Papers by Antonello Mori
This article offers an in-depth exploration of The Salvetti Project, a groundbreaking initiative ... more This article offers an in-depth exploration of The Salvetti Project, a groundbreaking initiative dedicated to the digitisation and analysis of handwritten newsletters from the Medici Residents in London between 1640 and 1660. It chronicles the project's development, emphasising its conceptual foundation and the collaborative efforts that brought it to fruition. The Salvetti Project merges academic scholarship with practical application, combining traditional research methods, digital approaches, and public history to create a comprehensive and accessible historical resource.
GUERRE GIUSTE: INDAGINI SULLANECESSITÀ DI UN CASUS BELLI UNIBO, 2020
La riflessione sulla “guerra giusta” attraversa tutto il pensiero filosofico, giuridico e politic... more La riflessione sulla “guerra giusta” attraversa tutto il pensiero filosofico, giuridico e politico della civiltà Occidentale. In questo elaborato verrà analizzata brevemente la genesi e l’evoluzione del concetto, per poi comprendere quale peso questo assume nel nostro presente.
La trattazione prende inizio dal pensiero del filosofo Eraclito di Efeso, che attribuiva al polemos una potenza generatrice. Ma, per quanto riguarda la grecità, il primo a parlare di “guerra giusta” fu senz’altro Aristotele, che utilizzando la figura del “barbaro”, elemento concettuale ancor prima che storico, intrecciò indissolubilmente il tema della guerra con quello della schiavitù. Famoso è il passo nel quale lo Stagirita affermò che l’arte bellica è per natura arte di acquisizione, da praticare contro le bestie e quegli uomini che, nati per obbedire, si rifiutano. Si palesa in questa definizione che il concetto di “guerra giusta” nasce secondo il connubio tra guerra e schiavitù/inciviltà.
Per quanto riguarda il pensiero romano, esso si riconosce nella massima si vis pacem para bellum. Ma è a Cicerone che dobbiamo la definizione di bellum iustum e la sua caratterizzazione. L’Arpinate, infatti, definisce il concetto di “guerra giusta” sul suo contrario, ovvero quando il bellum risulta iniustum, e afferma: «sono ingiuste quelle guerre iniziate senza una causa».
Il concetto di bellum iustum subisce un mutamento importante tra il IV e il V secolo grazie al contributo di Agostino. Quest’ultimo, secondo Norberto Bobbio, non solo confutò la tesi per cui la guerra in qualunque situazione è sempre condannata nelle Scritture, ma cambiò qualitativamente l’idea di bellum iustum, basandola sul principio etico della “guerra che mira alla pace”. Il Vescovo di Ippona non fece altro che rielaborare e piegare la cultura classica romana alle esigenze della neonata religione cristiana nel quadro dell’Impero, traendo guadagno dal confronto con i pensatori pagani, in particolare Cicerone e il suo Hortensius. Il nucleo della riflessione proposta da Agostino è possibile sviscerarlo dalle Quaestiones in Heptateuchum, nelle quali tenta di fornire «una chiave esegetica per la comprensione del vecchio Testamento». Riflettendo sull’episodio biblico in cui Giosuè guidò l’insediamento del popolo di Israele nella terra promessa, Agostino si impegnò a chiarire che il comportamento tenuto dal profeta era corretto, non solo perché suggerito da Dio, ma perché attuato all’interno di una guerra giusta.
Questa lettura degli eventi permise di formulare la concezione agostiniana secondo cui la guerra è lecita se il fine è giusto, elevandola ad un mezzo per raggiungere la giustizia. Con questa riflessione Agostino affianca alla concezione politico-giuridica romana di “guerra giusta” il nuovo elemento cristiano, quello politico-teologico. La sua costruzione teologica si realizzò compiutamente nel Medioevo con una sistematizzazione definitiva ad opera di Tommaso d’Aquino con la sua Summa Theologiae.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, il tema della “guerra giusta” torna ad acquisire nuovo interesse, intrecciandosi con il diritto internazionale e la pace globale. La Carta delle Nazioni Unite diviene il punto d’interesse per il dibattito. Ispirata ai principi kantiani e groziani di “guerra giusta”, secondo i quali essa è giustificata solo come mezzo di autodifesa, la Carta negli ultimi due decenni sta subendo una spinta verso la formulazione di “guerra giusta” agostiniana. Questa virata ha creato una serie di contraddizioni intrinseche tra temi come la difesa della dignità umana sostenuta nel documento e l’effettivo uso dell’azione bellica da parte dei membri delle Nazioni Unite. Alla luce di ciò ci si può interrogare infatti se una guerra per difendere i diritti umani sia una “guerra giusta” anche quando per raggiungere il suo scopo finisce per ledere i diritti della parte avversa. Questo è solo una delle tante aporie che meriterebbero uno studio approfondito e soprattutto un istituto sovranazionale legittimata a decidere quando un conflitto è davvero mosso da una recta intentio.
