono l’atrio d’ingresso, concepito in una rinnovata e più rappresentativa forma circolare che garantisse ingressi differenziati ai corridoi dei palchi e alla platea, oltre a una migliore accessibilità ai trasformati locali accessori della trattoria e del caffè. Nell’opera di riforma del vano teatrale, l’allineamento dei palchi ottenuto mediante la soppressione dei parapetti a balconcino, la realizzazione di un più armonico plafond dalla superficie poco curvata e il rifacimento dell’apparato decorativo dell’arcoscenico a colonne binate di ordine corinzio, dimostrano il tentativo compiuto da Canonica di adeguare l’aula di matrice barocca a moderni principi di funzionalità e razionalità compositive (ASNo, Fondo disegni, III, 6). Nell’applicazione della precisa configurazione del teatro d’opera pubblico all’italiana, l’impossibilità di rinnovare la curva della sala novarese tracciando la consueta forma a ferro di cavallo a discapito della già limitata capienza della platea, ridimensionò un progetto reputato dallo stesso artefice non rispondente a precise aspettative e inadeguato in A R C H I T E T T U R A D E I T E AT R I termini di «comodità», «eleganza» ed «economia», rispetto a un ipotetico progetto ex novo dell’organismo teatrale. Le «luminose» idee fornite da Canonica e apprezzate dai membri della Società per il «felice» risultato raggiunto, sembrano escludere un ulteriore sviluppo della soluzione prevista per il fronte del teatro. Le sei colonne delineate in pianta ed evocanti un alzato ispirato al solenne pronao disegnato alcuni anni prima per il Sociale di Mantova, furono sostituite da un austero avancorpo porticato e coronato da timpano, ideato sul modello piermariniano dall’ingegnere Antonio Agnelli (ASNo, Fondo disegni, III, 179). Durante la realizzazione del teatro, inaugurato alla fine del 1832, fu cura del tecnico novarese soprintendere alla corretta esecuzione delle modifiche introdotte da Canonica al fine di dotare il Teatro di Novara dei funzionali dispositivi propri di una moderna architettura teatrale, attrezzando il palcoscenico con diversificati locali di servizio e realizzando le eleganti forme della sala e degli ambienti accessori, in cui la sapienza compositiva e l’approccio interdisciplinare dell’architetto non tralasciarono la definizione di un sobrio apparato decorativo. Disegni [Luigi Canonica?], Sezioni longitudinale e trasversale, s.d.; ASNo, Fondo disegni, III, tav. 6. [Luigi Canonica ?], Pianta del teatro di Novara, s.d.; ASNo, Fondo disegni, III, tav. 48. Bibliografia Franscini, I, 1837-1840, p. 425; Castoldi, Piasentà 1989, pp. 72-90; Raimondi 1993, pp. 12-16; Un teatro, una città 1993. (b.b.) Teatro Sociale, Castiglione delle Stiviere (Mantova) 1841 Risale al luglio del 1840 l’autorizzazione concessa con imperiale regio decreto per la costruzione del «Nuovo Teatro di Società» di Castiglione delle Stiviere, aperto al pubblico nell’ottobre del 1843. Già a partire dalla fine del XVIII secolo alcuni spazi del Palazzo Pretorio erano stati destinati alla messa in scena di rappresentazioni teatrali. Nei primi anni dell’Ottocento, l’isti- tuzione di un’attiva Società filarmonica, riconosciuta dall’autorità municipale, aveva determinato l’adeguamento di una sala della sede governativa e di alcuni locali annessi al fine di rispondere alle esigenze di un’attività teatrale adeguata alla nuova politica culturale. Gli zelanti cittadini membri della Società finanziarono la realizzazione del palcoscenico, della platea e di alcuni palchi in legno, tra i quali uno venne riservato alla Municipalità. La decisione di costruire un vero e proprio teatro che sostituisse la prima e provvisoria sala filodrammatica, rientra in un programma più ampio segnato da nuovi edifici teatrali che, negli stessi anni, vedono la luce in alcuni centri minori della Lombardia e in particolare nel territorio mantovano. Il teatro quale strumento efficace di educazione e di diffusione culturale trova nelle nuove sale un’architettura appropriata, simbolo del raggiungimento di un alto livello civile che anche per Castiglione delle Stiviere diviene motivo di prestigio. Nel 1835 la Società teatrale incaricò gli ingegneri Agricola Botturi e Antonio Piccinelli di elaborare una prima idea progettuale (ASMn, I.R.D.P., VII Polizia, 2194). La scelta di ubicare il nuovo edificio in corrispondenza della sala teatrale preesistente – attuando una serie di ampliamenti e servendosi di nuovi spazi del Palazzo del Principe – avrebbe dovuto garantire l’autorizzazione dell’Imperiale Regio Governo alla costruzione del nuovo Teatro Sociale, consenso che giunse solo cinque anni dopo. L’inizio della nuova fabbrica risale ai primi mesi del 1841, dopo l’assegnazione dell’appalto da parte della commissione del teatro a maestranze locali, ma soprattutto a seguito di un’attenta e puntuale revisione effettuata da Luigi Canonica sul progetto Botturi-Piccinelli. L’architetto venne interpellato a Milano dall’ingegnere Botturi per la sua ampia e riconosciuta esperienza nella progettazione di numerosi edifici teatrali. La soluzione planimetrica sottoposta al parere di Canonica mostra la sovrapposizione di un impianto a ferro di cavallo ai preesistenti locali adibiti a teatro nel Palazzo Pretorio, le cui strutture individuano i vincoli spaziali nella costruzione del nuovo Teatro Sociale, soprattutto nella definizione del fronte principale. L’impossibilità di realizzare un pronao d’ingresso determinò la necessità di avvalersi di caratteri classicisti ugualmente determinanti nel disegno del fronte, attraverso una monumentalità dettata da forme semplici e rigorose riconoscibili come tali nel tessuto urbano, che permise inoltre di adeguare il nuovo teatro ai criteri normativi di simmetria nei fronti stradali dettati dalla Commissione d’Ornato nella realizzazione di edifici pubblici. Il determinante apporto di Canonica è testimoniato da una precisa Memoria «dettata» dall’architetto ticinese (ASMn, I.P.d., 1718-1873, 130), incentrata sugli spazi della sala e del palcoscenico. Le dodici oculate osservazioni elencate da Canonica e applicate in fase d’opera dimostrano la consolidata esperienza dell’architetto nella progettazione di sale teatrali moderne e nell’applicazione dello schema a ferro di cavallo. Egli suggerì di aumentare in modo proporzionale le dimensioni del boccascena e il raggio di curvatura della cavea al fine di raggiungere, nei limiti dell’intera superficie disponibile, un perfetto equilibrio tra i requisiti spaziali del teatro d’opera e le condizioni di visibilità dello spettatore, garantite dalla platea, dai palchi e dalla galleria anche attraverso questo fondamentale accorgimento. L’applicazione delle leggi prospettiche e il riferimento alle Osservazioni del trattato di Paolo Landriani – edito a Milano nel 1815 e relativo a determinanti aspetti per la realizzazione di edifici teatrali – individuano una seconda precisa regola segnalata da Canonica e relativa all’inclinazione del pavimento nella zona praticabile del palcoscenico, stabilita pari all’undicesima parte della lunghezza totale dell’area scenica. In questo modo si garantiva il raggiungimento di ricercati effetti illusionistici nella visione prospettica delle scene, oltre ad assicurare un grado di pendenza adeguata all’azione di attori e ballerini. Gli aspetti acustici rientrarono con uguale precisione nella sua revisione. A tale fine egli fornì fondamentali indicazioni per la realizzazione del soffitto «quasi piano» della sala, giudicato più adatto rispetto a coperture voltate, non idonee a un’ottimale e uniforme diffusione del suono. Le esigenze acustiche, già in parte assicurate dall’uso del legno come materiale di rivestimento, vennero soddisfatte per mezzo di minimi ma indispensabili accorgimenti quali l’arrotondamento della cornice del soffitto, l’eliminazione di qualsiasi spigolo nei parapetti dei palchi e at- traverso un attento studio della loro dimensione, orientamento e distribuzione nei due ordini previsti. Inoltre Canonica suggerì ai progettisti di aumentare le dimensioni dei palchi a ridosso del proscenio e studiò uno schema distributivo (ASMn, I.P.d., 1718-1873, 130) nel quale le diciotto unità previste per ogni ordine furono suddivise in cinque categorie, individuate essenzialmente attraverso un criterio legato alle condizioni di visuale, al fine di determinare i diversi canoni di affitto annuale. Tra le altre varianti al progetto per il nuovo Teatro Sociale, l’architetto propose un ampliamento minimo dei corridoi di accesso ai palchi, realizzabile attraverso una riduzione dello spessore delle murature perimetrali. Tale attenzione al miglioramento degli spazi di distribuzione interna si unì a suggerimenti decorativi nella proposizione di candelabri per il proscenio e a consigli di carattere tecnico relativi alla necessità di prevedere alcune canne fumarie nelle murature, al «taglio dei travi armati» e a eventuali pratici accorgimenti per limitare il pericolo d’incendio. Bibliografia Gosetti, Sicari 1993, pp. 55-78; Varini 1994; Zuccoli 2005. (b.b.) 217 [Luigi Canonica], Chiesa della Santissima Annunziata detta del Santissimo Crocifisso, Como, prospetto della chiesa con portico laterale, 1824; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 8, D 40. L’architettura religiosa e la «varietà ridotta all’unità» Francesco Repishti L’assenza di occasioni progettuali durante il periodo napoleonico per nuovi edifici per il culto – assenza protattasi sino al secondo decennio del XIX secolo1 – favorì nella successiva Restaurazione la ricerca di un’architettura in continuità con le precedenti esperienze settecentesche e l’adozione di una lingua “senza tempo”, fatta di archetipi ormai depurati dalle ideologie che li avevano prodotti e ottenuta attraverso la sintesi, spontanea ma colta, di riferimenti di ambiti tra loro molto diversi. Questa sostanziale autoreferenzialità formale e linguistica, tratta da modelli antichi e dalla trattatistica, fondata su esempi romani e sul repertorio palladiano e cinquecentesco – elaborati e combinati poi nell’ambito accademico contaminando tra loro edifici con funzioni diverse – fu applicata dopo il 1815 sia nell’erezione di templi votivi (Napoli, Torino, Milano), sia nell’edificazione di nuove chiese parrocchiali volute dall’Amministrazione di Culto, quale risposta alle esigenze di riforma e ampliamento degli edifici e al rinnovato rapporto tra Stato e Chiesa.2 Ciò nonostante, nessuno degli edifici religiosi realizzato negli anni che intercorrono tra la Repubblica Cisalpina e il 1848 ha raccolto da parte della storiografia giudizi positivi o espressioni di interesse, al di là, come ha rilevato Sergio Villari,3 della narrazione di vicende estranee al loro valore architettonico, quest’ultima il più delle volte orientata al racconto delle intenzioni politiche del sotteso programma edilizio, oppure delle lunghe fasi di concorso e poi di quelle costruttive. Le più celebrate architetture sono ricordate infatti per la loro omologazione al linguaggio decontestualizzato proprio dell’ambito accademico, orientato alla definizione di una tipologia moderna di “templi”, espressioni eloquenti della loro funzione pubblica e partecipi del decoro urbano e, raramente, solo perché non rispondenti a “edifici religiosi” tradizionalmente intesi, sono indicate quali espressioni di novità. I casi di San Francesco da Paola a Napoli, di San Carlo al Corso di Milano, della Gran Madre a Torino, di San Lorenzo Martire e Levita a Ghisalba, di Sant’Antonio Nuovo a Trieste e del tempio di Possagno, nella ripetizione di combinazioni di elementi e forme geometriche semplificate e uniformi, e come varianti dello stesso tipo adattato alle circostanze, quasi mai oltrepassano lo sfavorevole giudizio espresso dalla storiografia. Il loro studio potrebbe dunque apparire superfluo se non fosse per l’obbligo di provare questo giudizio perlopiù propenso a rilevare una lunga serie di insuccessi, riferito anche ad un intera generazione di architetti, tra i quali lo stesso Canonica, che, pur avendo compiuto differenti percorsi formativi ma guardato le medesime antichità e studiato su identici repertori, è stato incapace di elaborare un’inedita e originale risposta al tema.4 Per esempio una diversa attenzione verso gli edifici di carattere minore, come le molte chiese parrocchiali realizzate su disegno di Felice Soave,5 Gaetano Faroni,6 Carlo Amati,7 Luigi Cagnola,8 Giuseppe Bovara,9 Simone Cantoni10 e Giacomo Moraglia,11 potrebbe inizialmente permettere, se non altro, di seguire più da vicino gli intenti degli architetti, dando così testimonianza di una qualche presenza di forme di sperimentazioni. Lo studio degli edifici parrocchiali realizzati in quei decenni permetterebbe inoltre di saggiare la produzione architettonica in uno dei campi di attività tradizionalmente più frequentati a partire dagli iniziali aspetti inediti, prospettanti risultati interessanti e nuovi, per poi comprendere il perché del cedere, durante la Restaurazione, a forme consuete e “addomesticate”, sganciate da riferimenti contingenti, prodromi del mutamento di programma da molti individuato solo con il momento eclettico. Purtroppo la scarsa produzione teorica rende difficile l’indagare sul rapporto tra la dottrina e il fare. E i soli giudizi ai molti progetti, tramandateci dagli archivi, sono quelli dedicati alle giustapposizioni di parti (antitempio e tempio) e alla mancata applicazione di rapporti geometrici e matematici, oppure alla correttezza dell’uso dell’ordine, per esempio ricordata dallo stesso Canonica (chiamato in causa su progetti presentati da altri architetti), mentre poche furono le critiche radicali o le querelle tra eruditi che investirono il tema nel suo complesso.12 Queste prime osservazioni, che solo in parte prospettano una lettura diversa dall’interpretazione ricorrente della storiografia contemporanea, formano le necessarie premesse all’attività di Canonica, impegnato in importanti progetti (Como13 e Genova14) o in semplici pareri (Milano,15 Bologna,16 Brescia,17 Cremona18), oppure nel disegno di arredi mobili richiesti dalla committenza locale (soprattutto altari e pulpiti).19 Anche le scelte adottate da Canonica nel campo dell’architettura ecclesiastica, un tema quindi scarsamente decisivo in quel momento e circoscritto a pochi interventi, rivelano sensibilità e linguaggi analoghi a quelli della comunità degli architetti a lui contemporanei. Inoltre, la disparità di occasioni e incarichi rispetto al più anziano Simone Cantoni e ai più giovani Carlo Amati e Giacomo Moraglia, giustificati in parte dal lungo periodo di servizio in qualità di architetto reale, sembrano rivelare una scarsa inclinazione, se non una volontaria estraneità al tema. «Della maggiore sublimità» Le risposte degli architetti nei confronti dell’architettura religiosa ebbero solo poche occasioni di palesarsi alla fine del Settecento sia in Europa e in Italia, ma vennero costantemente elaborate in forme dissimulate, come, per esempio, negli edifici laici richiesti dagli elaborati dei concorsi accademici. Così il tema espresse per circa un secolo soluzioni che ri- 219 FRANCESCO REPISHTI velarono una continuità inconsueta, sorpassando le note categorie antitetiche che individuano differenze tra uno “stile rivoluzionario” e una “reazione accademica”, sino al traguardo dell’invenzione di un “antico moderno”. Una continuità caratterizzata soprattutto dalla costante ricerca di una grandiosità monumentale e dal generico rifiuto dell’ornamento, e che faceva uso nei progetti disegnati dei frammenti più sperimentati dell’architettura antica e delle diverse maniere del Cinquecento. Le parole di Francesco Milizia, contenute nei Principi dell’architettura civile pubblicati a Finale Ligure nel 1781, sono concordemente riconosciute come anticipatrici di molte soluzioni e come riferimento teorico per un lungo periodo. Riguardo agli edifici pubblici e in particolare a quelli Della maggiore sublimità, Milizia suggerisce indicazioni soprattutto relative alla facciata e alla cupola, lamentando alcune cattive scelte contemporanee e ponendo l’accento sull’unità spaziale delle chiese gotiche, delle quali ammirava soprattutto la struttura tettonica.20 Il tema della cupola, reso attuale dal famoso Parere espresso dai «tre Mattematici» chiamati da papa Benedetto XIV nel 1742 per verificare la stabilità della cupola di San Pietro e per definire un possibile modo per rinforzarla, era già stato ripreso in area lombarda da Ermenegildo «Tempio di San Giacomo Minore in Venezia»; Lugano, Biblioteca cantonaleMendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 15, BC 336. 220 Pini che nel 1770 aveva pubblicato a Milano un’opera intitolata Dell’Architettura. Dialogi. All’interno del testo, la preferenza espressa per la soluzione del Pantheon rispetto a quella di San Pietro era motivata dal fatto che «nelle rotonde con meno mezzi si conseguiscono maggiormente i propositi fini», così da creare, oltre «a renderle atte allo esercizio della religione e a contenere una data quantità di gente»,21 quella coerenza strutturale tra pianta e copertura, sperimentata nel precedente eccellente della chiesa prepositurale di Seregno, progettata nel 1766 e iniziata nel 1768 dallo stesso Pini,22 a pianta circolare con un peristilio di colonne di ordine ionico. Le idee di Pini rivelano soprattutto una mentalità fisico-matematica orientata alla ricerca di un rapporto tra norme e forme e nella quale la regolarità e l’ordine diventavano gli indispensabili principi estetici. La questione della rispondenza dell’edificio ai requisiti della sincerità costruttiva e formale è affrontata anche da Milizia, il quale pare attribuire alle colonne, ai pilastri e alle paraste il ruolo di sostenere realmente una trabeazione o un timpano, di formare un portico o un colonnato, e di scandire un ritmo ordinato e regolare tra lo spazio principale e il suo sfondo. Alla categoria dei Templi affida principalmente il carattere di «una solidità reale e non apparente» ottenuta attraverso la semplificazione dei volumi e degli spazi e una relazione chiara tra murature, colonnati e volte.23 La corrispondenza tra interno ed esterno, determinata da questo ritorno alla “chiarezza” a sua volta definito dal principio della sincerità strutturale, è dunque uno dei principi compositivi che definiscono la correttezza di un progetto. Anche Francesco Bernardino Ferrari24 nell’analizzare il concetto di Pini sul «bello essenziale» scriveva che esso consiste nella «varietà ridotta all’unità, cioè in una varietà e moltitudine di cose composta in modo che la nostra mente possa concepirle in un sol atto o idea […] e l’atto dell’intendere maggiormente si perfeziona, onde se ne diletta e con ragione chiama bello l’oggetto».25 Alle parole di Milizia non seguirono però che una scarsa produzione teorica e poche occasioni progettuali: scorrendo i temi dei concorsi delle accademie ufficiali o dei Grand Prix, è possibile notare l’assenza di richieste di prove di progettazione di edifici per il culto, a differenza di quelli dedicati all’architettura “pubblica” come i cimiteri, i teatri, gli ospedali, le caserme, le accademie e i palazzi di giustizia.26 Tuttavia, le esercitazioni su queste tipologie,27 finanche a quelli delle terme, delle biblioteche,28 o delle sale per concerti,29 e le lezioni di Jean Nicolas Durand pubblicate nei Précis des leçons de l’architecture donées à l’école Royale Polytechnique fornirono un metodo e un’ampissima casistica per gli edifici disegnati nei decenni successivi. Un tale patrimonio teorico, di immagini e di esercitazioni, alieno a un gusto antiquario e il cui risultato era fortemente debitore di un’organicità espressa dalla pianta, apparteneva dunque a tutti gli architetti ed era costantemente riletto alla luce delle nuove attenzioni, che provenivano dalla Francia,30 per i caratteri di grandiosità, monumentalità e semplicità delle forme geometriche.31 A tutto questo si sovrapponeva la lezione di Palladio diffusasi in Inghilterra e diventata decisiva anche in Francia, che aveva lasciato a Venezia importanti edifici di culto ammirati soprattutto per la chiarezza delle proporzioni e perché privi degli strumenti della retorica.32 Tale razionalità compositiva non si era assopita anche grazie a una modesta serie di interventi che costituiranno un continuo con l’esperienza di molti architetti: il pronao di San Nicola da Tolentino di Andrea Tirali (1706-1711) sebbene privo dell’attico di raccordo al corpo L’ A R C H I T E T T U R A R E L I G I O S A Pietro Bianchi, Veduta prospettica della chiesa e della piazza antistante San Francesco di Paola, 1824-1836; Archivio privato Guidini. della chiesa, la Chiesa San Simeone Piccolo di Giannantonio Scalfurotto (1713-1729) e, soprattutto, la Chiesa di Santa Maria Maddalena di Tommaso Temanza (dal 1763). Questi due ultimi edifici sono ricordati sotto forma di annotazioni e di disegni tra le carte dell’Archivio Canonica33 e furono conosciuti anche direttamente dall’architetto ticinese durante i suoi soggiorni lagunari. Riferimenti palladiani sono evidenti in tutta l’opera di Luigi Cagnola, ad esempio nel progetto per la Chiesa parrocchiale di Concorrezzo (1810),34 e anche in quella successiva di Giacomo Moraglia. Oltre agli inevitabili rimandi all’architettura romana e greca, e all’importanza della lettura di Palladio (1554, 1570), di Desgodetz (1683), e alla lezione di Milizia (1781, 1785), altri due richiami appaiono anche agli occhi di Canonica come fondamentali, tanto da essere appuntati tra le sue carte: le chiese parigine della Madeleine e di Sainte Geneviève, quest’ultime ricordate da Milizia come «un genere tutto nuovo».35 Soprattutto per gli edifici religiosi, il dibattito sui nuovi canoni fondati sull’assonanza tra i modelli antichi e lo spirito di sintesi e funzionalità presente in Francia aveva prodotto esiti inediti in equilibrio tra le teorie di Marc-Antoine Laugier e la riscoperta dell’arte classica e dell’architettura del Cinquecento. La Madeleine e Sainte Geneviève diventarono ben presto due importanti precedenti ai quali guardare: da una parte l’uso di uno schema basilicale con colonnato trabeato che sostiene una volta a botte, dall’altro il carattere di finesse definita come la capacità «di riunire, sotto una delle più belle forme, la leggerezza di costruzione delle chiese gotiche e la purezza e la magnificenza dell’architettura greca».36 Le architetture per il culto dunque condensarono ed ereditarono in maniera un po’ schizofrenica molte delle idee sperimentate a partire dalla metà del Settecento e, faticosamente, tentarono di “stabilizzare” le eredità più utilizzabili, scivolando a volte in esiti iperclassicisti,37 come la riscoperta della parete piana e della geometria pura che la definisce, l’esaltazione di forme architettoniche pure e perfette che sottendono monumentalità, solennità ed eternità, e il rispetto del principio tettonico sottolineato dalla supremazia della colonna quale archetipo strutturale. Impianto centrale vs impianto longitudinale In maniera analoga ad altre situazioni geografiche, l’adozione, anche tarda, di modelli antichi non implicò necessariamente un’opzione di gusto nella direzione di un precoce eclettismo, né di una architettura simbolica. Essa va invece intesa come il risultato di un processo di lunga durata che ha alcuni esordi a Venezia e a Parigi, poi confermati dalle teorie di Milizia e dai molti esercizi accademici. Per quanto riguarda la soluzione centrica, a perimetro cilindrico con una cappella maggiore e dominata da una grande cupola gradonata, appare precipuo il confronto con il Pantheon adrianeo come documenta 221 FRANCESCO REPISHTI San Marcellino, Imbersago, facciata; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 460. San Marcellino, Imbersago, planimetria; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 83. San Marcellino, Imbersago, sezione; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 9, D 457. la trattatistica e il precoce esempio della Parrocchiale di San Giuseppe a Seregno. Nei ripetuti esempi di Napoli, Milano, Possagno e Torino, oltre a quelli europei,38 è possibile individuare la ricerca di una perfetta sfericità e la contrapposizione tra corpo cupolato e pronao (octastilo o esastilo) con timpano che manifestano una netta ispirazione dal modello antico, ma anche una volontà di tentarne il superamento. Infatti, il pronao con colonne libere sormontato da timpano rimane in molti casi come un’addizione paratattica, in parte smussata dalla soluzione di una facciata tripartita, disegnata sul prototipo palladiano, in cui il campo centrale è avanzato rispetto alle due ali ed è arricchito da un pronao tetrastilo con trabeazione rettilinea, a sua volta sormontato da una finestra termale.39 L’elemento di maggiore rilievo e definizione rimane comunque il grande spazio centrale articolato da una sequenza di colonne libere trabeate e da un attico, elementi tesi a sottolineare la continuità del cilindro e a mascherare le grandi cappelle. Nessun affannoso sperimentalismo e nessuna inedita relazione con l’antico sembrano però connotare tali scelte che trovano una loro ispirazione nella trattatistica cinquecentesca, nei molti rilievi e restituzioni dello stato originario di edifici antichi prodotti all’interno dei temi di Terza Classe dell’Accademia di San Luca40 e, soprattutto, nelle citazione ospitate nei molti progetti per edifici pubblici. Altri studi rimandano alla soluzione di uno spazio centrale articolato intorno a quattro pilastri, arricchiti da un sistema di colonne binate. Esemplare di questa fortuna è, ad esempio, la complessa operazione diretta da Giocondo Albertolli (1815-1816) di demolizione, trasporto della cappella cinquecentesca dedicata a Sant’Antonio da Padova allora annessa alla Chiesa conventuale di San Francesco a Lugano e la sua ricostruzione nel giardino della Villa Andreani a Moncucco (Brugherio).41 222 L’ A R C H I T E T T U R A R E L I G I O S A Progetto per edificio religioso, sezione trasversale; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 15, D 107. Dopo una prima fase di adozione della pianta centrale, le successive realizzazioni durante la Restaurazione registrano una preferenza per la pianta basilicale, convergendo così a soluzioni più convenienti per la liturgia, come nel Sant’Antonio Nuovo a Trieste di Pietro Nobile. Secondo Gianni Mezzanotte42 è il tipo messo a punto nella seconda metà del Settecento a Parigi e anticipato da Victor Louis, JeanFrançois-Thérèse Chalgrin e Jacques Gondoin e proposto in una moltitudine di chiese della seconda metà del secolo come Saint-Symphorien a Versailles.43 Nel dettaglio, la pianta si articola in tre navate suddivise da colonne trabeate, con quella centrale molto più ampia delle laterali e coperta da una volta a botte con lacunari, mentre le laterali sono coperte da un soffitto piano e sono bloccate alle estremità da torri o da sacrestie. Al termine della navata principale si trova un’unica abside semicircolare a volte con un deambulatorio colonnato. La facciata, a vol- te con pronao e conclusa da un frontone triangolare che ospita una finestra termale che rappresenta la volta interna, non trova corrispondenza con l’interno. In questo spazio interno basilicale, unitario e uniforme senza ostacoli che interrompono le visuali, sono due gli elementi che colpiscono più di altri: un rinnovato valore della superficie muraria attraverso l’uso parsimonioso delle decorazioni e l’adozione di colonne libere. Accogliendo le indicazioni sempre di Milizia, l’imperativo in tutte queste costruzioni è quello dunque di liberare le colonne dal muro rendendole libere e strutturali, ma anche di liberare le murature dalle colonne, restituendo al muro nudo dignità architettonica:44 murature nude, depurate dall’ordine architettonico e del cornicione, e colonne che sorreggono volte all’antica, schermi di colonne, finestre termali, costituiscono l’insieme degli elementi che costruiscono la semplicità e la chiarezza dell’organizzazione spaziale. 223 FRANCESCO REPISHTI Simone Cantoni, Prepositurale dei Santi Ambrogio e Simpliciano, Carate Brianza; interno (foto L. Mussi). Santa Maria presso San Celso, Milano; altare maggiore. Esternamente il pericolo di addizioni paratattiche, proprie della volontà di riproporre esempi antichi, è evitato mediante l’articolazione di colonnati in grado di sanare una mancanza di unità causata soprattutto dall’adozione di forme geometriche semplici e riconoscibili come il cerchio e il quadrato. Tuttavia per le molte parrocchiali e per gli interventi di Canonica a Como e a Genova, la collonade è limitata alla facciata o al prospetto sullo spazio pubblico principale e spesso non riesce a celare i difettosi attacchi tra il pronao e il fianco della chiesa, proprio dove coesistono opposte pretese, né riesce a evitare il frammentismo derivato dalla combinazione di volumi geometrici e depurati, tra loro semplicemente accostati. Appare così non casuale il fatto che Gaetano Pinali, singolare figura della cultura veneta di primo Ottocento, nel commentare il progetto di Cagnola per la parrocchiale di Concorrezzo si soffermi soprattutto sull’«euritmia esterna, scoglio pericoloso e non superato mai dagli architetti moderni, che anzi deturpano con sporti irregolari e villani, o per sagrestie o per campanili».45 Il tipo a pronao evita la sovrapposizione di ordini, espediente condannato da Milizia, richiama una immediata solennità ed è adattabile a diverse circostanze così da diventare una soluzione ricorrente, sia in soluzioni urbane, sia rurali. La riesumazione del pronao all’antica, posto a mediare edificio e spazio urbano, non è certamente nuova perché si tratta di un tema che, senza interruzioni, ha percorso la storia dell’architettura, dai progetti di primo Cinquecento. La facciata della chiesa, di conseguenza, sia nel caso di un impianto centrico sia longitudinale, non ha nessuna corrispondenza con l’interno e il più delle volte presenta una tripartizione ottenuta dall’arretramento delle due ali, mentre il piano alle spalle del pronao timpanato è solitamente articolato da una finestra termale. Il carattere espresso è quindi quello dell’austerità e della severità, segnali di una impossibilità a rinnovare l’antichità, una condizione e un risultato più formali che ideologici. Quanto realizzato nelle molte parrocchiali prima ricordate non appare dunque come il risultato di un atteggiamento competitivo con gli exempla più famosi, ma una sorta di presa d’atto che questo ritorno impossibile possa essere in parte mitigato con un utilizzo chiaro e sobrio degli elementi strutturali dell’ordine architettonico, anche puntuale e limitato ad alcune situazioni, non per forza derivato dall’antico, ma mutuato da altre situazioni e dal lascito palladiano. Quest’ultimo, prendendo a prestito le parole di Guido Zucconi, «appare come indispensabile relais tra il codice e la pratica, tra l’architettura degli ordini e i problemi concreti di realizzazione».46 224 L’ A R C H I T E T T U R A R E L I G I O S A San Marcellino, Imbersago. Chiesa della Santissima Annunziata detta del Santissimo Crocifisso, Como; facciata. Spazio pubblico no o a quello circostante, costituendo «un universo compiuto in se stesso».49 Gli esempi del nuovo concorso napoletano per San Francesco di Paola o della Gran Madre di Torino diventano eloquenti, mentre forte è il richiamo al complesso della piazza di San Pietro che aveva ispirato molti progetti ambiziosi e dato origine a infinite imitazioni in ambito europeo. Riprova è anche il tema del concorso di Architettura, dedicato a «una cattedrale con vasta piazza davanti», vinto da Francesco Turconi all’Accademia di Brera nel 1828. All’interno dei molti segnali di continuità, il tutto avviene con un’accezione nuova che va di là del semplice partecipare al decoro urbano o all’embellissement della città, propria anche degli antichi regimi: non è più solo la facciata che è chiamata a svolgere una valenza pubblica e una eloquente espressività, ma anche la scrittura rigorosa e simmetrica adottata per la pianta dell’organismo, la razionalità dell’impianto, chiara ed evidente, l’assialità e il misurato decoro di ornati, sono pensati come complementari alla definizione del carattere di una nuova idea di spazio urbano. Come Mezzanotte sottolinea «la soggezione alla regola in luogo dell’originalità, la richiesta di uniformità in luogo della varietà […] comporta appunto di considerare prioritario il risultato urbano».50 Infine, un’ultima considerazione, solo timidamente accennata da Canonica nell’intervento per il Santuario della Santissima Annunziata di Como, ma caratterizzante gli esempi a lui contemporanei di Milano, Torino e Napoli e similmente a Parigi, San Pietroburgo e Madrid: i nuovi edifici per il culto, nel riaffermare la rinnovata contiguità tra potere e religione si presentano come edifici pubblici rappresentativi, accettando parte del precedente pensiero ideale e politico circa l’architettura, anticipato in Italia da Milizia. Le chiese sono, di fatto, degli edifici civili e pubblici, come lo sono le prigioni, le prefetture o gli ospedali e le opere che le investono:47 sia di ricostruzione sia d’ampliamento, partecipano alle regole in materia di edilizia48 e soddisfano quelle esigenze di riferimenti monumentali all’interno delle nuove pianificazioni avviate nel periodo napoleonico, ma già presenti nei piani di Antico regime. Questo valore urbano si mostra anche nel fatto che proprio queste siano disegnate come fulcri, generatori o come elementi qualificanti di uno spazio pubblico, il più delle volte piazze aperte, sostituendosi agli edifici civili dei precedenti fori, sebbene troppo spesso siano state liquidate come architetture concepite come corpi isolati rispetto al contesto urba- 225 FRANCESCO REPISHTI 1. Tra i precedenti ricordiamo il concorso per una cattedrale indetto dall’Accademia di San Luca nel 1753. Nel fondamentale catalogo della mostra romana dedicata ai disegni dell’Accademia di San Luca (Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia, 1780-1820, catalogo della mostra (Roma 2007), a cura di A. Cipriani, G.P. Consoli, S. Pasquali, Campisano, Roma 2007) non sorprende l’assenza di edifici per il culto nella sezione dedicata alla Pratica dell’architettura civile in Italia. 2. La tendenza e l’orientamento politico dell’età Giuseppina di portare la chiesa lombarda nella sfera di controllo dello Stato sembrano ben evincersi anche durante la Restaurazione. Da parte di Vienna, infatti, si intese proseguire tale politica con prudenza e minor clamore, ma cercando sempre di renderla funzionale ai propri interessi attraverso il controllo di ogni aspetto della vita religiosa. Francesco I non aveva esitato a dichiarare legali le numerose alienazioni e vendite di beni ecclesiastici avvenute sino al 1815 e nello stesso tempo aveva deciso di sottomettere alla sua approvazione le nomine dei vescovi e le nomine dei parroci a quella governativa. L’isolamento della chiesa del Lombardo-Veneto da quella romana era quindi un risultato pienamente acquisito già prima della Restaurazione: nel 1816 Carlo Gaetano Gaisruck fu nominato arcivescovo dall’imperatore. Il controllo esercitato sull’azione dell’arcivescovo era ritenuto preliminare a un controllo generale dell’azione dei parroci ai quali spettava il ruolo di funzionari di stato civile come depositari dei registri anagrafici, di direttori delle scuole del LombardoVeneto e di promotori e diffusori degli avvisi governativi. 3. S. Villari, Tra neoclassicismo e restaurazione: la Chiesa di San Francesco di Paola, in Pietro Bianchi 1787-1849, catalogo della mostra (Rancate-Napoli-Roma 1995-1996), a cura di N. Ossanna Cavadini, Electa, Milano 1995, p. 129. 4. La maggior parte degli architetti più famosi e autori degli esempi più efficaci si era infatti formata nei decenni precedenti la Repubblica Cisalpina ma, almeno per ciò che riguarda la costruzione di edifici di culto, il momento rivoluzionario e imperiale deve essere inteso come un periodo di sospensione e non di cesura. 5. Santa Margherita a Pandino (1783-1791) realizzata su disegno di Felice Soave. 6. La Parrocchiale dei Santi Ambrogio e Simpliciano a Carate Brianza iniziata da Faroni nel 1793 poi terminata su disegno di Simone Cantoni. 7. Si veda San Giorgio a Casatenovo (1805-1815). Inoltre, tra le altre, le chiese di Santa Maria Assunta a Paderno d’Adda (1799), Santi Marco e Gregorio a Cologno Monzese (1800 ca), Sant’Alessandro a Colnago (1803), Oratorio di San Gaetano a Casteggio (1801), Sant’Eustorgio ad Arcore (1802), Santa Maria delle Grazie Nuove a Monza (1809), San Giovanni a Fusignano (1816), San Francesco da Paola a Milano (1825-1839), Santa Maria dei Servi poi San Carlo a Milano (1817-1852), San Vittore a Calcio (1834) e Sant’Antonio Nuovo a Trieste (1822). Cfr. G. Mezzanotte, Architettura neoclassica in Lombardia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966, pp. 405-406 e A. Dallaj, C. Mutti (a cura di), Il fondo Amati del Castello Sforzesco, vol. I, Marsilio, Venezia 1997-1998. 8. Si veda soprattutto la Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano a Concorezzo costruita tra il 1810 e il 1821. 9. Si vedano la Parrocchiale di Sant’Antonio Abate a Valmadrera (17811783) poi ultimata da Simone Cantoni e la Madonna del Rosario ad Annone Brianza (1839). 10. Cantoni riuscì ad edificare ex novo solo la nuova Parrocchiale di Gorgonzola dovuta al mecenatismo della famiglia Serbelloni. In particolare i progetti per le Chiese di Sant’Agostino a Piacenza (1781) e di San Fedele a Como (1787), le Parrocchiali di Muggiò (1789), Lissone (1794), Lomazzo (1795), Bregnano (1798) e di Carate Brianza (1802-1807), per l’Oratorio Busca ad Agliate (1803), per le Parrocchiali di Gorgonzola (1806) e di Valmadrera (1816) e per le Chiese di Sagno (1784), Morbio (1787), Civello (1806), Cabbio (1807), Mendrisio (1810), Ponte Lambro (1814), Bruzella (1807), Alzate e Morazzone (1814). Cfr. C. Rodi, Simone Cantoni architetto, Banco Lariano, Como 1973 e N. Ossanna Cavadini, Simone Cantoni architetto, Electa, Milano 2003. 11. Si vedano la Rovella dei Confalonieri ad Agliate, la Parrocchiale dei Santi Pietro, Marcellino ed Erasmo a Besana Brianza (1833), San Biagio a Galgiana (Casatenovo), Santi Gervaso e Protaso a Gorgonzola, San Gerardo al Corpo a Monza (1836-1842) e San Vittore Martire a Missaglia (1844). Cfr. R. Bergossi, G. Cisotto, 1791-1860, architetto Giacomo Moraglia: la diffusione del Neoclassico, Lativa, Varese 1991. 226 12. Noti sono, infatti, i casi della Parrocchiale di Seregno e di Santa Maria de Servi poi San Carlo al Corso di Milano. 13. Il progetto di Canonica, conservato sia tra le carte personali (ora a Mendrisio e Bellinzona) che presso l’Archivio del Santuario, fu criticato apertamente tanto da essere portato a termine solo nel 1839, per poi essere definitivamente demolito e sostituito dalla facciata disegnata da Luigi Fontana nel 1863. 14. Il disegno non datato e titolato «Secondo pensiero per la Facciata della Chiesa della Santissima Annunziata del Guastato» (AMMe, Fondo Canonica, 10, D 138) documenta il coinvolgimento di Luigi Canonica nella definizione architettonica del fronte della cinquecentesca fabbrica genovese. 15. Nel 1797, Luigi Canonica e Giuseppe Piermarini intervengono nel dibattito sulla facciata del Duomo, successiva alla fase progettuale che aveva coinvolto Galliori, Cagnola e Soave, con una breve relazione (15 agosto 1797), perché invitati a esprimere un parere sulla scelta del disegno per il completamento della facciata e sull’ipotesi di costo (ASMi, Culto, p.a., 1048). Cfr. la scheda relativa in questo stesso volume. 16. 1837, 8 gennaio, Milano; Parte della relazione autografa di Canonica sul completamento della Chiesa di Santa Lucia di Bologna indirizzata alla Accademia Pontificia di Belle Arti in Bologna; AMMe, Fondo Canonica, LIII, 718. Cfr. la scheda relativa in questo stesso volume. 17. Il 3 maggio 1816 i fabbricieri della Chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Brescia inviano a Canonica una memoria e alcuni disegni relativamente ad alcune cornici in marmo per cinque tele di Tiziano e al progetto dell’altare maggiore, per un parere circa i progetti presentati dagli architetti bresciani Vantini e Vigliani. (AMMe, Fondo Canonica, IX, 406-409). Cfr. la scheda relativa in questo stesso volume. 18. 1818, 31 agosto, Milano; AMMe, Luigi Canonica, XXX, 433. Cfr. la scheda relativa in questo stesso volume. 19. Le commissioni ottenute da Canonica costituiscono un numero assai limitato rispetto a quelle offerte a Cantoni e ad Amati, quest’ultime giustificate dalla necessità di ampliamento delle chiese in risposto all’aumento demografico verificatosi nella seconda metà del Settecento. 20. «Ma di qualunque forma sia una chiesa è essenziale che da qualunque punto si vegga tutto il suo interno e se ne scoprano le parti principali come tutti gli altari e specialmente il maggiore. Perciò non sono commendabili le cappelle sfondate sopra tutto ove sono navette. Per la stessa ragione sono intollerabili quegli enormi piloni i quali oltre all’ingoffire tutto l’edifizio impediscono la vista e l’accesso agli altari e producono altri imbarazzi. Una chiesa a navate può esser tutta di colonne isolate. Quanto più le colonne saranno vicine cioè in maggior numero tanto più ella comparirà grande». Cfr. F. Milizia, Principi di architettura civile. Opera illustrata dal professore architetto Giovanni Antolini, 2a ed. milanese migliorata per cura del dottor L. Masieri, per Serafino Majocchi, Milano 1847. Secondo H.-W. Kruft (Storia delle teorie architettoniche, vol. I, Da Vitruvio al Settecento, Laterza, Bari 1987, p. 178) anche Jean-Louis De Cordemoy nel Nouveau traité de toute l’architecture, pubblicato per la prima volta nel 1706, «considera di pari livello l’architettura greca e quella gotica perchè ambedue hanno espresso in modo chiaro la loro funzione. Muovendo da qui arriva a postulare un’architettura greco-gotica che, semplificata con progetti di chiese, si configura come la costruzione di un edificio gotico nelle forme dell’antichità greca […]. Purtroppo Cordemoy non fornisce alcuna illustrazione della sua concezione greco-gotica». 21. E. Pini, Dell’Architettura. Dialogi, Stamperia Marelliana, Milano 1770, pp. 50-52. 22. Con ruoli e tempi diversi intervennero in questa fabbrica la maggior parte degli architetti o degli eruditi di architettura della Lombardia asburgica: Antonio Galli Bibiena, Ermenegildo Pini, Giulio Galliori, Giuseppe Piermarini, Agostino Gerli. 23. G.P. Consoli, La “nuova architettura del nuovo secolo”: temi e tipi, in Contro il Barocco 2007, p. 194. 24. Sul tema dell’architettura religiosa, soprattutto sulla tipologia a forma di croce, occorre ricordare il trattato di Francesco Bernardino Ferrari, Della fabbrica delle chiese. Trattato, nella stamperia di Giuseppe Galeazzi, Milano 1804, preceduto dal Discorso sopra il bello dell’Architettura pubblicato sempre a Milano nel 1782. 25. G. Grigioni, Francesco Bernardino Ferrari continuatore dell’indirizzo razionalista di Ermenegildo Pini, “Arte Lombarda”, 55-57, 1980, p. 344. L’ A R C H I T E T T U R A R E L I G I O S A 26. Fa eccezione il Concorso del 1781 promosso dall’Accademia di Parma su richiesta dei Canonici lateranensi di Sant’Agostino di Piacenza per il progetto della facciata della loro chiesa. 27. Tema del concorso di Prima Classe in Architettura dell’Accademia di San Luca nel 1795. 28. Tema del concorso Clementino del 1795. 29. Tema del concorso indetto dall’Accademia di Parma nel 1785. 30. Per la Francia il riferimento appare senza dubbio Pierre Contant d’Ivry (1698-1777), sia nei progetti poi modificati da Alexandre-Pierre Vignon per la Madeleine quanto in quelli per la Chiesa abbaziale di Saint-Vaast d’Arras (1754) e Jean François Chalgrin per il Saint Philippe du Roule e le trasformazioni al progetto di Giovanni Niccolò Servandoni per Sainte Sulplice. L’erezione a Parigi della Chiesa di Sainte Geneviève era divenuta il manifesto della nuova architettura religiosa. Successive sono invece le prospettive di Etienne-Louis Boullée sempre per la Madeleine e per la trasformazione della Sainte Geneviève di Jacques Germain Soufflot. 31. S. Pasquali, Apprendistati italiani d’architettura nella Roma internazionale, 1750-1810, in Contro il Barocco 2007, p. 34. 32. P. Morachiello, Venezia e lo “stato da terra”, in F. Dal Co (a cura di), Storia dell’Architettura italiana, VI.2, Il Settecento, a cura di G. Curcio, E. Kieven, Electa, Milano 2000, p. 470. 33. Si tratta di due documenti non datati provenienti dal Fondo della Biblioteca Cantonale di Lugano; il primo riporta alcune annotazioni sul «Tempio di S. Simone Minore in Venezia di Gio. Sulfarotti - 1718» ed è firmato da Antonio Diedo; il secondo è un disegno della Chiesa della Maddalena in Venezia di Tommaso Temanza (AMMe, Fondo Canonica, LIV, 760-761). 34. C. Mariani, Gli edifici di culto in età neoclassica: tra pianta centrale e pianta basilicale, in Storia della Brianza, vol. III, Architettura e territorio, a cura di A. Buratti Mazzotta, Cattaneo, Oggiono 2008, p. 260. 35. Milizia 1847, p. 397. 36. 1780, 20 ottobre; lettera di Brébion citata da R. Middleton, D. Watkin, Architettura moderna, Electa, Milano 1977, p. 18. Sainte Geneviève nasconde dietro a una pelle neoclassica (non senza molteplici “licenze poetiche” all’uso canonico di ordini moduli e proporzioni, uno scheletro concepito alla gotica con archi rampanti e contrafforti. 37. All’«iperclassicismo senza sorriso, quell’assoluta e sprezzante regolarità, la freddezza d’una presuntuosa correttezza archeologica, che sembrano con forza imposte dall’esterno, da esigenze programmatiche e ideologiche, quasi da una superiore violenza della realtà storica» fa riferimento Villari 1995, p. 137. 38. Tra i quali anche alcune proposte per la Cattedrale di Nostra Signora di Kazan’ a San Pietroburgo (Jean François Thomas de Thomon il Tempio) debitrici del modello di Soufflot e del progetto di Moitte presentato al Gran Prix del 1781, e il Tempio celebrativo della guerra contro Napoleone del 1812 disegnato da Giacomo Quarenghi per Mosca in occasione del concorso indetto nel 1815. 39. Un modello che, come hanno sottolineato Gianni Mezzanotte e Aurora Scotti, fu scelto da Leopoldo Pollack per la facciata del Teatro dei Filodrammatici a Milano. 40. Si vedano i disegni di Francesco Demesmay (1754) che vinse il Concorso Clementino di Terza Classe nel 1754. Cfr. S. Pasquali, Il rilievo dell’antico nei programmi dell’Accademia di San Luca, 1750-1800, in Contro il Barocco 2007, p. 485. Né si può dimenticare il giudizio sferzante di Stendhal sul progetto di Pietro Bianchi per Napoli (16 marzo 1817): «Bianchi a adopté la forme ronde ce qui est une preuve qu’il a su voir l’antique; mais il n’a pas su voir que les anciens se proposaient dans leurs temples un but contraire au notre: la réligion des Grecs étaient une fête et non une ménace. Le temple sous ce beau ciel n’étaient que le thêàtre du sacrifice. Au lieu de s’agenouiller, de se prosterner et de se frapper la poitrine, on exécutait des dances sacrées» (Stendhal, Rome Naples et Florence, 3e éd. refondue et augm., 2 voll., Delaunay, Paris 1826). 41. G. Albertolli, Cenni storici sovra una cappella artistica ricostruita in oratorio a Moncucco nella provincia di Milano dal cav. Giocondo Albertolli, Milano 1822. 42. G. Mezzanotte, Introduzione, in Dallaj, Mutti 1997, pp. 9-19. 43. Saint-Symphorien a Versailles conclusa nel 1771 su disegno di LouisFrançois Trouard. 44. G.P. Consoli, La “nuova architettura del nuovo secolo”: temi e tipi, in Contro il Barocco 2007, p. 158. 45. 1809, 6 aprile, Venezia; lettera di Gaetano Pinali a Luigi Cagnola; citata da G. Kannès, Luigi Cagnola, e il veronese Gaetano Pinali, dilettante di architettura, “Arte Lombarda”, n.s., 1980, n. 55-57, p. 251. 46. G. Zucconi, Venezia nell’età di Giannantonio Selva, 1783-1819, in Contro il Barocco 2007, p. 242. 47. Per la Francia si veda l’ampio studio di Jean-Michel Leniaud, Les cathédrales au XIXe siècle: étude du service des édifices diocésains, Economica, Paris 1993. 48. L’erezione di nuove chiese e oratori del culto cattolico ad uso pubblico fu sottoposta al beneplacito reale con il decreto datato 9 settembre 1767 (cfr. ASMi, Culto, p.m., 104) poi ribadito con il decreto datato 18 aprile 1780. Dal 1840 il progetto di costruzioni di nuove cattedrali dovette essere presentato al Consiglio per le costruzioni pubbliche (ibidem). Le pratiche dell’iter di approvazione dei progetti, dei preventivi di spesa si trovano tra le carte della Commissione Aulica o della Direzione Generale delle Pubbliche Costruzioni documentando un attento controllo operato dall’Amministrazione o perché l’immobile è (o si suppone che sia) di proprietà demaniale e quindi soggetto a questa prassi, oppure perché la norma prevede l’autorizzazione all’impiego di capitali “pubblici” e la verifica periodica dei bilanci. 49. C. Perogalli, L’architettura neoclassica in Lombardia, “Bollettino Centro internazionale di Studi Andrea Palladio”, 1971, p. 180. 50. Mezzanotte 1997, p. 18. 227 «Tempio della Maddalena in Venezia del Temanza», s.d.; AMMe, Fondo Canonica, LIX, 759. ARCHITETTURA RELIGIOSA Catalogo dell’opera Architettura religiosa Chiesa di San Marcellino, Imbersago (Lecco) 1789-1790 ne conservata nella stessa cartella del Fondo Canonica di Mendrisio (AMMe, D 457). Tra il 1789 e il 1790, a soli 25 anni, Canonica presentò un progetto di ampliamento della Chiesa di San Marcellino a Imbersago, che comportava la costruzione di un portico e di una nuova facciata poi non realizzati. La richiesta del parroco e dei deputati fu presentata alle autorità il 28 marzo 1789 (ASMi, Culto, p.a., 915). Inizialmente, l’architetto elaborò un disegno definito dalla costruzione di una nuova campata, senza cappelle, ma con al loro posto due vestiboli aperti pensati come ingressi laterali alla chiesa a causa della particolare conformazione del sito; inoltre prevedeva anche due ulteriori cappelle sul lato sinistro. Al di sopra dei due vestiboli progettò due locali accessibili con scale circolari inserite tra le murature. Le tre differenti versioni disegnate per la facciata e conservate all’Archivio del Moderno di Mendrisio rivelano il tentativo di proporre varianti sempre più articolate: nella prima (D 458), Canonica suggeriva una facciata su due ordini, il primo con lesene doriche e il secondo con lesene ioniche e timpano superiore; ai lati erano previste due ali con portico non accessibile ma con aperture balaustrate. La seconda versione (D 459) presenta un corpo centrale suddiviso da un ordine con paraste ioniche su piedistallo, intervallato da nicchie, e da un attico ugualmente tripartito con oculo centrale e sormontato da un timpano. Ai lati, i due vestiboli sono arretrati e meno alti del corpo principale. La terza versione (D 460) può essere interpretata come variante della prima con un corpo centrale sporgente e due ali laterali, su due ordini, con un partito “alla romana” (un arco inquadrato dall’ordine architettonico) e un ordine ionico di lesene al secondo registro dove si aprono tre fi- Disegni Luigi Canonica, Pianta parziale, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 205. [Luigi Canonica], Pianta, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 83. Luigi Canonica, Prospetto, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 458. Luigi Canonica, Prospetto, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 459. Luigi Canonica, Prospetto, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 460. Luigi Canonica, Sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 457. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 286; Bossaglia 1971, p. 242; Soldini 1981[b], p. 193; Parisi 1995, pp. 55-56; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 16; Mariani 2008, p. 276. (f.r.) Facciata del Duomo, Milano 1797 Chiesa di San Marcellino, Imbersago, prospetto, [1789]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 459. nestre rettangolari intervallate da nicchie. I documenti del Fondo Canonica (AMMe, Fondo Canonica, II, 4-10) segnalano due probabili cambiamenti di programma: il primo avvenuto nel luglio del 1789 quando una stima «per l’accrescimento del portico avanti la Chiesa di San Marcellino in sostituzione dei due vestiboli late- rali» attesta una nuova idea progettuale. La seconda, successiva al 29 ottobre 1790, quando Carlo Antonio Molgora raccontava in una lettera il cedimento improvviso della terrazza su cui sorgeva questa parte della chiesa tale da compromettere la stabilità dei pilastri del portico già realizzati. Non è invece possibile ricondurre ai precedenti progetti la sezio- Nei primi anni della sua carriera, Canonica ebbe due occasioni per entrare in contatto con la Fabbrica del Duomo. Una prima quando, nel 1795, si candidò, come Giovanni Battista Martinetti, Pietro Piacenza, Leopoldo Pollack, Felice Soave e Pietro Taglioretti, alla successione di Galliori nella carica di architetto della Fabbrica. Il 3 settembre il Capitolo dei Deputati ammise all’esame i soli Pollack, Piacenza, Taglioretti, Canonica e Soave, scegliendo successivamente quest’ultimo. Una seconda nel 1797, quando Canonica e Piermarini intervennero nel dibattito sulla facciata del Duomo, successiva alla fase progettuale che aveva coinvolto Galliori, Cagnola e Soave, con una breve relazione (15 agosto 1797), in quanto invitati a esprimere un parere sulla scelta del disegno per 229 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Cappella Reale di San Gottardo, Milano, sezione longitudinale, 1811; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 344. il completamento della facciata e sull’ipotesi di costo (ASMi, Culto, p.a., 1048). Rilevando come corretta la scelta intrapresa dal Capitolo della Fabbrica di proseguire l’idea seicentesca di Carlo Buzzi perché «il più analogo in confronto a tutto l’ordine del Tempio», i due architetti lamentarono l’eccessiva semplicità e riduzione degli ornati e della statuaria proposta nel nuovo disegno: «Ragion vuole, e così han sempre praticato i più accreditati architetti negli edifici di simil genere, si antichi che moderni, che la facciata sia sempre dipinta con maggiore ricchezza da qualunque altra parte esteriore» (ibidem). A questa prima critica, Piermarini e Canonica aggiungevano le loro perplessità e i loro suggerimenti sull’ipotesi di poter terminare l’esecuzione nell’arco dei due anni indicati dal generale Bonaparte, sulla necessità di modificare le aperture realizzate secondo il disegno pellegriniano e di completare le falconature del prospetto. Canonica intervenne anche in un secondo momento nel dibattito quando, nel 1807, fu chiamato a far parte della commissione per la facciata del Duomo con Giuseppe Levati, Giocondo Albertolli, Luigi Cagnola, Paolo Landriani e Simone Stratico, oltreché con Giuseppe Zanoja e Carlo Amati, che avevano presentato progetti per il nuovo prospetto 230 (ASMi, Culto, p.m., 1488). Per l’evidente impossibilità di raggiungere un accordo, il segretario Giuseppe Bossi chiese memorie scritte a ognuno dei membri, e inviò, una relazione finale il 14 gennaio 1807 al ministro del Culto. Bibliografia Annali della Fabbrica, VI, 1885, p. 234; Mezzanotte 1966, p. 294; Kannès 1977, pp. 171-186; Ricci 2003[a], p. 40. (f.r.) Basilica di San Giorgio, Cuggiono 1802-1831 Già nel 1791 la comunità di Cuggiono desiderava un nuovo altare maggiore per la Basilica di San Giorgio e ne affidava il progetto a Leopoldo Pollack. Gli sconvolgimenti politici del momento, però, consigliavano di accantonare temporaneamente l’idea, mentre si faceva strada l’ipotesi di acquistare un altare della soppressa Chiesa milanese di San Francesco Grande. Canonica, incaricato del collaudo dopo il trasferimento e adeguamento del manufatto, il 13 gennaio 1802 (Archivio Parrocchiale Cuggiono, Sezione storica Basilica, 1, 10) esprimeva parere negativo sull’opera- zione e consigliava, come poi avvenne, la realizzazione di un nuovo altare progettato dallo stesso Pollack. Nel 1820, sempre per la basilica, Canonica progetta la bussola d’ingresso, realizzata dai falegnami Carlo Brusati e Luigi de Mattei (ibidem, 1, 4). Infine, nell’aprile 1831, Canonica invia alcuni suggerimenti, poi accolti, sul progetto per la nuova sacrestia, redatto dall’ingegnere Giuseppe Rossetti di Sacconago (ibidem, 2, 3). Bibliografia Visconti 2000, pp. 77-78; Mira 2009, pp. 155-180. (p.m.) Cappella Reale di San Gottardo, Milano 1803-1813 L’edificio, che presentava una facciata alta e stretta e un portale sormontato da una bifora, fu notevolmente trasformato in seguito alla costruzione dello scalone di Palazzo Reale ideato da Piermarini. Nel 1778 la cappella fu «ripulita dagli stucchi interni» e subì solo modeste modifiche (spostamento di due altari laterali, formazione di due coretti e trasferimento della sagrestia e dell’abitazione del cappellano), mentre nel 1796 fu spogliata di due altari laterali, poi ricostruiti nel 1799 per essere nuovamente asportati l’anno successivo e restituiti nel 1814. Dal confronto tra i progetti presentati da Nikolaus von Pacassi e da Luigi Canonica, la chiesa non sembra aver subito nessuna sostanziale trasformazione tra la metà del Settecento e il 1811. Pacassi rappresentava la cappella con una tribuna vicereale su sei colonne libere, come appare anche nei diversi rilievi di Palazzo Reale, successivi al 1805 e conservati a Parigi e a Mendrisio. Prima della riforma che coinvolse il palazzo nel periodo napoleonico, si hanno notizie di limitati interventi eseguiti su indicazione di Canonica nel 1803 riguardanti l’abitazione del parroco, la tribuna, le suppellettili sacre e l’organo (ASMi, Genio Civile, 3158), nel 1805 la decorazione della tappezzeria e nel giugno del 1811 il «castello» della torre campanaria (ASMi, Genio Civile, 3128). Il 23 agosto 1811 fu invece presentata dall’architetto ticinese una Dichiarazione del progetto di adattamenti della cappella reale (ibidem). I lavori consistevano nella demolizione della tribuna esistente e nella costruzione di una nuova volta sul modello di quella già esistente sull’altra campata della chiesa; la realizzazione di una nuova tribuna all’estremità della chiesa ove era posizionata l’orchestra, meno alta della precedente e disposta a gradinata; la creazione di una nuova porta nell’anticamera gialla per accedere agli appartamenti; due coretti laterali sopra le cappelle; infine, la collocazione dell’orchestra nel fondo del coro e la costruzione di un nuovo altare con l’innalzamento del piano del presbiterio. Alcuni marmi impiegati per l’altare maggiore erano materiali di spoglio provenienti dalla Chiesa di Santa Maria Maddalena al Cerchio e in parte ceduti alla parrocchiale di Vaprio. Il 17 settembre 1812 Canonica informava l’intendente dei Beni della Corona della conclusione dei lavori alla Cappella Reale. Le tre planimetrie di Palazzo Reale (A, B, C; BC-AMMe, 1, BC 279-281), riportanti il nuovo piano generale e la sezione (BC 344) sulla quale i segni a matita corrispondono a quanto contenuto nel capitolato, descrivono una situazione antecedente ai lavori. La precedente tribuna è così abbassata, coperta con una volta analoga a quella in corrispondenza degli altari laterali, e alla stessa quota dell’orchestra, leggermente rialzata. Non è invece chiaro il nuovo sistema di sostegni, prima realizzato con basse colonne libere di ordine do- ARCHITETTURA RELIGIOSA rico, così come appare nella sezione (BC 344), ma forse riconoscibile nei rilievi del 1839 firmati da Giacomo Tazzini (SBAPMi, Fondo disegni antichi). Un altro disegno, sempre conservato a Mendrisio, è forse riferibile a questa fase dei lavori e descrive uno dei due coretti ideati da Canonica e decorati con pannelli a patere (BC 338), mentre nell’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Milano (SBAPMi, Fondo disegni antichi, 20, 214) è conservato un progetto generale di ricostruzione della cappella, non datato né firmato, dove quest’ultima appare riallineata a Palazzo Reale e con un tornacoro su colonne libere. Altre opere furono realizzate su disegno di Tazzini e Luigi Tatti dal 1830 al 1840, che portarono a un arretramento della tribuna. Sappiamo, infatti, che nel 1833 Tazzini progettava la costruzione di una finta volta sulla tribuna, la cui decorazione a stucco e affresco, conclusa nel dicembre 1834, fu affidata ad Aristomene Gislandi e Angelo Monticelli. piani, commissario delle Belle Arti. Nella loro relazione del 21 maggio 1804 riferirono di avere riscontrato che i restauri eseguiti «al solo scopo di riparare alli guasti cagionati dall’umido all’intorno di alcune parete [sic], ed inspecie vicino all’altar maggiore» erano di lieve entità – «diversi rappezzi d’intonaco alli muri, e dorature alla cornice dell’ordine all’Altar Maggiore» – ma valutarono necessaria «una più significativa riattazione segnatamente della cupola, e coro per oggetti tanto di solidità, che di decorazione», non senza il concorso economico del governo. Gli «analoghi suggerimenti» che offrirono di fornire non furono però richiesti, in quanto il ministro si limitò a vietare per il futuro qualsiasi intervento senza previa autorizzazione (ASMi, Culto, p.m., 1609). L’architetto ticinese tornò a occuparsi del coro, in quanto membro della Commissione d’Ornato, nel 1809, in seguito alla presentazione da parte della Fabbriceria di un progetto di Pollack per un altare maggiore in marmo in sostituzione di quello «cadente di legno», poi abbandonato per la sopraggiunta indisponibilità dell’anonimo finanziatore a seguito delle correzioni proposte dalla Commissione (ibidem). Intervenne pure nel 1818, quando la Fabbriceria inoltrò un nuovo progetto, redatto da Felice Pizzagalli, e richiese di «far ristaurare fedelmente e da abili artisti, tanto gli stucchi, come i dipinti della volta, e nella sottoposta prospettiva» (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 15). L’altare fu realizzato secondo il disegno contrassegnato “B” presentato l’8 ottobre 1818 e sottoscritto per l’approvazione da Canonica; era in marmo di Carrara, arricchito con angeli-cariatidi, teste di cherubini, rifiniture in rame dorato e Disegni Luigi Canonica, Sezione longitudinale, 1811; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 344. Luigi Canonica, Pianta e prospetti del palco, 1811; BC-AMMe, Fondo Canonica, 15, BC 338. Bibliografia Ricci 2001, p. 59. (f.r.) Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, Milano 1804-1824 Nel corso dei primi tre decenni dell’Ottocento Luigi Canonica si occupò più volte della sistemazione del coro bramantesco di Santa Maria presso San Satiro, ma solo in un caso con dirette responsabilità. Nel 1803 il parroco Astesani sollecitava il Ministero degli Interni a interessare l’Accademia di Belle Arti «dell’imminente guasto» che il tempo e un già intrapreso intervento di restauro, finanziato dai parrocchiani e diretto da un «valente professore», stavano per arrecare al santuario, paventando che per risarcire «le perdite» si facessero «scomparire gli originali lineamenti, e la fisionomia caratteristica dell’epoca importante, in cui fu eretta quella chiesa». Canonica, allora soprintendente generale alle Fabbriche nazionali, era investito del caso insieme ad Andrea Ap- specchiature in marmo verde. Il tabernacolo di forma circolare, anch’esso decorato con angeli-cariatidi, era sormontato dall’immagine della Vergine incorniciata in pietra di Viggiù «inverniciata a bronzo e oro». Il disegno del coro, oggi conservato all’Archivio del Moderno di Mendrisio (D 200), difficilmente si può attribuire all’architetto ticinese. Si tratta quasi certamente di un rilievo preliminare a un progetto, accurato nella restituzione del dato metrico ma schematico per quello decorativo. L’archivio parrocchiale di Santa Maria presso San Satiro conserva un progetto di Canonica per l’ingresso che segnalava verso la contrada della Lupa (oggi via Torino) la presenza della chiesa. Il disegno, acquerellato e ombreggiato con inchiostro scuro, raffigura un arco inquadrato da due colonne sporgenti per tre quarti poste su basamenti e sormontate da una trabeazione con un fregio decorato a festoni; due tondi sono inseriti negli spazi di risulta tra l’arco e l’ordine trabeato. All’origine dell’intervento di Canonica sono le frequenti proteste dell’amministrazione comunale per la sporgenza dei due pilastri del portale. Il successivo Progetto della porta d’ingresso alla prepositurale di S. Satiro verso la contrada della Lupa elaborato da Luigi Vandoni nel 1852 (APSSMi) conferma l’avvenuta costruzione di quello pensato da Canonica e ne modifica la forma arricchendolo di elementi decorativi e arretrando la sporgenza, sostituendo due lesene alle colonne. Benché approvato, il progetto di Vandoni non fu realizzato per il successivo allargamento della strada su questo lato. Disegni [Luigi Canonica?], Pianta e prospetto del coro, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 200. Luigi Canonica, Prospetto dell’arco di ingresso della chiesa dalla contrada della Lupa, 1824; APSSMi, Fabbrica. Bibliografia Buratti Mazzotta 1992, pp. 15-16; Zilocchi 1992, p. 164; Parisi 1995, p. 62; Parisi, Patetta 1995, p. 48; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 19. (n.o.) Cappella della Villa Reale, Monza 1811-1813 [Luigi Canonica?], Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, Milano, pianta e prospetto del coro, s.d. AMMe, Fondo Canonica, 11, D 200. Le notizie relative a interventi progettati da Canonica per la cappella della Villa Reale di Monza sono scarse. 231 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Nell’agosto 1811 «l’ispettore ai reali fabbricati» di Monza segnalava come «urgenti» alcuni lavori di riparazione alla copertura, alle basi delle lesene e ai gradini dell’altare maggiore (ASMi, Genio Civile, 3128). Nell’ottobre 1812, nell’ambito di una serie di lavori all’interno della Villa Reale, Canonica appaltava a Fossati una nuova pavimentazione in marmo per la cappella (ASMi, Genio Civile, 3129), eseguita entro il 1813. (f.r.) Facciata della Chiesa di San Giuseppe, Milano 1813 Nel 1808 la Chiesa seicentesca di San Giuseppe, sede dell’omonimo Luogo Pio soppresso dieci anni prima e aggregato alla Congregazione della Carità, veniva chiusa per ragioni economiche, ma già nel 1809 se ne approvava la riapertura al culto come sussidiaria della Parrocchia di Santa Maria del Carmine. Alcuni lavori di manutenzione si resero a quel punto necessari: nel luglio del 1813 Luigi Canonica, su incarico del ministro per il Culto, si recò con l’economo Bertani a «riconoscere e peritare le operazioni […] tanto per le riparazioni istantanee all’ornato [della facciata], quanto per incanalare le acque pluviali» (ASMi, Culto, p.m., 1545). Numerosi documenti rendono conto del tipo d’intervento eseguito: una minuta delle opere da «piccapietre» necessarie, redatta sul posto da Bertani, e l’allegato schizzo dei piedistalli dell’ordine superiore, della cornice sovrastante e del timpano che sormonta la porta maggiore, probabilmente di mano del Canonica (AMMe, Fondo Canonica, LII, 668); il preventivo dei lavori per una spesa totale di 1215 lire; i conti dettagliati del marmorino Francesco Ferrario e del lattoniere Giuseppe Cerutti; le specifiche delle spese redatte da Bertani in novembre. Furono semplicemente sostituiti, senza operare alcun mutamento di sagoma, numerosi pezzi in ceppo gentile ammalorati: parti dei piedistalli dell’ordine superiore, della balaustra del finestrone centrale, delle nicchie dell’ordine inferiore, del frontone a volute spezzate sopra la porta e di quello posto a conclusione del primo ordine. Minimi e di significato prevalentemente tecnico i mutamenti rispetto all’esistente, a convalida del giudizio positivo che l’architettura richiniana ancora incon- 232 Chiesa della Santissima Annunziata detta del Santissimo Crocifisso, Como, pianta della chiesa e della canonica con le preesistenze, 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 195. trava nelle guide milanesi a dispetto di certa pubblicistica settecentesca rigorista: furono rimossi «i risalti con le gocce» sotto l’affresco allora esistente sopra la porta d’ingresso e diverse lastre di beola andarono a sostituire delle tegole poste a rivestire la cornice presso i due orifiamma e il suddetto frontone triangolare, sopra il quale fu inoltre demolito «un pezzo di muro», probabilmente un aggetto della parete (ASMi, Culto, p.m., 1545); furono infine rinnovati i pluviali in ferro. L’immagine di San Giuseppe affrescata sulla porta, che sarebbe stata sostituita da un bassorilievo nel 1834, fu restaurata da Antonio de Antoni, futuro accademico braidense. I lavori, pagati con i fondi della Causa Pia delle povere parrocchie, erano conclusi entro il 13 novembre; rimasero escluse, tra quanto previsto da Canonica, solo l’imbiancatura dei muri e «le tinte alle pietre ed alle cornici» della facciata e del fianco su via Andegari. Disegni Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione di dettagli della facciata, 1813; AMMe, Fondo Canonica, LII, 668. Bibliografia Cattaneo, 1957, p. 48; Fiorio, 1985, p. 163; Coppa, 1997, pp. 71, 74. (n.o.) Chiesa della Santissima Annunziata detta del Santissimo Crocifisso, Como 1814-1839 Costruita nella prima metà del XIII secolo e ampliata prima del 1574, la Chiesa della Santissima Annunziata subì trasformazioni ancora nel corso del Seicento, quando la travatura lignea fu sostituita con una copertura a volta, e nel 1716 in occasione dell’edificazione della facciata su disegno di Francesco Silva (1716-1731). Nel Settecento, abbandonata l’idea di una integrale ricostruzione del santuario dedicato al Santissimo Crocifisso, venerato come miracoloso e conservato in una cappella, fu deciso l’ampliamento della chiesa (1761). Canonica fu più volte interpellato dalla Fabbriceria: la prima nel giugno del 1814 circa l’eventualità di spostare l’altare più al centro del coro. Il sopralluogo da lui effettuato in quell’occasione determinò forse il successivo progetto di ricostruzione dell’altare maggiore le cui forme rimandano ad analoghi suoi interventi. L’architetto è documentato in due altre occasioni per alcune opere atte ad eliminare l’umidità all’interno della chiesa mentre il 21 dicembre 1815 è registrato un mandato di pagamento a suo favore (La basilica del Crocefisso 2001, p. 68). Nel 1823 fu nuovamente chiamato per definire il progetto della casa parrocchiale e della relativa facciata verso la piazza, autorizzata il 25 agosto 1824 (ASMi, Culto p.m., 942; ASCo, Prefettura, 3916). La pianta D 195 è ARCHITETTURA RELIGIOSA [Luigi Canonica], «Pianta del prospetto esterno della nuova fronte da eseguirsi alla chiesa del S.mo Crocifisso e due dei prospetti laterali», 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 192. forse successiva, ma illustra la demolizione delle preesistenti costruzioni e l’allineamento della nuova casa parrocchiale al viale, attraverso un «grandioso portico in granito il quale entra a formar parte della facciata del tempio» (ibidem). Contestualmente l’architetto ticinese propose il progetto per la facciata della chiesa affiancata da due ali piegate all’interno con portici su pilastri e muratura a bugnato (D 192). Il prospetto, ancora una volta non parallelo alla strada, presentava un primo registro articolato da un pronao esastilo con colonne e trabeazione di ordine corinzio posto al centro, e due campi laterali arretrati, il tutto sormontato da una fascia di attico, sulla quale si impostava un secondo livello, privo di ordini architettonici e limitato solo alla parte centrale, caratterizzato da una grande finestra semicircolare e da un timpano triangolare. Il progetto di Canonica, conservato sia tra le carte personali (ora a Men- drisio e Bellinzona) che presso l’Archivio del Santuario (Gatti Perer nel 1966 segnalava otto disegni), fu criticato aspramente tanto da essere portato a termine solo nel 1844, per poi essere demolito e sostituito dalla facciata disegnata da Luigi Fontana nel 1863. Infatti, nel 1827 Leopoldo Lavelli, architetto incaricato dalla Città dell’allineamento al viale della facciata e del portico settentrionale, osservava l’inutilità («inofficiosa») della loggia superiore al pronao e delle mensole poste al di sotto del timpano, e suggeriva una semplificazione dell’intero prospetto con un pronao tetrastilo coronato da un timpano (30 aprile 1827). Negli stessi anni Melchiorre Nosetti insieme a un ingegnere Turconi, presentava più varianti per allineare il primo ordine del fronte principale al portico con l’eliminazione della fascia di attico e l’inserimento palladiano di due mezzi timpani per raccordare il primo ordine al secondo (una di queste in D 194 indicata co- me «Icnografia del primo progetto Nosetti»). Filippo Scalini, presidente della Fabbriceria, istituì così nel 1833 una commissione composta da professori dell’Accademia di Brera (Giocondo e Ferdinando Albertolli, Amati, Tavani, Moglia, Durelli) per valutare i progetti presentati, che tuttavia scelse il disegno di Canonica (11 luglio 1833) successivamente modificato nel 1836 dopo le critiche di Pestagalli (ASMi, Culto p.m., 942). Nel 1837 (28 gennaio) furono definiti i contratti di appalto e, nonostante la richiesta di sospensione dei lavori sollecitata dall’ingegnere Giuseppe Rienti (autore di tre progetti), l’opera fu collaudata il 27 agosto 1844. Ancora nel 1845 Luigi Tatti suggerì come l’asse della chiesa non avesse nessuna relazione né con i punti cardinali, né con le mura e il viale, e propose una soluzione con l’inserimento di un un corpo cupolato, disegnato in cinque tavole. I danni del terremoto del 1851 e le continue lamentele portarono la Fabbriceria a deliberare il 14 dicembre 1862 la parziale demolizione della facciata e ad approvare il progetto di Luigi Fontana che eliminava il pronao, solo accennato nelle colonne binate poste agli angoli. Disegni Luigi Canonica, Pianta della chiesa e della canonica con le preesistenze, 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 195. Luigi Canonica, «Pianta del prospetto esterno della nuova fronte da eseguirsi alla chiesa del S.mo Crocefisso e dei due porticati laterali, 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 192. Luigi Canonica, «Nuova facciata del santuario del SS.mo Crocifisso in Como», 1824; Archivio del Santuario del Crocifisso, Como. [Luigi Canonica], Prospetto della chiesa con portico laterale, 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 40. Luigi Canonica, Sezione del viale 233 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A con la «fossa della città», 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 191. Luigi Canonica, Dettaglio di un parapetto stradale, 1824; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 193. Bibliografia Odescalchi 1840, p. 25; Cantù 1859, p. 1124; Grandi 1901; Gatti Perer 1966, pp. 231-232; Mezzanotte 1966, p. 296; Ricci 1975, p. 160; Longatti 1979; Soldini 1981[a], pp. 349-351; Soldini 1981[b]; Oltolina 1987; Della Torre 1989, pp. 55-56; Rovi 1992, p. 139; Parisi 1995, pp. 55-56; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 16; La basilica del Crocefisso 2001. (f.r.) Chiesa dei Santi Nazaro e Celso, Brescia 1816 Il 3 maggio 1816 i fabbricieri della Chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Brescia inviarono a Canonica una memoria e alcuni disegni relativamente ad alcune cornici in marmo per cinque tele di Tiziano e al progetto dell’altare maggiore, per un parere circa le opere presentate dagli architetti bresciani Vantini e Vigliani. I fabbricieri aggiungevano che, nel caso l’architetto non avesse trovato i disegni adeguati, avrebbe potuto inviare un suo progetto. Nella risposta, Canonica approvava la «maggiore semplicità e finezza» del progetto di Vantini, suggerendo alcune modifiche al ciborio (l’eliminazione della cornice d’imposta e la zoccolatura all’altezza dei gradini dell’altare) e alla piccola porta arcuata. Per le cornici proponeva invece di alleggerire l’ornato del fregio, eliminando i raggi dorati attorno alla figura dell’Agnello o sostituendoli con alcuni angeli (anche delle cariatidi sui lati) da realizzare in scagliola. Infine esprimeva un parere negativo sulla prevista tribuna dell’altare e sulla scelta dei marmi, suggerendo il «bradiglio» (AMMe, Fondo Canonica, IX, 406-409). (f.r.) Portico laterale della Cattedrale, Cremona 1818 Lo scambio epistolare tra Luigi Canonica e il marchese Giuseppe Picenardi documenta la competenza e l’autorità riconosciute all’architetto, 234 membro dell’I.R. Accademia di Belle Arti e della Commissione d’Ornato di Milano. La «memoria» e l’«amicizia», sottolineate da Canonica in una lettera del 31 agosto 1818 (AMMe, Fondo Canonica, XXX, 433), rievocano un rapporto professionale iniziato, alcuni anni prima, in occasione del progetto per il Teatro della Concordia di Cremona. Nel 1807 il marchese Picenardi, uno dei promotori della costruzione della struttura teatrale e delegato della Società dei palchettisti, aveva sollecitato l’assegnazione dell’incarico all’architetto ticinese. Nell’agosto 1818, egli si rivolse per una seconda volta a Canonica, ora in qualità di fabbriciere delegato della Cattedrale di Cremona, per sottoporre al sapiente «giudizio» dell’abile professionista una questione «in materia di pubblico ornato», confidando nella riconosciuta esperienza di tutela dei canoni formali nell’edilizia pubblica milanese. L’ipotesi di uniformare l’unico arco libero non destinato a bottega nel portico rinascimentale laterale alla facciata del Duomo, chiudendo l’arcata e creando un adeguato atrio di accesso al Torrazzo, venne sottoposta da Giuseppe Picenardi e illustrata, attraverso un disegno allegato, all’I.R. Accademia di Belle Arti di Milano e per conoscenza a Canonica. L’architetto precisò di aver esposto personalmente il progettato intervento di trasformazione dello spazio pubblico cremonese durante una sessione della Commissione accademica di Architettura e comunicò al marchese Picenardi il parere favorevole espresso in forma unanime dall’organismo collegiale. (b.b.) Chiesa di San Celso, Milano 1819-1823 Nei pressi della Basilica romanica di San Celso, sede nel Medioevo di un cenobio benedettino, era stato edificato a partire dalla fine del Quattrocento il Santuario di Santa Maria dei Miracoli, che, ampliato di lì a poco a tre navate, era andato ad aderire alla parete settentrionale della basilica. Soppressi nel 1783 i Canonici regolari cui era stata assegnata da tempo, San Celso rimase aperta al culto fino al 1803 come sussidiaria della Parrocchia di Sant’Eufemia; in seguito fu utilizzata per qualche tempo dal prospiciente Real Collegio degli Orfani militari (ASMi, Culto, p.m., 1566). Nel 1817 la Fabbriceria di Santa Maria dei Miracoli, a conoscenza dell’intenzione del governo di vendere l’edificio, avanzò la richiesta di averlo assegnato a condizioni di favore, se non a titolo gratuito, per potere «colla demolizione […] rimediare ai guasti da essa cagionati al tempio» (28 marzo 1817). Riconosciuti «i pregiudizi che risentono le pitture d’una delle più pregevoli chiese della Capitale per l’umidità cagionata dalla vicinanza» di San Celso, nonché la «particolare divozione» da sempre mostrata dalla casa regnante verso il santuario, veniva comunque bandita un’asta pubblica. Vinta l’asta, la Fabbriceria nel 1819 chiedeva di poter conservare una parte della chiesa, perché questa formava «un necessario sostegno e appoggio al tempio di Santa Maria», adattandola ad oratorio per la dottrina cristiana e le confessioni secondo il progetto di Luigi Canonica. Questo doveva prevedere le opere di demolizione, la formazione di una piazza recintata sull’area ancora occupata dalla chiesa – essendo fallito il tentativo di eliminare una servitù di passaggio sul sagrato – e l’adattamento della porzione restante con la costruzione «di una semplice facciata senza però verun impegno di architettura, venendo in tal modo conservata l’attuale porta […] che può formare un monumento di antichità». Il progetto fu approvato a condizione che, volendo conservare l’antico portale, vi si aprisse tutt’al più una finestra per ventilare il locale. La demolizione, appaltata nel 1820 a Stefano Barnabò, riguardò quattro delle sei campate; solo nel 1823, conclusa una lunga lite con un vicino, veniva terminato il muro di cinta del sagrato. Il portale fu effettivamente trasportato sulla nuova facciata, come attestano Pirovano (1822) e Cassina (II, 1840-1844), che ad esso dedicò una tavola e una breve trattazione storico-critica, ma ulteriori lavori nel 1851 portarono a quella «assennata restituzione dell’antico stile lombardo» lodata per la sua precocità da Mongeri. Bibliografia Pirovano 1822, p. 128; Cassina, II, 1840-1844; Mongeri 1872, p. 224; Caffi 1888, p. 361; Mezzanotte 1966, p. 295; Ricci 1975, p. 160; Soldini 1981[b], p. 193; Ceppellini 1997, p. 169. (n.o.) Chiesa di San Giorgio al Palazzo, Milano 1820-1821 Nel 1820 durante alcuni lavori d’imbiancatura della volta in San Giorgio al Palazzo fu denunciata dal capomastro la pericolosità di tale struttura. Avvisata la Fabbriceria fu eseguito un primo sopralluogo che sentenziò un «originario difetto di costruzione» (ASMi, Culto, p.m., 1540). Fu allora richiesta una perizia a Canonica in base alla quale si decise l’«immediato atterramento della volta medesima per ricostruirla in più solida e regolare forma»; a questa ne seguì una successiva il primo luglio 1820. Gianni Mezzanotte propende per assegnare a Cagnola o all’architetto ticinese il rifacimento interno della chiesa, forse sulla base della testimonianza di Caselli (1827), che precisa: «tutta la chiesa, compresi gli altari, fu rimodernata con divota eleganza nel 1821 con la direzione gratuita del cav. arch. Luigi Canonica», mentre finora l’intervento di quest’ultimo sembra limitato alle fasi iniziali. Bibliografia Caselli 1827, p. 143; Mezzanotte 1966, pp. 295, 344. (f.r.) Pulpito di Santa Maria alla Porta, Milano 1821-1824 La Chiesa di Santa Maria alla Porta, riedificata alla metà del XVII secolo da Francesco Maria Richini, fu una delle rare parrocchiali di Milano a non essere soppressa dal governo austriaco nel 1789. Nell’ampia parrocchia, del resto, sorgevano diverse dimore nobiliari, i cui proprietari contribuivano con larghezza alla manutenzione della chiesa. Non a caso quando la fabbriceria parrocchiale e il parroco Ambrosoli nell’aprile 1823 promossero il rifacimento del pulpito, fu verificato «che in merito all’occorrente spesa […] è capace la rendita di quella chiesa a sostenerla senza alterazione alcuna» e il 14 luglio successivo il governo dava il suo assenso (ASMi, Culto, p.m., 1580). Il nuovo pulpito era parso necessario per l’«angustia» del vecchio, il cui aspetto appariva inoltre «discorde dall’Architettura della Chiesa stessa, oltre d’essere legero [sic] per vetustà». Coerente con le ambizioni dei par- ARCHITETTURA RELIGIOSA Pulpito di Santa Maria alla Porta, Milano, prospetti frontale e laterale e pianta del soffitto della copertura, 1823; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 432. rocchiani fu la richiesta del progetto a Luigi Canonica, come testimoniano i due disegni di Mendrisio (BC 301), uno schizzo datato 1821 e la relativa stesura in bella copia, datata a matita 1823 (BC 432). Canonica, alle prese con l’architettura richiniana, disegnava un solido balcone semiottagonale sostenuto da mensole a volute sovrapposte e sobriamente decorato da rosette entro specchiature quadrate in luogo dei più consueti pannelli figurati; la balaustra della scala era risolta con una semplice sequenza di croci di sant’Andrea in ferro battuto; solo per il capocielo, il cui soffitto era decorato dal consueto simbolo dello Spirito Santo, erano previste a fare da mensole due testine di putto alate da cui pendevano nastri e un festone di frutta echeggianti un tipico motivo decorativo richiniano qui presente nei capitelli e nelle balaustre in pietra dei coretti. L’architetto dovette occuparsi anche della posa in opera: una lettera del parroco alla Commissione d’Ornato lo cita, insieme col capomastro Tomaso Romano, come direttore dei lavori per collocare la scala (14 luglio 1824; ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 15). Forse in oc- casione dei lavori di prolungamento del coro effettuati alla metà dell’Ottocento, si volle sostituire il pulpito di Canonica con quello più articolato e decorato visibile in una foto Lissoni che deve precedere di poco i bombardamenti del 1943. Disegni Luigi Canonica, Schizzi del soffitto del capocielo, del fronte laterale, del soffitto del balcone e metà del prospetto frontale, 1821; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 301. Luigi Canonica, Prospetti frontale e laterale e pianta del soffitto della copertura, 1823; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 432. Luigi Canonica, Pianta, prospetto del soffitto della copertura, 1823; ASTi, Fondo Cattaneo, 1, 19. Luigi Canonica, Pianta e prospetto e particolari, 1823; ASTi, Fondo Cattaneo, 2, 7. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Soldini 1981[b], p. 193; Parisi 1995, pp. 56, 61-62, 65; Parisi, Patetta 1995, p. 41; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 18. (n.o.) Altare maggiore di Santa Maria presso San Celso, Milano 1823-1824 Il Santuario di Santa Maria dei Miracoli, edificato accanto alla Chiesa di San Celso dalla fine del Quattrocento, costituì anche nei secoli successivi uno straordinario cantiere per diverse categorie di artisti impegnati nella definizione e nell’aggiornamento degli apparati liturgici e decorativi. Agli inizi dell’Ottocento fu l’altare maggiore, ricostruito nella sola parte inferiore nel 1731, ad apparire inadeguato: lo sormontavano, infatti, un tempietto con una «Cupola di legno di un disegno eziandio di rozzo stile e disdicevole all’eleganza di tutta la chiesa» e statue in stucco giudicate «vetuste» dalla Fabbriceria (3 febbraio 1824; ASMi, Culto, p.m., 1569). Il prestigioso incarico andò entro il 1823 a Luigi Canonica e i numerosi disegni dell’Archivio del Moderno di Mendrisio mostrano la complessità dell’iter progettuale. Inizialmente fu perseguita l’idea di un altare del tutto nuovo, come mostrano il prospetto D 438 e vari studi incentrati soprattutto sul ciborio che presuppongono tuttavia un altare diverso dall’esistente (BC 326327, 339-342). Fu Canonica stesso in seguito a suggerire di «conservare il resto dell’altare giudicato dei migliori dei tempi nei quali fu eretto […] facendo uso delle colonne, e dei marmi attualmente in opera, non che delle pietre fine esistenti nel Magazzino della Fabbrica» – quali diaspri, ametiste e lapislazzuli – limitando l’intervento al tempietto. Ne scaturì un’opera che, tra i cibori neoclassici ispirati al prototipo tibaldiano del Duomo, spicca per originalità. L’inconsueto impianto ovale (BC 232), definito dopo molti studi, fu scelto forse per coniugare un’altezza congrua con una ridotta superficie d’appoggio, essendo il progetto finale definito dalla Fabbriceria il «più conveniente […] massime attesa la somma angustia del coro» (ibidem). Analogamente, per il disegno delle superfici non modanate, Canonica abbandonò i consueti motivi di ispirazione classica, elaborando diversi schemi geometrici esaltati dalla varietà coloristica delle pietre preziose. Documentati da molti disegni esecutivi – per il basamento, il fregio, il tamburo e l’estradosso della cupola del tempietto e per le basi delle statue laterali (BC 324, 329-334) – essi richiamano abilmente diverse parti della chiesa, dal tiburio all’altare maggiore, già improntate a uno spiccato gusto per la decorazione. Il governo, sottolineando come il progetto riuscisse a coniugare «il decoro e la ricchezza colla economia» (ibidem), lo approvò alla sola condizione che fosse finanziato con gli avanzi di esercizio e nel marzo 1824 fu presentato alla Commissione d’Ornato (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 15, 3). Rispetto alla spesa preventivata – 37.000 lire, di cui 12.000 per la statua del Redentore in marmo di Carrara di Camillo Pacetti da porre sopra il ciborio – furono erogate tra il 1825 e il 1826 più di 58.000 lire (6 giugno 1827; ASMi, Culto, p.m., 1566). Disegni Luigi Canonica, Prospetto di altare con ciborio, [1823-1824]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 438. Luigi Canonica, ciborio a pianta ovale, sezione e pianta del soffitto, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 323. 235 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Luigi Canonica, Basamento del ciborio, schema del motivo decorativo con indicazione dei materiali, [18231824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 324. Luigi Canonica, Pianta e prospetto del basamento del ciborio dietro l’altare, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 325. Luigi Canonica, Pianta di altare con ciborio a pianta ovale, studio, [18231824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10 BC 326. Luigi Canonica, Pianta dell’altare con ciborio a pianta circolare, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 327. Luigi Canonica, Profili delle modanature del basamento del ciborio e del basamento dietro l’altare, [18231824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 328. Luigi Canonica, Basamento e fregio del ciborio e tamburo della cupola del ciborio, schema dei motivi decorativi con indicazione dei materiali, 22 giugno 1823; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 329. Luigi Canonica, Estradosso della cupola del ciborio, schema del motivo decorativo con indicazione dei materiali, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 330. Luigi Canonica, Estradosso della cupola del ciborio, schema del motivo decorativo, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 331. Luigi Canonica, Basamento delle statue poste ai lati del ciborio, schema del motivo decorativo, [18231824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 332. Luigi Canonica, Fregio del ciborio, schema del motivo decorativo, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 333. Luigi Canonica, Tamburo della cupola del ciborio, schema del motivo decorativo con indicazione dei materiali, [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 334. Luigi Canonica, Sagoma dell’architrave e della cornice della trabeazione del ciborio, [1823-1824]; BCAMMe, Fondo Canonica, 10, BC 335. Luigi Canonica, Pianta della scalinata dell’altare maggiore, [1823-1824]; BCAMMe, Fondo Canonica, 10, BC 337. Luigi Canonica, Studio per ciborio a pianta circolare, pianta [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 339. Luigi Canonica, Studio per ciborio a pianta circolare, pianta [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 340. 236 Altare maggiore di Santa Maria presso San Celso, Milano, prospetto, variante, [1823-1824]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 438. Luigi Canonica, Studio per altare con ciborio, prospetto [1823-1824]; BCAMMe, Fondo Canonica, 10, BC 341. Luigi Canonica, Studio per altare con ciborio e tabernacolo, prospetto [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 342. Luigi Canonica, Pianta della chiesa con l’altare maggiore con ciborio a pianta circolare, rilievo [1823-1824]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 345. Luigi Canonica, Prospetto generale con l’indicazione dei materiali, 1824; Milano, Collezione privata. Bibliografia Caselli 1827, p. 83; Cassina, I, 18401844; Cantù, I, 1857-1861, p. 332; Mongeri 1872, p. 232; Rotta 1885, p. 19; Nicodemi 1915; Bertoliatti 1939, p. 170; Mezzanotte, Bascapè 1948, p. 265; L’età neoclassica in Lombardia 1959, p. 76; Mezzanotte 1966, p. 296; Reggiori 1968, p. 51; Mostra dei Maestri di Brera 1975, p. 76; Ricci 1975, p. 160; Soldini 1981[b], p. 193; Fiorio 1985, p. 261; Carubelli 1989, p. 1932; Parisi 1995, pp. 60, 65; Parisi, Patetta 1995, p. 46; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 19; Ceppellini 1997, p. 197; Mazzocca 2001, p. 71; Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, p. 316. (n.o.) Santissima Annunziata del Guastato (Vastato), Genova [1825] Il disegno non datato e titolato «Secondo pensiero per la Facciata della ima Chiesa della SS Annunziata del Guastato» (D 138) documenta il coinvolgimento di Luigi Canonica nella definizione architettonica del fronte della cinquecentesca fabbrica genovese. La volontà del Corpo decurionale di onorare la memoria del solenne pontificale celebrato nella Chiesa della Santissima Annunziata da Pio VII il 4 maggio 1815, si era tradotta nell’ipotesi di trasformazione del portale principale in «monumento pubblico», declinata successivamente in un più articolato disegno per l’intera facciata. La discussione a più riprese relativa ai diversi progetti sottoposti all’amministrazione civica nel luglio 1816, si concluse nel 1834 con l’unanime approvazione del «Progetto di decorazione della facciata» presentato da Carlo Barabino (Palazzo Rosso di Genova, Collezione Topografica, 749), realizzato solo parzialmente, a partire dal 1843, con una serie di varianti introdotte da Giovanni Battista Resasco. L’iter progettuale della facciata dell’Annunziata, segnato nel 1824 da una breve ripresa delle valutazioni sui disegni, suggerisce di collocare l’ipotizzata consulenza di Canonica all’inizio del 1825. Nel mese di febbraio, la fama di esperto nella costruzione di edifici teatrali aveva reso necessaria la presenza a Genova dell’architetto ticinese, invitato per visionare i progetti del Teatro Carlo Felice (vedi scheda in questo stesso volume), la cui realizzazione era stata deliberata dal medesimo Corpo decurionale promotore di un monumentale fronte per l’Annunziata. Sulla base di una significativa seppure limitata esperienza nell’ambito dell’architettura religiosa, Canonica compose il fronte servendosi della diversità di riferimenti iconografici tratti dalla rigorosa applicazione di elementi palladiani accanto a un vocabolario d’ispirazione comunque classicista. Il colonnato di ordine corinzio si innalza su un basamento dal paramento bugnato e si articola nella parte centrale in un pronao aggettante a quattro colonne, ribadito dal disegno della loggia superiore coronata da un frontone, riproponendo alcune scelte già presenti nel progetto tracciato da Barabino nel 1816 (Palazzo Rosso di Genova, Collezione Topografica, 1540) e tralasciando la ridefinizione dei due campanili laterali preesistenti, sostituiti da edicole nella proposta dell’architetto genovese. Il coronamento con statue applicato alle ali laterali dall’architetto tici- ARCHITETTURA RELIGIOSA [Luigi Canonica], «Secondo pensiero per la Facciata della Chiesa della SSima Annunziata del Guastato», Genova, pianta prospetti e sezione della facciata, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 138. nese evidenzia il tentativo di raggiungere un’unità compositiva tra le due parti. Il ricercato legame tradotto da Luigi Cagnola in una plasticità e in una volumetria dettate da un peculiare trattamento delle superfici, rimase insoluto nel disegno di Canonica per la Santissima Annunziata del Guastato a Genova, come avvenne anche nella nuova facciata della Santissima Annunziata a Como dove, negli stessi anni (1824-1839), l’architetto intervenne (vedi scheda in questo stesso volume). Disegni [Luigi Canonica], «Secondo pensiero per la Facciata della Chiesa della ima Annunziata del Guastato»; SS pianta prospetti e sezione della facciata, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 138. Bibliografia Belloni 1965, pp. 258-266; Mezzanotte 1966, p. 286; De Negri 1977[a], pp. 158-160; Soldini 1981[a], pp. 349-352; Soldini 1981[b], p. 193. (b.b.) Chiesa di Santo Stefano Maggiore, Milano 1829 Santo Stefano, antica basilica riedificata una prima volta in epoca medievale, fu oggetto nella prima metà del Seicento di radicali operazioni di rinnovamento. All’inizio dell’Ottocento una nuova serie d’interventi, a partire dagli altari, andò ad aggiornare l’aspetto dell’interno. Nel settembre del 1829 il conte Cesare Rovida, fabbri- ciere, sollecitava Luigi Canonica a presentare il progetto «per qualche abbellimento alla navata maggiore» per la quale l’architetto aveva già assicurato il suo interessamento; Rovida gli manifestava la speranza che il progetto fosse già stato «concepito, e fors’anco compilato» – pur riconoscendo «la molteplicità, e l’importanza de’ continui suoi lavori» – dal momento che la Fabbriceria gli aveva fatto pervenire le misure dell’edificio «dietro i di lei ordini». In realtà, nel luglio dell’anno successivo Rovida, con il conte Antonio Annoni e il duca Visconti, tornava a scrivergli, pregandolo di presentare con urgenza il disegno e la perizia relativi al progetto «delle mezze colonne» del quale avevano discusso verbalmente sul posto, in modo da poter richiedere le licenze e concludere i lavori prima dell’inverno (AMMe, Fondo Canonica, XXXVIII, 467-468). Un solo documento iconografico ci resta dei rapporti intercorsi: si tratta del sintetico ma preciso rilievo in pianta e in sezione della navata maggiore e del presbiterio, conservato presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio (AMMe, 11, D 198) ed eseguito per Canonica da uno sconosciuto professionista, in cui la navata appare delimitata da pilastri polistili con addossate semplici lesene apparentemente prive di capitello, sopra le quali è una cornice che aggetta sui piedritti. Di fatto il nuovo paramento della navata, con semicolonne ioniche reggenti una pesante trabeazione rettilinea, fu realizzato solo due anni dopo su disegno di Gaetano Besia. Nel presentarlo al Governo i medesimi Fabbricieri e il parroco Carlo Romanò precisarono che «vari progetti 237 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A [Anonimo], Santo Stefano, Milano, sezione longitudinale e pianta parziale, [1829-1832]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 198. si sentirono, e si dismessero» (17 febbraio 1832; ASMi, Culto, p.m., 1622). Non pare tuttavia verosimile che Canonica sia mai giunto alla stesura di un disegno; probabilmente proprio quella molteplicità d’impegni cui Rovida faceva riferimento causò un ritardo tale da far infine desistere i fabbricieri. Bibliografia Parisi 1995, p. 62; Parisi, Patetta 1995, pp. 53-54; Buratti, De Leva, Onida 1996, p. 19. (n.o.) Tiburio della Chiesa di Santa Maria presso San Celso, Milano [1834-1835] I documenti conservati presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio attestano un duraturo rapporto professionale che Luigi Canonica intrattenne con la Fabbrica della Chiesa di Santa Maria presso San Celso a Milano. L’architetto, dopo essere stato incaricato di progettare il nuovo ciborio dell’altare della chiesa nel 238 1823 (vedi scheda in questo stesso volume), fu chiamato infatti, a più riprese, come consulente nel restauro statico del tiburio della chiesa eseguito negli anni Trenta dell’Ottocento (AMMe, Fondo Canonica, XV, 8491). Il nucleo originario dell’edificio, innestato su una sistemazione intrapresa nel 1485 di una cappella edificata in età viscontea, era stato costruito all’incirca dal 1493, con il contributo di tre ingegneri, tra cui certamente il Dolcebuono e, dal 1494, Giovanni Antonio Amadeo; l’impianto planimetrico, secondo una ricostruzione critica largamente accettata, era a navata unica con tiburio e coro. La chiesa fu poi ampliata nel primo Cinquecento, con l’aggiunta di due navi laterali, l’ingrandimento del coro e la sostituzione delle volte originarie con una volta a botte lunettata, ma i lavori non dovettero coinvolgere la struttura, la forma e gli elementi decorativi del tiburio; questi, ancora oggi esistenti, furono decisi da Amadeo e Dolcebuono e realizzati tra il 1497 e il 1506 (Patetta 1987, pp. 199-206; Riegel, 2002, pp. 315-337). La volta a padi- glione dodecagonale, fu appoggiata su un volume cubico di 12 metri di lato mediante quattro archi semicircolari e quattro pennacchi a settore di sfera. L’illuminazione della cupola fu garantita all’imposta e alla sommità, rispettivamente mediante l’apertura di dodici oculi circolari e dalla lanterna; esternamente la calotta fu coperta con un tiburio dodecagonale. All’imposta del tiburio fu realizzata una galleria alta circa 3,5 metri (6 braccia milanesi) schermata da bifore costituite da archetti semicircolari di pietra d’Angera appoggiati su una colonna centrale e due semicolonne di serizzo ai lati. Una cornice con modiglioni concludeva superiormente la parete del tiburio e segnava l’imposta delle falde del tetto della copertura. L’intradosso della cupola fu infine decorato da Andrea Appiani, che entro il 1795 realizzò un ciclo di grandiosi affreschi, concordemente ritenuti tra gli esiti più alti del neoclassicismo milanese (Mazzocca 2001, p. 54; Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, pp. 315-325). Nei primi decenni dell’Ottocento sulla cupola si manifestarono estese lesioni che indussero sollecitamente l’amministrazione della chiesa a intraprendere cospicui lavori di restauro e di consolidamento statico, e i documenti conservati a Mendrisio permettono di delineare i principali contorni dell’intervento. L’incarico di sottoporre la volta a minuti controlli, con l’obiettivo di individuare le cause dei dissesti e di proporre i relativi consolidamenti, fu affidato nel 1834 all’architetto ingegnere Giovan Battista Chiappa, probabilmente insieme con l’architetto Giambotti (il cui personale apporto alla vicenda non è possibile però, ad oggi, ricostruire appieno). Chiappa stese una circostanziata relazione sullo stato di fatto e sul degrado della struttura: egli aveva rilevato profonde fessure passanti lungo i meridiani della calotta, in corrispondenza della mezzeria di ogni vela, il cattivo stato delle murature e delle colonnine lapidee della galleria e l’inefficienza degli esistenti presidi lignei e metallici (AMMe, Fondo Canonica, XXXIV, 453; 22 ottobre 1834). Le fessure, probabilmente già evidenti e provvisoriamente stuccate durante i lavori di decorazione settecenteschi eseguiti da Appiani, dovettero accrescersi visibilmente a partire dal gennaio 1835 (AMMe, Fondo Canonica, XXXIV, 455; 27 gennaio 1835); Chiappa, entro il febbraio 1835, ritenne necessario consolidare la calotta mediante l’applicazione di una cerchiatura metallica – appositamente progettata e costituita da dodici pezzi di ferro piegati per assecondare l’angolazione reciproca delle vele (AMMe, Fondo Canonica, XXXIV, 452; 2 febbraio 1833) oltre a rinforzare le murature della galleria e sostituire tutto il materiale lapideo che risultava danneggiato dai dissesti o dall’usura del tempo. I documenti consentono di chiarire che l’amministrazione della chiesa coinvolse Canonica nei lavori di restauro della cupola richiedendo un autorevole parere sulla validità dei presidi strutturali e delle opere di consolidamento proposti da Chiappa. Egli poté valutare il progetto mediante l’esame delle relazioni e dei disegni che gli erano stati trasmessi (motivo per cui tali documenti si ritrovano nel Fondo Canonica di Mendrisio) e a seguito di riunioni e di diversi sopralluoghi compiuti sulla cupola, insieme con lo stesso Chiappa e le maestranze prescelte per l’esecuzione delle opere, tra il 1834 e il febbraio 1835 (16 febbraio 1835; AM- ARCHITETTURA RELIGIOSA ca, è oggi conservata nel Fondo Canonica, presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio (AMMe, Fondo Canonica, LIII, 718). Si tratta della «copia conforme all’originale esistente negli atti dell’Accademia pontificia di Belle Arti di Bologna sotto il di 8 gennaio 1837 al n° 1631» sottoscritta dagli ingegneri Antonio Sem, Carlo Parmiggiani, Francesco Santini, Filippo Antolini e da Antonio Buseli circa il modello e i disegni per il compimento di Santa Lucia, inviata a Canonica per sollecitare un suo parere sui progetti presentati. (f.r.) Chiesa di San Carlo al Corso, Milano 1837 Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 296; Martella 1973, pp. 85-86; Ricci 1975, p. 160; Soldini 1981[b], p. 193. (f.r.) La Commissione di architettura di Brera si riunì il 18 novembre 1836 per esaminare il progetto elaborato da Amati per la Chiesa di San Carlo. Alla riunione parteciparono Luigi Canonica, Gaetano Besia, Alessandro Sanquirico, Gaetano Vaccani, Ferdinando Albertolli, Domenico Moglia, Giocondo Albertolli, Giovanni Migliara e Francesco Durelli. Dalla documentazione conservata emerge che, nel gennaio 1836, Amati aveva fornito alcuni «schiarimenti» a Canonica; questi ultimi potrebbero essere collegati alla relazione, non datata, oggi tra le carte del Fondo Canonica presso l’Archivio del Moderno a Mendrisio, relativa a «Dilucidazioni intorno la distribuzione e quantità della luce ed in conseguenza ventilazione, introdotta nell’interno del progettato Tempio di San Carlo, ed inoltre sul grand’arco che introduce allo spazioso Presbiterio e Coro» (AMMe, Fondo Canonica, IL, 590). Santa Maria presso San Celso, Milano, pianta, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 10, BC 345. Me, Fondo Canonica, XXXIV, 450; s.d. ma autografo;AMMe, Fondo Canonica, XXXIV, 458). L’architetto ticinese condivise appieno le opere suggerite da Chiappa e apportò al progetto della cerchiatura metallica solo alcuni ulteriori ritocchi, come, ad esempio, l’aggiunta di presidi metallici radiali tra la calotta e i pilastri della galleria per migliorare l’azione di contenimento delle spinte. Canonica sostenne inoltre la necessità espressa da Chiappa di contemplare la messa in opera di una seconda catena metallica, contestualmente alla prima, in corrispondenza del coronamento della galleria (AMMe, Fondo Canonica, estremamente ricorrente negli interventi dell’architetto perché replicato, con modeste varianti, negli esempi di Santa Maria presso San Celso a Milano, nella Basilica del Crocifisso a Como, cui possiamo aggiungere l’incerta attribuzione di quello di Santa Maria presso San Satiro. Il modello, certamente non nuovo, è desunto dall’originale pellegriniano per il Duomo di Milano (qui otto le colonne) e dalla lunghissima fortuna nella Diocesi milanese, non ultimo quello disegnato da Carlo Amati per il Duomo di Monza. XXXIV, 457; 13 maggio 1835). I due incatenamenti metallici, insieme con i presidi radiali aggiuntivi, furono realizzati e messi in opera entro l’autunno del 1835. Bibliografia D’Amia 2001, pp. 119-120. Bibliografia Soldini 1981[b], p. 193. Altare maggiore della Chiesa di Santo Stefano, Tesserete (f.r.) (i.g.) Chiesa di Santa Lucia, Bologna 1837 Parte di una relazione sul completamento della Chiesa di Santa Lucia di Bologna, inviata a Luigi Canoni- Tra i diversi interventi di Canonica per edifici religiosi è documentato il progetto realizzato per l’altare maggiore della Parrocchia di Santo Stefano a Tesserete, la chiesa dove fu battezzato il 10 marzo 1764 e destinataria di un lascito testamentario. Il modello a tempietto circolare su sei colonne e coperto a cupola è 239 Progetto di villa con giardino, «Cavaliere Sannazari alla Fontana», planimetria, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 11, D 147. Luigi Canonica e il giardino milanese del suo tempo Margherita Azzi Visentini I cinquant’anni che vanno dal 1790 circa al quarto decennio dell’Ottocento, in cui si colloca l’attività professionale di Luigi Canonica, coincidono con uno dei periodi più vivaci e fecondi della storia del giardino e del paesaggio nel Milanese, in Italia e in tutto il mondo occidentale. Quest’arco di tempo si apre da noi con l’acceso dibattito legato al passaggio dal tradizionale giardino formale, “all’italiana”, a quello irregolare, “all’inglese”, o landscape garden, e si chiude col trionfo del paesaggio pittoresco, che ha ben individuato nei monti della Brianza e nella regione dei laghi lombardi, incorniciati da cime perennemente innevate, siti di particolare rilevanza. Accanto ai giardini di villa e di palazzo, riservati al privato godimento di pochi, fino allora oggetto quasi esclusivo dell’attenzione dei progettisti, si fanno strada nuove tipologie di spazi costruiti e attrezzati a cielo aperto dove la vegetazione svolge un ruolo primario, spazi finalizzati al piacere di tutti, secondo i principi di razionalità, igiene, salute pubblica, decoro urbano e istanze sociali diffusi nell’Illuminismo, situati in città, come è il caso dei giardini pubblici, delle piazze e dei viali alberati, accademie e ospedali, cui si aggiungono centri termali, spazi dedicati allo studio e alla sperimentazione botanica, cimiteri e via dicendo, ma anche alcune strade, come quella, a lunga percorrenza, del Sempione, concepita per ragioni militari, e trasformata quindi, nel corso della sua realizzazione, in uno dei più pittoreschi e celebrati percorsi alpini. Fin dall’indomani della nascita del landscape garden, e poi ancor più col passare del tempo, si è sentita la necessità di arricchire la gamma della vegetazione utilizzata nella costruzione dei giardini, ora per la prima volta lasciata crescere nella sua forma spontanea, ricorrendo a specie vegetali esotiche, che non sempre però erano in grado di sopravvivere ai rigidi inverni europei, per cui le tradizionali serre fredde, o orangeries, per il riparo di delicate specie che vegetano nelle regioni temperate, sono affiancate da altre dove sempre più raffinati ed efficaci sistemi di illuminazione, riscaldamento e umidificazione ricreano il clima tropicale e subtropicale dei luoghi di provenienza di tante piante di recente introduzione, un lento processo che raggiunge il suo apice intorno agli anni Trenta dell’Ottocento. Inoltre, sempre più spesso una parte del giardino viene dedicata alla sperimentazione agricola, abbinando l’utile al diletto, secondo la tradizione della ferme ornée, in un’età in cui, complici anche le dottrine fisiocratiche, si diffondono le accademie agrarie, fioriscono gli studi di agronomia, con conseguenti notevoli progressi tecnici e scientifici nella gestione della terra. Il Milanese ha svolto un ruolo di primo piano in questa delicata fase della storia del giardino occidentale, grazie anche all’apporto di Luigi Canonica, che si è occupato di giardini e spazi costruiti a cielo aperto lun- go tutto l’arco della sua lunga carriera, con un respiro fino a oggi ignorato, come rivelano e confermano le sistematiche ricerche compiute in questa occasione nel ricco Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno, di cui qui si presentano per la prima volta i risultati. Il landscape garden nel Milanese tra teoria e pratica Come è ben noto il landscape garden (letteralmente giardino di paesaggio, controparte di landscape painting, o pittura di paesaggio, e quindi giardino paesaggistico), concepito in Inghilterra dal pittore e disegnatore di arredi William Kent negli anni Trenta del Settecento, quale emblema della libertà che il popolo britannico aveva riacquistato con la Glorious Revolution del 1688, con i giardini delle residenze di Chiswick, Rousham e Stowe, è stato subito diffuso in patria, grazie anche alle descrizioni e vedute dei giardini diventati immediatamente celeberrimi, che si susseguivano aggiornandosi man mano che l’opera veniva arricchita di nuovi elementi (come nel caso di Stowe, per circa trent’anni un incredibile work in progress). Queste guide, scritte per i visitatori, non hanno però avuto grande riscontro all’estero. Per quanto preceduto da un articolato dibattito teorico, avviato da William Temple con Upon the Gardens of Epicurus, scritto intorno al 1685 ma pubblicato nel 1692, e per quanto acclamato con nazionalistico orgoglio come uno dei più originali e duraturi contributi delle isole britanniche all’arte occidentale, il nuovo modo di costruire i giardini ha dovuto quindi attendere fino al 1770 per avere una chiara e sistematica trattazione teorica in grado di trasmetterne i principi e quindi permetterne la diffusione su vasta scala, arrivata finalmente con il volume di Thomas Whately, Observations on Modern Gardening, Illustrated by Descriptions, cui è immediatamente seguito il saggio di Horace Walpole, History of the Modern Taste in Gardening, scritto prima del 1770 e pubblicato nel 1771 negli Anecdotes of Painting, e solo nel 1785 separatamente.1 Whately riconosce a Capability Brown il merito di aver portato alla piena maturità il nuovo giardino sviluppando i principi compositivi enunciati da Kent, che l’autore cerca di individuare deducendoli dalle descrizioni dei più celebri giardini di country houses, senza l’ausilio di illustrazioni dal momento che si trattava di opere notissime ai lettori britannici, cui il volume si rivolge. Walpole invece ripercorre la storia del giardino moderno, attribuendone l’invenzione a Kent che, saltata la siepe, ha scoperto che tutta la natura era un giardino, un’istanza peraltro anticipata da Addison, che, criticando i giardini di Le Nôtre, che sottraevano estesi terreni all’agricoltura, aveva rilevato come, con pochi aggiustamenti, fosse possibile trasformare tutta la campagna coltivata in un ameno giardino. Le Observations, che colmavano una grave lacuna, hanno avuto un notevole successo in patria, 241 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I «La Cuccagna e Tempio illuminato», Feste per le nozze dell’arciduca Ferdinando e Maria Beatrice d’Este, 1771; ollezione privata. Leopoldo Pollack, Disegni per il giardino di Sombreno, «Vigna con pergolo nel mezzo», 1798; collezione privata. con cinque edizioni tra il 1770 e il 1793, mentre già nel 1771 venivano tradotte in francese e tedesco, guidando, e condizionando, la recezione del landscape garden al di là della Manica, cui avevano già aperto la strada scritti quali il poemetto Die Alpen (1732) del bernese Albrecht von Haller, che avvia la scoperta estetica della montagna, e la Nouvelle Héloïse (1764) di Jean Jacques Rousseau, con la celebre descrizione del giardino di Clarins, sul lago di Ginevra, dove, spiega la proprietaria, Julie, tutto sembra opera della natura, mentre in realtà non vi è tratto che non sia stato accomodato dalla mano dell’uomo. Il marchese René Louis de Girardin cerca di seguire l’insegnamento dell’amico Rousseau trasformando in un giardino paesaggistico l’immensa tenuta avita di Ermenonville, a nord di Parigi, secondo i principi esposti nel suo trattato, De la composition des paysages (1777), la cui prima traduzione italiana, Della composizione dei paesaggi sul terreno, curata da G. Agrati, è pubblicata a Milano nel 1819 per i tipi di Nicolò Bettoni, lo stesso editore che nel 1821 stampa, sempre a Milano, Dei giardini e del loro effetto morale, che celebra la concezione del giardino messa a punto negli anni immediatamente precedenti da Giuseppe Jappelli, opera del padovano Andrea Dalla Libera al quale il conterraneo Bettoni aveva dedicato la traduzione del trattato del Girardin.2 Un ruolo fondamentale nella diffusione oltre Manica del landscape garden spetta agli scritti di William Chambers sui giardini cinesi del 1757 e del 1772, che tanto clamore hanno suscitato in patria. Chambers propone infatti una sorta di compromesso in grado di agevolare l’adozione di questo tipo di giardini nel resto d’Europa, rivendicandone l’invenzione alla Cina e non alla sola Inghilterra, prevedendone la realizzazione anche in terreni pianeggianti di limitate dimensioni, e consentendo, e anzi incoraggiando, un eclettismo senza freni, contro il quale si erano scagliati Brown e i suoi seguaci, come il suo capolavoro, i Kew Gardens di Londra, descritti e illustrati nel suo volume del 1763, ben dimostra.3 François-de Paule Latapie, che cura la traduzione francese delle Observations di Whately intitolata L’Art de former les jardins modernes, solleva nell’introduzione all’opera alcune cruciali obiezioni nei confronti del nuovo modo di costruire i giardini che mettono le basi del successivo vivace dibattito, sostenendo tra l’altro che gli spazi a cielo aperto adiacenti le residenze urbane, in genere di ridotte dimensioni e pianeggianti, non si prestano alla costruzione di un landscape garden, e affrontando inoltre il tema del giardino pubblico e delle passeggiate e piazze alberate in città che Whately non aveva trattato, per i quali, come vedremo più avanti, sostiene la validità dell’impianto formale. Sulla convivenza tra i due modi di costruire i giardini si sofferma quindi l’abate Jacques Delille nel suo poema Des jardins (1783), dove giudica ridicolo l’assemblaggio fine a se stesso di eterogenee fabriques in spazi di limitata estensione, e dichiara che «Je ne décide point entre Kent et Le Nôtre. Ansi que leurs beautés, tous les deux ont leurs loix».4 Nella seconda metà degli anni Settanta vengono stampate le prime trattazioni sistematiche sul nuovo giardino prodotte a sud della Manica, due di esse particolarmente ambiziose e impegnative: Détails des nouveaux jardins à la mode, o Jardins anglo-chinois à la mode, curata da GeorgesLouis Le Rouge, e Theorie der Gartenkunst di Christian Cay Lorenz Hirschfeld. La prima, ideata e curata dall’«ingénieur et géographe du Roi», apparsa a fascicoli tra il 1776 e il 1788, è un vastissimo repertorio di immagini, articolato in una serie di 21 quaderni (ciascuno comprendente più di venti tavole, per un totale di 490, alcune composte di svariati soggetti), che coprono assolutamente ogni aspetto del landscape garden. Hirschfeld, docente di filosofia a Lipsia, allievo di Johann Georg Sulzer, che nella voce Giardino della sua Allgemeine Theorie der Schönen Künste (1771) aveva per primo presentato al lettore tedesco il nuovo modo di costruire i giardini, decise di comporre la sua monumentale impresa sulla scia del successo di due brevi scritti sul tema che aveva dato alla stampa rispettivamente nel 1773 e nel 1775. La Theorie der Gartenkunst, in cinque volumi, pubblicati tra il 1779 e il 1785 contemporaneamente in tedesco e in francese, è un’opera complessa nella sua vastità, e risente indubbiamente della mancanza di un ben definito piano iniziale. Come aveva fatto Whately, al quale Hirschfeld deve molto, l’autore tedesco allega alla trattazione generale, articolata per elementi, classi e tipologie, una miriade di descrizioni di singoli giardini, ma anche di siti naturali, dedotte dalle fonti più disparate praticamente in tutta Europa – con l’Italia grande assente –, mentre le immagini sono in parte appositamente eseguite, in parte di eterogenea provenienza. Considera, oltre ai giardini privati, quelli pubblici, passeggiate, cimiteri, università, centri termali ecc., ma anche località pittoresche, e premette alla trattazione un lungo 242 LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO capitolo introduttivo con la storia del giardino occidentale dall’antichità alla fine del Settecento. Cerca di conciliare le opposte concezioni di Whately e di Chambers, di cui allega il capitolo sui giardini dei Designs.5 La Theorie risulta nel suo insieme prolissa e ripetitiva, una caotica miniera di informazioni, eppur validissima, in quanto copre una grave lacuna, e attrae quindi subito grande interesse in vari paesi europei, compresa l’Italia, che finalmente entra in scena, e lo fa alla grande, e con un notevole riscontro, grazie al vivace dibattito sul tema organizzato presso l’accademia di Padova dall’abate Melchiorre Cesarotti. Docente della locale università, e paesaggista dilettante, Cesarotti invita nel 1792 a parlare sul giardino all’inglese Ippolito Pindemonte, appena rientrato da un lungo viaggio oltralpe, cui seguono nel 1796 Luigi Mabil, anche lui docente presso l’ateneo patavino, e quindi il piemontese Vincenzo Malacarne (1796), mentre il Cesarotti stesso svolge il ruolo di moderatore. In realtà il Milanese aveva preceduto di parecchi anni il dibattito padovano, e anche le pubblicazioni di Le Rouge e Hirschfeld, nella diffusione del nuovo giardino in Italia, grazie anche ai diretti rapporti, politici e culturali, con l’impero asburgico. Un primo accenno al giardino “moderno” si trova nella celebre lettera su Le delizie della villa pubblicata nel foglio XV della rivista “Il Caffè” (1764), in cui l’anonimo autore (con tutta probabilità Pietro Verri, direttore del giornale), descrive la villa di un amico, forse solo immaginata, nelle vicinanze di Milano, in Brianza, mentre un altrettanto precoce intervento concreto è realizzato poco dopo nella Villa Arciducale di Monza, realizzata su progetto del Piermarini tra il 1778 e il 1783. Il disegno d’insieme della residenza, imperniato su un asse mediano, rispecchia quello delle regge suburbane di Versailles, di Caserta e di Schönbrunn. E proprio come a Versailles e a Caserta (anche se, a differenza di queste, concepito con l’intero complesso, piuttosto che aggiunto in un secondo momento), e come nella villa immaginata meno di due decenni prima dal Verri, si decide di inserire, su richiesta dell’imperatrice Maria Teresa in persona e in strettissimo contatto con la corte di Vienna, una sezione paesaggistica, ruotante attorno a un frastagliato laghetto, in corrispondenza di un fianco del maestoso complesso.6 Lo Stato di Milano continua ad essere in primissimo piano negli anni seguenti grazie ai marchesi Picenardi che nell’avita residenza delle Torri, alle porte di Cremona, costruiscono dapprima un giardino rovinistico, in cui è esposta parte della loro preziosa collezione di antiche lapidi, de- scritto da Isidoro Bianchi nei Marmi cremonesi (1791) e ricordato dal Pindemonte nella sua relazione del 1792 come uno dei tre giardini moderni italiani a lui noti, con quelli della Reggia di Caserta e di Villa Lomellini a Pegli. Negli anni successivi, probabilmente suggestionati anche dal dibattito padovano, i gemelli aggiungono una seconda sezione, a tema, basata sull’Orlando furioso, come si evince dal fitto carteggio del 1793-1794 tra Luigi Ottavio Picenardi e Saverio Bettinelli. Il marchese, pur aderendo al nuovo gusto, critica l’eclettismo di alcuni esempi lombardi, dove si vedono «infinite […] stramberie affollate insieme senz’ordine», e cerca di ovviare ai due principali problemi che un giardino all’inglese presentava ai suoi occhi, quello cioè di essere costituito di una sequenza di scene «isolate e senza un perché», in assenza di un nesso logico che le collegasse, e quello di risultare di troppo oscura lettura al visitatore non sufficientemente indottrinato. Di qui «il pensiero di ingrandire il mio giardino coll’accrescervi un pezzo Ariostesco, e questo consiste in una valle circondata da boschetti, e da colline in mezzo alla quale vi serpeggia un limpido ruscello bordato da piante e sentieri, ove si incontra una capanna e una grotta».7 Il giardino di Torri, casualmente scoperto nell’agosto del 1814 da Giuseppe Jappelli, che gli dedica una Description…, fa emergere la vocazione per i giardini del grande architetto, che grazie ai marchesi Picenardi è introdotto nell’ambiente intellettuale milanese e visita i giardini, come attesta la lettera del luglio 1815 loro inviata, in cui descrive le sue impressioni sulle celebri isole Borromeo.8 All’ultimo decennio del Settecento risalgono anche i giardini all’inglese dell’eccezionale villa urbana costruita tra il 1790 e il 1793 nel quartiere di Porta Orientale, a Milano, dal viennese Leopoldo Pollack (che si era formato all’accademia della sua città natale prima di trasferirsi a Milano nel 1775), per il feldmaresciallo conte Ludovico Barbiano di Belgioioso. Torniamo ora al dibattito patavino, e all’approccio al nuovo giardino da esso sancito, che è quello di una moderata adesione, con alcune riserve: Pindemonte ritiene che non tutte le situazioni si prestino, e che, per costruire un giardino all’inglese, si debba avere a disposizione un’area sufficientemente ampia, naturalmente movimentata, ricca d’acqua, con una folta vegetazione. Altrimenti meglio optare per un impianto formale. Critica inoltre l’eclettismo fine a se stesso nelle piccole fabbriche, che possono tutt’al più essere lontane nel tempo al sito prescelto, ma mai, assolutamente mai nello spazio, le false rovine e le grotte artificiali: «fortunato chiameremo chi possedesse un vecchio castello, una Gotica chiesa Francesco Piranesi, Veduta di Prato della Valle, Padova, 1786; Padova, Biblioteca Civica. 243 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I Giuseppe Piermarini, «Piano della Cavalchina col nuovo progetto del R.le Palazzo», Milano, 1770; Foligno, Biblioteca Comunale, N4. o altra vera ruina, a cui difficilmente possono somigliar bene gli artificiali diroccamenti» – avverte –, mentre per quanto riguarda “rupi” e grotte, felice «quegli che per sorte le ha, [e] può bene con qualche modificazione farle al suo intento rispondere, ma folle e perduto tentativo sarebbe il voler crearsele».9 Pindemonte e con lui Mabil e Malacarne rivendicano inoltre all’Italia la priorità del giardino irregolare, nella finzione letteraria (Francesco Colonna e Torquato Tasso, oltre all’Ariosto, chiamato già in causa dai marchesi Picenardi, hanno preceduto coi loro poemi il Milton di Paradise lost), ma anche nella pratica operativa, con il Regio Parco di Torino così come è descritto in una lettera di Tasso segnalata dal Malacarne, ritenuta oggi un clamoroso falso. I testi delle relazioni, stampati in forma ridotta a Padova nel 1809, sono poi ripubblicati in una veste più ampia nel 1817. Quello di Pindemonte, di cui una traduzione francese è pubblicata a Parigi nel 1834, forse era noto già prima, e può aver concorso alla rivalutazione della villa italiana, di cui si addita la perfetta integrazione tra edifici, giardino e paesaggio, avviata da Charles Percier e Pierre-François Léonard Fontaine, gli architetti di Napoleone, con Choix des plus belles maisons de campagne de Rome et de ses environs, apparso nel 1809 e di nuovo nel 1824. Intanto, per venire incontro al grande interesse che il dibattito padovano ha suscitato per l’argomento, Mabil decide di curare nel 1801 un’agile, ridotta versione italiana della Theorie di Hirschfeld, emendata delle ridondanti descrizioni che appesantivano l’originale, al quale resta peraltro, come lo stesso Mabil dichiara, assai fedele, anche nel titolo, Teoria dell’arte dei giardini, aggiungendovi solo un nuovo capitolo sulle piante da utilizzare nei giardini, appositamente redatto dal noto naturalista bassanese Giovan Battista Brocchi. Pochi mesi dopo, sempre nel 1801, una seconda versione italiana della Theorie viene 244 data alle stampe a Milano, col titolo Dell’arte de’ giardini inglesi. Il curatore, il nobile milanese Ercole Silva, che preferisce restare nell’anonimato, al contrario del Mabil interviene invece intenzionalmente sull’originale che, anche da lui liberato delle descrizioni e notevolmente sfoltito, utilizza come un canovaccio, riuscendo, con un abile lavoro di taglia e cuci, e con poche seppur significative eliminazioni, aggiunte e modifiche, a piegarlo alla sua causa, l’adesione incondizionata al nuovo gusto, come spiega anche il nuovo titolo da lui dato all’opera. La diffusione nel Milanese del giardino all’inglese è attestata dalle «vedute ricavate da alcune ville de’ contorni di Milano» (e si tratta dei giardini all’inglese delle ville Silva a Cinisello, Reale di Monza, Belgioioso a Milano e Cusani a Desio), incise su rame da Gaetano Ribaldi, che «non hanno descrizione; [e] si sono sparse nell’opera quasi alla ventura, e non si danno che per semplici saggi patrii»10. Il volume curato da Silva non incontra unanime favore, anzi. Contro di esso si scaglia in particolare Pietro Piacenza che, in un suo scritto stampato a Milano nel 1805, rivendica l’invenzione del giardino paesaggistico all’antica Roma, riconoscendo nelle scene teatrali di cui parla Vitruvio, e in particolare in quella “comica” e in quella “satirica o boscareccia”, la base della concezione del giardino moderno, mentre quella tragica avrebbe ispirato il giardino formale. Violentemente criticato, Piacenza sarà difeso da “un amico” con una lettera stampata a Pavia nel 1806, in cui si spiega che il Silva non è stato altro che «lo spositore in italiana favella» dell’opera di Hirschfeld.11 Nel 1813 Silva ritorna all’attacco con una seconda edizione dell’opera che si allontana ulteriormente dal prototipo, rinforzando la sua convinta adesione al nuovo gusto, ma anche puntualizzando in nota, lì dove necessario, ad esempio a proposito di statue e piccole fabbriche, la priorità LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO Leopoldo Pollack, «Piano generale del Palazzo e Giardino all’Inglese di S.E. il Sig. Conte Tenente Maresciallo Ludovico di Barbiano e Belgioioso», 1793; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. italiana dell’invenzione rispetto a quella inglese da lui ribadita, con l’Hirschfeld, nel 1801. Inoltre nell’edizione del 1813 figurano le descrizioni dei quattro giardini del Milanese di cui in quella del 1801 erano state inserite le sole vedute, alcune delle quali vengono leggermente ritoccate in modo da farle rispondere meglio ai principi del nuovo giardino nel frattempo definiti con maggior precisione. È il caso, tra l’altro, della “casa rustica” di Villa Silva a Cinisello, che diventa (con pochi aggiustamenti alla massiccia, quadrangolare mole della fabbrica, cui viene eliminato il tetto a quattro falde, e diroccati in parte i muri su cui son fatti crescere degli arbusti, incastonati alcuni reperti archeologici, probabilmente parte della collezione di antichità del Silva, mentre altri frammenti sono distribuiti alla rinfusa sul terreno circostante, come nel giardino moderno descritto da Verri) il «Tempio di Giano in rovina con addossato casolare», in cui, è riferito nell’allegato testo, ha trovato rifugio una famiglia di pastori in tempo di guerra.12 Gli anni che intercorrono tra le due edizioni della versione del trattato di Hirschfeld curata da Silva (accompagnate dalle polemiche puntualizzazioni del Piacenza e del suo “amico”) coincidono con gli esordi come architetto di giardini di Canonica, che in questo periodo interviene in due, e forse in tre, delle quattro ville i cui giardini sono descritti e illustrati nell’edizione del 1813, quella già Belgioioso a Milano, che ha riadattato a residenza Bonaparte, quella reale di Monza e, probabilmente, nel giardino di Villa Cusani a Desio, passata ai Traversi nel 1817, dove potrebbe spettare all’architetto ticinese l’idea di incastonare nella torretta neogotica frammenti della bella facciata trecentesca della Chiesa di Santa Maria di Brera, di cui nel 1808 viene decretata la demolizione per ampliare l’Accademia di Belle Arti, dal momento che il Canonica ha uti- lizzato elementi della stessa chiesa, tra cui le belle finestre ogivali, per la facciata della cascina San Fedele nel parco di Monza. È pertanto più che probabile che il volume abbia costituito per lui una fondamentale referenza teorica, anche se, come attesta e conferma il ricchissimo fondo ticinese, egli non abbraccia del tutto l’approccio del Silva, secondo cui «non vi è che un solo stile in fatto di giardini (riferendosi a quello paesaggistico), ed i giardini promiscui sono mostri», e anzi, dichiarando che «l’Architettura deve disegnare anche i giardini e presiedere a tutti gli accessori»,13 Canonica ne prende in un certo senso le distanze, per muoversi con disinvoltura anche con progetti formali. La situazione del Silva (che, intimo dell’arciduca Ferdinando e della consorte, coi quali nel 1785 visita la Francia e l’Inghilterra e i rispettivi giardini, si ritira nel 1799 a Cinisello, ufficialmente per ragioni di salute) non doveva certo facilitare un dialogo tra i due, essendo Canonica l’architetto ufficiale del nuovo regime napoleonico, che con Silva aveva emarginato anche il Piermarini, maestro di Canonica, e Pollack. Fino alla caduta di Napoleone, Canonica si occupa soprattutto di importanti residenze ufficiali, come quella Reale di Monza, sicuramente l’opera che lo ha maggiormente impegnato e in cui ha dato il contributo più rilevante e originale, e quella di Bellagio, edificata ex novo dall’Albertolli a partire dal 1808 per il conte Francesco Melzi d’Eril, gran cancelliere del Regno italico, dove per il giardino, che si estende lungo il lago, Canonica (la cui presenza è attestata dal 1811 al 1814) è affiancato dallo stesso Luigi Villoresi con cui collabora a Monza, ma anche nella ristrutturazione della Villa di Stra, scelta come residenza extraurbana da Eugenio di Beauharnais. Con il ritorno degli Austriaci, lasciati i prestigiosi incarichi pubblici, Canonica si occupa vieppiù di ville (e palazzi) e dei ri- 245 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I spettivi giardini, su richiesta di un’eterogenea committenza privata, il cui catalogo risulta notevolmente arricchito dall’esame del diversificato materiale conservato a Mendrisio, che è stato possibile in qualche caso accostare a documenti rintracciati altrove, e in particolare nelle collezioni private degli eredi o successivi proprietari delle residenze. Emerge l’interesse dell’architetto ticinese per il rapporto tra gli edifici e gli attigui spazi progettati a cielo aperto, e tra la villa e il circostante paesaggio, che si gode, oltre che dai piani superiori della casa, da pittoresche torrette belvedere innalzate su collinette. Per le piccole fabbriche distribuite nei giardini sono adottati soprattutto il gotico, il classico e il rustico, mentre l’impianto formale continua ad essere affiancato a quello irregolare, probabilmente assecondando il gusto dei committenti. Canonica si è spesso limitato a ristrutturare preesistenti complessi, aggiustando gli interni, rimodernando e ampliando gli edifici, aggiungendo qualche piccola fabbrica a un giardino già esistente (come nel caso del tempietto di Villa Ol- mo a Como o della torretta belvedere di Villa Visconti di Modrone a Cassago), o trasformando secondo il gusto paesaggistico giardini dall’impianto formale (ad esempio in Villa Rescalli Bellotti, poi Villoresi, a Busto Garolfo, dove è stato possibile ripercorrere l’iter progettuale nelle sue successive fasi, grazie al ritrovamento in una collezione privata di una planimetria dell’intero complesso – che interessa, con la residenza e il giardino, anche il brolo o pomario, e gli assi viari che collegano la villa al territorio – che integra e completa la documentazione dell’Archivio del Moderno). Con il procedere del secolo, sulla scia del dibattito sul pittoresco, l’attenzione si estende dal giardino a quei paesaggi che si riconoscono capaci di suscitare forti emozioni, identificati, nei dintorni di Milano, si diceva, con la Brianza e i laghi, in particolare quello di Como e il Maggiore, descritti da Carlo Amoretti nel suo Viaggio da Milano ai tre laghi, la cui prima edizione risale al 1794, e immortalati nelle vedute di Federico e Carolina Lose, che nel Viaggio pittorico nei Monti di Brianza (1823) paragonano questo distretto a «un immenso deliziosissimo giardino inglese». Tra i tanti artisti stranieri affascinati da dette contrade ricordo solo gli svizzeri Peter Birmann e Johann Jacob Wetzel (Voyage pittoresque aux lacs Majeur et de Lugano, 1816), oltre a Gabriel Ludwig e (Mathias) Gabriel Lory, padre e figlio. Lory figlio è autore di gran parte delle 35 belle vedute che illustrano il Voyage pittoresque de Genève à Milan par le Simplon, l’elegante volume stampato a Parigi nel 1811, che celebra, con la strada del Sempione e Napoleone che ne è stato l’ideatore, al quale l’opera è dedicata, il pittoresco paesaggio che lungo la strada si snoda, e che spazia dagli arditi ponti e trafori alpini all’idilliaco golfo Borromeo con le famose isole dove Canonica ha operato a fianco dello Zanoja al quale è poi succeduto.14 Il giardino e la città Peter Birmann, Isola Madre sur le Lac Maggiore, 1805; da P. Birmann e J.J. Wetzel, Voyage pittoresque aux lacs Majeur et de Lugano, 1816. Mathias Gabriel Lory, Villa Olmo e panorama della città di Como e del Borgovico, 1811; da J.F. Ostervald, Voyage pittoresque de Genève à Milan pour le Simplon, Paris 1811. 246 Tra la fine del Settecento e l’avvio del nuovo secolo si diffondono anche in Italia gli spazi verdi urbani attrezzati per il tempo libero di tutti i cittadini (giardini pubblici, viali alberati e via dicendo, destinati al passeggio e al tempo libero in generale, ma anche agli ingressi trionfali e ad altre cerimonie ufficiali, dove le diverse classi sociali possono partecipare al rito di incontrarsi e farsi vedere, e dedicarsi all’esercizio fisico), da qualche tempo presenti nelle capitali d’oltralpe, come abbiamo sopra accennato. Dell’argomento si occupa la trattatistica a partire dal Latapie (che nella traduzione da lui curata del volume di Whately sostiene la perdurante validità dell’impianto formale, nel nome anche della gloriosa tradizione nazionale avviata nel Seicento da Le Nôtre con i giardini delle Tuileries, fin dall’origine aperti al pubblico, per ragioni estetiche oltre che per motivi di sicurezza, un assunto che lo stesso Whately, interpellato in proposito, approva, in una lettera stampata nell’edizione francese), seguito subito dopo da Hirschfeld, cui si rifanno poi Mabil e Silva nelle rispettive versioni della Theorie, e quindi dal napoletano Vincenzo Marulli, in L’arte di ordinare i giardini, stampato a Napoli nel 1804. Canonica ha portato un rilevante contributo in questo settore dell’arte dei giardini, ancora una volta piuttosto precoce a Milano rispetto ad altri stati italiani, grazie alle iniziative promosse per tempo dal governo asburgico, tra cui le soppressioni di numerose istituzioni religiose, decretate da Maria Teresa a partire dal 1769, con la conseguente alienazione delle loro proprietà, a volte assai estese, all’interno della cinta muraria, in parte adibite a giardini e pubblici passeggi, aprendo la strada alle grandi trasfor- LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO Giacomo Albertolli, Villa Melzi d’Eril, Bellagio (foto L. Mussi). mazioni urbane dell’età napoleonica. La vicina Repubblica di Venezia dovrà attendere l’età napoleonica per veder realizzati per legge i primi giardini pubblici urbani, ai quali sono destinate le aree addossate alle cinte fortificate fino ad allora vincolate dal “guasto”, o quelle rese disponibili dalle soppressioni, a parte alcuni interventi eccezionali, quale Prato della Valle a Padova, realizzato nel 1775. I primi Giardini Pubblici di Milano, quelli di Porta Orientale, sono realizzati intorno al 1786-1787 sull’area inizialmente destinata a un nuovo Palazzo Reale, il cui progetto è affidato nel 1770 al Piermarini. Accantonata l’idea, l’area della Cavalchina viene utilizzata nell’ottobre del 1771 per gli apparati effimeri eretti in occasione delle nozze del granduca Ferdinando d’Asburgo con Beatrice d’Este, curati essi pure dall’architetto folignate, che ha così la prima occasione di cimentarsi con l’arte dei giardini, seppur destinati a durare solo pochi giorni, e realizza varie architetture vegetali, e un tempietto monoptero dedicato a Flora, come cornice dell’ampia sala da pranzo a cielo aperto. Luigi Canonica ha da pochi anni ottenuto il diploma all’Accademia di Brera quando il suo maestro Piermarini è incaricato, su sollecitazione dell’arciduca Ferdinando, di costruire i primi giardini pubblici della città, che oltre all’area già destinata al Palazzo Reale occupano i terreni dei vicini monasteri soppressi di San Dionigi e delle suore Carcanine, ai quali l’architetto conferisce un impianto decisamente formale. Oltre ai giardini pubblici, numerosi altri spazi verdi caratterizzano l’area di Porta Orientale, da cui si diparte la strada per Monza, e quindi per Vienna. Con l’età napoleonica l’attenzione si sposta nella zona settentrionale della città, ruotante attorno al Castello Sforzesco, dove erano le fortificazioni spagnole di cui con decreto napoleonico del 23 giugno 1800 era stata ordinata la demolizione, un’area in cui Canonica, come architetto nazionale, è quasi ininterrottamente presente, in primo piano o dietro le quinte, come spiega esaurientemente la scheda di questo volume dedicata al Foro Bonaparte. Il tema del giardino lo interessa fin dalla prima planimetria del foro, da lui redatta quando Napoleone era ancora primo console, dove, ai lati della rettangolare Piazza d’Armi, figurano due «boschetti per pubblico passeggio» disegnati secondo i principi del landscape garden, di cui quello a est, più ampio, si spinge fino alla Porta Tenaglia, oltre la quale il percorso sembra proseguire lungo le mura, mentre 247 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I nell’altro versante, quello sud occidentale, approda al Portello di Porta Vercellina. Egli riprende quindi l’idea, che ripropone in modo ben più articolato, dopo l’accantonamento dell’avveniristico e ambizioso progetto dell’Antolini, rivelatosi troppo costoso e pertanto destinato a restare sulla carta, che limitava la presenza di giardini a un anello sul retro degli edifici prospicienti il circolare Foro Bonaparte. Canonica al contrario interviene con un progetto disegnato esclusivamente con la vegetazione, costituito da vasti spazi aperti delimitati da alberature, quali la Piazza d’Armi che prosegue, oltre la porta del Sempione (poi della Pace), nell’omonima strada, e da altri più raccolti e diversamente articolati, collegati da ampi, rettilinei viali, singoli o multipli, a raggiera, secondo uno schema che dall’area circostante il Castello si dirama poi a nord fino alla porta e quindi alla strada del Sempione, e a nord est fino e oltre l’Arena, trasformata, grazie all’eccezionale coronamento vegetale costituito da un duplice filare di alberi, in un vero e proprio giardino ellittico sospeso, che richiama alla mente l’anfiteatro di Venere al centro dell’Isola di Citera descritto e illustrato nell’Hypnerotomachia Poliphili. Il leggendario poema allegorico di Francesco Colonna, corredato di interessanti xilografie, stampato a Venezia nel 1499, era stato riportato all’attenzione della critica pochi anni prima, con il dibattito patavino sul giardino all’inglese (e in particolare con l’intervento del Mabil), per rievocare la gloriosa tradizione italiana dell’arte dei giardini, e rivendicare insieme la priorità italiana nell’invenzione di quello paesaggistico. Oltre l’Arena, il viale si immette nei bastioni di Porta Tenaglia, per proseguire lungo le mura attrezzate a passeggi fino a Porta Nuova e raggiungere quindi, più avanti ancora, i giardini di Porta Orientale, secondo un percorso – ben identificabile nella Pianta della città di Milano ordinata nel 1807 agli Astronomi di Brera, realizzata nel 1810 e di nuovo nel 1814 – che avrebbe consentito di spostarsi da una parte all’altra della città lungo un percorso di circa tre chilometri interamente attrezzato a verde urbano. È così straordinariamente anticipata una concezione della città che si affermerà nella seconda metà dell’Ottocento, come attesta tra l’altro il sistema di parchi che circonda il centro di Boston, «Pianta generale del Foro Bonaparte [...] Boschetto per pubblico passeggio», Milano, particolare, 1803; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 3, D 465. 248 ideato da Olmsted, denominato «emerald necklace». La “cintura verde” ideata da Canonica avrebbe dovuto poi estendersi oltre le mura in una fascia di terreno compresa tra il Lazzaretto e il naviglio di Porta Nuova se fosse stato realizzato il progetto per il giardino delle Piante e Menagerie per il quale nel 1808 erano stati incaricati, insieme a Canonica, il Cagnola e lo Zanoja, sul quale più avanti torneremo.15 Con la committenza pubblica anche quella privata investe in giardini urbani che, grazie alle avvenute soppressioni, possono disporre di un’estensione maggiore di quanto fosse fino ad allora generalmente consentito. Il più antico, e celebrato, è quello annesso alla residenza suburbana del conte di Belgioioso a Porta Orientale, progettato dal Pollack, all’ampliamento del quale interverrà Canonica quando questa sarà acquisita da Napoleone; ma molti altri, alcuni fino a oggi inediti o poco studiati, sono gli interventi del Canonica in case e palazzi di Milano e nei loro giardini, dal Litta a corso Magenta al Perego di via Borgonuovo, che i disegni di Mendrisio, integrati con altri materiali, hanno per la prima volta restituito. Vegetazione e serre Fin dall’indomani della nascita del landscape garden si è sentita la necessità di arricchire la gamma della vegetazione utilizzata a scopo ornamentale, dal momento che il numero assai limitato di specie botaniche fino ad allora disponibili, e impiegate nella costruzione di giardini e parchi, per lo più sempreverdi, distribuite a schiera, in filari, per ricavarne architetture vegetali, o a quinconce, non poteva più rispondere ai requisiti del nuovo tipo di giardini, di cui era protagonista indiscusso l’albero e l’arbusto singolo, lasciato crescere liberamente e per la prima volta apprezzato nella sua forma naturale, in quanto emblema di quella libertà che il popolo britannico aveva riconquistato con la Glorious Revolution del 1688. Di qui la appassionata ricerca di nuove specie botaniche ornamentali, dapprincipio soprattutto alberi e arbusti, necessarie per arricchire di nuove forme e colori la tavolozza dell’artista giardiniere, in un primo momento diretta soprattutto alle regioni temperate dell’America settentrionale, da cui pro- LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO «Pianta della Regia Città di Milano rilevata nel 1800», 1807-1809; collezione privata. vengono tra le altre la Magnolia grandiflora e il Liriodrendron tulipifera, ed estesa quindi, con l’inizio dell’Ottocento, a quelle tropicali e subtropicali dell’America centrale e meridionale, a partire dal leggendario viaggio di Alexander von Humboldt in America centrale e meridionale (1799-1804), ma anche al lontano oriente.16 L’acclimatazione di piante esotiche procede parallelamente alla ricerca di più razionali e soddisfacenti criteri di classificazione del mondo vegetale, cui si dedicano lo svedese Carlo Linneo e il francese Joseph Pitton de Tournefort, e alla creazione di orti botanici capaci di accogliere le specie esotiche, attrezzati con serre in cui sono ricreate artificialmente temperatura e umidità delle zone di provenienza. Lo Stato di Milano partecipa a questa esaltante avventura attivamente e in più modi: con la creazione di orti botanici, privati (tra i primi quello di Donato Silva, zio di Ercole, seguito dall’abate Crivelli, che trasferitosi nel 1760 da Vienna a Milano ha portato con sé il gusto per le curiosità botaniche) e pubblici (nel 1774 è fondato, con “sovrana risoluzione” di Maria Teresa, l’Orto Botanico di Brera, che occupa il sito dell’orto del collegio del soppresso Ordine dei Gesuiti, la cui direzione è affidata al padre Fulgenzio Wittman, già professore di botanica all’Università di Pavia, che suggerisce di adottare il metodo linneiano, «che è il più universale», mentre quello di Pavia, cui collabora il Canonica, risale all’età napoleonica); con viaggi di esplorazione botanica, tra i quali quello di Luigi Castiglioni, che in compagnia del fratello visita tra il 1785 e il 1787 l’America settentrionale, rendendone conto nel Viaggio negli Stati Uniti dell’America Settentrionale… Con alcune osservazioni sui Vegetabili più utili di quel Paese, stampato a Milano nel 1790; e quindi con l’introduzione di specie bota- niche esotiche, assai precoce, grazie soprattutto al microclima particolarmente favorevole dei laghi lombardi, e di quello Maggiore in particolare, e che troverà poi nel parco di Monza un ideale campo di sperimentazione. In un breve volger d’anni, nella prima metà dell’Ottocento, il bosco mediterraneo dell’Isola Madre, nel Lago Maggiore, composto soprattutto di allori e cipressi, è trasformato in un’eccezionale raccolta di specie arboree e arbustive esotiche, soprattutto conifere, cui si aggiungeranno in seguito azalee e camelie, incentivando la nascita di attività vivaistiche che si insedieranno negli anni successivi lungo la costa, soprattutto a Pallanza e dintorni. La lettera a Luigi Fajetti, del 22 luglio 1811, in cui Filippo Re descrive Alcune particolarità osservate nella coltivazione dei giardini del Milanese, soffermandosi sulle specie esotiche rinvenute nei dintorni della città, e in particolare nella zona del Lago Maggiore, e a Monza, indugiando sugli esperti che ne sono responsabili, è a tal riguardo particolarmente significativa.17 Il coinvolgimento del Canonica nella redazione di cataloghi di specie vegetali (tra l’altro due di essi, datati 1828 e 1829, riguardano il parco di Villa Olmo a Como, cui si aggiunge quello «delle piante esistenti nel bosco esotico di Vimercate», a Villa De Pietri, di poco successivo) fa capire che l’architetto ticinese deve avere negli anni acquisito sul campo una discreta conoscenza botanica, che la sua formazione non gli aveva dato, per cui a Monza è affiancato da Luigi Villoresi. Per accogliere le piante esotiche vengono via via realizzati nuovi tipi di serre. Gli anni in cui è attivo il Canonica sono cruciali per la storia di questa tipologia architettonica, che, per adeguarsi alle esigenze delle spe- 249 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I Padiglione-serra per un giardino privato, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 11, D 120. cie tropicali e subtropicali introdotte in Europa dopo il 1804, subisce una graduale evoluzione, avvalendosi anche dei nuovi materiali e tecniche costruttive, che raggiungerà la piena maturità tra il 1835 e il 1840, per culminare nel 1851 con il Crystal Palace di Paxton. Si passa così, nell’arco di cinquant’anni, dalle tradizionali serre fredde, destinate a proteggere agrumi e altre specie native di climi temperati, fornite tutt’al più di qualche braciere per riscaldare l’aria, alle serre calde, attrezzate con stufe e sistemi di umidificazione e ventilazione, per le piante subtropicali e tropicali, che vengono in pochi anni perfezionandosi grazie all’uso di vetrate sempre più ampie, dapprima usate solo per i versanti esposti a sud o a ovest, più o meno inclinate per garantire la miglior penetrazione della luce, e quindi anche per le coperture, mentre agili strutture portanti in ferro si sostituiscono ai più ingombranti legno e pietra. Serre calde con facciate in vetro variamente inclinate appaiono già nell’Encyclopédie (1762-1772), e i progressi si susseguono quindi in tempi brevissimi, incalzati dalla necessità. L’Inghilterra è all’avanguardia nella trasformazione di questa tipologia, come lo è nell’introduzione delle piante esotiche. Johan Claudius Loudon affronta il problema in Remarks on the Construction of Hothouses (1817) e in Sketches of Curvilinear Hothouses, dell’anno successivo. Attraverso esempi di transizione, quale la grande serra di Syon House, costruita tra il 1827 e il 1830, in cui classiche strutture portanti in muratura sono sormontate da coperture, tetto e cupola, 250 in ferro e vetro che lasciano filtrare la luce, e la Great Stove o Conservatory di Chatsworth, realizzata in collaborazione da Paxton e Decimus Burton, tra il 1836 e il 1840, un vasto complesso di 83 per 37 metri, per un’altezza totale di 22, in cui 48 pilastri di ferro sostengono la copertura a doppia curva realizzata con costoloni lignei inframmezzati da lastre in vetro di dimensioni inusuali fino ad allora.18 Decisamente più tradizionali le numerose serre progettate da Canonica, tutte in muratura, con muri protettivi sul retro, sistemi di riscaldamento ad aria dal basso o dal retro, mentre i prospetti, rivolti a sud o ovest, retti da colonnine o pilastri, sono traforati il più possibile per far penetrare la luce. Ricordiamo, tra l’altro, la serra neogotica nel giardino di Palazzo Cicogna, quella dei Perego a via Borgonuovo e quella dei Litta, tanto vasta da ospitare memorabili feste notturne, a Milano, con quelle dei giardini delle ville di Busto Garolfo e di Monticello di Brianza, tra le altre. Si tratta di un tipo di serra che trova nei primi decenni dell’Ottocento una sua legittimazione teorica. Sulle stufe si sofferma infatti Marulli nel suo volume del 1804, l’anno stesso in cui appare il bando del concorso per nuove “stufe”, o serre calde dell’Orto Botanico di Padova, i cui caratteri vengono accuratamente fissati nelle “istruzioni”, redatte da Alessandro Barca con Antonio Noale, che lasciano solo pochi margini alla libertà inventiva del progettista, specificando orientamento, articolazione, dimensioni, sistema di riscaldamento e distribuzione interna dell’opera, composta di vari ambienti. La tradizione tuttavia appare ben radicata, se Filippo Re nel Manuale del Giardiniere pratico (1816) sconsiglia i vetri inclinati per le stufe, ritenendoli non necessari al clima del Lombardo-Veneto. Il barone d’Hombres Firmas apprezza le serre padovane, «partagée en sept chambres de différentes grandeurs, qui, par des fourneaux et des conduits souterrains, son chauffées à des températures diverses», che visita nel 1842.19 Non sappiamo se il Canonica si sia occupato anche degli aspetti tecnici delle stufe. I disegni del Fondo Canonica di Mendrisio, attestando tra l’altro la sua paternità riguardo alla stufa della nuova sala da lui progettata per Villa Visconti di Modrone a Besate, inducono tuttavia a pensare a una sua discreta competenza tecnica. Barchi, orti e frutteti: attività venatoria e sperimentazioni agrarie in villa Fin dal tardo Medioevo la caccia ha occupato un posto di primissimo piano tra gli intrattenimenti aristocratici, per cui apposite riserve sono state spesso progettate nelle immediate vicinanze di castelli e ville. Ricordo solo i parchi di Pavia e di Milano voluti dai Visconti e dagli Sforza rispettivamente nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento.20 Analogamente, anche se fin dal tardo Medioevo il giardino era nettamente distinto dall’orto in quanto destinato al puro diletto a prescindere dall’utile, come spiegano i trattatisti, da Pietro De Crescenzi a Vincenzo Scamozzi (1615), la rinascita dell’antica tipologia della villa rustica (che la stampa, a Venezia, nel 1472, dell’editio princeps dei testi di agronomia di Catone, Varrone, Columella e Palladio Rutilio ha indubbiamente influenzato) fornisce l’occasione per sperimentazioni nella gestione agricola del territorio, come nel caso della Villa di Poggio a Caiano, che Lorenzo il Magnifico ha voluto legata a una tenuta modello che aveva nelle cascine il suo fulcro, imitato in questo da altri principi contemporanei, a cominciare dagli Sforza, che creano a tal fine La Sforzesca nei dintorni di Vigevano.21 La caccia, e il rituale ad essa legato, continuano a svolgere un ruolo primario nella vita di corte, e numerose residenze principesche suburbane, tra cui la LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO “corona di delizie” realizzata dai Savoia tra Sei e Settecento attorno a Torino, vengono concepite con questa finalità, senza tuttavia trascurare le sperimentazioni agrarie. Queste ultime conoscono un rinnovato impulso a partire dal secondo Settecento, con la diffusione delle accademie agrarie e di un nuovo, più razionale approccio alla scienze agronomiche che l’Illuminismo ha stimolato. I sovrani utilizzano allo scopo parte delle tenute legate alle loro residenze extraurbane, in alcuni casi, come per esempio a San Leucio e in altre regge borboniche nei dintorni di Napoli (e quindi nella Favorita e a Mombello, nelle vicinanze di Palermo, ma anche nella Toscana dei Lorena), stimolando inoltre lo sviluppo di varie attività manifatturiere.22 Contemporaneamente l’Inghilterra georgiana riconosce precise qualità estetiche al paesaggio agrario, che già nell’Italia del Rinascimento aveva riscosso unanime approvazione. Addison e Shaftesbury all’inizio del Settecento polemicamente contrappongono una campagna ben coltivata, dove l’utile è abbinato al bello, ai giardini del Re Sole, che sottraggono all’agricoltura enormi distese di terreni fertili. Alcuni decenni dopo Capability Brown mette in pratica questi suggerimenti, trasformando, con alcuni (poco appariscenti, ma costosissimi) improvements, la campagna coltivata in un ameno giardino. Utile e diletto si applicano alla grande, ma anche alla piccola scala, sotto forma di ferme ornée, diffusa in Inghilterra e in Francia, e che ha in Italia interessanti applicazioni, tra l’altro nel giardino della villa del senatore Angelo Querini ad Altichiero, nei dintorni di Padova, e in quello della villa di Pietro Pesenti, grande ammiratore di Napoleone (oggi Agliardi), a Sombreno di Paladina, vicino a Bergamo, progettato dal Pollack tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento.23 L’idea di affiancare alla residenza reale di Monza e al suo giardino un’attrezzata riserva di caccia, e quindi anche un’articolata tenuta per sperimentazioni agricole, si accosta pertanto, e in parte anticipa, analoghe iniziative promosse da altri sovrani. Ricordiamo solo gli interventi patrocinati dai Savoia a Racconigi e alla Mandria.24 Canonica si occupa dei vari aspetti dell’ambizioso progetto per un lungo arco di tempo, come attesta la ricchissima documentazione pervenutaci. Lo interessa l’inserimento ambientale della assai vasta proprietà, che si snoda lungo il fiume Lambro per spingersi quindi fino alle pendici dei colli brianzoli, la cui pittoresca veduta si intravede sullo sfondo. Cura la trasformazione in landscape garden del giardino formale progettato dal Piermarini sul retro della reggia, che collega a quello sul fianco della residenza realizzato sempre dal folignate, in cui effettua alcuni aggiustamenti e nuovi interventi. Provvede alla riutilizzazione delle preesistenze architettoniche, in particolare le seicentesche ville, già Durini, di Mirabello e Mirabellino, che riesce a inserire organicamente nel complesso, tramite una rete di lunghi viali rettilinei. Coordina l’articolazione del parco, suddiviso in svariate “colonie” facenti capo a altrettante cascine e fabbricati rustici, per lo più in stile classico o gotico, di cui cura particolarmente il decoro (riutilizzando tra l’altro alcuni elementi di spoglio, come le finestre di Santa Maria di Brera risistemate nella facciata della Cascina San Fedele, cui abbiamo sopra accennato), collegate a sistemazioni paesaggistiche ora decisamente informali, come quella sul retro della seicentesca Villa Mirabello, senza trascurarne la specifica destinazione agricola. Progetta una serie di edifici funzionali e di elementi ornamentali, da serre, mulini e scuderie a portali e cancellate, oltre alle citate cascine. Particolarmente interessante la Cascina Frutteto, inserita al centro del piazzale circolare da cui si dipartono i viali a raggiera del monumentale giardino dei frutti, la cui trama geometrica richiama, Fantasia di una rovina, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 11, D 405. con il progetto del Canonica per il Foro Bonaparte, il tridente di viali che collega Monza alla reggia, con cui spartisce l’asse mediano.25 Analoga trama regolare caratterizza il «progetto per il giardino delle Piante e Menagerie nell’area compresa fra il Lazzaretto e il naviglio di Porta Nuova», a Milano, da lui redatto in collaborazione con lo Zanoja nel 1809 (a differenza di quello, risultato poi vincente, presentato dal Cagnola, dove a una sezione formale ne è accostata una all’inglese), che, come a Monza, sembra suggerire un’estensione degli assi alberati oltre i confini del complesso, fino ad abbracciare il territorio circostante, di qua e di là dalle mura. Il nostro architetto ha continuato a occuparsi di edilizia rurale anche dopo la caduta di Napoleone, tra l’altro con i progetti per la Cascina Camilla nelle proprietà Litta di Lainate, per un mulino, una scuderia e altri fabbricati utilitari nella proprietà Lecchi Greppi a Desio, per quelli relativi a rustici merlati e a una stalla nell’ambito della ristrutturazione del Castello Visconti di Modrone a Cassino Scanasio, e via dicendo. Dallo spoglio sistematico del Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno la figura di Luigi Canonica emerge con uno spessore e una vastità di interessi fino a oggi ignoti, che inducono, con gli approfondimenti e le integrazioni che ora si impongono, a una rilettura critica della storia del giardino e del paesaggio lombardo del suo tempo. 251 M A R G H E R I TA A Z Z I V I S E N T I N I 1. Sulla trattatistica sul giardino inglese tra Sei e Ottocento si veda J.D. Hunt, P. Willis (a cura di), The Genius of the Place. The English Landscape Garden 1620-1820, Elek, London 1975. Sulle fonti europee riguardanti il giardino paesaggistico M. Azzi Visentini, Il giardino veneto tra Sette e Ottocento e le sue fonti, Il Polifilo, Milano 1988, capitoli III e IV, pp. 55-79, e la bibliografia alle pp. 265-273; M. Azzi Visentini (a cura di), L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo, vol. II, Il Polifilo, Milano 1999, pp. 3-71. 2. Sul giardino a Milano tra Sette e Ottocento: G. Galletti, I giardini, in Mostra dei maestri di Brera (1776-1859), catalogo della mostra (Milano 1975), a cura di A.M. Brizio, M. Rosci, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanenti, Milano 1975, pp. 23-30; (Una storia del giardino europeo e) Il giardino a Milano, per pochi e per tutti, 1288-1945, catalogo della mostra (Milano 1986), a cura di V. Vercelloni, L’Archivolto, Milano 1986, pp. 125-247; M. Azzi Visentini, Il giardino lombardo tra XVIII e XIX secolo, in Costruire in Lombardia 1880-1980, vol. V, Impianti sportivi, parchi, giardini, a cura di O. Selvafolta, Electa, Milano 1990, pp. 133-152; M. Azzi Visentini, Garden art in eighteenth century Habsburg Lombardy: from Isola Bella in the Lake Maggiore to the archducal villa of Monza, in The House of Habsburg and Garden Art, atti del convegno (Vienna 2007), a cura di G. Hajos, “Die Gartenkunst”, supplemento, 2008, n. 2, pp. 49-56; e gli atti dei convegni che dal 1998 regolarmente si tengono a Villa Ghirlanda Silva per iniziativa del Centro di Documentazione Storica di Cinisello Balsamo, diretto prima da Gabriella Guerci e quindi da Laura Pelissetti, e pubblicati dapprincipio nei “Quaderni d’Archivio” del Comune di Cinisello Balsamo (nn. 8-10) e, quindi, nella collana “Giardini e paesaggio” delle edizioni Leo Olschki di Firenze. Sulla Villa di Monza e i suoi annessi si veda La Villa Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione Pro Monza, Monza 1984; Il Parco Reale di Monza, a cura di F. De Giacomi, Associazione pro Monza, Monza 1989; G. Anedi, L’immagine della Villa Reale di Monza tra il 1770 e il 1890, in Giardini Regali. Fascino e immagini del verde nelle grandi dinastie. Dai Medici agli Asburgo, catalogo della mostra (Codroipo 1998), a cura di M. Amari, Electa, Milano 1998, pp. 137-148; G. Ricci, “Il primo tra noi a dar saggio de’ giardini inglesi”, in Giardini di Lombardia tra età dei lumi e romanticismo, a cura di R. Cassanelli, G. Guerci (“Quaderni d’Archivio”, 8), Centro di documentazione storica, Cinisello Balsamo 1999, pp. 95-100; Il parco della Villa Reale di Monza al bicentenario della fondazione. Contributi, riflessioni, prospettive, atti del convegno (Monza 2005), a cura di L.S. Pelissetti, Comune di Monza, Monza 2006. Sui protagonisti italiani si vedano ora le “voci” di L.S. Pelissetti, Canonica Luigi, in Atlante del giardino italiano 1750-1940. Dizionario biografico di architetti, giardinieri, botanici, committenti, letterati e altri protagonisti, a cura di V. Cazzato, vol. I, Italia settentrionale, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2009, pp. 232-237 e L. Scazzosi, Silva Ercole, in Atlante del giardino 2009, pp. 287-291. 