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Bollettino A.I.C. nr. 143 / 2011 DALLE CITTÀ-STATO ALLA DOMINAZIONE ROMANA: LA CARTOGRAFIA ANTICA COME STRUMENTO DI DEFINIZIONE TERRITORIALE FROM THE CITY-STATES TO THE ROMAN DOMINATION: ANCIENT CARTOGRAPHY AS A MEDIUM FOR TERRITORY-DEFINEMENT Lorenzo Cigaina* Riassunto Gli itinerari dipinti antichi (itineraria picta) sono carte topologiche, che forniscono informazioni soprattutto sui percorsi e sui punti di riferimento utili al viaggiatore: la registrazione dei confini è solo occasionale e non accurata. Nelle carte geografiche dell’ecumene o di regioni estese, i confini vengono delineati secondo due criteri fondamentali: l’omogeneità etnica del territorio e i suoi confini naturali (fiumi, linee di costa, montagne, ecc.). Il processo di astrazione di questo metodo può talvolta entrare in contraddizione con la realtà geografica. A livello delle singole città-stato manca una cartografia apposita: il territorio della polis è uno spazio vissuto dai suoi cittadini, che hanno con esso un rapporto diretto, non mediato da strumenti cartografici. Ci sono testimonianze e indizi, invece, di una cartografia catastale, che registra i confini degli appezzamenti di terreno e li rappresenta in quadri d’insieme. Con l’Impero romano la cartografia – sia a piccola scala per l’ecumene, sia a grande scala per singole colonie romane – viene usata in modo capillare ed acquista valore di documento, senza tuttavia perdere la complementarità necessaria con la documentazione scritta. Le carte diventano uno strumento del governo centrale per conoscere l’estensione e i confini (patrimoniali, amministrativi, politici, geografici) di vasti territori. Abstract Ancient illustrated itineraries (itineraria picta) are topological maps, which provide mainly information on routes and useful landmarks for travellers: the record of boundaries is only occasional and imprecise. In geographical maps of the inhabited world or of wide regions, the boundaries are delineated following two main criteria: ethnic homogeneity und natural boundaries (rivers, coastlines, mountains, etc.). The abstraction process of this method can sometimes lead to contradictions with the geographical data of reality. At the level of each city-state (polis) there is no evidence for a specially provided cartography: the territory surrounding a polis is a space lived by its citizens, who entertain with it a direct relation, that is without cartographical media. However, there exist some documents and clues for cadastral cartography, which outlines the * Università di Trieste – Dipartimento di Storia e Culture dall'Antichità al Mondo Contemporaneo 325 Nr. 143 / 2011 boundaries of ground-plots and gathers them in overall maps of the agrarian territory. At the outset of the Roman Empire, cartography – both the one at small scale for the whole world and the one at big scale for individual Roman colonies – gets diffusely used and gains documentary value, yet not losing its necessary link with written documentation. Maps become an instrument of the central government to know the size and the boundaries (of property, administrative, political or geographical sort) of vast territories. 1. Domande e problemi di metodo Gli interrogativi da cui prende le mosse questo contributo sono: quale ruolo rivestì la cartografia di epoca classica ed ellenistica nella rappresentazione dei confini? Ebbe essa valore di documento giuridico? Favorì altresì la definizione dell’identità politica delle società che se ne servirono? Questi quesiti, partendo da un ambito tecnico e specialistico quale la storia della cartografia, aprono la possibilità di significativi chiarimenti riguardo alle forme politico-sociali e alla mentalità dell’uomo antico, tanto più significativi se confrontati con la diversità dell’epoca presente. È necessario premettere che l’indagine su questo tema si scontra da principio con la scarsità e la difficoltà dei dati a disposizione. La cartografia greca e romana, infatti, ci è giunta in forma deficitaria e lacunosa: si conservano un numero limitatissimo di carte, mentre sono disponibili diverse testimonianze indirette nelle fonti letterarie e nelle iscrizioni, che menzionano, descrivono o prescrivono documenti di genere cartografico in vari contesti e con differenti finalità. La lettura di queste fonti sia dirette, sia indirette pone numerosi problemi interpretativi allo studioso moderno. Gli sviluppi della geografia storica sul tema del confine, tuttavia, sono stati particolarmente rapidi e proficui nell’ultimo venticinquennio e consentono di affrontare in questa sede un tentativo di sintesi in maniera sufficientemente matura e consapevole 1. 2. I caratteri della cartografia antica 2.1 La concezione “odologica” Dall’insieme della documentazione emerge che la cartografia greca – e per alcuni aspetti anche quella romana - aveva caratteristiche decisamente molto diverse da quella moderna. Ciò dipende sicuramente dai limiti tecnici del rilievo antico, che per la redazione di carte per vaste porzioni geografiche non disponeva di immagini aeree, ma doveva combinare alcuni riferimenti astronomici con i dati metrici derivanti dalle fonti itinerarie – sia terrestri che marittime – e le osservazioni autoptiche sulla morfologia effettuate da punti del territorio prominenti (alture nell’entroterra o promontori) e da navi al largo della costa 2. Questi procedimenti comportavano inevitabilmente forti approssimazioni nella scala e nella Tra i vari studi sul confine in epoca greca si segnalano Sordi M. (a cura di), 1987; Daverio Rocchi G., 1988; Daverio Rocchi G., 1994, pp. 95-110; Daverio Rocchi G., 2007; Rousset D., 1994, pp. 97-126; Rousset D., 1999, pp. 35-77; Ampolo C., 1998, pp. 179-183; Carafa P., 1998, pp. 211-222; Zifferero A., 1998, pp. 223-232; Confini e frontiera, 1999; Cordiano G. (a cura di), 2006. 1 2 Per le alture come luogo da cui si gode di un’ampia visibilità, cfr. il papiro di Artemidoro, col. IV, in Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, p. 196. Riguardo all’osservazione dal mare, è sicuramente significativo che sia Plinio il Vecchio, la cui Naturalis Historia abbonda di notizie geografiche, sia Agrippa, il genero di Augusto a cui si attribuisce la redazione di una carta dell’Ecumene (cfr. Nicolet C., 1988, pp. 95-114, 207-208), fossero entrambi generali della marina militare romana. 