Talks by Antonello Mori
Conferenza di chiusura del progetto ERC DisComPoSe presso l'Università Federico II di Napoli
Locandina del convegno Soggetti in conflitto: Tra scontro e riconoscimento tenutosi presso l'Univ... more Locandina del convegno Soggetti in conflitto: Tra scontro e riconoscimento tenutosi presso l'Università di Pavia nel corso del Dottorato in Storia.
Casus Belli Arma Mater Studiorum, 2020
Come, perché e quando si parla e si è parlato di "Guerra giusta" o legittima? Che cosa ha signifi... more Come, perché e quando si parla e si è parlato di "Guerra giusta" o legittima? Che cosa ha significato e implicato nei diversi contesti storici? Lo studio del casus belli va ben oltre la storia militare stricto sensu: esso, infatti, pervade ogni aspetto della nostra società, dall'economia alla sociologia, passando per la filosofia e la letteratura. Solo attraverso un confronto tra diversi saperi e punti di vista è possibile compiere un'analisi complessiva del problema.
Breve Storia del colera in Europa: due casi emblematici che hanno cambiato l'orizzonte medico e sociopolitico, 2019
Titolo relazione: "Breve Storia del colera in Europa: due casi emblematici che hanno cambiato l'o... more Titolo relazione: "Breve Storia del colera in Europa: due casi emblematici che hanno cambiato l'orizzonte medico e sociopolitico".
Collaborations by Antonello Mori
Friday, 26 May 2023 | From 15:00 to 17.30 Room 209, via Santa Reparata 93-95 (2ndfl oor)
Thesis Chapters by Antonello Mori
Riforma protestante e le correnti eterodosse nell’Europa del '500: prospettive storiografiche, 2018
Il lavoro affrontato nel presente saggio mira a ripercorrere e confrontare alcune delle più impor... more Il lavoro affrontato nel presente saggio mira a ripercorrere e confrontare alcune delle più importanti prospettive storiografiche riguardanti la Riforma protestante del XVI secolo. Tali opere sono state elaborate in periodi diversi, dalla prima metà del secolo scorso agli ultimi dieci anni, e da autori di nazionalità eterogenea. Il confronto tra questi lavori consente di estrapolare le varie chiavi di lettura che si sono adottate nel corso del tempo, permettendo quindi di comprendere come si leggeva e come si legge oggi la Riforma agli occhi degli storici.
Il campione di testi adottato per il seguente lavoro è limitatissimo, considerando che solo nel 2017, cinquecentenario della Riforma, le pubblicazioni in Italia hanno superato abbondantemente le 200 unità. Se si considerano anche gli anni 2016 e 2018, si raggiungono tranquillamente le 350 pubblicazioni.
Nel districarmi in questo oceano di testi, la scelta è ricaduta su prospettive storiografiche che ho reputato importanti e interessanti per differenti motivi. L’obbiettivo che mi sono prefissato era quello di trovare una serie di testi “classici” da poter confrontare con pubblicazioni più recenti.
Tra le interpretazioni classiche disponibili ho preso in considerazione quelle di Lucien Febvre, Roland H. Bainton e Heiko Oberman. Questi tre autori hanno attuato una rivoluzione storiografica nella prima metà del ventesimo secolo in materia di Riforma protestante.
L’opera di Lucien Febvre si presenta come una biografia su Lutero, andando apparentemente a collidere con la metodologia de le Annales d’histoire èconomique et sociale. In realtà, il testo si rivela essere uno studio sul protagonista della riforma seguendo i cardini della “Nouvelle Historie” e focalizzando il suo interesse sulla ricostruzione di un Lutero storico, veritiero, scrostato dall’infinità di miti e leggende che si erano create attorno alla figura nel corso del tempo, comprendendo quindi il peso che un singolo uomo abbia potuto avere all’interno di un processo storico di macro-dimensioni.