3. Chambers tratta il tema in un capitolo di Of the Art of Laying Out Gardens among the Chinese, dei suoi Designs of Chinese Buildings, Furniture, Dresses, Machines, and Utensils (London 1757, pp. 14-19), per tornarvi poi, in termini più organici, e polemici, in A Dissertation on Oriental Gardening, del 1772, in cui sostituisce una forte carica polemica nei confronti dell’approccio di Brown alla freschezza del suo primo scritto. Cfr. Cfr. Hunt, Willis 1975. Sulla fortuna europea degli scritti di Chambers si veda Sir William Chambers und der English-chinesische Garten in Europa, atti del convegno (Oranienbaum 1995), a cura di T. Weiss, Hatje, Stuttgart 1997. 4. J. Delille, Les Jardins, ou l’Art d’embellir les paysages [Paris-Rheims 1782], 5a ed., chez Cazin, Paris, 1791, p. 29, versi 4-5. L’opera è stata stampata nel 1792 a Venezia in traduzione italiana, a cura di Antonio Garzia, e di nuovo nel 1794 a Lucca. Sulla fortuna di Le Nôtre e del giardino formale in Francia dal Settecento a oggi si veda M. Mosser, André Le Nôtre: mémoire, mythe, histoire, in Le Nôtre, un inconnu illustre?, atti del convegno (Versailles-Chantilly 2000), a cura di C. Pieri, Monum-Editions du Patrimoine, Paris 2003, pp. 106-119. Sui protagonisti del giardino francese dal Rinascimento al secondo Novecento M. Racine (a cura di), Créateurs de Jardins et de paysages en France de la Renaissance au XXIe siècle, 2 voll., Actes Sud, Arles-Ecole nationale supérieure du paysage, Versailles 2001-2002. 5. Su Hirschfeld si veda l’introduzione di L. Parshall all’edizione inglese, Theory of Garden Art, a cura di L. Parshall, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2001, pp. 1-54. Per gli scritti italiani sui giardini tra Sette e Ottocento si veda Azzi Visentini, II, 1999. 252 6. Per il testo del Verri si veda ora Azzi Visentini, II, 1999, pp. 74-82. 7. G. Pizzamiglio, Reminiscenze ariostesche e tassiane nei giardini di Giuseppe Jappelli, in Giuseppe Jappelli e il suo tempo, atti del convegno (Padova 1977), a cura di G. Mazzi, vol. I, Liviana Editrice, Padova 1982, pp. 377-397; Azzi Visentini 1988, pp. 84-86; P. Carpeggiani, Giardini cremonesi tra ’700 e ’800. Torre de’ Picenardi, San Giovanni in Croce, in Ottocento cremonese, vol. II, Turris, Cremona 1990. 8. La descrizione di Jappelli, manoscritta, e data per dispersa, è stata recentemente ritrovata e ristampata: E. Granuzzo, “Description du Jardin de Picenardes”: un inedito jappelliano?, “Arte Veneta”, 2007, n. 63, pp. 190-202. Per la lettera di Jappelli sulle Isole Borromeo, già nell’Archivio Picenardi e ora in collezione privata, si veda M. Azzi Visentini, Riflessioni intorno a una lettera inedita di Giuseppe Jappelli sulle Isole Borromeo, in Il giardino lombardo tra storia e attualità. Tutela, valorizzazione, restauro, a cura di G. Guerci, (“Quaderni dell’Archivio”, 9), Centro di documentazione storica, Cinisello Balsamo 2000, pp. 23-31; Azzi Visentini, I, 1999, pp. 579-584. 9. Sul dibattito patavino sul giardino all’inglese si veda M. Azzi Visentini, Il giardino paesaggistico tra Sette e Ottocento, in Azzi Visentini (a cura di), L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XX secolo, 2 voll., Il Polifilo, Milano 1999, vol. II, pp. 1-73, 155-214, e la bibliografia ivi citata. 10. Su Ercole Silva si veda G. Venturi, Introduzione, in E. Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi [Milano 1813], a cura di G. Venturi, Longanesi, Milano 1976, pp. 3-31; Ercole Silva (1756-1840) e la cultura del suo tempo, atti della giornata di studio (Cinisello Balsamo 1997), a cura di R. Cassanelli, G. Guerci (“Quaderni d’Archivio”, 5), Comune di Cinisello Balsamo, Cinisello Balsamo, 1998; E. Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi [Milano 1813], ristampa anastatica della 2a ed., a cura di G. Guerci, C. Nenci, L. Scazzosi, L.S. Olschki, Firenze 2002, pp. VII-XXXIV. 11. Per il testo di Piacenza si veda ora Azzi Visentini, II, 1999, pp. 301-306. 12. Per un raffronto tra le due edizioni dell’opera curata da Silva si veda ora Azzi Visentini, II, 1999, pp. 215-273. Nell’edizione del 1813 è inserita anche la descrizione di Ermenonville tratta dalla sopra ricordata opera del marchese di Girardin. La pubblicazione, nel 1815, a Venezia, della traduzione italiana della Theorie chiude il dibattito italiano sull’opera. 13. E. Silva, Dell’arte de’ giardini inglesi, stamperia al Genio tipografico, Milano 1801, p. 364 [Milano 2002, p. 264]; Cfr. Pelissetti 2009. 14. Amplissima la letteratura sul viaggio pittoresco, avviato in Inghilterra dal rev. William Gilpin a metà Settecento e presto diffuso oltre Manica. Si veda Si veda Hunt, Willis 1975; M. Andrews, The Search for the Picturesque: Landscape Aesthetics and Tourism in Britain 1760-1800, Scolar Press, Aldershot 1989. 15. Sui giardini pubblici tra Sette e Ottocento: M. De Vico Fallani, Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento, Newton Compton, Roma 1992; F. Panzini, Per i piaceri del popolo. L’evoluzione del giardino pubblico in Europa dalle origini al XX secolo, Zanichelli, Bologna 1993; La nature citadine au siècle des lumières. Promenades urbaines et villégiature, atti del convegno (Nancy 2005), a cura di D. Rabreau, S. Pascalis, William Blake & Co., Bordeaux 2005, e la bibliografia citata; C. Zaitzevsky, Frederick Law Olmsted and the Boston Park System, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.)-London 1982. 16. A. von Humboldt visita le Canarie, il Venezuela, il Messico, l’Ecuador e il Perù, nel suo viaggio di esplorazione botanica promosso dall’Università di Berlino, a cui partecipa anche il naturalista francese Aimé Bonpland, che al ritorno soprintenderà alla costruzione dei giardini di Malmaison per Giuseppina di Beauharnais, appassionata e competente botanica. 17. F. Re, Di alcune particolarità osservate nella coltivazione dei giardini del Milanese: lettera del Compilatore al sig. Dott. Luigi Fajetti in Reggio (Milano 22 luglio 1811), “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia”, tomo XII, n. 994, 1811, pp. 79-92, ora in Azzi Visentini, II, 1999, pp. 308-316. 18. C. McIntosh, The Greenhouse, Hot House, and Stove, Wm. S. Orr & Co., London 1838; J.W. Thompson, A practical Treatise on the Construction of Stoves and other Horticultural Buildings; and the Principles of Heat as applied to Hot-houses, Conservatories, Green-houses, and all other Horticultural Erections; with useful Remarks and Suggestions on the Fluid employed and the Apparatus best adopted to their Applications, by the Author, London 1838; G. Kohlmaier, B. von Sartory, Houses of Glass. A Nineteenth-Century Building Type [München 1981], The MIT press, Cambridge (Mass.)-London 1986; J. Hix, The Glasshouse [London 1974], Phaidon, London 1996. LU I G I CAN O N I CA E I L G IAR D I N O M I LAN ES E D E L S U O TE M PO 19. L.A. d’Hombres Firmas, Extrait des souvenirs de voyage, “Bulletin de la Société d’Agriculture de l’Hérault”, décembre 1842, pp. 4-7, e M. Azzi Visentini, L’Orto Botanico di Padova nelle testimonianze dei viaggiatori, in I 400 anni dell’Orto Botanico di Pisa. L’orto botanico: il passato chiave per il futuro?, atti del convegno (Pisa 1991), a cura di G. Bedini, F. Garbari, “Museologia scientifica”, a. IX, 1992-1993, n. 1-4, alle pp. 141-143; M. Azzi Visentini, L’Orto Botanico tra Sette e Ottocento: le fabbriche e i giardini, in L. Sitran Rea (a cura di), L’Orto rappresentato. Scienza, didattica e immagine a Padova tra Sette e Ottocento, Biblos, Cittadella 2002, alle pp. 24-28; F. Re, Manuale del giardiniere pratico o sia metodo facile ad ogni dilettante de’ fiori per sapere quello che dee fare nel giardino ogni mese: estratto delle migliori opere scritte da trent’anni a questa parte, per Giovanni Silvestri, Milano 1816. 20. Sulle riserve di caccia tra Quattro e Seicento: Chasses princières dans l’Europe de la Renaissance, atti del convegno (Chambord 2004), a cura di C. d’Anthenaise, M. Chatenet, Actes sud, Arles 2007; H. Brunon, Dalle “fiere non rapaci” ai “fruttiferi e pomati arbori”: Villa Lante a Bagnaia e l’evoluzione del parco nel Rinascimento, in Villa Lante a Bagnaia, atti del convegno (Bagnaia 2004), a cura di S. Frommel, Electa, Milano 2005, pp. 31-43. 21. Sulla complessa organizzazione agricola della tenuta di Poggio a Caiano, voluta e pianificata da Lorenzo il Magnifico rievocando le antiche ville rustiche (su cui indugiano i celebri testi latini di agricoltura di Catone, Varrone, Columella e Palladio Rutilio, la cui editio princeps è apparsa a Venezia nel 1472), e ruotante attorno alle cascine, si veda P.E. Foster, Lorenzo de’ Medici’s Cascina at Poggio a Caiano, “Mitteilungen des Kunsthistorischen Insitutes in Florenz”, a. XIV, 1969-1970, n. 1, pp. 47-56. Si veda inoltre M. Azzi Visentini, La villa in Italia. Quattrocento e Cinquecento, Electa, Milano 1995, pp. 59-72, 326-27, e la bibliografia alla p. 346. 22. Si veda Racconigi. Il castello, il parco, il territorio, a cura del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, Racconigi 1987; M.L. Moncassoli Tibone (a cura di), Venatio Regia. Delizie e cacce nella Real Venaria, Piazza, Torino 1990; A. Rinaldi, La caccia, il frutto, la delizia. Il parco delle Cascine a Firenze, Edifir, Firenze 1995; N. D’Arbitrio, A. Romano (a cura di), “Lo Bello Vedere” di San Leucio e le Manifatture Reali, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1998; L. Zangheri, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, L.S. Olschki, Firenze 2003, pp. 119-157; C. Roggero Bardelli, L’architettura del sovrano nel Piemonte sabaudo: il sistema territoriale della città-capita- le barocca dal palazzo urbano alla “corona di delitie”, “Arte lombarda”, n.s., 2004, n. 141, pp. 5-15; V. Defabiani, “Una nobile ricreatione”: riserve venatorie e controllo territoriale nella capitale sabauda, in Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini ed architetture vegetali nel paesaggio. Metodi di studio, valutazione, tutela, atti del convegno (Cinisello Balsamo 2004), a cura di L. Pelissetti, L. Scazzosi, L.S. Olschki, Firenze 2005, pp. 429-435. 23. Sulla scia della fortuna del modello della ferme ornée, o fattoria ornata, messo a punto da William Shenstone a Leasowes e da Philip Southcote a Woburn Farm, nell’Inghilterra del primo Settecento, e ripreso quindi, al di qua della Manica, si trovano frequentemente nei giardini del secondo Settecento e dell’inizio dell’Ottocento sezioni più o meno estese dedicate alla sperimentazione agricola, come è il caso della villa del senatore Angelo Querini ad Altichiero, nei dintorni di Padova, descritta in J.W. Rosenberg-Orsini, Alticchiero, s.n., Padova 1787, o in quella Pesenti a Sombreno, nei dintorni i Bergamo, il cui giardino, progettato da Leopoldo Pollack che lo ha illustrato in una preziosa serie di disegni, è stato solo in parte realizzato. Si veda M. Azzi Visentini 1988; M. Azzi Visentini, Fermenti innovativi nel giardino veneto del secondo Settecento da Villa Querini ad Altichiero a Prato della Valle, in L’Europa delle corti alla fine dell’antico regime, atti del convegno (Trento 1988), a cura di C. Mozzarelli, G. Venturi, Bulzoni, Roma 1991, alle pp. 249-259; G. Agliardi, Il progetto di Leopoldo Pollach per il giardino di Villa Pesenti-Agliardi a Sombreno. Con un’appendice di documenti inediti, “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 2003, n. 26, pp. 323-351. 24. Si veda, su Racconigi, Marcellino e Giuseppe Roda. Un viaggio nella cultura del giardino e del paesaggio, atti del convegno (Racconigi 2005), a cura di M. Macera, 4 voll., Editrice Artistica Piemontese, Savigliano 2008. 25. L’impianto generale della Cascina Frutteto, magistralmente disegnato da viali alberati, rievoca anche il “visionario” progetto della città operaia di Chaux, ideato da Claude Nicolas Ledoux come cornice delle spettacolari saline reali di Arc-et-Senans, in Francia Contea. La costruzione dell’ambizioso complesso, avviata intorno al 1775, è stata solo in parte realizzata, ma l’opera è accuratamente descritta e illustrata nel trattato L’architecture considerée sous le rapport de l’art, des moeurs et de la législation, pubblicato nel 1804, quando, dopo gli anni critici della rivoluzione, passati in parte in carcere, l’ormai anziano architetto aveva potuto, con l’avvio dell’età napoleonica, riprendere la sua attività. Il volume è dedicato allo zar Alessandro I, allora alleato di Napoleone. 253 Villa Nava, Monticello Brianza; cortile d’ingresso. ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI Catalogo dell’opera Architetture di ville e giardini Villa Vertova Ambiveri, Seriate (Bergamo) 1804 Le prime fonti documentarie risalgono alla fine del XVII secolo quando il fabbricato, di proprietà di Antonio Rognoso, è descritto come casa colonica con annessi rustici e terreni. Nel 1668 tali proprietà furono acquisite da Marcantonio Vertova, ereditate nel 1685 dal figlio Pietro e successivamente dal nipote Marcantonio. La discendenza proseguì con Giuseppe Vertova sino al 1818. Nel 1836 Francesca Bossi, vedova di Giuseppe e beneficiaria di tutti i suoi beni, si sposò con Ottavio Tasca e la villa e i terreni circostanti rimasero in loro possesso fino a quando furono acquistati nel 1889 da Giovanni Ambiveri. Alla morte di quest’ultimo, nel 1942, i beni passarono in proprietà alla figlia Elisabetta e in seguito al Centro Studi Russia cristiana che attualmente occupa l’ala orientale. La “casa padronale”, ereditata alla fine del Settecento da Giuseppe Vertova, si innalzava sulla strada che da Bergamo conduceva al Tonale e alla Mendola, attraversando l’abitato di Seriate. Al di là di questa via e in perfetta corrispondenza con il fronte dell’edificio, si estendeva un ampio giardino. All’inizio dell’Ottocento, come documentato dalla mappa del Catasto napoleonico (1812), la modifica dell’assetto viario divise il giardino nelle due attuali porzioni: la parte maggiore, separata dall’edificio, oltre la strada, è oggi destinata a parco pubblico, mentre la restante, adattata a ingresso e ornata con quinte di sempreverdi, conduce al fronte principale della villa. Quest’ultima si struttura in un corpo mediano contenuto ai lati da due torri timpanate. Tracce di muratura medioevale nella torre a nord-est e lungo la facciata, rinvenute durante gli ultimi lavori di restauro, nonché la presenza di piccole aperture al piano terreno, elevate rispetto alla quota di campagna, rivelano l’antica presenza di un castello che subì progressive trasformazioni fino ad assumere l’attuale conformazione. Durante i primi anni dell’Ottocento la torre medioevale fu inglobata nella facciata e fu costruita ex novo una seconda torre. Il prospetto assunse una rigorosa veste neoclassica definita da quattro lesene di ordine ionico e da fasce marcapiano. Il partito decorativo è costituito da un medaglione centrale con l’effige di Torquato Tasso e da pannelli in metallo con episodi delle Crociate e della Gerusalemme liberata. L’asse mediano è sottolineato dal balcone, con portafinestra centinata, che si estende sul sottostante portale secentesco a bugne di pietra. Da questo ingresso si accede a un portico risalente al XVII secolo, definito dalla successione di volte a crociera. La facciata orientata a sud si apre sulla corte interna racchiusa tra due ali simmetriche le quali, frutto degli ampliamenti intercorsi tra XVII e XVIII secolo, sono costituite da corpi di fabbrica di diversa altezza, digradanti verso il parco. Alcuni ambienti interni documentano vari interventi edilizi attraverso la loro veste pittorica realizzati in parte nell’ultimo quarto del Settecento (Carlo Rancilio e Vincenzo Paolo Bonomini) e in altra parte da anonime maestranze ottocentesche che impreziosirono alcune sale con motivi pompeiani. Due ampie peschiere dotate di fontana separano la corte interna dal parco situato a sud della villa. A ornare il parapetto che le circonda sono stati posti alcuni putti e due grandi statue raffiguranti il Nilo ed il Tevere. In prossimità delle peschiere una coppia di sfingi, risalenti ai primi anni dell’Ottocento, introduce al parco all’inglese. Tre lettere, conservate presso l’Archivio del Moderno (AMMe, Fondo Canonica, XIV, 247, 248, 250), documentano l’intervento di Canonica nel 1804. In data 28 marzo 1804 il conte Giuseppe Vertova scriveva all’allora architetto nazionale sollecitandolo a una visita per esaminare la fabbrica e gli annessi giardini. A questa seguiva una seconda missiva, datata 14 maggio, nella quale il proprietario si lamentava di non avere ancora ricevuto copia della planimetria del giardino. Dichiarava inoltre di avere apportato alcune correzioni al progetto della villa inviatogli da Canonica, segnando in lapis rosso quelle che a suo parere risultavano essere «le migliori distribuzioni […] più comode», lasciando tuttavia all’architetto piena facoltà di non tenere conto dei suoi suggerimenti: «Ella deve ripartire in tutto, e per tutto come crede, né abbadando alle mie aggionte render l’opera fuori di giusta proporzione, o disegno, eseguendo quel solo di mie aggionte, che sarà da Lei creduto al caso». Di nuovo, il 13 ottobre dello stesso anno, Vertova manifestava la propria impazienza in attesa di ricevere al più presto i disegni del giardino. Il progetto non si è conservato e il giardino ha subito una sostanziale trasformazione alla fine dell’Ottocento, quando Giovanni Ambiveri vi istallò un allevamento di bachi da seta, tuttavia la sistemazione all’inglese è ancora oggi visibile nelle tracce dei percorsi sinuosi lambiti da isolate essenze e da macchie di caducifoglie e conifere. Il belvedere e la grotta, realizzati in una collinetta artificiale situata nell’area sud orientale del parco, ne completano la composizione. I progetti per la villa predisposti, come abbiamo visto, da Canonica sono andati persi; tuttavia controversa è l’attribuzione di un disegno forse rappresentante parte del fronte nord (D 249). Assonanze tra lo stato di fatto e lo schizzo risultano evidenti nei partiti decorativi quali i festoni riquadrati a sovrafinestra, le modanature della finestra centrale, le mensole del balcone che sporge dal piano nobile, l’orditura del bugnato al piano terreno, il numero delle campate, il portale d’ingresso e la decorazione caratterizzata da una testa in chiave di volta. Le iniziali di Giovanni Vertova sono rappresentate sulla balaustra del balcone, indicando quindi nel conte il committente; tuttavia potrebbe trattarsi anche di una bozza di progetto per il Palazzo Vertova di Bergamo. Eppure, come suggerito da Cravel (1992, pp. 29-33), troppe sono le analogie ed è difficile non pensare che questo disegno non sia effettivamente uno schizzo per la villa di Seriate, il cui prospetto è stato poi in parte modificato, nel 1838, dall’architetto bergamasco Giovanni Berlendis, su commissione del conte Ottavio Tasca. Tali trasformazioni, oggi ravvisabili nell’effige di Torquato Tasso identica a quella raffigurata nel diploma dell’Ateneo di Bergamo (che Tasca fece conferire all’architetto Berlendis nel 1829), potrebbero avere riguardato il solo partito decorativo senza modificare l’assetto generale voluto da Canonica. All’Archivio del Moderno di Mendrisio sono inoltre conservati numerosi schizzi assegnabili ipoteticamente a Canonica; essi riguardano varie ipotesi progettuali per questo prospetto. Nel disegno D 68, sono rappresentati alcuni prospetti che, per proporzioni e analogie nelle torrette laterali, ricordano la facciata nord di Villa Vertova Ambiveri, nonché i disegni pubblicati a Parigi da Ledoux nel volume Architecture considerée sous le rapport de l’Art, des moeurs et de la législation. Sono presenti coperture a due falde con timpani decorati da piccoli rosoni, come effettivamente realizzato; elementi questi non riportati invece nel disegno D 67 i cui sopralzi coperti da tetti a quattro falde presentano una successione di arcate e pilastrini del tutto identica, per disegno e proporzione, all’attuale. Sul medesimo foglio appaiono anche la sezione e una pianta con l’indicazione «Primo piano superiore verso 255 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Villa dei Cedri Miniscalchi, Colà, Lazise (Verona) 1808?, 1832-1835 Villa Vertova Ambiveri, Seriate [?], studi per il prospetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 348. corte» e «verso giardino» in cui sono rappresentati ambienti di dimensioni simili a quelli oggi presenti tra la facciata nord e il corridoio che si apre sulla corte interna. Il corpo di fabbrica non si estende come l’attuale, ma potrebbe trattarsi del disegno dell’assetto precedente agli interventi di ampliamento voluti da Giuseppe Vertova. Altri disegni conservati nel suddetto archivio potrebbero essere interpretati come soluzioni proposte da Canonica per inglobare nel suo progetto di facciata la torre nordorientale di origine medioevale e le annesse preesistenze secentesche (BC-AMMe, BC 348; BC 409). Disegni Luigi Canonica, Prospetto di una facciata allegato alla lettera di Giu- 256 seppe Vertova, 14 maggio 1804; AMMe, Fondo Canonica, 11, 249. Luigi Canonica, Studi di facciate, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 68. Luigi Canonica, Pianta, prospetti e sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 15, D 67. Luigi Canonica, Studi per il prospetto, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 348. Luigi Canonica, Prospetto, s.d.; BCAMMe, Fondo Canonica, 15, BC 409. Bibliografia Angelini 1962, pp. 5-7; Mezzanotte 1966, pp. 292, 294, 302; Perogalli, Sandri, III, 1969, pp. 205-213; Cravel 1992; Donisi 1994; Resmini 1994-1995, pp. 317-334. (e.g.) A Colà, nei pressi di Lazise, luogo di villeggiatura privilegiato dalle nobili famiglie veronesi, sorge Villa dei Cedri, un articolato complesso comprendente tre corti, diversi edifici padronali e un ampio parco di tredici ettari che degrada lungo i pendii delle colline moreniche. Queste proprietà passarono in eredità dai Giuliari, insediatisi a Colà nel XVI secolo, ai Moscardo nel XVII secolo, fino a giungere nel 1785 al conte Marcantonio Miniscalchi. Nel corso del XX secolo questi beni sono stati dapprima alienati ai baroni Treves de Bonfili, in seguito alla famiglia Solbiati e infine a una Società che ha trasformato l’intero complesso in centro termale. Nel 1808, in occasione del matrimonio tra il conte Luigi Miniscalchi e Marianna Erizzo, ultima discendente di un’illustre famiglia dogale veneziana, si aprì una lunga stagione di lavori tesa a un radicale rinnovamento dell’intera tenuta. Luigi Miniscalchi commissionò a Canonica il progetto della villa, che tuttora si erge accanto all’antica residenza padronale dei Giuliari Moscardo. L’edificio a tre piani si innalza su un basamento a bugnato gentile. Il prospetto principale, orientato verso il parco, segue nelle forme un disegno sobrio e armonico. Tredici campate appena movimentate dalle fasce marcapiano e dalle cornici delle finestre del piano nobile, assumono una composta articolazione nel settore centrale, dove lesene e semicolonne ioniche di ordine gigante reggono il timpano con lo stemma dei Miniscalchi-Erizzo; al di sotto del pronao si aprono tre portafinestre centinate. Rigore compositivo e linearità contraddistinguono il prospetto secondario affacciato sulla corte, dove la reiterazione delle aperture viene interrotta solo da un balconcino con porta ad arco. Gli ambienti interni e i prospetti sono rappresentati nei progetti disegnati da Luigi Canonica nel 1832. Una prima tavola, a matita, china e acquarello, mostra prospetto, pianta e sezione tese a modificare le antiche preesistenze (D 319). L’estensione planimetrica raggiunge solo 9 campate, ma nell’insieme definisce già l’attuale conformazione architettonica. In una seconda tavola (D 323), Canonica disegna in pianta l’attuale estensione dell’edificio, ridotta di due campate. Regolarizza la planimetria, rettifica la distribuzione degli ambienti interni e le loro destinazioni d’uso. Lungo il prospetto principale le finestre del terzo piano assumono la conformazione odierna, mentre i medaglioni, a coronamento delle aperture al piano terra, non vengono realizzati. Il 14 febbraio 1834 Luigi Miniscalchi scriveva a Canonica da Verona: «Un lato della sua fabbrica è completo, sto per principiare il corpo di mezzo […]. Mi trovo molto animato nel lavoro dagli elogi che tutti comportano al suo progetto» e proseguiva domandando «uno schizzo di disegno per le tre porte del lato della principale facciata, che servono da finestre alla sala principale». Richiedeva inoltre disegni per la balaustra in ferro dello scalone e suggerimenti per arredare e decorare alcune sale, nonché diversi accorgimenti tecnici per l’erezione della sua fabbrica «per non deformare per una colpa il bello dell’Invenzione» (AMMe, Fondo Canonica, LIV, 748). Sul verso del foglio D 323 sono abbozzati viali che si inoltrano nel verde, un’idea velocemente schizzata in previsione di un successivo disegno complessivo del parco. Proprio in quegli anni si vanno introducendo essenze pregiate quali i cedri che sopravvivono alle modifiche realizzate entro la metà dell’Ottocento, quando il parco viene attraversato da un complesso sistema di percorsi bordati da piccole rocce naturali, dove punti di sosta e angoli appartati sono segnalati da statue e panchine in pietra, mentre le scalette e le grotte sono rivestite di un impasto di sassi e malta, a rocaille. Nell’area furono inoltre innalzati diversi fabbricati di gusto medievaleggiante e gotico veneziano. Il parco venne anche dotato di una serra calda dalla struttura in ferro e vetro, sormontata da una cupola e limitata alle estremità da due piccole torri adibite a laboratori e ricovero attrezzi; completava la serra una terrazza belvedere dalla quale ammirare l’intero “parco romantico”. Disegni Luigi Canonica, Pianta e prospetti, 1832; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 319. Luigi Canonica, Modanatura delle aperture del piano superiore, 1832; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 319v. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 323. Luigi Canonica, Planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 323v. ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI Villa dei Cedri Miniscalchi, Colà, Lazise, pianta e prospetti, 1832; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 319. Bibliografia La Provincia di Verona 1904, p. 15; La villa nel veronese 1975, pp. 315316; Monicelli 1995; Da Sacco 1998, pp. 78-83; Brugnoli 2001; Ville venete 2003, pp. 256-258. (e.g.) Giardino Palazzo Melzi alla Cavalchina, Milano 1811 Il 16 luglio 1805 Francesco e Luigi Melzi d’Eril acquisirono dal marchese Leopoldo Dal Carretto una possessione nella contrada della Cavalchina posta all’angolo tra lo stradone di Sant’Angelo e la strada della Zecca. Il sito era confinante con la proprietà di Giacomo Greppi e risulta già edificato nel famoso Piano della Cavalchina di Giuseppe Piermarini, dove con la lettera «C» è indicata la «casa de’ ss. Moles». Nel luglio 1808 i Melzi stipularono una convenzione per la chiusura del vicolo di Sant’Angelo, detto anche di Santa Lucia, che tagliava l’isolato, e il 7 marzo 1811 Francesco Melzi acquisì l’ortaglia dell’ex Convento di Sant’Angelo. Il 23 novembre dello stesso anno «desiderando [...] lo stesso sig. duca di Lodi di stabilire una comunicazione immediata tra il giardino proprio e l’ortaglia acquistata passando sul fondo Greppi intermedio» ottenne di poter realizzare un «passaggio pensile» sulla base del progetto elaborato da Luigi Canonica. Il disegno, già pubblicato nel 1987 (Melzi d’Eril 1987, p. 19), riporta una lunga legenda («Tipo dimostrante la pianta ed alzato della strada da eseguirsi nel giardino del sig. cav. Giacomo Greppi per comunicazione del giardino della casa di s.e. il sig. duca di Lodi all’ortaglia altre volte di S. Angelo come nella scrittura di convenzione») e raffigura in pianta e in alzato il manufatto archi- tettonico che simula una grotta con rampe di accesso in rustico. Disegni [Luigi Canonica], «Tipo domostrante la pianta ed alzato della strada»; 1811, Milano, Archivio privato Melzi d’Eril. Bibliografia Melzi d’Eril 1987, pp. 13-19. (f.r.) Giardino di Villa Melzi, Bellagio 1811-1812 Tra il 1808 e il 1815 Giocondo Albertolli fu incaricato dal duca Francesco Melzi d’Eril del progetto della nuova Villa Melzi a Bellagio, curando con Giuseppe Bossi anche la decorazione e l’arredo degli interni. Luigi Canonica è invece indicato dalla storiografia come il progettista, con Luigi Villoresi, degli interventi nei giardini e nel parco. Alla consolidata tradizione storiografica non sono stati finora affiancate prove documentarie, probabilmente da rintracciare nell’Archivio della famiglia a Vaprio. A supporto di tale attribuzione va anche considerata l’attività di Canonica per la committenza Melzi, oltre alla parentesi che lo vede coinvolto, proprio su iniziativa del vicepresidente, nell’organizzazione della Soprintendenza negli anni della Repubblica Italiana: nel 1811 Canonica progetta una «grotta a tre arcate» funzionale all’unione di proprietà Melzi alla Cavalchina separate dal giardino dei Greppi; nel 1812 è autore della ristrutturazione del complesso alla Balla poi trasformato nell’Albergo della Gran Bretagna, una delle proprietà della famiglia Melzi a Milano. Pare dunque probabile (almeno sino a nuovi riscontri documentari) che Canonica, contemporaneamente impegnato nella realizzazione del Parco della 257 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Villa Reale di Monza, ma solo successivamente nell’allestimento di parchi e giardini per committenti privati come le famiglie Cicogna, Visconti di Modrone e Perego, possa essere intervenuto nel disegno complessivo o più semplicemente nella costruzione di serre o nelle scelte delle essenze di questo parco che è organizzato per punti prospettici, privilegiando ora la visuale del lago, ora quella del laghetto giapponese o della passeggiata nel bosco. Bibliografia Melzi d’Eril 1987, pp. 13, 43; Grigioni Della Torre 2001, p. 61; Ossanna Cavadini 2002, p. 129. (f.r.) Casino, Vill’Albese (Como) [1812] La documentazione inedita relativa a questo progetto di Luigi Canonica è conservata tra le carte del fondo Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano (ASMi, Genio Civile, 3154). Il fascicolo («Capitoli d’appalto pel casino a Villa Albese») descrive minuziosamente le operazioni per «l’edificazione d’un casino da effettuarsi sui monti superiori a Villa Albese nelle precise forme e dimensioni dei disegni in pianta ed alzata». La collocazione archivistica e i riferimenti al ruolo di Canonica in qualità di architetto reale annoverano questo progetto fra gli interventi per Eugenio di Beauharnais. Infatti, oltre al palazzo affacciato sul lago di Pusiano (Raimondi Beauharnais), tra i beni che il viceré possedeva come appannaggio personale, sono documentate anche alcune proprietà a Erba e a Vill’Albese (oggi comune di Albavilla). Pochi mesi dopo la chiusura della lunga vertenza relativa al riconoscimento dei beni personali, il 5 ottobre 1816, Eugenio scriveva al suo amministatore a Milano, Francesco Vitali, inviandogli una delega per la vendita delle proprietà di Erba e Vill’Albese (Monaco, Bayerisches Haupstaatsarchiv). Oggi, nessuno tra gli edifici posti nella zona di Albavilla presenta caratteristiche riconducibili al casino descritto nel capitolato e non è stata finora reperita altra documentazione. Il casino, probabilmente mai realizzato, si doveva elevare su un piano interrato (5 locali), un piano terreno e uno di mezzanini. Nella descrizione dei lavori e in quella dei materiali impiegati, di provenienza locale ed economici, sono indicate una «sala elitti- 258 ca» coperta a volta con cupoletta esterna, posta al piano terreno, e alcuni locali, una camera da letto con camino e una piccola cucina. Esternamente il progetto prevedeva una zoccolatura in pietra e la formazione di un «attichetto», «traforato e lavorato come in disegno con sassi coperti da lastre». Un solo disegno tra quelli conservati attualmente presso l’Archivio del Moderno a Mendrisio (AMMe, 7, D 20), finora non riconosciuto, presenta alcune analogie con il progetto del 1812, tuttavia, non ancora sufficienti per la sua identificazione. (f.r.) Villa Arrigoni, Greppi, Casatevecchio, Monticello Brianza (Lecco) [1814; 1829] Nell’ambito dei lavori eseguiti per la famiglia Greppi, Luigi Canonica si occupò anche della casa di villeggiatura sita a Casatevecchio («Casalvecchio» nei documenti), a Monticello Brianza. La proprietà fu acquistata da Giacomo Greppi, «cavaliere della Corona Ferrea», figlio del conte Antonio Greppi, da Galeazzo Arrigoni il 17 marzo 1811 (Mauri, Ronzoni 2003-2004, p. 126). L’incisione di Federico Lose, a distanza di dieci anni dall’acquisto (1823), rivela che la villa aveva assunto l’aspetto attuale nelle sue linee essenziali. L’intervento di Canonica nell’edificio, noto ad oggi solo attraverso le carte conservate a Mendrisio, è documentato da alcune minute di preventivi che, pur non permettendo di ricostruire l’entità complessiva del progetto, consentono d’iniziare a identificarne alcuni puntuali aspetti. I documenti testimoniano l’interessamento di Canonica in relazione a migliorie idrauliche da apportare all’edificio nel 1814; in particolare le carte riguardano i preventivi per la costruzione di una «tromba aspirante e premente» per condurre l’acqua a un cortiletto dell’edificio e al terzo piano della casa, e per il lavamano e il «comodo inglese» dell’appartamento di Paolo Greppi (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 489, 507). L’intervento dell’architetto nella Villa Greppi dovette Casa Greppi alla Maldura, Macherio, pianta, prospetti e sezione di una serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 116. prolungarsi fino almeno al 1829, quando, come indica un altro preventivo conservato a Mendrisio (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 509), egli si impegnò nel disegno dei serramenti per i tre piani su cui si elevava l’edificio. Bibliografia La Brianza vista da Alessandro Greppi 1981, pp. 11-12; Mauri, Ronzoni 2003-2004, pp. 126-143. (i.g.) Scuderie Borromee, Carciano (Verbania) 1818-1820 L’intervento di Luigi Canonica a Palazzo Borromeo all’Isola Bella o alle dipendenze è legato a due occasioni: il completamento dell’edificio delle Scuderie, site a Carciano, dirimpetto all’Isola Bella, e, in Isola, l’esecuzione del porto antistante la piazza (il cosiddetto “Piazzone”), i cui progetti (qualche disegno e frammenti di appunti si trovano nei fondi dell’Archivio Borromeo) purtroppo non andarono a buon fine. ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI I lavori per la scuderia di pertinenza del Palazzo Borromeo furono iniziati su disegno di Giuseppe Zanoja nel 1806 con l’acquisizione e la sistemazione del suolo (ABIB, Stabili, Carciano e Stabili, Stresa, Scuderia) e proseguirono fino al 1817, anno in cui l’architetto morì, lasciando l’opera quasi terminata. Nel 1818 vi subentrò Canonica; «si darà mano a quella piccola opera della scuderia come ha indicato il architetto [sic] Canonica» così scriveva l’agente per le isole della famiglia Borromeo, Giovanni Polli, il 25 novembre 1818 al conte Giberto Borromeo Arese (ABIB, Stabili nei Luoghi, Isola Bella, Agenzia di Isola Bella, Copialettere, Anni 1818-1819-1820-1821). I lavori giunsero quasi a completamento nell’agosto del 1818, ma ancora a fine dicembre Polli comunicava l’esecuzione di due archi, realizzati su disegno dell’architetto ticinese (ibidem). Una nuova fase si ebbe nel 1820 quando Canonica suggerì alcune modifiche al fabbricato (ABIB, Stabili, Carciano e Stabili, Stresa, Scuderia), proponendo di aggiungere una piccola “scuderia” e parte di una “rimessa” per le carrozze; il tutto avrebbe dovuto costituire due ali di prolungamento del corpo maggiore zanoiano (ibidem). Il Polli, ricevuto il progetto per il nuovo corpo di fabbrica, comunicò il proprio parere positivo al conte Giberto nell’aprile del 1820 – «Benché io la ravvisi semplice […] dovrebbe presentare una bella figura […] Piace pure a mastro Domenico» (ibidem) – che preferì rimandare l’esecuzione dell’ampliamento. (c.a.p. - v.c.) Casa Greppi alla Maldura, Macherio (Milano) [1818-1844] Luigi Canonica si occupò per Antonio Greppi anche della Casa alla Maldura, località nei pressi di Macherio. La consistenza dell’edificio, i suoi passaggi di proprietà e le sue vicende edilizie rimangono ad oggi interamente da ricostruire. La letteratura consente di stabilire soltanto che un tempo esisteva una strada che partendo dalla Villa Verri a Biassono portava alla cascina chiamata Maldura, ma non è noto se fosse quella la casa di proprietà Greppi. L’intervento di Canonica, conosciuto ad oggi solo attraverso le carte conservate a Mendrisio (AMMe, Fondo Canonica, XXXIV, 379, 377), è do- dotto anche il particolare di una apertura di serra (D 118v) e di conseguenza la planimetria di un giardino sul recto dello foglio. Disegni Luigi Canonica, Pianta, prospetti e sezione di una serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 116. Luigi Canonica, Planimetria di un giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 118. Luigi Canonica, Particolare di una serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 118v. (i.g.) Villa Visconti di Modrone, Besate (Milano) [1818-1822] Villa Visconti di Modrone, Besate, pianta e sezioni della sala da ballo, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 132. cumentato da una lettera autografa del conte Antonio Greppi – primogenito di Marco, figlio di Antonio (sulla famiglia Greppi si vedano le schede relative ai Palazzi Greppi in contrada Sant’Antonio e in corsia del Giardino) – all’architetto, datata 26 settembre 1818. Dallo scritto si apprende che la Casa alla Maldura era stata ampliata di un intero appartamento nel 1817 e che, con l’ingrandirsi della famiglia, la madre di Antonio Greppi aveva deciso, nell’anno seguente, di accrescere ulteriormente l’edificio alzando «i mezzani sopra il corpo di mezzo». Canonica era pregato di recarsi alla Maldura per verificare che il sopralzo fosse tollerabile per i muri sottostanti e non alterasse «il disegno del tutto». Queste poche indicazioni non consentono di rico- struire l’attività complessiva svolta da Canonica, ma permettono d’iniziare a metterne in luce alcuni primi aspetti. Sembra infatti di poter intuire che l’architetto vi fosse chiamato nel 1818 in veste amichevole di esperto, per dare un parere sulla fattibilità di un sopralzo probabilmente da lui non progettato, anche se è plausibile ipotizzare che fosse stato coinvolto nel precedente ampliamento della casa, o forse anche nella sua sistemazione iniziale. Inoltre, tra i disegni conservati a Mendrisio (D 116) si trova un foglio che riporta l’indicazione «C.a Greppi Maldura» con il progetto (pianta, prospetti e sezione) di una serra lunga circa 30 braccia e un prospetto suddiviso in sette campi. A questo primo disegno potrebbe essere ricon- Villa Visconti di Modrone sorse intorno alla metà del XVIII secolo, nei pressi del Naviglio di Bereguardo. Fin dal XV-XVI secolo la famiglia Visconti possedeva a Besate e nei comuni limitrofi terre, cascine, casolari, in seguito riadattati a ville per amministrare le tenute agricole e a residenze di campagna e casini di caccia. Nel 1746 il principe Filippo di Spagna e il generale De Laghes alloggiarono nella villa, mentre nell’agosto del 1751 l’edificio, descritto come casa signorile disposta su un piano e distribuita intorno a un cortile, denunciava uno stato di degrado avanzato (ASPv, Notarile, 3899). Nel medesimo anno furono probabilmente intrapresi i primi lavori di ristrutturazione, come attestato da una tavella in cotto conservatasi nella pavimentazione del vano di passaggio tra i cortili. Il palazzo conserva intatto il suo schema a U con ali di servizio porticate aggiunte a posteriori, successivamente tamponate e rialzate per essere adibite a uso residenziale. Dall’ingresso, un tempo a esedra com’è ancora visibile nel Cessato Catasto del 1897, si accede al cortile d’onore e da qui ad un portico a sette fornici che occupa tutta la larghezza del fronte principale. Alle estremità del porticato si trovano la scala di servizio e lo scalone a due rampe che conduce al piano nobile. Al piano terreno il salone da ballo, i salotti e la sala da pranzo sono tuttora organizzati intorno a un vano che conduce dalla corte al giardino, attraversando in asse l’edificio. Il salone da ballo, affacciato sul giardino, presenta inalterate le decorazioni neoclassiche e, lungo i lati minori, coppie di colonne di ordine ionico. Cas- 259 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A settoni monocromi corrono lungo i margini del soffitto, al cui centro, su sfondo chiaro, volteggiano figure danzanti tratte dalle pitture di Ercolano. Il salone fu progettato da Canonica entro il primo quarto del XIX secolo. Sappiamo infatti che fu avviata in quegli anni una campagna di lavori di ristrutturazione, di cui è traccia anche in un’iscrizione posta sulla torretta campanaria del tetto. In una lettera, datata 10 dicembre 1818, Giuseppe Monferini scriveva, da Besate, a Luigi Canonica confermando che erano state ultimate diverse «operazioni alle quattro finestre delle stanze rimodernate e addobbate nella scorsa primavera». E ancora, riferendosi ai tendaggi, documentava la presenza di «salette» e della «sala grande verso il giardino» (AMMe, Fondo Canonica, XX, 54). Al 1819 risale invece uno studio del giardino attribuito a Canonica, in cui sono schizzati a matita una porzione di planimetria, poco leggibile, e alcuni edifici medievaleggianti, che forse dovevano trovare ospitalità nel giardino all’inglese (D 63). All’inizio del decennio successivo, Canonica propose alcune soluzioni per il salone da ballo: dapprima una sala ellittica a cui, in una seconda ipotesi, aggiunse le colonne isolate al fine di diaframmare gli spazi, lasciando tuttavia correre la vista oltre la trabeazione lungo tutta l’estensione della volta ribassata (D 435, D 276). Un altro disegno riporta la sala in pianta e prospetto, affiancata da alcuni calcoli e annotazioni dimensionali; l’ambiente assume l’attuale conformazione rettangolare ma è ancora coperto da una volta ellittica abbozzata a matita sulla planimetria, mentre medaglioni raffiguranti volti di personaggi del mondo antico sono visibili in sezione (D 132). Il progetto definitivo, datato 1822, simile ai precedenti ma frutto di ripensamenti, presenta la soluzione realizzata, conservatasi fino ai nostri giorni (D 434). La pianta rettangolare è coperta da soffitto piano, lungo cui corre un fregio continuo che, unitamente alle cornici delle porte e ai diaframmi delle colonne libere, crea un peculiare gioco di chiaroscuri. Incassata in una nicchia si conserva ancora oggi la stufa disegnata da Canonica; questa innovazione tecnologica destinata a soppiantare i camini e testimone della nuova cultura dell’abitare, è presente in tutte le sue soluzioni progettuali del salone, dapprima abbozzata a matita, in seguito definita nei più minuti partico- 260 lari. Si conserva il modano delle basi delle colonne, dei capitelli e della cornice (D 115). Disegni Luigi Canonica, Schizzi di architetture da giardino e planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 63. Luigi Canonica, Modano per basi delle colonne, capitelli e cornice, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 115. Luigi Canonica, Pianta e sezioni della sala da ballo, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 132. Luigi Canonica, Pianta e sezioni della sala da ballo, variante di progetto, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 276. Luigi Canonica, Pianta e sezioni della sala da ballo, varianti di progetto, 1822; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 434, D 435. Bibliografia Perogalli 1961[a], p. 73; Perogalli, Favole 1967, pp. 306, 307; Palestra 1976, pp. 117-118. (e.g.) Porto Isolano, Palazzo Borromeo, Isola Bella (Verbania) 1819-1820 Collocato vicino all’ingresso del palazzo, il porto isolano era stato realizzato nel corso del Seicento e doveva esaltare convenientemente, sin dall’accostarsi dei visitatori, la magnificenza del luogo. Nel 1819 erano in corso i lavori per l’assetto del «piazzone», vicino al portico del Palazzo verso Stresa (ABIB, Stabili nei Luoghi, Isola Bella, Agenzia di Isola Bella, Copialettere, anni 1818-18191820-1821), divenuto di fatto l’ingresso nobile visto che l’ingresso d’onore dal Salone Grande – pensato dal Fontana nel Seicento – non venne mai realizzato. Nel dicembre 1819 l’agente isolano Giovanni Polli informava il conte Giberto di aver ricevuto da Canonica il disegno del porto (ibidem) e, in una lettera del 16 febbraio 1820, ragguagliava il conte dell’imminente arrivo in Isola dei muratori e, al contempo, dell’annunciata visita del contino Vitaliano, accompagnato dall’architetto invitato allo scopo di fornire altre delucidazioni (ibidem). Il 23 febbraio 1820 si mise mano alla fondazione della nuova gradinata, che ascendeva al Piazzone; l’8 marzo la fabbrica del porto progrediva ala- cremente, tanto che un compiaciuto Polli poteva così scrivere al conte Giberto: «Adesso che la gradinata al porto comincia a comparire ad una certa altezza, mi fo il dovere di ragguagliare v.ra Ecc.za che l’opera presenta un bell’aspetto e terminata che sarà non dubito che piacerà a v.ra Ecc.za» (ibidem). Dai documenti si evincono altri dettagli relativi alla forma della scalinata del porto; il Polli, infatti, annotava in una lettera al conte Vitaliano IX: «mi fa un po’ sorpresa che il d. architetto creda d’avermi preso d’arbitrio a far taliegiare lo spigolo dei scalini; forse si sarà dimenticato dell’intelligenza presa da lui con me col capo mastro e collo scalpellino allorquando gli abbiamo fatto presente che lo spigolo acuto di una gradinata contro della quale acostano le barche e molto più in tempo di agitazione di lago, sarebbe stato più durato, come anche esso convenne» (ibidem). Il 9 maggio del 1820 il conte Vitaliano concordò con Canonica per: «scaglioni, colonne e colonnette e pel rastrello» (ABIB, Stabili nei Luoghi, Isola Bella, Fabbriche e Riparazioni, 1771-1867). I lavori continuarono per tutto il 1820 e nel successivo marzo 1821 s’iniziava a «mettere in opera i sassi alle due facciate laterali» della scalinata. Quando fu annunciata la visita del cardinale (probabilmente da individuarsi nel vescovo di Novara, il cardinale Morozzo Della Rocca), all’Isola Bella, nel maggio del 1821 (ABIB, Stabili nei Luoghi, Isola Bella, Agenzia di Isola Bella, Copialettere, anni 1818-18191820-1821), il porto doveva essere terminato, poiché l’altro prelato fu fatto passare sotto un arco trionfale collocato sulla scalinata. Il porto così terminato, comunque, dopo appena quattro decenni circa dalla conclusione dei lavori, subì un rimaneggiamento per rendere più agevole lo sbarco, negando per sempre la monumentale percezione dell’assetto congegnato da Canonica. Bibliografia Pagani 1970-1971. (c.a.p. - v.c.) Villa Nava, Monticello Brianza (Lecco) 1820 Situata in posizione dominante sul colle di Monticello Brianza, Villa Nava, progettata attorno al 1820 da Luigi Canonica, sorge sul sito antica- mente occupato da una torre medievale, edificata con la funzione di avamposto di osservazione a protezione del castello di Torrevilla e probabilmente distrutta nel XIX secolo. Fu Tommaso Nava, la cui famiglia è documentata in loco con possedimenti già nel XVII secolo, a volere la villa affidandone il progetto a Canonica. Impostata su uno schema planimetrico a U, l’edificio si compone di un corpo centrale articolato su tre livelli e di due ali minori a due piani, che danno origine al cortile d’ingresso. La parte centrale presenta un bugnato piano al livello inferiore, in cui si aprono finestre ad arco, mentre i due piani superiori presentano lesene piane di ordine gigante. Le finestre del primo piano alternano timpani triangolari a trabeazioni rettilinee, rette da piccole mensole. Una porzione del giardino, separata dalla villa dalla strada comunale, ospita la serra-limonaia – oggi proprietà comunale e adibita a biblioteca pubblica – disegnata dal conte Ambrogio Nava. La cancellata è stata realizzata in tempi più recenti, quando la villa passò in proprietà a Gerolamo Radice Fossati, che la fece decorare con busti di illustri italiani. Bibliografia Cantù, III, 1857-1861, pp. 941-942; Perogalli, Bascapè 1965; Mezzanotte 1966, pp. 296-297; Bossaglia 1971, p. 242; Costanza Fattori 1980, p. 163; Ville a Lecco 1992, pp. 138-139. (a.c.) Villa Borromeo Visconti Litta, Lainate (Milano) 1820-1828 Pirro I Visconti Borromeo avviò, dopo il 1570, i lavori per la realizzazione di una villa di delizia a Lainate, un progetto che coinvolse diverse generazioni familiari. Pirro si avvalse inizialmente di Martino Bassi, degli scultori Francesco Brambilla e Marco Antonio Prestinari, e dei pittori Camillo Procaccini e Pier Francesco Mazzucchelli, il Morazzone. È certo che la grande fontana era ancora incompiuta attorno al 1720, quando il conte Giberto fece predisporre un grandioso progetto di cui fu costruito soltanto l’edificio a ovest denominato «palazzo settecentesco» o «quarto nuovo» che compare nella mappa del catasto di Carlo VI, datata 1721. Intorno alla metà del Settecento la villa passò in eredità alle figlie di Giulio, Paola e Maria Elisabetta, rispettiva- ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI mente spose del conte Antonio Litta e del marchese Giulio Pompeo Litta. Tra l’ottobre del 1756 e lo stesso mese del 1757 sono segnalati alcuni importanti lavori al giardino e tra 1785 e il 1795 il marchese Pompeo Giulio attuò opere di sistemazione scenografica del giardino moltiplicandone gli effetti prospettici, creando quinte e fondali, costruendo ex novo la facciata del Ninfeo. Al primo decennio del secolo XIX sono documentati i primi rapporti tra il duca Pompeo Litta Visconti Borromeo e Luigi Canonica, in riferimento alla concessione di mutui al nobiluomo da parte dell’architetto ticinese. Il primo mutuo risale all’agosto del 1809, ne seguono numerosi altri nel 1832, 1833 fino a giungere agli ultimi due nel 1836, del 21 e 31 maggio. Inoltre, Canonica compì nel 1820 alcuni lavori al giardino riguardanti un «vialetto e boschetti laterali conducenti dalla sala verde alla nuova grotta [...]». Dalle denunce di migliorie del 1828 risultano eseguiti alcuni interventi per una casa rurale con serra denominata «il palazzo», per il «giardino boscato», per la «Casa del botanico», per un «giardino di botanica», per la casa del fontaniere, per il «giardino alla francese», forse ulteriori opere di Canonica. (p.f.) Belvedere Villa Visconti di Modrone, Cassago Brianza (Lecco) [1820-1830] Villa Visconti di Modrone fu con ogni probabilità fatta erigere nel 1688 da Filippo Maria Pirovano sui resti di un antico castello medioevale. L’edificio e i terreni circostanti passarono in proprietà dalla famiglia Pirovano ai conti di Modrone e successivamente per fidecommesso ai Visconti, che assunsero così la denominazione Pirovano Visconti di Modrone. Il complesso andò distrutto nel 1963 quando l’intera proprietà venne ceduta a una società immobiliare. La villa presentava ancora la secentesca conformazione a U, mentre il grandioso parco, che circondava l’immobile estendendosi lungo il declivio meridionale e orientale della collina di Cassago, fu frazionato e lottizzato. Un’ampia porzione, ceduta all’Amministrazione comunale, e l’intera recinzione settecentesca, che si è conservata integralmente, documentano tuttora la ricchezza d’impianto e l’estensione. Il portale d’ingresso a sud della tenuta riporta le iniziali di Teresa Maria Visconti e la data 1704. È documentato, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, un intervento di Canonica relativo alla formazione di una collinetta nel parco, intervento forse facente parte di un progetto di più ampio respiro. Si sono infatti conservati estratti di spese, minute di calcolo e annotazioni dove è descritto il piccolo belvedere artificiale: «collinetta [...] da disporsi nella forma di un cono tronco con viale a chiocciola in tre giri [...] fino in cima ove si formerà un piazzaletto circolare» (AMMe, Fondo Canonica, XLIV, 479). Nel capitolato d’appalto vengono inoltre descritte minuziosamente le operazioni di fondazione e i materiali impiegati, in particolare pali di legno, murature, nonché terra battuta e fine ghiaia per ricoprire i vialetti. Il documento non è datato, ma identifica il luogo di edificazione del belvedere nel Baciolago, un sito ameno inserito nelle proprietà dei Visconti, di cui possiamo richiamare il ricordo attraverso la descrizione di Cantù (II, 1836-1837): «a Cassago merita di essere veduto il vasto palazzo PirovanoVisconti ed il Baciolago [...] questa deliziosissima collina [...] coi suoi viali a chiocciuola, colla sua vista portentosa, con quel tutto insieme che la rende sì ricercata e vagheggiata». (e.g.) Villa Kevenhüller Visconti di Modrone, D’Adda Parravicini, Como 1823-1825 Il complesso, caratterizzato nel Settecento dalla tradizionale conformazione a U rivolta a nord e dotato di un pregevole giardino-frutteto (ASCo, Catasto teresiano, 1756), fu ceduto dalla famiglia Velzi al cavaliere Aurelio Rezzonico alla fine degli anni Cinquanta del Settecento. Nel 1818 la vedova fu costretta a cedere l’intera proprietà a Maria Kevenhüller, consorte di Carlo Visconti di Modrone, per estinguere i numerosi debiti contratti. L’immobile e le relative pertinenze descritte come «casa di villeggiatura con giardino e darsena» passarono successivamente in eredità al marchese Carlo d’Adda e a Leopolda D’Adda, contessa Brandolin che li cedette a Ignazio Thaon de Revel nel 1902. In seguito alla morte di quest’ultimo (1910), le proprietà passarono in successione agli eredi fino ad essere acquisite nel 1950 dai Parravicini (ASCo, Cessato Villa Kevenhüller Visconti di Modrone, D’Adda Parravicini, Como [?], padiglione da giardino, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 350. Catasto e Catasto dei Fabbricati, Registro delle Partite, 2838, 267, 2999, 3072, 4263). Fu Maria Kevenhüller Visconti di Modrone a commissionare, sembra a Canonica, gli imponenti lavori di ristrutturazione che modificarono l’assetto edilizio precedente, conferendogli l’attuale veste neoclassica. La villa è un elegante edificio a tre piani elevati su una breve scalinata. Il prospetto principale, rivolto a nord verso il lago, presenta un leggero bugnato al piano terreno e un corpo centrale poggiante su un basamento a tre fornici; esibisce un partito di lesene ioniche di ordine gigante sovrastato da un ampio timpano in cui campeggia lo stemma famigliare. Al piano terreno, l’elegante sala delle colonne, la camera da pranzo e la saletta detta del camino conservano inalterati stucchi e decorazioni ottocentesche. Sulla spaziosa corte si affaccia anche una porzione dell’antico fabbricato rustico risparmiato agli «adattamenti e fabbrica eseguiti nella Casa in Borgo Vico di Como» tra il 1823 e il 1825, documentati nella controversia tra la Congregazione municipale di Como e la duchessa Visconti per le presunte «mancanze ed inosservanze ai regolamenti d’ornato portate colla fabbrica» (ASCo, Ornato Pubblico, 1033, 341, 1825-47). Evidenti analogie con villa Nava a Monticello realizzata da Canonica (vedi scheda in questo stesso volume), inducono ad attribuirgli la paternità di questa dimora. L’architetto progettò pure il giardino della villa, ubicato su un terreno di modeste dimensioni fronteggiante il lago. Alla fine degli anni Ven- 261 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A realizzata, su progetto di Piero Portaluppi, la Villa Necchi Campiglio; nella stessa occasione venne acquistata una fascia di terreno che portò il giardino di Casa Cicogna ad ampliarsi verso via Mozart, aperta in quel momento, su cui si affacciava attraverso una monumentale cancellata fiancheggiata dagli emblemi della famiglia. La serra neogotica, di cui si ha il progetto sul verso del medesimo foglio (D 322v), fu ideata, e forse eseguita, come ampliamento di un edificio preesistente, ed è ubicata nella parte est, quella ceduta nel 1925. Per quanto riguarda la presenza di Canonica nel palazzo e il suo intervento nell’edificio è interessante un progetto conservato nell’archivio della famiglia Cicogna Mozzoni, approvato – come si legge sull’elaborato – il 26 luglio 1855, relativo alla facciata verso corso Monforte, la cui veste odierna risale a un intervento eseguito nel XX secolo (Archivio Cicogna Mozzoni, Milano). Il disegno presenta l’esecutivo per una balconata di raccordo del lato verso strada del primo piano del palazzo, precedentemente impostato a U, e reca la dicitura «copia conforme al disegno dell’architetto fu cav. Canonica, ing. G. Balzaretto». Questo foglio testimonierebbe dunque il subentro di Balzaretto nella realizzazione delle opere edilizie, in seguito alla scomparsa di Canonica, e certifica l’esistenza di un progetto di quest’ultimo. Villa Kevenhüller Visconti di Modrone, D’Adda Parravicini, Como, planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 320. ti infatti, l’architetto presentò alla duchessa Visconti il progetto di giardino all’inglese i cui sentieri si conservano tuttora seguendo in parte l’originario disegno (D 320) che riporta anche l’idea per la costruzione di una darsena. Si segnala, inoltre, che un foglio raffigurante un padiglione da giardino, o forse una piccola giostra, reca sul verso l’indicazione «Kevenhueller» (BC 350). sti 1980, pp. 120-122; Giusti 1986, pp. 61, 62; Como e la sua storia, IV, 1994, p. 320; Grigioni Della Torre 2001, pp. 60, 120; Scotti 2004, p. 132. (e.g.) Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 320. Luigi Canonica, Studi per un padiglione da giardino [?], s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 11, BC 350. Luigi Canonica, Studi per la darsena, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 72. Il 24 agosto 1824 la «grande casa da nobile, con giardino e ortaglia, fuori della cerchia del Naviglio, giù dal ponte di San Damiano nel borgo di Monforte al civico n. 227», fu ceduta attraverso asta pubblica dalla contessa Camilla Solaro di Monasterolo, nata Dati della Somaglia, al conte Carlo Cicogna Mozzoni (Archivio Cicogna Mozzoni, Milano). Edificato nel XVI secolo dai fratelli Paolo e Pietro Arrigoni, il palazzo era stata acquistato nel 1596 dal conte Pirro Visconti Borromeo ed era in seguito passato ai Litta Bibliografia L’età neoclassica in Lombardia 1959; Costanza Fattori 1980, p. 154; Giu- 262 Palazzo e giardino Cicogna, corso Monforte, Milano 1824 Visconti Arese e infine ai Dati della Somaglia. Impostato attorno a un cortile quadrangolare, su cui affacciano porticati ad arcate a tutto sesto, il palazzo si completa di un vasto giardino situato nella parte posteriore, organizzato secondo un progetto paesaggistico eseguito da Luigi Canonica, di cui si conserva presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio un disegno preparatorio (D 322). Canonica interviene in questo edificio per la famiglia Cicogna dopo il 1824 (Archivio Cicogna Mozzoni, Milano). Fitte alberature schermavano il perimetro del giardino, che presentava una forma a L. Al suo interno, vaste aree erbose erano solcate da percorsi sinuosi. L’intervento di Canonica si rintraccia ancora nell’odierno stato dei luoghi, malgrado la riduzione della sua estensione; il complesso è stato infatti privato di una larga area a est, alienata in seguito al «Piano di Edificazione in terra Sola-Busca», progettato nel 1925 da Aldo Andreani. Su tale area venne Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 322. Luigi Canonica, Pianta, prospetto e sezione della serra, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 322v. Bibliografia Mezzanotte 1966, p. 294; Kannès 1977, pp. 171-186; Patetta, Parisi 1995, p. 72. (a.c.) Villa Menafoglio, Litta Visconti, Panza di Biumo, Biumo, Varese 1824-1832 Costruita dalla famiglia Orrigoni nella prima metà del Settecento in posizione dominante rispetto al borgo sottostante, la villa fu ampliata nella seconda metà del secolo, su progetto di Giuseppe Bianchi, dal marchese Paolo Antonio Menafoglio che l’aveva acquistata nel 1748; alcuni cicli decorativi furono affidati a Pietro Anto- ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI ne è raffigurato nel ritratto del duca Pompeo Litta, dipinto da Matteo Picasso attorno al 1832, e conservato presso l’Ospedale Maggiore di Milano (oggi in esposizione presso il Museo di Milano; Panara 2004). La costruzione della sala per i ricevimenti comportò la ristrutturazione di altri ambienti: al piano terreno, nelle sale dell’ala sud fu creata una scenografica enfilade che, partendo dal salone, attraversava il gabinetto (oggi camerino impero), un’altra sala, il salone di rappresentanza, la sala del biliardo e di conversazione, per concludersi infine nella veduta panoramica delle Alpi, inquadrata dal prospettico corridoio del carpineto esterno. Disegni Luigi Canonica, Planimetria della villa e dei rustici, [1833-1834]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 315. Luigi Canonica, Studio per specchiera, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 2, 2. Luigi Canonica, Studi per decorazioni interne, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 12, BC 68, BC 69. Bibliografia Parisi 1995, p. 62; Magnifico, Borromeo Dina 2001. (p.f.) Giardino e Villa Annoni, Cuggiono (Milano) 1825 Palazzo Cicogna, Milano, planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 8, D 322. nio Magatti, mentre risultano numerose le spese per la realizzazione del giardino. Nel 1783 la villa di Biumo fu acquistata dal marchese Benigno Bossi, da questi nel 1814 passò a Gaetano Landriani che, a sua volta, la cedette al conte Giuseppe Schinchinelli di Cremona, il cui figlio Alessandro la vendette nel 1823 al duca Pompeo Litta Visconti, già proprietario della villa di Lainate. Alla sua morte, nel 1835, la villa fu ereditata dal figlio maggiore Antonio e nel 1866 dalla sua vedova Isolina Prior che ne sarà proprietaria fino al 1901. Successivamente il nipote di quest’ultima venderà la villa alla famiglia Panza di Biumo che a sua volta la devolverà al Fondo Ambiente Italiano. A partire dal 1824, sulle acquisite proprietà Biumi e Trivulzio da parte di Pompeo Litta Visconti, i rustici furono oggetto di un intervento di ricostruzione e al loro posto fu realizzato un unico edificio di servizio, su due piani, allineato con la villa, con un portico al piano terreno e una scuderia al termine perpendicolare a questo. Il progetto con l’indicazione delle preesistenze demolite, redatto da Luigi Canonica, è oggi conservato presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio (D 315). Contestualmente il vasto parco a nord fu ridisegnato all’inglese da Canonica, pur rispettando e mantenendo i due assi prospettici principali caratterizzati dalle due grandi fontane centrali. Si vennero così a creare vaste zone verdi e luoghi romantici come la collina destinata a ospitare la grotta per la ghiacciaia in cima alla quale si trovava un tempietto classico, mentre rimase immutato il parterre geometrico di fronte alla villa, chiuso dal lungo volume della carpinata. Nel 1830 l’edificio della villa, articolata secondo uno schema a U, fu ampliato con la costruzione di un nuovo fabbricato a un solo piano destinato a ospitare la sala per i ricevimenti. La datazione di questo nuovo corpo di fabbrica, posto perpendico- larmente alla facciata principale, è attestato anche dalla data “1830” leggibile sulla lapide esterna della facciata, mentre una data “1831” è posta sulla trabeazione interna. Questa nuova fabbrica occupa una parte dell’originario tracciato rettilineo della strada della Crosa, che venne ridisegnato con un’ampia curva sull’area del Gado. Canonica progettò il “padiglione” a un unico piano, con forme regolari e prospetto verso il giardino scandito al centro da tre arcate cieche contenenti portefinestre. All’interno è racchiuso un ambiente a pianta ovale con colonne di ordine corinzio sormontate da una trabeazione. Il soffitto piano è affrescato con motivi decorativi a chiaroscuro, mentre il pavimento è realizzato “a terrazzo” o “seminato”; la decorazione della sala è completata da bassorilievi che sormontano le quattro aperture, da una specchiera e da una stufa di cui sono conservati i disegni di Canonica (BC 68, BC 69). Il progetto di questo salo- La vicenda della Villa e del parco Annoni comincia alla fine del Settecento, quando il conte Gian Pietro Annoni iniziò ad acquistare terreni nel comune di Cuggiono Maggiore, con l’obiettivo di realizzare una grande tenuta agricola. Sarebbe poi stato il figlio Alessandro a proseguire e completare l’opera del padre, morto nel 1796, acquisendo terreni e edifici a sud dell’abitato di Cuggiono, fra cui, nel 1806, il mappale n. 1156, sul quale sarebbe stata realizzata una parte del parco. Gran parte dei terreni acquisiti era di proprietà della famiglia Clerici, già feudataria del luogo. Risulta incerta la data d’inizio della costruzione della villa: un’iscrizione sull’architrave del portale del vestibolo reca la data 1809, mentre nel 1810 risulta consacrata la cappella interna alla villa. La letteratura attribuisce il progetto iniziale a Giuseppe Zanoja (1752-1817), mentre si deve al conte Alessandro Annoni la realizzazione del giardino, condotta sotto la guida di Luigi Canonica. 263 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A sguardo fino al tempietto ionico per perdersi poi nel paesaggio. Lungo il sentiero si arriva al laghetto che costituisce una vera e propria linea di demarcazione tra il giardino paesistico e il giardino informale costituito dal bosco, una sorta di “Hah-Hah” che sottolinea la completa aderenza ai canoni più aggiornati del parco all’inglese. A Cuggiono sono presenti alcune fabriques come la Casa dei daini, la Coffee House costruita sopra un colle artificiale e decorata al suo interno con motivi neoclassici; la Casa dei caprioli, un tempo utilizzata come rifugio per gli animali e come ghiacciaia, va datata alla fine dell’Ottocento. Disegni Luigi Canonica, Pianta e sezioni di una sala, [1818-1826]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 258. Luigi Canonica, Pianta e prospetto del tempietto funebre, [1825]; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 151. (p.f.) Giardino di Palazzo Arese Litta, corso Magenta 24, Milano 1826 Villa Menafoglio Litta Visconti, Panza di Biumo, Varese, planimetria della villa e dei rustici, [1833-1834]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 315. Il tempietto circolare, di cui si conserva il disegno presso l’Archivio del Moderno (D 151), venne edificato dopo il 1825 in memoria del conte Alessandro Annoni, come attestano le iscrizioni sul cippo centrale che sorregge il busto in marmo del conte. Sembra tuttavia che Canonica abbia in realtà progettato l’intero giardino come dimostrano alcuni ele- 264 menti, ancora oggi esistenti, che risultano ricorrere in altri giardini da lui disegnati tra il 1825 e il 1837. L’architetto ticinese è qui documentato una prima volta nel 1818 (AMMe, Fondo Canonica, XXXV, 459), mentre nel 1826 fu affidata a Gaetano Vaccani la decorazione della volta della sala da pranzo (D 258), come scrive lo stesso pittore: «Le mo- dificazioni consistono nel aver legate le figure romboidali e i piccioli quadrati con altri ornamenti per cui vien sopressa l’idea di afasciamento che esisteva nell’abbozzo dell’opera intorno agli ottagoni grandi del compartimento delle semi tazze ossia cuspidi» (ibidem, 460-461). Il parco si apre con un lungo cannocchiale prospettico che dalla villa guida lo La costruzione del palazzo fu voluta nei primi decenni del XVII secolo dal conte Bartolomeo Arese, presidente del Senato di Milano. Alla sua morte l’edificio passò ai Visconti Borromeo e da questi ai Litta. Portato a compimento nel corso di tre secoli, con progetto iniziale di Francesco Maria Richino nel 1645, il palazzo accoglie costruzioni di periodi differenti e comprende, tra gli altri, un cortile seicentesco, due settecenteschi, uno scalone e facciate barocche, giardini e fabbriche del XIX secolo. Il vasto giardino, situato nella parte posteriore del palazzo e rivolto verso il Castello, sappiamo essere stato teatro di grandi feste come complemento del palazzo; un’incisione di Marc’Antonio Dal Re ci mostra una veduta settecentesca, con cancellata centrale, alto muro di cinta e, all’interno, un piccolo padiglione a nicchie composto da un elemento centrale sovrastato da timpano. Del giardino sappiamo inoltre che fu dotato e ornato «di ciò che di più suggestivo gli architetti dell’epoca avevano saputo studiare, per la delizia dei proprietari e degli ospiti; viali coi rami intrecciati e legati in alto, in modo da costruire curiosi corridoi e gallerie di verde, sale e salette con pareti di bosso, talvolta con un soffitto ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI «Tipo in pianta del giardino annesso alla casa dei signori fratelli Negri», Milano, 1828; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 313. di fiori penduli, talvolta con cupole di verzura in cui qua e là si aprivano azzurri occhi di cielo. E fontane, e giuochi d’acqua, e cascatelle segrete, di cui s’udiva il chioccolio dolce, fra spalliere di rose rampicanti, e l’immancabile labirinto, e statue, ed archi di verde, e prospettive di rare e preziose piante esotiche, e grandiosi recinti di reti metalliche, abilmente dissimulate tra i rami, nelle quali volavano, apparentemente in libertà, centinaia di uccelli pregiati. […] E poi le serre, ampie come palazzi, in cui l’inverno si davano trattenimenti e feste». Si conservano presso l’Archivio del Moderno due disegni realizzati da Canonica per una riconversione del giardino all’inglese recanti la data 1826 (D 207, D 317). Altri documenti attestano il rapporto dell’architetto ticinese con i Litta e il loro giardiniere (AMMe, Fondo Canonica, XLV, 529). In questi elaborati, Canonica presenta una soluzione con una vasta radura centrale di forma irregolare, simile ad altri progetti per giardini milanesi tra cui quello per la famiglia Cicogna. Lo stato odierno del giardino, rimaneggiato come il palazzo dagli interventi ottocenteschi, gravemente danneggiato nel corso dell’ultima guerra mondiale, e dalla costruzione di edifici confinanti, non presenta più alcuna traccia del progetto originario. Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, 1826; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 207. Luigi Canonica, Planimetria del giardino, [1826]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 317. Bibliografia Bascapè 1945; Patetta, Parisi 1995, p. 73; De Franceschi 1998. (a.c.) Parco di Villa Olmo, Como 1827 Nel 1795 Giovan Battista Giovio descrisse nel suo testo Como ed il Lario l’area su cui stava sorgendo Villa Olmo: «così viene appellata nel Borgo Vico una spiaggia ridente, cui diessi il nome da vetustissimi olmi di smisurata grandezza. Là presso il Marchese Odescalchi […] va fabbricando un palazzo magnifico». Nel 1782 Innocenzo Odescalchi, desideroso di possedere una villa in grado di competere con le più prestigiose dimore lariane e capitoline, accolse il progetto di Simone Cantoni. Il disegno del parco fu però abbandonato nel 1824, alla morte del committente, per essere sostituito da un giardino all’inglese voluto dal nuovo proprietario, il marchese Giorgio Rai- mondi. Luigi Canonica fornì così a quest’ultimo il progetto per il tempietto neoclassico che ancora oggi si erge isolato come un piccolo belvedere tra radure e secolari macchie arboree oltre le quali si intravedono il lago e il profilo dei monti. Il 7 novembre 1827 furono stipulati, presente Canonica, «i patti e le condizioni per l’esecuzione del tempietto rotondo da collocarsi nel giardino dell’Olmo» (BCCo, Archivio Storico Odescalchi Raimondi Mantica, Beni Stabili, Fabbriche ed adattamenti, 14, 342), specificando che «tutta la detta opera dovrà eseguirsi della forma e dimensioni portate dal disegno dimostrante la pianta, alzate e sagome nella grandezza naturale». L’architetto descrisse con perizia tecnica ogni singolo elemento e i materiali da impiegarsi, tra cui la «pietra bigia di Viggiù», e stabilì che le otto colonne con fusto scanalato e le relative basi, capitelli ionici «con ovolo, architravi massicci e sagomati d’ambedue le parti, fregio e cornicione con dentello intagliato» fossero lavorate a regola d’arte (ibidem). Non esistono i disegni, ma una fitta corrispondenza, intercorsa dal 13 dicembre 1827 all’8 agosto 1828 tra Canonica e l’amministratore di Casa Raimondi, Giovan Battista Aureggi, il fornitore Venanzio Polli, il capomastro Pietro Coppi e lo scalpellino Giacinto Pollini, ci documenta modi e tempi attraverso i quali prende corpo il tempietto (ibidem, 343). I materiali furono forniti, come richiesto agli appaltatori Giacomo Cassi e Pietro Cocchi di Viggiù, entro il mese di aprile del 1828. Il 24 marzo 1829, Canonica poté collaudare l’opera: «esaminati diligentemente tutti i pezzi componenti il detto tempietto tanto per la qualità della pietra quanto per il lavoro, ho potuto accertarmi che l’opera è stata eseguita lodevolmente in conformità dei disegni e condizioni prescritte» (ibidem, 342). In quegli stessi anni, tra il marzo 1828 e l’8 marzo 1829, Canonica compilò due elenchi di «Piante esotiche proviste pel nuovo Giardino all’Olmo» (AMMe, Fondo Canonica, XXXXI, 473-474), ma di lì a poco gli subentrò in veste di progettista Luigi Sada, chiamato da Raimondi a fornire il disegno complessivo del parco coerente con il nuovo ideale di giardino paesaggistico, oggi in parte ancora conservato, nonostante le diverse modifiche apportate dai Visconti di Modrone alla fine dell’Ottocento e gli ulteriori cambiamenti sovvenuti nel 1926 in occasione dell’acquisto della villa da parte del Comune di Como. La collaborazione tra Raimondi e l’architetto Canonica si rinnovò nel 1834, quando il marchese gli commissionò il progetto di una darsena coperta, che però non fu realizzata per una controversia apertasi tra la Congregazione municipale e la proprietà, che rivendicava il pieno diritto su tutta l’area antistante la dimora, contenzioso conclusosi alla fine degli anni Trenta. Alla morte del Canonica, nel 1844, l’incarico fu affidato all’architetto Luigi Fontana che costruì la darsena. Bibliografia Ossanna Cavadini 2002. (e.g.) Giardino di Casa Negri, corso di Porta Romana, Milano 1828 Scarse sono le notizie relative a questo edificio in corso di Porta Romana, oggi sede di un istituto bancario. Il giardino risulta esistente già nel Settecento, quando l’edificio era di proprietà della famiglia Negri, come si evince da alcune carte della città di Milano e da una mappa del Monastero di San Lazzaro. Documenti dei 265 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A primi decenni del secolo successivo testimoniano interventi nella casa e un nuovo progetto per il giardino (ASCMi, Ornato Fabbriche, I, 184, 15), che fu elaborato da Canonica nel 1828 (D 313). Il disegno prevedeva una sistemazione all’inglese per il vasto spazio comprendente serre e ortaglia. Disegni Luigi Canonica, «Tipo in pianta del giardino annesso alla casa dei signori fratelli Negri», 15 febbraio 1828; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 313. Bibliografia Patetta, Parisi, 1995, p. 79. (a.c.) Villa De Pietri, Sottocasa, Vimercate (Milano) 1831 La Villa De Pietri, oggi Sottocasa, fu costruita negli ultimi decenni del XVIII secolo sul luogo di una precedente residenza appartenuta alla famiglia Sfondrati. Nella seconda metà del Settecento i beni passarono per via ereditaria ai Visconti di Brignano, e nel 1812, donati da Alfonso Visconti ai figli, furono venduti al marchese Gerolamo D’Adda. Nel gennaio 1828 la casa pervenne a Marietta, figlia minore del marchese D’Adda, ma fu venduta qualche mese dopo a Siro De Pietri che nel 1822 aveva sposato Antonia Perego di Cremnago. In tale occasione furono eseguiti una stima e un disegno della proprietà con il giardino all’italiana, documenti oggi conservati presso l’Archivio della villa di proprietà comunale. Il complesso comprendeva un cortile rustico, le case del fattore, la filanda e le serre e fu, in parte, ristrutturato da Canonica, mantenendo l’impianto settecentesco, come dimostrano i disegni conservati presso l’Archivio del Moderno. Il Fondo Canonica di Mendrisio custodisce pure un «Catalogo delle piante esistenti nel bosco esotico di Vimercate» (AMMe, Fondo Canonica, XLII, 477) e alcune minute relative a balaustre e beole da porsi alla fine del viale dei giardini (ibidem, 475). Nel 1854 Siro De Pietri denunciò al catasto «diversi miglioramenti a comodo del proprietario stesso senza però ampliazioni di locali», riferendosi, probabilmente, alla costruzione dell’atrio d’ingresso, di forma circolare, alla nuova sala da pranzo, e al rifacimento del giardino, su progetto di 266 Villa De Pietri, Sottocasa, Vimercate, pianta e prospetto della serra, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 20.6 Luigi Canonica, che lo disegnò nei primi anni Trenta. In realtà l’idea dell’architetto ticinese fu realizzata solo in parte, mentre il giardino subì molte modifiche nella seconda metà dell’Ottocento quando la famiglia Ponti acquistò il complesso (5 aprile 1860). Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 316. Luigi Canonica, Pianta e prospetto della serra, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 206. Luigi Canonica, Studi per edifici, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 249. Luigi Canonica, Studi e rilievi, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 252. Luigi Canonica, Dettagli di una colonna in ghisa, 1831; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 259. Luigi Canonica, Prospetto di una finestra della serra, [1831]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 280. (p.f.) Castello Visconti di Modrone, Cassino Scanasio, Rozzano (Milano) 1831-1833 L’edificio fortificato, di cui si fa menzione nel 1239 nelle cronache delle guerre milanesi contro Federico II di Svevia, passò dai monaci di Santa Barbara al Gratosoglio, proprietari nel XV secolo, alle nobili famiglie Trivulzio, Pirovano, Croce. Fu soltanto nel 1778 che il castello pervenne alla famiglia Visconti del ramo Pirovano di Modrone. Nel 1800 Carlo Pirovano Visconti ereditò l’intera proprietà e, insignito del titolo di duca nel 1813, decise di avviare una campagna di lavori. Risalgono alla prima metà dell’Ottocento i progetti di ristrutturazione commissionati a Luigi Canonica che interessarono i corpi edilizi nord e ovest e il parco (AMMe, D 134, D 324, D 366, D 98; RSBMi, P.V. 9, 6770). L’architetto propose la reintegrazione dell’ala settentrionale crollata agli inizi del XVII secolo, attraverso un porticato con archi a sesto acuto incorniciati in cotto. L’inserimento nell’ala occidentale di setti murari, camini, nuove aperture, portò a una nuova complessiva distribuzione del piano terreno, come documentato da due disegni che mostrano la «Pianta del Castello di Cassino di s.e. il duca Visconti di Modrone. Restauro eseguito 1831» (RSBMi, P.V. 9, 67-70). Il progetto di ristrutturazione di una sala, identificabile con il locale ubicato nel sottotetto adiacente al torrione sud-ovest, presenta un’elegante soluzione con quattro nicchie angolari e una volta ribassata a pianta ottagonale (AMMe, D 366). La merlatura di coronamento, i finestroni a sesto acuto incorniciati in calce bianca e decorazioni neo-gotiche modificano i paramenti murari delle due torri e dell’ala ovest. Nell’area antistante, Canonica progettò un giardino all’inglese che oggi, sebbene trascurato e in stato di abbandono, esibisce ancora tutta la varietà e la qualità delle sue essenze. Furono inoltre demoliti il ricetto e altre preesistenze di epoca cinquecentesca per lasciar posto a due grandi rustici merlati. Alcuni schizzi di prospetti neogotici e il fronte di un edificio destinato alla funzione di stalla, attribuiti al Canonica, presentano strette affinità con i rustici medievaleggianti tuttora esistenti e costruiti in quegli anni (AMMe, D 249, D 363). Disegni Luigi Canonica, Dettaglio di una cancellata, 11 luglio 1833; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 98. Luigi Canonica, Pianta del piano ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI terreno [1831-1833]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 134. Luigi Canonica, Planimetria del parco e prospetto del Castello, [18311833]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 324. Luigi Canonica, Pianta e sezione di una sala, [1831-1833]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 366. Luigi Canonica, Studi di prospetti di edifici neogotici [?], [1831-1833]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 249. Luigi Canonica, Prospetto di edificio rustico, [1831-1833]; AMMe, Fondo Canonica, 14, D 363. Luigi Canonica, Pianta del Castello di Cassino, 1831; RSBMi, P.V.9, 67-70. (e.g.) Villa Lecchi Greppi, Desio (Milano) 1824-1841 Castello Visconti di Modrone, Cassino Scanasio, planimetria del parco e prospetto del Castello, [1831-1833]; AMMe, Fondo Canonica, 10, D 324. A Desio la nobile famiglia Lecchi era proprietaria di un cospicuo patrimonio fondiario che comprendeva anche una villa dove, nel Settecento, risiedeva abitualmente il conte Giacomo Lecchi. Scarse, fino a oggi, le notizie relative alla costruzione della Villa Lecchi Greppi che ancora negli anni Trenta del Novecento presentava l’aspetto ottocentesco progettato da Luigi Canonica. La scheda di Cito Filomarino, curata nel 1978 per il volume Ville della Brianza, pubblica alcune tavole di Brenna che esibiscono lo schema a U della villa, una veduta prospettica con un viale di tigli e la cappella neoclassica, ma non aggiunge novità sulla paternità della costruzione. Fondamentale è pertanto la documentazione presente nel Fondo Canonica di Mendrisio che consente di attribuire a Canonica la progettazione della villa, dell’oratorio, del giardino e di alcune fabbriche rurali (1824), tra le quali anche il mulino della Cascina San Francesco (1835), come è testimoniato dalle numerose lettere di Luigia Lecchi Greppi indirizzate all’architetto (AMMe, Fondo Canonica, LXV). Il 31 maggio 1827, il conte Paolo Greppi lo sollecitava a compiere un sopralluogo a Desio per predisporre i progetti per la ristrutturazione dell’abitazione (AMMe, Fondo Canonica, LXV, 504). Risulta inoltre che la costruzione della cappella risale agli anni 1832-1834, come conferma la lapide di consacrazione che riporta la data 7 novembre 1835. Negli stessi anni Canonica interviene nella scuderia e nel portico (1834). La ricostruzione di una parte 267 C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Villa Lecchi Greppi, Desio, piante e sezioni dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 265. della villa sembra però iniziare più tardi, nel 1841, come risulta da una lettera di Luigia Lecchi Greppi, datata 10 marzo: «Mi trovo obbligata di prevenirla che a Desio tutto è pronto per incominciare la fabbrica, per cui avrò bisogno ch’ella domani, potesse favorirmi di venire col disegno per poterlo consegnare al capo mastro per le misure per l’elevazione delle fondamenta» (AMMe, Fondo Canonica, LXV, 564). Il 19 marzo dello stesso anno, non avendo ricevuto risposta, la nobildonna scrive nuovamente all’architetto ticinese: «Nuovamente debbo incomodarla con queste mie righe per dirle che ci abbisogna il disegno molto prima di quanto si era determinato qui nello studio, pel motivo che non si possono neppure incominciare le fondamenta senza di questo, perché nel fare le fondamenta al lungo debbono essere legati quelli di traverso e sino che non si abbia la misura delle camere, ora che si è deciso di variarle, non si può dar principio» (ibidem, 565). Nel fondo Catasto dell’Archivio di Stato di Milano, Migliorie, si conserva un elenco dei locali e degli annessi alla villa, rilevati nel 1858. Quest’ultima appariva così strutturata al piano terreno: un salone, sala da bigliardo, anticamera, due dispense, cucina e altra dispensa, lavandino, saletta, un locale, cantina e ghiacciaia; due sale, anticamera, due salette, due stanze pel bagno, due locali terreni, studio, due cantine, oratorio e sagrestia, scuderia grande, altra scuderia, stallino, fienile; lavanderia, tre rimesse, portico, tinaia e granaio. Al primo piano erano situati venticinque locali oltre a nove ambienti di servizio. Il compilatore di questa rilevazione ebbe cura di annotare che «non avendo potuto rilevare le migliorie si è descritto lo stato attuale della casa», confermando che la villa era stata completamente riedificata. Purtroppo gli interventi realizzati nel Novecento hanno radicalmente mutato le forme originali, ma sopravvivono l’oratorio e alcune tracce delle decorazioni neoclassiche. Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 202. Luigi Canonica, Pianta, s.d.; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 311. Luigi Canonica, Pianta dei rustici nel giardino, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 262. Luigi Canonica, Pianta dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 263. [Luigi Canonica], Pianta dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 264. Luigi Canonica, Piante e sezioni dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 265. Luigi Canonica, Sezioni dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 266. Luigi Canonica, Sezioni dell’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 267. Luigi Canonica, «C. Greppi per la cappella», Prospetto dell’ingresso, 17 luglio 1835; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 268. Luigi Canonica, Modanature architettoniche per l’oratorio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 270-BC 274; 9, BC 423-BC 428. Luigi Canonica, Pianta e prospetto dell’altare dell’oratorio, [18331834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 275. Luigi Canonica, Modanature per l’altare dell’oratorio, [1833-1834]; BCAMMe, Fondo Canonica, 9, BC 276. Luigi Canonica, «Misura del cancello che mette alla corte rustica» e sezioni di un edificio, [1833-1834]; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 276v. (p.f.) Villa Biancani Greppi, Cernusco sul Naviglio (Milano) 1836-1839 Villa Lecchi Greppi, Desio, pianta dei rustici nel giardino, s.d.; BC-AMMe, Fondo Canonica, 9, BC 262. 268 La Villa Biancani Greppi a Cernusco sul Naviglio fu costruita nella prima metà del Settecento dal conte Giulio ARCHITETTURE DI VILLE E GIARDINI Antonio Biancani. Nella mappa di Carlo VI del 1721 compare soltanto il corpo principale mentre nel 1743 la villa risulta ultimata. Nel 1769 la proprietà è intestata al conte Antonio Greppi e un nuovo ampliamento fu realizzato tra il 1770 e il 1778, forse su disegno di Giuseppe Piermarini; sono questi gli anni della presenza di Ferdinando d’Austria nella vicina Villa Alari. Una pianta del complesso disegnata dall’ingegnere Stagnoli, successiva alla morte del conte Antonio Greppi e conservata nell’Archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano, è datata 1800. Una serie di lettere custodite nel Fondo Canonica di Mendrisio, datate tra il 1836 e il 1839, documenta alcuni lavori diretti da Luigi Canonica (AMMe, Fondo Canonica, LXV). Si tratta di opere di ferramenta per lo scalone e i balconi e della richiesta da parte del conte Paolo Greppi del «disegno e la pianta della casa» (AMMe, Fondo Canonica, LXV, 562). Probabilmente, l’esiguità dei lavori richiesti dal conte non lasciarono ulteriori tracce documentarie: nel fondo Catasto e neppure nelle denunce di migliorie non sono segnalate opere eseguite dal 1828 al 1856. Villa Rescalli Bellotti, Villoresi, Busto Garolfo, planimetria del giardino, particolare,1837; archivio privato. per questa residenza. Cancellando il precedente disegno settecentesco, l’impostazione rifletteva i più moderni canoni di giardino paesaggistico. A Canonica va attribuito anche il progetto della limonaia riscaldata della quale si conserva il disegno nel Fondo Canonica di Mendrisio (D 204). Disegni Luigi Canonica, Modanature, [18361839]; AMMe, Fondo Canonica, 9, D 86. (f.r.) Giardino e Villa Rescalli Bellotti Villoresi, Busto Garolfo (Milano) 1837 I Rescalli, famiglia di origini cremonesi, costruirono la propria fortuna economica sulla mercatura e sugli appalti per la riscossione delle imposte. Il banchiere Pietro Antonio Rescalli nella seconda metà del Seicento ampliò il patrimonio di famiglia, come documenta la sua ricca collezione d’arte che comprendeva opere dei Fiammenghini, di Cerano, Procaccini e Rubens. A Pietro Antonio si attribuisce la costruzione della villa negli ultimi anni del Seicento. La particolare conformazione architettonica, pur richiamando il classico impianto della villa lombarda a U con ali simmetriche, suggerisce un riferimento ai palazzi tardobarocchi del Parmense e del Piacentino. Nel 1704, alla morte di Pie- Villa Rescalli Bellotti, Villoresi, Busto Garolfo, pianta, prospetti e sezione della limonaia, [1837]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 204. tro Antonio, un inventario dei beni mobili conferma che la Villa Rescalli «è tutta fabbrica moderna fatta a spesa del defunto»; la casa è completata da un giardino di agrumi. La costruzione della cappella dedicata alla Beata Vergine e la serra settecentesca nel corpo est furono fra gli interventi più rilevanti compiuti at- Disegni Luigi Canonica, Planimetria del giardino, 1837; Archivio privato. Luigi Canonica, «Tipo del caseggiato civile con rustici. Caseggiati colonici. Giardino», [1837]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 314. Luigi Canonica, Pianta, prospetti e sezione della limonaia, [1837]; AMMe, Fondo Canonica, 11, D 204. Luigi Canonica, Pianta, s.d.; ASTi, Fondo Cattaneo, 2, 2. (p.f.) torno al 1752. Nel 1808 la proprietà passò a Gaetano Bellotti, figlio di un notaio, ingegnere nazionale del Regno d’Italia, impegnato nel periodo napoleonico accanto a Luigi Canonica. Fu proprio a quest’ultimo che, nel 1837, il nipote di Gaetano, Pietro Bellotti, affidò l’incarico di realizzare un nuovo giardino 269 Villa Litta, Panza di Biumo, Varese, salone delle feste (foto G. Majno). La decorazione e i disegni per arredi, interni e apparati funebri Susanna Zanuso I disegni conservati nel Fondo Canonica dell’Archivio del Moderno di Mendrisio segnalano come la decorazione d’interni e la progettazione di arredi siano stati per Luigi Canonica un campo frequentato con continuità, dagli esordi fino agli ultimi anni di attività, con risultati particolarmente apprezzati dai contemporanei: prima e dopo la sua più celebrata e conosciuta attività di architetto nazionale e reale, egli era infatti intervenuto in una serie di residenze private progettandone sia le decorazioni interne sia, in molti casi, gli arredi mobili, creando ambienti che le fonti ottocentesche non mancano di citare tra gli esempi più rappresentativi dell’epoca per gusto ed eleganza. Negli anni che precedono gli incarichi pubblici il «giovane Luigi Canonica scolare del Piermarini» ristrutturava l’abitazione in via Borgonuovo di Egidio Gregorio Orsini,1 personaggio ai vertici dell’amministrazione asburgica nonché maggiordomo maggiore di corte dell’arciduchessa Maria Beatrice d’Este. Negli ambienti del palazzo, oggi solo in parte conservati, egli operava un’originale rilettura degli interni rococò francesi, aggiornando il repertorio decorativo ai nuovi temi neoclassici: la buona riuscita dell’operazione, confermata dall’ammirata citazione di Bianconi a ridosso della fine dei lavori (1787),2 gli apriva le porte ad altri incarichi per personaggi vicini alla corte desiderosi di rinnovare le proprie residenze. Documentati al 1789, benché non più precisabili, sono gli interventi negli appartamenti del capitano Cesare Roma3 e del marchese Michelangelo Romagnoli.4 Nel 1792-1795 era impegnato nella ristrutturazione del palazzo di Antonio Porcari di via Boito,5 nel quale le tre sale a piano terreno affacciate sul giardino conservano ancora le decorazioni originali con stucchi e affreschi in stile pompeiano, secondo i modi inaugurati da Agostino Gerli nella Villa Cusani di Desio. Contemporaneamente, un altro influente personaggio della Milano austriaca, Giuseppe Resta,6 “ciambellano di confidenza” dell’arciduca Ferdinando e amico di Firmian, intraprendeva il rinnovamento della propria residenza di via della Passione.7 Membro della Società Patriottica, associazione che a Milano aveva avuto un ruolo significativo nella diffusione delle novità inglesi relative al recupero degli ornati classici,8 Resta affidava l’incarico a Canonica che, a quell’epoca (1792), doveva avere raggiunto solida fama di artista in grado di realizzare interni aggiornati alle ultime tendenze del gusto.9 All’arrivo dei Francesi nel 1796, al quale seguiva di poco la nomina di architetto nazionale,10 l’architetto ticinese si occupava prevalentemente dell’allestimento di feste pubbliche, celebrazioni e apparati effimeri, lavori che, come è stato notato,11 dovettero essere palestra per la sperimentazione di un nuovo lessico decorativo – colonne, archi trionfali, pi- ramidi e quant’altro potesse rievocare il registro eroico dell’antichità – del quale egli, abbandonata “la misura” piermariniana, sarebbe diventato infaticabile interprete nella sua nuova veste istituzionale. Con la creazione della Soprintendenza generale delle Fabbriche nazionali, che l’architetto dirigeva di fatto fin dai suoi esordi (1802), nulla di sostanziale cambia e bisogna arrivare alla proclamazione del Regno d’Italia, passando per il grandioso allestimento del 1805 per l’incoronazione di Napoleone, perché la sua attività nel campo della decorazione d’interni possa subire un significativo sviluppo, in occasione dell’allestimento delle residenze reali. Tra i fogli conservati a Mendrisio che documentano questa fase, pochi sono quelli che, allo stato degli studi, si possono puntualmente riferire alle opere eseguite. Tra questi vi sono i progetti per la decorazione delle volte della sala del Trono e della sala della Rotonda (BC-AMMe, 12, BC 440 e BC 441) e per una porta del salone delle Udienze (BC-AMMe, 8, BC 249) di Palazzo Reale, quelli per una caminiera tuttora esistente a Villa Reale (BC-AMMe, 12, BC 167) e per la decorazione del soffitto della Cavallerizza (BC-AMMe, 1, BC 304). Più spesso, invece, il legame tra il disegno e l’opera è ipotizzabile incrociando documenti ed elementi di stile. Un caso a sé è quello che riguarda la serie di bellissimi disegni per girandò (BC-AMMe, 12, BC 158-BC 162) che, finemente ombreggiati a imitazione del bronzo dorato, non paiono facilmente confrontabili con gli altri dell’architetto. Dipendenti da un modello di Albertolli inciso alla tavola XIX del volume Ornamenti diversi… del 1782 e realizzati con piccole varianti in una coppia di appliques in bronzo dorato oggi alla Villa Melzi di Bellagio, non è da escludere che essi siano in realtà autografi dello stesso Albertolli. Tornando ai fogli da riferire sicuramente a Canonica, per alcuni studi di tavoli e consolles (BC-AMMe, 12, BC 112-BC 113) è stata sottolineata la stretta relazione con arredi realizzati, in differenti varianti, per gli edifici reali e ancora in parte conservati: lo studio per una poltrona (AMMe, 12, BC 120), con una lunga foglia d’acanto che raccorda le gambe posteriori al sedile, è da mettere in relazione a un gruppo di sedie, poltrone e sgabelli provenienti da Palazzo Reale, oggi conservato alle Civiche Raccolte d’Arte Applicata di Milano, nel quale compare la stessa soluzione decorativa. È possibile ipotizzare un’analoga destinazione nel caso di alcuni disegni per suppellettili da tavola, giardiniere, mostre di orologi (BCAMMe, 12, BC 141, BC 143, BC 144, BC 145, BC 111), tutti oggetti da realizzare in argento o bronzo dorato, che presentano il ricorrente campionario di decori delle opere destinate alla corte: la foglia d’acanto come elemento di raccordo presente nei progetti per mobilia più sopra citati, è utilizzata, ad esempio, anche nel disegno di saliera a tripode sostenuta da piedi ferini (BC-AMMe, 12, BC 143). Tra il 1808 e il 1811 Canonica si occupa anche della Villa di Stra e del 271 SUSANNA ZANUSO Palazzo Reale di Venezia «nella vista di rendere abitabili e servibili i due palazzi compatibilmente con le circostanze e ristrettezze dei tempi».12 Trasporta mobili, ne fa confezionare alcuni e ne acquista altri. Invia da Milano «campioni […] di sedia di moderna e elegante forma per fare costruire colà [a Venezia] di simili in addobbo di alcune stanze di quel Reale Palazzo», nonché i campioni della stoffa necessaria a foderare sedie e poltrone.13 A giudicare dalla quantità di corrispondenze sull’argomento, la fornitura di tappezzerie e tendaggi, elementi essenziali per rinnovare l’aspetto degli appartamenti di rappresentanza, era uno dei campi in cui l’architetto era maggiormente impegnato. In questo settore, al quale appartiene per estensione anche la progettazione di letti ornati da fastosi baldacchini, la necessità di aggiornamento ai modelli francesi è documentata dalla serie di copie autografe dai repertori di mobilia francese (BCAMMe, 12, BC 96-BC 101).14 Nel giugno-luglio 1805 Canonica si stava occupando della decorazione con «frange d’oro, galloni, fiocchi e cordoni» dei letti reali e di altri personaggi della corte, da collocare nelle stanze del Palazzo di Milano. Le passamanerie erano state ordinate alla ditta Chirat Pove et Fils di Lione, il cui commesso aveva portato a Milano dei campionari.15 Nel febbraio 1806 «i fabbricatori di stoffe Pensa in Rugabella» avevano presentato un campione di tappezzeria che «vedrebbero a proposito per la sala del Trono» ma, nonostante la raccomandazione dell’intendente ai Beni della Corona che riteneva «per principio che debbansi a preferenza far lavorare le fabbriche nazionali»,16 si continuava a lavorare con le manifatture francesi. In una relazione del marzo 1808 sulle tappezzerie ordinate a Milano per gli appartamenti dell’imperatrice a Monza, si legge che il fabbricante interpellato non era in grado di presentare un preventivo trattandosi di «disegno nuovo», circostanza nella quale si intravede la difficoltà delle fabbriche locali ad aggiornare il proprio repertorio sull’esempio dei decori imperiali.17 Così, quando nel 1809 si rinnovavano gli appartamenti della viceregina, quest’ultima voleva che si ordinassero a Lione i campioni di tappezzeria di «velluto color cerasa chiara e oro [...] sui quali determinare per la scelta».18 A questa vicenda potrebbe riferirsi il progetto per tappezzeria acquarellato con un colore rosso rosato (BC-AMMe, 12, BC 132) che ben corrisponde al «cerasa chiaro» desiderato dalla principessa. Dalla lettura dei vari capi di spesa di un «conto preventivo e approssimativo d’un nuovo apparato per il salone [...] e per la stanza da letto di s.m., l’imperatrice» redatto nel marzo 1810,19 ci si può inoltre fare un’idea di quanto fosse alta l’incidenza di spesa per tali interventi e, di conseguenza, di quanto fosse importante la loro progettazione: nel salone, a fronte di lire 13.000 per «stucchi, intagli, trumò, lambris, doratura, vernici e camino», troviamo un preventivo di lire 20.200 per la fornitura di stoffe e passamanerie. Nella stanza da letto, su un preventivo totale di circa lire 28.000, le voci di spesa maggiore riguardano «fiocchi, frange in oro, galloni e cordoni» che, nel caso del solo letto, ammontano a lire 8000: una cifra di per sé considerevole se si pensa che l’intagliatore Giuseppe Maggiolini veniva saldato con lire 1800 per una libreria a uso di «burò topografico», disegnata da Canonica e destinata a Palazzo Reale, che gli era costata 346 giornate di lavoro.20 Dello stesso segno il preventivo di un trono portatile presentato nel 1811, per il quale falegnami, intagliatori e doratori ricevevano lire 3600, mentre si spendevano lire 9500 per stoffe e passamanerie.21 Merita conto sottolineare quanto la preziosa, per questa nostra ricostruzione analitica, documentazione conservata nel fondo milanese del Genio Civile dell’Archivio di Stato di Milano22 costituisca uno strumento raro e insosti- 272 Studi per arredi, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 106, BC 108, BC 109. LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI Studi per seggiole, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 120, BC 122, tuibile per avere un’idea dell’ampiezza degli incarichi richiesti, sostanzialmente tutto quanto potesse essere necessario al buon funzionamento degli edifici del governo, e soprattutto delle modalità attraverso le quali essi venivano realizzati. Le carte di tale fondo documentano inoltre i rapporti di Canonica con gli artisti chiamati a collaborare, sotto la sua supervisione, ai progetti d’arredo. Tra tutte, rivestono particolare interesse le notizie riguardanti il pittore Carlo Antonio Raineri che permettono di collocare in un nuovo contesto la sua opera più celebrata che, contrariamente a quanto si credeva, non appartiene alla stagione asburgica, ma al periodo napoleonico. Si viene infatti a sapere che Raineri aveva fornito per i palazzi reali varie tappezzerie dipinte con uccelli e soggetti naturalistici, motivi che lo avevano reso famoso. Prima del settembre 1804 aveva consegnato una tappezzeria su seta per la Villa Reale. Nello stesso anno aveva condotto a buon punto il «nuovo travaglio per il palazzo di Monza», per il quale si era accordato con Canonica fin dal 1803 e che il pittore con- siderava il suo lavoro «più importante», augurandosi che potesse eccitare «il coraggio dei pittori italiani a coltivare un genere di pittura che al dilettevole e vago unisce il vero e lo scientifico». La tappezzeria di Monza, la sua opera più nota nonché l’unica tra quelle citate ancora in parte conservata, è stata generalmente datata intorno al 1790, cioè agli anni di Piermarini: essa era invece condotta a termine nel maggio 1805 sotto la direzione dell’architetto reale.23 Nell’aprile 1808 Canonica ordinava una nuova «tappezzeria ad uccelli» per uno dei gabinetti del Palazzo Reale di Milano della quale Raineri esponeva il progetto dettagliato nel giugno successivo: significativamente, passato in secondo piano l’intento scientifico-didattico, il pittore proponeva allegorie imperiali con aquile e corone senza rinunciare al contorno di «circa trecento animali e altrettanti vegetabili corredati dall’elenco della denominazione d’ogni soggetto».24 L’impegno del nostro architetto contempla pure i lampadari, oggetti vitali al decoro dei palazzi; l’Archivio di Mendrisio conserva, a tal propo- 273 SUSANNA ZANUSO sito, una serie di modelli (BC-AMMe, 12, BC 153-BC 156) realizzati da una manifattura boema e ordinati nel 1803 dall’architetto «a mezzo del cristalliere Felice Dell’Acqua [...] per i palazzi del governo di Monza e Milano», uno dei quali (BC-AMMe, 12, BC 155) si trova ancora a Villa Reale.25 Nel 1812 un altro intermediario presentava diversi modelli per lampadari anch’essi realizzati in Boemia e destinati alla sala del trono del Palazzo Reale di Venezia, «non trovandosene in Venezia stessa di una tale grandezza»: Canonica suggeriva modifiche e chiedeva che si facessero «altri abbozzi di migliore forma più solida e più semplice», secondo le sue indicazioni.26 È infine opportuno ricordare che i committenti della corte esercitavano costante supervisione e controllo sull’arredo e la decorazione: le visite agli appartamenti in corso d’opera si concludevano con puntigliose relazioni sui desiderata delle altezze reali che ordinavano variazioni a quanto già realizzato, imponevano tipologie, colori e ornati.27 Il disegno dei serramenti (pomoli e serrature) dell’appartamento della viceregina, ad esempio, era stato sottoposto alla sua personale approvazione con la realizzazione di modelli in legno portati appositamente a Monza, prima di procedere alla fusione in ottone dorato:28 un iter che, verosimilmente, doveva essere toccato anche ai molti progetti d’arredo dell’architetto, anche a quelli apparentemente meno significativi, come lo Studio per una maniglia (BC-AMMe, 12, BC 135) il cui ornato a fogliami, che ricorda le invenzioni di Albertolli, sembra da assegnare a questi anni. Alla caduta del Regno d’Italia, Canonica, pur mantenendo per un certo periodo la carica di dipendente della casa reale austriaca,29 non verrà più impiegato per incarichi pubblici di rilievo e tornerà a occuparsi prevalentemente di residenze private e di edifici ecclesiastici. L’esperienza “a tutto campo” maturata nelle fabbriche reali si trasmette nella creazione di interni che, come quello di Palazzo Antona Traversi, verranno citati dalle fonti contemporanee come i più rappresentativi dell’epoca. Se per le commissioni pubbliche si può contare su una consistente documentazione, non poche sono le difficoltà che si incontrano quando si tratta di ricostruire la consistenza degli interventi decorativi nelle residenze private. A rendere problematica l’indagine, a esclusione di poche eccezioni, stanno diverse circostanze quali la demolizione degli edifici, le ristrutturazioni operate dai proprietari, la dispersione degli arredi, l’inesistenza o la frammentarietà delle notizie d’archivio. A ciò si deve aggiungere che la maggior parte dei committenti, in particolare i Greppi e i Visconti, si rivolsero a Canonica con continuità e per diverse residenze, perlomeno dal secondo decennio del secolo fino alla fine degli anni Trenta, ciò che spesso ha impedito di collegare i progetti ai luoghi ai quali erano destinati. Tra i molti interventi oggi difficilmente precisabili, gli interni della villa dei conti Nava a Monticello Brianza (1820 circa) costituiscono un caso a sé. Dell’«amenissimo ed elegantissimo palazzo» ricordato da Ignazio Cantù, per il quale Canonica aveva disegnato anche la cancellata d’ingresso ornata con erme di italiani illustri,30 conosciamo una vecchia fotografia della sala ellittica,31 dalle colonne binate e stucchi a finto marmo, ancora arredata con il mobilio laccato in bianco e oro del tutto simili a quello di molti disegni dell’architetto ticinese, che ci restituisce l’immagine, caso raro, di un ambiente che sembrerebbe ancora quello originario. Nel corso degli anni Venti e Trenta, a conferma della varietà degli incarichi ricevuti, il nome del committente compare sui singoli disegni: una serie di progetti per specchiere e caminiere era destinata ai «Borromeo» (AMMe, 12, D 428-D 430), il disegno per la partitura architettonica di una parete (BC-AMMe, 12, BC 30) agli «Archinto», altri fogli con dise- 274 Studio per padiglione, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 129. gni per porte e per la decorazione neogotica di una parete ai «Bellotti» (BC-AMMe, 12, BC 32), progetti di mobili ai «Trivulzio» (BC-AMMe, 12, BC 77); compaiono inoltre i nomi dei Poldi, Negri, dai Raimondi e dei Camozzi; le carte d’archivio conservate a Mendrisio indicherebbero inoltre un suo probabile coinvolgimento negli interni di Palazzo Annoni a Cuggiono.32 La scritta «casa Cicogna 1825», che troviamo nel progetto di una sedia in stile gotico (BC-AMMe, 12, BC 122), farebbe pensare alla partecipazione di Canonica, per altro non registrata da altre fonti, alla progettazione degli arredi (oggi dispersi) del palazzo milanese dei Cicogna la cui facciata, com’è noto, era stata dipinta negli stessi anni in stile medievaleggiante da Alessandro Sanquirico, suscitando l’indignazione della Commissione d’Ornato.33 Di altri analoghi disegni per mobili e decorazioni in stile neogotico (BC-AMMe, 12, D 164, D 255, BC 52, D 165, BC 12v) viceversa non è possibile indicare con certezza la destinazione, ma LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI Palazzo Antona Traversi, Milano, scalone. 275 SUSANNA ZANUSO Villa Litta, Panza di Biumo, Varese, specchiera del salone delle feste (foto G. Majno). Studio per specchiera per Villa Litta, Panza di Biumo, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 69. essi documentano il precoce aggiornamento di Canonica che pare orientarsi verso il più attuale eclettismo, tenendo in debito conto in particolare i modelli anglosassoni.34 Non è da escludere che tali arredi fossero destinati a serre o a edifici rustici di parchi e giardini, luoghi deputati alle prime sperimentazioni del gusto “romantico” e “pittoresco”, che in questi anni doveva generalmente essere considerato nella conservatrice Lombardia poco più di una bizzarria, se ancora nel 1830 ci si riferiva alla facciata di Casa Cicogna come a uno «scherzo praticabile soltanto in campagna od in un castello di qualche privato signore».35 Risalgono ai primi anni Trenta alcuni interventi di decorazione e arredamento, ancora in parte conservati, sui quali, di contro, possediamo notizie meno frammentarie: gli interni dei palazzi Greppi e Antona Traversi in corsia del Giardino e gli arredi della Villa Litta a Biumo presso Varese. Per i Litta, famiglia che si era rivolta all’architetto negli anni Venti e Trenta in varie occasioni e per diverse residenze,36 Canonica realizzava un progetto per porta, datato 1833 (BC-AMMe, 12, BC 67), e due disegni per specchiere (BC-AMMe, 12, BC 68-BC 69): uno di questi (BC 69), lo si vede realizzato in due esemplari nel salone ellittico della villa di Biu- mo con sottostanti consoles probabilmente ideate nello stesso momento, benché di queste ultime non si siano conservati i disegni preparatori; allo stesso ambiente è forse da riferire il modello per un’asta con terminazione a pigna (BC-AMMe, 12, BC 181), molto simile a quelle dorate ancora in sito che decorano gli stipiti delle finestre. Un foglio, datato 1833, destinato secondo l’iscrizione a Palazzo Antona Traversi (BC-AMMe, 12, BC 75) raffigura una caminiera con esili colonnine tortili che ricorda nelle proporzioni le contemporanee specchiere di Villa Litta a Biumo. Da riferire con sicurezza a quanto ideato per la stessa famiglia sono pure un altro progetto per caminiera (BC-AMMe, 12, BC 74), anch’esso datato 1833, e un foglio di studi per sedili di varia foggia (BCAMMe, 12, BC 121). Niente di tutto ciò corrisponde a quanto sopravvissuto nel Palazzo Antona Traversi di corsia del Giardino, ricostruito da Canonica tra il 1828 e il 1832 e, dopo questa data, arredato e decorato.37 I sontuosi arredi fissi e gli affreschi a tutt’oggi conservati, che in alcuni casi presentano strette affinità con altri disegni dell’architetto ticinese privi di iscrizioni, possono dare un’idea di come dovevano presentarsi le sale complete degli arredi. Il loro aspetto verso il 1840 ci è noto grazie alla descrizione 276 LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI di Luigi Zucoli:38 «[la Casa Traversi] ridotta [...] per cura del valentissimo Canonica è la casa forse la più ammirata di Milano [...]. L’appartamento terreno [...] vuol essere meritatamente annoverato fra i più atti a presentare allo straniero il lusso il buon gusto e la ricchezza privata di una fiorente metropoli qual è la nostra [...] sorprendente la varietà di mobili e delle suppellettili che la adornano vedendosi raccolta con una profusione la più sfarzosa li mobili intarsiati antichi e moderni, li specchi di immense dimensioni in un sol pezzo, ricchissimi candelabri di bronzo dorato, camminiere con intagli e dorature, camini guarniti di marmi rari e preziosi, con ornamenti e figura a tutto rilievo, pendole, ricchissime porcellane del Giappone le più grandi e rare che possonsi ammirare, lampadari sontuosi, tappeti delle migliori fabbriche d’Europa […] un bellissimo finestrone con vetri dipinti dal Bertina coi disegni dell’Hayez. Le stoffe poi che adornano le ampie aperture, i seggioloni, le scanne, i tamborè, le duchesses, li divani […] formano un tale complesso che non lascia invidiare quanto di più sontuoso si ammira nelle altre capitali d’Europa». In mancanza di altra documentazione, non possiamo dire fino a che punto Canonica fosse responsabile di tale allestimento scenografico: certo è che le decorazioni interne da lui progettate dovettero giocare un ruolo non marginale nel decretare la grande fama di cui godette Palazzo Traversi, l’unica residenza privata, tra le sue più importanti realizzazioni, sempre citata dalle fonti ottocentesche.39 Contemporanei a questi lavori sono quelli relativi alla ristrutturazione del palazzo contiguo, già di proprietà Brentani, acquistato da Paolo Greppi che, affidando a Canonica nel 1828 l’incarico di riformarlo, rinnovava il rapporto di fiducia tra la sua famiglia e l’architetto, documentato con continuità dal 1814 al 1841. Infatti, benché fonti e documenti non facciano il suo nome tra gli artisti coinvolti nella decorazione del Palazzo Greppi in via Sant’Antonio, sembra che Canonica avesse progettato alcune decorazioni interne negli anni successivi gli interventi dell’équipe di Piermarini, ai tempi in cui proprietario era il potente “fermiere” Antonio Greppi: questo si deduce da un disegno autografo con uno studio per una porta (BC-AMMe, 9, BC 250) recante l’iscrizione «1814, Casa Greppi in Sant’Antonio». Altri fogli per arredi destinati alla stessa famiglia (BC-AMMe, 12, BC 37, BC 108; BC-AMMe, 8, BC 261; AMMe, 9, D 113), databili attorno a questa data e ispirati a modelli francesi di epoca napoleonica, potrebbero anch’essi riferirsi alla stessa residenza, passata nel frattempo in eredità ai ni- Studi per caminiera e porta, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 54, BC 71. 277 SUSANNA ZANUSO Studio per il soffitto della Cavallerizza, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 1. Studio per un soffitto, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 3. poti Antonio (1790-1878), Paolo (1793-1854) e Giuseppe (1800-1857),40 ma ciò è solo ipotizzabile, dato che in questi stessi anni è documentato il suo coinvolgimento in lavori di ristrutturazione delle ville di famiglia o proprietà a Casalvecchio (1814)41 e alla Maldura presso Macherio (1818),42 con incarichi ancora difficilmente precisabili. Della metà degli anni Venti sono le prime notizie sul rinnovamento della Villa Greppi di Desio e, dal 1828, del nuovo palazzo milanese in corsia del Giardino divenuto proprietà di Paolo Greppi.43 Quest’ultimo, oggi sede degli uffici della Banca Commerciale, non ha conservato nulla degli arredi originari se non le decorazioni del salone d’onore al primo piano, «quasi completate nel 1832», dove si possono ancora vedere in sito i bassorilievi in stucco pagati allo scultore Benedetto Cacciatori.44 Al progetto del salone è poi da riferire il foglio con Studi per una porta d’interno (BC-AMMe, 8, BC 251) uguale a quelle ancora esistenti. L’intervento “a tutto campo” nell’arredamento del palazzo, sembra tuttavia documentato da una «Lista di mobili da provvedersi per il nuovo appartamento del sig. Paolo Greppi» nella quale, per ogni stanza, l’architetto prevedeva gli arredi necessari e la mobilia «color moghen [mogano]» oppure laccata «bianco e oro».45 Gli incarichi relativi alla Villa Lecchi Greppi di Desio subiscono un’accelerazione nei primi anni Trenta e riguardano soprattutto la cappella, progettata da Canonica, per il cui arredamento questi presenta uno schizzo «della cornice del quadro», mentre il conte Paolo Greppi «di questa parrocchia zelantissimo fabbriciere» lo consulta per le più diverse occorrenze: dai tappeti, ai «lampadari e mezzo lampadari», fino al disegno per la porta del tabernacolo e al piccolo «ramage» per lo scalino della cappella presentato dal venditore di oggetti da chiesa «Graneini». L’ultima notizia in ordine di tempo, probabilmente attorno al 1841, riguarda la richiesta di un disegno per i serramenti della serra.46 Come si è detto, anche i Visconti, come i Greppi, avevano instaurato un continuativo rapporto di fiducia con l’architetto fin dai primi anni dell’Ottocento. Dei molti incarichi svolti per diversi rami della famiglia si hanno infatti notizie dal 1818 (Palazzo Visconti di Modrone a Besate) fino al 1836 circa (Palazzo Visconti di Modrone alle Asole a Milano). Nel secondo e terzo decennio del secolo disegni e documenti non aiutano a mettere a fuoco gli eventuali interventi realizzati per la famiglia. Le notizie si fanno meno rarefatte dall’inizio degli anni Trenta, quando appare il nome “Visconti” in alcune iscrizioni e in un disegno per caminiera datato 1831 (BC-AMMe, 12, BC 66), nel quale vi è un motivo ad archetti ciechi di gusto neogotico, e in un progetto datato 1836 (BC-AMMe, 12, BC 71) per una porta dall’esuberante disegno neorinascimentale, il cui decoro sembra da porsi in relazione a quanto realizzato negli stessi anni 278 LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI dall’architetto francese Auguste Thumeloup, nelle porte del primo salone al piano nobile del Palazzo Archinto a Milano.47 In altri fogli con progetti per specchiere (BC-AMMe, 12, BC 48, BC 49), la presenza della biscia viscontea al centro dei capitelli farebbe pensare alla medesima committenza, mentre una datazione alla metà degli anni Trenta è suggerita dal gusto storicista dei grandi pilastri corinzi, adottati anche da Pelagio Palagi nelle specchiere della sala da ballo del Palazzo Reale di Torino del 1835-1837. Il simbolo araldico della famiglia compare anche in una serie di fogli con un progetto per una ricchissima console con specchiera, nel quale convivono elementi neobarocchi, neogotici e neorinascimentali. Il primo foglio della serie (BC-AMMe, 12, BC 53), acquarellato in modo da fingere l’ambientazione dell’arredo in una stanza secondo uno stile pittorico che non si ritrova in nessun altro foglio di Canonica, non sembra appartenergli. Lo stile del disegno ricorda piuttosto le opere di Alessandro Sidoli (1812-1855) e la tipologia dell’arredo presenta diversi punti di contatto con quanto pubblicato nella raccolta postuma di Disegni architettonici ed ornamentali di Alessandro Sidoli (s.d. ma 1856 ca). In particolare, il confronto è indicativo nel caso delle porte incise alla tavola XI, ideate per una residenza degli Antona Traversi a San Nazaro in Piemonte e con gli arredi di una sala incisa alla tavola XIX, facente parte di un non meglio specificato Palazzo Visconti di Modrone. I due fogli (BC-AMMe, 12, BC 115, BC 117), che raffigurano una copia e una variante del progetto citato, sono invece riconoscibili come opera autografa di Canonica, a testimoniare l’interesse di quest’ultimo nel corso degli anni Trenta per sperimentazioni stilistiche di vario segno, documentate anche dai disegni per specchiere intagliate in stile neobarocco di ignota destinazione (BC-AMMe, 12, BC 118, BC 114). Non sappiamo se, e quali, di questi progetti per i Visconti siano stati realizzati, né possediamo elementi utili a indicare i luoghi ai quali erano eventualmente destinati: il palazzo milanese in via delle Asole, finito nelle opere murarie nel 1836 circa, sembrerebbe tuttavia il più probabile candidato.48 A giudicare dai fogli citati, sembra di poter individuare nelle scelte dei Visconti una marcata predilezione per arredi storicisti di vario indirizzo, nei quali forse potevano veder meglio rispecchiata l’antica e gloriosa storia del casato: dopo gli arredi di Canonica, tale inclinazione familiare avrebbe avuto modo di esercitarsi nuovamente nel 1860, quando i Visconti commissionavano a Emilio Alemagna un intero arredamento neogotico.49 Si è detto dell’emarginazione di Canonica dagli incarichi pubblici di rilievo alla caduta del Regno d’Italia. In seguito, l’esperienza che aveva accomulato nella creazione di apparati celebrativi per il governo francese gli procurò diverse committenze private per allestimenti funebri. Questi ultimi, realizzati peraltro con continuità durante tutto l’arco della sua carriera, erano spesso destinati agli stessi committenti per i quali progettava le case d’abitazione, cioè le famiglie della nobiltà e della più influente borghesia milanese del cui decoro l’architetto si faceva garante fino alle esequie. A conferma della fama guadagnata in questo particolare settore, d’altro canto, l’unico incarico pubblico importante ricevuto nei primi anni della nuova amministrazione era stato proprio l’allestimento delle solenni esequie di Maria Ludovica d’Austria nella Chiesa di San Fedele il 29-30 aprile 1816. Il prestigio di un tale compito gli avrebbe portato, negli anni seguenti, diversi incarichi per gli allestimenti dei funerali dei personaggi più in vista della città. Solo un numero esiguo del consistente fondo di disegni per apparati funebri conservato a Mendrisio, tuttavia, può essere riferito a una committenza certa e si tratta, in tutti i casi, come si è già detto, delle stesse famiglie che si erano rivolte a Canonica per i loro palazzi e le loro case di campagna. Così, se la ristrutturazione del Palazzo Orsini di via Borgonuovo gli aveva aperto le porte del successo, il più antico apparato di cui abbiamo notizia è quello per la marchesa Orsini, tenutosi in San Marco nel 1811: il progetto (AMMe, 13, D 356) mostra un catafalco in cui la struttura architettonica, in questo caso quattro colonne doriche dipinte a finto marmo con un attico a gradini, culmina con il sarcofago della defunta. È questa una tipologia utilizzata, pur con notevoli varianti, in diversi altri casi: dal catafalco per Girolamo Trivulzio del 1812 a quello, sopra citato, per Maria Ludovica d’Austria. Per quest’ultimo la documentazione conservatasi è consistente: il suo aspetto definitivo ci è noto attraverso un’incisione all’acquatinta di Tommaso Castellini (AMMe, 13, D 467), mentre le varie fasi del progetto sono attestate da alcuni disegni preparatori (AMMe, 13, D 420-D 424, D 353); preventivi e consuntivi di spesa50 registrano tutte le maestranze implicate tra le quali ricorrono i nomi degli artigiani più frequentemente coinvolti nei lavori di Canonica: il fabbro Cajani, l’indoratore Camillo Fontana, i falegnami Lodovico e Natale Benzoni, Giuseppe Mezzanotte, Luigi Valentini, l’intagliatore Luigi Zuccoli, l’apparatore Arcangelo Valentini. Per le pitture era pagato Alessandro Sanquirico e le sculture erano opera di Gaetano Monti, Apparato per le esequie di Maria Ludovica d’Austria in S. Fedele (29-30 aprile 1816), incisione; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 13, D 467. 279 SUSANNA ZANUSO Catafalco del duca Alberto Litta in Santa Maria alla Porta, 1832; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 13, D 407. Pompeo Marchesi e Giovanni Perabò. Tutte le strutture, compresi i candelabri, erano fatte di legno. Zuccoli, nel conto datato 18 maggio 1816, specifica inoltre i lavori d’intaglio da lui realizzati: gli ornati ai quattro grandi candelabri e a quelli più piccoli del secondo ordine (foglie d’acanto, foglie «d’acqua», teste di caprone e piedi «isolati») e le foglie d’acanto «con suoi rovesci» nel cornicione del primo piedestallo. Tutte queste opere d’intaglio, secondo il documento, erano realizzate «di cartoni», cioè, verosimilmente, con una sorta di carta pesta. Le dorature, come risulta dal conto di Fontana, erano fatte con «oro falso». Su un totale di spesa di lire 12.430, la somma più cospicua era pagata all’apparatore Valentini (circa lire 3500). In un secondo gruppo di progetti, il sarcofago non si erge più isolato in cima al catafalco, ma è inserito al centro di colonne che formano una cella sepolcrale. Questa tipologia è utilizzata pure nei catafalchi della principessa Albani (1824 ca; AMMe, 13, D 393, D 395, D 410) e del conte Annoni,51 entrambi a pianta ottagonale, e ritorna in quelli di Antonio Litta (1820; AMMe, 13, D 406), della duchessa Litta (1833 ca; AMMe, 13, D 354-D 355)52 e di Carlo Francesco Antonio Visconti di Modrone (1836; AMMe, 13, D 369-D 372, D 408), questi ultimi due caratterizzati anche da una statua isolata collocata sul fastigio, riconoscibile come un’allegoria della Fede. In quasi tutti i catafalchi è prevista la presenza di statue a tutto tondo modellate, secondo i documenti, dai maggiori scultori dell’epoca. Oltre al caso del citato apparato per Maria Ludovica, sappiamo che Gaetano Monti, Donato Carabelli e Grazioso (?) Rusca avevano realizzato la serie di Profeti per il catafalco di Giuseppe Pezzoli (1819; AMMe, 13, D 396).53 In un articolo apparso sulla “Gazzetta di Milano” del 15 aprile 1836, Defendente Sacchi ricordava gli autori delle otto statue del catafalco del duca Visconti di Modrone: Fede e Carità di Giovanni Labus, Beneficenza e Speranza di Luigi Marchesi, Giustizia e Prudenza di Antonio Pasquali, Temperanza e Fortezza di Luigi Scorzini. Nei progetti dell’architetto le indicazioni per le opere plastiche sono, com’è ovvio, assai sommarie, perciò l’aspetto di queste statue, realizzate in materiali effimeri e dunque destinate a non essere conservate, ci è quasi del tutto 280 ignoto e purtroppo, mancandone a tutt’oggi accurati appunti grafici autografi, non è più possibile verificarne il rapporto con la produzione in marmo o in altri materiali nobili e duraturi di questi stessi scultori. Ceri, candelabri e lampade compaiono poi quali fondamentali complementi degli apparati funebri e presentano tipologie in tutto simili a quelle utilizzate per gli arredi permanenti: ad esempio, il tipo di candelabro con base trapezioidale, piedi ferini e testine d’ariete agli angoli che compare con frequenza a illuminare i catafalchi non è diverso dá quello progettato per le residenze reali (cfr. BC-AMMe, 12, BC 149). L’architetto si occupava anche degli addobbi della chiesa, che spesso prevedevano la presenza di cartelli con iscrizioni commemorative. Queste ultime erano formulate da studiosi o letterati come, ad esempio, tale Rebusciano Gironi nel caso dell’apparato per Cristoforo Bovara (1816; AMMe, 13, D 374) o come il «chiarissimo archeologo italiano Dottor Labus», per le esequie di Carlo Visconti di Modrone (1836; AMMe, 13, D 370-D 372): Canonica ne progettava la realizzazione, indicando agli artigiani la cornice entro cui collocarle o il carattere da utilizzare per le scritte (AMMe, 13, BC 355, D 385, D 360). Altri disegni, infine, si riferiscono alla progettazione di stele e lapidi permanenti. Nella quasi totalità dei casi si tratta di severe edicole da addossare al muro che ospitano un’immagine scolpita e una scritta commemorativa. I fogli AMMe, 13, D 360 e BC-AMMe, 13, BC 361 mostrano una sorta di campionario di base, al quale si attengono i progetti effettivamente realizzati, dove le variazioni riguardano i profili del frontone, a falde spioventi o centinato con acroteri laterali, e l’eventuale presenza di pilastri o colonne. Per il rilievo scolpito, in un solo caso è prevista un’immagine allegorica: la figura piangente di gusto canoviano del foglio BC-AMMe, 13, BC 360 di ignota destinazione. Negli altri progetti, invece, è data la preferenza a un semplice tondo con il profilo del defunto. Fa eccezione l’edicola per Alessandro Annoni (1828-1829, AMMe, 13, D 357-D 358), dove l’erma-ritratto circondata da figure piangenti era stata scolpita da Gaetano Monti. LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI Villa Reale, Milano, sala da pranzo. 281 SUSANNA ZANUSO 1. Il Palazzo Orsini Pio Falcò in via Borgonuovo 11 ospita oggi l’Associazione Cotoniera Italiana. Una descrizione degli arredi interni, oggi in gran parte dispersi, è in G.C. Bascapè, I palazzi della vecchia Milano. Ambienti, scene, scorci di vita cittadina, U. Hoepli, Milano 1945, pp. 196-197. Si veda inoltre E. Colle, Palazzo Orsini, in F. Mazzocca, A. Morandotti, E. Colle, Milano neoclassica, Longanesi, Milano 2001, pp. 251-259 con bibliografia precedente. Alla bibliografia consolidata, che ascrive il rinnovamento neoclassico del palazzo alla mano di Canonica, si aggiungono altri documenti archivistici, che consentono di precisare in parte i contorni dell’intervento del ticinese (si veda la scheda in questo stesso volume). Rimane aperta la possibilità che Canonica intervenisse nel palazzo o in altre residenze della famiglia anche successivamente, dato che il suo nome compare in un mazzo di fatture saldate negli anni 1811-1835 (U. Fiorina, Inventario dell’Archivio Falcò Pio di Savoia, Neri Pozza, Vicenza 1980 (“Fontes Ambrosiani”, LXIV), p. 46). 2. C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle Belle Arti e delle sacre, e profane antichità milanesi, nella stamperia Sirtori, Milano 1787, p. 456. 3. AMMe, Fondo Canonica, I, 1, Milano 15 agosto 1789: accordi tra Canonica e il falegname Antonio Melone per forniture di serramenti di finestre e poggioli dell’appartamento del capitano Cesare Roma presso Monforte (si veda anche la scheda in questo volume). 4. AMMe, Fondo Canonica, I, 2, 1789 da Cevena: Alessandro Bartoletti maestro di casa Romagnoli invita Canonica a recarsi presso la casa Romagnoli per portare a termine l’appartamento del marchese. 5. A. Morandotti, Palazzo Porcari, in Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, pp. 343-351. Morandotti conferma l’intervento di Canonica solo per lo scalone e la facciata. 6. Sulla famiglia Resta si veda F. Calvi, Famiglie notabili milanesi: cenni storici e genealogici, s.v. Resta, vol. II, A. Vallardi, Milano 1875-1885, tav. VI. 7. Il progetto aveva preso corpo quando, il 29 settembre 1791, Resta acquistava dal conte Brebbia la casa contigua alla sua. Si veda, sulle vicende dell’edificio, la scheda in questo volume. 8. Nel 1789 la Società Patriottica si incaricava di diffondere presso le locali manifatture le nuove tecniche produttive introdotte negli opifici inglesi (cfr. E. Colle, Le arti decorative, in Mazzocca, Morandotti, Colle 2001, pp. 531-566). 9. Una serie di disegni di Canonica, datati 1792-1794, documentano una prima fase di interventi per il Palazzo Resta, mentre altri disegni relativi alla decorazione delle sale interne risalgono al 1813-1814. 10. Tale incarico era ufficializzato solo dopo la destituzione di Piermarini avvenuta con decreto del 7 gennaio 1798. In precedenza (1796) Canonica aveva ottenuto la carica di soprintendente all’illuminazione notturna (cfr. P. Gallo, Luigi Canonica. Un professionista al servizio dello Stato nella Milano neoclassica, “Arte lombarda”, n.s., 1996, n. 117, pp. 91-98). A questo incarico è forse da riferire il progetto per un lampione (BC-AMMe, 12, BC 185). 11. A. Scotti, Lo stato e la città. Architetture, istituzioni e funzionari nella Lombardia illuminista, F. Angeli, Milano 1984, p. 60; O. Selvafolta, Gli “ornati dell’allegrezza”: luoghi, apparati e ideologia delle feste nella Milano napoleonica, “Archivio storico lombardo”, XII s., a. CXXIX, 2003, vol. IX, pp. 167-192. 12. ASMi, Genio Civile, 3140, 4, lettera di Canonica del 2 settembre 1808. 13. ASMi, Genio Civile, 3127, 3, lettera di Costabili a Canonica del 30 gennaio 1811; ibidem, 4, lettera di Canonica a Costabili dell’8 marzo 1811. 14. Come ha rilevato G. Kannès (Luigi Canonica, Giocondo Albertolli e i primi spunti neogotici e romantici nella architettura lombarda, “Archivio storico ticinese”, a. XVIII, dicembre 1977, n. 72, p. 180), tali studi derivano dai modelli pubblicati nel repertorio di P.-A.L. de La Mésangère, Collection de meubles et objets de goût, vol. I, au bureau du “Journal des dames”, Paris 18071831. 15. ASMi, Genio Civile, 3126, lettera del 21 giugno 1805. 16. ASMi, Genio Civile, 3144, lettera del 7 febbraio 1806 di Costabili a Canonica. 17. ASMi, Genio Civile, 3140, 1, lettera di Canonica del 30 marzo 1808. Il “disegno nuovo” era a corone intrecciate. 18. ASMi, Genio Civile, 3143, 1, lettera di Canonica del 3 ottobre 1809; lo stesso Canonica, andando e tornando da Parigi nel 1810, passava da Lione «all’oggetto di commettere i noti capi d’addobbo» (ASMi, Genio Civile, 3127, 2, lettera del 22 dicembre 1811. 282 19. ASMi, Genio Civile, 3143, 3, lettera di Canonica del 15 marzo 1810. 20. ASMi, Genio Civile, 3144, lettera di Canonica del 4 febbraio 1806. 21. ASMi, Genio Civile, 3127, 4, lettera di Canonica del 9 marzo 1811. 22. Il fondo, conservato nell’Archivio di Stato di Milano, è stato studiato in relazione a Canonica da Paola Gallo (1996). Ringrazio Francesco Repishti per avermi messo a disposizione la sua schedatura del fondo. 23. ASMi, Genio Civile, 3126, lettera di Canonica del 5 agosto 1805; ibidem, 3153: 1804, 22 settembre da Milano, lettera autografa del pittore Carlo Antonio Raineri al «cittadino vicepresidente». Da questi documenti e da quelli citati di seguito, sui quali ci si propone di ritornare in altra sede, risulta dunque la datazione della tappezzeria monzese al 1804-1805 e non al 1790 circa, «sicuramente prima dell’arrivo dei francesi», come ipotizzato in Gli uccelli dei Raineri. Arte, natura e decorazione tra Settecento e Ottocento, catalogo della mostra (Casalzuigno 1994), a cura R. della Seta, S. Massari, M. Rosa, Electa, Milano 1994, al quale si rimanda per le notizie sui Raineri. Vedi anche M. Rosa (a cura di), I dieci riquadri dipinti artisticamente alla chinese della Villa Reale di Monza. Appunti di restauro, Electa, Milano 1994, pp. 26-69. 24. ASMi, Genio Civile, 3140, 1, lettera del 2 aprile 1808; ibidem, lettera del 14 giugno 1808. 25. ASMi, Genio Civile, 3146, 1, lettere del 13 gennaio 1804 e dell’11 maggio 1805. 26. ASMi, Genio Civile, 3151, 2, lettere del 7 e dell’11 gennaio 1812. 27. Si veda ad esempio il resoconto della visita della viceregina agli appartamenti in Palazzo Reale in ASMi, Genio Civile, 3141, 3, lettera a Canonica dell’8 ottobre 1809 e ASMi, Genio Civile, 3143, 1, lettera di Canonica del 3 ottobre 1809. 28. ASMi, Genio Civile, 3141, 4, lettera di Canonica del 18 ottobre 1809. 29. Sarà formalmente sostituito da Tazzini solo nel 1821. 30. I. Cantù, Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini [Milano 18361837], ristampa anastatica a cura di Alberto Airoldi, Edizioni del Licinium, Erba 1954, p. 196; C. Cantù (a cura di), Grande illustrazione del LombardoVeneto, ossia Storia delle città, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni, 5 voll., per la Società editrice A. Tranquillo Ronchi, [poi] presso Corana e Caimi, Milano 1857-1861, vol. III, presso Corona e Caimi, Milano 1858, p. 941; Ville e castelli d’Italia. Lombardia e laghi, 2a ed., Edizione della Tecnografica, Milano 1907, pp. 183-184. 31. C. Perogalli, G.C. Bascapè, Ville milanesi, Tamburini, Milano 1965, tav. 30. A detta degli attuali proprietari della villa, il mobilio è andato disperso. 32. AMMe, Fondo Canonica, XXV, 459: lettera del conte Annoni del 15 novembre 1818 che attende Canonica a Cuggiono; 460-461: lettere dell’11 e 13 settembre 1826 in cui si parla dell’affresco della volta della sala da pranzo di Cuggiono realizzato da Gaetano Vaccani su indicazioni di Canonica. Cfr. la scheda relativa in questo volume. 33. Il palazzo corrisponde a quello attualmente in corso Monforte 23. Sulla polemica suscitata dagli affreschi di Casa Cicogna si veda Kannès 1977, pp. 171-186. 34. In generale, sulla circolazione europea di repertori di modelli ispirati dal revival gotico, si veda F. Mazzocca, I repertori figurati come modelli storiografici e di gusto, in Il Neogotico nel XIX e XX secolo, atti del convegno (Pavia 1985), a cura di R. Bossaglia, V. Terraroli, vol. I, Mazzotta, Milano 1989, pp. 224-236. 35. A. Morselli, Cenno storico-filosofico sull’architettura, coi tipi di Omobono Manini, Milano 1834, p. 138 cit. in Kannès 1977. 36. Oltre a quanto finora noto, sembra che Canonica avesse avuto un ruolo non secondario anche nei lavori di ammodernamento di alcune sale del Palazzo Litta in Porta Vercellina (oggi corso Magenta). Ciò si evince da una partita contabile intestata all’architetto relativa agli anni 1809-39 (il documento, inedito, è conservato in Archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano, Fondo Litta, 344, f. 10). Tali interventi, ancora da precisare, sono in corso di studio da parte di chi scrive, nell’ambito di una ricerca sul palazzo commissionata dalla Direzione regionale dei Beni culturali. 37. Per le vicende costruttive dell’edificio, oggi in via Manzoni 10, e la bibliografia relativa si veda anche, in questo volume, la relativa scheda. 38. [L. Zucoli], Descrizione di Milano e de’ principali suoi contorni di città, ville, delizie e luoghi notevoli, colle notizie più importanti che riguardano la storia antica e moderna, corredata della Carta de’ Contorni, e della Pianta di Milano, presso Luigi Zucoli, Milano 1841, pp. 120-121. LA DECORAZIONE E I DISEGNI PER ARREDI 39. Tra gli altri, A. Caimi, Delle arti del disegno e degli artisti nelle province di Lombardia dal 1777 al 1862, Luigi di Giacomo Pirola, Milano 1862, p. 21; G. Mongeri, L’arte in Milano. Note per servire di guida nella città, Società cooperativa fra tipografi, Milano 1872, p. 486; L. Malvezzi, Le glorie dell’arte lombarda, ossia illustrazione storica delle più belle opere che produssero i Lombardi in pittura, scultura e architettura dal 590 al 1850, Stabilimento Tipografico Ditta Giacomo Agnelli, Milano 1882, p. 66. 40. E. Bianchi, La collezione di Antonio Greppi, “Archivio storico lombardo”, XII s., a. CXXII, 1996, vol. III, pp. 275-312; G. Stolfi, Antonio Greppi committente di architettura, ivi, pp. 315-340; E. Greppi, La famiglia del conte Antonio Greppi nell’Ottocento, ivi, pp. 353-399. 41. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 489 del 1814. Tutti i documenti sui lavori di Canonica per la famiglia Greppi di seguito citati sono contenuti nel faldone XLV. Sulla Villa Greppi di Casatevecchio, acquistata da Giacomo Greppi nel 1811, si veda La Brianza vista da Alessandro Greppi. Taccuini inediti di un nobile dell’800, a cura di G. Lopez, Banca popolare di Milano, Milano 1981. 42. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 492 del 26 settembre 1818. Si veda inoltre la relativa scheda in questo volume. 43. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 502 del 18 maggio 1824 con un preventivo per una pompa da costruirsi a Desio; AMMe, Fondo Canonica, XLV, 504 del 31 maggio 1827 in cui Paolo Greppi sollecita la visita di Canonica a Desio e i relativi progetti di ristrutturazione della casa. Per i documenti sul rinnovamento del palazzo in corsia del Giardino (1828-1831), si veda la relativa scheda in questo volume. 44. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 526 del 25 febbraio 1831: lettera di Paolo Greppi a Canonica in cui lo prega di fargli visita per discutere il disegno del salone; ibidem, XLV, 530 del 4 gennaio 1832: Paolo Greppi sollecita la revisione dei conti presentati per i bassorilievi eseguiti da Cacciatori; ibidem, XLV, 531 del 5 maggio 1832: Paolo Greppi avvisa che i lavori del salone sono quasi completati. 45. AMMe, Fondo Canonica, XLV, 532, s.d. 46. Sulla villa di Desio si veda A.M. Cito Filomarino, Villa Greppi, Lecchi, Vernazzi Longoni, in P.F. Bagatti Valsecchi, A.M. Cito Filomarino, F. Süss, Ville della Brianza, in Ville italiane. Lombardia, vol. VI, t. I, Rusconi, Milano 1981, pp. 440-441, dove è riportato il testo della lapide che, nella cappella, ricorda «Il nobile Paolo Greppi già da più anni di questa parrocchia zelantissimo fabbricere estinto 29 ottobre 1854». Le occorrenze citate stanno in AMMe, Fondo Canonica, XLV, 545 del 28 marzo 1834; AMMe, Fondo Canonica, XLV, 553 del 24 maggio 1835; AMMe, Fondo Canonica, XLV, 567, s.d. 47. Cfr. Giuseppe Archinto e l’architetto Nicholas Auguste Thumeloup: decori e arredi per il palazzo di via della Passione a Milano (1837-1849), catalogo della mostra (Milano 2000), a cura di C. Martelli, Museo Bagatti Valsecchi, Silvia, Cologno Monzese 2000. 48. Sul palazzo si veda in questo volume la relativa scheda. 49. Il mobile italiano del secondo Ottocento. Storicismo e movimento estetico, catalogo d’asta, Finarte 8 novembre 1986, a cura di C. Venturini, Finarte, Milano 1986, pp. 8-11. 50. AMMe, Fondo Canonica, L, 598-607; ASMi, Genio Civile, 3136, 1. 51. Le esequie del conte Annoni si erano tenute nella Chiesa di San Nazaro il 13 settembre 1825, ma i disegni relativi non sono identificabili. Si conserva invece la memoria delle spese occorse per l’apparato, dalla quale si ricava che il catafalco era a base ottagona con otto colonne e cupola «a tre ordini». I lavori erano stati eseguiti dal falegname Benzoni, dall’apparatore Valentini, dal pittore Sanquirico, dall’intagliatore Viarana, dal doratore Zaccagni e dallo scultore Gaetano Monti (AMMe, Fondo Canonica, L, 635). 52. Forse da identificare con Barbara Belgioioso, moglie di Antonio Litta, morta nel 1833. 53. L’elenco delle spese per l’apparato, dove non è indicato il nome di battesimo del Rusca, è conservato in AMMe, Fondo Canonica, L, 619. 283 DIBATTITO STORIOGRAFICO Jacques-Louis David, Ritratto del generale Bonaparte; Parigi, Musée du Louvre. L’Impero o della perplessità Note sugli incerti della storia stilistica, tra Parigi e Milano Daniel Rabreau Che Napoleone non sia altro che un eterno ricorso della storia mitica? Successore di Alessandro, di Cesare e di Augusto, ammiratore di Luigi XIV, era per lui un dovere illustrare la propria gloria nel ruolo di protettore delle arti. Ciò premesso, la sua sensibilità culturale rivela forse quanto di più immaginativo o spirituale ci si potesse attendere nella storia dell’arte? Uno dei suoi modelli, il Re Sole (malgrado il panegirico di Voltaire), quando morì lasciò il ricordo di un tiranno delle arti, di cui Colbert si era metodicamente adoperato a temperare l’egocentrismo. Né, ad esempio, durante l’Illuminismo il discorso teorico sull’architettura francese ebbe mai a citare il Castello di Versailles come modello di buon gusto.1 In compenso si tende a dimenticare che all’apogeo della gloria, verso la metà del Settecento, Luigi XV il Bien-Aimé era ritenuto assai più colto del suo bisavolo. Chi, oggi, rammenta più il ruolo personale che egli svolse nella politica delle arti del tempo? Ora, è proprio verso la metà del regno di tale monarca, sensibile all’arte di vivere un po’ borghesemente,2 che in Francia – così come nella nemica Inghilterra e ben presto in tutta Europa, malgrado i fulmini di Roma – si sviluppa quel rinnovamento di ispirazione “all’antica” cui assai più tardi gli storici dell’arte avrebbero imposto il nome neoclassico. Su questa stolida denominazione,3 che da oltre mezzo secolo distoglie la storia dell’arte dall’approfondimento tipologico e simbolico di cui dovrebbe farsi garante, si rimanda il lettore alle osservazioni di Rémy G. Saisselin. Se si tiene conto che oltre la metà degli artisti di chiara fama distintisi nei primi quindici anni del XIX secolo avevano già al proprio attivo una produzione riconosciuta, e in certi casi influente, dalla fine dell’Ancien régime fino al Direttorio, non è difficile inquadrare con maggior precisione le origini dello sviluppo di uno stile che si tende a identificare con l’Empire français. Che tale regime, pressoché effimero, non abbia espresso pienamente le proprie potenzialità nell’architettura e nell’urbanistica realizzate, neppure in Francia, è evidente. Che decisivo sia stato il suo impulso in altri ambiti artistici – in particolare nelle arti decorative4 – è, in compenso, la conclusione cui sembra tuttora incoraggiare il riscontro di una volontà unitaria nell’uso dei simboli e nel nitore delle forme, dal settore del lusso alle applicazioni nei prodotti della nascente industria. Ma non si tratta né di un’esclusività creativa formale, né di un’autonomia degli emblemi che, tutti, attengono a un repertorio antico diversificato o variato “alla maniera di”, dai modelli di Raffaello a quelli di Piranesi, passando attraverso la fascinazione per le scoperte greche o etrusche cui, dall’epoca di Caylus e di Winckelmann fino a quella di Quatremère de Quincy e di Vivant Denon, si ispirarono artisti e “antiquari”. Le istituzioni (le nuove accademie dell’Institut de France), così come il museo del Louvre, sono figlie della monarchia illuminata e della Rivoluzione, di cui l’Impero è il baldanzoso erede – baldanza delle con- quiste militari, immaginario egizio ivi compreso! Che il razionalismo amministrativo e la bulimia patrimoniale (all’origine delle spoliazioni di opere d’arte attuate nelle Repubbliche sorelle) fungano da fonte di ispirazione per lo stile auspicato nelle future capitali imperiali? Nell’ottica francese, Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine sembrano non avere avuto rivali nell’Impero, essendo responsabili dei palazzi ove si insedia la nuova corte, nella stessa Francia, e dispensatori di modelli di arte decorativa e di progetti per l’urbanistica parigina. JeanNicolas-Louis Durand si impone come il teorico “funzionalista” rispondente agli obiettivi civici del regime, direttamente dipendenti, nella fattispecie, dal razionalismo repubblicano artefice della riforma delle scuole di ingegneria (in origine, corpo dei Ponts et Chaussées creato sotto Luigi XV). Insieme a istituzioni amministrative quali il Conseil des Bâtiments civils, il sistema di pianificazione territoriale fu impostato già alla fine degli anni 1790… Senza il crollo del 1815, Parigi, capitale-madre dell’Impero (da oltre tre secoli invidiosa di Roma), si sarebbe dovuta sottomettere all’influsso congiunto delle idee dei due architetti dell’imperatore e degli arbitri dell’amministrazione, in seno alla quale il Conseil des Bâtiments civils – che annoverava tra l’altro alcuni architetti rivoluzionari, affini ai grandi maestri ante 1800, i Boullée o Ledoux5 – fu soppiantato, a vantaggio degli ingegneri, dalla Direction des travaux de Paris (1810). Nell’ottica di Milano, di Roma o di Torino, ove l’attività creativa è all’insegna della condivisione di ruoli tra ingegneri francesi e innumerevoli architetti locali, taluni dei quali con incarichi ufficiali – e fra questi Luigi Canonica, che oltretutto conosce Parigi –, i particolarismi potrebbero autorizzare letture incrociate, e far dubitare di quell’egemonia stilistica che per tradizione, e senza incertezze, si tende a riconoscere nel “prurit impérial”. La questione della legittimità e dell’esistenza stessa, da un punto di vista unitario, dello stile Impero richiede una nuova valutazione nel tempo e nello spazio: storicamente, in funzione delle sue origini settecentesche – la Rivoluzione non avendo determinato in questo campo, almeno in Francia, alcuna frattura –, e geograficamente, nella misura in cui non si può ridurre la ricezione dello “stile imperiale” al puro e semplice impulso dato dall’epicentro del regime. Ci si attenga dunque alla linea guida della “relatività” di ogni asserzione e della volontà di combattere i “pregiudizi” che infestano i nostri manuali di storia. Su così critico argomento, la storiografia francese rimane pavida e ripetitiva; e, salvo poche eccezioni,6 trascura con paradossale noncuranza l’arte che i paesi stranieri offrirono a glorificazione di Napoleone I, a meno che non si voglia limitarne gli effetti al ruolo dei Canova, Appiani ed emuli vari. Strana idea di un Impero che non abbia come pietra di paragone stilistica l’architettura monumentale! 287 DANIEL RABREAU L’Acme immaginaria di una visione neoclassica retroattiva? «Un vero amore per l’arte […] si è profondamente fuorviato soltanto ai primi bagliori dell’incendio rivoluzionario».7 Questo giudizio conclude un piccolo brano da antologia particolarmente severo nei confronti dello stile Impero, apparso nel 1865 sul giornale “L’Artiste” – dunque, sotto il Secondo Impero! Il critico è sì di fede palesemente monarchica, ma la sua posizione di rifiuto si basa sulla constatazione di un’evoluzione, pressoché ineluttabile, che egli ritiene di riscontrare nel XVIII secolo. Il giudizio tagliente, che oggi può far sorridere, è comunque indicativo del modo in cui il sedicente fenomeno neoclassico era recepito all’epoca delle avanguardie, il cui disprezzo e la cui ignoranza dell’arte della metà del Settecento aveva per unico corollario la riscoperta da parte dei fratelli Goncourt del «genere minore» in pittura – le «feste galanti», prima del Romanticismo.8 Puntualizza il critico: «Lo stile femmineo degli interni è scomparso di fronte all’austerità di Luigi XVI, e lo stile greco avrebbe incontestabilmente trionfato se la reazione si fosse mantenuta entro giusti limiti. Purtroppo l’avvento del repubblicanesimo portò la Scuola francese a trascendere il proprio obiettivo; e per gli architetti, chiamati come sempre a rispecchiare il carattere dell’epoca, fu giocoforza attingere i propri modelli alle prime età della Repubblica Romana, così come gli statisti ne traevano ispirazione politica. Oggi si tende a confondere questo stile repubblicano instauratosi durante l’ultimo scorcio del regno di Luigi XVI, con quello nato quando detto principe iniziò a regnare,9 il che dà luogo a equivoci incresciosi da tutti i punti di vista. Lo stile repubblicano infatti si è discostato dall’eleganza e dal buon gusto tanto quanto vi si avvicinava lo stile Luigi XVI: quest’ultimo era stato un progresso verso l’arte ellenica; l’altro, fu un ritorno all’infanzia dell’arte, ai tempi in cui la Scuola di Egina [sic]10 non si era ancora affrancata dalle tradizioni egizie. Lo stile Luigi XVI era, in breve, un riflesso dell’arte greca; quello repubblicano, al contrario, l’immagine delle fredde ispirazioni dell’arte toscana […]».11 Procediamo di un secolo. Non resisto al piacere di citare Louis Hautecœur: «Napoleone diceva a Fontaine che il sovrano deve sacrificare la comodità alla bellezza e alla simmetria. Da buon soldato, che amava passare in rivista le truppe allineate, un reggimento dopo l’altro, una brigata dopo l’altra, egli si compiaceva di percorrere con lo sguardo i lunghi colonnati: già David, sotto la Convenzione, aveva consigliato agli architetti incaricati dei lavori di abbellimento parigini di imitare la via colonnata di Palmira. I due uomini erano fatti per intendersi. Sotto il classicismo affiorava già il romanticismo; Bonaparte non era forse appassionato di Ossian? […] Napoleone, ancora come Luigi XIV, riteneva che i sovrani si misurassero con il metro di ciò che costruiscono».12 Dopo l’ilarità suscitata dal paragone Palmira/sfilata militare, viene fatto di chiedersi se gli storici dell’arte tedeschi si siano a loro volta lasciati tentare da consimili collegamenti a proposito dell’inclinazione di Federico II di Prussia per l’architettura… Quanto ai fremiti preromantici, è facile riconoscervi un cliché della propensione francese a ricalcare la storia dell’arte su quella della letteratura predominante, abitudine che ha in Hautecœur uno dei massimi propagatori. Riassumendo, Napoleone sarebbe stato un classico, appassionato d’ordine, perturbato da un non meglio definito atavismo di sensibilità individuale e lirica. Così si è costruita, sotto la Monarchia di Luglio, la leggenda romantica dell’Imperatore. Si può essere, come Louis Hautecœur, stendhaliani o hugoliani, nel XX secolo, senza prendere neppure in considerazione un’esegesi dell’arte del passato che renda veramente conto – tramite l’analisi dei fatti, delle forme, delle maniere, de- 288 gli intenti creativi e della ricezione – della natura di uno stile o delle variazioni stilistiche? Il brano sopra citato è tratto dalla prefazione che lo storico dell’arte scrive al volume di Marie-Louise Biver, Le Paris de Napoléon, pubblicato nel 1963 – ovvero, meno di cinquant’anni or sono. Celebre autore della monumentale Histoire de l’architecture classique en France, il cui V tomo, Révolution et Empire, 1792-1815, è del 1953, Hautecœur pensava di avere messo a fuoco il passaggio dal XVIII al XIX secolo con la nozione di “preromanticismo”, i cui grandi temi – natura, rigenerazione e sublime, in particolare – consentivano una comoda “transizione” tra lo spirito illuministico (concetto che egli non valorizza granché) e quanto ne seguì, dal caos rivoluzionario al ripristino dei valori sicuri, con l’Impero e la nascente industria. Nell’introduzione al suddetto volume, Hautecœur evoca l’evoluzione delle forme dell’arte «negli anni 1785», quando uno spirito «già romantico» interviene a bilanciare la sfrenata mania dell’antico imperante nell’ultimo scorcio dell’Ancien régime. Su questa scorta, egli non esita ad esempio a disquisire, in un terzo del libro, dell’arte dei giardini e dell’opera degli architetti visionari, Boullée e Ledoux, attivi fin dall’ultimo decennio del regno di Luigi XV, come di altrettanti prolegomena alla specificità dello stile Impero. E in questi termini conclude l’introduzione: «Nell’affrontare lo studio della Rivoluzione e dell’Impero, è bene dimenticare ogni pregiudizio politico o artistico. Al pari di tutte le epoche della nostra storia, essa è meritevole di attenzione e perfino di interesse»13 – si noti il truismo che, non senza un larvato disprezzo per il tema considerato, vuole spacciarsi per profondità di pensiero. Ora, sia Hautecœur che la Biver sono autori tuttora imprescindibili per la messe di informazioni che dispensano. Ma senza una griglia di lettura storiografica un innocente studente o un giornalista della “rubrica culturale” rischiano di perdere la virtù leggendo Hautecœur… In Francia non esiste ancora nessuna sintesi che sostituisca questi testi – anche se va detto che nell’uso delle fonti Marie-Louise Biver si dimostra più coscienziosa del suo illustre prefatore. La generazione dei miei genitori e quella a cui io stesso appartengo hanno potuto tuttavia avvalersi di un’altra famosa opera di sintesi, edita nel 1939 da Larousse nella diffusissima e più volte ristampata collana Arts, styles et techniques. Si tratta di Le style Empire, du Directoire à la Restauration di Pierre Francastel.14 Volumetto di stretta osservanza marxista, esso si apre con la seguente dichiarazione: «La Rivoluzione ebbe verosimilmente un aspetto più economico che non politico o ideologico»15 (con buona pace degli attori del “dramma rivoluzionario” e delle vittime che vi lasciarono la testa). Per questa ragione, lo stile Impero si identifica essenzialmente con la produzione di arte decorativa e di mobilio, prodotto di lusso di un’industria più a buon mercato di quanto non lo fosse in precedenza l’artigianato, e adatta a soddisfare quella borghesia profittatrice che, tantomeno incapace di esprimere un vero gusto, né una forma di ideologia, detiene il potere. Per Francastel, la transizione tra il Settecento e l’Ottocento equivale al passaggio dal regno degli ideologi alla tirannide dei “profittatori”. Napoleone non fa che proseguire su questa linea, e Francastel conclude: «L’Imperatore ha fornito alla Francia una volontà esteriore di ordine e di potenza, non gli elementi costitutivi di un gusto nuovo» – e sotto questo profilo, egli dice, il trionfo ufficiale della mania dell’antico altro non è se non una rivincita del XVIII secolo! Sempre perentorio, Francastel indulge talora nella formulazione di rapporti di causa-effetto a dir poco lapidari, come questo: Percier e Fontaine, «eletti all’Institut nel 1811 […] ottennero che si consentisse agli allievi di Roma di copiare il Rinascimento, e non più soltanto l’antico».16 Sia pure: ma dob- L’ I M P E R O O D E L L A P E R P L E S S I T À Andrea Appiani, Napoleone primo console a Mombello; Milano, Pinacoteca di Brera. biamo pensare che gli omologhi allievi della seconda metà del XVIII secolo non conoscessero il Rinascimento (anche quello francese) prima di tale tardivo “perfezionamento” istituzionale del 1811? È assurdo… E anziché inserire sbrigativamente fenomeni di presunta “sopravvivenza” in svariate questioni di ordine cronologico, sarebbe preferibile che al lettore odierno si chiarisse la persistenza di determinati valori pur nell’emergere di quelli nuovi – siano essi predominanti o meno. Francastel ignora fieramente, ad esempio, l’arte dei giardini. E l’urbanistica, che non viene trattata, si riduce per lui al mero inserimento di edifici nella città. Niente sulla politica di pianificazione territoriale… La scultura, egli afferma, non vale nulla; la pittura, tolti David e Prud’hon, sarebbe di ben poco interesse; e irrilevanti sono gli esempi scelti per presentare l’architettura… L’Impero, per Francastel, «è il regno del piccolo borghese».17 In sostanza, soltanto il decoro dell’ambiente abitativo, frutto dell’industria, ha secondo lui un senso, perché cosa reale è l’evoluzione delle “condizioni” di vita della società, laddove la società stessa non palesa invece evoluzione alcuna (ideologicamente parlando). Andate a rileggervi Francastel. Le intuizioni non gli mancano, ma il preconcetto positivista e le carenze metodologiche fanno rizzare i capelli. Sua è anche la compilazione dell’articolo Impero nel monumentale L’Art et l’Homme edito nel 1961 da Larousse, a cura di René Huygues.18 L’opera testimonia di quella cultura “alla francese” di cui già si è detto, che tanta enfasi accorda, specialmente nelle introduzioni dello stesso Huygues, ai riferimenti alla stilistica letteraria; e a tale titolo, l’Impero non è mai mostrato come un periodo determinante, né brillante, e neppure inventivo… In Francia non è molto amato. È bensì vero che per queste considerazioni sulla storiografia dell’arte sotto l’Impero avrei potuto prendere spunto da testi più recenti: dal 1989 gli studi relativi alla Rivoluzione e alle sue conseguenze hanno aperto numerose prospettive e hanno soprattutto approfondito le conoscenze, ancora assai lacunose, sul periodo stesso, che pure ebbe così breve durata. Avrei anche potuto far riferimento ai lavori degli anni 1970 sul Neoclassicismo, da quelli di Mario Praz,19 noti in Francia, all’attivismo di André Chastel nel promuovere la scoperta dell’arte dei “piranesiani” francesi.20 Il mio approccio di settecentista è stato essenzialmente volto a capire perché gli studi di stilistica periodizzata, nella nostra cultura, non abbiano fornito alcun valore sicuro alla comprensione della “creazione artistica” in fasi successive, dal 1760 al 1830 circa… Il testo postumo di André Chastel, tomo V, Le temps de l’éloquence 1775-1825,21 non conclude alcunché di specifico sull’Impero. Nel capitolo intitolato “Le temps de l’Empereur”, l’autore (o i suoi ri-scrittori) si limita a constatare che esso è un «ritorno ai fasti dell’Ancien régime e, in linea generale, alle forme degli anni 1780»: eppure, ansioso di confutare Francastel, Chastel dichiara che sono i fatti politici 289 DANIEL RABREAU che, a partire dal 1789, «tendono a imporre la propria griglia su tutti gli aspetti della vita storica».22 Siamo nel 1996, edizioni Flammarion. Non è cambiato nulla. O meglio, qualcosa sì, perché Chastel tiene conto dei testi essenziali apparsi nel frattempo sulla nozione di patrimonio artistico, sulla cultura dei collezionisti; e può ormai disporre di un sontuoso apparato illustrativo a colori, sconosciuto ai tempi di Francastel. L’ultimo scorcio del XX secolo mostra finalmente le opere in tutta la loro diversità! L’economia del presente saggio lascia ben poco spazio all’analisi di opere straniere che al loro apparire in traduzione segnarono in Francia una tappa importante. Talune intuizioni di Emil Kaufmann23 mi hanno stupito; e certe riflessioni di Joseph Rykwert24 aprono percorsi di indagine che non sono stati esplorati – sempre, però, con l’idea di non frazionare la storia dell’arte in brevi periodi stilistici. L’impianto di una solida storiografia francese dell’arte sotto l’Impero sarà un lavoro di équipe. Ma il prerequisito dovrà essere l’accordo su una griglia di lettura metodologica che assuma a fondamento la pertinenza e la varietà delle questioni che oggi si pongono – e di cui il presente volume, di area culturale italiana, è un esempio. Quella ri-valutazione cronologica, minuziosa, dell’esistenza e della formazione dello stile, che ho fin qui difesa, non può prescindere dalla simultanea adozione di un nuovo approccio autenticamente europeo all’argomento. A iniziare dal riconoscimento della “ricezione” dell’idea stessa di stile in Italia: se l’immagine di Roma è, da secoli, ineludibile e meno ignorata dal punto di vista parigino, quella degli altri stati annessi rimane finora un osservatorio privo di risonanza – almeno da parte francese. L’Italia, mitica o regolatrice di uno stile imperiale europeo? A partire dalla creazione delle Repubbliche, quella francese e le consorelle, il dispositivo monumentale più caratteristico di una nuova arte urbana trae diretta ispirazione dal circo della festa della Federazione, area di riunione “all’antica” che a Parigi vide, tra i cittadini-attori,25 il re prestare giuramento dinanzi ai rappresentanti della Nazione. Unico monumento, mutuato dall’arte greca e romana, che non figurasse nei programmi di architettura dell’Ancien régime (se non in forma di effimeri simulacri nell’arte di corte), esso era fortemente auspicato, come strumento di civismo, da alcuni teorici e architetti assai prima della fine del regno di Luigi XVI: lo dimostrano i progetti megalomani di Boullée.26 Insieme all’arco di trionfo e al ponte di fondazione (in origine, nel 1790, in legno: divenne poi il Pont d’Iéna), per quasi dieci anni il circo costituirà la sola grande opera di sistemazione “transitoria” dell’urbanistica rivoluzionaria. I famosi concorsi dell’Anno II proposero, senza che vi fosse dato seguito,27 di edificare in pietra il circo nazionale di cui al bando, tema che taluni concorrenti associarono spontaneamente all’arco, e che ricorre anche nei concorsi accademici. L’Arena che, sia pure in epoca più tarda (tra il 1805 e il 1824), Luigi Canonica erige a Milano nel contesto di un Foro Bonaparte rimasto allo stato embrionale,28 fissa nel Regno d’Italia il simbolo concreto di un pensiero urbanistico utopico di cui Parigi non ha serbato traccia. Eppure, era questa l’idea sottesa ai grandi progetti di localizzazione del Palazzo del Re di Roma che, sovrastante la Senna a Chaillot, in asse con il Champ-deMars, presentava (progetto del 1814)29 la forma perenne del circo cinta da un impressionante apparato di edifici civici. La progettazione delle opere prospicienti il palazzo, ideato da Percier e Fontaine, era ripartita tra Cellerier, Poyet, Damesme, Gisors, Baltard – amici, discepoli o emuli del grande Ledoux: e la varietà stilistica del complesso meriterebbe di essere oggetto di studi che nessuno, a tutt’oggi, ha ancora intrapreso…30 Nella 290 Arc du Carrousel, Parigi. Arc de Triomphe, Parigi. L’ I M P E R O O D E L L A P E R P L E S S I T À Charles Percier, Pierre-François-Leonard Fontaine, Progetto per il palazzo del Re di Roma; Parigi, collezione privata. Charles Percier, Pierre-François-Leonard Fontaine, Prospetto della tribuna e del trono realizzati in occasione della festa per la consegna delle aquile; Parigi, collezione privata. 