326 LORENZO CIGAINA conformazione dei territori rappresentati. Ciò nondimeno i Greci e i Romani produssero carte geografiche e se ne servirono: per quale scopo allora? La ricerca recente ha messo in evidenza la diversa percezione dell’uomo nei confronti dello spazio, una percezione che resta fortemente condizionata dal punto di vista del soggetto e che pertanto si caratterizza come “relazionale” 3. Lo spazio viene percepito e visualizzato secondo percorsi lineari del soggetto, a loro volta strutturati sulla base di punti di riferimento o “landmarks” di cui si registra la posizione relativa. Tale concezione è stata definita “odologica” o “topologica” 4. Questa modalità di approccio soggettivo allo spazio emerge chiaramente nelle descrizioni delle fonti scritte, in cui raramente ricorre il riferimento ai punti cardinali, mentre le categorie dominanti sono perlopiù relative all’osservatore e ai “landmarks” visibili sul territorio: si parla allora di “davanti”, “dietro”, “destra”, “sinistra”, “in mezzo”, “al di là” e così via, non solo nelle descrizioni topografiche, ma anche in quelle geografiche 5. Trattando dei confini e della loro rappresentazione cartografica, si potrà dunque fare solo limitati riferimenti agli itinerari terrestri ed ai peripli, che rispecchiano proprio questa concezione “odologica”, da cui deriva la mancanza di scala e di orientamento preciso secondo i punti cardinali, il disinteresse per le reali estensioni dei territori e quindi anche per la rappresentazione esatta dei loro confini. L’esempio più significativo della cartografia antica giunto fino a noi, la Tabula Peutingeriana 6, comprime la rappresentazione del mondo conosciuto in una lunga striscia di pergamena di circa sette metri, alta solo 34 centimetri, tale da poter essere classificata come itinerarium pictum, funzionale cioè alla rappresentazione grafica della viabilità (Figg. 1a-c). Dati tali requisiti, il Brodersen ha potuto paragonarla al moderno diagramma della metropolitana di Londra, il cui scopo analogo è quello di rappresentare in modo schematico e sintetico i tracciati nei loro rapporti reciproci e nella scansione delle fermate, prescindendo dalla spazialità reale, che non interessa e anzi complicherebbe inutilmente la sua fruizione 7. 2.2 Corografia e geografia Impostando l’indagine, occorre tenere presente la distinzione generale – operata da Strabone (vissuto a cavallo fra I sec. a.C. e I sec. d.C.) e da Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) – fra una cartografia a piccola scala per l’intero mondo conosciuto o “ecumene” (geographia o geographikòs pínax) e una a grande scala per singoli territori o regioni (chorographia o chorographikòs pínax) 8. La distinzione è spiegata in modo chiaro da Tolomeo: “La geographia è la figurazione mediante disegno di tutta la parte conosciuta della superficie terrestre con gli oggetti collegati alla medesima. Essa differisce dalla chorographia perché questa, distinguendo i luoghi particolari li mostra ciascuno separatamente, segnando le cose come si vedono da vicino e persino le più piccole, come i porti, i villaggi, i centri abitati, i rami secondari che derivano dai fiumi principali e cose simili”. 3 Cfr. Brodersen K., 1995, pp. 289-290 e passim; Brodersen K., 2001a, pp. 137-148; Brodersen K., 2001b, pp. 7-21. 4 Gehrke H.-J., 2007-2008, pp. 61-71, in particolare p. 62. 5 In questo senso risulta istruttiva l’analisi della Periegesi di Pausania (II sec. d.C.), condotta da Janni P., 1988, pp. 77-91. Come noto, si tratta di una copia medievale di una carta geografica del IV sec. d.C., a sua volta frutto della rielaborazione di documenti cartografici più antichi (risalenti almeno fino al I sec. d.C.); vd. l’edizione recente Prontera F. (a cura di), 2003. 6 7 Brodersen K., 2001b, pp. 16-18 e figg. 2.3-2.4. Strabone, I, 1, 16; II, 5, 10; II, 5, 13 e 17; Tolemeo, Geografia, I, 1. Su questi passi, cfr. Baldacci O., 1988, pp. 3953; Nicolet C., 1988, pp. 131-138; Nicolet C., 1989, pp. 97-98, 208; Sonnabend H. (a cura di), 1999, s.v. Chorographie, pp. 87-88; s.v. Geographie, pp. 169-173. 8 327 Nr. 143 / 2011 “[…] La chorographia ha bisogno di disegnare i luoghi e non si può fare della chorographia se non si è capaci di disegnare. Alla geographia invece non interessa in alcun modo; infatti essa può, mediante linee e simboli, raffigurare l’ubicazione e l’immagine di tutto il mondo. Alla chorographia non è dunque necessaria l’applicazione della scienza matematica, che ha invece nella geographia la parte essenziale” 9. La geografia si delinea dunque come attività di tipo scientifico-matematico: definisce la localizzazione dei luoghi sulla base di coordinate che vengono ancorate ad osservazioni astronomiche; per la forma dei territori essa si avvale di astrazioni matematiche, siano esse approssimazioni geometriche oppure – secondo metodi più avanzati – sistemi di proiezione piana. La corografia si basa invece sul rilievo effettuato direttamente sul terreno. Sebbene Tolomeo sembri in una certa misura screditarne l’attività definendola non scientifica e riducendola alla sola capacità di disegnare in modo preciso i particolari topografici, in questa sede il termine verrà esteso ad indicare il rilievo preciso di una porzione limitata di territorio, condotto sulla base di misurazioni e di regole matematiche e geometriche 10. Va precisato che i termini geographia e chorographia indicavano anticamente non solo raffigurazioni cartografiche, ma anche testi descrittivi, che potevano essere eventualmente corredati di carte 11. I libri di genere scientifico, infatti, erano spesso accompagnati da immagini che ne chiarivano e illustravano il contenuto. Queste immagini, tuttavia, erano subordinate al testo e non pretendevano in alcun modo di sostituirlo 12. Verosimilmente anche le opere di contenuto geografico non sfuggivano a questa norma. La Geografia di Claudio Tolomeo, per esempio, è accompagnata nei manoscritti medievali da carte geografiche, che sono perlopiù ritenute delle aggiunte secondarie, redatte sulla base delle coordinate fornite dal testo 13. In altri casi il testo e le carte allegate furono composti simultaneamente e pensati come complementari 14, ma il dato scritto restava fondamentale: al testo era affidata la registrazione dei dati rilevati e al testo si ricorreva per il controllo e la verifica degli stessi. Fatte queste premesse ci si può porre la domanda: che tipo di rappresentazione dei confini si trovava nelle carte geografiche e in quelle corografiche? Le carte geografiche implicano, per la loro stessa natura astratta, un forte grado di semplificazione nel tracciato delle linee. Le unità territoriali sono trattate separatamente, cercandone la somiglianza con figure geometriche regolari o con forme note (cfr. Strabone, II, 1, 30 e, prima di lui, il sistema delle sphragídes di Eratostene). Per esempio, Strabone (V, 1, 2), descrivendo l’aspetto generale dell’Italia, critica la definizione di Polibio (II, 14), secondo il quale si tratterebbe di un promontorio triangolare con la base corrispondente alle Alpi e il vertice sullo stretto di Messina. Secondo Strabone, una figura di quattro lati è un’approssimazione più corretta, sebbene ancora imprecisa: egli ammette, infatti, che “la definizione di figure non geometriche non è facile a circoscriversi”. I limiti di tale metodo di astrazione tradizionale emergono anche nell’osservazione delle parti apparentemente più semplici e lineari: così le Alpi, che 9 Traduzione di Baldacci O., 1988, pp. 42-43. 