Lo studio di Roland H. Bainton ci fornisce una prospettiva generale sull’intero fenomeno della riforma protestante in Europa. L’analisi è caratterizzata dalla sensibilità di pastore e dagli studi di teologia dell’autore inglese, i quali hanno permesso di comprendere il problema della salvezza e i problemi di fede che hanno smosso gli animi di personaggi cardine della riforma, come Lutero, Zwingli e Calvino, restituendo quindi una prospettiva storiografica del tutto innovativa per il tempo. Roland H. Bainton, mette in evidenza come il problema della salvezza sia sentito come reale da Lutero, sconvolgendogli l’esistenza e divenendo forza motrice dell’intera vita del riformatore.
Nel vastissimo panorama delle interpretazioni “moderne” ho scelto dei testi recenti e pubblicati in lingua italiana, prodotti da docenti universitari come Guido Dall’Olio e Lucia Felici, in grado di sviluppare analisi che fanno emergere problemi inediti.
Guido Dall’Olio, professore associato presso l’università di Urbino, ci presenta una biografia di Lutero chiara e lineare, ma non per questo banale, che getta le sue fondamenta nell’analisi di Lucien Febvre. Il problema che si pone l’autore è di tipo didattico: gli studenti universitari non capiscono l’importanza dei fenomeni religiosi, come la riforma, relegandoli nell’angolo delle credenze personali, creando, secondo Guido Dall’Olio, l’impossibilità di comprendere a 360 gradi i fenomeni storici connessi.
Lo studio di Lucia Felici, professoressa associata presso l’università di Firenze, è volto a fornire una panoramica generale sul fenomeno della riforma protestante, proprio come l’opera di Roland H. Bainton, ma gli orizzonti storiografici si discostano notevolmente. L’interesse di Lucia Felici si ritrova in questioni che all’epoca di Bainton non erano negli interessi storiografici. Ad esempio, grande attenzione è data al ruolo della donna all’interno della riforma, ai panorami “secondari” della riforma, come l’Italia, e soprattutto ai mezzi di comunicazione con cui la riforma si è diffusa, rendendo l’intero fenomeno quasi un universo evanescente, intangibile, fatto di pamphlet, stampe, immagini, litografie, fogli e satire.
L’interesse di Lucia Felici per la Riforma in Italia percorre il sentiero aperto nella prima metà del secolo scorso dal lavoro di Delio Cantimori, a cui ho dedicato l’ultimo capitolo di questo saggio, cercando di far emergere come la strada intrapresa oltre settant’anni fa sia stata ampliata con recenti studi da parte di studiosi come Luca Addante e di professori universitari come Massimo Firpo.
Se Delio Cantimori mise in luce come la realtà italiana fosse unica, ricca di sperimentazioni e forme nuove di spiritualità, il lavoro di Massimo Firpo tende ad ampliare ed analizzare le unicità del fenomeno italiano, mentre il recente lavoro storiografico di Luca Addante si pone l’obiettivo di sviscerare il ruolo che i fenomeni di libertinaggio hanno avuto all’interno della Riforma italiana, fino a mostrare come essi furono precursori della libertà di pensiero teorizzata più tardi nel Seicento.
Quindi alla luce dell’intero studio, si evince che, il cambiamento delle prospettive storiografiche è influenzato dal contesto temporale in cui gli operatori del settore vivono, nel quale sviluppano una sensibilità differente su determinati temi. Si denota anche come gli studi “classici” sviluppati da Lucien Febvre, Roland H. Bainton o Delio Cantimori, abbiano aperto la strada a una nuova stagione di studi mirati a completare e arricchire prospettive già elaborate, ma anche ad aprire nuovi campi di indagine fondati su domande inedite.
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La trattazione prende inizio dal pensiero del filosofo Eraclito di Efeso, che attribuiva al polemos una potenza generatrice. Ma, per quanto riguarda la grecità, il primo a parlare di “guerra giusta” fu senz’altro Aristotele, che utilizzando la figura del “barbaro”, elemento concettuale ancor prima che storico, intrecciò indissolubilmente il tema della guerra con quello della schiavitù. Famoso è il passo nel quale lo Stagirita affermò che l’arte bellica è per natura arte di acquisizione, da praticare contro le bestie e quegli uomini che, nati per obbedire, si rifiutano. Si palesa in questa definizione che il concetto di “guerra giusta” nasce secondo il connubio tra guerra e schiavitù/inciviltà.