291 DANIEL RABREAU Giuseppe Pistocchi, Progetto per l’Arco del Sempione, Milano, prospetto, 1808; Faenza, Biblioteca Comunale Manfrediana, Disegni e Stampe, 9, n. 106. Ferdinando Bonsignore, Progetto per la Porta Marengo, Milano, 1808; Torino, Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Bonsignore, disegni sciolti, 5.1.86. forzata dialettica abbellimento/attrezzature, espressione del pragmatismo napoleonico, la scelta di privilegiare i servizi e l’igiene (fognature, macelli, mercati, fontane, cimiteri…) può forse spiegare, nell’urgenza degli interventi, la proporzione dei monumenti che Parigi può vantare a gloria dell’Impero, rispetto a quanto attuato nello stesso periodo nelle capitali europee. Apporto che rende ben poca giustizia allo stile architettonico (pastiche nell’ex Madeleine diventata Tempio della Gloria), se si eccettua la costruzione delle fontane, in cui però è ovviamente la scultura a predominare. Nel numero speciale che la rivista “Les monuments historiques de la France” dedica a Napoleone e le arti in Europa (1969),31 con una panoramica di Gérard Hubert sulla situazione italiana, Jean-Marie Pérouse de Montclos esprime perplessità sugli obiettivi stilistici (non comparati) della creatività assoggettata al regno di Napoleone I: «Un più attento esame dei progetti e delle idee moltiplicatisi nel cinquantennio che precede l’avvento dell’Impero pone naturalmente in rilievo l’aspetto della continuità: ma quest’ultima sembra allora tanto costante, tanto forte, che non si riesce più a vedere quali innovazioni sia il caso di ascrivere all’epoca imperiale».32 E a quale stile sarà il caso di attribuire, in effetti, le due opere più innovative del regno, nell’arte della tecnica del ferro sapientemente profilato e proporzionato: il Pont des Arts, atteso e acclamato modello di ingegneria (Cessart e Dillon, 1803) e, ancor più sorprendente, la nuova cupola della Halle aux blés, capolavoro di arte metallica ad opera di uno dei maggiori decoratori dell’Impero, nonché fecondo creatore già sotto l’Ancien régime, François-Joseph Bélanger? Vogliamo parlare dei progetti e delle realizzazioni di archi trionfali? È un fatto che, ultimato sotto Luigi Filippo, re dei Francesi, il colossale arco dell’Étoile sembra voler contraddire quanto sopra detto: la posizione – a complemento dei massicci padiglioni degli uffici del dazio di Ledoux – e il gigantismo compensano l’effetto ridotto del piccolo arco di accesso al cortile del Carrousel, che Percier e Fontaine riprendono da quello romano di Settimio Severo. Tra il pastiche e l’innovazione (la rinuncia all’ordine antico nell’esecuzione dell’arco dell’Étoile fu un’esplicita decisione di Napoleone), il gusto moderno dell’imperatore si inscrive in un eclettismo cui si è trascurato di dare sufficiente rilievo. Sullo stesso tema, quasi a moltiplicarlo, gli archi progettati e realizzati a Milano offrono variazioni ancor più numerose, dall’austerità rivoluzionaria al pastiche, passando per l’invenzione dell’“antico moderno”. Tali sono i progetti “contrastati” di Luigi Canonica per Porta Marengo e Porta Vercellina,33 mentre il suo collega Luigi Cagnola, non meno eclettico ma più inventivo, realizza nella Porta Ticinese (1801-1814) una visione quasi iconica dell’ideale palladiano, trasformando la struttura del Portico di Ottavia da loggia in porta – reminiscenza del modello romano eretto da Palladio a Venezia nel 1574 per le feste in onore di Enrico III, re di Francia e di Polonia! Divenuto da due secoli pressoché idiomatico in Inghilterra, e determinante in Francia a partire dagli anni 1770 e ancor più in seguito, con l’approvazione di Quatremère de Quincy, il “Palladianesimo” europeo34 conosce, come è ovvio, in Italia un gran numero di sviluppi originali. Essi si fondono con l’estrema varietà delle tradizioni locali di rinnovamento classico – di ispirazione spesso rinascimentale – in cui, ad esempio a Milano, si esprime la discendenza di Giuseppe Piermarini, formatosi a Roma e architetto imperiale della Lombardia austriaca! L’acclimatazione dell’architettura rivoluzionaria francese, già sensibile nell’Accademia romana di San Luca – e successivamente in quella milanese di Brera – si arricchisce altresì nei rapporti di vicinato artistico instauratisi tra Milano e Parma: uno studio francese, rimasto inedito,35 ha precisato l’apporto stilistico di alcuni architetti lombardi formatisi nell’Accademia diretta da Ennemond-Alexandre Petitot, il più celebre discepolo di Jacques-Germain Soufflot, grande mediatore tra i “piranesiani” francesi e i seguaci del “gusto greco” sostenuto dal conte di Caylus… L’aura di Petitot,36 fin dagli anni 1770 – insieme a quella di Bélanger, Ledoux, Chalgrin! –, non meno che di altri architetti piranesiani, Charles-Louis Clérisseau (mentore dei fratelli Adam), il francofilo William Chambers, Charles De Wailly (uno dei suoi capolavori decorativi è eseguito a Genova37 dall’architetto Andrea Tagliafichi), Jacques Gondoin o Pierre-Adrien Pâris,38 implica l’atmosfera del Grand Tour.39 Nonché rivelare l’emulazione tra artisti britannici e francesi, pone anche in luce l’influenza che essi esercitarono in Europa, dai Paesi Bassi o germanici alla Russia e alla Spagna. Ora, il filone di studi francesi e internazionali che, da una trentina d’anni a questa parte, hanno arricchito la co- 292 L’ I M P E R O O D E L L A P E R P L E S S I T À Porta Marengo, Milano, prospetto, [1801]; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, PV g. 5-16. 293 DANIEL RABREAU noscenza e l’interpretazione dell’antique revival nel XVIII secolo, sembra esaurirsi quando si tratta di evocare la transizione con il XIX secolo – sempre dal punto di vista francese. Eppure già nel 1911 Emil Kaufmann40 aveva intuito il fondamentale apporto di certi artisti italiani, o operosi in Italia, che nell’ultimo terzo del XVIII secolo furono responsabili di un’evoluzione “all’antica” anteriore o parallela a quella che animava Percier e Fontaine. La questione, pienamente ammessa oltralpe, meriterebbe maggiore attenzione da parte degli storici dell’arte francesi: con particolare riguardo non soltanto per l’opera di Giocondo Albertolli (grande collaboratore nelle decorazioni di interni milanesi di Piermarini, e inoltre docente presso l’Accademia delle Belle Arti di Milano dal 1776 e autore di raccolte di tavole ornamentali che nulla hanno da invidiare alle coeve pubblicazioni francesi o britanniche), ma anche per quella di Agostino Gerli – decoratore e disegnatore di mobili – formatosi per qualche tempo sul cantiere del Petit Trianon, verso la fine degli anni 1760. Le mostre sull’arte napoleonica, che nel corso dell’ultimo decennio si sono moltiplicate in Francia, girano tutte attorno a Percier, Fontaine e ai loro emuli, nonché alle manifatture: girano insomma in tondo, pur contribuendo, è vero, ad ampliare la conoscenza materiale delle opere. Una delle più recenti, L’aigle et le papillon. Symboles des pouvoirs sous Napoléon,41 si occupa essenzialmente di iconologia delle arti decorative, svelando in profondità la polisemia di simboli ben caratterizzati delle “gesta” imperiali (alle due bestie alate del titolo – l’aquila e la farfalla –, si aggiungono il cigno e l’ape). La concentrazione di immagini è, indubbiamente, sintomatica di una tendenza figurativa e non manca di significato, ma non è tuttavia monopolio dello stile Impero: e la comprensione stessa di certe fonti, antiche, rinascimentali e settecentesche ivi indagate,42 non potrà che avvantaggiarsi di un raffronto con la produzione europea. L’approccio è innovativo, ma il discorso rimane in sospeso e risulta frustrante nell’ambito stilistico che ci interessa: il catalogo trascura, ad esempio, la lezione della mostra su Giovanni Volpato43 o certe piste di ricerca aperte in occasione del colloquio Les maisons de l’Empereur (Lucca, 2004).44 Lo ribadiamo: soltanto uno studio congiunto, su ben dettagliate basi cronologiche, dell’iconologia e delle tipologie formali (ornato, decorazione fusa nell’architettura) nell’immenso campo di produzione e di ricezione degli scambi europei varrà a dissipare la nostra perplessità sull’assioma di uno stile imperiale francese. La questione allora va oltre gli studi incrociati franco-italiani. Non fu forse buon profeta Claude-Nicolas Ledoux nel dedicare, precisamente nel 1804, all’«Imperatore di tutte le Russie» il suo grande libro sull’Architecture?45 L’influenza di tale testo, e con essa quelle di alcuni discepoli del suo autore e di grandi architetti russi formatisi a Parigi assai prima del 1789, è associata all’età aurea del classicismo di Caterina II, di Paolo I e di Alessandro I, tanto a San Pietroburgo quanto a Mosca e nelle residenze che ne dipendono. L’espressione “associata” rinvia all’opera, immensa, di due generazioni di artisti di altri paesi che contribuirono a loro volta alla formazione dello stile degli zar e tra i quali spiccano come grandi maestri un Cameron, per gli inglesi, e i Quarenghi, Brenna o Rossi per gli italiani. Basta visitare i palazzi russi dell’epoca per convincersi che la magnificenza dello stile, negli anni attorno al 1800, non è appannaggio dell’Impero francese, né per inventiva, né per qualità dell’esecuzione, né quale illustrazione di un immaginario culturale forte. E nell’impossibilità di una verifica in loco, è auspicabile la consultazione dei numerosi studi di cultura italiana, relativi, ad esempio, all’incredibile saga degli architetti di origine italiana e ticinese in Russia.46 Ecco il modello storiografico! Tra le lacune francesi, la mancata pubblicazione dei concorsi di architettura dell’École des 294 Giocondo Albertolli, Disegno per la volta della cappella di Palazzo Belgioioso, s.d.; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli. Carlo Rossi, Progetto per la decorazione della sala da pranzo di Palazzo Elagin a San Pietroburgo, 1818; San Pietroburgo, Museo dell’Accademia di Belle Arti. Beaux-arts nell’età imperiale si contrappone alla conoscenza che oggi si ha dei lavori della romana Accademia di San Luca, vero e proprio vivaio internazionale dello “stile”.47 Infine, se la pubblicazione nel 1987 del famoso Journal di Fontaine, preceduto da un acuto saggio di Bruno Foucart,48 è stata indubbiamente un evento, si fa tuttora attendere, in compenso, la grande monografia dedicata alla valutazione dell’opera in collaborazione di Percier e Fontaine, ivi compreso lo studio dei disegni dell’uno e dell’altro conservati a San Pietroburgo o in raccolte private. Il raffronto tra tale opera – tanto incompiuta quanto avveniristica – e i progetti e realizzazioni di vari architetti francesi della medesima generazione, o giunti al termine della carriera sotto l’Impero (e per lo più in attesa anch’essi di una propria monografia), renderà giustizia alla storia stilistica di quel breve periodo che, sotto il profilo artistico, sembra porre fine ai tempi moderni più di quanto non preannunci il futuro – per lo meno, nello specifico politico e simbolico francese. L’ I M P E R O O D E L L A P E R P L E S S I T À 1. Cfr. le severissime e argomentate critiche di M.-A. Laugier, Essai sur l’architecture [Paris 1753], nouvelle édition revue, corrigée et augmentée, Duchesne, Paris 1755, ad indicem. 2. M. Antoine, Louis XV, Fayard, Paris 1989. 3. R.G. Saisselin, Néo-classicisme, discours et temps, “Gazette des Beauxarts”, a. CXXI, 1979, t. XCIV, pp. 19-24. Cfr. Anche D. Rabreau, Une méprise stylistique: l’architecture néo-classique du XVIIIe siècle, “Histoire de l’art”, 2004, n. 54, pp. 13-18. 4. L’aigle et le papillon. Symboles des pouvoirs sous Napoléon, 1800-1815, catalogo della mostra (Saint Louis-Boston-Paris 2007-2008), a cura di O. Nouvel-Kammerer, Les Arts Décoratifs, Paris-American Federation of Arts, New York 2007. 5. W. Szambien, Jean-Nicolas-Louis Durand, 1760-1834. De l’imitation à la norme, Picard, Paris 1984; J.-M. Pérouse de Montclos, Etienne-Louis Boullée, 1728-1799. De l’architecture classique à l’architecture révolutionnaire, Arts et Métiers graphiques, Paris 1969; D. Rabreau, Claude-Nicolas Ledoux (1736-1806). L’architecture et les fastes du Temps, Centre Ledoux-Université Paris I Panthéon Sorbonne, Paris-William Blake & Co, Bordeaux 2000; E. Kaufmann, L’architecture au siècle des Lumières: baroque et post-baroque en Angleterre, en Italie et en France [Cambridge 1955], trad. di O. Bernier, R. Julliard, Paris 1963. 6. Cfr. il saggio di Blanche de La Taille, che ringrazio per l’aiuto, in questo stesso volume. 7. Duc de Valmy, Architecture: les Types de la Renaissance, “L’Artiste”, a. XXXV, 1865, t. II, p. 27. 8. Cfr. Saisselin 1979; B. Saint-Girons, Esthétique du XVIIIe siècle. Le modèle français, Sers, Paris 1990. 9. Grossolano errore cronologico: il “gusto greco”, come era detto a Parigi negli anni 1755-1757, risale a un ventennio prima della fine di quel regno di Luigi XV (1774) che l’autore definisce “femmineo”. 10. Lapsus per Paestum nella Magna Grecia, i cui rilievi a opera di G.-P.-M. Dumont, Suite de plans, coupes, profils, élévations géométrales et perspectives de trois temples antiques, tels qu’ils existaient en 1750 dans la bourgade de Poesto, qui est la ville Poestum de Pline, chez l’Auteur, Paris 1764. 11. Duc de Valmy 1865, p. 27. 12. L. Hautecœur, Préface, in M.-L. Biver, Le Paris de Napoléon, Éditions d’histoire et d’art Plon, Paris, 1963, pp. 7-11. 13. L. Hautecœur, Histoire de l’architecture classique en France, vol. V, Révolution et Empire, 1792-1815, A. et J. Picard, Paris 1953. 14. P. Francastel, Le style Empire du Directoire à la Restauration, Larousse, Paris 1939. 15. Ibidem. 16. Ibidem. 17. Ibidem. 18. R. Huyghes (a cura di), L’Art et l’Homme, vol. III, Larousse, Paris 1961. 19. M. Praz, Goût néoclassique [Firenze 1940], Le Promeneur, Paris 1989; id., Néo-classicisme, voce ampliata da D. Rabreau, Encyclopaedia universalis, Encyclopaedia Universalis France, Paris 2002, pp. 982-991. 20. Piranèse et les Français 1740-1790, catalogo della mostra (Rome-DijonParis 1976), a cura di A. Chastel, G. Brunel, Edizioni dell’Elefante, Roma 1976; Piranèse et les Français, atti del convegno (Roma 1976), a cura di G. Brunel, Edizioni dell’Elefante, Roma 1978. 21. A. Chastel, L’art français, vol. IV, Le temps de l’éloquence, 1775-1825, Flammarion, Paris 1996 p. 181. 22. Ibidem, p. 9. 23. Kaufmann 1963. 24. J. Rykwert, Les premiers modernes. Les architectes du XVIIIe siècle [Cambridge (Mass.)-London 1980], Hazan, Paris 1991. 25. La famosa “giornata delle carriole”, in cui il popolo senza distinzione di classe partecipò alla costruzione del circo, incarna l’idea stessa di “cittadinanza” e di rigenerazione urbana. Cfr. D. Rabreau, Le Champ de Mars révolutionnaire, in Y. Brault, F. Jimeno, D. Rabreau (a cura di), L’Ecole Militaire et l’axe Breteuil-Trocadéro, Action artistique de la Ville de Paris, Paris 2002, pp. 197-203; D. Rabreau, Architectures et fêtes dans la nouvelle Rome. Notes sur l’esthétique urbaine de la fin de l’Ancien Régime et de la Révolution. Le Colisée. Le Cirque. L’amphithéâtre, in Les fêtes de la Révolution, atti del convegno (Clermont-Ferrand 1974), a cura di J. Ehrard, P. Viallaneix, Société des Études Robespierristes, Paris 1977, pp. 355-375 e R.A. Etlin, L’architecture et la fête de la Fédération, Paris, 1790, ivi, pp. 131-154. 26. A.-C. Brotier, Première Mémoire sur les jeux du Cirque, considérés dans les vues politiques des Romains, “Histoire de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres”, vol. XLV, 1793, pp. 478-494; Pérouse de Montclos 1969[a]. 27. Cfr. W. Szambien, Les projets de l’An II. Concours d’architecture de la période révolutionnaire, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-arts, Paris 1986. 28. Cfr. L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano, 1770-1848, catalogo della mostra (Milano 1978), a cura di L. Patetta, Electa, Milano 1978. 29. Bibliothèque Marmottan, Boulogne-Billancourt, riprodotto in J.-M. Pérouse de Montclos, Les traditions classique et révolutionnaire dans l’urbanisme napoléonien, “Les monuments historiques de la France”, n.s., a. XV, 1969, fasc. 4, pp. 67-79. 30. Cfr. H.-J. Haassengier, Das Palais du Roi de Rome auf dem Hügel von Chaillot. Percier, Fontaine, Napoléon, P. Lang, Frankfurt am Main-Bern 1983. 31. G. Hubert, Napoléon et les arts en Europe, “Les monuments historiques de la France”, n.s., a. XV, 1969, fasc. 4, pp. 3-24; F. Bercé, Napoléon architecte ou le goût de l’histoire, ivi, pp. 25-56. 32. Pérouse de Montclos 1969[b], p. 67. 33. Cfr. J. Soldini, Luigi Canonica et la leçon des architectes révolutionnaires, “Gazette des Beaux-Arts”, a. CXXIV, 1982, t. XCIX, pp. 95-100. 34. Cfr. Palladio e la sua eredità nel mondo, catalogo della mostra (Vicenza 1980), Electa, Milano 1980; D. Rabreau, Ce cher XIXe siècle. Palladio et l’éclectisme parisien, “Les monuments historiques de la France”, 1975, n. 2, pp. 56-65; W. Oechslin, Palladianesimo. Teoria e Prassi, Arsenale, Venezia 2006. 35. B. Capatti, Les élèves lombards de Petitot, Diplôme d’études approfondies, relatore D. Rabreau, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, 1999. 36. C. Mambriani, Materiali per una storia dell’Accademia di Belle Arti di Parma, “Parma nell’arte”, n. unico 1989-1990, pp. 17-34. 37. I disegni di De Wailly, incisi da J.-L. Desprez, sono pubblicati nel supplemento dell’Encyclopédie di Diderot, Parigi 1777. Cfr. Charles De Wailly, 1730-1798, peintre-architecte dans l’Europe des Lumières, catalogo della mostra (Paris 1979), a cura di M. Mosser, D. Rabreau, Caisse Nationale des Monuments Historiques et des Sites, Paris 1979. 38. Durante l’Impero, P.-A. Pâris, già architetto dei Menus Plaisirs di Luigi XVI, fu direttore ad interim dell’Accademia di Francia a Roma. Cfr. J. Barrier, Les Architectes européens à Rome, 1740-1765. La naissance du goût à la grecque, Monum-Éditions du Patrimoine, Paris 2005. 39. Cfr. Grand Tour: the lure of Italy in the eighteenth century, catalogo della mostra (Londra-Roma, 1996-1997), a cura di A. Wilton, I. Bignamini, Tate Gallery Publishing, London 1996. 40. Kaufmann 1963. 41. L’aigle et le papillon 2007. 42. Ibidem, cfr. D. Gallo, Sur les modèles antiques du style Empire, pp. 40-51. 43. Giovanni Volpato. Les Loges de Raphaël et la Galerie du Palais Farnèse, catalogo della mostra (Tours, 2007), a cura di A. Gilet, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007. 44. Les maisons de l’Empereur. Residenze di corte in Italia nell’età napoleonica, atti del convegno (Lucca 2004), a cura di F. Ceccarelli, G. D’Amia, “Rivista napoleonica”, 2004-2005, n. 10-11. 45. C.-N. Ledoux, L’architecture considérée sous le rapport de l’art, des mœurs et de la législation, imprimerie de H.L. Perroneau, Paris 1804 (ultima ed. in francese e in russo, ed. Architecton, Ekaterinbourg 2003). Cfr. Rabreau 2000. 46. Dal mito al progetto. La cultura architettonica dei maestri italiani e ticinesi nella Russia neoclassica, catalogo della mostra (Lugano-San Pietroburgo 2003-2004), a cura di N. Navone, L. Tedeschi, 2 voll., Mendrisio Academy Press, Mendrisio 2003. 47. Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia, 1780-1820, catalogo della mostra (Roma 2007), a cura di A. Cipriani, G.P. Consoli, S. Pasquali, Campisano, Roma 2007. 48. P.F.L. Fontaine, Journal, 1799-1853, 2 voll., Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Institut Français d’Architecture, Société de l’Histoire de l’Art Français, Paris 1987. Cfr. Anche M. Fouché, Percier et Fontaine, H. Laurens, Paris 1907; J. Duportal, Charles Percier. Reproductions de dessins conservés à la Bibliothèque de l’Institut. Biographies et notices, sous les auspices de l’Institut de France, chez M. Rousseau, Paris 1931; M.-L. Biver, Pierre Fontaine. Premier architecte de l’Empereur, Plon, Paris 1964; H. Ottomeyer, Das frühe Œuvre Charles Percier, 1782-1800, zu den Anfängen des Historismus in Frankreich, Ludwig Maximilians Universität, München 1981. 295 Giovanni A. Antolini, «Giove sedente in cielo con Marte e la felicità divinizza Napoleone Augusto», 1806; da Giovanni A. Antolini, Descrizione del Foro Bonaparte, Parma 1806. Milano e la storiografia francese sull’architettura del periodo napoleonico Blanche de la Taille «Toutes les initiatives émanent du prince qui n’a d’intérêt profond que pour Paris et Rome et, à un moindre degré, pour les capitales des nouveaux Etats de l’Empire.»1 Gli studi specifici sulla cosiddetta architettura Impero (Empire) sono numerosi. Dai titoli stessi, Napoléon Architecte,2 Napoléon architecte ou le goût de l’histoire,3 o Napoléon et l’Architecture,4 traspare il costante intento di collocare l’estetica del tempo sotto l’egida dell’illustre uomo. Ma laddove questi ambiva a imporre il proprio suggello sull’Europa, i saggi in questione tendono invece a concentrarsi più sulla Francia che non sull’Impero. Gli esempi citati sono sovente gli stessi, con il risultato di celare quanto di più specifico ebbe a caratterizzare l’espansione napoleonica, la quale seppe avvalersi non di rado delle competenze di architetti stranieri.5 Luigi Canonica attraversò quattro tappe salienti della storia politica della Lombardia: la prima e la seconda Repubblica Cisalpina, il Regno d’Italia e la Restaurazione. Di queste fasi, tre sono quelle che ci interessano in modo particolare in quanto conseguenza della politica francese, sottendendo un arco temporale compreso fra il 1796, inizio dell’occupazione in Italia, e il 1815 che segna la fine dell’Impero. Sul cosiddetto periodo “neoclassico” in genere, esistono storiografie assai approfondite e tra queste due contributi risultano particolarmente interessanti: L’architecture néo-classique en Europe: essai bibliographique depuis 1980,6 pubblicato nel 1989 nella “Revue de l’art”, e Architecture et Art Urbain, in L’Europe à la fin du XVIIIe siècle, vers 1780-1802,7 dato alle stampe nel 1985; tali saggi consentono di dare per acquisiti tutta una serie di testi di consultazione, e permettono di concentrarsi maggiormente sui lavori recenti, frutto di ricerche più approfondite. Sennonché non esiste ancora una sola opera monografica in francese e soltanto Ferdinand Boyer, nel saggio L’histoire des beaux-arts et de l’urbanisme dans l’Italie Napoléonienne d’après les ouvrages parus depuis 1900,8 procede per suddivisioni regionali, suggerendo linee di ricerca sui grandi centri dell’Italia del nord.9 Inoltre, dalla lettura di un altro suo testo, Le monde des arts en Italie et la France de la Révolution et l’Empire, études et recherches,10 si evince che sedici anni dopo, nel 1970, nessuno si era ancora cimentato in una simile impresa. Resta pertanto di primaria importanza un saggio di Patricia Giudicelli Falguières, Espace privé et espace public à Milan, pubblicato negli atti del convegno tenutosi a Roma nel 1984 sul tema Villes et territoires pendant la période Napoléonienne (France et Italie),11 dove si possono attingere tutta una serie di interrogativi e problematiche di più ampio respiro se non altro per quanto riguarda Milano,12 andando a porre interrogativi di «enorme peso simbolico nella storiografia».13 È al pari rilevante e significativo il fatto che i testi citati in nota siano esclusivamente in lingua italiana. In ogni caso questa è, a nostra conoscenza, la prima analisi in cui si insista sull’idea che a Milano si fosse avviato già da vent’anni, sotto il regno di Giuseppe II, un processo di gestione urbanistica simile a quello che in Francia andava instaurandosi nel periodo dell’Impero tra gli ingegneri dei Ponts et Chaussées, gli architetti e lo Stato. Come osserva Giudicelli Falguières: «Paradossalmente, non è dunque nell’ambito degli edifici pubblici, delle commesse ufficiali, che il mutamento di regime si rende particolarmente evidente, per lo meno non a Milano; nelle città lombarde si potrebbe rilevare una situazione differente, dovuta al tradizionale scarto tra capoluogo e centri di provincia: la politica degli edifici pubblici inaugurata da Giuseppe II produce i propri effetti, con vent’anni di ritardo, sotto Napoleone, e al regno di questi verrà ascritta. Censire, come è d’uso ogniqualvolta si tratti il tema della Milano napoleonica, gli edifici pubblici sorti in città tra il 1796 e il 1814 mi sembra dunque cosa relativamente sterile: non per questa via si è rafforzata l’affermazione dello Stato sullo spazio urbano, non qui è da ricercarsi l’innovazione, se innovazione vi è stata. In compenso, tutto il potenziale innovativo dello Stato subentrante si farà sentire in due ambiti: il libero esercizio della professione di architetto e la regolamentazione della licenza edilizia».14 Un’osservazione di questo tipo può indubbiamente stupire: non è forse un incoraggiamento a comprendere la storia dell’arte, dell’architettura e dell’urbanistica, prescindendo dalle opere realizzate per focalizzarsi soprattutto sulla gestione istituzionale? Quanto testé citato permette in ogni caso di evidenziare i diversi metodi di indagine che hanno contrassegnato la storiografia francese sull’architettura milanese. Tre sono gli aspetti da considerarsi: l’urbanistica, l’architettura propriamente detta e, infine, la questione delle istituzioni.15 L’urbanistica Urbi… Nel 1931, come riferito nella rubrica Lectures Napoléoniennes della “Revue des études Napoléoniennes”,16 il piano regolatore in esame presso l’amministrazione milanese di quel momento assomiglia in modo stupefacente al cosiddetto Piano dei rettifili del 1807. Nel commentare le discussioni allora in corso sull’approvazione del piano, riprese dal “Corriere della Sera”, vengono passati brevemente in rassegna i punti salienti dell’antico progetto per la capitale cisalpina: una conferma, dunque, del genio visionario di Napoleone? Nel 1928, Albert Pingaud17 riassumeva per la “Revue d’Histoire Diplomatique” (Le premier Royaume d’Italia, l’œuvre matérielle)18 le grandi realizzazioni napoleoniche per il Regno d’Italia. L’articolo attribuisce, è vero, al futuro re d’Italia tutti gli interventi di embellissement effettuati tra il 1795 e il 1815 (ed è perciò stesso una perfetta “illustrazione” di quel- 297 B L A N C H E D E L A TA I L L E Giovanni A. Antolini, Foro Bonaparte in Milano, 1806; da Giovanni A. Antolini, Descrizione del Foro Bonaparte, Parma 1806. l’ottica che la Giudicelli Falguières stigmatizza), ma invita in compenso a scoprire la città attraverso gli occhi di un viaggiatore che vi facesse ritorno dopo vent’anni di assenza. Lo sguardo che trascorre dall’una all’altra opera consente di cogliere l’importanza che ognuna di esse riveste tanto sul piano materiale quanto su quello simbolico. Pingaud esamina in primo luogo le strade di accesso alla città, poi gli archi monumentali e le porte che ne annunciano gli ingressi, il Castello Sforzesco, il Foro Bonaparte, l’Arena, il Duomo. Quest’ultimo è l’unico monumento religioso di cui si trovi menzione in numerosi testi, ma sempre e soltanto per la sua facciata. L’architettura religiosa milanese sotto l’Impero, infatti, non sembra essere oggetto di studio. D’altronde, in tutte le riflessioni sulla struttura urbana, anche il Cimitero brilla per la sua assenza. L’autore non manca di sottolineare che in genere «dai nuovi cimiteri in corso di assetto alle porte delle città scaturisce un sentimento pagano».19 Pingaud, dal canto suo, si limita invece ad osservare che la rilocalizzazione dei cimiteri all’esterno delle città italiane fa parte, con l’illuminazione stradale e la creazione delle passeggiate, delle grandi innovazioni introdotte dai francesi. Va sottolineato inoltre che l’œuvre matérielle di cui fa cenno il titolo è essenzialmente un programma politico-culturale, che egli così commenta: «Era d’altronde l’animazione, assai più che non le pietre delle case, a sottolineare a Milano il contrasto fra presente e passato. Tra la città del 1795 e quella del 1813 vi era, con l’intervallo di una profonda trasformazione politica, la stessa distanza che c’è tra una grande città di provincia e la capitale di un grande Stato».20 Per un approccio di taglio più sociologico alla capitale del XIX secolo, conviene menzionare un articolo di Alain Pillepich e Olivier Faron,21 298 pubblicato nel 1993 in “Mélanges de l’Ecole française de Rome”, Italie et Méditerranée, Rue, îlot, quartier: sur l’identification des espaces citadins à Milan au début du XIXe siècle,22 che tratta soprattutto di questioni di proprietà, riprese da Pillepich nella sua tesi di dottorato.23 Il Foro Bonaparte La tesi di storia, Milan capitale Napoléonienne,24 di Alain Pillepich, pubblicata nel 2001, è il lavoro più completo in ambito francese apparso a tutt’oggi sulla capitale lombarda; in essa si afferma esplicitamente che quest’ultima, non meno di tante altre città dell’Impero, fu oggetto di un programma più urbanistico che architettonico. Pertanto egli elenca innanzi tutto gli obiettivi del progetto di Antolini per il Foro, confinando in nota i rimandi a pubblicazioni sull’architettura rivoluzionaria, mentre nel testo fa riferimento unicamente al saggio di Giudicelli Falguières25 e al terzo volume dell’Histoire de l’Urbanisme di Pierre Lavedan,26 che risale al 1952. Oltre a riportare la cronologia del progetto, Pillepich cita l’esistenza di altre proposte ad opera di architetti quali Canonica e Cassina, ma l’assenza di tavole rende impossibile qualsiasi raffronto. Per parte sua, Giudicelli Falguières definisce il Foro Bonaparte di Giovanni Antolini «l’unico vero equivalente italiano dei grandi progetti utopistici del Settecento francese». Anche Stuart Wolf, trattando il tema L’administration centrale et le développement de l’urbanisme à l’époque napoléonienne, sottolineava nel 1984: «Non è difficile riconoscere le medesime mentalità e le medesime forme di intervento sullo spazio delle città italiane durante il periodo francese, perché il caso italiano deriva dalla medesima ideologia urbana dell’archetipo parigino».27 Occorre tuttavia rilevare che la lettera- M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E Giovanni A. Antolini, Barriera del Sempione, 1806; da Giovanni A. Antolini, Descrizione del Foro Bonaparte, Parma 1806. tura francese in materia è assai laconica: per studiare le affinità, e forse anche le interrelazioni dirette o indirette fra i due casi, è necessario fare riferimento a testi quali “Les prix de Rome”. Concours de l’Académie royale d’architecture au XVIIIe siècle28 o a monografie “specialistiche” come quelle su Clisson o sulla Salina di Arc-et-Senans di Ledoux.29 Il terzo tomo dell’Histoire de l’Urbanisme (1952) di Pierre Lavedan, sopra citato, dedica a Napoléon urbaniste un intero capitolo, con brevi descrizioni dei vari edifici di ogni regione italiana. Per Milano, viene scelta come opera più rappresentativa, appunto, il Foro di Antolini, pur essendo rimasto allo stato di progetto:30 «Era un ampio cerchio di oltre 600 metri di diametro delimitato da un muro scandito da padiglioni di uno stile che coniugava Palladio con Ledoux. Due grandi varchi davano accesso, a sud, alla città e, a nord, alla strada del Sempione. Al centro, l’ex Palazzo Ducale [sic], ridotto ormai a una caserma austriaca, riceveva una nuova veste neoclassica, con un portico a dieci colonne che gli conferiva una facciata da tempio. Dei giardini completavano il nesso tra il Foro e la città».31 A illustrazione del proprio commento, Lavedan acclude la tavola del Projet du Forum Bonaparte di Antolini pubblicata sul “Journal des Bâtiments”, anno IX, n. 62; ma non lo inserisce nel contesto del tessuto urbano. D’altro canto, sono degni di nota i riferimenti a Palladio e a Ledoux, che mettono per la prima volta il lettore al corrente dello stile degli edifici. Passeggiate e giardini A parte Ferdinand Boyer (in vari articoli editi in “La vie urbaine”), pochissimi studiosi si sono occupati dell’adozione, in Lombardia, di quella politica del loisir che veniva imponendosi anche in Italia.32 Pillepich de- dica all’argomento un capitolo della sua tesi: «A una migliore transizione con l’ambiente circostante sono finalizzate le piantumazioni di cui Napoleone ordina la ripresa fin dal giugno 1805, adducendo motivi di utilità, salubrità e diletto in perfetta sintonia con lo spirito illuministico».33 Non si potrebbe immaginare miglior risposta alla seguente osservazione di Giudicelli Falguières: «Tenderei a pensare che le più grandi opere realizzate a Milano dall’amministrazione napoleonica siano gli spazi vuoti: Piazza d’Armi, Lazzaretto, Bastioni, Parco. Tutti questi spazi, vaste spianate livellate, piantumate, presuppongono una riduzione al minimo del costo dei materiali e delle difficoltà tecniche e un utilizzo massimo dell’abbondante manodopera che “affolla” Milano».34 L’interpretazione in chiave politico-economica non è priva di fondamento, essendo nota l’avversione di Napoleone per le spese non perfettamente giustificate. Ma è anche legittimo vedere in questa scelta (peraltro già abbozzata da Piermarini nel 1782)35 un’impronta innovatrice di matrice francese. Contrariamente a Giudicelli Falguières, Boyer non giudica un fallimento la mancata realizzazione del progetto del Foro; lo ritiene anzi un buon esempio di integrazione fra il percorso ideato per la passeggiata e i manufatti: Arco del Sempione e Arena, dunque viene apprezzato il progetto di Luigi Canonica.36 Pillepich, per parte sua, localizza sulle planimetrie passeggiate e aree verdi, permettendo di coglierne appieno l’importanza e il ruolo nell’organizzazione della città. Egli è anche il solo a menzionare le varie proposte di ampliamento delle piazze, a firma di architetti come Pistocchi o Barberi. Infine, non trascura di rammentare che Napoleone aveva altresì in animo di creare un giardino botanico e zoologico all’esterno della città.37 299 B L A N C H E D E L A TA I L L E Giovanni Migliara, Porta Nuova, Milano, [1813]; Milano, Museo di Milano. L’architettura I monumenti Se ci si attiene all’itinerario “turistico” proposto da Pingaud, gli archi e le porte della città costituiscono una delle prime rappresentazioni propriamente architettoniche che si incontrano.38 In maggioranza, tali realtà architettoniche sono viste solitamente dalla storiografa come materializzazione dell’utopia del Foro Bonaparte, nella misura in cui esprimono una connessione fra progetto e realizzazione, impianto di un sistema urbano e nuovo linguaggio architettonico. Sennonché, questo tipo di manufatto era già in auge ben prima dell’Impero: il testo di Werner Oechslin e Ania Buschow, L’Architecture de fête. L’Architecte comme metteur en scène,39 conferma quanto ne fosse diffusa la moda e rammenta i progetti già varati a Milano da Maria Teresa e da Giuseppe II. 300 L’abitudine di affidarsi a elenchi rapidi e stringati delle opere realizzate a Milano, e di trarne conclusioni affrettate, resta relativamente frequente nei testi di carattere generale accessibili al lettore francese.40 L’articolo di Gérard Hubert, Napoléon et les arts en Europe, pubblicato nel 1969 in “Les Monuments Historiques de France”, cadrebbe anch’esso sotto gli strali di Giudicelli Falguières contro la “sterilità” delle enumerazioni, poiché consta di una lunga lista di monumenti pubblici eretti a Milano sotto l’Impero; ma va detto che l’autore riprende qui in breve le ricerche già pubblicate nel 1964 in La sculpture dans l’Italie Napoléonienne,41 in cui la prima parte del capitolo Sculpture dans l’Italie du Nord è interamente dedicata a Milano. Vi si trovano indicazioni sia sul progetto del Foro, di cui si evidenzia il programma decorativo che avrebbe dovuto completarlo, sia sulle passeggiate alberate la cui evocazione contribuisce a rendere più vivida la ricostruzione dell’intero complesso. E l’autore M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E non manca di sottolineare l’impronta francese sull’urbanistica e l’architettura milanesi quando, in chiusura di un’accurata descrizione dell’Arco del Sempione, afferma: «A queste poche opere si limitava la partecipazione degli scultori all’Arco del Sempione, concezione grandiosa che appartiene incontestabilmente all’“arte imperiale” del Regno d’Italia».42 Ora, quest’“arte imperiale” doveva essere rintracciabile anche nelle porte cittadine: Porta Ticinese (di Cagnola), Porta Nuova (di Zanoja, 17521817), Porta Vercellina (di Canonica, oggi distrutta), Porta Tenaglia, nonché negli archi provvisori. Soltanto Pillepich dedica un paragrafo a ognuna di esse, descrivendole brevemente e indicandone l’ubicazione. Quanto agli archi, frutto di una lunga tradizione dai molteplici significati simbolici, in Francia molto si è scritto, ma finora non si è mai pensato di stabilire un paragone diretto, ad esempio, tra l’Arco parigino del Carrousel e l’Arco del Sempione, che pure gli somiglia palesemente.43 Hubert dedica ampio spazio anche alla facciata del Duomo, ma pone l’accento sul lavoro degli scultori, e non su quello dei ben quattro architetti che vi operarono (Soave, Antolini, Zanoja e infine Amati). Ciò detto, l’autore ha il merito di offrire una rapida panoramica degli ampliamenti e dei restauri di altri edifici milanesi,44 che pure interesserebbero assai marginalmente l’ambito della scultura.45 Quello dell’ispirazione delle opere da modelli pregressi rimane uno dei problemi che maggiormente si impongono all’attenzione degli studiosi. Nell’ottavo tomo dell’Architecture italienne, pubblicato nel 1928,46 Gabriel Rouchés riassumeva a modo suo l’architettura lombarda descrivendo superficialmente alcune grandi costruzioni (il Foro, l’Arena e due palazzi) per concludere senza esitazioni né sfumature che essa era una diretta filiazione dai monumenti romani.47 Un solo studio prende in considerazione la possibilità di una peculiarità autenticamente regionale. Nell’articolo Les architectes de la région des Lacs Préalpins et l’Europe: nouvelles questions historiographiques,48 Pier Giorgio Gerosa viene a definire le caratteristiche e il preciso statuto di questi architetti, sulla cui particolarità non nutre alcun dubbio,49 riallacciandosi in tal modo a una specifica storiografia regionale.50 Gli architetti Due architetti hanno avuto il privilegio di essere oggetto di specifiche analisi: Canonica e Cagnola. Al primo, Jean Soldini dedicava nel 1980 una tesi di dottorato,51 da cui estrapolava l’articolo pubblicato sulla “Gazette des Beaux-arts” del marzo 1982, Luigi Canonica et la leçon des architectes révolutionnaires, in cui si dimostrano le possibili filiazioni con gli architetti francesi, non solo Percier e Fontaine, ma anche Boullée e Ledoux.52 Soldini è tra i pochi a collegare architettura e urbanistica, fa- Giuseppe Barberi, Piazza Friedland a Milano, planimetria, 1807; Roma, Archivio dell’Accademia Nazionale di San Luca, Disegni di Architettura, 2128.. 301 B L A N C H E D E L A TA I L L E Giuseppe Pistocchi, «Prospettiva della fronte del Foro...», 1805; Milano, collezione privata. cendo osservare, ad esempio, che uno degli alzati della facciata per il Castello Sforzesco è «un tentativo di architettura analogica» nei confronti dell’Ospedale Maggiore con il quale si trovava in asse. Sintomo, questo, di un desiderio di armonizzazione non meno che dell’intento di adattare gli edifici al nuovo piano del 1807. Nel descrivere i progetti di Cagnola per l’imperatrice Joséphine, l’articolo di Gérard Hubert – Cagnola architecte de l’impératrice Joséphine? (A propos d’un projet pour la Malmaison)53 – privilegia invece la filiazione palladiana, minuziosamente ricostruita. Ma il particolare più stimolante è nella conclusione: «A testimonianza supplementare degli stretti rapporti franco-italiani sotto il Consolato e l’Impero, i disegni per “Villa Joséphine” del rivale milanese di Percier e Fontaine – i quali, al pari di Cagnola, non hanno in fin dei conti realizzato nessuna nuova Malmaison – meritavano a nostro avviso di essere conosciuti in Francia».54 Ora, le biografie di Percier e Fontaine non riferiscono, che si sappia, di alcuna rivalità con un qualsivoglia architetto milanese. L’autore precisa d’altronde, in apertura dell’articolo, che non esistono documenti attestanti l’in- 302 carico, e non manca di notare che le piante non sono compatibili con il terreno della Malmaison cui erano verosimilmente destinate. È dunque legittimo interrogarsi sulla fondatezza di questa ipotesi; e quand’anche essa risultasse esatta, i rapporti con la Francia si limiterebbero all’identità del committente, mentre l’ispirazione rimarrebbe prettamente italiana. Tutto ciò non sminuisce affatto l’interesse dell’articolo, unico saggio in francese su un progetto di Cagnola. Parecchi autori, come Rouchès,55 ritengono che sia stato Piermarini a preludere al nuovo stile. Ciò fa di lui l’architetto di gran lunga più studiato, in particolare per quanto riguarda gli esiti della sua opera che possono avere influenzato gli architetti milanesi dell’Impero. Non v’è dubbio che i suoi vent’anni di attività abbiano lasciato nella capitale tracce e innovazioni che molti considerano foriere del neoclassicismo.56 Tuttavia, Robin Middleton e David Watkin nel dedicare al Piermarini spazio in Architecture moderne du néo-classicisme au néogothique57 danno un giudizio globale assai severo. Questi autori insistono, ad esempio riguardo alla Scala, sul fatto che «l’opera di Piermarini sembra avere in realtà ben M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E poco in comune con il gusto francese»:58 osservano, nel contempo, che Percier e Fontaine potrebbero aver fatto parte dei suoi allievi.59 Va comunque precisato che David Watkin e Robin Middleton sono tra i pochi a leggere in chiave deliberatamente francese60 le opere architettoniche realizzate a Milano, e a includere Bélanger tra i possibili ispiratori degli architetti italiani.61 Una conferma a questa affermazione ci viene dalla tesi di Bérénice Capatti, Les élèves “Lombards” de Petitot, del 1999.62 L’indagine, finalizzata a fare il punto sulle ricerche concernenti i rapporti fra Parma e Milano, con particolare attenzione per quattro autori, Giocondo Albertolli, Felice Soave, Simone Cantoni e Faustino Rodi,63 si basa su una bibliografia essenzialmente italiana. Al riguardo può essere utile un raffronto con il testo Gôut neoclassique di Praz,64 poiché entrambi prendono le mosse principalmente da Gianni Mezzanotte (Architettura neoclassica in Lombardia, 1966) ma divergono su taluni punti. Capatti sottolinea il notevole influsso di Petitot sui primi tre architetti ticinesi, e reputa Albertolli migliore in materia di decorazione che non di architettura (a suo giudizio, ripetitiva e dimessa); Praz, invece, elogia il suddetto sottotono, e ridimensiona l’influenza di Petitot su ognuno degli altri autori testé citati. Vocabolario e forme Cantoni, Soave e Albertolli sono stati attivi a Milano. Nella duplice qualità di architetti e di decoratori costoro hanno contribuito alla diffusione del nuovo vocabolario architettonico che va progressivamente maturando annunciandosi già prima della dominazione francese; un vocabolario che, nell’impossibilità di esprimersi nella costruzione di numerosi edifici, trovava applicazione nei restauri e in lavori di piccolo cabotaggio. L’attività di questa generazione parrebbe quanto di più simile si possa immaginare alla nozione di “architetti-decoratori” introdotta da Benoît.65 Giudicelli Falguières invita a indagare lo sviluppo dell’architettura privata milanese. A suo parere le innovazioni in Milano sarebbero infatti più significative in quest’ambito e segnatamente nel reinquadrare la professione di architetto in modo da far sì che le innovazioni si verifichino non più nella sfera pubblica, ma in quella della committenza privata. Ne sarebbero stati avvantaggiati gli interni, con la creazione di un nuovo confort e sicuramente l’elaborazione di un vocabolario decorativo specifico: «l’attribuzione delle licenze edilizie concerne essenzialmente lavori di restauro, riattamento, ricostruzione parziale; oltre alla tradizionale committenza aristocratica (ville, palazzi…) sono questi gli incarichi degli architetti milanesi».66 Dal canto suo, Bérénice Capatti conclude lo studio su Albertolli con un’osservazione del tutto pertinente: «L’aspetto che, a nostro avviso, sarebbe meritevole di riflessione è la sua attitudine a una composizione unitaria dell’architettura, della decorazione e dell’arredamento, intesi come arte indissolubilmente coesa. Secondo Mezzanotte, Albertolli acquisisce tale convinzione nel corso della sua formazione parmense, ma un identico scrupolo sembra essere stato presente in Piermarini, allievo di Vanvitelli, nonché in molti altri architetti del tempo. Questo modo di progettare non sarà, dunque, da attribuirsi alle idee allora diffuse in Europa, piuttosto che all’influsso dell’uno o dell’altro maestro o professore?».67 La scena lombarda, segnatamente milanese, si distingue, giova precisare, per attività dall’Accademia di Parma. In linea generale, gli influssi riscontrabili nelle opere di architetti milanesi sono, e lo dimostra il ca- so di Albertolli, di matrice tipicamente italiana. In Les origines de l’Art Empire, Louis Hautecœur pone in rilievo la notevole influenza esercitata in ambito italiano dalle antichità romane, che si intreccia con quella di Palladio68 e con il crescente interesse degli anni 1780 per lo stile, ancor più puro, dell’antica Grecia. Le specificità italiane sono chiamate in causa per spiegare le origini del Neoclassicismo, ma non per rendere ragione del modo con cui esso si declina sotto l’Impero. Il vocabolario architettonico è, per molti autori, oggetto di un’espansione pressoché uniforme il cui uso rimane relativamente simile ovunque.69 Nei grandi testi di consultazione – ad esempio Guillaume Janneau, Pierre Francastel o Emile Bourgeois70 – si precisano le origini di questi elementi, ma non ci si preoccupa di analizzare le particolarità geografiche della loro sintassi. Come rileva Mario Praz, c’è chi giunge addirittura a liquidare lo stile Impero come una “vaga” copia di quello già “neoclassico” dell’ultimo Settecento: «Il culto dell’antichità, per Honour, non sarebbe stato che il catalizzatore su cui convergevano le tendenze del razionalismo, ma l’antichità doveva servire solo come canone, invitare all’imitazione, non alla copia. I neoclassici si sarebbero tenuti a quest’indirizzo, mentre gli artisti dell’Impero avrebbero solo copiato».71 Constatazione che tuttavia Praz rifiuta e in parte corregge citando i nomi di Boullée e Ledoux. Ma l’analisi di Honour parrebbe più che altro diretta a evidenziare l’esistenza di diversi momenti chiave nell’evoluzione del Neoclassicismo. Ipotesi che ci è nota soltanto per il tramite della critica di Praz, ma non priva tuttavia di interesse qualora la si applichi ai paesi annessi. Altri elementi di riflessione si possono trovare nel saggio di Werner Oechslin Pyramide et Sphère, notes sur l’architecture révolutionnaire du XVIIIe siècle et ses sources italiennes, apparso sulla “Gazette des Beaux-Arts” dell’aprile 1971. Suddiviso in cinque parti, esso presenta una breve rassegna delle lacune riscontrabili negli studi fin lì pubblicati, e sostiene che le fonti d’ispirazione che caratterizzano le opere italiane dell’età imperiale sono da ricercarsi tra i progetti della cosiddetta architettura rivoluzionaria. Si tratta di una linea investigativa assolutamente unica, Giuseppe Pistocchi, «Pianta del Foro eseguibile nella Piazza Maggiore di Milano», 1806; Milano, collezione privata. 303 B L A N C H E D E L A TA I L L E poiché, in controtendenza, esalta ciò che nell’architettura italiana si presenta di più innovativo nel focalizzare la propria attenzione sulla piramide e la sfera. Tale autore mostra infatti come queste due forme di conio millenario non abbiano mai lasciato, per così dire, il paese d’origine, l’Italia, dove sono costantemente in voga assai più che altrove, fatta salva qualche eccezione e il fatto che in Inghilterra e in Francia esse hanno finito per trovare una nuova configurazione o addirittura un “assoluto”.72 Spiega l’autore: «Se cerco di trattare un problema, come quello della piramide, è per contribuire a dare alla cultura architettonica italiana il rilievo che le spetta: poiché ad essa in ultima analisi va in larga misura ascritta la responsabilità, fin dal primo Settecento, della genesi di quell’internazionalismo di cui facevano parte i dilettanti e le accademie, e ove presero forma i concetti e le idee formulati nel più assoluto dei modi in seno all’architettura rivoluzionaria».73 Affiora qui, tredici anni prima della comunicazione di Giudicelli Falguières, e in chiave esclusivamente architettonica, il monito a non vedere unicamente il portato delle innovazioni francesi in ambito italiano, favorendo così una migliore comprensione di un intero processo storico che permette di individuare l’evoluzione delle forme architettoniche. Concludiamo citando l’articolo di Giudicelli Falguières, Espace privé et espace public à Milan, in cui si sottolinea come gli architetti milanesi erano per lo più costretti a svolgere molteplici e minuti lavori di restauro o di abbellimento architettonico. Fenomeno imputabile, da un lato, alla congiuntura economica che non consentiva commesse importanti e, dall’altro, alla creazione di varie commissioni (preposte primariamente al buon andamento delle opere pubbliche) che vincolavano gli architetti alle decisioni di queste. Le istituzioni L’Accademia di Belle Arti Probabilmente l’elemento di maggiore impatto sulla storia dell’arte milanese è dato dal riordino di istituzioni come l’Accademia di Belle Arti “riformata” o come la costituzione di organi quali la Commissione d’Ornato. Oggetto di discussione sia sotto il profilo artistico che sotto quello amministrativo, tutto ciò è inoltre occasione per interrogarsi sulle committenze o più semplicemente sul ruolo e il peso decisionale da attribuirsi ai principali attori del Regno d’Italia. E nella misura in cui tutto ciò sembra attenere più che altro alla sfera politica, non stupisce che tali questioni siano del tutto assenti dalle monografie artistiche, mentre figurano, sia pure in modo superficiale, nelle biografie specialistiche e soprattutto nei testi di storia. Tra questi, assai numerosi, ci limiteremo a citare i più importanti: Napoléon et l’Italie di André Fugier, 1947,74 La domination française dans l’Italie du Nord. Bonaparte, président de la République italienne, di Albert Pingaud, pubblicato nel 1914,75 e Napoléon en Italie di Edouard Driault, 1906. Quest’ultimo vede in tali azioni un esempio innegabile delle ambizioni di Napoleone: «Ebbe forse la speranza che l’Istituto d’Italia avrebbe contribuito alla rinascita intellettuale e artistica della Nazione, così come quello d’Egitto era destinato a disseppellire l’Egitto dalle sabbie».76 Il console era consapevole del contributo che le arti fornivano alla grandezza della nazione, e per tale motivo teneva particolarmente a sorvegliare ogni impresa afferente tale ambito. La tesi di dottorato di Pillepich e il suo articolo Napoléon et les Beauxarts,77 del 1999, sono ancora una volta un ausilio prezioso e di esemplare chiarezza per spiegare i complessi rapporti tra l’Accademia di Brera 304 (creata da Maria Teresa d’Austria nel 1776), la Commissione d’Ornato e l’amministrazione. Per parte sua, il saggio di Giudicelli Falguières insiste sul ruolo dell’Accademia negli anni che vanno dalla fine dell’egemonia di Piermarini (1796) all’istituzione della Commissione per l’Ornato (1807). Si tratta di un aspetto essenziale poiché indica il costante intento di promuovere la manutenzione e l’abbellimento della città. A seguito di reiterate sollecitazioni rivolte all’amministrazione, furono istituite varie commissioni (menzionate nella tesi di Pillepich),78 prima che il viaggio di Napoleone a Milano, nel 1805, portasse alla nascita della Commissione d’Ornato. La Commissione d’Ornato Pingaud riassume a grandi linee le finalità della Commissione, ma sul ruolo che essa svolse in concreto esprime un giudizio assai severo;79 la sua efficacia rimane in effetti opinabile. L’operato della Commissione e il suo principale esito, il piano regolatore e per meglio dire “dei rettifili” del 1807, sono questioni ampiamente dibattute tanto da Pillepich quanto da Giudicelli Falguières.80 L’uno ricostruisce gli obiettivi fissati dalla Commissione stessa, soffermandosi sui giochi svolti dai suoi componenti in qualità di amministratori. L’altra approfondisce tale analisi: «La notorietà della Commissione è pari soltanto all’ambiguità del suo statuto».81 E sviluppa una sottile analisi degli effetti delle continue rettifiche apportate dalla Commissione al piano regolatore, in evidente conflitto, già nel 1811, con le effettive variazioni del tessuto urbano, andando così ad inserirsi in un processo amministrativo molto complesso, in cui la gestione degli edifici pubblici si coniugava (sovente in conflitto) con la regolamentazione delle iniziative private. Non paga di legiferare da due anni sullo spazio pubblico (anni di sensibile miglioramento nel confort interno delle abitazioni), la Commissione d’Ornato promuove fin dal 1809 una regolamentazione dello spazio privato; così repertoriati tali lavori consentiranno di creare una “tipologia di case d’affitto”.82 Occorre dunque tener presente che una verifica dell’efficacia e delle conseguenze della Commissione è possibile soltanto sul lungo periodo, come già affermava Pingaud. Nell’introduzione a L’Empire des Muses, Jean-Claude Bonnet riassume con precisione le direttive artistiche di Napoleone per la Francia citando il discorso che egli tenne il 5 marzo 1808 all’Institut: «Ho a cuore di vedere gli artisti francesi offuscare la gloria di Atene e dell’Italia. Sta a voi realizzare sì belle speranze».83 I paesi annessi sarebbero stati dunque oggetto di politiche specifiche, che a un inevitabile ridimensionamento delle ambizioni artistiche affiancavano progetti urbani ambiziosi. Verrebbe quasi da chiedersi se, concentrandosi sulle opere architettoniche anziché limitarsi, come previsto, a una regolamentazione urbana, la Commissione non abbia dunque sortito effetti che andavano ben oltre gli obiettivi dell’imperatore. E se ciò non sia da attribuirsi all’influenza delle stesse autorità milanesi.84 Architetti e ingegneri La diffidenza di Napoleone nei confronti degli architetti non è estranea all’evoluzione del loro statuto professionale rispetto a quello degli ingegneri, in atto in quello stesso periodo in Francia. Lo rilevava già Benoît, in L’art français sous la Révolution e l’Empire (1897):85 «Quel che è certo è che Napoleone apprezzava i lavori degli ingegneri più di quelli degli architetti, e lo dimostra la pretesa, formulata nel 1810, di far assimilare a opere di architettura il canale di Saint-Quentin e le strade del Moncenisio e del Sempione. È altrettanto fuori di dubbio che agli architetti, che M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E Luigi Cagnola, «Facciata principale del Monumento al Montecenisio», 1813; Milano, Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli, Fondo Cagnola, 2835. tacciava di ignoranza e di furfanteria, preferiva gli ingegneri, tra le cui file scelse un gran numero di alti funzionari civili, ivi compresi i ministri degli interni e i soprintendenti artistici».86 Il console non aveva trascurato di subordinare ai Ponts et Chaussées (sottoposti alla supervisione del Consiglio di Stato) le ex amministrazioni dei lavori pubblici dei paesi annessi,87 tanto che opere quali la strada del Sempione88 furono attuate più speditamente che non i progetti di architettura.89 Attraverso la storia della conservazione degli elaborati dei progetti urbani e dei monumenti milanesi, il saggio di Aurora Scotti, Les collections de dessins des archives milanaises,90 non solo evoca la politica messa in atto dall’imperatore per la salvaguardia di detto patrimonio artistico, e localizza i fondi degli artisti neoclassici citati, ma pone altresì in rilievo gli stretti legami che fino al Settecento univano le due professioni di architetto e di ingegnere: fornisce in tal modo un indizio supplementare sulla complessità dei rispettivi statuti, quali appaiono nella ridefinizione ottocentesca. L’ultimo contributo a questa indagine, con particolare riguardo per il ruolo dell’amministrazione francese nell’organizzazione urbana di Milano e per l’effettiva influenza sull’architettura milanese della Commissione d’Ornato, è per il momento quello di Giudicelli Falguières, che spiega: «La nuova urbanistica nasce da un abbandono: non si tratta più di costruire in toto la città a partire da un grado zero dell’urbanistica e dei rapporti so- ciali; non si tratta più, insomma, di fondazione. I nuovi esperti della città cessano di rivendicare un ruolo fondativo per ripiegare su una pratica colta, calibrata e rigorosamente controllata, del parziale e dell’eterogeneo, versione accademica e nobile del bricolage popolare: a essa si deve la straordinaria omogeneità di Milano».91 Giudicelli Falguières non utilizza il termine “architetti” ma “esperti”, si serve di un vocabolario quasi didattico (“pratica colta”, “calibrata”, “controllata”), riconosce insomma alla Commissione un ruolo normativo. Né sembra considerare la possibilità che Napoleone sia stato consapevole dell’evolversi della Commissione d’Ornato verso nuovi aspetti (fermo restando che ciò può essergli sfuggito di mano): non soltanto quello di un serrato controllo delle spese eccessive ma anche quello di un mezzo per canalizzare l’opinione pubblica.92 Napoleone Bonaparte faceva affidamento sugli ingegneri, ma a quanto pare a Milano furono gli architetti a promuovere quei cambiamenti che avrebbero modificato profondamente la città. Istituita dall’amministrazione francese ma composta da membri milanesi, la Commissione d’Ornato rappresentò in fin dei conti il punto di equilibrio fra le tradizioni regionali e la politica già avviata sotto Giuseppe II, la definizione dei nuovi statuti e competenze degli architetti dovuta ai Francesi (in parallelo con il vivace dibattito in atto in quello stesso momento in Francia tra ingegneri e architetti) e, infine, le nuove esigenze governative. Non soltanto essa seppe 305 B L A N C H E D E L A TA I L L E Ferdinando Bonsignore, Monumento al Moncenisio, prospetto, 1813; Torino, Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Bonsignore, disegni sciolti, 5.1.100. Ferdinando Bonsignore, Monumento al Moncenisio, sezione, 1813; Torino, Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Bonsignore, disegni sciolti, 5.1.103. adattarsi alle particolarità che contribuivano a definire Milano, ma indicò pure un nuovo ordine di pensiero, destinato a lasciare un segno duraturo. Nell’architettura milanese si può dunque vedere il riflesso di profondi mutamenti e, al contempo, di una ben radicata identità. Allo stato attuale degli studi la storiografia in lingua francese focalizzata sull’architettura di epoca napoleonica a Milano è riconducibile a due aspetti fondamentali: un corpus di opere descrittive e analitiche (sui monumenti del capoluogo lombardo) assai lacunoso, e di contro un certo numero di validi articoli specialistici, incentrati su temi specifici. La penuria di opere organiche e l’insufficienza dei pochi studi esistenti dimostrano la scarsa considerazione per l’architettura di questo periodo, e inducono a interrogarsi sull’effettiva comprensione propriamente storica e politica degli intenti di Napoleone in tale ambito. È paradossale constatare che sebbene nel 1805 questi si fosse proclamato a capo di un Impero, l’attenzione degli storici dell’arte francese, come si è già avuto modo di avvertire, rimane concentrata sulla Francia, sulla diffusione del vocabolario architettonico a partire esclusivamente da esponenti francesi, e trascura di prenderne in esame l’utilizzo e la comprensione da parte degli esponenti dei paesi annessi. Di Milano si ricordano tre aspetti principali: l’urbanistica, sostanzialmente identificata con il Foro Bonaparte; l’architettura, percepita attraverso le realizzazioni più eminenti, a discapito verosimilmente di restauri e altri minuti lavori che pure sarebbero maggiormente indicativi del ruolo svolto in città dagli architetti; e infine, le istituzioni, riflesso dell’amministrazione in carica. Nel 1901, Marmottan sottolineava la legittimità di un lavoro di ricerca sulla diffusione e l’utilizzo delle forme e del 306 Ferdinando Bonsignore, Monumento al Moncenisio, pianta, 1813; Torino, Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Bonsignore, disegni sciolti, 5.1.102. vocabolario architettonico nei paesi annessi alla Francia napoleonica: «Abili disegnatori, e perfino architetti, si affrettavano a portare avanti, sotto l’Impero, l’esempio che già avevano dato nell’ultimo quarto del XVIII secolo gli artisti precursori. Personalità di grande valore quali Denon, David, Canova, Percier, Fontaine, C. Normand, Fragonard figlio, Brongniart, Grandjean de Montigny, Famin, Krafft, Prud’hon, Lafitte, Appiani, il fine cesellatore milanese Manfredini ecc., favoriti dall’unità di scettro sotto cui l’Europa si trovava per così dire collocata, e soprattutto obbedendo alla parola d’ordine di Napoleone […] cercavano allora di sviluppare uno stile nuovo, mutuandone la struttura generale dalle linee classiche della Grecia e ad esse coniugando, per ingentilirle e conferire loro un tocco di originalità, i motivi ornamentali nostrani, attinti cioè al contesto locale. Taluni scrittori odierni, più superficiali che eruditi, hanno affermato che questo stile altro non fosse se non una copia servile. Questa opinione categorica esige una rettifica. È vero che i modelli dei pezzi rari rinvenuti a Tebe, a Pompei, a Roma, a Ercolano, a Volterra e altrove venivano riprodotti per incisione fin dal regno di Luigi XVI, e trasmessi alle Accademie: ma erano eminenti archeologi e, insieme, disegnatori finissimi ad attingervi in determinata misura [in corsivo nel testo] per comporre i propri repertori di mobili e di decorazioni di interni».93 Tentare di cogliere l’espansione del linguaggio “neoclassico imperiale” e la sua interpretazione in funzione degli ambiti artistici e delle peculiarità nazionali o addirittura regionali, con l’ausilio degli studi esistenti, la moltiplicazione di ricerche incrociate e infine l’analisi comparativa dei loro esiti, è un lavoro di primaria importanza che attende tuttora di essere affrontato. M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E 1. J.-M. Pérouse de Montclos, Les traditions classique et révolutionnaire dans l’urbanisme napoléonien, “Les monuments historiques de la France”, n.s., a. XV, 1969, fasc. 4, p. 67. 2. E. Driault, Napoléon Architecte, Presses Universitaires de France, s.d. [1939?]. 3. F. Bercé, Napoléon architecte ou le goût de l’histoire, “Les monuments historiques de la France”, n.s., a. XV, 1969, fasc. 4, pp. 25-56. 4. L. Hautecœur, Napoléon et l’Architecture, Firmin-Didot et Cie, Paris 1969. 5. Su Napoli e la Toscana si hanno le ricerche di Paul Marmottan (Les arts en Toscane sous Napoléon. La princesse Elisa, Honoré Champion éditeur, Paris 1901), che hanno rivelato aspetti importanti della storia dell’arte locale. Per una rassegna sul ruolo dei Bonaparte in Italia, e più in generale sulla situazione francese, si veda il catalogo della mostra Napoléon, les Bonaparte et l’Italie (Ajaccio 2001), Musée Fesch, Ajaccio 2001 che, attraverso il tema-guida dell’interesse della famiglia per la pittura, inquadra nei rispettivi contesti artistici le varie regioni dell’Italia settentrionale. 6. Questo saggio si inserisce nella scia del contributo di M. Mosser, D. Rabreau pubblicato dieci anni prima, Architecture des Lumières en France, “Revue de l’art”, 1981, n. 52, pp. 47-53. 7. D. Rabreau, Architecture et Art Urbain, in A. Corvisier (a cura di), L’Europe à la fin du XVIIIe siècle, vers 1780-1802, Sedes, Paris 1985, pp. 431-473. 8. F. Boyer, L’histoire des beaux-arts et de l’urbanisme dans l’Italie Napoléonienne d’après les ouvrages parus depuis 1900, “Bollettino storico livornese”, atti del convegno (Portoferraio 1954), n.s., a. IV, nn. 1-2-3, gennaio-dicembre 1954, pp. 39-50. 9. «Occorrerebbe procedere a un sistematico esame degli archivi che Milano tuttora possiede, quelli del Regno d’Italia e quelli dell’amministrazione della città, confrontare i documenti ritrovati, riassumere i dibattiti che senza dubbio ebbero luogo, studiare minuziosamente le realizzazioni, senza dimenticare i progetti ripresi in un secondo tempo. Quando si sarà fatto tutto ciò, si saprà che cosa siano state l’arte e l’urbanistica a Milano sotto Napoleone», F. Boyer, Napoléon Ier et les jardins publics en Italie, “La vie urbaine. Urbanisme et habitation”, janvier-mars, 1954, n. 1, p. 2. 10. F. Boyer, Le monde des arts en Italie et la France de la Révolution et l’Empire études et recherches, Società Editrice Internazionale, Torino 1969. 11. P. Giudicelli Falguières, Espace privé et espace public à Milan, in Villes et territoire pendant la période napoléonienne (France et Italie), atti del convegno (Roma 1984), a cura dell’École française de Rome, Assessorato alla cultura della città di Roma, Maison des sciences de l’homme (Paris), École française de Rome, Roma 1987, pp. 261-282. 12. Il presente saggio riprende brevemente la tesi Historiographie des études en français sur l’architecture de l’Empire en Italie, Diplôme d’études approfondies, relatore prof. Daniel Rabreau, Paris 1 Panthéon-Sorbonne, 2005. 13. Cfr. Giudicelli Falguières 1987, p. 261, nota 13. 14. Ibidem, p. 269. 15. La scelta di trattarli isolatamente non deve sorprendere, poiché è beninteso nel reciproco articolarsi che essi trovano un significato del tutto particolare. Pertanto, questi tre aspetti verranno qui enunciati in un ordine che ricalca lo schema dimostrativo dell’autore, onde poter confrontare le varie pubblicazioni sui singoli temi. 16. M. Dossogne, Un ancien plan d’ensemble de Napoléon Ier pour la ville de Milan et ses affinités avec le plan actuel, “Revue des études Napoléoniennes”, a. XX, juillet-décembre 1931, t. XXIII, pp. 254-255. 17. Per un’analisi più propriamente storica, cfr. anche A. Pingaud, La domination française dans l’Italie du Nord (1796-1805). Bonaparte président de la République Italienne, 2 voll., Perrin, Paris 1914. Ma poiché, al pari di molti altri specialisti quali J.-Edouard Driault o André Fugier, che non occorre qui citare, l’autore vi affronta il tema delle realizzazioni artistiche in modo piuttosto succinto, si è preferito far riferimento all’articolo di cui sopra, che pur senza fornire note relative alle fonti utilizzate offre tuttavia un quadro più preciso. 18. A. Pingaud, Le premier Royaume d’Italia, l’oeuvre matérielle, “Revue d’Histoire Diplomatique”, t. XLII, 1928, pp. 130-166. 19. G. Rouchès, L’Architecture Italienne, Van Oest, Paris 1928, p. 55. 20. Pingaud 1928, p. 158. 21. O. Faron è autore anche di La ville des destins croisés: recherches sur la société milanaise du XIXe siècle (1811-1860), École française de Rome, Roma 1997, di impostazione socio-economica. 22. A. Pillepich, O. Faron, Rue, îlot, quartier. Sur l’identification des espaces citadins à Milan au début du XIXe siècle, in Le quartier urbain en Europe (XVIII-XIX siècle), atti del convegno (Roma 1991), “Mélanges de l’Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée”, vol. CV, 1993, n. 2, pp. 333-348. Un’ideale introduzione era apparsa anni prima sulla medesima rivista, ad opera del solo Faron: Immeubles, propriétaires, locataires à Milan au début du XIXe siècle, dove si analizzavano gli insediamenti abitativi a seconda delle categorie sociali, professionali. 23. Cfr. A. Pillepich, Milan capitale Napoléonienne, Lettrage Distribution, Paris 2001. 24. Pillepich 2001. Per questo immane lavoro di sintesi, cui non mancheremo di fare regolarmente riferimento, l’autore si segnala come il maggiore specialista francese di questioni milanesi. 25. Giudicelli Falguières 1987. 26. P. Lavedan, Histoire de l’urbanisme, vol. III, Époque contemporaine, Henri Laurens, Paris 1952. 27. S. Woolf, L’administration centrale et le développement de l’urbanisme à l’époque napoléonienne, in Villes et territoire 1987, p. 27. 28. J.-M. Pérouse de Montclos, “Les prix de Rome” Concours de l’Académie royale d’architecture au XVIIIe siècle, Berger-Levrault/Ecole nationale supérieure des Beaux-Arts, Paris 1984. 29. Cfr. in particolare Clisson ou le retour d’Italie, catalogo della mostra (Gétigné-Clisson 1990), a cura di C. Allemand-Cosneau et al., Imprimerie Nationale, Paris 1990; D. Rabreau, La Saline Royale d’Arc-et-Senans. Un monument industriel: allégorie des Lumières, Belin Herscher, Paris 2002; M. Ozouf, Architecture et urbanisme: l’image de la ville chez Claude-Nicolas Ledoux, “Annales. E.S.C.”, a. XXI, 1966, n. 6, pp. 1273-1304. Benché sia pubblicato in italiano e in inglese, ed esuli pertanto dai limiti che ci siamo prefissati, il volume di Aurora Scotti, Il Foro Bonaparte: un’utopia giacobina a Milano, edito nel 1989 a Milano, merita di essere qui citato perché analizza il progetto in questione ed è, a tutt’oggi, quanto di più completo sia stato scritto in materia. 30. Come spiega Pérouse de Montclos 1969[b], p. 74: «Il radicalismo degli artisti rivoluzionari è probabilmente la ragione prima della notoria diffidenza di Napoleone nei confronti di tutti gli architetti, che definiva sognatori. Il grandioso Foro Bonaparte di Milano – forse il progetto più bello e originale dell’epoca imperiale – non ha mai visto la luce». 31. Lavedan 1952, p. 41. 32. «Pertanto, quando le vittorie di Napoleone ebbero consegnato ai francesi la direzione della Penisola, gli amministratori del Consolato e dell’Impero, forti dell’esperienza acquisita, aprirono o progettarono, in ogni città d’Italia, dei giardini pubblici. Per convincersene, basti rivedere la storia dei centri principali», Boyer, 1954[b], pp. 1-8. 33. Pillepich 2001, p. 249. 34. Giudicelli Falguières 1987, pp. 279-280. 35. All’architetto Piermarini si deve la creazione del primo giardino pubblico entro il perimetro cittadino, sul sito di un ex complesso conventuale. Cfr. Boyer 1954[b] e Pingaud 1928, p. 154. 36. È sorprendente che Giudicelli Falguières dedichi così scarsa attenzione a questo aspetto, se si considera che i progetti relativi a passeggiate, giardini e piazze pubbliche furono in numero rilevante e volti a incoraggiare uno spirito autenticamente cittadino. 37. Come spiega Boyer, la nascita dei giardini pubblici si deve principalmente all’esistenza di quelli privati delle ville. Nel caso di Milano, inoltre, dal momento che tali proprietà si attestarono più che altro sulle rive del lago di Como, si dovrebbe allargare il nostro campo d’indagine all’intera area dei laghi prealpini. Nell’impossibilità di sviluppare qui questo punto, si rinvia il lettore a De la Taille 2005. 38. Pingaud 1928, p. 154. 39. W. Oechslin, A. Buschow, L’Architecture de fête. L’Architecte comme metteur en scène, trad. di M. Brausch, Pierre Mardaga, Liège-Bruxelles 1987. 40. È il caso del volume Gôut néoclassique dell’italiano Mario Praz – apparso in edizione francese nel 1989 ma pubblicato in Italia nel 1939 e nel 1974 – che dedica un capitolo all’architettura lombarda in cui ci si limita a enumerare gli architetti attivi nella regione, attribuendo a ognuno una caratteristica stilistica a malapena argomentata e illustrata da un’unica opera. E sulla sottintesa esistenza di una fonte d’ispirazione francese in talune realizzazioni 307 B L A N C H E D E L A TA I L L E non si forniscono altri dettagli se non il seguente superficiale commento: «Nessun architetto della Milano neoclassica fu veramente geniale». Cfr. M. Praz, Goût néoclassique, trad. di C. Thompson Pasquali, Le Promeneur, Paris 1989, p. 226. 41. Questo testo aveva un pendant in Les sculpteurs italiens en France sous la Révolution, l’Empire et la Restauration (1790-1830), Ed. E. de Boccard, Paris 1964. 42. G. Hubert, La sculpture dans l’Italie Napoléonienne, Ed. E. de Boccard, Paris 1964, p. 239. 43. Secondo Pillepich, soltanto Ernest Hemingway, in A moveable feast, Scribner’s Sons, New York, 1964, “A false spring”, trad. it. Festa mobile, Mondadori, Milano 1964, “Una falsa primavera”, si sarebbe posto seriamente il quesito se l’Arco della Pace sia da collegarsi con quelli parigini dell’Etoile e del Carrousel. 44. Fra gli altri, l’ampliamernto di Palazzo Reale ad opera di Canonica, e il suo intervento, coadiuvato da Tazzini, sul Parco della Villa Reale di Monza; l’ampliamento del Palazzo della Zecca; la sistemazione del Teatro dei Filodrammatici nella Chiesa di San Damiano; e per quanto concerne l’architettura privata: Palazzo Rocca-Saporiti di Giovanni Perego; Palazzo Diotti; o Palazzo Porro Lambertenghi di Canonica. 45. In conclusione, questo di Hubert si segnala come il testo più completo sui temi che abbiamo indicati: non soltanto evita di ingabbiare le opere in uno stile particolare, ma è anche corredato da una notevole galleria di immagini e fotografie che consentono di cogliere il riflesso, sulla città odierna, dei progetti pensati dagli architetti e dalle autorità del tempo. Materiale iconografico integrativo è reperibile nel catalogo della mostra Eugène de Beauharnais: honneur et fidélité che tra le riproduzioni di acqueforti e acquarelli include alcune vedute di Milano dalla fine del Settecento agli inizi dell’Ottocento. Cfr. Eugène de Beauharnais: honneur et fidélité, catalogo della mostra (Malmaison-Bois-Preau, 1999-2000), a cura di A. Pillepich, Réunion des musées nationaux, Paris 1999. 46. Rouchès 1928. 47. Un’analisi più sfumata, in omaggio alla personalità di Piermarini, si riscontra invece nel capitolo precedente, quello sul XVIII secolo. 48. P. G. Gerosa, Les architectes de la région des Lacs Préalpins et l’Europe: nouvelles questions historiographiques, “Kunst + Architektur in der Schweiz”, a. XLVI, 1995, n. 3, pp. 303-307. 49. «Je crois en outre que le phénomène des architectes des Lacs préalpins peut éclairer l’histoire Européenne en raison de son rôle de charnière entre les réalités régionales, et qu’il y trouve son explication la plus pertinente», Gerosa 1995, p. 305. 50. Gerosa 1995, p. 304. A p. 305 l’autore si interroga: «Quelle est vraiment la place que les architectes des Lacs occupent dans ce qu’il y a de plus spécifique, c’est-à-dire l’innovation des formes, modèles, langages, poétiques?». 51. J. Soldini, Luigi Canonica (1764-1844). Architecte et urbaniste, tesi di dottorato, relatore F. Popper, Université de Paris VIII, Paris-Saint Denis, 1980. 52. È a partire dagli anni Settanta (poco prima della traduzione francese dell’edizione americana, 1952, dell’opera di Emil Kaufmann, Trois architectes révolutionnaires: Boullée, Ledoux, Lequeu [Philadelphia 1952], trad. di F. Revers, introduzione e note di G. Érouart, G. Teyssot, Éditions de la S.A.D.G., Paris 1978) che gli storici iniziano a guardare con crescente interesse ai progetti di Ledoux o Boullée o a quelli dei concorrenti dell’Académie Royale d’Architecture. Di conseguenza, anche le analisi degli influssi percepiti negli anni immediatamente successivi, sotto l’Impero, vanno facendosi più sottili. 53. G. Hubert, Cagnola architecte de l’impératrice Joséphine? (A propos d’un projet pour Malmaison), “Gazette des Beaux-Arts”, a. CXVIII, 1976, t. LXXXVIII, pp. 137-144. 54. Hubert 1976, p. 143; C. Ricci, Italie du Nord, Hachette, Paris 1911, p. 190. 55. Rouchès 1928. 56. Nel 1911, Corrado Ricci precisava: «Chiamato da Maria Teresa a insegnare architettura all’Accademia di Brera, istituita nel 1776, Piermarini ebbe modo di istruire tutta una generazione di architetti, la cui attività ebbe a manifestarsi soprattutto nel felice periodo della dominazione francese: ovvero, dal maggio 1796, quando il generale Bonaparte strappò Milano agli austriaci, fino al 1814, quando la città tornò nelle mani di questi ultimi», Ricci, 1911, p. 190. 308 57. R. Middleton, D. Watkin, Architecture moderne 1750-1870 du néo-classicisme au néogothique, Berger-Levrault, Paris 1983. 58. Middleton, Watkin 1983, p. 299. 59. Affermazione a sua volta smentita dallo storico Cantù, secondo il quale non risulta che costoro abbiano mai soggiornato a Milano. Cfr. B. Capatti, Les élèves lombards de Petitot: essai d’historiographie, Diplôme d’études approfondies, relatore D. Rabreau, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, 1998-1999. 60. Di Cantoni (1739-1818), ad esempio, essi scrivono: «Ma le due opere più “francesi” di Cantoni sono, a Milano, Palazzo Serbelloni (progetto del 1775, rimaneggiato e poi costruito tra il 1779 e il 1794) in corso Venezia (ove Napoleone fu accolto nel 1796, anche se il salone non sarebbe stato completato che nel 1814), e, sul canale, Palazzo Pertusati (1789-1791) attualmente distrutto». Middleton, Watkin 1983, p. 300. 61. Cantoni ne avrebbe ripreso uno stilema combinando, nella parte centrale di Palazzo Serbelloni, «due colonne ioniche “in antis”» e «un alto frontone, con un fregio continuo a bassorilievo», Middleton, Watkin 1983, p. 300. 62. Capatti 1998-1999. 63. «Allo stato attuale, manca una revisione globale delle conoscenze acquisite e un’opera critica che faccia il punto sulla questione degli allievi lombardi di Petitot: è quanto ci proponiamo di fare», ibidem, p. 13. 64. Praz 1989. 65. F. Benoît, L’art français sous la Révolution et l’Empire. Les doctrines, les idées, les genres, L.H. May, Paris 1897. 66. Giudicelli Falguières 1987, p. 274. 67. Capatti 1998-1999, p. 21. 68. Riguardo agli influssi italiani sui progetti di artisti francesi, si rinvia al volume di J.-P. Garric, Recueils d’Italie. Les modèles italiens dans les livres d’architecture, Mardaga, Sprimont 2004. 69. Nella misura in cui si tende a sopravvalutare il ruolo di Percier e Fontaine, la diffusione delle loro opere finisce per occultare ciò che viene attuato nei paesi occupati. Tra i numerosi esempi, uno ci pare particolarmente indicativo: «In questo ambito, la produzione francese è nettamente in testa; essa si rifà principalmente alle realizzazioni e all’insegnamento di Percier e di Fontaine, autori del Recueil des décorations intérieures, che è un compendio dello stile Impero», cfr. L’art néoclassique, “Chefs d’oeuvre de l’art”, 1965, n. 116, pp. 1862-1863. 70. G. Janneau, L’Empire, Vincent, Fréal et Cie, Paris 1965; P. Francastel, Le style Empire du Directoire à la Restauration, Larousse, Paris 1939; E. Bourgeois, Le style Empire, ses origines et ses caractères, H. Laurens, Paris 1930. 71. Praz 1989, p. 10, nota 41 [il testo italiano è in M. Praz, Gusto neoclassico, Rizzoli, Milano 1990], con riferimento a H. Honour, Neo-classicism, Penguin, Hardmonsworth 1968. 72. W. Oechslin, Pyramide et sphère. Notes sur l’architecture révolutionnaire du XVIIIe siècle et ses sources italiennes, “Gazette des Beaux-Arts”, a. CXIII, 1971, t. LXXVII, p. 216. 73. Oechslin 1971, p. 204. 74. A. Fugier, Napoléon et l’Italie, J.B. Janin, Paris 1947. 75. A. Pingaud, La domination française dans l’Italie du Nord (1796-1805). Bonaparte président de la République Italienne, 2 voll., Perrin, Paris 1914. 76. J.-E. Driault, Napoléon en Italie (1800-1812), Felix Alcan, Paris 1906, p. 206. 77. A. Pillepich, Napoléon et les Beaux-Arts, in Milano, Brera e Giuseppe Bossi nella Repubblica Cisalpina, atti dell’incontro di studio (Milano 1997), a cura di L. Castelfranchi, R. Cassanelli, M. Ceriana, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano 1999, pp. 13-18. 78. Pillepich 2001. 79. «Per condurre a buon fine una così immane opera di rettifica ci sarebbero voluti dei secoli. Nei brevi anni del dominio napoleonico l’aspetto esteriore come quello storico delle città non subì altre modifiche se non l’apparizione di qualche monumento» (Pingaud 1928, p. 151). 80. Osserva l’autrice: «È questo un momento assai singolare nella storia dei rapporti tra architettura popolare e architettura colta, in cui l’architettura ‘légitime’ codificata, non può prescindere dalle arti edificatorie “spontanee” ma deve scendere a patti con esse, accontentarsi di infime negoziazioni (aprire il vano di una finestra, di una porta…), di un frammentario e ostinato infiltrarsi nello spazio urbano», Giudicelli Falguières 1987, p. 276. M I LAN O E LA STO R I O G R AF IA F R AN C ES E 81. Giudicelli Falguières 1987, p. 271. 82. «Gli architetti milanesi metteranno a frutto questa nuova esperienza per definire una tipologia di case d’affitto, edifici di 3-4 piani con ballatoio comune attorno al cortile; la loro fisionomia rimarrà invariata fino alla seconda metà del XX secolo», Giudicelli Falguières 1987, p. 277. 83. J.-C. Bonnet (a cura di), L’Empire des Muses. Napoléon les arts et les lettres, Belin, Paris 2004, p. 7. 84. Sulla questione delle committenze, che richiederebbe troppa ampia trattazione per questa sede, si rinvia il lettore a De la Taille 2005. 85. Benoît 1897, p. 160. 86. Ibidem; qualche riga sopra l’autore precisa: «molti contemporanei lo accusarono vuoi di indifferenza nei riguardi dell’architettura, vuoi di avversione nei confronti degli architetti». 87. Cfr. A. Picon, Architectes et ingénieurs au siècle des Lumières, Editions Parenthèses, Marseille 1988 e Id, L’invention de l’ingénieur moderne, L’École des Ponts et Chaussées (1741-1851), Presses de l’Ecole Nationale des Ponts et Chaussées, Paris 1992. 88. Significative le discussioni sul coinvolgimento delle due nazioni nella sua realizzazione. Come rileva Driault (1906, p. 206), in un primo tempo essa doveva essere di esclusiva pertinenza degli ingegneri francesi, e soltanto il tenace intervento di Melzi fece sì che il tracciato italiano fosse affidato a professionisti locali. 89. Rimane tuttavia il fatto che, come osserva Jean Soldini nel già citato Luigi Canonica (1764-1844). Architecte et urbaniste: «Mentre già si profilava la frattura tra artista e artigiano, tra tecnico e artista, Canonica, così come d’altronde lo stesso Albertolli, assommava in sé tutte queste competenze e veniva a costituire, fra l’altro, una sorta di anello di congiunzione tra l’architetto rinascimentale e il moderno architetto pubblico, tra l’ingegnere dei Ponts et Chaussées e l’Urbanista». Cfr. Soldini 1980. 