10 Questa accezione si ritrova anche in Nicolet C., 1988, pp. 127-138; Nicolet C., 1989, pp. 97-98 e passim. 11 Cfr. Nicolet C., 1989, p. 208. 12 Weitzmann K., 1991, p. 69. Rossi L.E., 1995, p. 707: l’opera di Tolomeo può essere definita una “carta in prosa”, poiché fornisce tutte le indicazioni utili a chi voglia disegnare una carta; vd. anche Berggren J.L., Jones A., 2000, 45-50. Cfr. contra Baldacci O., 1988, 51-52, a favore di una redazione contemporanea di testo e carte. Le carte di Marino da Tiro, la cui opera è andata persa, furono redatte postume (cfr. Tolomeo, Geografia, I, 17). 13 328 LORENZO CIGAINA costituiscono il confine settentrionale, non sono rettilinee ma presentano una base con profilo ricurvo verso l’Italia (Strabone, V, 1, 3). Le carte corografiche, secondo quanto detto, dovrebbero invece restituire un’immagine più fedele dei singoli territori, della loro estensione e dei loro confini. Questo in teoria, ma nella prassi? Osserviamo ora alcuni esempi concreti, che possano chiarire meglio le modalità di definizione e di rappresentazione dei confini nella cartografia greca. 3. La definizione e la rappresentazione dei confini 3.1 I confini nella cartografia a scala “geografica” La cartografia “geografica” greca prende avvio nel VI sec. a.C. in Ionia, sulla costa occidentale dell’odierna Turchia, probabilmente su stimolo delle culture del Vicino Oriente, che da secoli ne conoscevano l’uso. Le prime carte, come quella di Anassimandro, in seguito perfezionata da Ecateo di Mileto, sono opera di studiosi poliedrici, che accanto alla geografia conducono ricerche in molteplici campi, dalla filosofia, all’astronomia e alla matematica 15. Non si tratta affatto di specialisti del rilievo cartografico, ma di scienziati che elaborano dati geografici reali attraverso processi di astrazione, col fine di arrivare a concepire e visualizzare l’insieme del mondo conosciuto. In queste prime testimonianze cartografiche del VI e V sec. a.C. i confini appaiono fissati e rappresentati sulla base di due criteri fondamentali: 1. l’omogeneità etnica del territorio da essi circoscritto; 2. la presenza di confini naturali (linee di costa, fiumi, istmi, dorsali montagnose, etc.) che consentano di delimitare delle individualità geografiche. Diversi secoli dopo, il geografo greco Strabone sottolinea ancora la validità di questi due principi (II, 1, 30): “Il rilievo di un territorio è ben delimitato quando sia possibile circoscriverlo mediante fiumi o monti o il mare, e ancora mediante la presenza di uno o più popoli e per una certa grandezza e forma”. Nel processo di astrazione, che sta alla base della descrizione geografica e della parallela produzione cartografica, ci si sforza di far coincidere i due fattori, l’etnico e il geografico 16. Alcuni esempi possono illustrare questo procedimento. Lo storico e geografo Erodoto (485 a.C. – 430 a.C. circa) descrive la visita del tiranno di Mileto, Aristagora, presso il re di Sparta, Cleomene, allo scopo di cercare aiuto militare in favore degli Ioni insorti contro i Persiani nel 499 a.C. (Erodoto, V, 49). Aristagora portò con sé “una tavola di bronzo (chálkeon pínaka) su cui era incisa la carta di tutta quanta la terra e tutto il mare e tutti i fiumi”. Questi tre elementi risultano basilari nella definizione cartografica dei territori, la cui forma è circoscritta dal mare e la cui scansione interna è articolata dai fiumi, che rappresentano insieme agili vie di penetrazione nell’entroterra e confini naturali. Davanti al re spartano, Aristagora descrive i diversi territori procedendo da ovest verso est, dall’Asia Minore alla Mesopotamia, indicandoli sulla carta geografica. È significativo che l’articolazione interna dell’Asia venga fatta coincidere con una sequenza di popoli: Ioni, Lidi, Frigi, 14 La necessità di accompagnare al testo una raffigurazione è ribadita dallo stesso Tolomeo, Geografia, I, 18. Su queste prime carte vd. Dilke O.A.W., 1985; Magnani S., 2003, pp. 133-137 e i commenti a Erodoto, IV, 36, nell’edizione a cura della Fondazione L. Valla, Milano 1993, p. 263 (A. Corcella); Erodoto, V, 49, Fondazione L. Valla, Milano 1994, pp. 223-224 (G. Nenci). 15 16 Cfr. Prontera F., 1992, pp. 109-135; Prontera F., 1999, pp. 147-166. 329 Nr. 143 / 2011 Cappadoci, Cilici, Armeni, Matieni e, infine, “la terra di Cissía” con la capitale dell’impero persiano, Susa. Il principio etnico che abbiamo sopra enunciato è qui coerentemente applicato. Riprendendo la descrizione dell’Asia poco oltre, verosimilmente sulla base di una fonte itineraria persiana, Erodoto (V, 52) indica due fiumi come confini interregionali: il fiume Halys tra la Frigia e la Cappadocia; l’Eufrate fra la Cilicia e l’Armenia. Viene qui applicato, dunque, il secondo criterio di definizione territoriale, quello del confine naturale 17. In due casi, inoltre, in corrispondenza dei confini – sull’Halys fra Frigia e Cappadocia e poi fra Cappadocia e Cilicia – sono ricordate coppie di porte monumentali lungo la strada reale persiana. La costruzione di un monumento in funzione di segno concreto e visibile per marcare un confine territoriale è una caratteristica che si ritrova anche successivamente nella cartografia antica (cfr. infra, il papiro di Artemidoro, Fig. 4, n. 6). Fra gli elementi fisici che possono costituire un confine, il fiume presenta un certo grado di ambivalenza, in quanto esso può anche fungere da asse viario e, come tale, catalizzare lungo il suo corso le realtà insediative di una regione più o meno estesa 18. Erodoto deve affrontare un’aporia di tal genere nel momento in cui considera il fiume Nilo, che secondo la tripartizione della terra nei continenti Europa, Asia e Africa (detta Libýe), segna il confine fra queste ultime due (II, 15-19; IV, 45, 2). Ne consegue che l’Egitto, se considerato – come vorrebbero gli Ioni – solo come territorio del delta, non apparterrebbe a nessun continente e sarebbe da considerare una quarta parte dell’ecumene (II, 16); se invece considerato nella sua reale estensione