Per quanto riguarda il pensiero romano, esso si riconosce nella massima si vis pacem para bellum. Ma è a Cicerone che dobbiamo la definizione di bellum iustum e la sua caratterizzazione. L’Arpinate, infatti, definisce il concetto di “guerra giusta” sul suo contrario, ovvero quando il bellum risulta iniustum, e afferma: «sono ingiuste quelle guerre iniziate senza una causa».
Il concetto di bellum iustum subisce un mutamento importante tra il IV e il V secolo grazie al contributo di Agostino. Quest’ultimo, secondo Norberto Bobbio, non solo confutò la tesi per cui la guerra in qualunque situazione è sempre condannata nelle Scritture, ma cambiò qualitativamente l’idea di bellum iustum, basandola sul principio etico della “guerra che mira alla pace”. Il Vescovo di Ippona non fece altro che rielaborare e piegare la cultura classica romana alle esigenze della neonata religione cristiana nel quadro dell’Impero, traendo guadagno dal confronto con i pensatori pagani, in particolare Cicerone e il suo Hortensius. Il nucleo della riflessione proposta da Agostino è possibile sviscerarlo dalle Quaestiones in Heptateuchum, nelle quali tenta di fornire «una chiave esegetica per la comprensione del vecchio Testamento». Riflettendo sull’episodio biblico in cui Giosuè guidò l’insediamento del popolo di Israele nella terra promessa, Agostino si impegnò a chiarire che il comportamento tenuto dal profeta era corretto, non solo perché suggerito da Dio, ma perché attuato all’interno di una guerra giusta.
Questa lettura degli eventi permise di formulare la concezione agostiniana secondo cui la guerra è lecita se il fine è giusto, elevandola ad un mezzo per raggiungere la giustizia. Con questa riflessione Agostino affianca alla concezione politico-giuridica romana di “guerra giusta” il nuovo elemento cristiano, quello politico-teologico. La sua costruzione teologica si realizzò compiutamente nel Medioevo con una sistematizzazione definitiva ad opera di Tommaso d’Aquino con la sua Summa Theologiae.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, il tema della “guerra giusta” torna ad acquisire nuovo interesse, intrecciandosi con il diritto internazionale e la pace globale. La Carta delle Nazioni Unite diviene il punto d’interesse per il dibattito. Ispirata ai principi kantiani e groziani di “guerra giusta”, secondo i quali essa è giustificata solo come mezzo di autodifesa, la Carta negli ultimi due decenni sta subendo una spinta verso la formulazione di “guerra giusta” agostiniana. Questa virata ha creato una serie di contraddizioni intrinseche tra temi come la difesa della dignità umana sostenuta nel documento e l’effettivo uso dell’azione bellica da parte dei membri delle Nazioni Unite. Alla luce di ciò ci si può interrogare infatti se una guerra per difendere i diritti umani sia una “guerra giusta” anche quando per raggiungere il suo scopo finisce per ledere i diritti della parte avversa. Questo è solo una delle tante aporie che meriterebbero uno studio approfondito e soprattutto un istituto sovranazionale legittimata a decidere quando un conflitto è davvero mosso da una recta intentio.
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Thesis Chapters by Antonello Mori
Il campione di testi adottato per il seguente lavoro è limitatissimo, considerando che solo nel 2017, cinquecentenario della Riforma, le pubblicazioni in Italia hanno superato abbondantemente le 200 unità. Se si considerano anche gli anni 2016 e 2018, si raggiungono tranquillamente le 350 pubblicazioni.
Nel districarmi in questo oceano di testi, la scelta è ricaduta su prospettive storiografiche che ho reputato importanti e interessanti per differenti motivi. L’obbiettivo che mi sono prefissato era quello di trovare una serie di testi “classici” da poter confrontare con pubblicazioni più recenti.
Tra le interpretazioni classiche disponibili ho preso in considerazione quelle di Lucien Febvre, Roland H. Bainton e Heiko Oberman. Questi tre autori hanno attuato una rivoluzione storiografica nella prima metà del ventesimo secolo in materia di Riforma protestante.