90. A. Scotti, Les collections de dessins des archives milanaises, in Archives et histoires de l’architecture, atti del convegno (Paris 1988), a cura di P. Joly, S. Kühbacher, Editions de la Villette, Paris 1990, pp. 93-111. 91. Giudicelli Falguières 1987, p. 278. 92. Ibidem, p. 275. 93. Marmottan 1901, p. 140. 309 BIBLIOTECA E ARCHIVIO Gaetano Monti, Busto di Luigi Canonica, 1822; già Manno, Casa Cattaneo. La biblioteca di Luigi Canonica* Cecilia Hurley Nell’introdurre l’inventario della biblioteca di Ottaviano Bertotti Scamozzi, Loredana Olivato nota che esso «permette di scoprire lati finora inesplorati, curiosità eterogenee e sorprendenti che arricchiscono di sfumature nuove la personalità del vicentino».1 Grazie a tale ricerca, sappiamo che l’architetto possedeva circa 200 libri, e in più il catalogo della sua biblioteca ci ha restituito «la varietà dei suoi interessi, dalla storia alla geografia, dai resoconti di viaggio ai trattati medievali», come afferma nel 1977 Paolo Carpeggiani.2 Gli studi sulle biblioteche degli architetti – l’uso che ne è stato fatto, la luce che possono gettare sui loro progetti e i loro interessi – in linea, si direbbe, con questi rilievi, negli ultimi anni hanno suscitato un interesse sempre maggiore da parte degli storici dell’architettura,3 che si sono avvalsi sempre più anche di metodologie sviluppate in altri ambiti disciplinari, quali la storia del libro (in particolare le analisi sulla trasmissione di testi e immagini) e la storia della lettura.4 Le ricerche sugli inventari delle biblioteche di architetti come Pietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini e altri hanno fornito, inoltre, una documentazione essenziale per l’interpretazione delle loro figure,5 così come altrettanto importante si è rivelato il recente contributo sulla raccolta libraria di Jacques Lemercier.6 Per quanto riguarda il periodo storico in cui operò Luigi Canonica, di grande rilevanza è stata infine la pubblicazione del catalogo completo dei volumi posseduti da Sir John Soane, accompagnata da studi specifici.7 Ne discende da parte degli studiosi un’attenzione crescente rivolta a quest’ambito, che incentiva, per venire al caso nostro, l’impegno teso ad identificare, se possibile fino alla ricostruzione analitica, la biblioteca dell’architetto “classicista” oggetto del presente studio. Nel necrologio dedicato a Luigi Canonica apparso nel 1844 in una rivista inglese, “The Gentleman’s Magazine”, dopo una breve panoramica sulla sua carriera, si citavano due lasciti da lui devoluti alle scuole primarie di Lombardia, ma in realtà a due istituzioni milanesi: la Pia Causa degli Asili di Carità e l’Accademia delle Belle Arti di Brera.8 Purtroppo in esso non si faceva menzione né della sua biblioteca né dei suoi disegni. Egli, non avendo discendenti diretti, aveva lasciato in eredità al pronipote Francesco Porta, nipote della sorella Gioconda, l’archivio professionale e i “mobili, suppellettili, effetti personali” dell’atelier milanese, libri compresi, che da allora passarono, attraverso varie successioni, dalla famiglia Porta a tre diversi rami della stessa famiglia: i Fraschina di Manno e i Cattaneo di Manno e infine i Banchini di Neggio, poi Pregassona.9 Ci fu quindi una prima suddivisione in tre parti del fondo librario, circostanza da tenere sempre presente nel momento in cui se ne tenta la ricostruzione. Il successivo trasferimento dei volumi in collezioni pubbliche avvenne essenzialmente in due fasi: una prima risalente al 1933, quando la fami- glia Banchini lasciò alla Biblioteca cantonale di Lugano la sua parte. Se ne fa menzione in una pubblicazione del tempo: «[…] Parecchi furono gli acquisti di libri vecchi e antichi; alcuni scelti sui cataloghi delle librerie antiquarie, altri trovati presso le famiglie del luogo. Fra questi, alcune belle opere di architettura, e molti disegni provenienti dall’architetto Luigi Canonica, che appartenevano alla famiglia Banchini di Neggio. [...] Tra i libri antichi che si acquistano in blocco ed anche fra quelli che si ricevono in dono, si trovano spesso opere già possedute dalla Biblioteca cantonale o dalla Libreria Patria. Questi doppi, ingombrerebbero inutilmente la Biblioteca cantonale; perciò quando non sono opere di cui si desidera possedere parecchi esemplari, vengono trasmesse all’Archivio cantonale o alla Biblioteca della Scuola di Commercio».10 Sfortunatamente non ci è pervenuto alcun documento che registri la transazione testé ricordata, pertanto l’unica possibilità che ci rimane per ricostruire l’originaria composizione della biblioteca Canonica è data dall’esame delle schede della Biblioteca cantonale di Lugano, che quasi sempre riportano la data di acquisizione, permettendoci così di rintracciare i volumi precedenti al 1844, acquisiti appunto nel 1933.11 Di tali volumi, alcuni entrarono a far parte della Libreria Patria (quasi tutte opere di letteratura), mentre altri vennero incorporati nella collezione principale della Biblioteca cantonale.12 È inevitabile che questi strumenti non ci forniscano alcuna informazione sui libri che, invece, non si volle acquisire e pertanto certi “vuoti” riscontrabili nella raccolta libraria non potranno mai essere colmati senza il sopraggiungere di circostanze o scoperte in qualche modo eccezionali.13 Gli altri due terzi della biblioteca, composti da circa 500 titoli e appartenenti in origine alle famiglie Cattaneo e Fraschina, sono oggi di proprietà del Comune di Manno e sono stati depositati, nel 2005, presso l’Archivio di Stato di Bellinzona. Verificare quali fossero i volumi effettivamente appartenuti a Luigi Canonica, in ogni caso, è complesso e la vicenda si complica ulteriormente per il fatto che alcuni membri della famiglia sembrano essere stati a loro volta appassionati acquirenti se non addirittura collezionisti di libri. Nel fondo librario che si va esaminando, ad esempio, è presente una raccolta molto ricca di trattati di medicina del XVIII e XIX secolo che richiama immediatamente la professione del padre di Luigi Canonica. Lo stesso architetto, inoltre, non è di grande aiuto per lo storico intento a ricostruire la sua biblioteca, e non si ripete, per esempio, il fortunato caso di Inigo Jones che ha riempito di appunti i propri volumi al punto che le sue annotazioni manoscritte sono divenute oggetto di studio a se stante.14 Egli, al contrario, sembra aver evitato tale pratica; le sue annotazioni, diversamente da Jones,15 sono riportate piuttosto su taccuini o fogli di carta sciolti, conservati separatamente dai libri,16 e solo raramente utilizza la 313 CECILIA HURLEY «Louis Kanonica, MDCCLXXXI», ex libris del volume Trattato di miniatura per dipingere facilmente senza maestro, Milano 1777; Lugano, Biblioteca cantonale. «Canonica Alojsius [...] 1776», ex libris del volume Q. Horatius Flaccus, Carmina, Milano 1762; Lugano, Biblioteca cantonale. copertina o le ultime pagine di un volume per appuntare un paio di cifre, eseguire un rapido schizzo o fare un calcolo. Molti suoi libri, è vero, recano un ex-libris manoscritto che però, sfortunatamente, è ben lungi dall’essere un segno sistematicamente apposto come contrassegno di proprietà. Inoltre, nel corso della sua vita, Canonica sembra abbia usato forme diverse di ex-libris; uno dei più antichi appare nel volume Trattato di miniatura,17 dove il proprietario, al tempo uno studente di diciassette anni, ha apposto la data di acquisizione, «MDCCLXXXI», sotto al proprio nome «Louis Kanonica» [sic], con una dicitura piuttosto insolita, dal momento che sulla maggior parte dei libri comprati negli ultimi decenni del Settecento troviamo una versione del suo nome più accurata e completa:18 «Aloysij de Canonica» o «Aloysj Canonica», talvolta seguito o preceduto dall’abbreviazione «Archit.» o «Arch.». Fu solo in seguito, soprattutto dopo i primi anni dell’Ottocento, che prese ad utilizzare il monogramma «LC», scritto su molte prime pagine e sui frontespizi, mentre su alcuni volumi si trova il monogramma, «AC», che presumibilmente sta per «Aloysj Canonica», denunciando un’esitazione da parte dello stesso architetto nel precisare la sua forma di ex-libris, come si può notare nei quattro volumi de Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio di Bertotti Scamozzi. Questi sono stati probabilmente acquistati tutti insieme, recano tutti la stessa data «1787», ma gli ex-libris apposti presentano leggere varianti da un volume all’altro.19 Tuttavia, non tutti i libri noti per essergli appartenuti portano segni di questo tipo; occorre quindi trovare altre prove. Un ulteriore possibile indizio è costituito dalla presenza di un’annotazione manoscritta sulla costa del libro: Canonica spesso vi scriveva in inchiostro il nome dell’autore o un breve titolo generico.20 Infine, per individuare i volumi che con tutta probabilità gli sono appartenuti può essere invocato anche il criterio del soggetto del libro, che resta tuttavia il parametro più soggettivo ed è stato applicato, in questo caso, unicamente – e con grande cautela – nella fase finale della compilazione dell’inventario. Non sorprende che l’ampiezza dell’attività professionale e la poliedrica personalità di Canonica si rispecchi nella sua biblioteca: essa comprende molti titoli che ci aspetteremmo di trovare in una raccolta libraria di un architetto milanese attivo in epoca napoleonica; insieme ai maggiori trattati classici e rinascimentali, vi sono edizioni più recenti delle stesse opere che si vanno ad aggiungere alla trattatistica settecentesca e a volumi che rispecchiano il dibattito sulla teoria e la pratica dell’architettura del secolo successivo. I numerosi incarichi a lui conferiti da committenti pubblici e privati trovano riscontro anche negli argomenti dei suoi volumi che trattano di edilizia pubblica, di architettura civile, di giardini e di teatri, nonché di teoria dell’architettura, così come compaiono opere sull’ornato e la decorazione e raccolte sull’antichità classica. Su quest’ultimo tema, accanto alle pubblicazioni più precoci, come quelle pubblicate dal celebre “De Rossi” di Roma, vi sono opere recenti, che riportano le ultime scoperte degli scavi. La biblioteca esibisce inoltre numerosi volumi di carattere tecnico, aggiornati sulle ultime innovazioni di settore, utili all’architetto nello svolgimento della sua professione e all’individuazione, attraverso quest’indiretto riscontro, del profilo tecnico-professionale di Canonica. Tra i più importanti trattati dell’antichità e del rinascimento presenti nella biblioteca del nostro troviamo il De architectura di Vitruvio, nelle due celebri edizioni del Settecento: la traduzione in italiano dell’Abrégé di Claude Perrault del 1674 e il sontuoso volume, riccamente illustrato, della traduzione di Berardo Galiani, con i testi in italiano e latino rispettivamente sul recto e sul verso di ogni foglio,21 e il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti in una tarda edizione della traduzione di Cosimo Bartoli del 1565, risalente al 1782.22 Luigi Canonica possedeva pure i Libri d’Architettura di Sebastiano Serlio nell’edizione veneziana del 1565, che rappresentava “le premier rassemblement en une seule unité bibliographique du traité de Serlio (Livres I à V)”, comprendente anche il Libro estraordinario, pubblicato dai medesimi editori, Francesco de’ Franceschi e Johann Krüger, nello stesso anno e che si poteva acquistare con 314 LA B I B LI OTECA D I LU I G I CAN O N I CA i Libri I-V, oppure separatamente,23 oltre a una copia della prima edizione de I quattro libri del Palladio, pubblicata a Venezia nel 1570.24 Si procurò pure il cosiddetto Palladio “contraffatto”, pubblicato quasi tre secoli dopo da Giambattista Pasquali e finanziato dal console Joseph Smith, recante sul frontespizio l’indirizzo di Domenico de’ Franceschi e la data 1570,25 copia quasi esatta della prima edizione con le incisioni su legno sostituite da litografie26 e considerata all’epoca costosa. Tale è perlomeno l’impressione che si ricava dai commenti di Francesco Milizia, autore ovviamente presente con tutte le sue opere principali nella biblioteca di Canonica, nelle sue lettere a Tommaso Temanza, risalenti al tempo che corre tra l’inizio del 1767 e la fine del 1768. Egli, infatti, ricevuta la notizia dell’imminente pubblicazione, chiede ripetutamente all’architetto veneziano notizie sull’uscita del volume e all’inizio di dicembre 1768 gli rammenta gentilmente ancora una volta: «E quel Palladio dello Smith è ancora invisibile? [...] se le riesce di procurarmene un esemplare, si accerti che mi farebbe una grazia segnalata». Sembra proprio che Temanza riesca a rintracciargliene una copia solo tre settimane dopo, ma Milizia nel ringraziarlo osserva che «Il prezzo del Palladio me ne fa differir la compra fin a miglior tempo»,27 conti- nuando poi ad esitare nella speranza che il prezzo scendesse: «prego ad avvisarmi ancora quando il Palladio dello Smith è abbassato ad un prezzo ragionevole».28 Negli anni successivi fa ancora riferimento all’edizione in diverse occasioni, fino a giungere alla decisione finale nel 1772, la decisione di non acquistarlo grazie a una questione cruciale. «Mi faccia la finezza di dirmi se nell’ultima edizione del Palladio, fatta dallo Smith, i numeri che stanno nei rami sono corretti e corrispondenti al testo, come dovrebbero essere, ma non lo sono in tutte le altre precedenti edizioni di esso Palladio»,29 scrive al Temanza, il quale replica che l’edizione di Smith, fedele all’edizione del 1570, riproduceva gli stessi errori. Fu questo dettaglio che fece desistere il Milizia che, raggiunta finalmente una decisione definitiva in merito, si rivolse al suo corrispondente veneziano con queste parole: «La ringrazio distintamente delle notizie datemi sul Palladio dello Smith. Peccato che non vi sia un’edizione perfetta di un autore ch’è il principe degli architetti moderni!»30. Altri, meno critici, furono invece ben contenti di poterlo acquistare non avendo rintracciato la prima edizione: Goethe, ad esempio, lo comprò a Padova nel Settembre 1786, durante i suoi primi viaggi in Italia, e lo utilizzò come guida nelle sue visite alle opere del Palladio.31 G.L. Bianconi, Descrizione dei circhi particolarmente di quello di Caracalla, Roma 1789; frontespizio; pianta e prospetto del pulvinare. 315 CECILIA HURLEY Oltre a queste due edizioni de I quattro libri, la raccolta libraria del Canonica conserva altri esemplari del trattato pubblicati nel corso del Settecento in seguito al rinnovato interesse per l’architetto vicentino,32 mentre non contiene la biografia di Paolo Gualdo e neppure la replica a questa di Tommaso Temanza.33 Esibisce, invece, la riedizione settecentesca dei Dispareri in materia d’architettura di Martino Bassi, apparsa per la prima volta nel 1572,34 dove l’autore raccoglie le dispute relative al completamento del Duomo di Milano, testo che verrà ripreso e pubblicato da Francesco Bernardino Ferrari due secoli più tardi, insieme con lo scritto del medesimo Bassi sulla Chiesa di San Lorenzo di Milano,35 il volume di Enea Arnaldi sui teatri, con un approfondimento sul Teatro Olimpico – su cui torneremo a dire – e altri autori fondamentali per la rilettura dell’opera di Andrea Palladio: Francesco Muttoni e Bertotti Scamozzi. Gli otto tomi di Francesco Muttoni sull’opera teorica ed architettonica del Palladio, accompagnati da I quattro libri con una tradu- G.L. Bianconi, Descrizione dei circhi particolarmente di quello di Caracalla, Roma 1789; spaccato e prospetto della torre. 316 zione in francese,36 non sono stati rintracciati nel fondo librario di Canonica che invece sembra aver acquisito un compendio dell’opera più ampia, pubblicato in un unico volume nel 1741, incentrato sullo studio dei cinque ordini,37 mentre de Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio di Ottavio Bertotti Scamozzi – stampato in quattro volumi38 apparsi per la prima volta a Vicenza nel 1776-1783, per essere ripubblicati solo dieci anni più tardi, nel 1786, e nuovamente, con varianti, nel 179639 – è presente un’edizione mista con i primi tre volumi del 1786 e l’ultimo del 1783. È questa una delle poche opere, come abbiamo già scritto, in cui il nostro architetto ha apposto la data di acquisto, che risulta piuttosto precoce, precisamente il «1787».40 Si possono infine segnalare le Giornate Pittoriche di Angelo Uggeri,41 volumi che andarono ad incentivare la preesistente raffinata collezione di stampe sulle antichità tra cui compaiono Gli antichi sepolchri di Sante Bartoli.42 Altra presenza di rilievo in merito all’attenzione con cui Canonica asseconda il crescente culto per LA B I B LI OTECA D I LU I G I CAN O N I CA Elementi dell’architettura Lodoliana o sia l’arte del fabbricare con solidita scientifica e con eleganza non capricciosa, Roma 1786; frontespizio. P. Landriani, Osservazioni sui difetti prodotti nei teatri dalla cattiva costruzione del palco scenico e su alcune inavvertenze nel dipingere le decorazioni, Milano 1836; frontespizio. l’Antico, è il volume Le antichità di Ercolano di Tommaso Piroli, ispirata alla monumentale opera de Le antichità di Ercolano (1757-1792).43 Si rintracciano anche gli scritti di Alessandro Capra, due trattati pubblicati a Bologna: la Nuova architettura famigliare (1678) e la Nuova architettura militare (1683),44 riediti trent’anni dopo, nel 1717, in un unico volume dal titolo La nuova architettura civile e militare, tra le poche opere teoriche italiane risalenti al XVII secolo.45 La nuova architettura civile riporta consigli su come individuare il sito ottimale per la costruzione di un edificio, seguiti da un’analisi approfondita dei metodi migliori di rilevamento e, per finire, propone una serie di strumenti: elementi indiziari che lasciano intendere un’attenzione particolare da parte di Canonica per tale settore.46 Nella sua biblioteca sono state infatti identificate molte opere di carattere tecnico,47 tra le quali segnaliamo il celebre trattato pubblicato intorno al 1570 Il theatro de gl’instrumenti & machine del pastore e matematico Jacques Besson,48 attivo tra Francia e Svizzera.49 Altri esempi dell’interesse per la cultura scientifica e tecnica da lui coltivata sono le Operazioni del compasso geometrico e militare di Galileo Galilei, la Dissertazione idrodinamica di Gregorio Fontana, i trattati di Giovanni Antonio Lecchi e le opere di Francesco Redi.50 Ai progressi tecnologici, va rilevato, viene riservata pari attenzione che non, poniamo, ai giardini e ai teatri, dove l’incontro con la scienza acquista rilevanza affatto particolare. Ciò è dichiarato implicitamente con l’acquisizione di saggi su come proteggere gli edifici dagli incendi,51 di opere relative alla questione delle tecniche di illuminazione come il testo di Friedich Christian Accum, uno degli associati di Frederick Albert Windsor,52 che nel 1815 pubblicò un trattato sull’argomento intitolato A Practical Treatise on Gas-Light, opera presente nella biblioteca del Canonica nella traduzione italiana di Silvio Pellico, realizzata su richiesta del conte Porro Lambertenghi e pubblicata a Milano nel 1817. Un anno dopo il conte acquistò dallo stesso Windsor l’attrezzatura necessaria per l’illuminazione a gas della propria casa, edificata su progetto di Canonica. A Milano la nuova tecnologia suscitò interesse a tal punto da fare imme- diatamente proseliti: basti ricordare l’uso che ne fece Giovanni Aldini in un piccolo teatro privato, un uso così convincente che venne presa la decisione di impiegarla anche alla Scala.53 Quest’ultimo, inoltre, pubblicò un saggio sull’argomento e ne spedì una copia a Luigi Canonica.54 In merito all’interesse teatrale del Canonica conviene insistere immediatamente; la biblioteca documenta un po’ tutti gli aspetti della professione di Canonica e degna di nota è proprio la serie di opere sull’architettura dei teatri, anche in considerazione della sua attività come progettista e dei suoi stessi esordi. La Scala, ampiamente riconosciuta come il capolavoro dell’architettura teatrale italiana del tempo, venne illustrata un decennio dopo la sua costruzione in uno splendido in-folio che Canonica aveva incluso tra i suoi libri.55 Tra questi si conta pure il trattato del conte Enea Arnaldi (17161794), che Milizia descrive come uno «studiosissimo Cavaliere nell’Architettura»,56 l’Idea di un teatro, il quale suggeriva un nuovo progetto per il Teatro Filarmonico di Verona, andato distrutto di recente; si tratta di un’opera che rivela l’attento studio di Vitruvio e l’opinione che “il teatro all’antica” fosse il modello ideale per l’architettura teatrale contemporanea,57 mentre la seconda parte del volume è dedicata al dibattito allora in corso sul completamento del soffitto del Teatro Olimpico di Vicenza, analizzandone il progetto originale del Palladio e optando per la soluzione a cassettoni. Ulteriori volumi sui teatri sono La regolata costruzione de’ Teatri di Vincenzo Lamberti, Della costruzione de’ teatri di Francesco Riccati58 e, infine, Del teatro diurno e della sua costruzione di Paolo Landriani, pubblicato solo pochi anni prima della morte.59 Ampiamente rappresentata è pure la trattatistica e la manualistica sull’architettura civile pubblicata tra XVIII e XIX secolo, con opere quali le Istituzioni di Niccolò Carletti (1771), in sette volumi, e gli Elementi d’architettura civile di Nicolino Calepio (1784), entrambe aspramente criticate da Leopoldo Cicognara che scriveva sui precetti del primo: «sani per l’arte, falsi pel gusto», aggiungendo che gli «esempi non [sono] atti ad alcuna pratica lineare»;60 mentre definiva il secondo: “opera elementare di poco conto”.61 Sono inoltre rintracciabili i due trattati di Bernardo Antonio Vittone, le Istruzioni elementari (1760), e le Istruzioni diverse (1766), così come il volume Dell’architettura: Dialoghi di Ermenegildo Pini (1770), arricchito da una serie di tavole con la chiesa di San Giuseppe a Seregno e contenente i due dialoghi Delle cupole e Della fortificazione, e il Trattato sopra gli errori degli architetti di Teofilo Gallacini, professore di matematica, logica e filosofia all’Università di Siena. Composto nel 1625, il manoscritto era stato acquistato dal console Joseph Smith che sovraintese alla sua pubblicazione, affiancandogli una seconda parte scritta da Antonio Visentini, le Osservazioni.62 Gli Elementi dell’architettura Lodoliana63 testimoniano invece della conoscenza da parte di Canonica delle teorie del Lodoli attraverso Andrea Memmo, mancando tra i suoi libri gli scritti di Algarotti,64 ad eccezione del Saggio sopra la pittura.65 A giudicare dai volumi ancora oggi conservati, Canonica parrebbe aver prediletto opere in lingua italiana e francese. Accanto al testo in latino compare sempre anche la traduzione in italiano, come è il caso di Vitruvio, di cui possedeva la traduzione di Galiani. La sua preferenza per l’italiano, il francese e il latino viene confermata dalla presenza di opere di riferimento quali i dizionari, le grammatiche e le guide. Pertanto, dal momento che, come è stato osservato, «la produzione italiana nel XVIII secolo è meno consistente rispetto a quella di altri ambiti europei (francese, in particolare, nonché inglese e perlomeno tedesco)»,66 si 317 CECILIA HURLEY pone un problema in merito alla letteratura architettonica contemporanea in altre lingue. Nella sua biblioteca non sembra vi fossero molti testi in tedesco – con l’eccezione, stando a quanto si è finora rintracciato, degli atti di varie accademie europee di cui era stato membro,67 tra cui vale la pena menzionare lo statuto dell’Accademia di Vienna: conservava infatti un gran numero di atti di tali istituzioni – o in altre lingue, come l’inglese, lingua della quale non pare vi fossero libri. Troviamo invece vari trattati e volumi francesi, dunque il viaggio a Parigi compiuto nel 1810 aveva lasciato un segno. Si immagina che l’architetto, appena giunto dall’Italia, si sia procurato una pianta con la descrizione della città e dei suoi edifici.68 Probabilmente nella capitale francese scoprì le serie di Landon sui monumenti e le opere d’arte a Parigi – gli Annales – di cui possedeva un cospicuo numero di fascicoli.69 Non sorprende di trovare anche i Discours sur les monuments publics di Kersaint, che affermava: «Les monuments sont les témoins irréprochables de l’histoire [...]» e definiva i monumenti come: «voix qui parle à toutes les nations, franchit l’espace, triomphe des temps».70 Allo stesso J.A. Heine, Traité des bâtiments propres à loger les animaux, qui sont nécessaires a l’économie rurale, Leipzig 1802. 318 modo non stupisce la presenza dell’album Description des cérémonies et des fêtes di Percier e Fontaine, pubblicato nel 1807,71 a cui si aggiungevano altri testi, pubblicati in precedenza, che illustravano cerimonie e commemorazioni. Ma Canonica incluse nella propria biblioteca pure le due principali pubblicazioni di Jean-Nicolas-Louis Durand: il “Petit Durand” (Précis des leçons)72 e il “Grand Durand” (Recueil et parallèle)73, oltre a volumi francesi sull’architettura civile – sia urbana che rurale – come quelli di Louis Savot e Charles-Etienne Briseux, nonché le ultime edizioni sulle dimore a Parigi e dintorni di Nicolas Ransonnette e Johan Karl Krafft.74 Quest’ultimo era anche l’autore del Plans des plus beaux jardins pittoresques, uno dei molti libri sui giardini acquistati da Canonica, tra essi si possono menzionare l’opera di Stanislas Girardin su Ermenonville75 e la Théorie et pratique du jardinage di Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville, uno dei primi trattati francesi sull’argomento, pubblicato per la prima volta nel 1709 e oggetto in seguito di numerose riedizioni. L’opera, un testo fondamentale sul giardino formale francese, fu una delle fonti di Luigi e LA B I B LI OTECA D I LU I G I CAN O N I CA [E. Silva], Dell’arte dei giardini inglesi, Milano 1801, frontespizio. Carlo Vanvitelli per la progettazione del parco della Reggia di Caserta,76 rappresentato insieme all’edificio in un celebre album, che ritroviamo tra i volumi del nostro architetto.77 In merito al suo notevole interesse per i giardini, va segnalata anche la presenza Dell’arte dei giardini inglesi del nobile milanese Ercole Silva nella prima edizione del 1801, che come è noto era una versione italiana della Theorie di Hirschfeld,78 pure presente nella traduzione in lingua francese stampata a Leipzig tra il 1779 e il 1785. Vi sono poi testi tedeschi tradotti in francese79 e numerose pubblicazioni periodiche che apparvero in Germania tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento: edizioni riccamente illustrate con grandi tavole che proponevano modelli di ogni genere, dagli edifici agli arredi, tra le quali spicca un numero considerevole di fascicoli editi a Leipzig, alcuni rilegati, altri rimasti con la copertina originale.80 Questo genere di pubblicazioni in fascicoli non si limitava all’architettura dei giardini,81 ma comprendeva anche una quantità di opere periodiche, dotate di numerose tavole con monumenti antichi e moderni, opere d’arte e dettagli architettonici.82 Ad accompagnarle, nella biblioteca di Canonica, troviamo accanto ad ampie raccolte illustrate di archeologia e di antichità classica, di argomenti particolari come i giardini, i parchi e i teatri, raccolte di architettura storica, volumi sull’architettura contemporanea come ad esempio, la consistente ed importante opera di Jean François de Neufforge, una vera “enciclopedia” visiva dell’architettura del tempo.83 I volumi rintracciati, come si è visto, riguardano per lo più l’attività professionale di Canonica, ma la sua biblioteca ci permette pure di dare uno sguardo anche ai suoi aspetti più privati. Egli sembra aver conservato, infatti, i libri della sua giovinezza e della formazione. Il primo ad essere da lui acquistato fu probabilmente un’opera classica, i Carmina di Orazio, ch’egli comprò nel 1776, quando era ancora uno studente presso le scuole barnabite Arcimbolde di Milano.84 Pubblicato a Milano nel 1762, il volume reca un suo schizzo in quarta di copertina e in prima il nome.85 L’interesse per la letteratura è documentato dalle numerose opere letterarie, che compongono la sua raccolta libraria, accanto ai molti resoconti di viaggi, comprendenti anche traduzioni dall’inglese e dal francese. Partecipò alla sottoscrizione di due importanti collane pubblicate a Milano: la Storia universale dal principio del mondo e l’Edizione delle opere classiche italiane.86 Quest’ultima, edita in 249 volumi dal 1802 al 1814, aveva il dichiarato intento di rivolgersi al «colto pubblico d’Italia»,87 poiché, come raccomandava il curatore, «rammentatevi, che una bella raccolta di libri tutti Classici, ed originali suol formare il più pregevole ornamento di un ricco gabinetto, o di una privata biblioteca».88 Che il nome di Canonica compaia nella lista dei sottoscrittori è probabilmente segnale della posizione sociale raggiunta e forse, come è stato scritto: «in virtù della carica da lui occupata, era tenuto a figurare tra i sostenitori di una iniziativa patrocinata e parzialmente finanziata dal Governo lombardo».89 Questo tentativo di ricomporre la biblioteca di Luigi Canonica, seguito da un primo, per quanto provvisorio, catalogo dei suoi libri, ha portato, per concludere, a qualche risultato interessante. La ricchezza della collezione – che dovrebbe essere considerata anche in termini di ampiezza o quantità di volumi acquisiti – ci permette di dare uno sguardo ravvicinato alla sua cultura. I suoi interessi intellettuali, con tutta evidenza, erano guidati – lo si è detto più volte – dalla professione, rispecchiando in ciò la nuova mentalità illuminista. Cosicché egli si documentava consultando libri d’ingegneria, di storia dell’architettura, d’archeologia e di teoria, così come si aggiornava sul dibattito contemporaneo. Ma poiché tali interessi, poi, andavano oltre il suo lavoro, questi lo incoraggiavano a partecipare attivamente alla vita delle accademie, ad acquistare opere letterarie, di storia, nonché resoconti di viaggio ed altri argomenti. Sostenne, a conferma di ciò, iniziative editoriali come la Collezione dei classici italiani, partecipò alla vita pubblica, tramite la sua attività di funzionario, impegnandosi in prima persona in alcuni tra i più significativi progetti architettonici della Milano del suo tempo, in un momento storico e politico segnato da particolari e innovativi eventi. 319 CECILIA HURLEY Il presente studio è stato possibile grazie al generoso contributo di molte persone. Vorrei innanzitutto ringraziare Letizia Tedeschi, direttore dell’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura di Mendrisio, che mi ha proposto di partecipare al progetto di ricerca “La cultura architettonica italiana e francese in epoca napoleonica”, nell’ambito del quale si viene a pubblicare la monografia su Luigi Canonica, permettendomi un soggiorno di studio a Lugano nell’estate del 2007, durante il quale ho avuto la possibilità di visionare e ricostruire la biblioteca dell’architetto. Lei e Nicola Navone, vice-direttore dell’Archivio del Moderno, hanno facilitato la mia ricerca consigliandomi più volte, così come Alessandra Pfister, coordinatrice di ricerca presso lo stesso istituto, mi ha aiutata con infinita cortesia e disponibilità, fornendomi importanti riferimenti bibliografici e archivistici. Vorrei inoltre ringraziare il personale delle due istituzioni che attualmente ospitano i volumi della biblioteca di Luigi Canonica. Il direttore della Biblioteca cantonale di Lugano – Gerardo Rigozzi – che mi ha aiutata con grande generosità, insieme al suo staff; in particolare vorrei ricordare Urs Voegeli per i suoi consigli e il suo prezioso aiuto nel chiarire questioni complesse. Sono stati egualmente d’aiuto il direttore dell’Archivio di Stato di Bellinzona, Andrea Ghiringhelli, e i suoi collaboratori, in particolare Carlo Agliati e Mauro Carmine. 1. L. Olivato, Ottavio Bertotti Scamozzi, studioso di Andrea Palladio, Neri Pozza, Vicenza 1975, p. 83. 2. P. Carpeggiani, recensione di Ottavio Bertotti Scamozzi, studioso di Andrea Palladio, by Loredana Olivato, “Journal of the Society of Architectural Historians”, vol. 36, December 1977, n. 4, pp. 260-261, p. 261. 3. La biblioteca dell’architetto. Libri e incisioni (XVI-XVIII secolo) custoditi nella Biblioteca centrale della Regione Siciliana, catalogo della mostra (Palermo 2007), a cura di M.S. Di Fede, F. Scaduto, edizioni Caracol, Palermo 2007. 4. S. McPhee, The architect as reader, “Journal of the Society of Architectural Historians”, vol. 58, September 1999, n. 3, pp. 454-461. Sulle biblioteche private, vedi Biblioteche private in età moderna e contemporanea, atti del convegno internazionale (Udine 2004), a cura di A. Nuovo, edizioni Sylvestre Bonnard, Milano 2005 e Geselligkeit und Bibliothek: Lesekultur im 18. Jahrhundert , a cura di W. Pott, M. Fauser, U. Pott (“Schriften des Gleimhauses Halberstadt”, 4), Wallstein Verlag, Göttingen 2005. 5. Vedi, ad esempio, D.L. Sparti, La casa di Pietro da Cortona. Architettura, accademia, atelier e officina, Fratelli Palombi, Roma 1997, pp. 89-103 e S. McPhee, Bernini’s books, “The Burlington Magazine”, vol. 142, July 2000, n. 1168, pp. 442-448. Sarah McPhee fornisce molti riferimenti bibliografici relativi ad altre biblioteche di architetti romani, p. 442, nota 9. 6. A. Avon, La biblioteca, gli strumenti scientifici, le collezioni di antichità e opere d’arte di un architetto del XVII secolo, Jacques Le Mercier (1585-1654), “Annali di architettura”, 1996, n. 8, pp. 179-196. 7. La lista dei libri di Soane è attualmente disponibile in un catalogo online. Hooked on books: the library of Sir John Soane, Architect, 1753-1837, catalogo della mostra (Nottingham 2004), a cura di E. Harris, N. Savage, Sir John Soane’s Museum, London 2004; E. Harris, Sir John Soane’s library: “o, books! ye monuments of mind”, “Apollo”, n.s., vol. CXXXI, April 1990, n. 338, pp. 242-247. 8. «Lasciò 174,000 franchi alle Scuole Elementari di Lombardia e 87,000 franchi all’Accademia di Belle Arti di Milano, per l’educazione di alcuni giovani meritevoli come pittori, scultori o architetti»: in “The Gentleman’s Magazine”, n.s., vol. XXII, (Londra: John Bowyer Nichols and son, 1844), p. 100. Ripreso in “The Annual Register, or a view of the history and politics of the year 1844” (Londra: Rivington, 1845), Appendix to Chronicle. Deaths-Feb., pp. 216-217. 9. Sulla storia del fondo archivistico di Canonica, vedi M. Bernasconi Reusser, Fondo Luigi Canonica (Emilia Banchini), in Archivi e Architetture. Presenze nel Cantone Ticino, catalogo della mostra (Mendrisio 1998-1999), a cura di L. Tedeschi, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 1998, pp. 130-131. 10. Ibidem. 11. Fortunatamente i libri di Canonica conservano una etichetta apposta nel momento in cui furono acquisiti dalla Biblioteca cantonale di Lugano. 12. Sulla Biblioteca cantonale di Lugano vedi: Progetto Biblioteca. Spazio, storia e funzioni della Biblioteca cantonale di Lugano, a cura della Biblioteca cantonale di Lugano, Biblioteca cantonale, Lugano-Edizioni Le Ricerche, Losone 2005, pp. 107-115. Nella stessa pubblicazione vedi, sulla collezione dei libri rari, P. Costantini, Il Fondo antico, pp. 107-115, e sulla Libreria Patria, P. Costantini, L. Saltini, La Libreria Patria, pp. 117-122. 13. A tutt’oggi non è stata rintracciata una lista dei libri compilata dallo stesso Canonica, benché questa possibilità sia quanto mai possibile: e cioè a dire, è cer- 320 to assai probabile che costui abbia compilato, di tempo in tempo, più d’un elenco dei suoi libri. 14. Vedi J. Newman, Italian Treatises in Use: the Significance of Inigo Jones’s Annotations, in Les Traités d’architecture de la Renaissance, atti del convegno (Tours 1981), a cura di J. Guillaume, Picard, Paris 1988, pp. 435-441. 15. Più di recente, si possono menzionare gli studi di C. Anderson, Inigo Jones and the Classical Tradition, Cambridge University Press, Cambridge 2006 e G. Worsley, Inigo Jones and the European Classicist Tradition, Yale University Press, New Haven-London 2007. 16. È stato ritrovato un unico foglio infilato all’interno di un volume di Heine. 17. Trattato di miniatura per imparare facilmente a dipingere senza Maestro; e la dichiarazione di molti Segreti per fare i più bei Colori; Colla maniera di far l’oro brunito, l’oro in conchiglie, e la vernice della china, Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, Milano 1777. 18. Il nome di battesimo è “Cristoforo Maria Aloisio Canonica”, ma l’architetto utilizzava “Aloisio”, che in seguito divenne “Luigi”. 19. Vol. I: «1787 Aloysj de Canonica Arch.»; vol. II:«Aloysj de Canonica 1787», accompagnato dal monogramma (forse aggiunto dopo) LC; vol. III: «Aloysj de Canonica 1787»; vol. IV: «Aloysij de Canonica 1787». 20. Sfortunatamente, forse nella prima metà del XX secolo, furono apposte nuove copertine in carta marrone a un considerevole numero di libri che sono attualmente conservati presso l’Archivio di Stato di Bellinzona. Tale operazione, che comportò la rimozione delle copertine originali, ha compromesso la possibilità di avere preziose indicazioni sull’appartenenza a Canonica di certi volumi (specialmente quelli di argomento letterario), indicazioni che sono andate irrimediabilmente perdute. 21. Vitruvius Pollio, L’architettura generale di Vitruvio ridotta in compendio dal Sig. Perrault dell’Accademia di Scienze di Parigi, ed arricchita di tavole in rame, nella Stamperia di Giambattista Albrizzi q. Gir., Venezia 1747; L’Architettura di M. Vitruvio Pollione colla traduzione italiana e comento del marchese Berardo Galiani, nella Stamperia Simoniana, Napoli 1758. 22. L.B. Alberti, Della architettura, della pittura e della statua di Leonbatista Alberti. Traduzione di Cosimo Bartoli gentiluomo ed accademico fiorentino, nell’Instituto delle Scienze, Bologna 1782. 23. S. Serlio, Libro primo [-quinto] d’architettura, di Sebastiano Serlio bolognese, nel quale con facile & breue modo si tratta de primi principij della geometria. Con nuoua aggiunta delle misure che seruono a tutti gli ordini de componimenti, che ui si contengono, appresso Francesco Senese, & Zuane Krugher Alemanno compagni, Venezia 1566. Vedi M. Vène, Bibliographia serliana. Catalogue des éditions imprimées des livres du traité d’architecture de Sebastiano Serlio (1537-1681), Picard, Paris 2007, pp. 108-111, p. 109, nn. 40 e 41. 24. Andrea Palladio, I quattro libri dell’architettura Di Andrea Palladio ... (Venetia: Appresso Dominico de’ Franceschi, 1570); Andrea Palladio, I quattro libri dell’architettura Di Andrea Palladio ... (Venetia: Appresso Dominico de’ Franceschi, 1570 [= Venetia, appresso Giambatista Pasquali, alla felicita delle lettere, 1766/67]). 25. Su Smith, il suo collezionismo e l’edizione del Palladio, vedi: S. Morrison, Records of a bibliophile: the Catalogues of Consul Joseph Smith and some aspects of his collecting, “The book collector”, vol. XLIII, Spring 1994, n. 1, pp. 27-58; E.M. Garvey, Some Venetian illustrated books of the eighteenth century in the Harvard College Library, “Bulletin du bibliophile”, 1999, n. 2, pp. 293-310; A. Blunt, A neo-Palladian programme executed by Visentini and Zuccarelli for Consul Smith, “The Burlington Magazine”, vol. C, August 1958, n. 665, pp. 282-286; F. Vivian, Joseph Smith and the cult of Palladianism, “The Burlington Magazine”, vol. CV, April 1963, n. 721, pp. 157-162. 26. D. Howard, Four centuries of literature on Palladio, “The Journal of the Society of Architectural Historians”, vol. XXXIX, October 1980, n. 3, pp. 224-241, p. 228. 27. Francesco Milizia al Temanza, 3 Dicembre 1768, in G.G. Bottari, S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII pubblicata da M. Gio. Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, 8 voll., per Giovanni Silvestri, Milano 18221825, vol. VIII, p. 86; Milizia al Temanza, 24 dicembre 1768, ibidem, p. 88. 28. Milizia al Temanza, 22 gennaio 1769, ibidem, pp. 89-90. 29. Milizia al Temanza, 4 aprile 1772, ibidem, pp. 108-109. 30. Milizia al Temanza, 18 aprile 1772, ibidem, p. 112. 31. J.W. von Goethe, Voyage en Italie, trad. de l’allemand par Jacques Porchat, LA B I B LI OTECA D I LU I G I CAN O N I CA trad. revisitée, complétée et annotée [et] préf. de Jean Lacoste, Bartillat, Paris 2003, p. 67. 32. Vedi in particolare Howard 1980, pp. 224-241. 33. Il testo di Gualdo appare in G. Montenari, Del Teatro Olimpico di Andrea Palladio in Vicenza, discorso del signor conte Giovanni Montenari vicentino. Seconda edizione con lettere due critiche, l’una del signor marchese Giovanni Poleni, l’altra dell’autore, nella stamperia del Seminario, Padova 1749; T. Temanza, Vita di Andrea Palladio vicentino, egregio architetto. Aggiuntevi in fine due scritture dello stesso Palladio finora inedite, presso Giambatista Pasquali, Venezia 1762. 34. M. Kemp, The science of art. Optical themes in western art from Brunelleschi to Seurat, Yale University Press, New Haven-London 1990, p. 73. 35. M. Bassi, Dispareri in materia d’architettura, e prospettiva di Martino Bassi Architetto milanese. Coll’aggiunta degli Scritti del medesimo intorno all’insigne tempio di S. Lorenzo Maggiore di Milano. Dati in luce con alcune sue annotazioni da Francesco Bernardino Ferrari Ingegnere, ed Architetto Collegiato della stessa città, appresso Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, Milano 1771. 36. A. Palladio, Architettura di Andrea Palladio vicentino. Di nuovo ristampata, e di figure in rame diligentemente intagliate arricchita, corretta, e accresciuta di moltissime fabbriche inedite; con le osservazioni dell’architetto N. N. [Francesco Muttoni] e con la traduzione francese, 8 voll., appresso Angiolo Pasinelli, Venezia 1740-1748. Il nono volume apparve più tardi, mentre il materiale per il decimo fu raccolto, ma mai pubblicato. M. Pollak et al., Italian and Spanish books: Fifteenth through Nineteenth centuries, in The Mark J. Millard architectural collection, vol. IV, National Gallery of Art, Washington-George Braziller, New York 2000, pp. 243-245 e 255-257. 37. F. Muttoni, Architettura di Andrea Palladio Vicentino. Nella quale sono ridotte in compendio le Misure, e le Proporzioni delli Cinque Ordini di Architettura dal medesimo insegnate, ed anche da molti altri Autori, e tratte da Fabbriche Antiche, raccolte, e date in luce dall’architetto N. N. [Francesco Muttoni] di Vicenza e con la traduzione francese, appresso Angiolo Pasinelli, Venezia 1741. 38. O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi. Opera divisa in quattro tomi con tavole in rame rappresentanti le piante, i prospetti, e gli spaccati. Con la traduzione francese, 4 voll., per Francesco Modena, Vicenza 1776-1783. 39. R. Wittkower, Architectural principles in the age of humanism, Academy editions, London 1973, p. 145. 40. Gli altri libri che portano la data di acquisizione sono: J. Besson, Il theatro de gl’instrumenti & machine di M. Iacopo Bessoni, mathematico de’ nostri tempi eccellentissimo, Con una brieve necessaria dichiaration dimostrativa, di M. Francesco Beroaldo. Su tutte le figure, che vi son comprese, nuovamente di Latino in volgare Italiano tradotto & di moltissime additioni per tutto aummentato & illustrato per Signor Giulio Paschali messinese, per Barth. Vincenti, Lyon 1582, con la data 1794; l’Orazio (1776); il Trattato di miniatura per imparare facilmente a dipingere senza Maestro; e la dichiarazione di molti Segreti per fare i più bei Colori; Colla maniera di far l’oro brunito, l’oro in conchiglie, e la vernice della china, Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, Milano 1777, acquistato nel 1781. 41. A. Uggeri, Journées pittoresques des édifices de Rome ancienne, par l’abbé architecte Ange Uggeri milanois, 32 voll., in aedibus Capitolinis (nella stamperia Pagliarini) [et al.], Roma 1800-1834. 42. F. Perrier, Icones et segmenta illustrium e marmore tabularum, quae Romae adhuc extant, a Francisco Perrier delineata, incisa, et ad antiquam formam lapideis exemplaribus passim collapsis restituta, s.n., Roma-chez la veuve de deffunct Mons. Perier, Paris 1645; G.G. De Rossi, Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque a celebrioribus architectis inventi nunc tandem suis cum plantis ac mensuris a Io. Iacobo de Rubeis in lucem editi, [Io. Iacobo de Rubeis], [Roma] 1684; P. S. Bartoli, Gli antichi sepolcri ovvero mausolei romani ed etruschi trovati in Roma ed in altri luoghi celebri, nelle quali si contengono molte erudite memorie, raccolti, disegnati ed intagliati da Pietro Santi Bartoli, ed ora esistenti tra le stampe della Calcografia della Rev. Camera Apostolica presso la Curia Innocenziana con privilegio del Sommo Pontefice, s.n., Roma 1768. 43. T. Piroli, Le antichità di Ercolano, 6 voll., s.n., Roma, 1789-1807. 44. Su Capra vedi: A. Bellini, Alessandro Capra, ingegnere cremonese del ’600 e trattatista di architettura civile, “Annali della Biblioteca statale e Libreria civica di Cremona”, vol. XXVI, fasc. 1, 1975 [1982] e M. Dezzi Bardeschi, Su Alessandro Capra, ingegnere e architetto cremonese, e sul suo trattato d’architettura, “Studi secenteschi”, vol. IV, 1963, pp. 44-80. 45. Pollak et el. 2000, p. 100. 46. Ibidem, pp. 99-102, in riferimento all’articolo di Dezzi Bardeschi 1963. 47. Su questo aspetto vedi in particolare A. Scotti Tosini, Cultura architettonica e scientifica di un architetto dell’età dei lumi, in Giuseppe Piermarini e il suo tempo, catalogo della mostra (Foligno 1983), a cura di M. Stefanetti, Electa, Milano 1983, pp. 74-82 e 184-199. Vedi anche E. Brambilla, Scientific and Professional Education in Lombardy, 1760-1803: Physics between Medicine and Engineering, in Nuova Voltiana. Studies on Volta and his Times, vol. I, atti del convegno internazionale (Pavia 1998), a cura di F. Bevilacqua, L. Fregonese, Università degli Studi di Pavia, Pavia-Hoepli, Milano 2000, pp. 51-99; eadem, Le professioni scientifico-tecniche a Milano e la riforma dei Collegi privilegiati, in Ideologia e scienza nell’opera di Paolo Frisi (1728-1784), atti del convegno internazionale di studi (Milano 1985), a cura di G. Barbarisi, F. Angeli, Milano 1987, vol. II, pp. 345-446. 48. Besson 1582. Vedi: L. Dolza, H. Vérin, Figurer la mécanique: l’énigme des théâtres de machines de la Renaissance, “Revue d’histoire moderne et contemporaine”, vol. LI, 2004, n. 2, pp. 7-37. 49. Si tratta del primo di una serie di trattati, i “Teatri delle macchine,” che applicavano i principi matematici nello sviluppo delle “macchine” e che nel 1602 contava già nove edizioni e traduzioni in francese, latino, italiano, spagnolo e tedesco, vedi ibidem, pp. 35-37. 50. G. Galilei, Le operazioni del compasso geometrico, e militare. Di Galileo Galilei nobil fiorentino lettore delle matematiche nello studio di Padova. Con le annotazioni di Mattia Bernaggieri, nelle stampe di Francesco Agnelli, Milano 1741; G. Fontana, Dissertazione idrodinamica, per l’erede di Alberto Pazzoni regio-ducale stampatore, Mantova 1775; G.A. Lecchi, Parere di Antonio Lecchi, matematico delle LL. MM. II. RR. AA., intorno al nuovo taglio del Tidone e della Luretta, s.n., s.l., s.d. [ante 1774]; F. Redi, Opere di Francesco Redi gentiluomo aretino e accademico della Crusca. Seconda edizione napoletana corretta e migliorata, 7 voll., a spese di Michele Stasi, Napoli 1778. 51. M. Piroux, Moyens de préserver les édifices d’incendies, et d’empêcher le progrès des flammes, par M. Piroux, avocat et architecte à Lunéville. Mémoire qui a remporté le prix de l’Académie royale de Nancy, le 8 mai 1781, chez les Frères Gay, Strasbourg 1782. 52. M.E. Falkus, The Early Development of the British Gas Industry, 1790-1815, “The Economic History Review”, II s., vol. XXXV, May 1982, n. 2, pp. 217-234. 53. L. Perasi, L’illuminazione a gas a Milano durante l’età della Restaurazione (1815/1859), tesi di laurea, relatore E. Cantarella, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Milano, a.a. 1997-1998. 54. G. Aldini, Memoria sulla illuminazione a gas dei teatri e progetto di applicarla all’I.R. Teatro della Scala in Milano, dalla Società tipografica de’ Classici italiani, Milano 1820. Il libro reca una dedica sulla copertina: “Al’Ill.mo sig. Canonica Cav.re I. R. architetto del Teatro della Scala. In atto d’ossequio l’autore”. 55. G. Piermarini, Teatro della Scala in Milano. Architettura del Regio Professore Giuseppe Piermarini, s.n., Milano 1789. 56. F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni. Terza edizione accresciuta e corretta dallo stesso autore, 2 voll., dalla Stamperia Reale, Parma 1781, vol. II, p. 387. 57. E. Arnaldi, Idea di un teatro nelle principali sue parti simile a’ teatri antichi all’uso moderno accomodato del conte Enea Arnaldi Accademico Olimpico. Con due discorsi l’uno che versa intorno a’ teatri in generale, riguardo solo al coperto della scena esteriore, l’altro intorno al sofitto di quella del Teatro Olimpico di Vicenza, opera dell’insigne Andrea Palladio, appresso Antonio Veronese, Vicenza 1762. 58. V. Lamberti, La regolata costruzion de’ Teatri di Vincenzo Lamberti ingegnere napoletano. Dedicata a S. E. D. Andrea Memmo, cavaliere della Stella d’Oro e procurator di S. Marco nella Serenissima Republica di Venezia, presso Vincenzo Orsini, Napoli 1787; F. Riccati, Della costruzione de’ teatri secondo il costume d’Italia, vale a dire divisi in piccole logge, a spese Remondini di Venezia, Bassano 1790. 59. P. Landriani, Del teatro diurno e della sua costruzione. Opuscolo che fa seguito alle osservazioni sui difetti prodotti nei teatri dalla cattiva costruzione del palco scenico e sovr’alcune inavvertenze nel dipingere le decorazioni, P. e G. Vallardi, Milano 1836. 60. L. Cicognara, Catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità posseduti dal conte Cicognara, 2 voll., presso Niccolò Capurro co’ caratteri di F. Didot, Pisa, 1821, n. 464, p. 82. 61. Ibidem, n. 459, p. 81. 62. A.A. Payne, Architectural criticism, science, and visual eloquence: Teofilo Gallaccini in seventeenth-century Siena, “Journal of the Society of Architectural Historians”, vol. LVIII, June 1999, n. 2, pp. 146-169. 321 CECILIA HURLEY 63. A. Memmo, Elementi dell’architettura lodoliana o sia L’arte del fabbricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa, nella Stamperia Pagliarini, Roma 1786. Payne 1999, p. 146, nota 50. Vedi anche E. Kaufmann, Architecture in the age of reason: baroque and postbaroque in England, Italy, and France, Harvard University Press, Cambridge 1955, pp. 95-104. 64. Saggio sopra l’architettura fu pubblicato in F. Algarotti, Opere varie, per Giambatista Pasquali, Venezia 1757. 65. Payne 1999; E. Kaufmann Jr., Memmo’s Lodoli, “The Art Bulletin”, vol. XLVI, June 1964, n. 2, pp. 159-175. 66. La biblioteca dell’architetto 2007, p. 137, citazione di J. Garms, Libri non italiani di architettura della prima metà del ’700 in biblioteche italiane, in Saggi in onore di Renato Bonelli, “Quaderni dell’Istituto di Storia dell’architettura”, a cura di C. Bozzoni, G. Carbonara, G. Villetti, Multigrafica Editrice, Roma 1992, vol. II, pp. 755-764. 67. La maggior parte è conservata presso l’Archivio di Stato di Bellinzona; vedi C. Hurley, La biblioteca Canonica-Porta-Fraschina-Cattaneo di Manno presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino. Un frammento di storia intellettuale dei secoli XVIII-XIX, “Bollettino storico della Svizzera italiana”, IX s., vol. CXI, 2008, n. 1, pp. 123-192. 68. Plan routier de la ville et faubourg de Paris, divisé en 12 municipalités, chez Jean, Paris 1804; J.-G. Legrand, C.-P. Landon, Description de Paris et de ses édifices, avec un précis historique et des observations sur le caractère de leur architecture et sur les principaux objets d’art et de curiosité qu’ils renferment, 2 voll., chez C. P. Landon, Paris 1806-1809, vol. I. 69. C.-P. Landon, Annales du Musée et de l’École moderne des beaux-arts, 17 voll., chez le C. Landon, de l’imprimerie de Didot jeune, [poi] chez C.P. Landon, de l’Imprimerie des Annales du Musée, Paris 1801-1808, an IX 1801-, t. 13-17; G.D. McKee, Charles-Paul Landon’s advocacy of modern French art, 1800-1825: the Annales du Musée, in S.A. Stein, G.D. McKee (a cura di), Album amicorum Kenneth C. Lindsay. Essays on Art and Literature, Department of Art and Art History, State University of New York, Binghamton, 1990, pp. 203-233. 70. A.-G. Kersaint, Discours sur les monuments publics, prononcé au Conseil du Département de Paris, le 15 décembre 1791, imprimerie de P. Didot l’ainé, Paris 1792. Su Kersaint vedi: M.K. Deming, C. de Vaulchier, La loi et ses monuments en 1791, “Dix-huitieme siècle”, 1982, n. 14, pp. 117-130. 71. C. Percier, P.F.L. Fontaine, Description des cérémonies et des fêtes qui ont eu lieu pour le couronnement de leurs majestés Napoléon, empereur des Français et roi d’Italie, et Joséphine, son auguste épouse, chez Leblanc, Paris 1807. L. Zuccolin, Le Sacre de S.M. l’Empereur Napoléon, dans l’Eglise Metropolitaine de Paris, Le XI Frimaire an XIII, Dimanche 2 Décembre 1804, ristampa anastatica parziale del volume conservato nel Museo del Castello di Miramar (Trieste), con saggi introduttivi di L. Zuccolin, “Neoclassico”, 1998, n. 12, pp. 1-23, tavv. I-XXXI, n. 12. 72. D. Wiebenson, C. Baines, French books: Sixteenth through Nineteenth centuries, in The Mark J. Millard architectural collection, vol. I, National Gallery of Art, Washington-George Braziller, New York 1993, pp. 173-175. 73. Ibidem. 74. L. Savot, L’architecture françoise des bastimens particuliers, Composee par M.e Louis Savot. Augmentée dans cette seconde édition de plusieurs figures, & des notes de Monsieur Blondel de l’Academie Royale des Sciences, chez la Veuve & C. Clouzier, Paris 1685; N. Ransonnette, J.K. Krafft, Plans, coupes, élévations des plus belles maisons et des hôtels construits à Paris et dans les environs, de l’imprimerie de Clousier, Paris s.d. [1801-1803]; C.-E. Briseux, L’art de bâtir des maisons de campagne, où l’on traite de leur distribution, de leur construction et de leur décoration, 2 voll., chez Prault pere, Paris 1743. 75. J.-K. Krafft, Plans des plus beaux jardins pittoresques de France, d’Angleterre et de l’Allemagne et des édifices, monumens, fabriques, etc. qui concourrent à leur embellissement, 2 voll., imprimerie de Levrault, [poi] imprimerie de Pougens, Paris 1809-1810; S. de Girardin, Promenade ou itinéraire des jardins d’Ermenonville, auquel on a joint vingt-cinq de leurs principales vues [Paris 1788], chez Mérigot pere, Paris 1811. 76. Sulla ricezione in Italia del testo di Dezallier d’Argenville, vedi: G. Chigiotti, The design and realization of the park of the Royal Palace at Caserta by Luigi and Carlo Vanvitelli, “Journal of Garden History”, vol. V, 1985, n. 2, pp. 184-206. 77. L. Vanvitelli, Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta alle Sacre Reali Maestà di Carlo Re delle Due Sicilie e di Gerus., Infante di Spagna Duca di Parma e di Piacenza, Gran Principe ereditario di Toscana, e di Maria Amalia di Sassonia regina, nella Regia Stamperia, Napoli 1756. 322 78. F. Testa, “Imitar la natura con la natura”: il dibattito sul giardino paesistico in Italia alla fine del ’700 e i paradossi della mimesis, “Neoclassico”, 1996, n. 9-10, pp. 21-41. 79. W. Kehn, Ästhetische Landschaftserfahrung und Landschaftsgestaltung in der Spätaufklärung: der Beitrag von Christian Cay Lorenz Hirschfelds Gartentheorie, in “Landschaft” und Landschaften im achtzehnten Jahrhundert, atti del convegno (Wolfenbüttel 1991), a cura di H. Wunderlich, Universitätsverlag C. Winter, Heidelberg 1995, pp. 1-23; L. Parshall, C.C.L. Hirschfeld’s Concept of the Garden in the German Enlightenment, “Journal of Garden History”, vol. XIII, 1993, n. 3, pp. 125-171. 80. J.G. Grohmann, Prof. Johann Gottfried Grohmann’s ländliche Vergnügungen oder Gartenspiele, die mit Leibesbewegung verbunden, in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, Leipzig [1801]; Sammlung von gesellschaftlichen Gartenspielen und ländlichen Vergnügungen, die mit Leibesbewegung verbunden, Personen, deren Beruf ist, viel zu sitzen, vorzüglich zu empfehlen, und dem Hufelandischen System, die Gesundheit durch Bewegung und frohen Muth zu erhalten, ganz angemessen sind, in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, Leipzig [1800]; Ideenmagazin für Liebhaber von Gärten, Englischen Anlagen und für Besitzer von Landgütern um Gärten und ländliche Gegenden, sowohl mit geringem als auch großem Geldaufwand, nach den originellsten Englischen, Gothischen, Sinesischen Geschmacksmanieren zu verschönern und zu veredeln, 5 voll., in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, Leipzig 1796-1806. 81. Sull’uso di queste raccolte da parte di altri architetti, vedi R. Smith, Benjamin Vulliamy’s library: a collection of neo-classical design sources, “The Burlington Magazine”, vol. CXLI, June 1999, n. 1155, pp. 328-337. 82. G. Vaccani, Ornati diversi, tratti dagli avanzi antichi e dalle migliori opere de’ cinquecentisti ad uso delle scuole, s.n., s.l. 1812; G. Vaccani, Raccolta di compartimenti e d’ornati per la decorazione di private abitazioni e di pubblici edifizi civili, militari ed ecclesiastici, ed una serie di disegni per la decorazione interna d’edifizi teatrali, ideati sulle reali dimensioni dei principali teatri d’Italia, tipografia di G. B. Bianchi e C., Milano 1832-1835; G. Bignoli, Raccolta di antichità greche e romane ad uso degli artisti disegnate ed incise da Gio. Bignoli, dalla Tipografia Destefanis, Milano 1822-1823; G. Zancon, G. Tomba, Galleria inedita raccolta da privati gabinetti milanesi ed incisa in rame da Gaetano Zancon, da Francesco Fusi e C. Editori de’ Classici Italiani, Milano 1812 Dodici de’ migliori ornati che si trovano sparsi nella R. città di Venezia disegnati dalli signori Gio. De’Abriani, e Carlo Simonetti ed incisi da Valenti intagliatori in rame, s.n., s.l. s.d. [1821?] tav. 83. J.-F. de Neufforge, Recueil élémentaire d’architecture, contenant plusieurs études des ordres d’architecture d’après l’opinion des anciens et le sentiment des modernes, différents entrecolonnements propres a l’ordonnances des facades, divers exemples de décorations extérieures et intérieures, a l’usage des monuments sacres, publics, et particuliers, 10 voll., chez l’auteur, Paris 1757-1780. Vedi Wiebenson, Baines 1993, pp. 365-366. 84. F. Waquet, Latin, or the empire of a sign: from the Sixteenth to the Twentieth Centuries [Paris 1998], trad. di J. Howe, Verso, London-New York 2001, pp. 2325. 85. Q. Horatius Flaccus, Q. Horatii Flacci Carmina expurgata et accuratis notis illustrata auctore Josepho Juvencio societatis Jesu sacerdote, ex typographia Bibliothecae Ambrosianae, apud Joseph Marellum, Milano1762. 86. Storia universale dal principio del mondo sino al presente, scritta da una compagnia di letterati inglesi, ricavata da’ fonti originali e illustrata con carte geografiche, rami, note, tavole cronologiche ed altre. Tradotta dall’inglese, con giunta di note, e di avvertimenti di alcuni luoghi, 52 voll., nella Stamperia Mainardi a S. Mattia alla Moneta [et al.], Milano 1801-1805. 87. Su queste serie, vedi: S. Faraoni, Giulio Ferrario, intellettuale milanese ed editore della Società Tipografica de’ Classici Italiani, “Aevum. Rassegna di Scienze Storiche, Linguistiche, e Filologiche”, vol. LXXVII, settembre-dicembre 2003, n. 3, pp. 683-691; E. Bottasso, I primordi delle collezioni di classici italiani, in Bibliologia e critica dantesca: saggi dedicati a Enzo Esposito, a cura di V. De Gregorio, vol. I, Saggi bibliologici, Longo, Ravenna 1997, pp. 37-42; M. Bernasconi, Le associazioni librarie in Ticino nel XVIII e XIX secolo, Edizioni Casagrande, Bellinzona 1992, pp. 36-37 e 171-172; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, G. Einaudi, Torino 1980, pp. 9-22. 88. Edizione delle opere classiche italiane dedicata al cittadino Melzi d’Eril vice-presidente della Repubblica Italiana, Giusti, Ferrario e C., Milano 1802, p. 7. 89. Bernasconi 1992, p. 85. Appendice Catalogo della Biblioteca a cura di Cecilia Hurley ABU TALIB HAN IBN MUHAMMAD ISTAHANI, Viaggi del principe persiano Mirza Aboul Taleb Khan in Asia, Africa ed Europa scritti da lui medesimo. Pubblicati per la prima volta in franc. dal sig. Ch. Malo e recati in nostra lingua dal sig. Montani. Corredati del ritratto dell’autore e di rami colorati, Milano, dalla tipografia di Giambattista Sonzogno, 1820, 2 vol., XXV, [1], 235, [1]; 259, [1] p. [LU] ACCUM, FRIEDRICH CHRISTIAN, Trattato pratico sopra il gas illuminante contenente una completa descrizione dell’apparecchio e delle macchine opportune per illuminare col gas idrogeno carbonato, ossia gas di carbonio, le contrade, le case e le manifatture, con alcune osservazioni sopra l’utilità, la sicurezza e la natura in generale di questo nuovo ramo di civile economia, di Federigo Accum …, Milano, presso A. Fortunato Stella, 1817, 215, [1] p., tav. [BZ] AESOPUS, Aesopi Phrygis et aliorum Fabulae, Quorum nomina sequens pagella indicabit, Elegantissimus Iconibus in gratiam studiosae juventutis illustratae, Pluribusq. auctae, et diligentius, quam antehac emendatae, ..., Mediolani, ex Typographia Ludovici Montiae, 1672, 392, [12] p. [LU] ALAMANNI, LUIGI; RUCELLAI, GIOVANNI, La coltivazione di Luigi Alamanni e Le api di Giovanni Rucellai con annotazioni del dottor Giuseppe Bianchini da Prato sopra La coltivazione e di Roberto Titi sopra Le api, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804, 88, 324 p., tav. [BZ] ALBERTI, LEON BATTISTA, Della pittura e della statua, di Leonbatista Alberti, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804, XXVII, [1], 136 p., tav. [BZ] ALBERTI, LEON BATTISTA, Trattato del governo della famiglia d’Agnolo Pandolfini [i.e. Leon Battista Alberti] colla vita del medesimo scritta da Vespasiano da Bisticci, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1802, 215, [1] p., tav. [BZ] ALBERTI, LEON BATTISTA; BARTOLI, COSIMO; TRICHET DU FRESNE, RAPHAEL, Della architettura della pittura e della statua di Leonbatista Alberti, traduzione di Cosimo Bartoli…, Bologna, Nell’Instituto delle Scienze, 1782, XIII, [3], 341, [1] p., tav. [BZ] ALBERTOLLI, FERDINANDO, Fregi trovati negli scavi del Foro Trajano, con altri esistenti in Roma ed in diverse città d’Italia, disegnati e misurati sul luogo ... [incisioni di Giac. Mercoli, ... et al.], Milano, per Nicolò Bettoni, 1824, tav. [BZ/LU] ALBERTOLLI, GIOCONDO, Alcune decorazioni di nobili sale ed altri ornamenti, di Giocondo Albertolli …, Milano, 1787, [6] p., tav. [BZ] ALDINI, GIOVANNI, Memoria sulla illuminazione a gas dei teatri progetto di applicarla all’I. R. Teatro della Scala in Milano, Milano, dalla Soc. Tipografica dei Classici Italiani, 1820, VIII, 111, [1], VI p., tav. [LU] ALFIERI, VITTORIO, Del Principe e delle lettere: libri tre, Milano, presso Pietro Agnelli, 1812, 216 p. [LU] ALFIERI, VITTORIO, Satire, Milano, presso Pietro Agnelli, 1812, 101, [3] p. [LU] ALFIERI, VITTORIO, Vittorio Alfieri da Asti: vita scritta da esso, Milano, Agnelli, 1808, 2 voll., 244, [4]; 262, [8] p. [LU] ALGAROTTI, FRANCESCO, Saggio sopra la pittura del Co Algarotti ..., Venezia, Nella Stamperia Graziosi, 1784, 178 p. [BZ] ALIGHIERI, DANTE, La Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata di note da Luigi Portirelli ..., Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici Italiani, 1804-1805, 3 voll., [2], LXVII, [1], 336, [2]; [2], LI, [1], 441, [3]; [2], 453, [3] p., tav. [LU] ALIGHIERI, DANTE, La Divina Commedia di Dante, con gli argomenti, allegorie, e dichiarazioni, aggiuntovi La vita del poeta, Il rimario, e due Indici utilissimi di Lodovico Dolce, Milano, nella stamperia di Pietro Agnelli, 1816, 1 vol. su 3 (solo vol. 2), 200 p. [BZ] ANDRES, JUAN, Lettera dell’abate Giovanni Andres al sig. abate Giacomo Morelli sopra alcuni codici delle Biblioteche capitolari di Novara, e di Vercelli, Parma, dalla Stamperia reale, 1802, 110, [2] p. [LU] ANGIOLINI, FRANCESCO, Storia abbreviata della Baviera dai primi tempi fino all’esaltazione al trono del re Lodovico oggi regnante, compilata da Francesco Angiolini e pubblicata in continuazione al Compendio della Storia Universale del Sig. Conte di Segur, Milano, presso Ant. Fort. Stella e figli, (Compendio della storia universale antica e moderna, tomo 127), 1825, 200 p., tav. [BZ] Annales du Musee et de l’Ecole moderne des beaux-arts ... redige par C. P. Landon, Paris, chez C.P. Landon: de l’Imprimerie des Annales du Musee, an IX [1805] [BZ/LU] ANTOLDI, FRANCESCO, Guida pel forestiere che brama di conoscere le più pregevoli opere di belle arti nella città di Mantova, per diligenza dell’avvocato Francesco Antoldi, Mantova, co’ tipi dell’erede Pazzoni, 1816, 69, [1] p. [BZ] ANTONINI, CARLO, Manuale di vari ornamenti tratti dalle fabbriche e frammenti antichi, Roma, Per il Casaletti: [poi] Dalle stampe Barbiellini alla Minerva, 1777-1790, 2 voll.; 35 cm [LU] Arco della pace in Milano: descrizione di questo inpareggiabile monumento e cenni storici sul castello, ..., Milano, a spese dell’autore, 1838, 15, [1] p., tav. [BZ] ARIOSTO, LUDOVICO, Orlando furioso di messer Lodovico Ariosto, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1812-1814, 5 voll., XCI, [1], 286, [2]; 427, [1]; 505, [3]; 448, [2]; 496, [82] p., tav. [BZ/LU] ARNALDI, ENEA, Idea di un teatro Nelle principali sue Parti simile a’ teatri antichi all’uso moderno accomodato del Conte Enea Arnaldi … con due discorsi L’uno che versa intorno a’ Teatri in generale, riguardo solo al Coperto della Scena esteriore, l’altro intorno al Sofitto di quella del Teatro Olimpico di Vicenza, Opera dell’Insigne Andrea Palladio, Vicenza, appresso Antonio Veronese, 1762, XXXII, 82, [2], 58 p., tav. [BZ] ASTORI, GIULIO, Storia del Giappone compilata sulle opere di Kaempfer, di Thunberg, di Beaumont, de’ letterati inglesi e d’altri da Giulio Astori e pubblicata in continuazione al Compendio della storia universale del sig. conte di Segur, Milano, presso Ant. Fort. Stella e figli, 1826, (Compendio della storia universale antica e moderna, tomi 141-142), 2 voll., 208; 211, [1] p., tav. [BZ] Atti dell’Accademia della Pace: nove soggetti [architettonici] di diversi, [s.l.]: [s.n.], [s.a.], tav. [LU] Atti dell’Accademia italiana di scienze, lettere ed arti, Livorno, presso Tommaso Masi, e comp., 1810, 1 vol. su 2 (il vol. 2 manca) LIX, [1], 321, [1] p. [LU] Atti dell’imp. regia Accademia di belle arti in Milano per la distribuzone de’ premi fattasi da S.E. il Sig. Conte di Spaur governatore delle provincie lombarde il giorno 1 settembre 1841, Milano, coi tipi di Luigi di Giacomo Pirola, 1841, 54, [2] p. [BZ] Atti dell’imp. regia Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii fattasi da S.E. il Sig. Co. di Palffy governatore delle provincie venete Il giorno 7 agosto 1842, Venezia, coi tipi di Giuseppe Antonelli, 1843, 48 p. [BZ] Atti della distribuzione de’ premj d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1815 onomastico di Sua Maestà I.R.A. con analogo discorso di S.E. il Signor Conte di Saurau governatore generale della Lombardia, Milano, dalla C.R. stamperia, 1815, 55, [1] p. [BZ] Atti della distribuzione de’ premj d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1818 onomastico di Sua Maestà I.R.A. con analogo discorso di S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo della Lombardia, Milano, dall’Imp. R. stamperia, 1818, 48 p. [BZ] 323 APPENDICE Atti della distribuzione de’ premj d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1820 onomastico di Sua Maestà I.R.A. da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente dell’I.R. governo della Lombardia ecc. ecc. ecc. con analogo discorso del Signor Conte Pietro Moscati …, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1820, 68 p. [BZ] Atti della distribuzione de’ premj d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1822 onomastico di Sua Maestà I.R.A. da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente dell’I.R. governo della Lombardia, ecc. ecc. ecc. con analogo discorso del Sig. cavaliere abate don Angelo Cesaris …, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1822, 84 p. [BZ] Atti della distribuzione de’ premj d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1828 Onomastico di S.M.I.R.A. da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente dell’I.R. governo della Lombardia, ecc. ecc. ecc. con analogo discorso del Signor abate don Angelo Cesaris …, Milano, dall’I.R. stamperia, 1828, 75, [1] p. [BZ] Atti della imp. regia Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1839, [Venezia], per la erede Picotti Tipogr. Dell’I.R. Accademia, s.d. [1840], 60, [4] p. [BZ] Atti della Società patriotica di Milano diretta all’avanzamento dell’agricoltura, delle arti e delle manifatture, Milano, nell’Imperial Monistero di S. Ambrogio Maggiore, 1783-1789, 2 voll., 239, [1]; CLIV, 310 p., tav. [BZ] Atti della Società patriotica di Milano diretta all’avanzamento dell’agricoltura, e delle arti, Milano, nell’Imperial Monistero di S. Ambrogio Maggiore, 1793, CXL, 426 p., tav. [BZ] Atti della solenne distribuzione de’ premj d’agricoltura e d’industria fattasi nel dì 4 ottobre 1832 Onomastico di S.M.I.R.A. da S.E. il Signor Conte di Hartig governatore della Lombardia con analogo discorso del Signor don Pietro Configliachi …, Milano, dall’Imperiale regia stamperia, 1832, 78, [2] p. [BZ] Atti della solenne distribuzione de’ premj d’agricoltura e d’industria fatta nel dì 4 ottobre 1834 Onomastico di S.M.I.R.A. da S.E. il Signor Conte Francesco di Hartig governatore delle provincie Lombarde, ecc. ecc. con relativo discorso del Signor prof. Francesco Carlini …, Milano, dall’Imperiale regia stamperia, 1834, 79, [1] p. [BZ] Atti della solenne distribuzione de’ premj d’agricoltura e d’industria fatta il dì 30 maggio 1837 Onomastico di S.M.I.R.A. in assenza di Sua Eccellenza il Signor Conte Francesco di Hartig governatore della Lombardia dall’illustrissimo Signor conte Girolamo Oldofredi Tadini … con relativo discorso del Signor professore Francesco Carlini …, Milano, dall’Imperiale regia stamperia, 1837, 110, [2] p. [BZ] BALDI, BERNARDINO; FRACASTORO, GIROLAMO; SPOLVERINI, GIOVANNI BATTISTA, Raccolta di poemi didascalici. La nautica. Poema di Bernardino Baldi; Della sifilide ovvero del morbo gallico, di Girolamo Fracastoro, libri tre volgarizzati da Vincenzo Benini; La coltivazione del riso, del marchese Giambattista Spolverini, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1813, [2], IV, 80, 123, [1], 177, [3] p. [BZ] BALDINUCCI, FILIPPO, Opere di Filippo Baldinucci, Milano, dalla societa tipografica de’ classici italiani, 1808-1812, 14 voll., XII, 287, [1]; 370, [2]; 359, [1]; [2], XXXIII, [1], 585 [i.e. 583], [1]; [2], 547, [1]; [2], 416, [2]; 663, [1]; [2], 590, [2]; [2], 583, [1]; [2], 487, [1]; 512, [2]; 499, [1]; [2], 531, [1]; [2], 312, [2] p., tav. [LU] BARETTI, GIUSEPPE, La frusta letteraria di Aristarco Scannabue ... terza edizione, Milano, nella Stamperia Sirtori, 1804-1805, 3 voll., 240; 234, [2]; 124 p. [BZ] BARTOLI, PIETRO SANTE, Gli antichi sepolcri ovvero Mausolei romani, ed etruschi trovati in Roma, ed in altri luoghi celebri; nelli quali si contengono molte erudite memorie: raccolti, disegnati, ed intagliati da Pietro Santi Bartoli, ..., Roma, 1768, 14 p., tav. [LU] BARTOLOMEO DA SAN CONCORDIO, Ammaestramenti degli antichi raccolti e volgarizzati per f. Bartolommeo da S. Concordio pisano dell’ordine de’ frati predicatori, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, XXVII, [1], 374, [2] p., tav. [BZ] BASSI, MARTINO, Dispareri in materia d’architettura, e prospettiva, di Martino Bassi architetto milanese, coll’aggiunta degli scritti del medesimo intorno all’insigne tempio di S. Lorenzo maggiore di Milano, dati in luce con alcune sue annotazioni da Francesco Bernardino Ferrari ingegnere, ed architetto collegiato della stessa Città, Milano, appresso Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, 1771, VIII, 126, [2] p., tav. [BZ] BELLORI, GIOVANNI PIETRO, Veteres arcus augustorum triumphis insignes ex reliquiis quae Romae adhuc supersunt cum imaginibus triumphalibus restituti antiquis nummis notisque Io. Petri Bellorii illustrati nunc primum per Io. Iacobum de Rubeis aeneis typis vulgati, Romae, ad Templum Sanctae Mariae de Pace, 1690, [5] f., tav. [BZ] 324 BELMAS, JACQUES-VITAL, Mémoire sur les couvertures des casernes et édifices, par M. Belmas, Paris, imprimerie de Paul Dupont e Comp., 1837 (Extrait du Mémorial du Génie), 61, [3] p., tav. [BZ] BEMBO, PIETRO, Opere del cardinale Pietro Bembo, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808-1810, 12 voll., LV, [1], 286, [2]; [4], 325, [3]; LV, [1], 416; 464, [2]; [2], 379, [1]; [2], 413, [3]; 495, [1]; 326, [2]; [2], 498, [2]; 385, [3]; 842 [=482]; [2], 474, [2] p., tav. [BZ/LU] BENTIVOGLIO, GUIDO, Opere storiche del cardinal Bentivoglio, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806-1807, 5 voll., XX, 481, [3]; 650, [2]; 428, [2]; 604, [2]; 413, [3] p., tav. [BZ] BERNI, FRANCESCO, Opere burlesche di M. Francesco Berni con annotazioni. E con un saggio delle sue lettere piacevoli, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, VIII, 230, [2] p. [BZ] BERNI, FRANCESCO, Orlando innamorato di Matteo M. Bojardo rifatto da Francesco Berni, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1806, 4 voll., [4], XXXVI, 301, [3]; 315, [1]; 317, [3]; 306, [2] p., tav. [LU] BERTOLOTTI, DAVIDE, Storia di Portogallo dai primi tempi sino ai di’ nostri tratta dal La Clede, dal Vertot, dal Durdent, dal Balbi e da altri autori per cura di Davide Bertolotti in continuazione al Compendio della Storia Universale del Sig. Conte Di Segur, Milano, dalla tipografia di Ranieri Fanfani, 1824 (Compendio della storia universale antica e moderna, tomi 103-105), 3 voll., 199, [1]; 207, [1]; 203, [9] p. [BZ] BERTOTTI SCAMOZZI, OTTAVIO, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi. Opera divisa in quattro tomi con tavole in rame rappresentanti le piante, i prospetti, e gli spaccati. Con la traduzione francese, Vicenza, per Francesco Modena, 1783, 1 vol. su 4 (i vol. 1-3 mancano), 71, [1] p., tav. [BZ] BERTOTTI SCAMOZZI, OTTAVIO, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti ed illustrati da Ottavio Bertotti Scamozzi. Opera divisa in quattro tomi con tavole in rame rappresentanti le piante, i prospetti, e gli spaccati, seconda edizione, Vicenza, Per Giovanni Rossi, 1786, 3 voll. su 4 (il vol. 4 manca), 80; 59, [1]; 53, [1] p., tav. [BZ] BESSON, JACQUES, Il theatro de gl’instrumenti & machine di M. Iacopo Bessoni, mathematico de’ nostri tempi eccellentissimo. Con una brieve necessaria dichiaration dimostrativa, di M. Francesco Beroaldo sù tutte le figure, che vi son comprese, nuovamente di latino in volgare italiano tradotto & di moltisime additioni per tutto aummentato & illustrato pel Signor Giulio Paschali Messinese, Lione, per Barth. Vincenti, 1582, [64] f. [BZ] BIANCONI, GIOVANNI LODOVICO, Descrizione dei circhi particolarmente di quello di Caracalla e dei giuochi in essi celebrati opera postuma del consigliere Gio. Lodovico Bianconi ordinata e pubblicata con note dall’avvocato Carlo Fea e corredata di tavole in rame e della versione francese, Roma, nella stamperia Pagliarini, 1789, XXI, [1], CXXX, [2] p., tav. [LU] Bibliothèque physico-économique, instructive et amusante, Année 1787…, Paris, chez Buisson, 1787, 2 voll., IV, 5-8, 424; XXIV, 418 p., tav. [BZ] BIGNOLI, GIOVANNI, Raccolta di antichità greche e romane ad uso degli artisti, disegnate ed incise da Giovanni Bignoli, Milano, dalla Tipografia Destefanis, 1822-1823, 8 fasc., 9; 4; 5; 6; 7; 6; 6; 6 f., tav. [BZ/LU] BOCCACCIO, GIOVANNI, Decameron di messer Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note tratte da varj dal dott. Giulio Ferrario, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici Italiani, 1803, 4 voll., LXIII, [1], 516; VII, [1], 526, [2]; 416; 312, [4], 151, [1] p., tav. [LU] BONNEGARDE, DE, ABBÉ, Dictionnaire historique et critique ou recherches sur la vie, le caractère, les mœurs et les opinions de plusieurs hommes célèbres tirées des dictionnaires de M.rs Bayle et Chaufepié, Lyon, chez Barret Imprimeur Libraire, 1771, 3 voll., [2], XVI, 623, [5]; [2], 592; [2], 626, [2] p. [LU] BORGHINI, RAFFAELLO, Il riposo di Raffaello Borghini, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1807, 3 voll., XXIV, 288, [2]; 261, [3]; 258, [2] p. [LU] BORGHINI, VINCENZIO, Discorsi di Vincenzo Borghini con le annotazioni di Domenico Maria Manni, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici Italiani, 1808-1809, 4 voll., XXXI, [1], 500, [2]; 282, [2]; 407, [1]; 591, [1] p., tav. [LU] BORRA, GIOVANNI BATTISTA, Trattato della cognizione pratica delle resistenze geometricamente dimostrato dall’architetto Giambatista Borra ad uso d’ogni sorta d’edifizi, coll’aggiunta delle armature di varie maniere di coperti, volte, ed altre cose di tal genere, Torino, nella Stamparia reale, 1748, [VIII], 313, [1] p., tav. [LU] BOTTANI, GIOVANNI, Descrizione storica delle pitture del Regio-Ducale Palazzo del Te fuori della porta di Mantova detta Pusterla, Mantova, nella Stamperia di Giuseppe Braglia, 1783, 62 p., tav. [LU] C ATA L O G O D E L L A B I B L I O T E C A BRACCIOLINI, FRANCESCO, Lo scherno degli dei. Poema piacevole di Francesco Bracciolini, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804, XXXI, [1], 343, [3] p., tav. [BZ] BRISEUX, CHARLES-ETIENNE, L’art de bâtir des maisons de campagne où l’on traite de leur distribution, de leur construction, & de leur décoration. On y donne des projets …, avec l’explication de ces projets …, Paris, chez Prault Pere, 1743, 2 voll., XVI, 162; XII, 195, [1] p., tav. [BZ] BUCHOTTE, Les règles du dessein et du lavis, pour les plans particuliers des ouvrages & des bâtimens, & pour leurs coupes, profils, élévations & façades, tant de l’Architecture militaire que civile. Par M. Buchotte,… nouvelle édition, revûe, corrigée & augmentée, Paris, chez Charles-Antoine Jombert, 1754, XV, [1], 214, [2] p., tav. [BZ] BUONMATTEI, BENEDETTO, Della lingua toscana di Benedetto Buommattei pubblico lettore di essa nello studio pisano e fiorentino, libri due, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1807, 2 voll., XVI, 340; 614, [2] p., tav. [BZ/LU] CALEPIO, NICOLINO, Elementi d’architettura civile ridotti in compendio dal conte Nicolino de’ Conti di Calepio, Bergamo, per Francesco Locatelli, 1784, 95, [1] p., tav. [BZ] CALMET, AUGUSTIN, La storia dell’antico, e nuovo testamento, del padre D. Agostino Calmet... trad. dal francese di Selvaggio Canturani, [s.l.], [s.n.], [17/18—], 1 vol. su 2 (vol. 1 manca), XXIV, 419, [1] p., tav. [privo di frontespizio] [BZ] CAPRA, ALESSANDRO, La nuova architettura civile e militare di Alessandro Capra … divisa in due tomi, in questa nuova impressione diligentemente corretta, ed accresciuta …, Cremona, nella stamperia di Pietro Ricchini, 1717, 2 t. in 1 vol., XXVIII, 356; [XII], 184 p., tav. [BZ] CARLETTI, NICCOLO, Istituzioni d’architettura civile di Niccolo Carletti … Tomo I. Il quale comprende nel Lib. I. l’Architettura Civile elementare; nel Lib. II: gli Ordini dell’Architettura Civile; e nel Lib. III. Le Forme degli Ordini, e degli Edificj Sacri, Pubblici, e Privati, Tomo II. Il quale comprende nel Lib. IV. Il disegnare sulla carta, e sue Regole; nel Lib. V. il disegnare i terreni, sue Regole, e calcoli; nel Lib. VI. L’Architettura edificatoria; e nel Lib. VII. La Stereotomia, e la Stereometria architettonica, Napoli, Nella Stamperia Raimondiana, 1772, 2 voll., XXII, [2], 388; XI, [5], 374, [2] p., tav. [BZ] CARO, ANNIBALE, Opere del commendatore Annibal Caro, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1807-1812, 8 voll., LXIX, [3], 371, [1]; [2], 386, [2]; [2], 462, [2]; [2], XIX, [1], 437, [3]; [2], 365, [3]; [2], 391, [1]; XXXX, 151, 1, 195, [1]; VII, [1], 455, [1] p., tav. [BZ] CARR, JOHN, Viaggio in Olanda e nel mezzodi della Germania sopra le due rive del Reno nella state dell’anno 1806 del signor John Carr ... tradotto in lingua italiana dal sig. Andrea Zambelli corredato del ritratto dell’autore e di rami colorati, Milano, dalla tipografia di Giambattista Sonzogno, 1820, 3 voll., LXX, 221, [1]; 284, [4]; 304, [2] p., tav. [LU] Carta delle stazioni militari, navigazione, e poste del Regno d’Italia, eseguita nel Deposito generale della guerra per ordine del Ministro della guerra nell’anno 1808. Coll’aggiunta delle poste, e delle stazioni militari conducenti agli Stati limitrofi, secondo ciò che per lo passato si è praticato dalle armate, o che presentemente è stabilito, [Milano], Deposito generale della guerra, 1808, varie scale, 94 x 127 cm [con custodia] [BZ] Carta topografica ed idrografica dei contorni di Napoli: elevata per ordine di S.M. Ferdinando I re del Regno delle Due Sicilie dagli Uffiziali dello Stato Maggiore e dagl’Ingegneri topografi negli anni 1817, 1818, 1819 disegnata ed incisa nell’Officio Topografico di Napoli, Napoli, Officio Topografico di Napoli, [s.a.], 1 carta; 57,5 x 81 cm [LU] CASSINA, FERDINANDO, Le fabbriche più cospicue di Milano pubblicate per cura di Ferdinando Cassina, Milano, Presso gli editori Ferdinando Cassina e Domenico Pedrinelli, [1840-50], fascs. 