lungo il Nilo dalle cateratte al delta, risulterebbe diviso a metà tra l’Asia e l’Africa. Per ovviare a questa contraddizione, Erodoto richiama il principio dell’omogeneità etnica: “l’Egitto è tutto questo paese abitato dagli Egiziani”. Lo studioso, inoltre, quasi a voler diminuire il carattere lineare e divisorio proprio del fiume, richiama le proprietà particolari del Nilo, che quasi lo rendono un’eccezione alla norma: le sue inondazioni annuali, infatti, si estendono per due giorni di cammino da una parte e dall’altra e l’Egitto – secondo un oracolo di Zeus Ammone – si può allora definire proprio come la terra che viene coperta da queste inondazioni, mentre Egiziani possono dirsi tutti coloro che attingono acqua da questo fiume (II, 18-19). In conclusione, il confine tra Asia ed Africa non potrà essere che quello orientale dell’Egitto (II, 17, 1). La linea di confine politico fu spostata più volte nella storia 19, ma il confine geografico era chiaramente costituito dal ramo più orientale del delta del Nilo (il Pelusiaco), difeso da una fortezza nelle sue vicinanze: è qui che le truppe di Psammetico III aspettarono l’arrivo dell’esercito persiano guidato da Cambise nel 525 a.C. (Erodoto III, 10, 1). Uno sguardo a qualche documento cartografico, sebbene posteriore all’epoca greca, può illustrare questo particolare statuto dell’Egitto e del fiume Nilo che lo attraversa. Nella Tabula Peutingeriana si ritrova l’antico concetto della scuola ionica (Fig. 1a): la didascalia apposta lungo il Nilo spiega che si tratta del “fiume che separa l’Asia dall’Africa”. Si possono fare tuttavia tre osservazioni: 1) la didascalia è apposta sul tracciato lineare dell’alto corso del fiume, il più possibile lontano dal delta, che – in quanto territorio esteso – poneva problemi già ad Erodoto, come s’è visto; 2) si tratta di un confine geografico fra continenti (cfr. sulla stessa Tabula il Tanais – odierno Don – fra Europa ed Asia) e non di un confine politicoamministrativo, il che vale a dire: esso rientra più nella speculazione geografica, che nella prassi della 17 Per un altro esempio di applicazione dei due criteri, cfr. Erodoto, IV, 36-40: lo storico polemizza contro la carta dell’ecumene redatta da altri studiosi (probabilmente quelli della scuola ionica, Anassimandro ed Ecateo), secondo lui troppo astratta e distante dalla realtà; contrappone quindi la propria descrizione dell’Asia, definendo le varie parti sulla base di criteri etnici (popoli che la abitano) e fisici (penisole, mari, fiumi, promontori, golfi). 18 Su questa ambivalenza del fiume, cfr. Lepore, 1977, pp. 267-272. 19 Per una sintesi dei dati a disposizione su questa linea di confine, vd. Verreth H., 2009, pp. 199-216. 330 LORENZO CIGAINA Fig. 1 – Tabula Peutingeriana a. “Fiume Nilo, che divide l’Asia dall’Africa”; b. Delta del Nilo e penisola del Sinai; c. “Are dei Fileni, confine fra l’Africa e la Cirenaica” (da Prontera F., a cura di, 2003, segmenta VIII-IX, particolari) divisione territoriale; 3) la rappresentazione precisa della forma e dei confini dei territori non è tra le finalità della Tabula (cfr. supra, § 2.1). Più a est nella Tabula si osserva una vasta zona desertica (Fig. 1b), corrispondente alla penisola del Sinai. Questa regione povera di significativi insediamenti urbani si prestava come naturale fascia di rispetto fra la regione siro-palestinese e l’Egitto, tanto che H. Verreth ha potuto dubitare che sia veramente mai esistita una vera e propria linea di confine: forse il viaggiatore entrava in uno dei due paesi arrivando alla loro rispettiva prima città 20. Questo caso esemplifica il noto concetto di confine come fascia di territorio economicamente e demograficamente poco rilevante, posta fra due entità politiche che ne possono entrambe usufruire con forme di sfruttamento ed insediamento non stabili e non sistematiche. La mappa del mosaico di Madaba, in Giordania (metà del VI sec. d.C.), presenta didascalie esplicite per i confini fra Palestina ed Egitto (Fig. 2) 21. Occorre premettere che alcuni elementi rendono questo mosaico profondamente diverso da un’odierna carta geografica. Innanzitutto, esso costituiva il pavimento di una chiesa bizantina e il suo scopo precipuo era quello di illustrare ai fedeli i luoghi della Terra Santa. In secondo luogo, è stato osservato che, pur non essendo raffigurate le strade, le varie località sono disposte in sequenza lungo arterie viarie; la scala di rappresen- 20 Verreth H., 2009, p. 200. 21 Per questa mappa, vd. Piccirillo M., 1992, pp. 26-34, 81-95. 331 Nr. 143 / 2011 tazione è assolutamente disomogenea e si osserva una certa compressione dello spazio che viene “stirato” in forma allungata. Questi caratteri derivano da una concezione “odologica” dello spazio ed hanno fatto ipotizzare la derivazione del mosaico da un itinerario dipinto analogo alla Tabula Peutingeriana 22. Visivamente il confine è ancora una volta marcato dalla bocca Pelusiaca del Nilo. Due didascalie, tuttavia, indicano dei punti più precisi ad est del corso d’acqua: nell’entroterra “la città di Asemona nel deserto, confinante con l’Egitto e presso la via che conduce al mare”; verso la costa, tra le località Rhinokóroura e Betylion, i “confini dell’Egitto e della Palestina” (Fig. 2). Questa seconda indicazione coincide con la localizzazione del confine durante tutta l’età imperiale romana 23. Nessuna linea visualizza sulla carta il tracciato confinario, che verosimilmente era fissato solo in determinate località lungo le maggiori vie fra i due paesi. Ritornando ai due criteri fondamentali da cui siamo partiti, un ulteriore esempio della loro applicazione è offerto dall’opera frammentaria di Antioco di Siracusa (fine del V sec. a.C.). Nel tracciare i confini dell’Italía, corrispondente all’incirca all’odierna Calabria, l’autore si sforza di far coincidere l’individualità geografica e l’omogeneità etnica della regione 24. Gli elementi della morfologia costiera, come golfi, foci fluviali e promontori, segnano possibili confini, che tuttavia diventano vaghi e confusi nell’entroterra, dimostrando che si tratta di una geografia sostanzialmente litoranea, che rispecchia i prevalenti interessi marinari dei Greci. Dapprima la regione, abitata dagli Enotri, era racchiusa fra lo Stretto di Messina a sud e l’istmo formato dal golfo di Ipponio (odierno Sant’Eufemia) e da quello di Scillezio (odierno Squillace) a nord (Fig. 3). Successivamente gli abitanti cambiarono nome in Itali e poi in Morgeti e il territorio crebbe fino al limite settentrionale fra il golfo di Posidonia (odierno Salerno) e quello di Taranto (Fig. 3). Tali suddivisioni etnico-geografiche