L’opera di Lucien Febvre si presenta come una biografia su Lutero, andando apparentemente a collidere con la metodologia de le Annales d’histoire èconomique et sociale. In realtà, il testo si rivela essere uno studio sul protagonista della riforma seguendo i cardini della “Nouvelle Historie” e focalizzando il suo interesse sulla ricostruzione di un Lutero storico, veritiero, scrostato dall’infinità di miti e leggende che si erano create attorno alla figura nel corso del tempo, comprendendo quindi il peso che un singolo uomo abbia potuto avere all’interno di un processo storico di macro-dimensioni.
Lo studio di Roland H. Bainton ci fornisce una prospettiva generale sull’intero fenomeno della riforma protestante in Europa. L’analisi è caratterizzata dalla sensibilità di pastore e dagli studi di teologia dell’autore inglese, i quali hanno permesso di comprendere il problema della salvezza e i problemi di fede che hanno smosso gli animi di personaggi cardine della riforma, come Lutero, Zwingli e Calvino, restituendo quindi una prospettiva storiografica del tutto innovativa per il tempo. Roland H. Bainton, mette in evidenza come il problema della salvezza sia sentito come reale da Lutero, sconvolgendogli l’esistenza e divenendo forza motrice dell’intera vita del riformatore.
Nel vastissimo panorama delle interpretazioni “moderne” ho scelto dei testi recenti e pubblicati in lingua italiana, prodotti da docenti universitari come Guido Dall’Olio e Lucia Felici, in grado di sviluppare analisi che fanno emergere problemi inediti.
Guido Dall’Olio, professore associato presso l’università di Urbino, ci presenta una biografia di Lutero chiara e lineare, ma non per questo banale, che getta le sue fondamenta nell’analisi di Lucien Febvre. Il problema che si pone l’autore è di tipo didattico: gli studenti universitari non capiscono l’importanza dei fenomeni religiosi, come la riforma, relegandoli nell’angolo delle credenze personali, creando, secondo Guido Dall’Olio, l’impossibilità di comprendere a 360 gradi i fenomeni storici connessi.
Lo studio di Lucia Felici, professoressa associata presso l’università di Firenze, è volto a fornire una panoramica generale sul fenomeno della riforma protestante, proprio come l’opera di Roland H. Bainton, ma gli orizzonti storiografici si discostano notevolmente. L’interesse di Lucia Felici si ritrova in questioni che all’epoca di Bainton non erano negli interessi storiografici. Ad esempio, grande attenzione è data al ruolo della donna all’interno della riforma, ai panorami “secondari” della riforma, come l’Italia, e soprattutto ai mezzi di comunicazione con cui la riforma si è diffusa, rendendo l’intero fenomeno quasi un universo evanescente, intangibile, fatto di pamphlet, stampe, immagini, litografie, fogli e satire.
L’interesse di Lucia Felici per la Riforma in Italia percorre il sentiero aperto nella prima metà del secolo scorso dal lavoro di Delio Cantimori, a cui ho dedicato l’ultimo capitolo di questo saggio, cercando di far emergere come la strada intrapresa oltre settant’anni fa sia stata ampliata con recenti studi da parte di studiosi come Luca Addante e di professori universitari come Massimo Firpo.
Se Delio Cantimori mise in luce come la realtà italiana fosse unica, ricca di sperimentazioni e forme nuove di spiritualità, il lavoro di Massimo Firpo tende ad ampliare ed analizzare le unicità del fenomeno italiano, mentre il recente lavoro storiografico di Luca Addante si pone l’obiettivo di sviscerare il ruolo che i fenomeni di libertinaggio hanno avuto all’interno della Riforma italiana, fino a mostrare come essi furono precursori della libertà di pensiero teorizzata più tardi nel Seicento.
Quindi alla luce dell’intero studio, si evince che, il cambiamento delle prospettive storiografiche è influenzato dal contesto temporale in cui gli operatori del settore vivono, nel quale sviluppano una sensibilità differente su determinati temi. Si denota anche come gli studi “classici” sviluppati da Lucien Febvre, Roland H. Bainton o Delio Cantimori, abbiano aperto la strada a una nuova stagione di studi mirati a completare e arricchire prospettive già elaborate, ma anche ad aprire nuovi campi di indagine fondati su domande inedite.