6, 9, 15.2, 16.1: [3]; [1]; [2]; [1] f., tav. [BZ] CASTELLI, CARLO, Tromba Napoleone o sia Nuova macchina idraulica destinata al vario sollevamento dell’acqua, Milano, dalla Stamperia reale, 1808, XVIII, 19-72 p., tav. [BZ] CASTIGLIONE, BALDASSARRE, Il libro del cortegiano del conte Baldessar Castiglione, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1803, 2 voll., XL, 263, [1]; 226, [2] p., tav. [BZ] CAVALCANTI, BARTOLOMEO, Trattati sopra gli ottimi reggimenti delle repubbliche antiche e moderne di m. Bartolomeo Cavalcanti, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici Italiani, 1805, XII, 240 p. [LU] CAVALIERI SAN-BERTOLO, NICOLA, Istituzioni di architettura statica e idrauli- ca, Mantova, presso i fratelli Negretti, 1841, 2 voll., [8], 279, [9]; 430, [10] p., tav. [LU] CELLINI, BENVENUTO, Opere di Benvenuto Cellini, Milano, dalla Societa tipografica de’ classici italiani, 1806-1811, 3 voll., XXIV, 465, [3]; XLV, [3], 502, [2]; LX, 417, [3] p., tav. [LU] CENERI, ANGELO MARIA, L’uso dello strumento geometrico detto la tavoletta pretoriana proposto, ed ampliato. Opera postuma del sig. Angelo Maria Ceneri ..., seconda edizione, Bologna, Nella Stamperia di Lelio dalla Volpe, 1749, [4], 64, [4] p., tav. [BZ] CEVA, TOMMASO, L’Ercole machina per festa di fuochi, eretta nella piazza del Duomo di Milano d’ordine della giunta militare, e consagrata in trofeo al Principe Eugenio di Savoja …, Milano, Nella Stamperia di Giuseppe Pandolfo Malatesta, 1709, 43, [1] p., tav. [BZ] CHANTREAU, PIERRE NICOLAS, Viaggio nei tre regni d’Inghilterra di Scozia e d’Irlanda del signor Chantreau fatto negli anni 1788 e 1789: opera in cui si trova quanto v’ha di piu interessante ... traduzione di Giuseppe Belloni antico militare italiano corredata di una carta geografica, di un ritratto e di rami colorati, Milano, dalla tipografia di Giambattista Sonzogno, 1819, 4 voll., XII, 275, [1], [14]; 283, [1]; 281, [3]; 234, [2] p., tav. [BZ/LU] CHIABRERA, GABRIELLO, Rime di Gabriello Chiabrera, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1807-1808, 3 voll., XLVII, [1], 422, [2]; 392; 316, [4] p., tav. [BZ] CHIAPPA, GIAMBATTISTA, Disegni d’alcune opere eseguite in occasione della fausta venuta in Lombardia d S.M. l’Imperatore e re Ferdinando primo, dell’architetto Giambattista Chiappa …, Milano, tipografia e libreria Pirotta e C., 1838, [10] p., tav. [BZ] CIPOLLA, BARTOLOMEO, Trattato intorno le servitù tanto civili, che rustiche, conforme la dottrina più certa de’ legisti, e specialmente del signor dottor Cipolla veronese ... Dividesi in due parti, nella prima si tratta delle servitù urbane, nella seconda delle servitù rustiche. Si aggiungono in fine, con breve epilogo, tutte le regole, e rubriche legali aspettanti a questa dottrina, massime per uso de’ virtuosi e per fondamento di quanto contiene la presente istruzione, Bergamo, appresso Pietro Lancellotti, 1763-1764, 2 voll., 213, [1]; XVI, 88, 88 p. [BZ] CIPRIANI, GIOVANNI BATTISTA, Indice delle figure relative ai principi di architettura civile di Francesco Milizia, disegnate ed incise in ventisette tavole da Gio. Battista Cipriani sanese, Roma, nella stamperia Salomoni si vende in Roma da Gio. Pietro Imperiali, 1800, 76 p., tav. [BZ] Collection de nouveaux bâtimens pour la décoration des grands jardins et des campagnes, composée de XLIV planches, Leipzig, chez Voss et Compagnie, 1802, 12 p., tav. [BZ] Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno accademico M.DCCC.XXVII, Brescia, per N. Bettoni e comp., 1828, 114 p. [BZ] Commentarj dell’Ateneo di Brescia degli anni MDCCCXVI MDCCCXVII, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1818, 180 p., tav. [BZ] Commentarj della Accademia di scienze, lettere, agricoltura, ed arti del dipartimento del Mella per l’anno MDCCCIX, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1814 [i.e.1809], 48 p. [BZ] Commentarj della Accademia di scienze, lettere, agricoltura, ed arti del dipartimento del Mella per l’anno MDCCCX, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1811, 90, [2] p. [BZ] Costituzione della Accademia italiana di scienze lettere ed arti, Firenze, stamperia Piatti, 1808, [6], 16, 71, [5] p. [BZ] CRESCENZI, PIETRO DE’, Trattato della agricoltura; traslato nella favella fiorentina; rivisto dallo ‘Nferigno, Milano, dalla Societa de’ Classici italiani, 1805, 3 vol., LXXVI, 370; 357, [1]; 396 p., tav. [LU] Critica alla riflessione in punto di Belle Arti diretta a’suoi scolari dal signor Carlo Maria Giudici, [s.l.], [s.n.], [s.a.], XXII, [2] p. [LU] DAL NEGRO, SALVATORE, Esperimenti e considerazioni sull’ariete idraulico, dell’Ab. Salvator Dal-Negro …, Padova, nella tipografia del Seminario, 1811, 108 p., tav. [BZ] DATI, CARLO ROBERTO, Vite de’ pittori antichi scritte ed illustrate da Carlo Dati nell’Accademia della Crusca lo Smarrito. Colle postille della prima edizione e con quelle che scritte in margine dello stesso autore furono pubblicate nella seconda, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1806, 294, [2] p., tav. [LU] DAVANZATI, BERNARDO, Scisma d’Inghilterra: con altre operette; tratte dall’edizion fiorentina del 1638, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1807, VII, [1], 291, [1] p. [LU] 325 APPENDICE DAVILA, ENRICO CATERINO, Dell’istoria delle guerre civili di Francia, di Arrigo Caterino Davila, Milano, dalla Società de’ classici italiani, 1807, 6 voll., XX, 533, [3]; [2], 486, [2]; [2], 3: 510, [2]; [2], 396, [4]; [2], 478, [2]; [2], 295, [1] p., tav. [BZ] DELLA CASA, GIOVANNI, Opere di monsignor Giovanni Della Casa, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, 4 voll., VII, [1], 347, [1]; 263, [1]; 352, [2]; [2], 386, [2] p., tav. [BZ/LU] Descriptions pittoresques de jardins du gout le plus moderne. Ornées de 28 planches, Leipzig, chez Voss et Compagnie, 1802, VIII, 124 p., tav. [LU] DEZALLIER D’ARGENVILLE, ANTOINE JOSEPH, La théorie et la pratique du jardinage, où l’on traite à fond des beaux jardins appellés communément les jardins de plaisance et de propreté. Avec les pratiques de géométrie nécessaires pour tracer sur le terrein toutes sortes de figures. Et un traité d’hydraulique convenable aux jardins ... Quatriéme édition revûe, corrigée, augmentée considérablement, & enrichie de nouvelles planches, Paris, chez Pierre-Jean Mariette, 1747, [12], 482 p., tav. [BZ] DI COSTANZO, ANGELO, Istoria del Regno di Napoli dell’illustre signor Angelo Di Costanzo gentiluomo e cavaliere napolitano. Divisa in 20. libri nella quale si raccontano i successi di guerra e di pace non solamente nel Regno di Napoli, ma anco in quello di Sicilia, Ducato di Milano, Firenze e Stato di santa Chiesa, Milano, dalla Societa tipografica de’ classici italiani, 1805, 3 voll., XLIII, [1], 426, [2]; 397, [3]; 344, [2] p., tav. [LU] DIEDO, ANTONIO; ZANOTTO, FRANCESCO, I monumenti cospicui di Venezia illustrati dal cav. Antonio Diedo e da Francesco Zanotto, Milano, Tip. Tamburini e Valdoni, 1840, fasc. 2, [4] p., tav. [BZ] DIREZIONE GENERALE DEL CENSO (MILANO), Istruzioni della direzione generale del censo ai geometri incaricati della misura dei terreni, e formazione delle mappe e dei sommarioni, in esecuzione del R. decreto 13 aprile 1807, Milano, dalla Stamperia reale, 1810, 64 p., tav. [BZ] Discorsi letti in occasione della pubblica apertura tenuta dalla R. Veneta Accademia di belle arti essendosi per la prima volta solennemente distribuiti i premj alle rispettive classi de’ giovani alunni in presenza delle primarie autorità residenti in questa comune, Venezia, nella tipografia Picotti, 1808, 46, [2] p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Cesareo regio palazzo delle scienze e delle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj della Cesarea regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Saurau governatore in Milano il giorno onomastico di S.M. l’Imperatrice e Regina 25 agosto 1815, Milano, dalla Cesarea regia stamperia, 1815, 72 p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Palazzo reale delle scienze e delle arti in Milano, in occasione della solenne distribuzione dei premj della R. Accademia delle belle arti, il giorno IV agosto MDCCCVIII, Milano, dalla Stamperia reale, 1808, 60 p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Palazzo reale delle scienze e delle arti in Milano, in occasione della solenne distribuzione de’ premj della R. Accademia delle belle arti, il giorno XIII agosto MDCCCIX, Milano, dalla Stamperia reale, 1809, 68 p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Palazzo reale delle scienze e delle arti in Milano, in occasione della solenne distribuzione de’ premj della R. Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Sig. Conte ministro dell’interno il giorno XI agosto MDCCCXII, Milano, dalla Stamperia reale, 1812, 63, [1] p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Palazzo reale delle scienze e delle arti in Milano, in occasione della solenne distribuzione de’ premj della R. Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Sig. Conte ministro dell’interno il giorno XI agosto MDCCCXIII, Milano, dalla Stamperia reale, 1813, 64 p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula del Regio cesareo palazzo delle scienze e delle arti in Milano, in occasione della solenne distribuzione de’ premj della Cesarea regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Feld Maresciallo Conte di Bellegarde governatore e generale in capo dell’armata austriaca in Italia il giorno onomastico di S.M. l’Imperatrice e Regina XXV agosto MDCCCXIV, Milano, dalla Cesarea regia stamperia di governo, 1814, 74, [2] p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula dell’I.R. Accademia di belle arti in occasione della solenne apertura di una delle sue nuove Gallerie, e della pubblica distribuzione dei premii fattasi da S.E. il Signor Conte di Göess Governatore di Venezia, nel dì 10 Agosto 1817, [Venezia], per il Picotti tipografo della I.R. Accademia, 1817, 82, [2] p. [BZ] Discorsi letti nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze e delle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Saurau governatore in Milano il giorno 14 agosto 1816, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1816, 64 p. [BZ] 326 Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1820, [Venezia], per Giuseppe Picotti tipog. della I.R. Accademia, s.d. [1821], 116 p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1821, [Venezia], per Giuseppe Picotti tip. della I.R. Accademia, s.d. [1822], 91, [1] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii nell’anno 1833, [Venezia], pel Picotti tipografo della I.R. Accademia, s.d. [1834], 76, [4] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii nell’anno 1834, [Venezia], pel Picotti tipografo della I.R. Accademia, s.d. [1835], 51, [5] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1835, [Venezia], pel Picotti tipografo dell’I.R. Accademia, s.d. [1836], 54, [2] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1836, [Venezia], pel Picotti tipografo della I.R. Accademia, s.d. [1837], 61, [3] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1837, [Venezia], pel Picotti Tipografo dell’I.R. Accademia, s.d. [1838], 74, [2] p. [BZ] Discorsi letti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno 1838, [Venezia], per la erede Picotti Tipogr. dell’I.R. Accademia, s.d. [1839], 56, [4] p. [BZ] Discorsi letti nella R. Accademia di belle arti in Venezia per la distribuzione de’ premii dell’anno MDCCCXVI, Venezia, nella Tipografia Picotti, 1817, 99, [1] p. [BZ] Discorsi letti nella R. veneta Accademia di belle arti per la distribuzione de’ premii nell’agosto MDCCCX, Venezia, Tipografia Picotti, s.d. [1811], 87, [1] p. [BZ] Discorsi letti nella R. veneta Accademia di belle arti per la distribuzione de’ premii il dì IV. agosto MDCCCXI, Venezia, Tipografia Picotti, s.d. [1812], 96 p. [BZ] Discorsi letti nella Reale Accademia di Milano in occasione della pubblica distribuzione de’ premj l’anno 1806, Milano, nella stamperia di Gio. Giusepe Destefanis, 1806, [2], 40, [2] p. [BZ] Discorso letto nell’ Accademia delle belle arti in Milano il giorno 19 settembre 1802, Milano, dalla Stamperia e Fonderia del genio Tipografico, [s.a.], [12] p. [LU] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze e delle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Saurau governatore in Milano il giorno 9 agosto 1817, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1817, 56 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze e delle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 20 agosto 1818, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1818, 48 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze e delle arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 20 agosto 1819, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1819, 48 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 29 agosto 1820, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1820, 54, [2] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 23 agosto 1821, Milano Imp. regia stamperia, 1821, 52 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 27 agosto 1822, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1822, 55, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj dell’Imperiale regia Acca- C ATA L O G O D E L L A B I B L I O T E C A demia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 10 settembre 1823, Milano, dall’Imp. Regia stamperia, 1823, 69, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 16 settembre 1824, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1824, 58, [2] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 30 agosto 1825, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1825, 54, [2] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 29 agosto 1826, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1826, 71, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 6 settembre 1827, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1827, 72 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Strassoldo presidente del governo in Milano il giorno 28 agosto 1828, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1828, 71, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Hartig governatore delle provincie lombarde il giorno 10 settembre 1830, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1830, 72 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Hartig governatore delle provincie lombarde il giorno 10 settembre 1831, Milano dall’Imp. regia stamperia, 1831, 87, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi da S.E. il Signor Conte di Hartig governatore delle provincie lombarde il giorno 11 settembre 1834, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1834, 88 p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fatta da S.E. il Signor Conte di Hartig governatore della Lombardia il giorno 7 settembre 1836, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1836, 55, [1] p. [BZ] Discorso letto nella grande aula dell’Imperiale regio palazzo delle scienze ed arti in occasione della solenne distribuzione de’ premj nell’Imperiale regia Accademia delle belle arti, fattasi dal Signor Conte Oldofredi consigliere aulico per delegazione di S.E. il Signor Conte di Hartig governatore delle provincie lombarde il giorno 29 agosto 1838, Milano, dall’Imp. regia stamperia, 1838, 92 p. [BZ] Dodici de’ migliori ornati che si trovano sparsi nella R. città di Venezia disegnati dalli signori Gio. De’Abriani, e Carlo Simonetti ed incisi da Valenti intagliatori in rame, s.l.n.d., tav. [BZ] DURAND, JEAN-NICOLAS-LOUIS, Précis des leçons d’architecture données à l’école polytechnique par J.N.L. Durand, Paris, chez Bernard et l’auteur, 18021805, 2 voll., [4], VIII, 110, [2]; [6], 104 p., tav. [BZ] DURAND, JEAN-NICOLAS-LOUIS, Recueil et parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes, remarquables par leur beauté, par leur grandeur ou par leur singularité, et dessinés sur une même échelle. Par J.N.L. Durand, Paris, à l’Ecole Polytechnique, chez l’Auteur, An IX [1800], 92 f. di tav. [BZ] ERIZZO, SEBASTIANO, Le sei giornate di messer Sebastiano Erizzo, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1805, 406, [2] p., tav. [BZ] FERRARIO, GIULIO, Poesie pastorali e rusticali raccolte ed illustrate con note dal Dott. Giulio Ferrario, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, XXXVIII, [2], 428, [4] p., tav. [BZ] FIRENZUOLA, AGNOLO, Opere di messer Agnolo Firenzuola fiorentino, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1802, 5 voll., [4], XXXVI, [4], 238, [2]; 402[=240]; 341, [1]; [2], 235, [1]; [2], 223, [1] p., tav. [BZ] FONTANA, GREGORIO, Dissertazione idrodinamica sopra il quesito Cercar la cagione, per la quale l’acqua salendo ne’ getti quasi verticali de’ vasi, se le luci di questi getti siano assai tenui, essa non giunga mai al livello dell’acqua del Conservatorio, ... presentata al concorso dell’anno 1774. Dal P. don Greg. Fontana ... Con un’ Appendice sopra il moto de’ corpi ne’ mezzi resistenti, Mantova, per l’Erede di Alberto Pazzoni Regio-Ducale Stampatore, 1775, [VIII], 136 p., tav. [BZ] FORTEGUERRI, NICCOLO, Ricciardetto di Niccolo Carteromaco, Milano, dalla Societa tipografica de’ classici italiani, 1813, 3 voll., XLIV, 349, [3]; 330, [2]; 351, [1] p., tav. [LU] FRANÇOIS DE SALES (SANTO), Introduzione alla vita divota composta da S. Francesco di Sales …, Venezia, presso l’erede di Niccolò Pezzana, 1792, 353, [1] p. [BZ] FRATREL, JOSEPH, La cire alliée avec l’huile ou la peinture à huile-cire Trouvée à Manheim par M. Charles Baron de Taubenheim, Expérimentée décrite & dédiée à l’Electeur par Le Sr. Joseph Fratrel …, Manheim, De l’imprimerie de l’Académie Electorale, 1770, [24], 265, [7] p., tav. [BZ] Fregi monumenti romani [raccolta incompleta], tav. [LU] GALILEI, GALILEO, Le operazioni del compasso geometrico, e militare. Di Galileo Galilei nobil fiorentino lettore delle matematiche nello studio di Padova. Con le annotazioni di Mattia Bernaggieri, Milano, nelle stampe di Francesco Agnelli, 1741, 134, [2] p., tav. [LU] GALILEI, GALILEO, Opere di Galileo Galilei nobile fiorentino, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808-1811, 13 voll., XII, 531, [1]; 391, [1]; 721, [3]; 402, [2]; 323, [1]; 592; 575, [1]; 360; 418, [2]; 535, [1]; VII, [1], 571, [1]; 415, [1]; 737[=387], [1] p., tav. [BZ] GALLACCINI, TEOFILO, Trattato di Teofilo Gallaccini sopra gli errori degli architetti ora per la prima volta pubblicato, Venezia, Per Giambatista Pasquali, 1767, XII, 80 p. [BZ] GALLI BIBIENA, FERDINANDO, Direzioni a giovani studenti nel disegno dell’architettura civile ... unite da Ferdinando Galli Bibiena cittadino bolognese ... divise in cinque parti: la prima contiene la Geometria pratica, ed avvertimenti prima di fabbricare ..., Bologna, per Lelio dalla Volpe, 1725, [12], 168 p., tav. [BZ] GALLI BIBIENA, FERDINANDO, Direzioni a’ giovani studenti nel disegno dell’architettura civile, nell’Accademia Clementina dell’Instituto delle Scienze, unite da Ferdinando Galli Bibiena cittadino bolognese, accademico clementino, architetto primario, e pittore di camera, e feste teatrali di S.M. Ces., e Cat.: divise in cinque parti, Bologna, nella stamperia di Lelio dalla Volpe, 1745-1753, 1 vol. su 2 (il vol. 1 manca), 144 p., tav. [BZ] GANDOLFI, BARTOLOMMEO, Memoria sulla maniera di costruire cammini, stufe, cucine, fornacelle, ec. col massimo risparmio de’ combustibili e senza ombra di fumo … dal Bartolommeo Gandolfi, Roma, dalle stampe di Vincenzo Poggioli, 1807, 64 p., tav. [incompleto] [BZ] GELLI, GIOVAN BATTISTA, Delle opere di Gio. Battista Gelli, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804-1807, 3 voll., XXVI, [2], 225, [3]; X, 272, [2]; XXVI, 103, [1], 73, [3] p., tav. [BZ/LU] GIOVANNI FIORENTINO, Il pecorone di ser Giovanni Fiorentino nel quale si contengono cinquanta novelle antiche belle d’invenzione e di stile, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1804, 2 voll., XXIV, 287, [3]; 288, [2] p., tav. [LU] GIRARDIN, STANISLAS, Promenade ou Itinéraire des jardins d’Ermenonville, auquel on a joint vingt-cinq de leurs principales vues, dessinées et gravées par J. Mérigot fils, Paris, Mérigot, 1811, [4], 63, [1] p., tav. [BZ] GIRONI, ROBUSTIANO, Bibliografia od elenco ragionato delle opere contenute nella collezione de’ classici italiani, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1814, VII, [1], 260 p. [BZ] GOURLIN, PIERRE-SÉBASTIEN, Catechismo e simbolo estratti dalla dottrina de’ pp. Arduino e Berruyer, Lugano [i.e. Venezia], Si vende in Venezia da Giuseppe Bettinelli al Secolo delle lettere, 1764, 125, [3] p. [LU] GROSSI, TOMMASO, I Lombardi alla prima crociata, canti quindici di Tommaso Grossi, Milano, presso Vincenzo Ferrario, 1826, 3 voll., [VIII], 143, [1]; 152; 162, [2] p. [BZ] GUARINI, BATTISTA, Il pastor fido. Tragicommedia pastorale del cavaliere Battista Guarini, con annotazioni, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1807, [2], XIII, [1], 520, [2] p., tav. [BZ] GUICCIARDINI, FRANCESCO, Istoria d’Italia di M. Francesco Guicciardini genti- 327 APPENDICE luomo fiorentino, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1803, 10 vol., XVII, [1], 375, [1]; 339, [1]; 294, [2]; 304; 359, [1]; 330, [2]; 287, [1]; 310, [2]; 348, [4]; 198, [2] p., tav. [BZ] - ossia della città chiamata volHAGER, GIUSEPPE, Iscrizioni cinesi di Ouàng-ceu garmente dagli europei Canton, Milano, Pirotta, 1816, VIII, 21, [1] p. [LU] HEINE, JOHANN AUGUST, Traité des bâtiments propres à loger les animaux, qui sont nécessaires a l’économie rurale; contenant des règles sur les proportions, les dispositions et les emplacements, qu’il convient de donner aux écuries, aux étables, aux bergeries, aux poulaillers, aux ruchers, etc., Leipzig, Voss et compagnie, 1802, XII, 10, [2], 11-72 p., tav. [LU] HIRSCHFELD, CHRISTIAN CAY LORENZ, Théorie de l’art des jardins par C.C.L. Hirschfeld, … traduit de l’allemand, Leipzig, chez les héritiers de M.G. Weidmann et Reich, 1779-1785, 5 voll., XVI, 264; IV, 240, [4]; IV, 287, [3]; IV, 294, [2]; VIII, 432, [12] p., tav. [BZ] HORATIUS FLACCUS, QUINTUS, Q. Horatii Flacci carmina expurgata et accuratis notis illustrata auctore Josepho Juvencio …, Mediolani, ex Typographia Bibliothecae Ambros., apud Joseph Marellum, 1762, XXIV, 466, [2] p. [BZ] HORATIUS FLACCUS, QUINTUS, Q. Horatii Flacci Satyrae et De arte poetica cum appositis italico carmine interpretationibus, ac notis, Mediolani, Typis Imper. Monast. S. Ambrosii Majoris, 1784, XVI, 283, [1] p. [BZ] Ideenmagazin für Liebhaber von Gärten, Englischen Anlagen und für Besitzer von Landgütern. Recueil d’idées nouvelles pour la Décoration des Jardins et des Parcs dans le gout Anglois, Gothique, Chinois etc., Leipsic, chez Baumgaertner, etc. etc., 1796-1806, vol. 1-3 (3ème édition), 36 fascs. (pag. var.) et fascs. 50, 54, 55, 56 e 59: [4]; [6]; [4]; [4]; [4] p., tav. [BZ/LU] Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque a celebrioribus architectis inventi nunc tandem suis cum plantis ac mensuris a Io. Iacobo de Rubeis Romano suis typis in lucem editi, [Roma], ad aedem Pacis, 1684, tav. [BZ] KERSAINT, ARMAND GUY, Discours sur les monuments publics, prononcé au Conseil du département de Paris, le 15 décembre 1791, par Armand-Guy Kersaint, administrateur et député suppléant au département de Paris, Paris, de l’imprimerie de P. Didot l’aîné, 1792, VIII, 80 p., tav. [BZ] KRAFFT, JOHANN KARL, Plans des plus beaux jardins pittoresques de France, d’Angleterre et d’Allemagne, et des édifices, monumens, fabriques, etc. qui concourrent à leur embellissement, dans tous les genres d’architecture, tels que chinois, égyptien, anglais, arabe, moresque, etc…, Paris, de l’imprimerie de Levrault; [puis] de Pougens, 1809-1810, 2 voll., 56; 70 p., tav. [BZ] La ville de Rome ou description abregée de cette superbe ville, avec deux plans généraux & ceux de ses XIV Quartiers, gravés en taille douce pour la commodité des étrangers, Rome, chez Charles Losi, 1778, 2 t. in 1 vol., IV, 264, IV, 265-448, [4] p. [BZ] LAMBERTI, LUIGI, Descrizione del dipinto a buon fresco eseguito nella reale villa di Milano dal Sig. Cavaliere Andrea Appiani primo pittore di S.M.I.E.R., Parma, co’tipi Bodoniani, 1811, XVI p. [BZ] LAMBERTI, VINCENZO, La regolata costruzion de’ Teatri ...: dedicata a S. E. D. Andrea Memmo cavaliere della Stella d’Oro ..., Napoli, presso Vincenzo Orsini, 1787, [4], [VI], LXXII p., tav. [LU] LAMBERTI, VINCENZO, Statica degli edificj di Vincenzo Lamberti ingegnere napoletano, in cui si espongono i precetti teorici pratici, che si debbono osservar nella costruzion degli edificj per la durata di essi …, Napoli, presso Giuseppe Campo, 1781, XXIV, 260 p., tav. [BZ] LAMBERTI, VINCENZO, Voltimetria retta ovvero misura delle volte di Vincenzo Lamberti ingegnere napolitano dedicata a S.E. il marchese signor D. Angelo Cavalcanti, [Napoli], presso Donato Campo, [1773], XI, [1], 427, [1] p., tav. [LU] LAMY, BERNARD, Traité de perspective, où sont contenus les fondemens de la peinture. Par le R.P. Bernard Lamy …, Paris, chez Anisson, 1701, XXI, [3], 227, [9] p. [BZ] LANDRIANI, PAOLO, Del teatro diurno e della sua costruzione, opuscolo che fa seguito alle osservazioni sui difetti prodotti nei teatri dalla cattiva costruzione del palco scenico e sovr’alcune inavvertenze nel dipingere le decorazioni, di Paolo Landriani, Milano, presso la ditta Pietro e Giuseppe Vallardi, 1836, 21, [1] p., tav. [BZ] LANTIER, ETIENNE-FRANÇOIS DE, Viaggi d’Antenore nella Grecia e nell’Asia con alcune notizie sopra l’Egitto, manoscritto greco trovato nell’antica Ercolano. Versione italiana con note riveduta e corretta sulla quattordicesima edizio- 328 ne francese per cura di F.*** L.***, Milano, dalla tipografia de’ Fratelli Sonzogno, 1826, vol. 2 & 3, p. 307-614; 615-904 [BZ] LECCHI, GIOVANNI ANTONIO, Parere di Antonio Lecchi matematico delle LL. MM. II. RR. AA. Intorno al nuovo Taglio del Tidone, e della Luretta, ed ora in occasione d’altra replica: Accresciuto nella seconda Parte da una breve trattazione delle leggi de’ movimenti de’ fluvidi su’ piani inclinati, e de’ differenti sbocchi ne’ loro recipienti, s.l., s.d., 88 p., tav. [BZ] LECCHI, GIOVANNI ANTONIO, Parere di Gianantonio Lecchi matematico delle LL. MM. II. RR. AA. Intorno al nuovo Taglio del Tidone, e della Luretta, s.l., s.d., 60 p., tav. [BZ] LEGRAND, JACQUES-GUILLAUME, Essai sur l’histoire générale de l’architecture, par J.-G. Legrand, ... pour servir de texte explicatif au Recueil et parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes ... par J.-N.-L. Durand, ... Nouvelle édition ... augmentée d’une notice historique sur J.-G. Legrand, Paris, L. Ch. Soyer, 1809, 312 p. [BZ] LEGRAND, JACQUES-GUILLAUME; LANDON, CHARLES-PAUL, Description de Paris et de ses édifices, avec un précis historique et des observations sur le caractère de leur architecture, et sur les principaux objets d’art et de curiosité qu’ils renferment …, Paris, chez C.P. Landon, 1806, de l’imprimerie de Firmin Didot, 2 voll., tome premier seul, 211, [1] p. [BZ] LEONARDO DA VINCI, Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, Milano, Dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1804, 256 p., [1], III p., tav. [LU] LEPAGE, P., Le leggi sugli edifizj esposte dall’avv. Lepage giusta le teorie del codice Napoleone e di procedura. Prima versione italiana, Milano, presso l’editore C. di Pescheria vecchia n. 1082, Dalla tipografia di Giovanni Silvestri, 1810, 4 voll., XIX, [1], 381, [3]; 325, [1]; 397, [3]; 201, [5] p. [BZ] LESSING, GOTTHOLD EPHRAIM; LONDONIO, CARLO GIUSEPPE, Del Laocoonte o sia dei limiti della pittura e della poesia: discorso di G.E. Lessing recato dal tedesco in italiano dal cavaliere C.G. Londonio, Milano, per Antonio Fontana, 1833, VIII, 242 p. [BZ] LESSING, GOTTHOLD EPHRAIM; LONDONIO, CARLO GIUSEPPE, Frammenti della seconda parte del Laocoonte di Lessing: traduzione dall’originale tedesco coll’aggiunta di alcune note e d’ un’ appendice del cavaliere C.G. Londonio ..., Milano, tipografia di Giuseppe Bernardoni di Gio., 1841, 85, [3] p. [BZ] LIPPI, LORENZO, Il Malmantile racquistato di Perlone Zipoli colle note di varj scelte da Luigi Portirelli, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici Italiani, 1807, XXXI, [1], 573 [i.e. 571], [1] p., tav. [LU] LUCCHESE, MATTEO, Riflessioni sulla pretesa scoperta del sopraornato toscano espostaci dall’Autore dell’opera degli anfiteatri, e singolarmente del Veronese. Fatte da Matteo Lucchese …, Venezia, presso Stefano Monti, 1730, [12], 115, [5] p., tav. [BZ] LUCRETIUS CARUS, TITUS, Della natura delle cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1813, XXXVII, [3], 452, [4] p., tav. [LU] LUPI, CARLO, Storia de principj, delle massime e regole seguite nella formazione del catasto prediale introdotto nello Stato di Milano l’anno 1760 di Carlo Lupi ... dedicata ... principe Ranieri ..., Milano, dall’Imp. Regia Stamperia, 1825, [12], 158, [2] p. [LU] MABIL, LUIGI, Teoria dell’arte de’ giardini, Bassano, 1801, XXIV, 309, [3] p. [BZ] MACHIAVELLI, NICCOLÒ, Opere di Niccolò Machiavelli cittadino e segretario fiorentino, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804-1805, 10 voll., LXIV, 289, [1]; 380, [4]; 468, [2]; 424, [2]; 419, [5]; 436, [4]; 419, [1]; 419, [1]; 450, [2]; 461, [3] p., tav. [BZ/LU] MAFFEI, GIOVANNI PIETRO, Le istorie dell’Indie orientali del P. Gio. Pietro Maffei, tradotte di latino in lingua toscana da M. Francesco Serdonati fiorentino, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, 3 voll., XII, 562, [2]; 603, [1]; 477, [3] p., tav. [BZ] MAGALOTTI, LORENZO, Delle opere di Lorenzo Magalotti, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, 2 voll., [2], XII, 396, [2]; 282, [2] p., tav. [BZ] MAIRONI DA PONTE, GIOVANNI, Aggiunta alle osservazioni sul dipartimento del Serio presentate all’ottimo vice-presidente della Repubblica italiana F. Melzi d’Eril da Gio. Maironi Daponte ..., Bergamo, da Alessandro Natali, 1803, [2], CLXXVI p. [LU] MAIRONI DA PONTE, GIOVANNI, Osservazioni sul dipartimento del Serio presentate all’ottimo vice-presidente della Repubblica Italiana F. Melzi d’Eril da Gio. Maironi Daponte, Bergamo, da Alessandro Natali, 1803, XVI, 274, [2], LXX p. [LU] C ATA L O G O D E L L A B I B L I O T E C A MAMBELLI, MARCO ANTONIO, Osservazioni della lingua italiana raccolte dal Cinonio [i.e. Marco Antonio Mambelli], illustrate ed accresciute dal cavaliere Luigi Lamberti, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 18091813, 4 voll., XV, [1], 320, [2]; 435, [1]; 603, [1]; 589, [3] p. [BZ] MASI, GIROLAMO, Teoria e pratica di architettura civile, per istruzione della gioventù specialmente romana: dedicata all’illustrissimo signore Gaspare Conte di Carpegna, Roma, presso Antonio Fulgoni, 1788, VIII, 270 p., tav. [LU] MAUCOMBLE, JEAN-FRANÇOIS DIEUDONNÉ, Histoire abrégée des antiquités de la ville de Nismes et de ses environs, ou description ..., Nismes, chez Buchet, 1789, 51, [1] p., tav. [LU] MAZOIS, FRANÇOIS, Les Ruines de Pompéi dessinées et mesurées par François Mazois, Paris, chez Firmin Didot, 1824-1838, pag. var., tav. [BZ/LU] MEMMO, ANDREA, Elementi dell’architettura Lodoliana o sia l’arte del fabbricare con solidita scientifica e con eleganza non capricciosa, Roma, nella Stamperia Pagliarini, 1786, VI, [4], 281, [1] p., tav. [LU] MENZINI, BENEDETTO, Poetica e satire di Benedetto Menzini con annotazioni, Milano, dalla Societa Tipografica de’ Classici Italiani, 1808, XLIII, [1], 431, [1] p., tav. [LU] METASTASIO, PIETRO, Opere del Signor Ab. Pietro Metastasio poeta cesareo, giusta le correzioni, e aggiunte dell’Autore nell’edizione di Parigi del MDCCLXXX, Venezia, presso Antonio Zatta, 1781-1782, 11 voll. su 16 (mancano i voll. 5, 13-16), 112, 95, [1], 24; 108, 106, [2], 90, [2], 36; 107, [1], 96, 120; 107, [1], 142, [2], 108; 106, [2], 95, [1], 84; 94, [2], 105, [3], 80; 268; 83, [1], 155, [1]; 399, [1]; 334, [2]; 96, 228 p., tav. [BZ/LU] MILIZIA, FRANCESCO, L’arte di vedere, Venezia, per Giam-Battista Pasquali, 1788, [2], 166, [2] p. [BZ] MILIZIA, FRANCESCO, Memorie degli architetti antichi e moderni. Terza edizione accresciuta e corretta dallo stesso autore Francesco Milizia, Parma, dalla stamperia reale, 1781, 1 vol. su 2 (il vol. 1 manca), [4], 436 p. [BZ] MILIZIA, FRANCESCO, Principj d’architettura civile, Finale, Nella Stamperia di Jacopo de’ Rossi, 1781, 3 voll., 8, 480; 515, [1]; 442, [2] p., tav. [BZ] MOGLIA, DOMENICO, Collezione di soggetti ornamentali ed architettonici inventati e disegnati da Domenico Moglia, Milano, Tip. del Dott. Giulio Ferrario, 1838, [6], [4] p., tav. [LU] MOLZA, FRANCESCO MARIA, Poesie di Francesco Maria Molza colla vita dell’autore scritta da Pierantonio Serassi, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, [2], VI, 488 p., tav. [BZ] MUTTONI, FRANCESCO; PALLADIO, ANDREA, Architettura di Andrea Palladio Vicentino Nella quale sono ridotte in compendio le Misure, e le Proporzioni delli Cinque Ordini di Architettura dal medesmo insegnate, ed anche da molti altri Autori, e tratte da Fabbriche Antiche, raccolte, e date in luce dall’architetto N.N. di Vicenza, e con la traduzione francese, Venezia, Appresso Angiolo Pasinelli, 1741, I-IV, [2], V-XI, [1], 173 [=177], [1] p., tav. [BZ] Nelle solenni esequie Per la Sacra Cesarea Reale Apostolica maestà di Leopoldo Secondo, imperatore e re: celebrate nella imperiale regia collegiata di S. Maria della Scala in S. Fedele: orazione funebre recitata il giorno XXI., Marzo, MDCCXCII da Stefano Bonsignore ..., Milano, Nell’Imperial Monistero di S. Ambrogio Maggiore, 1792, XXI, [3], [XII] p., tav. [BZ] Neue Gartenbaukunst, oder Sammlung neuer Ideen zur Verzierung der Gärten und Parks. Herausgegeben von D. Friedrich Gotthelf Baumgärtner=Nouvel Art des jardins ..., Leipzig, in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, 18181824, fasc. 1-2 e 5, 3.5, [6]; [4]; [4]; [4] p., tav. [BZ/LU] NEUFFORGE, JEAN-FRANÇOIS DE, Recueil élémentaire d’architecture contenant plusieurs études des ordres d’architecture d’après l’opinion des anciens et le sentiment des modernes … composé par le Sieur de Neufforge, 1757-1772, 9 voll., tav. [BZ] Notizia delle opere di disegno pubblicamente esposte nella Reale Accademia di Milano nel maggio dell’anno 1806 …, Milano, dalla stamperia e fonderia di G.G. Destefanis, s.d., 46 p. [BZ] ORSINI, BALDASSARRE, Della geometria e prospettiva pratica di Baldassarre Orsini, Roma, per Benedetto Franzesi, si vendono presso i Signori Bouchard e Gravier, 1771-1773, 3 voll., XXXV, [1], 247, [1]; 286, [2]; 267, [1] p., tav. [BZ] ORSINI, BALDASSARRE, Dizionario universale d’architettura e dizionario vitruviano accuratamente ordinati da Baldassare Orsini …, Perugia, dai torchi di Carlo Baduel, e Figli, 1801, 2 voll., 195, [1]; 164, [4] p., tav. [BZ] OVIDIUS NASO, PUBLIUS, Le metamorfosi d’Ovidio ridotte da Giovanni Andrea Dell’Anguillara in ottava rima, Milano, dalla Societa Tipografica de’ Classici Italiani, 1805, 3 voll.,XIX, [1], 400; 465, [3]; 374, [2] p., tav. [LU] PALLADIO, ANDREA, I quattro libri dell’architettura Di Andrea Palladio. Ne’ quali, dopò un breve trattato de’ cinque ordini, & di quelli avertimenti, che sono piu necesarij nel fabricare; si tratta delle case private, delle Vie, de i Ponti, delle Piazze, de i Xisti, et de’ Tempij, Venetia, Appresso Dominico de’ Franceschi, 1570, 67, 66 [i.e. 78], [2], 46, [2], 128, [6] p., tav. [BZ] PALLADIO, ANDREA, I quattro libri dell’architettura Di Andrea Palladio. Ne’ quali, dopò un breve trattato de’ cinque ordini, & di quelli avertimenti, che sono piu necesarij nel fabricare; si tratta delle case private, delle Vie, de i Ponti, delle Piazze, de i Xisti, et de’ Tempij, Venetia, Appresso Dominico de’ Franceschi, 1570 [= Venetia, appresso Giambatista Pasquali, alla felicita delle lettere, 1766], [4], 63, [3], 76, [4], 42, [6], 131, [1] p., tav. [BZ] PARINI, GIUSEPPE, Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano, presso la stamperia e fonderia del Genio tipografico, 1801-1804, 6 voll., LXVIII, 240; VIII, 262; VI, 320; [VIII], 246, [2]; [IV], 252; [VI], 251, [9] p. [BZ] PASSAVANTI, JACOPO, Lo specchio della vera penitenzia di fr. Jacopo Passavanti, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, 2 voll., XXXVIII, [2], 325, [3]; 360, [2] p. [BZ] PERCIER, CHARLES; FONTAINE, PIERRE FRANÇOIS LÉONARD, Description des cérémonies et des fêtes qui ont eu lieu pour le couronnement de leurs Majestés Napoléon, empereur des Français et roi d’Italie, et Joséphine son auguste épouse. Recueil de décorations exécutées dans l’église Notre-Dame de Paris et au Champ-de-Mars d’après les dessins et sous la conduite de C. Percier et P.F.L. Fontaine ..., Paris, Leblanc, 1807, 28 p., tav. [BZ] PERRIER, FRANÇOIS, Icones et segmenta illustrium e marmore tabularum quae Romae adhuc extant a Francisco Perrier delineata, incisa et ad antiquam formam lapideis exemplaribus passim collapsis restituta..., Romae & Paris, 1645, tav. [BZ] PETRARCA, FRANCESCO, Le rime di M. Francesco Petrarca illustrate con note dal P. Francesco Soave C.R.S. …, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1805, 2 voll., CXII, [2], 272, [2]; 356, [2] p., tav. [BZ] PIACENZA, PIER GIOVANNI, Discussione ragionata di due quistioni architettoniche tratte dal libro terzo di Marco Vitruvio Pollione dall’ingegnere, ed architetto collegiato di Milano Pietro Giovanni Piacenza, Milano, nella stamperia di Francesco Pulini, 1795, [2], VI, 38, [2] p., tav. [LU] PICENARDI, GIUSEPPE, Nuova guida di Cremona per gli amatori dell’arti del disegno, del marchese Giuseppe Picenardi, Cremona, presso Giuseppe Feraboli, 1820, 312 p. [BZ] PIERMARINI, GIUSEPPE, Teatro della Scala in Milano : architettura del regio professore Gius. Piermarini, Milano, [s.n.], 1789, tav. [LU] PINDEMONTE, IPPOLITO, Su i giardini inglesi e sul merito in cio dell’Italia dissertazione d’Ippolito Pindemonte, e Sopra l’indole dei giardini moderni saggio di Luigi Mabil con altre operette su lo stesso argomento, Verona, dalla tipografia Mainardi, 1817, [2], 129, [1] p., tav. [LU] PINI, ERMENEGILDO, Dell’architettura, dialogi di Ermenegildo Pini C.R.B., Milano, nella stamperia Marelliana, 1770, 92 p., tav. [BZ] PIROLI, TOMMASO, Le antichità di Ercolano, Roma, 1789-1807, 6 voll., pag. var., tav. [LU] PIROUX, Moyens de préserver les édifices d’incendies, et d’empêcher le progrès des flammes, par Piroux, ... Mémoire qui a remporté le prix de l’Académie royale de Nancy, le 8 mai 1781, Strasbourg, chez les Frères Gay, 1782, [8], 168, [2] p., tav. [BZ] Plan routier de la ville et faubourg de Paris, divisé en 12 municipalités, [documento cartografico], Paris, Jean, 1804, scala di 200 tese [1:10’250 ca], 78.5 x 55 cm [BZ] PLINIUS CAECILIUS SECUNDUS, GAIUS, Panegirico di Plinio a Trajano, tradotto da Vittorio Alfieri da Asti, Milano, presso Pietro Agnelli, 1812, 56 p. + ALFIERI, VITTORIO, La virtù sconosciuta: dialogo: interlocutori: Francesco Gori, Vittorio Alfieri da Asti, Milano, presso Pietro Agnelli, 1812, p. 57-103, [1] [LU] PLUTARCHUS, Le vite degli uomini illustri di Plutarco volgarizzate da Girolamo Pompei veronese con varie note scelte dal commento di Dacier, Milano, nella stamperia di Andrea Mainardi a S. Mattia alla Moneta, 1798, 9 voll., [2], XXV, [1], 290, [2]; [4], 331, [1]; [4], 316, [2]; [4], 323, [1]; [4], 308; [4], 283, [1]; [4], 295, [1]; [4], 351, [1]; [4], 298, [2] p. [LU] POLIZIANO, ANGELO, Le stanze e l’Orfeo ed altre poesie di Angelo Poliziano, Milano, Dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1808, 270, [2] p., tav. [LU] PRETI, LUIGI, Memoria di Luigi Preti sul nuovo teatro di Mantova, Mantova, dalla tipografia Virgiliana di L. Caranenti, 1824, [4], 17, [7] p., tav. [BZ] 329 APPENDICE Processo verbale della distribuzione de’ premj per l’annuo concorso delle arti e de’ mestieri nel dì 15 agosto 1812 coll’estratto degli atti dell’Istituto reale delle scienze, lettere ed arti e con analogo discorso di S.E. il Signor Conte ministro dell’interno, Milano, dalla Stamperia reale, 1812, 59, [1] p. [BZ] Processo verbale della distribuzione de’ premj per l’annuo concorso delle arti e de’ mestieri nel dì 14 agosto 1813 coll’estratto degli atti dell’Istituto reale delle scienze, lettere ed arti e con analogo discorso di S.E. il Signor Conte ministro dell’Interno, Milano, dalla Stamperia reale, 1813, 67, [1] p. [BZ] Prof. Johann Gottfried Grohmann’s ländliche Vergnügungen oder Gartenspiele, die mit Leibesbewegung verbunden, deshalb Personen, deren Beruf ist, viel zu sitzen, vorzüglich zu empfehlen, und dem Hufelandischen System, die Gesundheit durch Bewegung und frohen Muth zu erhalten, ganz angemessen sind. Mit VI. Kupfern, Leipzig, in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, [s.d.], [6] f., tav. [BZ] PRONTI, DOMENICO, Nuova raccolta rappresentante i costumi religiosi, civili, e militari degli antichi egiziani, etruschi, greci, e Romani. Tratti Dagli antichi Monumenti Per uso de’ Professori delle Belle Arti Disegnata, ed incisa in rame da Domenico Pronti, Roma, presso il Sud.o Incisore, [1800 ?], [45] f. [BZ] PULCI, LUIGI, Morgante maggiore di messer Luigi Pulci, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, 3 voll., [2], p. V-XII, 339, [1]; 334, [2]; 304 p., tav. [BZ/LU] Raccolta di lirici italiani dall’origine della lingua sino al secolo 18. Compilata da Robustiano Gironi, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1808, XXXVII, [3], 294, [1] p., tav. [LU] Raccolta di novelle dall’origine della lingua italiana fino al 1700, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804-1810, 3 voll., XXIII, [1], 291, [1]; XX, 354, [2]; XVI, 505, [3] p., tav. [BZ] Raccolta di poesie satiriche, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, XII, 496, [2] p., tav. [BZ] Raccolta di prose italiane con un discorso della maniera d’ammaestrare la gioventù nelle umane lettere, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808-1809, 3 voll., IV, 543, [1]; 387, [1]; 494, [2] p., tav. [BZ] RANSONNETTE, NICOLAS; KRAFFT, JOHANN KARL, Plans, coupes, élévations des plus belles maisons et des hôtels construits à Paris et dans les environs publiés par Krafft et Ransonnette, Paris, impr. de Clousier, s.d., [24] p., tav. [BZ] REDI, FRANCESCO, Opere di Francesco Redi gentiluomo aretino e accademico della Crusca, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1809-1811, 9 voll., LIII, [3], 370, [2]; 285, [3]; VIII, 492, [4]; 491, [1]; 474, [2]; 408; 484; 451, [1]; XXIII, [1], 507, [1] p., tav. [BZ] REDI, FRANCESCO, Opere di Francesco Redi gentiluomo aretino e Accademico della Crusca. Seconda edizione Napoletana corretta e migliorata, Napoli, a spese di Michele Stasi, 1778, 7 voll., [4], VIII, 180, 16; [4], 140, [2], 86; [4], 294, [2]; [4], 366, [2]; VI, 307, [1]; [4], 264; [4], VIII, 320 p., tav. [BZ] RICCATI, FRANCESCO, Della costruzione de’ teatri secondo il costume d’Italia, vale a dire divisi in piccole logge, opera del co. Francesco Riccati trivigiano, Bassano, a spese Remondini di Venezia, 1790, 63, [1] p., tav. [BZ] RIPAMONTI, FELICE, Storia delle Indie orientali dell’abate Felice Ripamonti pubblicata in continuazione della storia universale del sig. conte di Segur, Milano, presso Ant. Fort. Stella e figli, 1825-1826, (Compendio della storia universale antica e moderna, tomi 130-133), 3 voll., 201, [1]; 202, [2]; 203, [1] p., tav. [BZ] ROSA, MICHELE, Delle porpore e delle materie vestiarie presso gli antichi. Dissertazione epistolare del Cav. Don Michele Rosa …, Modena, dalla Stamperia Ducale, 1786, XX, 387, [1] p. [BZ] RUMFORD, BENJAMIN, COUNT THOMPSON, Relazione di uno stabilimento per i poveri eretto in Monaco Unitamente a vari pubblici mezzi connessi con questa Istituzzione adottati, e posti in pratica per metter fine alla mendicità, ed introdur l’ordine e l’industria tra i più poveri abitanti della Baviera con altri Saggi Politici, ed Economici. Del Signor Conte di Rumford … Recata in lingua italiana dal suo originale inglese da una dama bavarese, Venezia, presso Francesco Andreola, 1798, XVI, 564 p. [BZ] SACCHETTI, FRANCO, Delle novelle di Franco Sacchetti cittadino fiorentino, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1804-1805, 3 voll., CIV, 251; 380; 365, [1] p., tav. [LU] SALVI, GIUSEPPE MARIA, Rime, dedicate a sua Eccellenza il signor marchese Nicoló Orengo di Roque-Esteron, Milano, presso Gaetano Motta, 1788, 2 t. en 1 vol., [2], XIV, 154, [2]; [2], 180 p. [LU] SALVIATI, LEONARDO, Opere del cavaliere Lionardo Salviati, Milano, Dalla So- 330 cietà tipografica de’ classici italiani, 1809-1810, 5 voll., XX, 596; 356[=355], [1]; 409, [3]; 379, [1]; 349, [3] p., tav. [BZ] Sammlung von gesellschaftlichen Gartenspielen und ländliche Vergnügungen, die mit Leibesbewegung verbunden, Personen, deren Beruf ist, viel zu sitzen, vorzüglich zu empfehlen, und dem Hufelandischen System, die Gesundheit durch Bewegung und frohen Muth zu erhalten, ganz angemessen sind. Herausgegeben von Johann Gottfried Grohmann. Mit XII. Kupfern, Leipzig, in der Baumgärtnerischen Buchhandlung, [1800], [28] p., tav. [BZ] SANNAZZARO, IACOPO, Arcadia di M. Jacopo Sanazzaro con la di lui vita scritta dal consigliere Giambattista Corniani e con le annotazioni di Luigi Portirelli, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, XXIII, [1], 231, [1] p., tav. [BZ] SANVITALI, LEONARDO, Storia dell’Olanda e dei Paesi-Bassi dai tempi di Giulio Cesare sino all’avvenimento al trono del re Guglielmo-Federico oggi regnante, compilata dall’Abate Leonardo Sanvitali in continuazione al Compendio della Storia Universale del Sig. Conte di Segur, Milano, dalla tipografia di Ranieri Fanfani, 1824, (Compendio della storia universale antica e moderna, tomi CVI-CVIII), 3 voll., 208, [2]; 199, [1]; 207, [1] p., tav. [BZ] SAVOT, LOUIS, L’architecture françoise des bastimens particuliers. Composée par Me Loüis Savot, augmentée dans cette seconde édition de plusieurs figures, & des notes de Monsieur Blondel …, Paris, Vve et C. Clousier, 1685, [16], 434, [2] p., tav.[BZ] SEGNI, BERNARDO, Storie fiorentine di messer Bernardo Segni gentiluomo fiorentino dall’anno MDXXVII. al MDLV. Colla Vita di Niccolò Capponi gonfaloniere della Repubblica di Firenze, descritta dal medesimo Segni suo Nipote, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1805, 3 voll., XVI, 367, [1]; 424, [2]; 378 p., tav. [BZ] SERLIO, SEBASTIANO, Libri sei d’architettura: nei quali con facili e brevi modi tratta dei primi principii della geometria, con una nuova aggiunta delle misure che servono a tutti gli ordini dei componimenti che vi si convengono di Sebastiano Serlio, bolognese, Venezia, appresso Francesco de’Franceschi, senese, e Giovanni Krüger, Alemanno e C.o, 1566, 220, 52 carte [LU] SILVA, ERCOLE, Dell’arte dei giardini inglesi ..., Milano, dalla Stamperia e fonderia al genio Tipografico casa Crivelli ..., Anno IX [1801], [8], 373, [3] p., tav. [LU] SITONIO, LAUDROMO, Saggio dell’architettura civile ovvero regole pratiche per qualunque pubblico, e privato edificio a giovamento Degli Studiosi Architetti, de Capi Maestri, e de’ Padroni di Fabbriche Seconda edizione … da Laudromo Sitonio, Milano, appresso Gio. Batista Bianchi, 1776, XVI, 112 p. [BZ] Statuten für die österreichisch-kaiserliche Akademie der bildenden Künste, Wien, aus der K.K. Hof-und Staats-Druckerey, 1812, 41, [1] p. [BZ] STEDMAN, JOHN GABRIEL, Viaggio al Surinam e nell’interno della Guiana, ossia relazione di cinque anni di corse e di osservazioni fatte in questo interessante e poco conosciuto paese dal capitano Stedman. Versione dal francese del cav. Borghi …, Milano, dalla tipografia di Giambattista Sonzogno, 1818, 3 voll. su 4 (il vol. 3 manca), XIX, [1], 275, [1]; 275, [1]; 259, [1] p., tav. [BZ] Storia universale dal principio del mondo sino al presente, scritta da una Compagnia di letterati inglesi, e ricavata da’ fonti originali ... Tradotta dall’inglese, con giunta di note, e di avvertimenti di alcuni luoghi, Milano, nella Stamperia Mainardi a S. Mattia alla Moneta, 1801-1808, 116 voll. [BZ] TACCANI, FRANCESCO, Geometria descrittiva ad uso degli artisti che contiene la delineazione geometrica e prospettica degli oggetti e l’arte d’ombreggiarli di Francesco Taccani, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1813, 2 voll., XVI, 138, [2]; [4] p., tav. [BZ] TAMASSIA, GIOVANNI, Storia del regno dei Goti e dei Longobardi in Italia, Bergamo, dalla stamperia Mazzoleni, 1825-1826, 3 voll., 238, [2]; 182, [2]; [2], 251, [3] p. [LU] TASSO, TORQUATO, Delle opere di Torquato Tasso, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1804-1805, 4 voll., CXIII, 332; [2], 478, [4]; [2], 348, [2]; [2], XX, 238, [2] p., tav. [BZ/LU] TASSONI, ALESSANDRO, La secchia rapita. Poema eroicomico di Alessandro Tassoni, con la vita e con le note compilate da Robustiano Gironi, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, XXXIV, [2], 333, [3] p., tav. [BZ] TATTI, LUIGI, Visita filosofica alla sala della pubblica esposizione dei progetti pel grande cimitero della Regia Città di Milano, di L.T., Milano, per Giuseppe Crespi, 1840, 32 p. [BZ] Teatro italiano antico, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808-1812, 10 voll., VII, [1], 490, [2]; 320; 328, [2]; 416, [2]; 318, [2]; 507, C ATA L O G O D E L L A B I B L I O T E C A [1]; 363, [1]; 419, [1]; 387, [1]; [2], XXIV, 389, [5], 393-453, [1], 85, [1] p., tav. [BZ] Trattato di miniatura Per imparare facilmente a dipingere senza Maestro; e la Dichiarazione di molti Segreti per fare i più bei Colori. Colla maniera di far l’oro brunito, l’oro in conchiglie, e la vernice della China ..., Quinta edizione veneta, accresciuta, e corretta da varj errori, Venezia, Appresso Modesto Fenzo, 1802, 143, [1] p. [BZ] Trattato di miniatura Per imparare facilmente a dipingere senza Maestro; e la dichiarazione di molti Segreti per fare i piu bei Colori; Colla maniera di far l’oro brunito, l’oro in conchiglie, e la vernice della china..., Milano, Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, 1777, 153, [3] p. [LU] UGGERI, ANGELO, [Journees pittoresques des edifices de Rome ancienne par l’abbé architecte Ange Uggeri milanois], Roma, [ed. vari], 1800-1834, 27 voll. presenti 11 voll.: (1) Icnographie des edifices de Rome ancienne dessinés rectifiés er restaurés par l’A.A.A.U.M., vol. II; (2) Détails des materiaux dont se servoient les anciens pour la construction de leurs bâtimens, vol. III; (3) Planches du troisième volume; (4) Journées pittoresques des edifices de Rome ancienne, vol. I; (5) Supplement aux Journées pittoresques des edifices de Rome antique, partie I; (6) Les trois ordres grecs d’après les monumens de Rome antique, vol. IV, ordre dorique, section première; (7) Les trois ordres grecs d’après les monumens de Rome antique, vol. IV, ordre ionique, section seconde; (8) Ornemens d’architecture d’après les edifices de Rome antique pour supplement aux trois ordres dorique, jonique et corinthien; (9) Journées pittoresques des edifices antiques dans les environs de Rome; (10) Giornata pittorica di Tivoli; (11) Edifices de la decadence, partie II [BZ] UGGERI, ANGELO, Descrizione di un tempio monoptero ad uso di Dessert per la signora Donna Teresa Crivelli nata Olgiati, Roma, presso Carlo Mordacchini, 1808, VIII p., tav. (estratto dalle Memorie enciclopediche sulle antichità e belle arti, vol. 4, corrente, p. 65) [LU] VACCANI, GAETANO, Ornati diversi, tratti dagli avanzi antichi e dalle migliori opere de’ cinquecentisti ad uso delle scuole, per opera di Gaetano Vaccani pittore, s.l., 1812, 7 f. [BZ] VACCANI, GAETANO, Raccolta di compartimenti e d’ornati per la decorazione di private abitazioni e di pubblici edifizj civili, militari ed ecclesiastici ed una serie di disegni per la decorazione interna d’edifizj teatrali ideati sulle reali dimensioni dei principali teatri d’Italia, di composizione del pittore Gaetano Vaccani …, Milano, tipografia di G.B. Bianchi e c., 1833, fasc. 16, tav. [BZ] VALADIER, GIUSEPPE; VISCONTI, FILIPPO AURELIO; FEOLI, VINCENZO, Raccolta delle più insigni fabbriche di Roma antica e sue adjacenze misurate nuovamente e dichiarate dall’ architetto Giuseppe Valadier illustrate con osservazioni antiquarie da Filippo Aurelio Visconti ed incise da Vincenzo Feoli, Roma, nella stamperia de Romanis, 1810-1826, 8 parties en 1 vol., 14; 12; 11, [1]; 15, [1]; 16; 14; 14; 16 p., tav. [BZ] VALVASON, ERASMO DA, La caccia. Poema di Erasmo di Valvasone, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1808, VIII, 244, [2] p. [BZ] VANIERE, JACQUES, Regia Parnassi seu palatium musarum in quo synonyma, epitheta, periphrases, et phrases Poëticae … continentur. … Auctore P.V. Soc. Jesu, Venetiis, ex typographia Balleoniana, 1778, XXXII, 707, [1] p. [BZ] VANVITELLI, LUIGI, Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta alle sacre reali Maestà di Carlo re delle due Sicilie e di Gerus ... e di Maria Amalia di Sassonia regina &c &c, Napoli, Nella Regia Stamperia, 1756, icpl., [2], XIX, [1] p., tav. [BZ] VARCHI, BENEDETTO, Delle opere di messer Benedetto Varchi, Milano, dalla Societa tipografica de’ Classici italiani, 1803-1804, 7 voll., LIV, [2], 283, [1]; 308; 295, [1]; 398, [2]; 409, [3]; LXXVII, [3], 224, [2]; [2], 479, [1] p., tav. [LU] VASARI, GIORGIO, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti scritte da Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, illustrate con note, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1807-1811, 16 voll., XV, [1], 371, [1]; 326, [2]; [2], 344, [2]; 358, [2]; [2], 266, [2]; [2], 370, [2]; [2], 336, [2]; 335, [1]; [2], 368, [2]; 326, [2]; [2], 394, [2]; [2], 304; 466, [2]; [2], 423, [1]; [2], 275, [1]; 393, [3] p., tav. [BZ] Vaso greco rinvenuto in Atene fra le ruine del Partenone, trasportato da Lord Elgin in Inghilterra e riposto nel Museo Britannico, Milano, 1826, tav. [BZ] VERRI, PIETRO, Storia di Milano, del conte Pietro Verri, Milano, presso gli editori, 1824-1825, 4 voll., 352, [2]; 302, [2]; 251, [1]; XLII, 319, [1] p., tav. [BZ] VETTORI, PIETRO, Trattato di Piero Vettori delle lodi e della coltivazione degli ulivi colle annotazioni del dott. Giuseppe Bianchini di Prato e di Domenico M. Manni, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1806, 253, [3] p., tav. [BZ] VILLANI, GIOVANNI, Istorie fiorentine di Giovanni Villani cittadino fiorentino fino all’anno MCCCXLVIII, Milano, dalla Società tipografica de’ classici italiani, 1802-1803, 8 voll., XLI, [3], 252, 223, [1], 282, [2], 243, [1], 375, [1], 343, [1], 118[=318], [2], 316 p., tav. [BZ] VISENTINI, ANTONIO, Osservazioni di Antonio Visentini architetto Veneto che servono di continuazione al trattato di Teofilo Gallaccini sopra gli errori degli architetti, Venezia, Per Giambatista Pasquali, 1771, VII, [1], 141, [1] p. [BZ] VITRUVIUS POLLIO, L’architettura generale di Vitruvio ridotta in compendio dal Sig. Perrault ..., e arrichita di tavole in rame. Opera tradotta dal francese, ed incontrata in questa edizione col testo dell’Autore, e col commento di Monsig. Barbaro…, Venezia, nella Stamperia di Giambattista Albrizzi q. Gir., 1747, [40], 213, [55] p., tav. [BZ] VITRUVIUS POLLIO; GALIANI, BERARDO, L’architettura di M. Vitruvio Pollione, colla traduzione italiana e comento del marchese Berardo Galiani …, Napoli, Nella Stamperia Simoniana, 1758, [8], XXXII, 462 p., tav. [BZ] VITRY, URBANO, Il proprietario architetto opera da Urbano Vitry, Venezia, per Paolo Lampato, 1831, 8 fascs. [BZ] VITTONE, BERNARDO ANTONIO, Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’architetto civile, ed inservienti d’elucidazione, ed aumento alle istruzioni elementari d’architettura già al pubblico consegnate; ... divise in libri due …, da Bernardo Antonio Vittone, ... , Lugano, per gli Agnelli, 1766, XIV, 15-324, [2] p. [BZ] VITTONE, BERNARDO ANTONIO, Istruzioni elementari per indirizzo de’ giovani allo studio dell’architettura civile … da Bernardo Antonio Vittone, Lugano, presso gli Agnelli, 1760, [VIII], 622 p. [BZ] Vocabolario italiano e latino diviso in due tomi, ne’ quali si contengono le frasi più eleganti, e difficili, i modi di dire, proverbj, ec. dell’una, e dell’altra lingua …, Edizione decimaterza, Venezia, appresso Pietro Savioni, 1777, 2 voll., XX, 640; XII, 636 p. [BZ] WATIN, JEAN FELIX, L’art du peintre, doreur, vernisseur, Ouvrage utile aux Artistes & aux Amateurs qui veulent entreprendre de Peindre, Dorer & Vernir toutes sortes de sujets, en Bâtimens, Meubles, Bijoux, Equipages, &c. in-8o, de plus de 400 pages, en trois Parties: Par le Sieur Watin … Quatrième édition, Revue, corrigée & augmentée, Paris & se trouve à Liège, Chez F.J. Desoer, 1787, XXXII, 380, [2] p. [BZ] WELD, ISAAC, Viaggio nel Canada negli anni 1795, 1796 e 1797: in cui oltre la descrizione di quell’ampio paese trovasi quanto occorre per avere una fondata notizia delle provincie e dei popoli costituenti gli Stati-Uniti dell’America settentrional; traduzione del sig. Pietro Spada; corredato del ritratto di Washington, di due carte geografiche, e di rami colorati, Milano, dalla tipografia di Giambattista Sonzogno, 1819, 3 voll., XI, [1], 272, [4]; 285, [3]; 375, [1] p., tav. [LU] ZAMBONI, BALDASSARRE CAMILLO, Memorie intorno alle pubbliche fabbriche piu insigni della città di Brescia raccolte da Baldassarre Zamboni …, Brescia, Per Pietro Vescovi, 1778, VIII, 163, [5] p., tav. [BZ] ZANCON, GAETANO; TOMBA, GIULIO, Galleria inedita raccolta da privati gabinetti milanesi ed incisa in rame da Gaetano Zancon … con illustrazioni, Milano, da Francesco Fusi e C., 1812, 5 fasc., tav. [BZ] ZAPF, GEORG WILHELM; TOMMASO DE BASSUS, BARONE, Galleria degli antichi greci, e romani con una piccola descrizione delle loro vite. Traduzione dal Tedesco. All’altezza serenissima di Carlo Federico ... , Poschiavo, Per Giuseppe Ambrosioni, 1784, 1 vol. sur 2 (le vol. 1 manque), [2], 127, [3] p., tav. [BZ] ZECCHI, GIOVANNI, Collezione dei monumenti sepolcrali del cimitero di Bologna pubblicata da Giovanni Zecchi=Collection des monumens sépulcraux du cimetière de Bologne publiée par Jean Zecchi, Bologna, 1825-1828, 2 voll., pag. multipla, tav. [BZ] 331 [Luigi Canonica?], Rilievi di colonne e obelischi, e dettagli architettonici, s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 15, D 12. 332 L’archivio e il corpus dei disegni Barbara Boifava Il mese successivo alla morte di Canonica, avvenuta a Milano nella sua abitazione in via Sant’Agnese il 7 febbraio 1844, l’inventario redatto dal rigattiere giurato Giuseppe Ottolini aveva comprovato l’identità degli eredi e aveva riferito della suddivisione del patrimonio dell’architetto e del suo archivio.1 Il nipote Luigi Fontana venne designato erede universale,2 mentre i documenti dell’archivio professionale e i «mobili, suppellettili, effetti personali» dell’atelier di Canonica furono destinati al pronipote Francesco Porta – il padre del quale, Antonio, era figlio della sorella Gioconda –, nominato usufruttuario per tre anni della casa milanese, prima che questa fosse ceduta a un ente di beneficenza.3 Quello raccolto dall’architetto in una lunga carriera era un patrimonio economico considerevole che aveva stupito anche i corrispondenti esteri tanto che nei necrologi londinesi – apparsi sul “The Civil Engineer and Architect’s Journal”4 e sul “The Gentleman’s Magazine” – e in quelli viennesi5 le ultime righe erano state dedicate ai suoi lasciti: «He has bequeathed 174,000 francs to the Primary Schools of Lombardy, and 87,000 francs to the Academy of Fine Arts at Milan, for the purpose of educating some deserving young men as painters, sculptors, or architects; which two sums amount to upwards of 10.000/. sterling, – much greater, in proportion, for Italy than it would be here in England».6 La stessa informazione fu poi ripresa nell’edizione del 1846 del Conversationslexicon für bildende Kunst alla voce “Canonica”.7 L’archivio dell’architetto era probabilmente contenuto in «ventiquattro cartelle di cartone» conservate nel camerino annesso allo studio; in quest’ultimo si trovava uno «scaffale di pecchia a tre ordini, con ventuna cassette all’abbassamento inverniciato», alle pareti vi erano «quattro cartine montate, rappresentanti l’arena, l’arco ed altro con cornici di noce e vetri, ed un tablò rappresentante Napoleone», «un tavolo di noce quadrilongo con gambe di noce a piramide e cassetti e altre tre cartelle di cartone per deporre disegni» e «libri che si trovano nella scanzia retro detta, comprese tutte le carte che si trovano in detto studio»; nella seconda anticamera erano esposti «vari disegni di gesso e modelli di palazzi». Nel maggio 1847 la I.R. Deputazione Provinciale di Milano, sulla base del Regolamento napoleonico del 31 novembre 1805, rivendicò «le carte e matrici relative alla professione di Architetto esercitata dal benemerito defunto Cavaliere Canonica»8 affidate a Francesco Porta e ne richiese il deposito presso l’Archivio Civico Governativo.9 Le cartelle dei documenti relativi al carteggio d’ufficio dell’architetto della Casa Reale furono così versate da Giovanni Battista Chiappa, esecutore testamentario, al Magistrato Camerale e attualmente sono conservate nel fondo Genio Civile dell’Archivo di Stato di Milano.10 Esse costituiscono un eccezionale corpus documentario comprendente per la maggior parte le minute autografe di Canonica della corrispondenza come soprintendente generale alle Fab- briche nazionali, l’ufficio creato dal vicepresidente Francesco Melzi con la costituzione della Repubblica Italiana, attivo dal 1802 al 1805, e il cui compito era «la cura di tutte le fabriche ed effetti mobili appartenenti alla nazione e delle somministrazioni occorrenti ad uso dei dicasteri, tribu11 nali e uffici nazionali». Le carte raccolgono anche la documentazione del successivo Regno d’Italia, quando la presenza di una corte stabile a Milano, sulla base di quanto stabilito nel Terzo Statuto costituzionale, obbligò a rivedere la struttura e i compiti della Soprintendenza, così da costituire, sul modello di quanto si stava definendo in Francia, un’Intendenza ai Beni della Corona. Lo scioglimento della primitiva Soprintendenza12 (1 luglio 1805) e la costituzione di un’Intendenza ai Beni della Corona comportò la nomina di Canonica ad «Architetto della casa reale», sottoposto a un intendente generale, Giovanni Battista Costabili Containi.13 Occorre anche segnalare che l’Archivio di Stato di Milano conservava tutta la documentazione degli altri uffici preposti alla gestioni delle Fabbriche camerali e di quelle della Corona. Purtroppo, i fondi Governo sezione camerale (Fondi Camerali, 102-193) e Direzione del Demanio di Milano (Corona, 167-321) sono andati perduti durante i bombardamenti nell’agosto del 1943; l’importanza documentaria di questi fondi ci è testimoniata da alcune copie e dalle traduzioni realizzate all’inizio del Novecento per Paul Marmottan e conservate oggi in quattro cartelle d’archivio nella Bibliothèque Marmottan di Boulogne. Tracce dell’attività pubblica e privata di Canonica sono sparse in altri fondi dell’Archivio di Stato di Milano riorganizzati da Peroni nella prima metà dell’Ottocento e provenienti dalla Segreteria di Stato o dai diversi ministeri o miscellanee, come Culto, Fondi Camerali, Spettacoli pubblici, Studi, Uffici Civici e Uffici Giudiziari, Archivio generale del Fondo di Religione, Comuni... Anche l’originario corpus documentario dell’archivio personale di Canonica, studiato per la prima volta da Marina Bernasconi Reusser, nel 1998,14 fu successivamente frazionato e dalla famiglia Porta passò nelle varie successioni a tre diversi rami della medesima famiglia: i Fraschina e i Cattaneo di Manno e i Banchini di Neggio poi Pregassona. La parte più consistente dell’intero fondo archivistico, costituita da due delle tre frazioni – Fondo Emilia Banchini (proveniente dalla famiglia Banchini di Pregassona, è stato depositato il 1o aprile 1998 e consegnato definitivamente all’Archivio del Moderno il 31 gennaio 2000) e Fondo Fraschina-Banchini (di proprietà della Biblioteca Cantonale di Lugano, è stato depositato a tempo indeterminato presso l’Archivio del Moderno nel 1999) –, è oggi conservata presso l’Archivio del Moderno di Mendrisio, mentre la collezione della famiglia Cattaneo (acquisita dal Comune di Manno, insieme alla Casa Porta) è depositata presso l’Archivio di Stato di Bellinzona dal 2005; attualmente non è consultabile ed è in attesa di riordino e catalogazione.15 333 B A R B A R A B O I FAVA Diploma di nomina a Socio d’onore dell’Ateneo di Brescia, 16 febbraio 1823; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 14, D 43. Diploma di nomina a socio d’onore della Österreich kaiserliche Akademie der Vereinigten Bildenden Künst, 13 maggio 1843; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 14, D 45. Il Fondo Fraschina-Banchini, custodito precedentemente presso la Biblioteca Cantonale di Lugano, e il Fondo Emilia Banchini, sono stati oggetto di riordino e catalogazione scientifica da parte dell’Archivio del Moderno. Il primo fondo includeva 433 disegni, 8 incisioni e un gruppo di documenti costituiti da 173 fogli. Quattro cartelle di disegni erano state vendute alla Biblioteca Cantonale di Lugano nel 1933 dalla famiglia Banchini di Neggio; successivamente vennero aquisiti i documenti rimanenti (cinque cartelle e una scatola) «forse depositati da Maddalena Fraschina ultima erede di questo ramo della famiglia che divise il materiale in suo possesso tra la Biblioteca Cantonale e le collezioni private delle famiglie Banchini e Cattaneo».16 Il Fondo Emilia Banchini di Pregassona era composto da 446 disegni, 6 incisioni e un gruppo di documenti costituiti da 619 fogli. Il ricco complesso documentale raccolto oggi nel Fondo Canonica di Mendrisio, rende conto dell’intensa attività svolta dall’architetto, dalle cariche pubbliche ricoperte dal 1796 al 1844, alle commesse successive alla caduta del Regno d’Italia. I circa mille disegni rappresentano la parte più consistente della raccolta, accanto a manoscritti di varia natura – carteggi, contabilità di cantiere, preventivi, promemoria, appunti17 – che permettono di integrare le informazioni fornite dai materiali grafici. A seguito delle molteplici divisioni dell’Archivio Canonica, la documentazione è pervenuta all’Archivio del Moderno senza alcun ordine sistematico.18 L’ordinamento scientifico dei numerosi disegni è stato condotto individuando alcune serie tematiche che accorpano le tavole afferenti un medesimo progetto. Tutti i disegni sono stati schedati e trasferiti su supporto digitale e sono attualmente consultabili on-line, con relative schede descrittive, su Lineamenta, la banca dati costituita dalla Bibliotheca Hertziana-Max Planck-Institut für Kunstgeschichte di Roma all’indirizzo: lineamenta.biblhertz.it. Il Fondo conserva pure alcune stampe tratte da disegni dello stesso Ca- nonica che sono da collegarsi alla politica di propaganda promossa dal nuovo regime tramite la diffusione d’incisioni con i principali monumenti voluti dalla nuova amministrazione.19 Ne è testimonianza una lettera del 23 gennaio 1804 inviata dall’architetto ticinese allo stampatore nazionale, Luigi Veladini, con la quale si sollecitava a versare alla Soprintendenza il ricavato della vendita delle stampe del Foro Bonaparte, oppure una missiva datata 9 marzo 1810 e proveniente da Monaco, nella quale Andrea Dall’Armi scriveva a Giuseppe Maria Ducati, o, in caso di sua assenza, a Canonica, per ringraziarlo dell’invio della pianta di Milano e della planimetria dell’Anfiteatro, sul quale chiedeva dettagliate spiegazioni.20 Questo consistente corpus di disegni, perlopiù inedito, va confrontato con esempi simili quali le collezioni di Giocondo Albertolli (1742-1839), collezione in parte conservata all’Archivio di Stato di Bellinzona, di Carlo Amati (1776-1852), custodita presso il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano, di Luigi Cagnola (1762-1833), depositata presso la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano, di Simone Cantoni (17391818), dispersa tra Bellinzona, Genova e Milano, oltre a quelle più frammentarie di Leopoldo Pollack (1751-1806), Rodolfo Vantini (1792-1856) e Luigi Voghera (1788-1840). Si tratta di un’eterogenea raccolta grafica frutto dell’attività professionale che contiene poche tavole di presentazione o in redazione definitiva e molti schizzi o rielaborazioni di una medesima idea progettuale (rilievi, studi preparatori, schizzi). I disegni sono raramente accompagnati da titolazioni, date o firme, che possono attestare con precisione la paternità, e appartengono a tutti i momenti della lunga carriera di Canonica. Essi non sono tutti autografi e sono per le più relativi ai cantieri che lo videro direttamente impegnato: ricordiamo, ad esempio, la presenza di alcuni fogli di Giuseppe Piermarini (complice anche l’alunnato svolto presso il maestro folignate), di Pao- 334 L’ A R C H I V I O E I L C O R P U S D E I D I S E G N I lo Landriani (Teatro Diurno), di Giovanni Antonio Antolini (Palazzo Reale di Venezia), di Pietro Gilardoni (Palazzo Diotti), oltre a quelli riferibili ai professionisti operanti all’interno dell’ufficio della Soprintendenza (Giacomo Tazzini, Luigi Prada, Giovanni Angelo Giudici, Carlo Parea, solo per ricordarne alcuni). Tra i fogli d’incerta attribuzione va segnalato il piccolo quaderno di schizzi dedicato alle ville e ai giardini, tratti in parte dal volume di William Watts, The Seats of the Nobility and Gentry. In a collection of the most interesting and picturesque views engraved by William Watts, pubblicato a Chelsea nel 1779.21 Canonica si rivela un discreto disegnatore ma il forte divario qualitativo dei fogli pone tuttavia una serie di questioni attributive. Infatti, ad eccezione degli schizzi autografi, molti fogli relativi agli incarichi ottenuti come architetto nazionale e reale sono da riferirsi alla mano di Giacomo Tazzini, assunto come disegnatore (preferito ad Antolini) già nel 1803.22 Tra le carte dell’Archivio23 è conservata una lettera non datata, inviata da Giovanni Lucio Marj, con una raccomandazione a favore di Giacomo Rasnoni affinché fosse assunto nello studio di Canonica come disegna- tore, segno di una costante presenza di tecnici con questo ruolo presso l’atelier. Il pensiero progettuale di Canonica sembra avviarsi dall’elaborazione della pianta – anche a mano libera – per poi dedicarsi successivamente all’alzato o alle sezioni (rare sono le prospettive), con una decisa preferenza per il disegno a matita anziché per l’inchiostro a penna, dimostrando come la pratica del disegnare svolga soprattutto una funzione descrittiva e rappresentativa di un progetto. Sono assenti modalità di rappresentazione proprie del mondo pittorico come ambientazioni, cartigli o arricciamenti della squadratura del foglio e le acquarellature sono sempre sobrie e realizzate con colori tenui. Inevitabilmente le opere giovanili (ad esempio i fogli relativi al progetto per la Chiesa di San Marcellino a Imbersago) si distinguono per la loro elementarietà compositiva e per una maggiore cura grafica, ma va registrata, a differenza di quanto avviene per altre raccolte (si pensi a quella di Piermarini o a quella del contemporaneo Cagnola), l’assenza di tavole relative agli anni di formazione accademica e di apprendistato. [Luigi Canonica?], Schizzi dal volume di William Watts, The Seats of the Nobility and Gentry. In a collection of the most interesting and picturesque views engraved by William Watts (Chelsea 1779), s.d.; Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 11, D 61. 335 B A R B A R A B O I FAVA Sezione e pianta di una cucina, s.d.; Lugano, Biblioteca cantonale-Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Canonica, 12, BC 189. Nel Fondo disegni antichi dell’Archivio della Soprintendenza Beni architettonici paesaggistici di Milano, attualmente depositato presso Palazzo Litta, è custodito un altro corpus di tavole provenienti dall’ufficio di Canonica. Tra queste, spesso di difficile attribuzione, non firmate o di mano di Giacomo Tazzini, una serie riguarda interventi su edifici camerali compiuti durante la Restaurazione – riferibili dunque agli ultimi anni di servizio di Canonica – e sulle cascine del Parco Reale di Monza. Altri documenti grafici sono rintracciabili tra le cartelle dei Fondi Camerali, Spettacoli pubblici e Uffici Civici e Uffici Giudiziari. Un ricco corpus di disegni di architettura teatrale è stato individuato e studiato presso l’Accademia Albertina di Torino,24 attestando la riconosciuta sperimentazione di Canonica nella progettazione di edifici teatrali, mentre ulteriori fogli relativi ad altri progetti sono conservati presso il Gabinetto di disegni e stampe della Civica Raccolta d’Arte del Castello Sforzesco25 e la Civica Raccolta Stampe A. Bertarelli di Milano; quest’ultima ha in deposito dalla Soprintendenza pure il ricco fondo di Luigi Cagnola, studiato da Clelia Alberici nel 1963.26 Quest’ultima collezione contiene diversi fogli di Canonica attribuibili ai lavori di adattamento dell’ex Collegio Elvetico poi Palazzo del Senato, che lo vedono dapprima coinvolto e poi sostituito.27 336 L’esiguo numero, finora censito, di fogli erratici presenti in collezioni private e di sconosciuta provenienza sembra indicare uno scarso interesse collezionistico per i disegni di Canonica, anche da parte di un collezionismo minore. Tuttavia occorre rilevare come, tra i fogli superstiti – più di un migliaio, tra edifici pubblici e privati, studi per decorazioni, arredi interni, oggetti d’uso e mobili –, numerosi sono gli studi e gli schizzi, mentre pochissime le tavole di presentazione, finora non rintracciate. Infatti, ad esclusione dei due fogli con l’Arena di Milano, le tre planimetrie di Palazzo Reale e i pochi disegni di Porta Vercellina e Porta Marengo, le raccolte ticinesi e milanesi non conservano tavole di presentazione relative ai progetti commissionati dal viceré Eugenio di Beauharnais o dallo stesso Napoleone, che – immaginiamo – dovettero essere approntate dato il rango dei committenti. Approfondite indagini presso gli archivi milanesi, parigini e monacensi (soprattutto l’Archivio Leuchtenberg depositato presso il Munchen Bayerisches Hauptstaatsarchiv), e puntuali sopralluoghi all’Archivio Beauharnais – ospitato presso la Divisione Manoscritti del Department of Rare Books and Special Collections della Princeton University Library 28 – non hanno fino a oggi documentato l’esistenza di altri disegni di Luigi Canonica. L’ A R C H I V I O E I L C O R P U S D E I D I S E G N I 1. AMMe, Fondo Canonica, LV, 763, «Inventario per uso privato degli Eredi del fu architetto Luigi Canonica dei mobili, suppellettili, effetti», Milano 21 marzo 1844. Vedi la trascrizione qui pubblicata. I materiali dello studio milanese di Canonica vennero valutati cinquemila lire austriache. “Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, II s., voll. XVII-XVIII, 1848, p. 388. 2. Luigi Fontana, figlio della sorella Marta e del capomastro Giovanni Battista Fontana di Cureglia, è documentato in più riprese nei cantieri, milanesi e non, di Canonica. 3. Si tratta della Pia Causa degli Asili di Carità di Milano. Cfr. “Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, voll. XVII-XVIII, 1848, p. 388. 4. «Canonica possessed a considerable fortune, and has made some munificent bequests, leaving by his will 174,000 fr. (about £ 7,000) to the Primary Schools of Lombardy, and 87,000 fr. (about £ 3,700) to the Milan Academy of Fine Arts, the interest of which is to be devoted annually to the education and support of some young artist — architect, sculptor, or painter»; Luigi Canonica, “The Civil Engineer and Architect’s Journal”, vol. VII, 1844, p. 119. 5. “Österreichische Zeitschrift für rechts- und Staatswissenschaft”, vol. I, 1845, p. 176. 6. Luigi Canonica, “The Gentleman’s Magazine”, n.s., vol. XXII, 1844, p. 100. 7. J.A. Romberg, F. Faber, L. Clasen (a cura di), Conversations-Lexicon Für Bildende Kunst, vol. II, Romberg, Leipzig 1846, s.v. Canonica, Luigi, p. 362. 8. AMMe, Fondo Canonica, LV, 774. 9. «Constando che trovansi presso di Lei [Francesco Porta] depositate le carte e matrici relative alla professione di Architetto esercitata dal benemerito defunto Cavaliere Canonica, la R. Delegazione ha dato Ordine al Sig.r Aggiunto dirigente dell’I. R. Archivio di Deposito Civico Governativo, di provedere perché siano ritirate e depositate nell’Archivio medesimo a termini del Regolamento 3. Novembre 1805, salvi i diritti di compartecipazione alle tasse per le copie che verranno rilasciate giusto il disposto dallo stesso Regolamento», in AMMe, Fondo Canonica, LV, 774. Conferma di questa operazione in ASMi, Genio Civile, 3158 dove sono conservati altri atti datati aprile 1844 dell’esecutore testamentario Giovanni Battista Chiappa che affida al Magistrato Camerale le 41 cartelle di atti dell’Archivio Canonica riguardanti i Beni nazionali (1802-17). 10. Si tratta delle cartelle 3126-3144, 3146, 3152-3153 («L’architetto Reale. Relazioni con l’intendenza generale della Corona»); a queste è possibile aggiungere anche le cartelle 3148-3150 («Intendenza generale della Corona») e altre comprese 3153-3165. 11. La nomina da parte di Melzi di Antonio Luigi Andreoli a soprintendente alle Fabbriche nazionali è datata 15 marzo (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 192). Vedi anche ASMi, Fondi Camerali, p.m., 28. Cfr. F. Repishti, Le Fabbriche della Corona. Uffici competenti a Milano da Giuseppe II a Francesco Giuseppe I (1786-1859), in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione, atti del convegno (Milano 2001), a cura di G. Ricci, G. D’Amia, Mimesis, Milano 2002, pp. 107-116 e G. Ricci, Progetti e cantieri per Milano e per Monza e il ruolo di Luigi Canonica, in Les maisons de l’Empereur. Residenze di corte in Italia nell’età napoleonica, atti del convegno (Lucca 2004), a cura di F. Ceccarelli, G. D’Amia, “Rivista Napoleonica”, 2004-2005, n. 1011, pp. 67-76. 12. Il 5 luglio 1805 dalla «Sopraintendenza generale alle fabbriche nazionali» passano all’Ufficio dell’Intendenza generale dei Beni della Corona: Canonica (architetto soprintendente nazionale alle Fabbriche nazionali) e Felice Botta (sorvegliante alle Fabbriche). 13. Nominato il 22 maggio 1805 e dimissionario il 18 giugno 1814 (ASMi, Potenze Sovrane post 1535, 220). 14. M. Bernasconi Reusser, Fondo Luigi Canonica (Emilia Banchini), in Archivi e architetture. Presenze nel Cantone Ticino, catalogo della mostra (Mendrisio, 1998-1999), a cura di L. Tedeschi, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 1998, pp. 130-131. 15. Il Fondo Cattaneo è composto da circa 200 disegni, da 60 incisioni suddivise in tre cartelle e da una parte di documenti manoscritti. Si veda la ca- talogazione dei disegni di G. Parisi, Il Fondo Canonica nelle raccolte luganesi, “Il disegno di architettura”, a. VI, 1995, n. 12, pp. 55-66. 16. M. Bernasconi Reusser 1998, pp. 130-131. 17. Nel riordino sono stati tenuti distinti i disegni e le stampe dagli scritti ed è stato ricostruito l’archivio dell’architetto Luigi Canonica per i materiali documentari già conservati presso la Biblioteca Cantonale di Lugano e la famiglia Banchini di Pregassona, ora presso l’Archivio del Moderno dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Gli atti sono stati individuati e raggruppati “virtualmente” in 55 fascicoli, cercando di disporli per “materia”, nel rispetto delle poche indicazioni pervenute, e in ordine cronologico. 18. Le carte, come i progetti, furono divise dopo la morte dell’architetto e furono riordinate probabilmente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, come testimoniano le etichette utilizzate per titolare le camicie dei documenti. In quell’occasione si tenne conto delle materie trattate dallo studio dell’architetto, delle cariche ricoperte e dei riconoscimenti ottenuti dal Canonica, mentre i fascicoli furono disposti, indicativamente, in ordine cronologico. Si è inoltre rilevato un ordinamento precedente, probabilmente attribuibile allo stesso studio dell’architetto, in quanto sono state rintracciate alcune camicie ricavate da carta di recupero recanti una grafia anteriore: Locali Pubblici, Monumenti Pubblici, Tribunale di Lodi, Pezzoli in S. Fedele, 1818 Appunti per il fu D.r Antonio Pezzoli in S. Fedele e ancora 1819 Appunti per il fu Conte Pezzoli. La numerazione a tergo dei documenti sembrerebbe indicare un’abitudine dello studio o dell’ufficio di numerare le pratiche. 19. Tra queste ricordiamo: la veduta dell’Arena, il prospetto della porta trionfale dell’Arena, il Foro Bonaparte, il prospetto degli edifici su Foro Bonaparte, l’apparato per l’incoronazione di Napoleone in Duomo, il trono e lo stemma per l’incoronazione di Napoleone, l’arco di Porta Romana, l’incisione relativa agli apparati per le esequie del duca Visconti di Modrone e quelli per l’imperatrice a San Fedele. 20. Monaco, 9 marzo 1810: Lettera di Andrea Dall’Armi di Monaco a Giuseppe Maria Ducati, o, in caso di sua assenza, all’architetto Luigi Canonica, con la quale si ringrazia per l’invio della pianta di Milano e della tavola con l’Anfiteatro, sul quale chiede dettagliate spiegazioni. AMMe, Fondo Canonica, XXII, 399. 21. AMMe, Fondo Canonica, 11, D 61. 22. Lettera di Canonica al ministro degli Interni; 13 settembre 1803; ASMi, Fondi Camerali, p.m., 7: «È perciò ch’io non saprei dispensarmi dal chiedere che riconoscendo l’essenzialità ed utilità della cosa vi compiaceste, cittadino ministro, di accordare a questo mio ufficio lo stabile aiuto di un giovane nella suddivisata qualità di disegnatore d’Ufficio, in ordine a che mi avvanzo a significarvi che il prefato Tazzini oltre di averlo esperimentato abile per tale impiego unisce la prerogativa d’un’eccellente calligrafia, motivo per cui potrebbe anche prestarsi per le tabelle, ed altri oggetti parziali». L’architetto Tazzini è assunto il mese successivo. 