sono in larga misura frutto di astrazione e tendono ad unificare e semplificare una realtà etnica e politica più complessa. Eppure esse vengono registrate da Antioco come ancora attuali (con l’arretramento del confine tirrenico al fiume Lao). La loro ragion d’essere va allora cercata su un piano sovra-politico, cioè in un sentimento identitario che travalica le divisioni fra le singole città-stato e fra queste e i popoli indigeni 25. Da ultimo, si può considerare la problematica testimonianza offerta dal c.d. papiro di Artemidoro, che conserva una copia (primi decenni del I sec. d.C.) dell’inizio del II libro dei Geographoúmena di Artemidoro di Efeso, scritti intorno al 100 a.C. 26. Nel testo viene descritta la Penisola Iberica, sicché ci si è sforzati di identificare nella carta allegata le località e i fiumi di quella regione. Il tentativo di riconoscimento è reso arduo dal fatto che la carta è incompleta e, oltre ai colori, mancano anche le didascalie con la toponomastica dei luoghi raffigurati; risulta evidente, inoltre, che non è stata adottata una scala unitaria 27. Secondo l’ipotesi più probabile, si tratterebbe di una mappa regionale della Penisola Iberica, 22 Per queste considerazioni, cfr. Piccirillo M., 1992, p. 29; Brodersen K., 2001b, pp. 11-12. 23 Per le fonti disponibili, cfr. Verreth H., 2009, pp. 205-206. 24 Prontera F., 1988, pp. 210-211; Prontera F., 1992, pp. 115-135 (datazione del Perì Italías fra il 424 e il 415 a.C.). 25 Prontera F., 1992, pp. 125-127. Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, pp. 89-197 (testo di Artemidoro); 275-308 (carta). Ultimamente sembrano venute meno le remore dovute ai sospetti di falsità che gravavano sul papiro, soprattutto per le critiche di Luciano Canfora: per i pareri – perlopiù favorevoli – dei diversi studiosi (compreso Canfora), vd. Brodersen K., Elsner J. (a cura di), 2009. 26 27 Talbert R., 2009, pp. 57-64, esprime un atteggiamento rinunciatario sulla possibilità di riconoscere il territorio rappresentato, opponendosi alle congetture degli editori (Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, pp. 292-305), che qui 332 LORENZO CIGAINA Fig. 2 – Mappa del mosaico di Madaba (Giordania, metà del VI sec. d.C.). L’area dei confini fra Palestina ed Egitto: 1) ramo “Pelusiaco” del delta del Nilo; 2) “la città di Asemona nel deserto, confinante con l’Egitto e presso la via che conduce al mare”; 3) “confini dell’Egitto e della Palestina” tra le località Rhinokóroura (4) e Betylion (5) (da Piccirillo M., 1992, p. 80) Fig. 3 – I confini dell’ Italía secondo Antioco di Siracusa (fine del V sec. a.C.): = = = limite della prima Italía; - - - limite dell’ Italía dei Morgeti? (da Prontera F., 1992, p. 119 fig. 3) 333 Nr. 143 / 2011 dunque un documento che, rappresentando una porzione abbastanza circoscritta di territorio, si avvicina alla chorographia, da cui ci si attenderebbe una maggiore attenzione ai dettagli e – ciò che qui interessa – alla rappresentazione dei confini. Purtroppo lo stato di incompletezza non consente di trarre conclusioni definitive. Si possono tuttavia osservare due elementi di un certo interesse. Il primo è costituito da alcuni rilievi montuosi ed alberi nella parte alta della carta (Fig. 4), forse un accenno alla catena dei Pirenei che secondo il testo scritto costituisce il confine settentrionale della Spagna 28. Più chiaro è il secondo elemento (Fig. 4, n. 6), un monumento allungato (cippo, stele, colonna, pietra miliare?) che, collocato al termine di un tracciato lineare identificabile come una via, potrebbe indicare il caput viae, cioè la conclusione della strada in corrispondenza del confine provinciale fra Gallia e Spagna oppure, meno probabilmente, fra Hispania Citerior e Hispania Ulterior 29. Il modo di contrassegnare i confini attraverso emergenze monumentali è stato già osservato in Erodoto, a proposito delle coppie di porte lungo la strada reale persiana (cfr. supra). Strabone (I, 4, 7; III, 5, 5) parla di cippi, cumuli di sassi, stele, templi, colonne, torri, altari e iscrizioni come possibili contrassegni confinari 30. Nella Tabula Peutingeriana si osservano vignette apposite, spiegate da didascalie, che indicano le Are dei Fileni al confine fra Tripolitania e Cirenaica (Fig. 1c) e le Are di Alessandro Magno al confine orientale dell’ecumene conosciuta 31. Si tratta di punti di riferimento (“landmarks”) collocati lungo le vie, agevolmente visibili e riconoscibili dai viaggiatori e, per questo motivo, annotati anche sulle carte geografiche. 3.2 I confini nella cartografia a scala “corografica” Già alcuni degli esempi precedenti, in particolare il papiro di Artemidoro, possono essere considerati come corografie. Nel presente paragrafo si intende meglio analizzare sotto la voce chorographia l’uso di cartografia locale a livello delle singole città-stato greche. La nozione di confine si sviluppa fin dall’origine della città-stato (polis), che costituisce l’unità base nella ripartizione geopolitica del mondo greco: ciascun centro urbano, infatti, controlla un territorio (chora) sul quale estende la propria sovranità. Quanto emerge chiaramente dalla ricerca, è che sembra mancare una cartografia per la definizione dei confini politici delle singole città-stato: non si conservano né resti materiali di essa, né tracce indirette nelle iscrizioni e nelle fonti letterarie. Prendendo come riferimento le ricognizioni sistematiche della documentazione epigrafica, condotte da Giovanna Daverio Rocchi e Denis Rousset, si può cercare di individuare le motivazioni di questa assenza 32. vengono citate. Il Brodersen, per parte sua, rileva nella carta del papiro lo stesso carattere diagrammatico proprio della Tabula Peutingeriana, riconoscendovi un itinerarium pictum (Brodersen K., 2001a, pp. 145-147; Brodersen K., 2001b, pp. 16-18). Sebbene sia riscontrabile forse una forte distorsione degli spazi reali come nella Tabula, tale ipotesi va esclusa, poiché la carta ha chiaramente una funzione complementare al testo di geografia ed è stata quindi redatta con scopi scientifici (Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, p. 292; sulla distorsione, ibidem, pp. 301, 303-305). 28 Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, p. 196, col. IV: “i Pirenei separano la Gallia e l’Iberia”. Cfr. Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, pp. 283 n. 6, 286, 295, 302: secondo gli editori, potrebbe anche trattarsi di “una lapide commemorativa di un evento celebre”. Per i miliari come contrassegno confinario di una polis, cfr. Rousset D., 1999, p. 53 e nota 91. 