La trattazione prende inizio dal pensiero del filosofo Eraclito di Efeso, che attribuiva al polemos una potenza generatrice. Ma, per quanto riguarda la grecità, il primo a parlare di “guerra giusta” fu senz’altro Aristotele, che utilizzando la figura del “barbaro”, elemento concettuale ancor prima che storico, intrecciò indissolubilmente il tema della guerra con quello della schiavitù. Famoso è il passo nel quale lo Stagirita affermò che l’arte bellica è per natura arte di acquisizione, da praticare contro le bestie e quegli uomini che, nati per obbedire, si rifiutano. Si palesa in questa definizione che il concetto di “guerra giusta” nasce secondo il connubio tra guerra e schiavitù/inciviltà.
Per quanto riguarda il pensiero romano, esso si riconosce nella massima si vis pacem para bellum. Ma è a Cicerone che dobbiamo la definizione di bellum iustum e la sua caratterizzazione. L’Arpinate, infatti, definisce il concetto di “guerra giusta” sul suo contrario, ovvero quando il bellum risulta iniustum, e afferma: «sono ingiuste quelle guerre iniziate senza una causa».
Il concetto di bellum iustum subisce un mutamento importante tra il IV e il V secolo grazie al contributo di Agostino. Quest’ultimo, secondo Norberto Bobbio, non solo confutò la tesi per cui la guerra in qualunque situazione è sempre condannata nelle Scritture, ma cambiò qualitativamente l’idea di bellum iustum, basandola sul principio etico della “guerra che mira alla pace”. Il Vescovo di Ippona non fece altro che rielaborare e piegare la cultura classica romana alle esigenze della neonata religione cristiana nel quadro dell’Impero, traendo guadagno dal confronto con i pensatori pagani, in particolare Cicerone e il suo Hortensius. Il nucleo della riflessione proposta da Agostino è possibile sviscerarlo dalle Quaestiones in Heptateuchum, nelle quali tenta di fornire «una chiave esegetica per la comprensione del vecchio Testamento». Riflettendo sull’episodio biblico in cui Giosuè guidò l’insediamento del popolo di Israele nella terra promessa, Agostino si impegnò a chiarire che il comportamento tenuto dal profeta era corretto, non solo perché suggerito da Dio, ma perché attuato all’interno di una guerra giusta.
Questa lettura degli eventi permise di formulare la concezione agostiniana secondo cui la guerra è lecita se il fine è giusto, elevandola ad un mezzo per raggiungere la giustizia. Con questa riflessione Agostino affianca alla concezione politico-giuridica romana di “guerra giusta” il nuovo elemento cristiano, quello politico-teologico. La sua costruzione teologica si realizzò compiutamente nel Medioevo con una sistematizzazione definitiva ad opera di Tommaso d’Aquino con la sua Summa Theologiae.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, il tema della “guerra giusta” torna ad acquisire nuovo interesse, intrecciandosi con il diritto internazionale e la pace globale. La Carta delle Nazioni Unite diviene il punto d’interesse per il dibattito. Ispirata ai principi kantiani e groziani di “guerra giusta”, secondo i quali essa è giustificata solo come mezzo di autodifesa, la Carta negli ultimi due decenni sta subendo una spinta verso la formulazione di “guerra giusta” agostiniana. Questa virata ha creato una serie di contraddizioni intrinseche tra temi come la difesa della dignità umana sostenuta nel documento e l’effettivo uso dell’azione bellica da parte dei membri delle Nazioni Unite. Alla luce di ciò ci si può interrogare infatti se una guerra per difendere i diritti umani sia una “guerra giusta” anche quando per raggiungere il suo scopo finisce per ledere i diritti della parte avversa. Questo è solo una delle tante aporie che meriterebbero uno studio approfondito e soprattutto un istituto sovranazionale legittimata a decidere quando un conflitto è davvero mosso da una recta intentio.
Il campione di testi adottato per il seguente lavoro è limitatissimo, considerando che solo nel 2017, cinquecentenario della Riforma, le pubblicazioni in Italia hanno superato abbondantemente le 200 unità. Se si considerano anche gli anni 2016 e 2018, si raggiungono tranquillamente le 350 pubblicazioni.
Nel districarmi in questo oceano di testi, la scelta è ricaduta su prospettive storiografiche che ho reputato importanti e interessanti per differenti motivi. L’obbiettivo che mi sono prefissato era quello di trovare una serie di testi “classici” da poter confrontare con pubblicazioni più recenti.
Tra le interpretazioni classiche disponibili ho preso in considerazione quelle di Lucien Febvre, Roland H. Bainton e Heiko Oberman. Questi tre autori hanno attuato una rivoluzione storiografica nella prima metà del ventesimo secolo in materia di Riforma protestante.