23. S.d.; AMMe, Fondo Canonica, LIV, 753. 24. BAATo, «Progetti di vari teatri» e «Piani e croquis di diversi Teatri d’Italia, di Francia, e di Germania. Parallelo delle curve di diversi teatri d’Italia», D. CAN. 1- D. CAN. 32. 25. Si tratta del progetto per la facciata del Castello Sforzesco. 26. C. Alberici, Disegni e stampe dell’Archivio Cagnola ora in deposito presso la Raccolta delle stampe Achille Bertarelli nei Musei civici di Milano, “Arte lombarda”, a. VIII, 1963, n. 1, pp. 143-150. 27. Si veda la catalogazione dei disegni nel presente volume e L. Buratti, F. De Leva, N. Onida, I disegni dei principali architetti neoclassici in Italia: regesto-prima parte, “Il disegno d’architettura”, a. VI, 1996, n. 14, pp. 9-30. 28. Il fondo contiene corrispondenze e documenti di Eugenio di Beauharnais relativi al Regno d’Italia (1805-1814) e più in generale agli affari militari del periodo napoleonico. Include anche gli atti riguardanti la sua posizione durante il Congresso di Vienna e quelli successivi la sua residenza presso i Leuchtenberg a Monaco come principe d’Eichstätt (1817-1824). Sono conservate anche copie dei budget del Regno d’Italia, dei beni di appannaggio della Corona e delle proprietà personali tra le quali ricordiamo quelle di Milano (Villa Bonaparte), Chiaravalle, Galliera, Bologna, Pelucca e Ancona. 337 Appendice Inventario dei mobili, suppellettili, effetti Trascrizione a cura di Flora Santorelli Inventario per uso privato degli eredi del fu architetto Cavaliere Luigi Canonica de’ mobili, supellettili, effetti sottoindicati, assunto quest’oggi 21 marzo 1844 in concorso dell’erede universale sig. Luigi Fontana, sig. Francesco Porta anche qual rappresentante il proprio figlio sig. Antonio, architetto Giovanni Battista Chiappa esecutore testamentario, essendo stato nominato per perito il sig. Giuseppe Ottolini rigattiere giurato, anche coll’intervento de’ sottoscritti testimonii. N 12. Una piccola pendola di Germania, con contrappeso di ottone N 13. Quattro cartine montate, rappresentanti l’arena, l’arco ed altro con cornici di noce e vetri, ed un tablò rappresentante Napoleone N 14. Un tavolo di noce quadrilongo con gambe di noce a piramidi e cassetti, e altre tre cartelle di cartone per deporre disegni Camerino annesso allo studio Lire austriache N 1. Tre piccoli scaffali di pecchia, tre asse pure di pecchia per disegnare, e un’assa pure di pecchia sostenuta da due cavaletti a ? 8 N 2. Trentaquattro cartelle di cartone per deporre disegni, ed uno scranno di noce sagoma antica con sedile di bulghero 5 N 3. Due traponti di tela canape 3 Studio N 4. Scaffale di pecchia a tre ordini con ventuna cassette all’abbassamento inverniciato 50 N 5. Un tavolo di studio di noce con otto cassetti, con assa al di sopra pure di noce, due tamboré di noce coperti di mottone verde 40 N 6. Pochi compassi ed altri oggetti ad uso della professione del sig. Canonica 40 N 7. Un tavolo di pecchia quadrilongo con gambe intornite e cassetti, una scala a mano pure di pecchia 12 N 8. Due scranne di noce con sedile di canna, tre altre pure di noce con sedile di mottone verde, una delle quali con cuscino di grino coperto di cottona 10 N 9. Una testa di bronzo, imbronzata, una statuetta rappresentante Napoleone pure di bronzo, un bazila ed una chicchera inverniciata pure di bronzo, una suppera di ghisa inverniciata come sopra e due rasoi 35 N 10. Uno specchio al muro con cornice di noce con luce di once 5 per once 5, un barometro e due tendine di mussola sopra vetri 5 N 11. Una pendola piccola (a) ripetizione, con cassa di ottone, con figura dorata, campana di vetro con pedestallo di legno nero 120 ———————— L 328 // Somma retro L 328 338 N 15. Un soppedaneo di pagliata di quadretti settanta logorissimo N 16. Dieci pezzi di gesso rappresentanti varie figure N 17. Libri che si trovano nella scanzia retro detta, comprese tutte la carte che si trovano in detto studio N 18. Tre lastre di rame incise fuori d’uso N 20. Un canapé di noce inverniciato nero con sedile di canna, quattro materazzini e quattro cuscinoni di grino con fodera di cottona colorata N 21. Un tavolo di noce quadrilongo con gambe intornite a due cassetti; altro piccolo tavolo pure di noce con gambe a piedi di capra con cassetto, ed una cassa di noce per deporre legna N 22. Una poltrona di noce con sedile elastico coperta in mottone color pulice N 23. Una poltrona di noce tinta nera con sedile elastico coperta di percallo a colore N 24. Quattro scranni di noce con sedile di mottone verde, un porta cadino di ferro con cadino di maiolica, ed un piccol sidello di rame N 25. Una caminiera di noce con luce di once 10 1/2 per once 13 1/2, ed una bosia plaché N 26. Due mezze tende di tela renzo, guarnite; panneggiamenti simili; asta di legno e bacchetta di ferro N 27. Tredici cartine montate rappresentanti vari disegni con cornici e vetri L 7 7 8 2 5.000 20 Stanza annessa allo studio N 19. Un fusto di sofà di noce a sbarretta di once 20 per once 40, un materazzino e quattro cuscinini di lana con fodera di cottona cedrona bleu; altro cuscino di lana con fodera di mezzettino bianco, due piccole lenzuola ed una fodretta tela lino // 10 42 25 25 30 25 10 20 6 13 ————————5.578 I N V E N TA R I O Somma contro L N 28. Due mezzi cunini, paracenere, una molla e palla tutto di ferro con assa di noce per camino, un soffietto ed una spazzola N 29. Un soppedaneo di paglietta logorissimo di quadretti ottanta N 30. Tre cassette di noce contenenti la tavola Platoniana, ed una calamita legata in ottone N 31. Sei cornici, per cartine, di noce con vetri parti rotte, ed un assa di pecchia per tavoletta Seconda anticamera N 32. Un tavolo di pecchia quadrilongo con gambe a piramidi, una scala a mano pure di pecchia, nove asse di pecchia e noce servibili per disegno, ed uno scranno di noce a cannetta N 33. Una libreria di noce a tre ante con quattro lastre di vetro con cardenza d’abbassamento a due ante, e un banco di noce a cinque cassetti N 34. Pervari disegni di gesso e modelli di palazzi N 35. Cinque cartine montate rappresentanti paesi, e la Carità con cornici di noce e vetri N 36. Due scranni diversi logori N 37. Una tenda di cottona rigata rossa Prima anticamera N 38. Un cassone di pecchia per uso di letto per domestico, una cocetta pure di pecchia, pagliaricco di tela canape, un materazzino di canape rigata blanca bleu, due piccoli lenzuoli di tela stoppa, una coperta di lana ed una copertina di filorello rigata pure logora N 39. Due quadri dipinti in tela rappresentanti paesi con cornice di legno inverniciato 5.578 3 9 200 4 10 50 10 5 1,50 2 Dispensino anesso alla stanza sudetta N 43. Trenta bottiglie a grandezze diverse, dodici caraffe, undici bicchieri comuni, quarantatre bicchieri a calice, due salini, quattro amolini, tutti di vetro N 44. Ventiquattro bottiglie di vetro oscuro contenenti vini diversi Nell’andadora N 45. Un cassabanco con coperto e schenale di pecchia, ed un arcolaio con lastre di ferro N 48. Un tavolo di noce quadrilongo con gambe legate, una piccola cardenza con cassetti nell’interno e due scranni di noce con sedili di canna N 49. Un vestaio di pecchia a due ante inverniciato color noce, ed un càntera di noce pecchia con manette d’ottone N 50. Una piccola coperta di doblè bianca, altra copert(i)na, e moschetto di valì guarnito in franza N 51. Due lenzuoli di altezze tre tela lino, tre detti di due altezze e mezzo N 52. Otto lenzuoli di altezze due di tela lino e stoppa, quattro de’ quali logorissimi N 53. Nove fodrette di tela lino e stoppa, e quattro asciugamani di tela stoppa N 54. Due piccole tovaglie e sette mantini di tela operata logorissimi 4 N 56. Un piccolo pagliariccio di tela bianca, due coperte di lana ed una tenda di tela stoppa cedronea bianca, il tutto logorissimo 13 20 25 24 2,50 30 16 8 30 23 28 14 6,50 4 N 55. Due mezze tende d’indiana stampate a colore, un piccolo tappeto ————————L 6.156,50 // Somma contro L 6.156,50 di colore cedrato verde, e una tenda di cotona rigata verde, il tutto logore 5 Sala manger N 41. Un tavolo di noce quadrilongo con gambe intornite, cassetto, con sopra tappeto di lana, tre scranni di noce con sedile di ————————L 5.912,50 // Somma retro L 5.912,50 N 42. Un girarosto alla francese, otto bonetti di rame, ed un bronzino con suo pestello di bronzo N 47. Due piccole fodrette e lenzuoli di tela lino, una coperta di lana bianca, due copertine di stoppa e cotona colorata logore 31 Stanza del domestico Pietro N 40. Una cassa, una scala a pertica, un porta mantello al muro, tutto di pecchia canna, tre scranni coperti di pelle sagoma diversa, un portamantello di noce a colonna, un’aspa pure di noce, un piede di braciera di pecchia Nella stanza della domestica N 46. Un sofà di noce a sbarretta, pagliariccio di tarlice rigato bianco e bleu, un materazzino e cuscino di lana con fodera diversa N 57. Due piccole traponte d’Indiana stampate a colori, una piccola coperta di molettone di filorello bianca, due piccole coperte di filorello colorate logorissime N 58. Un sacchetto continente libbre 4 1/2 lino, e altro sacchetto continente lino libbre 3 1/2 spinato Cucina N 59. Un tavolo di noce quadrilongo con gambe legate; altro tavolo pure di noce con doppio coperto; una piccola cardenza a due ante, tre scranne di noce coperte in pelle N 60. Due catene per cammino, paracenere, una molla e palla, un fornello con tostino, un scaldino, due tripiedi, una gratirola, una stadera a mano, una graticola, una rampinera, una mescola, un forchettone per la carne N 61. Una lucerna di ottone, altra lucerna di lata con campana di vetro smerigliata, tre candellieri plaché, due detti di ottone, altro detto di peltro, un ferro di sopresso con due anime e pochi oggetti di lata N 62. Tre caldaie con coperto, un pairolo, due sidellini, cinque cagirole con suo coperto, una tortiera, un crivello, la lecarda, altra tortiera, un cadino, due padellini per friggere, due cioccolattaie, una cafettiera, un scaldaletto ed una braciera, il tutto di rame; in tutto di libbre 98 a centesimi 75 5 8 15 7 8 9 12 73,50 339 APPENDICE N 63. Un cadino di peltro N 64. Una caponnaia, una ranca, un telaio per pendere il rame, tutto di pecchia; un masnatoio di noce con tazza di peltro, uno scranno logorissimo 1,50 7 Stanza di ripostiglio N 65. Una cassa di pecchia con coperto, un fusto di caminiera di legno dolce inverniciato color bianco, una lastra di lamera ferro, una stuffa, una poltrona di noce a gabriole con cuscino e schenale di pelle, ————————L 6.302,50 // Somma retro L 6.302,50 due lampade di ferro e lata, e tre scranni diversi logorissimi Gabinetto N 66. Una tavoletta di noce impelliciata a colore, un tavolo di noce ad una sol gamba intornita, un fusto di sofà a divano N 67. Un bidé di noce con recipieno di terraglia; una canna di cristerio di peltro; una piccola cafettiera di rame, ed uno scranno di noce in cannetta N 68. Un soppedaneo di paietta di quadretti trenta, logorissimo N 69. Una cartina montata rappresentante i bagni di Diana N 70. Due machinette di lata per caffè Sala N 71. Un tavolo di mogano ad una sol gamba intornito con guarnizione di ottone, sagoma tonda, con sopra pietra di marmo bradile del diametro di once 21 N 72. Canapé di mogano coperto con cuscini e schenale di casimiro color scarlatto imbottito di grino; cuscini volanti simili e sei scranni simili N 73. Sei scranni di noce con sedile di canna N 74. Un fusto di scranna mogano dorato N 75. Due mezzi cunini e una molla, e palle guarnite in ottone N 76. Due mezze tende di percallo guarnite; paneggiamenti simili; aste di legno con cime dorate; bachetta di ferro e chiodi romani N 77. Un busto di marmo rappresentante il ritratto del defunto sostenuto da pedestallo di noce N 78. Una pendola a piccola ripetizione con cassa di bronzo adorato rappresentante una figura; campana di vetro, pedestallo di legno nero N 79. Un piccolo lampedario di cristallo a quattro fiamme con tirante di ferro, con fusto di ottone N 80. Un soppedaneo di felpa di lana tessuta quadretti ottanta Stanza da letto del defunto N 81. Due piccoli cavaletti di ferro, tre asse di pecchia, il tutto inverniciato verde; pagliariccio di tela greggio 8 21 6 3 2 1,50 60 110 15 5 7 10 300 150 5 120 11 N 82. Due materazzini di lana, o grino, con fodera di mezettino bianco; ———————— 340 // L Somma contro 7.137 L 7.137 due cuscini di lana con fodera simile, ed un materazzino pure di lana con fodera colorata in peso libbre 125 a centesimi 55 N 83. Un piccolo materazzino di grino con fodero di cottona bianca e rosa N 84. Una piccola coperta di valì guarnita in frangia N 85. Una cocetta di scerasa con filetto, filetata1 ad oro con suo imperiale di ferro guarnito in ottone N 86. Un cumò di noce a tre casettoni con soprapietra di alabastro fiorito e due risoni simili N 87. Un tavolo rotondo a tre gambe con soprapiede di marmo bradile del diametro di once 15 N 88. Quattro scranni di noce con sopracuscino mobile coperto in velon di cottone verde e due poltrone simili N 89. Una caminiera con fusto di noce con luce di once 13 1/2 per 17 1/2 guasta N 90. Una lucerna a colonna di latta e ottone inverniciata con campana di vetro smerigliata N 91. Due gambe di ghisa guarnita in ottone con assa di noce per cammino con lastra di ottone; una griglia di filo ferro con telaio di noce N 92. Due mezze tende di percallo bianco guarnito in frangia, paneggiamenti simili; asta di legno con cime dorate, bacchetta di ferro e due chiodi romani d’ottone N 93. Una pendola a piccola ripetizione con cassa di ottone e figure adorate; campana di vetro, pedestallo di legno dorato2 N 94. Altra pendola a piccola ripetizione con cassa e smalto di ottone dorato, campana di vetro, pedestallo di legno dorato N 95. Soppedaneo di lana nero e cremes quadretti 80, logorissimo N 96. Quadro rappresentante il ritratto del defunto dipinto in tela con cornice di legno dorato2 68,75 30 10 30 60 20 30 12 10 12 10 150 130 20 20 Stanza attigua alla sudetta N 97. Un segreter di noce impelliciato a colori a tre ante 40 N 98. Un tavolo di mogano con gambe a piramidi a doppio coperto ———————— L 7.789,75 // Somma retro L 7.789,75 con copertura di panno verde N 99. Altro tavolo di noce con doppia coperta con casetto e lettorino N 100. Un tavolino quadrilongo di noce con gambe a piramide, una tavoletta pure di noce a mezza colonna con luce e capitello di ottone e specchio interno N 101. Sei scranni di noce con sedile di canna, un portacadino di 18 20 10 I N V E N TA R I O ferro dorato con cadino di terraglia, ed un bilancino per denari con pesi e cassa di noce N 102. Una molla e palla di ferro guarnita in ottone, un soffietto, una spazzola, un pareacqua coperto di seta N 103. Un cumò di noce con sopra pietra di marmo N 104. Un piumino coperto di seta verde, due tappeti di lana e strazza di seta colorata; altro tappeto di ciscasso tessuto a colori N 105. Una caminiera con fusto di pecchia inverniciato nero, con guarnizione di legno dorato con luci di once 14 per once 17 N 106. Due candellieri di ottone dorati, due cannochiali con fusto d’avorio e acciaio, una tazza con coperto, un tondo, una zucheriera con coperta, una chicchera con suo tapino in tutto di porcellana in oro, una coppa per caffè nero di porcellana nostrana, due frezani ed un bicchiere di cristallo N 107. Uno specchio sagoma ovale a doppia luce con cornice di legno nero, un astuccio di cartone coperto di marocchino cremes contenente due resori con manico d’osso bianco, con cucchiale ed un forchetta, un bicchere ed uno scattolino, uno spazzettino pe’ denti tutto d’argento N 108. Un astuccio di pelle color pulice contenente oggetti per la toalette ed una scatola d’argento N 109. Una borsa da viaggio di canevas rigata a colore N 110. Un gabaré di lata inverniciata, una cafettiera, una zucheriera con coperto, una tettiera, il tutto plaché ed una compostiera con suo coperto di cristallo N 111. Un orologio al muro con cassa di legno nero guarnito in ottone di Germania a gran ripetizione 21 12 N 123. Undici coppe di caffè nero, una zuccherera, un brocca con cógoma, una tazzina, una tettiera, altre due coppe per il the, il tutto di porcellana filettata in oro 30 N 124. Una brocca e tre candellieri di plaquet 20 30 N 113. Un rouleau di noce con sei cassetti guarnito in ottone N 114. Un vestaio di noce a due ante fodrinate N 115. Un vestaio di pecchia inverniciato color mogano con cassetto nell’interno N 116. Cinque scranne di noce tinte nere con sedile di canna, una delle quali con cuscino di lana coperto di cottona colorata N 117. Quattro cartine montate rappresentanti paesaggi, con cornici di noce e vetro; altra cartina montata rappresentante ritratto con cornice simile N 118. Una sciatul di noce con specchio interno N 119. Dieci tondi di peltro a diverse grandezze, con bacile pure di peltro in peso libbre 27 a centesimi 50 N 120. Un fucile ad una sol canna con acciarino romano N 121. Una valisa di pelle e due sciabole 8,80 N 127. Braccia 24 tela lino e stoppina, alta once 14 a centesimi 75 N 128. Braccia 13 tela russa rigata color cenere e nero, centesimi 50 35 3 12,75 35 5 N 134. Braccia 30 tela3 lino in tre cavezzi, alta once 15 centesimi 80 N 135. Braccia 22 tela lino alta once 17 // L 8.443,20 N 139. Braccia 22 1/2 tela lino e stoppina alta once 15 centesimi 80 N 140. Braccia 21 tela lino alta once 17 N 141. Braccia 26 tela lino e stoppina alta once 17 N 143. Braccia 60 tela canapé alta once 13 greggia 5 18 ————————L 8.443,20 N 138. Braccia 24 tela lino alta once 16 a centesimi 80 35 N 144. Braccia 50 tela biarana a centesimi 20 N 145. Braccia 3 tela crina nera N 146. Una tovaglia e dodici mantini di fiandra N 147. Braccia 6 tela di Germania operata 6 N 148. Tre mantini di tela operati a dama 3 N 149. Una piccola fodera di mezzettino di materazzo logoro 13,50 5 5 24 9,20 Somma retro N 142. Braccia 21 tela lino alta once 17 19 22 N 136. Braccia 24 tela lina e stoppina centesimi 80 15 30 4 N 133. Braccia 19 tela lino, alta once 17 10 6,50 8,50 N 131. Braccia 25 1/2 scirten, alto once 9 a centesimi 50 N 137. Braccia 18 tela lino alta once 17 18 8 N 130. Braccia 17 percallo bianco, alto once 23 a centesimi 50 N 132. Braccia 8 detto in due pezzi 26 40 11,20 N 126. Braccia 16 tela stoppa, alta once 14 centesimi 55 N 129. Braccia 16 tela stoppa, alta once 15 a centesimi 50 30 3 8 N 125. Braccia 14 tela lino, alta once 14, centesimi 80 al braccio N 112. Un cumò di pecchia impelliciato a tre casettoni con pancia ———————— L 8.089,75 // Somma contro L 8.089,75 con manette di ottone N 122. Un cabaret di lata inverniciata, sagoma ovale; una cioccolattiera di rame, altra cioccolattiera di lata N 150. Dodici posate complete di plaquet, ed un porta amolino simile ed un cucchialone N 151. Due bosie plaquet, due brazzadelli di ottone, una mocchirola d’acciaio 19,20 18,24 21 21 21 11 15 3 10 3 3 2 40 7 341 APPENDICE N 152. Duecento venti tondi di posata inglese, 18 detti portata, 16 fruttiere ed 8 insalattiere; 8 altre fruttiere più piccole N 153. Due catini, una4 cassirola di terra e due coppe per the di porcellana smerigliate a color oro N 154. Libbre 30 zucchero in pane N 155. Cinque tovaglie di grandezza mezzana e dodici mantini di tela lino e stoppina operata a piccola dama N 156. Due spallini, un porta sciabol d’argento e pochi bottoni di metallo N 157. Undici cucchiali, 15 forchette, 13 manichi di coltello, il tutto di argento digitto in peso di once 53 a L 6 N 158. Due tondi e sei cucchialini per caffè d’argento controllato in peso di once 36 1/2 a L 6,25 N 159. Rottamo d’argento once 36 1/2 N 160. Numero quarantadue medaglie d’argento a diverse grandezze once 64 L 6.25 N 161. Numero 13 medaglie di rame N 163. Una marsina di velluto, una gippa di stoffa di seta, altra gippa ricamata di seta ed oro, ed una spada d’acciaio 8 15 36 4 318,00 228,12 20 400 15 24 ———————— L 9.904,76 Somma contro L 9.904,76 N 164. Una tabacchiera d’oro smaltata in peso di denari 33 L 3,50 N 165. Altra tabacchiera d’oro di denari 46 L 3 N 166. Altra tabacchiera d’oro smaltata in peso di denari 98 L 3,25 N 167. Altra tabacchiera d’oro in peso di denari 82 L 3,50 N 168. Altra tabacchiera in peso di denari 74 a L 3,50 N 169. Altra d’oro smaltata N 170. Altra scattola di granito orientale con cerchi d’oro e mosaico N 171. Tabacchiera di carta pista con l’interno d’oro, calcolata in 2/3 d’oro denari 45 a L 3 N 172. Tre tabacchiere di radica con tableau N 173. Una scattola d’argento dorata all’interno, di peso denari 60 N 174. Altro di diaspro orientale verde N 175. Una spilla d’oro con brillanti N 176. Due anelli d’oro basso, uno de’ quali guarnito in perle N 177. Un orol[o]ggio da tasca smaltato N 178. Una ripetizione da tasca d’oro con catenella e sigillo N 179. Una ripetizione d’argento con calotta di ottone 342 129 20 N 162. Una bacila plaquet // N 180. Un orologio da tasca di princi […] 115,50 138 318,50 6 N 181. Altro per donna con tableau 8 N 182. Oncie tre argento bruciato N 183. Cinque borsini diversi, due dei quali ricamati in oro fino N 184. Tre forbici d’acciaio N 186. Un cordone di seta con fermaglia d’oro ed anellino d’oro N 187. Braccia 38 tela renz[a] in due cavezzi a centesimi 60 21 N 190. Braccia 33 tela forastiera a centesimi 60 N 191. Numero dieciasette fazzoletti tela stampata a colore, due detti di giaconet, altro di folar, altro detto di giaconet colorato N 192. Sette paia calze di seta bianca ed un paia e 1/2 calze di seta colorate nuove Somma retro N 195. Un camino di molèra antico ed un cassabanco di pecchia N 196. Cinque camini di marmo a L 40 cadauno N 197. Un somero di rovere di braccia 6 inservibile N 199. Altri due finimenti guarniti in ottone completi 120 N 200. Due finimenti mancanti le braghe guarniti in plaquet 150 N 201. Un finimento per cavallo mancante come sopra idem 15 60 8 48 25 21,00 L 11.905,61 N 194. Una cassetta con assa ed una zappa per la calcina 259 16 18,15 5 ———————— L 11.905,61 N 198. Due finimenti non completi logorissimi 15 1 8,80 N 189. Braccia 70 scirten in tre cavezzi a centesimi 30 287 135 6 20,90 N 188. Braccia 16 detta in due cavezzi centesimi 60 // 5 2 N 185. Quattro tabacchiere di radica e pastiglia N 193. Poco rottame di sassi e medone 18 N 202. Sei restelli fissi al muro ed un cavaletto di pecchia N 203. Una carrozza a quattro ruote con molle alla polig[o]nale e assale di ferro con canne e guarnizioni di bronzo; due fanali inverniciati color fumait con quattro cuscini nell’interno con fodera di panno e seta bleu N 204. Altra carrozza a quattro ruote con molle come sopra, canne e guarnizione di bronzo; due fanali inverniciati color pulice e filettati color cremes; quattro cuscini nell’interno, e fodera pure nell’interno coperta di panno color simile N 205. Due secchie ferrate, un tridente ed una marnetta di pecchia 125 N 206. Due cavalli bai femmine, uno di quattro anni 5 e l’altro di anni 5 con coda intiera senza diffetto 25 N 207. Tre colonne di braccia 2 once 10 cadauna ottagona, undici 2 15 200 7,50 12 60 40 20 4 600 1.000 3 1.200 I N V E N TA R I O capitelli a mesola di vivo per uso di deporre vasi di fiori N 208. Un camino di marmo inservibile, tre parafumi per camino di ferro N 209. Sei ferriate di filo ferro 10,00 20 N 210. Rottami di ferro circa due centinaia 40 N 211. Una lastra di rame con reggia di ferro N 212. Nove canne di ghisa, due pezzi di canone lamera ferro, ed un piccol pezzo di canone simile N 213. Due cavalletti di pecchia ad uso fabbrica, ed un piccol uscio pure di pecchia N 214. Un antiporto di pecchia con suo stipite pure di pecchia N 215. Nove vasi di terra assortiti contenenti piante di limone // 20 8 14 7 5 50 ———————— L 15.243,11 Somma contro L 15.243,11 N 216. Due vasi pure di terra contenenti piante di martelletta, tre detti limonzina, e due detti leandro N 217. Sassanta vasi di fiori diversi N 218. Sei scalini di larice a vari piani per deporre fiori, tre scranni di larice inverniciate verde, una piccola vanga e due badili N 219. Tre gradini ad un pezzo di sasso N 220. Una caretta a mano ad una sol ruota N 221. Una scala a pertica, tre scale a mano, due cavaletti, una barella, vari legnami per uso di fabbrica ed una trapola N 222. Perrattami di medone e sassi N 223. Vari pezzi di asse di pecchia usate e 4 pezzi di scentene N 224. Vari pezzi di marmo ad uso di pavimento, altri sassi diversi N 225. Due stanghe di ferro con una chiave, una ferriata e due guggie; il tutto di ferro N 226. Una stuffa a due pietre di ghisa N 227. Un camino di marmo di Carrara intagliato N 228. Quattro antini di pecchia per finestra con vetri, ma parte rotti N 229. Una macchinetta di ferro guarnita in ottone e canna di corda per servire ad adaquare il giardino N 230. Sette pezzi di lastra di sasso a diverse grandezze, ed un navello pure di sasso inservibile N 231. Quattro pestoni di vetro della tenuta di boccali 24 caduno N 232. Undici bottiglie di vetro oscuro con vino nostrano, centesimi 75 N 233. Altre bottiglie 27 di vino guasto, centesimi 40 18 30 18 5 2 30 5 20 20 26 15 40 3 N 234. Una moschirola pecchia con grilia di filo ferro N 235. Numero 128 bottiglie nere vuote N 236. Nel suolaio pervarie carte e libri fuori d’uso N 237. Due stuffe di cotto, una delle quali fuori d’usso, con canoni di ghisa e bocchette di lamera di ferro 3 34,50 35 15 Giuseppe Ottolini rigattiere perito confessa di aver stimato tuti li effetti come sopra, e firmato per memoria di [...] Bolutta. Lì, 22 aprile 1844.6 Sottoscritti Giuseppe Ottolini rigattiere perito, Luigi Fontana, Francesco Porta. // Seguono le firme: Antonio Porta, Giambattista Chiappa esecutore testamentario, Rinaldo Peschini testimonio, Francesco Pirotta testimonio. La presente copia è conforme all’originale presso di me esistente in bollo di classe. Luigi Fontana In adempimento del § 11 del testamento del defunto signor architetto cavaliere Luigi Canonica, l’erede universale signor Luigi Fontana fa consegna al signor Francesco Porta degli effetti lasciatigli a titolo di legato, e quali trovansi qui sopra descritti, eccettuati soltanto quelli indicati dai numeri 11, 12, 78, 93, 94, 111, 123, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 187, 188, 189, 190, 193, 194, 195, 196, 197, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 219, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 230, che, essendo promosse delle osservazioni sul punto a chi debbano spettare, questi ritengonsi in deposito tuttora presso l’erede sudetto, in promiscua custodia anche del signor Francesco Porta legatario, con dichiarazione che ad onta dell’attuale consegna e ricevimento di quanto sopra, tanto il signor Fontana nella sua qualità di erede, quanto il signor Francesco Porta qual legatario come sopra, non intendono di menomamente pregiudicarsi nelle rispettive ragioni, ed azioni che mai intendessero promovere sugli ogetti stessi. In fede di che si sottoscrivono Giambattista Chiappa esecutore testamentario Luigi Fontana Milano, 21 maggio 1844 Dietro amichevoli interposizioni prestate dal signor ragioniere Francesco Pirotta, essendosi adattato il signor Francesco Porta a presentare al signor Fontana alcuni degli oggetti sucontemplati, questo secondo acettandoli ha promesso di rinunciare, come rinuncia, a qualsiasi ulteriore pretesa quanto alle private osservazioni state promosse sugli effetti mobigliari che il signor Fontana // qual erede universale del defunto architetto cavalier Canonica dovea al legatario di essi signor Francesco Porta. Gli è quindi che firmando le parti la presente intendono: quanto al signor Porta di far quittanza ampia e libera a favore dell’erede signor Fontana de’ suddetti effetti che gli vennero integralmente dal medesimo consegnati; quanto poi al signor Fontana, di più nulla osservare e pretendere in merito ed ordine alle osservazioni e dispute promosse in via privata quanto all’adempimento del suddetto legato. Luigi Fontana erede 12,00 24,00 6,50 7,75 10,80 1. Segue adorato depennato. 2. Nel testo adorato con a depennata. 3. Tela in interlinea. 4. Una in interlinea su con depennato. 5. Nel testo anno. 6. Segue Riconos….. l’effetto conforme depennato. 343 APPARATI Bibliografia Indice del catalogo dell’opera Indice dei nomi Bibliografia L.B. Alberti, I dieci libri de l’architettura di Leon Battista de gli Alberti fiorentino, novamente da la Latina ne la Volgar Lingua con molta diligenza tradotti, [trad. it. di Pietro Lauro], appresso Vincenzo Valgrisi, Venezia 1546. S. Serlio, Libro primo [-quinto] d’architettura, di Sebastiano Serlio bolognese, nel quale con facile & breue modo si tratta de primi principij della geometria. Con nuoua aggiunta delle misure che seruono a tutti gli ordini de componimenti, che ui si contengono, appresso Francesco Senese, & Zuane Krugher Alemanno compagni, Venezia 1566. S. Serlio, Libro estraordinario di Sebastiano Serlio bolognese. Nel quale si dimostrano trenta porte di opera rustica mista con diuersi ordini: & uenti di opera dilicata di diuerse specie con la scrittura dauanti, che narra il tutto, appresso Francesco Senese, & Zuane Krugher Alemanno compagni, Venezia 1566. E. Du Pérac, I vestigi dell’antichità di Roma raccolti et ritratti in perspettiva con ogni diligentia, appresso Lorenzo della Vaccheria, Roma 1575. J. Besson, Il theatro de gl’instrumenti & machine di M. Iacopo Bessoni, mathematico de’ nostri tempi eccellentissimo, Con una brieve necessaria dichiaration dimostrativa, di M. Francesco Beroaldo. Su tutte le figure, che vi son comprese, nuovamente di Latino in volgare Italiano tradotto & di moltissime additioni per tutto aummentato & illustrato per Signor Giulio Paschali messinese, per Barth. Vincenti, Lyon 1582. O. Panvinio, De ludis circensibus, libri II. De triumphis, liber unus. Quibus uniuersa fere Romanorum veterum sacra ritusque declarantur, ac figuris aeis illustrantur, apud Ioannem Baptistam Ciottum senensem, Venezia 1600. G. Lauro, Antiquae Urbis Splendor. Opera et industria Iacobi Lauri Romani in aes incisa atque in lucem edita. Addita est brevis quaedam et succinta imaginum explicatio, 3 voll., appresso Giacomo Mascardi, Roma 1612-1615. V. Scamozzi, L’Idea dell’architettura universale, 2 voll., presso l’Autore, Venezia 1615. F. Perrier, Icones et segmenta illustrium e marmore tabularum, quae Romae adhuc extant, a Francisco Perrier delineata, incisa, et ad antiquam formam lapideis exemplaribus passim collapsis restituta, s.n., Roma-chez la veuve de deffunct Mons. Perier, Paris 1645. J. Milton, Paradise Lost. A Poem written in Ten Books, printed and are to be sold by Peter Parker [et. al.], London 1667. A. Desgodetz, Les édifices antiques de Rome dessinés et mesurés très exactement, chez Jean Baptiste Coignard, Paris 1682. G.G. De Rossi, Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque a celebrioribus architectis inventi nunc tandem suis cum plantis ac mensuris a Io. Iacobo de Rubeis in lucem editi, [Io. Iacobo de Rubeis], [Roma] 1684. L. Savot, L’architecture françoise des bastimens particuliers, Composee par M.e Louis Savot. Augmentée dans cette seconde édition de plusieurs figures, & des notes de Monsieur Blondel de l’Academie Royale des Sciences, chez la Veuve & C. Clouzier, Paris 1685. P. Bellori, Veteres arcus Augustorum triumphis insignes ex reliquiis quae Romae adhuc supersunt cum imaginibus triumphalibus restituti antiquis nummis notisquae Io. Petri Bellorii illustrati nunc primùm per Io. Iacubum de Rubeis aeneis typis vulgati, ad templum S. Mariae de pace [Giovanni Giacomo de Rossi], Io. Iacobus De Rubeis, Romae 1690. R. Fabretti, De columna Traiani syntagma. Accesserunt Explicatio veteris tabellae anaglyphae Homeri Iliadem atque ex stesichoro Arctino et Lesche Ilii excidium continentis et emissarii lacus Fucini descriptio, ex typographia Ioannis Francisci de Buagnis, Roma 1690. B. Lamy, Traité de perspective, où sont contenus les fondements de la peinture. Par le R.P. Bernard Lamy …, chez Anisson, Paris 1701. J.-L- De Cordemoy, Nouveau traité de toute l’architecture, chez Jean-Baptiste Coignard, Paris 1706. S. Maffei, Degli anfiteatri e singolarmente del veronese libri due ne’ quali e si tratta quanto appartiene all’Istoria, e quanto all’Architettura, per Giovanni Alberto Tumermani, Verona 1728. M. Lucchese, Riflessioni sulla pretesa scoperta del sopraornato toscano espostaci dall’Autore dell’opera degli anfiteatri, e singolarmente del Veronese. Fatte da Matteo Lucchese architetto veneziano ed esposte all’eccellenza del signor Michele Morosini amplissimo senatore, presso Stefano Monti, Venezia 1730. S. Latuada, Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche piu cospicue, che si trovano in questa metropoli, raccolta ed ordinata da Serviliano Latuada sacerdote milanese, 5 voll., nella regio-ducal corte, a spese di Giuseppe Cairoli mercante di libri, Milano 1737-1738. A. Palladio, Architettura di Andrea Palladio vicentino. Di nuovo ristampata, e di figure in rame diligentemente intagliate arricchita, corretta, e accresciuta di moltissime fabbriche inedite; con le osservazioni dell’architetto N.N. [Francesco Muttoni] e con la traduzione francese, 8 voll., appresso Angiolo Pasinelli, Venezia 1740-1748. G. Galilei, Le operazioni del compasso geometrico, e militare. Di Galileo Galilei nobil fiorentino lettore delle matematiche nello studio di Padova. Con le annotazioni di Mattia Bernaggieri, nelle stampe di Francesco Agnelli, Milano 1741. F. Muttoni, Architettura di Andrea Palladio Vicentino. Nella quale sono ridotte in compendio le Misure, e le Proporzioni delli Cinque Ordini di Architettura dal medesimo insegnate, ed anche da molti altri Autori, e tratte da Fabbriche Antiche, raccolte, e date in luce dall’architetto N.N. [Francesco Muttoni] di Vicenza e con la traduzione francese, appresso Angiolo Pasinelli, Venezia 1741. C.-E. Briseux, L’art de bâtir des maisons de campagne, où l’on traite de leur distribution, de leur construction et de leur décoration, 2 voll., chez Prault pere, Paris 1743. A.-J. Dezallier d’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage, où l’on traite à fond des beaux jardins appelés communément les jardins de plaisance et de propreté. Avec les pratiques de géométrie nécessaires pour tracer sur le terrein toutes sortes de figures. Et un traité d’hydraulique convenable aux jardins, 4e éd. rev. et corr., chez Pierre-Jean Mariette, Paris 1747. 347 A P PA R AT I Vitruvius Pollio, L’architettura generale di Vitruvio ridotta in compendio dal Sig. Perrault dell’Accademia di Scienze di Parigi, ed arricchita di tavole in rame, nella Stamperia di Giambattista Albrizzi q. Gir., Venezia 1747. la stessa città, appresso Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore, Milano 1771. B. Orsini, Della geometria e prospettiva pratica di Baldassarre Orsini, 3 voll., per Benedetto Franzesi, Roma 1771-1773. G. Borra, Trattato della cognizione pratica delle resistenze geometricamente dimostrato dall’architetto Giambatista Borra ad uso d’ogni sorta d’edifizi, coll’aggiunta delle armature di varie maniere di coperti, volte, ed altre cose di tal genere, nella Stamparia reale, Torino 1748. W. Chambers, A Dissertation on Oriental Gardening, W. Griffin, London 1772. F. Milizia, Del teatro, per Arcangelo Casaletti, Roma 1772. G. 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Institutions, pratiques professionnelles, questions culturelles et stylistiques (1795-1815), Mendrisio Academy Press, Mendrisio-Silvana Editoriale, Milano 2011. 370 Indice del catalogo dell’opera Bellagio (Como) Villa Melzi, giardino 257 Bergamo Palazzo Vertova Brentani 173 Cremona Cattedrale, portico 234 Teatro della Concordia, Ponchielli 206 Besate (Milano) Villa Visconti di Modrone 259 Cuggiono (Milano) Basilica di San Giorgio 230 Palazzo Beolchi 189 Villa Annoni, giardino 263 Biumo (Varese) Villa Menafoglio, Litta Visconti, Panza di Biumo 262 Desio (Milano) Villa Lecchi Greppi 267 Bologna Chiesa di Santa Lucia 239 Università, Teatro Chimico e Botanico 42 Genova Santissima Annunziata del Vastato 236 Teatro Carlo Felice 215 Brescia Chiesa dei Santi Nazaro e Celso 234 Palazzo Bargnani 58 Teatro Grande 208 Imbersago (Lecco) Chiesa di San Marcellino 229 Busto Garolfo (Milano) Villa Rescalli Bellotti Villoresi, giardino 269 Carciano (Verbania) Scuderie Borromee 258 Cassago Brianza (Lecco) Villa Visconti di Modrone 261 Cassino Scanasio, Rozzano (Milano) Castello Visconti di Modrone 266 Castiglione delle Stiviere (Mantova) Teatro Sociale 217 Cernusco sul Naviglio (Milano) Villa Biancani Greppi 268 Cinisello Balsamo (Milano) Cascina Rabina 142 Colà, Lazise (Verona) Villa dei Cedri, Miniscalchi 256 Como Chiesa della Santissima Annunziata detta del Santissimo Crocifisso 232 Dogana 44 Municipio, Arco trionfale per Francesco I 117 Villa Olmo, giardino 265 Teatro Sociale 213 Villa Kevenhüller Visconti di Modrone, D’Adda Parravicini 261 Isola Bella (Verbania) Palazzo Borromeo, Porto Isolano 260 Lainate (Milano) Villa Borromeo Visconti Litta 260 Lodi Tribunale e Carceri 61 Macherio (Milano) Casa Greppi alla Maldura 259 Mantova Teatro Sociale 213 Milano Albergo della Gran Bretagna 176 Appartamento di Cesare Roma 172 Arco provvisorio, Festa per la Capitolazione di Mantova 109 Arena 84 Armeria Nazionale 30 Ateneo e Bazar 96 Broletto [Palazzo Carmagnola] 42 Camera di Commercio 57 Casa Agnesi 169 Casa Appiani 176 Casa Bianchi 174 Casa Cagnola 178 Casa Canonica 176 Casa Kramer 178 Casa Saroli 189 Casa Visconti alla Vettabia 188 Casa Visconti di Modrone, contrada dell’Agnello 188 Casa Visconti di Modrone, contrada delle Asole 190 371 A P PA R AT I Casa Tarasconi 173 Casa Negri, giardino 265 Casa del conte Coca 172 Casino Rota sul Naviglio di Porta Nuova 169 Castello Sforzesco 81 Castello Sforzesco, Rocchetta 31 Chiesa di San Carlo al Corso 239 Chiesa di San Celso 234 Chiesa di San Giorgio al Palazzo 234 Chiesa di San Giovanni in Conca 56 Chiesa di San Giuseppe, facciata 232 Chiesa di San Gottardo 230 Chiesa di San Lorenzo, Colonne 58 Chiesa di San Sebastiano 28 Chiesa di Santo Stefano Maggiore 237 Chiesa di Santa Maria alla Porta, pulpito 234 Chiesa di Santa Maria del Giardino 96 Chiesa di Santa Maria della Rosa 29 Chiesa di Santa Maria in Brera vedi Palazzo di Brera 25 Chiesa di Santa Maria presso San Celso, altare maggiore 235 Chiesa di Santa Maria presso San Celso, tiburio 238 Chiesa di Santa Maria presso San Satiro 231 Chiesa e casa professa di San Fedele 26 Chiesa e convento di San Francesco Grande 28 Chiesa e convento di Sant’Antonio 31 Chiesa e monastero di San Paolo Converso 57 Chiesa e monastero di San Vincenzino 41 Chiesa e monastero di Sant’Apollinare 30 Chiesa e monastero di Santa Sofia 30 Chiesa e monastero di Santa Margherita 32 Chiesa e monastero di Santa Maria della Passione 44 Chiesa e monastero di Santa Prassede 31 Chiesa e orfanotrofio di San Pietro in Gessate 25 Collegio di San Girolamo 42 Convento di San Damiano alla Scala 26 Convento dei Trinitari, già Santa Maria di Caravaggio 42 Corsia dei Servi, rettifilo 96 Duomo, facciata 229 Duomo, apparati per l’incoronazione di Napoleone 113 Foro Bonaparte 79 Foro Bonaparte, Festa della Fondazione della Repubblica 112 Foro Bonaparte, Festa per la Pace 111 Foro Bonaparte, Festeggiamenti per l’incoronazione di Napoleone 113 Giardini Pubblici 28 Giardini Pubblici, Cerimonia funebre in onore dei soldati francesi morti 110 Giardini Pubblici, Festa della Fondazione della Repubblica 112 Giardini Pubblici, Festa per la presa del Castello 109 Giardini Pubblici, Festeggiamenti per l’incoronazione di Napoleone 113 Insegne nobiliari, eliminazione 26 Lazzaretto, Festa della Federazione Cisalpina 109 Loggia degli Osii 60 Manifattura dei Tabacchi 43 Ménagerie e Jardins des Plantes 94 Monte di Santa Teresa 32 Ospedale Maggiore 28 Paggeria Reale 57 Palazzo Arese Litta, giardino 264 Palazzo Antona Traversi, già Anguissola 186 Palazzo Brentani Greppi 182 Palazzo Candiani 171 Palazzo Clerici 58 Palazzo D’Adda 174 Palazzo dei Giureconsulti 31 Palazzo dei Tribunali 31 Palazzo dei Luoghi Pii 30 Palazzo del Senato 37 372 Palazzo del Senato, Festa per l’anniversario dell’Incoronazione 116 Palazzo dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo 191 Palazzo di Brera 25 Palazzo di Giustizia e Carceri 27 Palazzo di Governo 41 Palazzo di Diotti vedi Palazzo di Governo 41 Palazzo Cicogna 262 Palazzo Bovara 40 Palazzo Greppi, contrada Sant’Antonio 179 Palazzo Melzi, giardino 257 Palazzo Orsini 171 Palazzo Perego di Cremnago, giardino 180 Palazzo Perego, Borgo Nuovo 186 Palazzo Porcari 172 Palazzo Porro Lambertenghi 181 Palazzo Reale 44 Palazzo Resta 172 Palazzo Visconti di Modrone, contrada della Cerva 169 Piazzale Loreto, ingresso di Francesco I 117 Porta Marengo 90 Porta Orientale, Festa per il ritorno dei prigionieri politici 111 Porta Romana, Arco provvisorio eretto per l’ingresso di Napoleone 115 Porta Ticinese, Arco provvisorio eretto per l’ingresso di Napoleone 112 Porta Vercellina 92 Seminario della Canonica 27 Seminario Maggiore 26 Teatro alla Canobbiana 211 Teatro alla Scala 204 Teatro Carcano 201 Teatro Patriottico, Filodrammatici 201 Teatro Re 210 Tribunale criminale, archivio 40 Vicolo San Bernardino 26 Villa Belgioioso, Bonaparte, Reale 32 Zecca 31 Monticello Brianza (Lecco) Villa Arrigoni, Greppi Villa Nava 260 258 Monza Caserma del Quartiere vecchio 41 Regio Vivaio 133 Teatro ex Arciducale, Sociale 203 Monza Villa e Parco Reale Cappella Reale 231 Cascina Bastia 146 Cascina Caimi (Lavanderia) 135 Cascina Casalta (Casaglia) 143 Cascina Cattabrega 145 Cascina Cernuschi (dell’Ospedale) 141 Cascina Colombirolo 142 Cascina Costa (delle Monache, Costa Alta) 146 Cascina Fontana (Lomagna) 148 Cascina Fornasetta 144 Cascina Frutteto 149 Cascina Gerona 148 Cascina Latteria 133 Cascina Lavanderia (Lavandaia) 137 Cascina Michelona 148 Cascina Monzina 144 Cascina Nuova 147 Cascina Pajrana 141 Cascina Passerina 143 Cascina Piotta 139 Cascina Rossi o Zoccorina 137 I N D I C E D E L C ATA L O G O D E L L’ O P E R A Cascina San Fedele 140 Casino del Roccolo 138 Cortile di ingresso 136 Fiume Lambro, chiuse 138 Fagianaia 139 Giardini Reali 131 Mulini Asciutti 145 Mulini di San Giorgio (Tognetti) 144 Mulini Valnera (Pagnone) 134 Mulino del Cantone 140 Ponte alla Cavriga e Ponte San Giorgio 143 Ponte di Valnera (delle Catene) 145 Porta su viale Cavriga (viale della Favorita) 139 Porta di Vedano e Villasanta 143 Serraglio dei Cervi 138 Teatro di Corte 208 Torre-belvedere 146 Trattoria133 Viale Milano-Monza 137 Villa Mirabellino, Augusta, Amalia 135 Villa Mirabello 134 Villa Reale 35 Morbegno (Sondrio) Pretura e Carceri 61 Novara Teatro Coccia 216 Pavia Orto botanico 40 Pusiano (Como) Emissario del lago 145 Seriate (Bergamo) Villa Vertova Ambiveri 255 Sesto San Giovanni (Milano) Villa e Cascina Pelucca 136 Sondrio Teatro Sociale, Pedretti 213 Tribunale e Carceri 61 Stra (Venezia) Villa Reale 51 Tagliamento, fiume Monumento per la battaglia del Tagliamento 115 Tesserete Chiesa di Santo Stefano, altare maggiore 239 Venezia Palazzo Reale 53 Vill’Albese (Como) Casino 258 Vimercate (Milano) Villa De Pietri, Sottocasa 266 373 Indice dei nomi Accum, Friedrich Christian 317 Acquisti, Luigi 88 Adam, James 292 Adam, Robert XLVIII, 292 Adamini, Tomaso XXV, XXXVI Addison, Joseph 241, 251 Agliardi, famiglia 251 Agliati, Carlo 320 Agnelli, Antonio 217 Agnesi, Gaetana 184 Agnesi, Maria Gaetana 167 Agrati, Giovanni 242 Albani, principessa 280 Alberici, Clelia 96, 336 Alberti, Leon Battista 87, 314 Albertolli, Ferdinando 233, 239 Albertolli, Giacomo XL, XLI, XLII, 4, 25, 39, 44, 75, 79, 115, 174, 184, 204, 230, 233, 239, 257 Albertolli, Giocondo XXXIII, XXXV, 4, 5, 66, 75, 76, 103, 153, 157, 222, 245, 247, 271, 274, 294, 303, 309, 334 Albertolli, Raffaele 131, 122 Aldini, Giovanni 317 Alemagna, commissario 25 Alemagna, Alberto 14, 23 Alemagna, Emilio 279 Alessandro I di Russia 253, 294 Alessandro Magno 287 Alfieri, Benedetto 196 Alfieri, Vittorio XLVIII Algarotti, Francesco XXXIII, 317 Amadeo, Giovanni Antonio 154, 238 Amalia Augusta di Baviera, vedi Augusta Amalia di Baviera Amati, Carlo XLII, L, 99, 134, 154, 161, 166, 191, 202, 203, 211, 219, 226, 230, 233, 239, 246, 301, 334 Ambiveri, Elisabetta 255 Ambiveri, Giovanni 255 Ambrosoli, parroco 234 Andreani, Aldo 262 Andreani, Paolo L Andreoli, Antonio Luigi 6, 16, 31, 32, 35, 337 Anguissola, Antonio Carlo 182, 186 Anguissola, famiglia 186 Annone, Emilio 113, 114 Annoni, Alessandro 204, 205, 263, 264, 280, 282, 283 Annoni, Antonio 237 Annoni, famiglia L Annoni, Gian Pietro 263 Antolini, Filippo 239 Antolini, Giovanni Antonio XXII, XXXIV, XXXV, XLII, XLIV, XLV, XLVIII, XLIX, LII, LIII, 6, 10, 13, 14, 20, 21, 52, 53, 54, 55, 56, 63, 64, 66, 70, 73, 79, 80, 81, 82, 84, 85, 87, 90, 91, 92, 104, 153, 197, 248, 296, 298, 299, 301, 335 Antona-Traversi, famiglia 279 Antoni, Antonio de 232 Antonietti, primo cacciatore 128 Appiani, Andrea XVIII, XIX, XXII, XXV, XXXIII, XXXIX, XL, XLI, XLII, XLVII, XLVIII, LII, 5, 6, 18, 19, 21, 22, 34, 44, 45, 47, 71, 79, 85, 88, 108, 109, 110, 111, 112, 114, 167, 176, 184, 204, 205, 231, 238, 287, 289, 306 Archinto, famiglia 274 Arese, Bartolomeo 264 Arganini, Gerolamo 154, 166, 172, 175 Ariosto, Ludovico 244 Aristotele XXVII Arnaldi, Enea 316, 317 Arrigoni, Galeazzo 258 Arrigoni, Paolo 96, 262 Arrigoni, Pietro 262 Asburgo d’Austria, famiglia 6 Aspari, Domenico XXXIII, XL, XLI, 6, 73, 110, 154, 165 Astesani, parroco 231 Augusta Amalia di Baviera 35, 36, 52, 75, 135 Augusto Caio Giulio Cesare Ottaviano 287 Aureggi, Giovan Battista 265 Aversperg in Hoff, principe 43 Azzi Visentini, Margherita XXI, XXX, XXXV, XXXVII, 241 Baczko, Bronislaw 101 Bagetti, Giuseppe Pietro XVII Baltard, Louis-Pierre 290 Baltrušaitis, Jorgis XXX Balzac, Honoré de XXXVI, 153, 154 Balzaretto, Giuseppe 171, 262 Balzarini, Pietro 170 Banchini, famiglia 313, 333, 334, 337 Barabino, Carlo XLIV, 63, 66, 79, 196, 215, 216, 236 Barberi, Giuseppe 63, 66, 68, 69, 70, 71, 75, 76, 94, 95, 96, 299, 301 Barbiano di Belgioioso, Emilio 25 Barbiano di Belgioioso, Ludovico 4, 32, 127, 243, 245, 248 Barbieri, Gian Domenico 207 Barbò, famiglia 178 Barca, Alessandro 250 Bareggi, Giovanni 89 Bargigli, Paolo 10, 14, 63, 66, 70, 79, 111, 112 Bargnani, Cesare 58 Bargnani, famiglia 58, 59 Bargnani, Gaetano 58 Bargnani, Gelfino 58 Bargnani, Giovanni Francesco 58 Bargnani, Luigi 58 Barioli, Ambrogio 85 Baroggi, Ignazio 177 Barthes, Roland XXXII, XXXVII Bartoletti, Alessandro 282 Bartoli, Cosimo 314 Bartoli, Pietro Santi 316 375 A P PA R AT I Bascapè, Giacomo 93, 172, 175 Bassi, Martino 260, 316 Beatrice d’Este 247 Beauharnais, Eugenio di XX, XXII, XXXI, XXXVII, XLIV, XLV, XLVIII, LII, LIII, 17, 19, 25, 29, 34, 35, 36, 37, 44, 45, 47, 48, 52, 53, 54, 58, 64, 66, 68, 69, 71, 74, 75, 76, 84, 87, 88, 92, 94, 95, 115, 116, 117, 120, 123, 124, 127, 128, 131, 132, 133, 135, 136, 139, 142, 203, 204, 208, 245, 258, 337 Beauharnais, Joséphine di 19, 75, 113, 127, 129, 252, 302 Beccaria, Annibale 82 Beccaria, Cesare 167, 184 Bélanger, François-Joseph 292, 303 Belgioioso, Barbara 283 Bellegarde, Heinrich de 36, 50 Bellemo, Francesco 135 Belloni, custode 33 Bellori, Giovanni Pietro XXXVI Bellotti, famiglia 274 Bellotti, Gaetano 5, 23, 33, 269 Bellotti, Pietro 269 Bellotto, Bernardo 64 Benedetto XIV, papa (Prospero Lambertini) 220 Benjamin, Walter XXXIII Benoît, François 303, 304 Bentivoglio, Annibale, 43 Benzoni, Carlo 180 Benzoni, Gerolamo 180 Benzoni, Ludovico 279 Benzoni, Natale 279 Beolchi, Geltrude 189 Berenzi, Vincenzo 195, 209 Beretta, Daniela Simona 183, 186 Bergonzoli, Gaetano 191 Bergossi, Riccardo 167 Berlendis, Giovanni 255 Bernabò, Stefano 234 Bernasconi Reusser, Marina 333 Bernasconi, Francesco 23, 36 Bernini, Gian Lorenzo 313 Bertani, economo 232 Berthault, Louis Martin 127, 129 Bertina, 277 Bertolazzi, aiutante del conservatore dei mobili 53 Bertoliatti, Francesco LI Bertotti Scamozzi, Ottavio 313, 314, 316 Besana, ingegnere 9, 28 Besia, Gaetano 191, 237, 239 Besson, Jacques 317 Bettinelli, Saverio 243 Bettoli, Nicola L, LIII, 198, 242 Bevilacqua, Carlo 52 Biancani, Giulio Antonio 268 Bianchi 42 Bianchi, Carlo 57, 174 Bianchi, Giuseppe 262 Bianchi, Isidoro 243 Bianchi, Pietro 221, 227 Bianchi D’Adda, Giovanni Battista 30, 81 Bianconi, Carlo XXXIX, XL, XLII, LI, 4, 156, 171, 271 Bianconi, Giovanni Lodovico XXVI, XXVII, XXXIX, 14, 19, 86, 316 Birmann, Peter 246 Biver, Marie-Louise 288 Blondel, Jacques-François 63 Boifava, Barbara 333 Bonaparte, famiglia 110, 307 Bonaparte, Letizia 32 Bonfanti, Antonio 79, 82 376 Bonnet, Jean-Claude 304 Bonomini, Vincenzo Paolo 255 Bonpland, Aimé-Jacques-Alexandre 129, 252 Bonsignore, Ferdinando 216, 292, 306 Bonsignori, canonico 113 Bordiga, Benedetto 8 Borra, Giovanni Battista XXX, XXXVII Borromeo, Carlo 37 Borromeo, famiglia L, 259, 274 Borromeo, Vitaliano 260 Borromeo Arese, Giberto 259, 260 Borromeo d’Adda, famiglia 180 Borsa, ingegnere aggiunto 61 Borsato, Giuseppe 52 Borsini Pestalozza, Bartolomeo 124, 125, 134, 135, 137, 138, 139, 141, 142, 143, 144, 146, 147, 148 Bosi, Stefano XXXV, 21, 22 Bossi, Benigno 263 Bossi, Francesca 173, 255 Bossi, Francesco 42 Bossi, Giovanni Battista 189 Bossi, Giuseppe XIV, XXXIX, XLII, XLVII, XLVIII, LII, 10, 13, 14, 22, 25, 43, 68, 70, 71, 73, 75, 77, 88, 153, 230, 257 Botta, appaltatore 43 Botta, Felice 29, 57, 337 Boullée, Etienne-Louis XXXIII, 88, 102, 104, 227, 287, 288, 290, 301, 303, 308 Bourgeois, Emile 303 Bovara, Cristoforo 280 Bovara, Giuseppe 219 Boyer, Ferdinand 297, 299, 307 Bozzolo, Francesco 180 Bramante, Donato 154 Brambilla, Francesco 260 Brandolini D’Adda, Leopolda 261 Brebbia, conte 172, 282 Brébion, Maximilien 227 Brembati, Davide 173 Brembati, Gregorio 173 Breneisen, Leonardo 31 Brenna, Giovanni 118, 267 Brenna, Giuseppe 137 Brenna, Vincenzo 294 Brentani, famiglia 173, 182 Brentano, famiglia L Brioschi, Girolamo 32 Brioschi, Giuseppe 28 Briseux, Charles-Etienne 318 Brivio Sforza, Cesare podestà 71 Brocchi, Giovan Battista 244 Broggi, Mario 185 Brongniart, Alexandre-Théodore 306 Brotier, André-Charles 88 Brousse, commissario 64 Brown, Capability 129, 241, 242, 251, 252 Brusati, Carlo 230 Buffalo Bill (pseudonimo di William Frederick Cody) 89 Bulgarini, Francesco 171 Buonvicini, capo battaglione 16 Burton, Decimus 250 Buschow, Ania 300 Buseli, Antonio 239 Buser, ingegnere 216 Buzzi, Carlo 230 Buzzi-Leone, Giacomo 167 Cacciatori, Benedetto 278, 283 INDICE DEI NOMI Cagnola, famiglia 156 Cagnola, Giuseppe 178 Cagnola, Luigi XXII, XXXVI, XXXIX, XLII, XLV, XLIX, LIII, 20, 23, 25, 38, 39, 58, 63, 65, 66, 71, 75, 76, 80, 91, 94, 95, 96, 103, 115, 166, 219, 224, 226, 227, 229, 230, 234, 237, 248, 251, 292, 301, 302, 305, 334, 335, 336 Caimi, Antonio 175 Caimi, Carlo 206 Cajani, fabbro 279 Calcaterra, Carlo 189 Calderari, Carlo L Calepio, Nicolino 317 Callet, Antoine-François 88 Calori, pretore 61 Calvi, Felice 172 Calvi, ingegnere 14 Calvin, generale 111 Cambiasi, Giacomo 212 Cameron, Charles 294 Camozzi, famiglia 274 Camporese, Giuseppe 4 Candiani, famiglia 171 Candiani, Giuseppe 81, 171 Canonica, Gioconda LI, 313 Canonica, Giuseppe Antonio 201, 202 Canonica, Marta LI, LIII Canonica, Michel Angelo LI Canonica, Pietro LI Canova, Antonio XLVII, LII, 88, 167, 184, 287, 306 Cantoni, Gaetano XLIV Cantoni, Simone 3, 4, 153, 165, 186, 219, 224, 226, 265, 303, 308, 334 Cantù, Cesare 213, 261, 308 Cantù, Ignazio 274 Capatti, Bérénice 303 Capet, Hugues LII Capetingi 81 Capponi, Gino 97 Capra, Alessandro 317, 321 Carabelli, Donato 280 Carabelli, indoratore 9 Carboni, Bartolomeo Gaetano 52 Carcano, FrancescoXLVIII Carcano, Giuseppe 201, 202 Carletti, Niccolò 317 Carlo I Stuart XXXIII Carlo VI d’Asburgo 260, 269 Carlotti, Alessandro 38 Carminati de Brambilla, Girolamo 214 Carmine, Mauro 320 Carnevali, scultore 41 Carotti, Giulio 25 Carpeggiani, Paolo 313 Casadoro, Giovanni 53 Casati, Cristoforo 43 Casati, Gaspare 61 Caselli, Giuseppe 166, 234 Casiraghi, ingegnere 17 Cassi, Giacomo 265 Cassina, Antonio 81 Cassina, Ferdinando 234 Cassina, Giuseppe 14, 22, 298 Castelli, Pietro 9, 28 Castellini, Giuseppe 129 Castellini, Tommaso 279 Castiglioni, Luigi 25, 95, 133, 249 Caterina II di Russia 294 Catone, Marco Porcio XLI, 250, 253 Cattaneo, Carlo XLVII, XLVIII, 126, 155 Cattaneo, famiglia 313, 333, 334 Cattaneo, Gaetano XLVIII, 98 Cavagna, Giuseppe 180 Caylus, Anne Claude Philippe de Tubières 287, 292 Ceccarelli, Francesco 42 Cellerier, Jacques 290 Cerano, Giovanni Battista Crespi, detto il 269 Cerutti, Giuseppe 232 Cesare, Gaio Giulio 287 Cesarotti, Melchiorre 243 Chalgrin, Jean-François-Thérèse 38, 116, 223, 227, 292 Chambers, William 242, 243, 252, 292 Chastel, André 289 Chiappa, Giovanni Battista 238, 239, 333, 337 Chiesa Milesi, Ambrogio 61 Chomsky, Noam XV Cicogna Mozzoni, Carlo 98, 262 Cicogna Mozzoni, famiglia 262 Cicogna, famiglia 258, 262, 265, 274 Cicognara, Leopoldo 10, 317 Cittadini, lapidario 17, 22 Clerichetti, Luigi 154, 172 Clerici, famiglia 58, 263 Clérisseau, Charles-Louis 292 Coca, conte 172 Cocchi, Pietro 265 Colbert, Jean-Baptiste 287 Colonna, Francesco 244, 248, 253 Columella, Lucio Giunio Moderato 250 Cominetti, cittadino 16 Confalonieri, famiglia 226 Confalonieri, Federico XLVII, XLVIII, L, 96, 97, 98 Confalonieri, Luigi 171 Confalonieri, Teresa L Consoli, Gian Paolo XXXIII, XXXIV, XXXV Contant d’Ivry, Pierre 227 Contini, Gianfranco XXXIV Coppi, Pietro 265 Corbetta, Antonio 58 Cordennoy, Louis-Géraud de XXXIV Cossetti, Domenico 21 Costabili Containi, Giovanni Battista XX, XLVII, XLVIII, LII, 20, 23, 29, 34, 35, 36, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 68, 120, 121, 122, 123, 127, 128, 129, 131, 132, 133, 134, 136, 138, 139, 140, 143, 208, 282, 333 Cozzi, Pietro 172 Cravel, Pierfrancesco 255 Crespi, Antonio 9, 28 Crippa, Ambrogio 9, 18 Crivelli, Ferdinando 154, 249 Croce, famiglia 266 Croce, Francesco 3 Cugini, Antonio 208 Cuoco, Vincenzo XLVIII, 10 Curtis, Felice 32 Curzio, Marco XLI Cusani, Francesco XXXIII, XLI, LII, LIII, 111, 132 Cusi, Giovanni 213 Cusi, Giuseppe 196, 198, 213, 214 D’Adda, Carlo 261 D’Adda, famiglia L, 156, 175 D’Adda, Febo 175 D’Adda, Gerolamo 266 D’Adda, Marietta 266 d’Eichstätt, principe, vedi Beauharnais, Eugenio di Da Cortona, Pietro 313 Dal Carretto, Leopoldo 257 377 A P PA R AT I Dal Re, Marc’Antonio 170, 182, 264 Dall’Armi, Andrea 334, 337 Dalla Libera, Andrea 242 Dalton, Alexandre 111 Damesme, Louis-Emmanuel-Aimé 290 Dance, John il giovane 23 Dante Alighieri LII Danthouard, Charles-Nicolas XLIX Darnay, Antoine XLIX Dati della Somaglia, famiglia 262 David, Jacques-Louis XXI, XXVII, 57, 111, 113, 287, 288, 289, 306 De Antoni, Antonio 232 de Beauvoir, Simone XXXII De Bono, Edward LI De Capitani, Paolo 94 De Capitani da Vimercate, Cristina 181 De Capitani da Vimercate, Giuseppe 181 De Cesaris, Angelo Giovanni 25 de Cessart, Louis-Alexandre 292 De Cordemoy, Jean-Louis 226 De Crescenzi, Pietro 250 De Finetti, Giuseppe 89, 183 De Goncourt, Edmond 288 De Goncourt, Jules 288 De Grianty, Brentano 112 De la Bédoyère, Charles XLIX De la Taille, Blanche 295, 297 De Lacroix-Dillon, Jacques-Vincent 292 De Laghes, generale 259 De Mattei, Luigi 230 De Neufforge, Jean François 319 De Pagave, Gaudenzio 213, 214 De Pietri, Siro 266 De Rossi, Jacopo 314 De Simoni, Baldassare 57 De Wally, Marie-Joseph 196 De’ Franceschi, Domenico 315 De’ Franceschi, Francesco 314 Delacroix, Charles-Henri XLIX Delahaye, Felix 129 Delille, Jacques 242 Dell’Acqua, Felice 274 Della Torre, Stefano LIII, 37, 38 Demesmay, Francesco 227 Denon, Dominique-Vivant 287, 306 Descartes, René XXXIV Desgodetz, Antoine Babuty 86, 221 Desprez, Louis-Jean 295 Dezallier d’Argenville, Antoine-Joseph XXX, XXXVII, 318, 322 Di Breme, Ludovico LIII, 71, 88 Diderot, Denis XVI Diedo, Antonio 115, 227 Diotti, Giovanni Battista 18 Diotti, Giuseppe XLVII Dolcebuono, Gian Giacomo 238 Domenico, mastro 259 Donegani, Giovanni 195, 209 Dossi, Carlo LII Douglas, Alessandro, duca di Hamilton XLVIII Driault, J.-Édouard 304, 307, 309 Du Pérac, Etienne 86 Dubbini, Renzo 101 Dubois, 88 Ducati, Giuseppe Maria 334, 337 Dugnani, famiglia 171 Dumont, Étienne 64 Duodo, intendente di finanza 44 378 Durand, Jean-Nicolas-Louis XVI, XVII, XXIV, XXVII, XXXI, XXXIII, XXXIV, XXXVII, 20, 65, 73, 86, 89, 154, 220, 287, 318 Durelli, Francesco 86, 233, 239 Durini, Angelo Maria 135 Durini, famiglia 122 Durini, Giacomo 134 Eco, Umberto XXXVI Enrico III di Valois 292 Epicuro XX Erizzo, Marianna 256 Euclide XVIII Exalmans, Henri-Joseph 33 Fabretti, Raffaele 86 Fajetti, Luigi 249 Falciola, Domenico 57 Falciola, Francesco 57 Falciola, Giovanni 57 Falciola, Giuseppe 57 Falconetto, Giovanni Maria 113 Falkeisen, Johann Jackob XLIV Famin, Auguste-Pierre 306 Faron, Olivier 298, 307 Faroni, Gaetano L, 5, 6, 10, 14, 18, 20, 23, 29, 31, 32, 154, 165, 219, 226 Fè, Marc’Antonio 209 Federico II di Prussia XXXIII, 288 Federico II di Svevia 266 Felici, Daniele LIII, 75, 93, 204 Ferdinando d’Asburgo-Este, 46, 133, 119, 193, 204, 242, 245, 247, 269, 271 Ferdinando I 88 Ferranti, Filippo 44 Ferrari, Francesco Bernardino 220, 316 Ferrario, Antonio 128 Ferrario, Carlo 213 Ferrario, Francesco 232 Ferrario, Giulio 166 Filippo principe di Spagna 259 Filomarino, Cito 267 Firmian, Karl Joseph 271 Focosi, Roberto 4 Fontaine, Pierre François Léonard XLVIII, LIII, 18, 19, 102, 106, 113, 114, 116, 127, 153, 157, 244, 287, 288, 290, 291, 292, 294, 301, 302, 303, 306, 308, 318 Fontana, Antonio 333 Fontana, Camillo 36, 279, 280 Fontana, Carlo 3 Fontana, Domenico XLIX, LI, LIII, 28, 91, 114 Fontana, Gioconda 333 Fontana, Giovanni Battista LI, LIII, 23, 337 Fontana, Gregorio 317 Fontana, Luigi LI, LIII, 226, 233, 260, 265, 333, 337 Fontana, Marta 337 Fontanelli, Achille 20 Fornara 42 Foscolo, Ugo XLVIII, 10 Fossati, appaltatore 232 Fossati, Giuseppe 142, 203 Fossati, Luigi 145, 146, 203 Foucart, Bruno 294 Foucault, Michel 101 Fragonard, Alexandre-Évariste 306 Francastel, Pierre 288, 289, 290, 303 Francesco I d’Austria 117, 226 Francesco II d’Austria 88 Franchi, Giuseppe XXXIX, XL Francia, Giovanni 53 INDICE DEI NOMI Franzini, Anastasia 211 Fraschina, famiglia 313, 333 Fraschina, Maddalena 334 Frigimelica Roberti, Girolamo 52, 53 Fugier, André 304, 307 Fumagalli, scrittore 23 Fumaroli, Marc 106 Gabriel, Ange-Jacques 127 Gaisruck, Carlo Gaetano 226 Galilei, Galileo 317 Gallacini, Teofilo 317 Galli Bibiena, Antonio 226 Galliani, Berardo 314, 317 Galliari, capitano 115 Galliari, Gaspare 105, 124, 135 Galliori, Giulio XL, XLVIII, 135, 226, 229 Galliori, ispettore delle caserme 14 Gallo, Paola 3, 21, 282 Gambarana, Giuseppe XI Gameray, Auguste 126 Garzia, Antonio 252 Gatti Perer, Maria Luisa 233 Gavazzi, Egidio 171 Gavazzi, fratelli 171 Gerard, François XLVIII Gerli, Agostino 226, 271, 294 Gerosa, Pier Giorgio 301 Ghiringhelli, Andrea 320 Giambotti, architetto 238 Giani, Domenico 28 Giani, Felice 10 Gilardoni, Pietro XLII, L, 7, 14, 17, 18, 19, 20, 23, 25, 28, 31, 32, 33, 37, 38, 40, 41, 42, 43, 47, 49, 58, 61, 71, 76, 114, 133, 154, 202, 212, 335 Gilly, Friedrich XXXIII Gilpin, William 252 Giordani, Pietro 104 Giovio, Giovan Battista 265 Girardin, René Louis de XXX, 242, 252 Girardin, Stanislas 318 Gironi, Rebusciano 280 Gislandi, Aristomene 231 Gisors, Alexandre-Jean-Baptiste-Guy de 290 Giudicelli Falguières, Patricia 297, 298, 299, 300, 303, 304, 305, 307 Giudici, Giovanni Angelo 122, 128, 137, 335 Giudici, Giovanni Paolo 23 Giuliani, Michele 115 Giuliari Moscardo, famiglia 256 Giulini, Cesare 96 Giulini, Giorgio 61 Giuseppe II d’Asburgo XXXIX, XL, 3, 5, 8, 32, 37, 79, 297, 300, 305 Giussani, Antonio 61 Giussani, Ferrante 5, 16, 23, 82, 121, 122, 128, 135 Giussani, Giovanni Battista 79, 82 Giusti, Giuseppe XXX Giusti, Innocenzo LII, 201, 205, 206 Giustina, Irene XXV, XXVII, XXIX, XXXVI, 153, 166, 167 Goethe, Johann Wolfgang 315 Gondoin, Jacques 223, 292 Grandjean de Montigny, Auguste Henri Victor 306 Grassi de Locatelli, famiglia 173 Gremmo, Lucia 172 Greppi, Antonio 179, 258, 259, 269, 277, 278 Greppi, famiglia L, 156, 185, 186, 187, 257, 258, 259, 274, 278, 283 Greppi, Giacomo 257, 258, 283 Greppi, Giuseppe 179, 278 Greppi, Marco 179, 259 Greppi, Paolo L, 179, 182, 186, 258, 267, 269, 277, 278, 283, 316, 321 Grohmann, Gottfried XXX, XXXVII Groppi, Giovan Battista 58 Grossi, Giannino 93 Guarana, Jacopo 52 Guattani, Giuseppe Antonio 86 Guerci, Gabriella 252 Guicciardi, Diego XLVIII Gun’kin, Georgij I. XXXVI Haller, Albrecht von 242 Haskell, Francis XVIII Hautecoeur, Louis 288, 303 Hayez, Francesco XLVII, XLVIII, LII, 47, 277 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich XXIV Heidegger, Martin XVII, XXXIV Heine, Johann August 320 Hemingway, Ernest 308 Hirschfeld, Christian Cay Lorenz XXX, XXXVII, 242, 243, 244, 245, 246, 252, 319 Hirt, Aloys XXXIII Hombres Firmas, Louis-Augustin d’ 250 Honour, Hugh 303 Howatson, Alexander 129 Hubert, Gérard 292, 300, 301, 302, 308 Humboldt, Alexandre von 249, 252 Hurley, Cecilia XXX, XXXV, LIII, 23, 313 Huygues, René 289 Janneau, Guillaume 303 Jappelli, Giuseppe 242, 243, 252 Jones, Inigo 313 Jourdan, Jean-Baptiste XLII, 33, 40 Juvarra, Filippo 58 Kannès, Gianluca 18, 75, 83, 97, 99, 282 Kant, Immanuel XIX Kaufmann, Emil 290, 294 Kent, William 241, 242 Kersaint, Armand Guy XXXV, 64, 65, 318 Kevenhüller Visconti di Modrone, Maria 261, 262 Kevenhüller, Leopolda 175 Knoller, Martin XL, 35, 44, 123, 131 Krafft, Jean-Charles 306 Krafft, Johan Karl XXX, XXXI, XXXVII, 318 Kramer, famiglia 178 Kramer, Giovanni Adamo 178 Krüger, Johann 314 La Folie, Charles-Jean XLIX Labus, Giovanni Antonio XLVIII, 280 Lacoue-Labarthe, Philippe XVII, XXXIV Laderchi, conte 6 Lafitte, Louis 306 Lafrery, Antoine 86 Lalance, capo di brigata 30 Lamberti, Luigi 25 Lamberti, Vincenzo XXX, XXXVII, 317 Lancia, Emilio 172 Landon, Charles-Paul XXXI, XXXVII, 318 Landriani, Gaetano 263 Landriani, Paolo XXXIII, XLI, 5, 28, 75, 76, 96, 103, 109, 110, 166, 176, 189, 193, 197, 199, 201, 204, 212, 216, 217, 230, 317, 334 Lanzani, Antonio L Latapie, François-de Paule XXX, 242, 246 Latuada, Serviliano 37 Laugier, Marc-Antoine XXXIV, 221 379 A P PA R AT I Lauro, Giacomo 86 Lavedan, Pierre 298, 299 Lavelli, Leopoldo 233 Leonardo Da Vinci 167 Le Nôtre, André 241, 242, 246, 252 Le Rouge, Georges-Louis 242, 243 Lecchi Greppi, Luigia 267, 268 Lecchi, famiglia 267 Lecchi, Giacomo 267 Lecchi, Giovanni Antonio 167, 184, 317 Ledoux, Claude-Nicolas XXXIII, 23, 104, 253, 255, 287, 288, 290, 292, 294, 299, 301, 303, 308 Lefèvre, Robert 110 Legrand, Jacques-Guillaume XV, XXXI, XXXIII, XXXV, XXXVII, 64 Leith, James 102 Lemercier, Jacques 313 Leoni, Pasquale 114 Leopoldo II d’Austria, 5 Leuchtenberg, famiglia 337 Levati, Giuseppe XLII, 25, 75, 230 Lichtenberg, Georg Christoph XXVII Linneo, Carlo 249 Lipstadt, Helen XXXIV Litta, Antonio 280, 283 Litta, duchessa 280 Litta, famiglia 250, 264, 265, 276 Litta, Giulio Pompeo 261 Litta, Pompeo 205 Litta Visconti, Antonio 261, 263 Litta Visconti Arese, famiglia 262 Litta Visconti Borromeo, Pompeo 261, 263 Locatelli, Giovanni Battista 41 Locatelli, scultore 17 Lochis, Giovanni Battista 14, 16 Locke, John XLVIII Lodoli, Carlo XXXIII, XXXIV, 317 Longhi, Giuseppe XLVII, XLVIII Longhi, Roberto XXXIV Loos, Adolf XXIV Lorena, famiglia 251 Lorenzo il Magnifico 250, 253 Lory, Gabriel Ludwig 246 Lory, Mathias Gabriel 246 Lose, Carolina 93, 246 Lose, Federico 246, 258 Loudon, Johan Claudius 250 Louis, Victor 197 Lucchini Brioschi, Francesco 91 Lucini, capitano del Genio 30 Lucrezio XX Luigi Filippo I 292 Luigi XIV di Borbone 6, 52, 251, 287, 288 Luigi XV di Borbone XXXIV, 287, 288, 295 Luigi XVI di Borbone 288, 290, 295, 306 Luini, Aurelio 41 Lurani Cernuschi, conte 179 Luttinger, intendente generale delle regie finanze 43 Mabil, Luigi XXX, XXXVII, 243, 244, 246, 248 Maffei, Scipione 86 Magatti, Pietro Antonio 262 Maggiolini, Giuseppe 272 Maina, Giacinto L Malacarne, Vincenzo 243, 244 Maltese, Corrado 88 Manfredini, Gaetano 165, 167, 184 Manfredini, Luigi 306 380 Mangone, Fabio 37 Mantovani, Luigi XLIV, 91, 93, 112, 116 Manzoni, Alessandro XLVIII Marchesi, Luigi 280 Marchesi, Pompeo 88, 154, 198, 280 Marchetti, Antonio 208 Marconi, Giovanni Battista 198, 213 Marescalchi, Ferdinando LII, 94, 127, 129 Maria Antonietta Giuseppina Giovanna d’Asburgo-Lorena 5 Maria Beatrice d’Este 242, 271 Maria Ludovica d’Austria 279, 280 Maria Luigia d’Austria XLV, 117 Maria Luisa d’Austria 75 Maria Teresa d’Austria XL, 32, 41, 79,, 243, 246, 249, 300, 304, 308 Marietti, famiglia 186 Marj, Giovanni Lucio 335 Marmottan, Paul 306, 307, 333 Martinengo, famiglia 58 Martinengo Colleoni di Pianezza, Gaspare Giacinto 58 Martinengo Colleoni di Pianezza, Pietro Emanuele 58 Martinetti, Giovanni Battista 43, 95, 229 Martinez, appaltatore 16 Marulli, Vincenzo 246, 250 Mascilli Migliorini, Luigi XXVII, XXXVI Maspoli, Gaetano 32, 202 Massenzio imperatore 86, 87, 88, 89 McPhee, Sarah 320 Medolago Albani, Angelo Maria 173 Méjan, Étienne XLIV, XLIX, LIII Mellina, Giuseppe 111 Melone, Antonio 172, 282 Melzi d’Eril, Francesco XLVII, L, LII, 14, 16, 29, 32, 33, 35, 79, 84, 93, 119, 120, 131, 176, 245, 257, 309, 333, 337 Melzi d’Eril, Giulio 176 Melzi d’Eril, Luigi 257 Melzi, famiglia 257 Memmo, Andrea 317 Menafoglio, Paolo Antonio 262 Merli, Giuseppe 25 Merlo, ingegnere LII, 201 Meschini, Giuseppe 25 Mezzanotte, Gianni XV, XVIII, XXV, XXIX, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXIX, 3, 21, 38, 52, 53, 55, 56, 75, 80, 81, 153, 166, 167, 172, 175, 223, 225, 227, 234, 303 Mezzanotte, Giuseppe 23, 112, 279 Middleton, Robin 302, 303 Migliara, Giovanni XXXI, 239, 300 Milesi, Bianca XLVII, XLVIII, LII Milesi, famiglia XLVII, XLVIII Milesi, Francesca XLVIII, LII Milesi Traversi, Francesca XLVII Milizia, Francesco XVI, XVII, XXXIII, XXXIV, XXXVI, 4, 63, 74, 88, 195, 220, 221, 223, 224, 225, 315, 317, 320 Milton, John XV, XVI, XXXIII, 244 Mina, Francesco 207 Miniscalchi, Luigi 256 Miniscalchi, Marcantonio 256 Miniscalchi-Erizzo, famiglia 256 Mirabeau, Honoré-Gabriel de Riquet, de XLIX Modrone, famiglia 261 Moglia, Domenico 233, 239 Moitte, Jean-Baptiste Philibert 227 Mojoli, cittadino 14 Mojon, Carlo XLVIII Molgora, Carlo Antonio 228 Molinos, Jacques XV, XXXIII, XXXV, 64 Molo, Giuseppe Antonio 180 INDICE DEI NOMI Monferini, Giuseppe 260 Mongeri, Giuseppe 234 Monti, Gaetano 88, 136, 279, 280, 283 Monti, Vincenzo XL, XLVIII, LII, 167, 184 Monticelli, Angelo 88, 231 Moraglia, Giacomo 99, 191, 219, 221 Morandotti, Alessandro 172, 282 Morazzone, Pier Francesco Mazzucchelli, detto il 260 Morazzoni, computista 23 Morel XVII Morel, Jean Marie XXX, 127, 129 Morelli, Cosimo 196, 207, 216 Moreschi, Epifanio 18, 22 Morigia, Camillo 6 Mornico, Giuseppe 61 Moro, Pietro 52 Morozzo della Rocca, Giuseppe 260 Moscardo, famiglia 256 Moscati, Pietro 25 Mosser, Monique 101, 307 Murat, Eugenio XLIV Murat, Gioacchino XLII, 14, 22, 32, 40 Murri, Augusto LI Muttoni, Francesco 316 Napoleone Bonaparte XIV, XVIII, XIX, XXII, XXIV, XXV, XXVII, XXXI, XXXIII, XXXV, XXXVI, XLI, XLII, XLIII, XLIV, XLV, XLVII, XLVIII, LIIII, 4, 10, 11, 13, 14, 18, 19, 20, 22, 28, 29, 32, 33, 34, 37, 44, 45, 46, 47, 52, 53, 57, 58, 59, 63, 64, 66, 68, 69, 71, 73, 75, 79, 81, 84, 85, 86, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 102, 103, 109, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 120, 127, 128, 132, 133, 166, 205, 209, 227, 230, 244, 245, 246, 247, 248, 251, 253, 271, 287, 288, 289, 292, 297, 299, 304, 305, 306, 307, 333, 336, 337 Nava, Ambrogio 260 Nava, famiglia L, 274 Nava, Tommaso 260 Navone, Nicola XXXVI, 320 Negri, famiglia 265, 266, 274 Negri, Prospero 25 Niccolini, Antonio 198 Nietzsche, Friedrich XVI, XXXIII Noale, Antonio 250 Nobile, Pietro 223 Normand, Charles Pierre Joseph XXIV, 306 Nosetti, Melchiorre 233 Odescalchi, Innocenzo 265 Oechslin, Werner XVII, XXXIV, 102, 300, 303 Olivato, Loredana 313 Olivazzi, Francesco 202 Olmsted, Frederick Law 248 Orazio 319 Oriani, Barnaba V, 25, 43 Orrigoni, famiglia 262 Orsini, Beatrice 171, 172 Orsini, Egidio Gregorio 156, 171, 271 Orsini, famiglia 171 Orsini, Giulio Gregorio 171 Orsini, Giulio Gregorio Gaetano 171 Orsini, marchesa 279 Orsini Pio Falcò, famiglia 171 Ostervald, Jean Frederic 246 Ottolini, Giuseppe 333 Ovidio Nasone, Publio XX Ozouf, Mona 102 Pacassi, Nikolaus von 230 Pacetti, Camillo XVI, 235 Padulli, Gerolamo 90 Palagi, Pelagio 6, 47, 99, 279 Palladio, Andrea XVIII, XXXIV, XXXV, 56, 154, 162, 220, 221, 292, 299, 303, 315, 316, 317, 320 Palladio, Rutilio Tauro Emiliano 250, 253 Pancaldi, Francesco XLVIII, LII, LIII Pantoli, Giovanni 41 Panvinio, Onofrio 86 Panza di Biumo, famiglia 263 Paolo I di Russia 294 Parea, Carlo 96, 335 Parini, Giuseppe XXXIX, XL, XLI, L, 13, 167, 175, 184 Pâris, Pierre-Adrien 292, 295 Parmiggiani, Carlo 239 Parravicini, famiglia 261 Parshall, Linda B. 252 Pasquali, Antonio 280 Pasquali, Giambattista 315, 320 Pasquali, Susanna XXXIII, XXXIV Pastore, Paolo 61 Patetta, Luciano 75, 104 Patte, Pierre 73, 104, 196, 199, 201, 204, 207 Paxton, Joseph 250 Pelissetti, Laura Sabrina 126, 252 Pellico, Silvio 96, 317 Perabò, Giovanni 280 Percier, Charles XLVIII, LIII, 18, 19, 102, 106, 113, 114, 116 127, 153, 157, 244, 287, 288, 290, 291, 292, 294, 301, 302, 303, 306, 308, 318 Perego di Cremnago, Antonia 266 Perego Vimercati, Cristina Perego, famiglia L, 156, 180, 181, 186, 250, 258 Perego, Gaetano I 180 Perego, Giovanni 204, 308 Perego, Giuseppe 129 Perego, Luigi I, 180 Peroni, Luca 333 Pérouse de Montclos, Jean-Marie 292 Perreault, Claude 314 Pesenti, famiglia 253 Pesenti, Pietro 251 Pestagalli, Pietro XXII, 19, 27, 71, 91, 167, 179, 191, 206, 233 Petitot, Ennemond-Alexandre 292, 303 Peverelli, Francesco 191 Peyre, Charles 196 Pezzoli, famiglia L Pezzoli, Giuseppe 280 Pfister, Alessandra 320 Piacenza, Pietro 229, 244, 245, 252 Picasso, Matteo 263 Piccinelli, Antonio 217 Picenardi, famiglia L, 243, 244 Picenardi, Giuseppe 234 Picenardi, Luigi Ottavio 243 Piermarini, Dominicus 41 Piermarini, Giuseppe XV, XIX, XXII, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXIX, XL, XLI, XLII, XLVII, LI, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 16, 21, 25, 28, 30, 31, 32, 36, 37, 41, 43, 44, 45, 49, 63, 71, 81, 109, 110, 111, 119, 120, 124, 127, 128, 131, 137, 153, 156, 157, 159, 166, 179, 193, 195, 197, 199, 202, 203, 204, 206, 207, 209, 211, 212, 213, 226, 229, 230, 243, 244, 245, 247, 251, 257, 269, 271, 273, 277, 282, 292, 294, 299, 302, 303, 304, 307, 308, 334, 335 Pillepich, Alain 75, 298, 299, 301, 304, 308 Pinali, Gaetano 54, 55, 224, 227 Pinchetti, Giacomo 3, 13, 71 Pindemonte, Ippolito XXX, XXXVII, 243, 244 Pingaud, Albert 297, 298, 300, 304 Pini, Ermenegildo 220, 226, 317 Pino, Domenico XII, 25, 86 381 A P PA R AT I Pio IV, papa (Giovanni Angelo Medici) 10 Pio VI, papa (Giovanni Angelo Braschi) LI Pio VII, papa (Barnaba Chiaramonti) 236 Piranesi, Francesco 86, 243 Piranesi, Giovanni Battista 287 Piroli, Tommaso 317 Pirovano, Davide 187 Pirovano, famiglia 261, 266 Pirovano, Filippo Maria 261 Pirovano, Francesco 175, 181, 186, 206, 234 Pirovano, ingegnere 14 Pirovano, Nicola 187 Pirovano Visconti, Carlo 266 Pirovano Visconti di Modrone, famiglia 261, 266 Pisani, Almarò 52 Pisani, Alvise 51, 52 Pisani, famiglia 51, 52 Pisani, Francesco 52 Pistocchi, Giuseppe XXII, 10, 63, 66, 70, 81, 91, 153, 292, 299, 302, 303 Pitagora XVIII, XXXIV Pizzagalli, Felice 231 Pizzala, Andrea L, 154, 166, 189, 191 Plinio 86 Poldi, famiglia 274 Poli, Pietro 214 Pollack, Giuseppe 201 Pollack, Leopoldo XL, XLII, XLVIII, 3, 4, 6, 10, 14, 21, 25, 28, 29, 32, 41, 127, 134, 159, 191, 194, 195, 196, 198, 199, 201, 209, 211, 227, 229, 230, 231, 242, 243, 245, 248, 251, 253, 334 Polli, Giovanni 259, 260 Polli, Luigi 187 Polli, Venanzio 187, 265 Pollini, Giacinto 265 Pollino, massaro 35, 36 Pollo, Francesco Antonio 28 Ponti, famiglia 266 Popper, Karl Raimund XVII Porcari, Antonio 172, 271 Porcari, famiglia 156 Porro Lambertenghi, conte 317 Porro Lambertenghi, famiglia XL, XLIV, L, 156 Porta, Antonio XV Porta, Carlo XXXIX, XLVIII, L, LIII Porta, famiglia 313, 333 Porta, Francesco LI, 313, 333, 337 Porta, Giovanni Pietro 28 Porta, Maria Antonia LI Porta, Pietro LI Portaluppi, Piero 262 Portoghesi, Paolo 166 Poussin, Nicolas XXX Poyet, Bernard 290 Pozzi, fratelli 9 Pozzo, Paolo 43 Pracchi, Attilio 96, 97 Prada, Luigi 36, 128, 129, 132, 134, 136, 145, 208, 335 Praz, Mario XXII, 154, 289, 303 Pregliasco, Giacomo 211 Prestinari, Marco Antonio 260 Preti, Francesco Maria 52, 53 Preti, Luigi 213 Prina, Giuseppe XLVII, XLIX, LII, 40 Prior, Isolina 263 Procaccini, Camillo 260, 269 Prud’hon, Pierre-Paul 289, 306 Quadrio, Gerolamo 134 382 Quarantini, ingegnere 14 Quarenghi, Giacomo XLVIII, 4, 88, 227, 294 Quatremère de Quincy, Antoine-Chrysostome XVII, XXXI, XXXIV, XXXV, 101, 287, 292 Querini, Angelo 251, 253 Rabreau, Daniel XV, XXVII, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII, 101, 287, 307 Radice Fossati, Gerolamo 260 Rados, Luigi 101 Raffaello Sanzio 287 Raimondi, famiglia 274 Raimondi, Giorgio 265 Raineri, Carlo Antonio 33, 35, 45, 273, 282 Rancilio, Carlo 255 Ranieri, Eugenio, d’Asburgo Lorena 126 Ransoni, Giacomo 335 Ransonnette, Pierre Nicolas XXXI, XXXVII, 52, 318 Rasario, ingegnere 216 Rasori, Giovanni XLVIII Re, Carlo 202, 210, 211 Re, Filippo 249, 250 Redi, Francesco 317 Reina, Alessandro XLVIII Reordino, Stefano 117 Repishti, Francesco XIX, XXXV, 63, 119, 219, 282 Resasco, Giovanni Battista 236 Rescalli, famiglia 269 Rescalli, Pietro Antonio 269 Resta Pallavicino, famiglia 172 Resta, Carlo 172 Resta, famiglia 156, 282 Resta, Giuseppe 172, 271, 282 Rezzonico, Aurelio 261 Ribaldi, Gaetano 244 Riccati, Francesco 317 Ricchino, Francesco Maria 23, 37, 39, 88, 234, 264 Ricci, Corrado 308 Rienti, Giuseppe 233 Righetti, Carlo 42 Righini, Pietro 208 Rigozzi, Gerardo 320 Riva, Domenico 9 Robert, Hubert 133 Rocca, Gaetano 116, 132 Rodi, Faustino 303 Rognoso, Antonio 255 Roma, Cesare 172, 271, 282 Romagnoli, Michelangelo 271 Romagnosi, Gian Domenico XLVIII Romanò, Carlo 237 Romano, Tomaso 235 Romussi, Carlo 90 Rossetti, Giuseppe 230 Rossi, Antonio 180 Rossi, Carlo XLI, 292, 294 Rossi, Gaetano 20 Rossi, Gerolamo XLV, 23, 27, 80, 81, 82, 83, 84 Rossi, giardiniere 134 Rossi, Luigi 43 Rota, Giacomo 169 Rousseau, Jean-Jacques 101, 104, 242 Rovani, Giuseppe LII Rovi, Alberto 117 Rovida, Cesare 237, 238 Rubens, Pieter Paul 269 Rouchés, Gabriel 301, 302 INDICE DEI NOMI Ruga, Sigismondo XLVIII, 81 Rusca, Grazioso 34, 86, 88, 111, 114, 115, 180, 280, 283 Rykwert, Joseph XXIV, XXXV, 290 Sacchi, Defendente XXXVI, 157, 167, 280 Sacco, Luigi 17, 22, 31, 32 Sada, Luigi 265 Saisselin, Rémy G. XXXIV, 287 Salfi, Francesco XLVIII Salieri, Antonio 211 Salvatori, XLVIII Sanmicheli, Michele 165 Sanquirico, Alessandro XXVI, 19, 85, 99, 28, 36, 108, 111, 112, 113, 114, 116, 117, 206, 208, 212, 239, 274, 279, 283 Santi, Lorenzo 55, 56 Santini, Francesco 239 Saroli, famiglia 156 Saroli, Michele 189 Saurau, Francesco 50 Savoia, famiglia 251 Savot, Louis 318 Scala, Giuseppe LIII Scalfurotto, Giannantonio 221 Scalini, Filippo 233 Scamozzi, Vincenzo 154, 162, 154, 199, 250 Schinchinelli, Alessandro 263 Schinchinelli, Giuseppe 263 Scorzini, Luigi 280 Scotti Tosini, Aurora XXII, XXXIII, XXXV, XXXVII, 3, 41, 75, 83, 227, 305 Secchi Borelli, famiglia 166 Seccoborella, famiglia 171 Seccoborella, Giovan Battista 171 Segrè, Marcellino XL, 3, 4, 5, 31 Ségur, Louis-Philippe, 113, 114 Selva, Giannantonio XLIV, 52, 56, 115, 196 Selvafolta, Ornella 103 Sem, Antonio 239 Serbelloni, famiglia 226 Serbelloni, Gian Galeazzo XXXIII, XLI, 4 Serlio, Sebastiano 314 Servandoni, Giovanni Niccolò 227 Settimio Severo 292 Sfondrati, famiglia 266 Sforza, Bianca Maria 176 Sforza, famiglia 250 Sforza, Francesco 85 Shaftesbury, Antony Ashley Cooper 251 Shenstone, William 253 Sidoli, Alessandro XLIV, 279 Silva, Donato 249 Silva, Ercole XXX, XXXVII, 63, 127, 129, 132, 244, 245, 246, 249, 252, 319 Silva, Francesco 232 Simonini, Francesco 52 Smith, Joseph 315, 317, 320 Soane, John 313, 320 Soave, Carlo Felice XLI, 27, 40, 185, 187, 219, 226, 229, 301, 303 Socrate XVII Solaro di Monesterolo, Camilla 262 Solbiati, famiglia 256 Soldini, Jean 3, 6, 18, 301 Soli, Giuseppe Maria 52, 53, 54, 55, 56, 79 Sommariva, Giovanni Battista XLVIII, 81, 90, 91 Sommariva, Luigi 13 Sorbiet, Augustin XLIX Soresi, fratelli 201 Soufflot, Jacques Germain 227, 292 Soulange-Bodin, Étienne XLIX Southcote, Philip 253 Spada, Giovanni Battista 33 Stagnoli, Ercole 179, 269 Stampa Soncino, Massimiliano Giovanni 113 Starobinski, Jean 101 Stendhal XLVIII, LII, 40, 89, 154, 166, 174, 227 Stern, Raffaele XLIV Stolfi, Giuseppe XXVII, XXXV, XXXVI, 167, 193 Stratico, Simone 75, 230 Sulfarotti, Gio 227 Sulzer, Johann Georg 242 Szambien, Werner XVI, XVII, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII Tagliafichi, Andrea 292 Tagliafichi, Emanuele Andrea 215 Taglioretti, Pietro 229 Talleyrand, Charles-Maurice 64 Tarantola, Luigi 143, 145 Tarasconi, cittadino 173 Tasca, Ottavio 173, 255 Tasso, Torquato 244, 255 Tatham, Charles Heathcote XII Tatti, Luigi L, LIII, 154, 166, 231, 233 Taunay, Nicolas-Antoine XXIV Tavani, professore 233 Tazzini, Giacomo XLVI, XLVII, XLIX, L, 23, 42, 46, 47, 48, 50, 51, 57, 88, 126, 129, 134, 135, 137, 138, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 148, 149, 154, 174, 179, 180, 198, 206, 231, 282, 308, 335, 336, 337 Tedeschi, Letizia XXX, XXXV, 23, 92, 320 Temanza, Tommaso 221, 227, 315, 316, 320 Temple, William 241 Teosa, Giuseppe 209, 210 Testi, Carlo XLVIII Teyssot, Georges XVII, XXXIV Thaon de Revel, Ignazio 261 Thévenin, Jean-Jacques 133 Thomas de Thomon, Jean François 227 Thumeloup, Auguste 279 Ticozzi, Federico LIII Tiepolo, Giambattista 52 Tirali, Andrea 220 Tiziano Vecellio 226, 234 Torelli, Carlo 202 Torelli, ingegnere 14 Tornielli da Vergano, Luigi Maria 217 Tournefort, Joseph Pitton de 249 Traballesi, Giuliano XL, 44 Traversi, famiglia XLVII, LII, 156, 185, 187, 245 Traversi, Giovanni XI, XVI ,186, 187 Treves de Bonfili, famiglia 256 Triaire, Joseph XLIX, 136, 142 Trivulzio, Costanza 135 Trivulzio, famiglia 26, 179, 266, 274 Trivulzio, Girolamo 279 Trolli, Domenico 136 Trouard, Louis-François 227 Tubertini, Giuseppe 43 Turbini, Gasparo 208 Turconi, Francesco 225 Turconi, ingegnere 233 Uboldi, famiglia 186 Uggeri, Angelo XXVI, XXVII, XXXIV, XXXVI, 19, 86, 89, 316 Uselli, Giosuè 35, 121 Vaccani, Gaetano 204, 206, 212, 239, 264, 282 383 A P PA R AT I Vaccani, Giovanni 9, 23 Vaccari, Luigi XLVIII, LIII Valcarzel Pio Falcò, famiglia 171, 172 Valcarzel Pio Savoia y del Povil, Antonio 171 Valentini, Arcangelo 279, 280, 283 Valentini, Luigi 279 Valéry, Paul XVII, XXXIV Vandoni, Luigi 231 Vantini, Rodolfo 226, 234, 334 Vanvitelli, Carlo 319 Vanvitelli, Luigi XXXIX, 5, 119, 303, 318 Varrone, Marco Terenzio 250, 253 Vaudoyer, Antoine-Laurent-Thomas 88 Veladini, Luigi 334 Velzi, famiglia 261 Ventenat, Etienne-Pierre 127, 129 Ventura, Giosuè 179 Venturi, Giovanni Battista LII Vergani, Felice 129 Verri, Pietro 13, 167, 184, 243, 245, 252 Vertova, famiglia XLIV Vertova, Giovanni 255 Vertova, Giuseppe 173, 255, 256 Vertova, Marcantonio 255 Vertova, Pietro 255 Veuillet d’Yenne, Ettore 215 Viarana, intagliatore 283 Vidoni, Antonio 17 Vigliani, Antonio 226, 234 Vignola, Jacopo Barozzi da 154, 163 Vignon, Alexandre-Pierre 227 Vigorè, Giuseppe 216 Villa, ispettore di Polizia 26 Villa, Luigi LII, LIII, 40 Villari, Sergio 219 Villoresi, Antonio XLVI, XLVII, LII Villoresi, Eugenio XVI Villoresi, Luigi LII, 20, 41, 123, 127, 128, 129, 131, 132, 133, 136, 137, 245, 249, 257 Vimercati Sanseverino, Carlo Giuseppe 134 Visconti, Alfonso 266 Visconti, Bernabò 57 Visconti, duca 206, 237 Visconti, duchessa 261, 262 Visconti, Ennio Quirino XXXIV, 165, 167, 184 Visconti, famiglia 144, 188, 259, 261, 274, 278, 279 Visconti, Filippo Maria 85 Visconti, Francesco 81 Visconti, Teresa Maria 261 Visconti Aimi, Francesco XLVIII Visconti Borromeo, famiglia 264 Visconti Borromeo, Giberto 260 Visconti Borromeo, Giulio 260 Visconti Borromeo, Maria Elisabetta 260 Visconti Borromeo, Paola 260 Visconti Borromeo, Pirro I 260, 262 Visconti d’Aragona, Serafino 16 Visconti di Brignano, famiglia 266 Visconti di Modrone, Alessandro 190 Visconti di Modrone, Carlo 261 Visconti di Modrone, Carlo Francesco Antonio 280, 337 Visconti di Modrone, famiglia L, 156, 169, 170, 188, 190, 258, 265 Visconti di Modrone, Gaetano 190 Visconti di Modrone, Marcello 259 Visconti di Modrone, Uberto 169, 188, 190, 191 Visconti Pirovano di Modrone, famiglia 266 Viscontini Milesi, Elena XLVII, LII 384 Viscontini, Elena XI Visentini, Antonio 317 Vismara, ministro 40 Vitali, Francesco 258 Vitruvio Pollione XXV, XXXVII, 199, 224, 314, 317 Vittani, Giovanni 37, 38 Vittone, Bernardo Antonio 317 Vittorini, Elio XXX Voegeli, Urs 320 Voghera, Luigi 99, 115, 334 Volpato, Giovanni 294 Volta, Alessandro XXXIX, 167, 184 Voltaire, François-Marie Arouet detto 287 Wailly, Charles de 292, 295 Walpole, Horace 241 Watkin, David 302, 303 Watts, William 335 Wetzel, Jacob Johann 246 Whately, Thomas 241, 242, 242, 246 Winckelmann, Johann Joachim XVII, XXXIX, 287 Windsor, Frederick Albert 317 Wittman, Fulgenzio 249 Wolf, Stuart 298 Zaccagni, doratore 283 Zaghi, Carlo 103 Zaist, Giovanni Battista 206 Zanetta, Antonio 180 Zanetta, Giovanni 180 Zanetti, agente della Corona di Venezia 53 Zanoja, Giuseppe XLII, 20, 25, 66, 71, 75, 76, 77, 88, 94, 95, 103, 115, 230, 246, 248, 251, 259, 263, 301 Zanuso, Susanna XXXVII, 33, 34, 179, 271 Zuccoli, Luigi 279, 280 Zucconi, Guido 224 Zucoli, Luigi 277, 282 Silvana Editoriale via Margherita De Vizzi, 86 20092 Cinisello Balsamo, Milano tel. 02 61 83 63 37 fax 02 61 72 464 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