29 Si confronti anche lo Ianus Augustus, un arco trionfale fatto erigere da Augusto sulla via Augusta al confine fra le provincie iberiche Baetica e Tarraconensis (cfr. Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008, p. 302 e nota 74, con bibliografia). 30 Per le are di Alessandro, vd. Prontera F. (a cura di), 2003, segmentum XII, 3 (“Ara Alexandri”) e 5 (“Hic Alexander responsum accepit. Usque quo Alexander”). 32 Daverio Rocchi G., 1988; Rousset D., 1994, pp. 97-126 (su questo contributo si basa la sintesi che qui segue). 31 334 LORENZO CIGAINA Fig. 4 – Carta del papiro di Artemidoro: in alto, rilievi montuosi e alberi (la catena dei Pirenei?); in alto a destra (n. 6), monumento (cippo, colonna o miliare) lungo la via n. 5, forse in corrispondenza del confine provinciale (da Gallazzi C., Kramer B., Settis S., 2008) Si possiedono 160 documenti riguardanti la definizione dei confini territoriali, di cui 77 descrivono una delimitazione, stabilendo in modo più o meno dettagliato la linea di confine 33. Solo una minoranza di casi prevede la dislocazione di cippi sul terreno. Nel mondo greco si sono conservati solo 53 cippi confinari, corrispondenti solamente a un ventesimo circa del totale dei cippi rinvenuti, che dunque sono destinati per la maggior parte ad altre funzioni di delimitazione. Occorre aggiungere che di questo insieme fanno parte alcuni gruppi omogenei pertinenti alla stessa delimitazione (cfr. per esempio il confine Laconia-Messenia, quello di Priene oppure alcune delimitazioni nella Grecia settentrionale in età imperiale), il che riduce ulteriormente il numero di casi noti. Sono conosciute solo cinque terminazioni sistematiche per mezzo di cippi collocati lungo tutto il tracciato confinario; negli altri casi i cippi venivano posti solo in particolari punti, perlopiù allo scopo di sopperire alla mancanza di elementi geomorfologici (come rilievi, paludi, zone aride e corsi d’acqua) o di altri “landmarks” significativi (compresi edifici di vario tipo e alberi) in aree pianeggianti con una densità demografica tale da porre i territori delle città a stretto contatto. Anche tenendo conto della casualità dei rinvenimenti, la generale scarsità di cippi sembra 33 I vocaboli greci che definiscono questa operazione sono i verbi termazein, termonizein (cfr. Rousset D., 1994, p. 106) e il sostantivo periorismós (cfr. Virgilio B., 2004, p. 434). 335 Nr. 143 / 2011 indicare che si preferiva fissare il confine su elementi appartenenti al territorio stesso, piuttosto che ad esso sovrapposti artificialmente. La maggior parte dei documenti epigrafici si colloca in un’epoca piuttosto avanzata, tra l’età ellenistica e la prima età imperiale (III sec. a.C. – II sec. d.C.), come del resto la maggior parte dell’epigrafia pubblica greca. Da questa rapida sintesi risalta in modo alquanto sorprendente l’assenza di qualsivoglia prescrizione riguardante la redazione di documenti cartografici che registrino l’estensione territoriale della polis e il tracciato dei suoi confini. Non solo: emerge un secondo dato altrettanto singolare. Solamente in quattro documenti viene fatto intervenire un geometra (geométres), cioè un tecnico, esecutore, professionista specializzato nella misurazione e nelle operazioni di delimitazione dei territori (34). In un caso solo, nella controversia tra Ambracia e Charadros, si esplicita che egli ottiene una remunerazione per il suo lavoro. In età romana, in due o tre casi, è testimoniata l’attività di un chorométres o ménsor, vale a dire un agrimensore, figura ben nota nel mondo romano, che qui assiste i magistrati romani o applica le loro decisioni. Solo tre delimitazioni, infine, registrano delle misurazioni sistematiche dello spazio (Ambracia-Charadros; Thronion-Skarpheia; Sparta-Messene): nei primi due casi il confine corre in pianura, il che spiega la particolare attenzione nelle operazioni di delimitazione; in tutti e tre i casi si dispone inoltre la collocazione di cippi. A prescindere da questo ridotto numero di casi in cui viene coinvolto un professionista e si eseguono precise misurazioni, la normale consuetudine greca era quella di affidare l’incarico di verifica e di definizione dei confini a un collegio di arbitri o commissari non specialisti, che venivano scelti fra i cittadini delle due comunità contendenti o erano chiamati da una città terza eletta come arbitro. La presenza di un geometra poteva eventualmente affiancare, ma non sostituire questo collegio. Certamente si potrebbe congetturare che siano esistite delle carte corografiche con funzione perlomeno riassuntiva della confinazione, al fine di render disponibile un quadro sinottico di facile e immediata consultazione, ad uso interno della polis, per verificare la collocazione relativa dei riferimenti confinari. Queste carte congetturali, tuttavia, dovevano restare prive di valore giuridico probante nel caso di controversie con le città vicine. Tali documenti, infatti, si prestavano troppo facilmente ad essere falsificati o male interpretati in mancanza di una scala uniforme, di un codice cartografico univoco e, soprattutto, di un’autorità garante superiore alle parti che ne ratificasse la validità. Dal punto di vista giuridico, nei casi di contese confinarie risultavano di primaria importanza le testimonianze orali, soprattutto di chi frequentava i luoghi e ne aveva pertanto esperienza diretta 35. Questo legame diretto fra cittadini e territorio è lo stesso che autorizza la scelta dei commissari per la delimitazione in seno al corpo civico. L’esperienza della polis greca si concretizza proprio in questa relazione diretta fra stato territoriale e cittadini, i quali partecipano direttamente alla vita politica e sono portatori di un’identità civica, etnica e religiosa che è inscindibile dal territorio in cui si realizza 36. Secondo Aristotele (Politica, VII, 1326b, 1327a) la grandezza ideale di un territorio era quella di una polis la cui chora potesse essere abbracciata con lo sguardo e dove tutti i cittadini dovevano essere raggiunti dalla voce dell’araldo. In un altro passo (Politica, III, 1276b, 1-2), il filosofo identifica la polis con la comunità dei suoi cittadini. Significativamente l’urbanista Ippodamo di Mileto (metà del V sec. a.C.) teorizzò la polis myriandros, cioè di diecimila abitanti (cfr. Aristotele, Politica, II, 1267b – 1268a), cercando così di instaurare una simmetria strutturale fra progetto urbanistico e abitanti di una città. 34 Rousset D., 1994, pp. 108-109. 35 Daverio Rocchi G., 1988, pp. 64-65. 36 Daverio Rocchi G., 1993, pp. 26-39. 