L’opera di Lucien Febvre si presenta come una biografia su Lutero, andando apparentemente a collidere con la metodologia de le Annales d’histoire èconomique et sociale. In realtà, il testo si rivela essere uno studio sul protagonista della riforma seguendo i cardini della “Nouvelle Historie” e focalizzando il suo interesse sulla ricostruzione di un Lutero storico, veritiero, scrostato dall’infinità di miti e leggende che si erano create attorno alla figura nel corso del tempo, comprendendo quindi il peso che un singolo uomo abbia potuto avere all’interno di un processo storico di macro-dimensioni.
Lo studio di Roland H. Bainton ci fornisce una prospettiva generale sull’intero fenomeno della riforma protestante in Europa. L’analisi è caratterizzata dalla sensibilità di pastore e dagli studi di teologia dell’autore inglese, i quali hanno permesso di comprendere il problema della salvezza e i problemi di fede che hanno smosso gli animi di personaggi cardine della riforma, come Lutero, Zwingli e Calvino, restituendo quindi una prospettiva storiografica del tutto innovativa per il tempo. Roland H. Bainton, mette in evidenza come il problema della salvezza sia sentito come reale da Lutero, sconvolgendogli l’esistenza e divenendo forza motrice dell’intera vita del riformatore.
Nel vastissimo panorama delle interpretazioni “moderne” ho scelto dei testi recenti e pubblicati in lingua italiana, prodotti da docenti universitari come Guido Dall’Olio e Lucia Felici, in grado di sviluppare analisi che fanno emergere problemi inediti.
Guido Dall’Olio, professore associato presso l’università di Urbino, ci presenta una biografia di Lutero chiara e lineare, ma non per questo banale, che getta le sue fondamenta nell’analisi di Lucien Febvre. Il problema che si pone l’autore è di tipo didattico: gli studenti universitari non capiscono l’importanza dei fenomeni religiosi, come la riforma, relegandoli nell’angolo delle credenze personali, creando, secondo Guido Dall’Olio, l’impossibilità di comprendere a 360 gradi i fenomeni storici connessi.
Lo studio di Lucia Felici, professoressa associata presso l’università di Firenze, è volto a fornire una panoramica generale sul fenomeno della riforma protestante, proprio come l’opera di Roland H. Bainton, ma gli orizzonti storiografici si discostano notevolmente. L’interesse di Lucia Felici si ritrova in questioni che all’epoca di Bainton non erano negli interessi storiografici. Ad esempio, grande attenzione è data al ruolo della donna all’interno della riforma, ai panorami “secondari” della riforma, come l’Italia, e soprattutto ai mezzi di comunicazione con cui la riforma si è diffusa, rendendo l’intero fenomeno quasi un universo evanescente, intangibile, fatto di pamphlet, stampe, immagini, litografie, fogli e satire.
L’interesse di Lucia Felici per la Riforma in Italia percorre il sentiero aperto nella prima metà del secolo scorso dal lavoro di Delio Cantimori, a cui ho dedicato l’ultimo capitolo di questo saggio, cercando di far emergere come la strada intrapresa oltre settant’anni fa sia stata ampliata con recenti studi da parte di studiosi come Luca Addante e di professori universitari come Massimo Firpo.
Se Delio Cantimori mise in luce come la realtà italiana fosse unica, ricca di sperimentazioni e forme nuove di spiritualità, il lavoro di Massimo Firpo tende ad ampliare ed analizzare le unicità del fenomeno italiano, mentre il recente lavoro storiografico di Luca Addante si pone l’obiettivo di sviscerare il ruolo che i fenomeni di libertinaggio hanno avuto all’interno della Riforma italiana, fino a mostrare come essi furono precursori della libertà di pensiero teorizzata più tardi nel Seicento.
Quindi alla luce dell’intero studio, si evince che, il cambiamento delle prospettive storiografiche è influenzato dal contesto temporale in cui gli operatori del settore vivono, nel quale sviluppano una sensibilità differente su determinati temi. Si denota anche come gli studi “classici” sviluppati da Lucien Febvre, Roland H. Bainton o Delio Cantimori, abbiano aperto la strada a una nuova stagione di studi mirati a completare e arricchire prospettive già elaborate, ma anche ad aprire nuovi campi di indagine fondati su domande inedite.