336 LORENZO CIGAINA Il territorio della polis è dunque uno spazio vissuto ed esperito quotidianamente dai suoi cittadini. Lo strumento cartografico, frapponendosi in questo rapporto diretto, lo trasformerebbe in rapporto mediato, alterando i presupposti essenziali dell’organismo polis-cittadini. Ciò non toglie che, accanto alle testimonianze orali e alle perizie dei commissari, anche i documenti scritti avessero la loro validità. Lo testimoniano le minuziose enumerazioni di punti di riferimento confinari registrate nelle iscrizioni che regolano le dispute confinarie, esposte in luoghi pubblici (in genere nei santuari) di modo da essere note a tutti e a tutti accessibili per controlli e verifiche. Ancora una volta il legame con i cittadini resta imprescindibile. Infatti, gli sforzi della ricerca moderna per georeferenziare questi elenchi di punti sono giunti, nei casi più fortunati, solo a conclusioni approssimative 37: le indicazioni, che per noi restano scarne e generiche, per gli antichi abitanti erano invece sufficienti ad individuare in modo univoco luoghi noti per consuetudine quotidiana. 4. I confini nelle mappe catastali Esiste un’ultima categoria di documenti cartografici a grande scala, in cui vengono rappresentati i confini: le carte o mappe catastali. Con tale definizione si intendono quelle carte che sono redatte come strumenti ausiliari per la gestione patrimoniale del territorio, in particolar modo quello destinato allo sfruttamento agricolo. Le moderne ricerche topografiche svolte per mezzo della fotografia aerea hanno messo in evidenza le pianificazioni territoriali di alcune colonie greche, realizzate in epoca classica ed ellenistica. In alcuni casi paradigmatici, come Metaponto in Italia meridionale e Chersoneso in Crimea (fig. 5), i territori (chorai) sono suddivisi in lotti regolari da un reticolato di vie, canali e delimitazioni agrarie, che anticipano le tecniche della centuriazione romana 38. La regolarità degli impianti e la loro estensione lascia supporre che in fase di progettazione e, successivamente, per la registrazione patrimoniale le città si siano avvalse di documenti cartografici. Secondo Erodoto (II, 109), la geometria, nel significato etimologico di scienza della “misurazione della terra”, era stata dapprima applicata dagli Egizi per registrare la dimensione esatta dei poderi sottoposti a tributo. Le piene annuali del Nilo, infatti, apportavano continui mutamenti all’estensione dei lotti, il che richiedeva l’intervento di funzionari pubblici per ristabilire l’entità del patrimonio imponibile. Secondo lo storico, la geometria era stata portata dall’Egitto in Grecia, forse per iniziativa del filosofo-scienziato ionico Talete agli inizi del VI sec. a.C. 39. Una conferma che questa scienza fosse diventata d’uso comune perlomeno nell’età classica e che essa producesse documenti di natura cartografica ci viene da Aristofane, Nuvole, vv. 200-216 40. Il contadino Strepsiade, trovandosi alla scuola filosofica di Socrate, viene confrontato con degli strumenti per Rousset D., 1999, p. 52. Oltre alle iscrizioni relative a delimitazioni, c’era una varietà di documenti scritti che potevano essere addotti per rivendicare il possesso legittimo di un territorio di confine (cfr. la disputa confinaria fra Sparta e Messene all’epoca di Tiberio, in Tacito, Annali, IV, 43: opere di storici locali e di poeti, decreti, “antiche” iscrizioni su pietra o bronzo, arbitrati stranieri). 37 38 Cfr. Carter J.C., Thompson S.M., Trelogan J., 2004, pp. 127-145 (Metaponto: suddivisioni romboidali); Mack G.R., Carter J.C., 2003, pp. 24-25, 120-124 (Chersoneso: lotti rettangolari). 39 Così secondo Proclo, Commento al I libro degli «Elementi» di Euclide (cfr. Lanzillotta E., 1988, p. 99 e nota 7, con bibliografia). 40 Su questo passo, cfr. Lanzillotta E., 1988, pp. 95-99; Brodersen K., 1995, pp. 71-72, 195 . 337 Nr. 143 / 2011 Fig. 5 – Il territorio di Chersoneso (Crimea), suddiviso in lotti rettangolari nel IV sec. a.C. (da Mack G.R., Carter J.C., 2003, p. 120, map 9.1) la misurazione della terra (geometria) e spontaneamente chiede se forse essi servano per la spartizione dei lotti di terreno ai coloni (kleroûchoi); gli viene risposto che essi servono alla misurazione di tutta quanta la terra e, subito di seguito, gli viene mostrato il prodotto di simili operazioni scientifiche: una carta geografica dell’ecumene (gês períodos). La reazione spontanea di Strepsiade induce a ritenere che la geometria e, probabilmente, anche le carte catastali da essa prodotte fossero all’epoca (fine del V sec. a.C.) ampiamente note e utilizzate. Una conferma ci viene dalle scarse ma altamente significative testimonianze papiracee dall’Egitto, databili all’epoca ellenistica. La mappa della tenuta di Apollonio (Fig. 6), del 259 a.C., è orientata secondo i punti cardinali e raffigura un’estensione agricola quadrangolare di 27,5 km2, con un perimetro complessivo di 338 LORENZO CIGAINA Fig. 6 – Papiro P. Lille 1: mappa della tenuta di Apollonio, 259 a.C. (da Foraboschi D., 2004, p. 187) 21 km 41. La superficie è attorniata ed attraversata da canali ortogonali, che la suddividono in 40 appezzamenti rettangolari. La mappa è allegata a un testo, in cui si programma lo scavo di canali per migliorare la redditività del terreno. Essa serve dunque a visualizzare i lavori progettati, mentre tutti i dati tecnici – dimensioni del terreno e dei canali, volume di terra da asportare, salari dei lavoratori, scadenze – sono demandati al testo. Riguardo alle procedure di delimitazione, l’esempio delle Tavole di Eraclea illustra alcuni aspetti significativi 42. In primo luogo, i commissari (oristaí) del collegio incaricato di delimitare i terreni sono scelti fra i cittadini della polis: lo dimostrano le sigle qui preposte ai loro nomi, segno dell’appartenenza alle ripartizioni famigliari e distrettuali del corpo civico di Eraclea. Significativo è il fatto che l’unico professionista, un geometra, sia convocato da fuori, dalla città di Neapolis 43. Si ripropone dunque la situazione già riscontrata per i confini delle cittàstato: collegi di cittadini non specialisti e singoli tecnici chiamati in appoggio (cfr. supra, § 3.2). In secondo luogo, i riferimenti confinari sono scelti fra gli elementi geomorfologici rilevanti del territorio, in particolare l’idrografia (il fiume Aciri – odierno Agri, un ruscello, la linea delle sorgenti, una zona acquitrinosa con papiri), secondo un procedimento già riscontrato a proposito delle carte geografiche (cfr. supra, § 3.1). Altre linee di confine sono date dai possedimenti confinanti (definiti col nome del proprietario), dalle strade, di cui una viene tracciata ex-novo apposta per la delimitazione, dai cippi di confine, di cui si elenca il numero, la posizione e l’iscrizione da apporsi su di essi 44. 41 Papiro P. Lille 1: vd. Foraboschi D., 2004, pp. 183-187. Per un altro papiro frammentario di epoca tolemaica, con la carta policroma di una zona di campagna di Aphroditopolis - Gebelên (con corsi d’acqua, appezzamenti di terreno, deserto), vd. Spiegelberg W., 1908, pp. 261-263, n. 31163 e tav. 105. Riedizione delle due tavole bronzee di Eraclea (colonia magnogreca sul Golfo di Taranto) in Uguzzoni A., Ghinatti F., 1968 (pp. 98-99, 221: datazione alla fine del IV – inizio del III sec. a.C.). Per altri esempi di documenti ellenistici di delimitazione, vd. Virgilio B., 2004, pp. 429-437. 42 43 Vd. Uguzzoni A., Ghinatti F., pp. 101, 125-132, 155-157, 229, 234-235. 44 Vd. Uguzzoni A., Ghinatti F., pp. 191, 229-231, 235-236. 339 Nr. 143 / 2011 Non è invece prescritto l’allestimento di alcuna carta, come in nessun’altra iscrizione analoga. Emergono dunque alcune caratteristiche che si sono già osservate per i confini delle città-stato: il rapporto diretto cittadini-territorio, la definizione di punti di riferimento – naturali o artificiali – già disponibili sul territorio stesso, l’uso solo minoritario e complementare dei cippi, l’importanza del dato scritto e, in conseguenza di tutto ciò, la superfluità della registrazione cartografica. In conclusione, le carte a grande scala con funzione catastale potevano esistere in Grecia, per registrare la suddivisione del territorio agricolo, la forma degli appezzamenti e l’andamento dei loro confini, ma sembrano essere state lontano dall’essere necessarie e sistematicamente impiegate. Si osservi, inoltre, che la mappa della tenuta di Apollonio si inquadra ormai al di fuori dell’orizzonte limitato della polis, in uno stato esteso (il regno dei Tolomei) con esigenze di gestione centralizzata di un vasto territorio. 5. La cartografia dei regni ellenistici e il passaggio all’Impero romano A partire dai regni ellenistici la cartografia conosce un forte sviluppo, ponendosi al servizio delle nuove entità politiche che necessitano di strumenti cartografici per rappresentare e conoscere i loro ampi territori, sia in estensione che nel dettaglio 45. Contemporaneamente la geographia scientifica fa notevoli progressi, soprattutto per impulso della scuola di Alessandria d’Egitto e, in particolare, di Eratostene. Fu definito in modo maturo il sistema dei meridiani e dei paralleli e si perfezionò l’uso delle osservazioni astronomiche per determinare le latitudini 46. L’esito ultimo di questi sviluppi si avrà nella carta dell’ecumene redatta da Agrippa che, unendo per la prima volta una vastità territoriale di scala “ecumenica” e una precisione di tipo corografico, manifesta una volontà di conoscenza e di dominio universali, leggibili alla luce dell’ideologia augustea 47. La geographia scientifica esce dai ristretti circoli di intellettuali a cui era rimasta confinata in epoca arcaica e classica 48 e diviene la cornice in cui vengono collocati i sempre più numerosi dati geografici derivanti da osservazioni e rilievi corografici. L’attività degli agrimensori romani diviene fondamentale nella suddivisione agraria del territorio e nella redazione di carte (formae o tabulae), che per ciascuna colonia dell’Impero registravano i confini con le città vicine, i limites della centuriazione, i dati corografici e patrimoniali del territorio 49. Da quanto si è conservato di questi documenti, sembra che essi continuassero ad avere scale di rappresentazione disomogenee, orientamenti non uniformi, deformazioni più o meno accentuate. Era indispensabile, Già Alessandro Magno incaricò appositi specialisti (i bematisti) di compiere estese ricognizioni dei territori di nuova acquisizione: cfr. Battistini O., Charvet P. (a cura di), 2004, s.v. Bématistes. 45 46 Vd. Magnani S., 2003, pp. 138-143. Sulla carta di Agrippa, completata dall’imperatore Augusto dopo la sua morte ed esposta a Roma in Campo Marzio nella porticus Vipsania, vd. Nicolet C., 1988, pp. 134-138; Nicolet C., 1989, pp. 95-114, 207-208; Brodersen K., 1995, pp. 268-287; Coarelli F., 1999, s.v. Porticus Vipsania, pp. 151-153; Magnani S., 2003, pp. 143-148. 47 48 Brodersen K., 1995, pp. 72 e 195, definisce tali ambienti “Denkerstuben” (salotti di pensatori). Altre carte prodotte o fruite in contesti simili sono la carta dell’ecumene di Anassimandro, quella di cui disponeva Socrate secondo Eliano, Varia Historia, III, 28 (forse la stessa di cui parla Aristofane, cfr. § 4), le carte ad uso didattico nel portico del Liceo ad Atene (Diogene Laerzio, V, 51). Sulle formae vd. De Ruggiero E. (a cura di), 1895, s.v. Forma, pp. 186-187; Daremberg Ch., Saglio E., 1896, s.v. Forma, pp. 1249-1252; Misurare la terra, 1983, pp. 146, 240-250 e figg. 122-124; Dilke O.A.W., 1985, pp. 94-97; Dilke O.A.W., 1992, pp. 98-125, 159-177; Nicolet C., 1989, pp. 96-97; Brodersen K., 1995, pp. 217-224; Von Cranach Ph., 1996, pp. 178-181. 49 340 LORENZO CIGAINA pertanto, ancora una complementarietà di dati scritti e di rappresentazioni grafiche 50. Ma la diffusione di questi documenti, divenuti strumenti di amministrazione del vasto impero, è una novità portata dai Romani. Le formae e i commentarii che le accompagnavano erano redatti in duplice copia: una restava negli archivi della città interessata, l’altra era spedita a Roma e faceva fede come originale, conservata nell’archivio centrale (tabularium). L’entità sovrana dello stato romano, dunque, si presentava come garante della loro validità e, sulla loro base, regolava le eventuali dispute confinarie. Questa garanzia super partes spiega la nuova fiducia nel valore documentale delle carte. Nell’estensione ormai ecumenica dell’Impero, il rapporto fra potere politico e territorio, che nella polis greca era diretto e personale, è divenuto un rapporto mediato, particolarmente evidente nel caso delle colonie romane d’Occidente. Bibliografia AMPOLO C. (1998), Frontiere politiche e culturali, in Papers EAA, pp. 179-183. Artissimum memoriae vinculum (2004), Artissimum memoriae vinculum: scritti di geografia storica e di antichità in ricordo di Gioia Conta, a cura di U. Laffi, F. Prontera e B. Virgilio, Firenze. BALDACCI O. (1988), Dalla topografia alla geocartografia in età romana, in Geographia, pp. 39-53. BATTISTINI O., CHARVET P. (a cura di) (2004), Alexandre le Grand: histoire et dictionnaire, Paris. BERGGREN J.L., JONES A. (2000), Ptolemy’s Geography: an annotated translation of the theoretical chapters, Princeton-Oxford. BRODERSEN K. (1995), Terra Cognita. Studien zur römischen Raumerfassung, Georg Olms, HildesheimZürich-New York. BRODERSEN K. 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