Carmelo Modica
Carmelo Modica (Modica, 1945).
Con I' Accademia del Corpo delle Guardie di PS di Roma e una laurea in Scienze Politiche inizia la carriera militare, ricoprendo incarichi di comando.
Giornalista, pubblicista ha collaborato con testate del Sindacato Autonomo di Polizia e ricevuto incarichi di consulenza nel settore della riorganizzazione di Servizi Municipali.
Ha partecipato al dibattito che ha accompagnato la smilitarizzazione della polizia, sostenendo che la riforma era da considerare un attacco di guerra rivoluzionaria e non aveva nessuna relazione con la modernizzazione del Corpo della Polizia; riforma per cui ha interrotto la 'carriera' in anticipo.
Tra le pubblicazioni:
Compagno poliziotto, Editrice II Falco, Milano (1980),
Azienda Polizia, edizioni KTS, Catania (1986),
Urbanistica e comunità, Ciaria editrice, Modica (1995),
Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860. La dittatura "garibaldina" dei De Leva, La Biblioteca di Babele, Modica (2012).
Collabora con il periodico "Dialogo".
Ha fondato La Biblioteca di Babele edizioni curando pubblicazioni ed eventi culturali.
Con I' Accademia del Corpo delle Guardie di PS di Roma e una laurea in Scienze Politiche inizia la carriera militare, ricoprendo incarichi di comando.
Giornalista, pubblicista ha collaborato con testate del Sindacato Autonomo di Polizia e ricevuto incarichi di consulenza nel settore della riorganizzazione di Servizi Municipali.
Ha partecipato al dibattito che ha accompagnato la smilitarizzazione della polizia, sostenendo che la riforma era da considerare un attacco di guerra rivoluzionaria e non aveva nessuna relazione con la modernizzazione del Corpo della Polizia; riforma per cui ha interrotto la 'carriera' in anticipo.
Tra le pubblicazioni:
Compagno poliziotto, Editrice II Falco, Milano (1980),
Azienda Polizia, edizioni KTS, Catania (1986),
Urbanistica e comunità, Ciaria editrice, Modica (1995),
Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860. La dittatura "garibaldina" dei De Leva, La Biblioteca di Babele, Modica (2012).
Collabora con il periodico "Dialogo".
Ha fondato La Biblioteca di Babele edizioni curando pubblicazioni ed eventi culturali.
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Papers by Carmelo Modica
Prefazione di Saro Jacopo Cascino
Ho ripreso con grande passione questo piccolo, ma denso testo di Carmelo Modica perché, pur essendo passati quasi vent’anni da quando fu scritto (anche se stampato nel gennaio del 1995), e diciotto da quando ne furono enunciati i principi nell’Aula consiliare del Comune di Modica, purtroppo, se ne deve constatare ancora l’attualità ed il valore profetico.
Il Colonnello Modica, come mi piace affettuosamente chiamarlo, stabilisce un principio d’ordine nella necessità di possedere una Weltanschauung, una visione (anschauung) del mondo (Welt), che è valore di per sé, qualunque essa sia.
La concezione della vita, il modo in cui i singoli individui o i gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo al suo interno, è la base sulla quale deve fondarsi qualsiasi discorso e, a maggior ragione, quello relativo alla scienza urbanistica ed alla redazione di un Piano Regolatore.
Molta acqua è passata sotto ai ponti da quando s’intraprese l’iter di una disagevole Variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Modica.
Gli scempi del territorio modicano sono sotto gli occhi di tutti coloro che non sono stati accecati dallo sfavillare di tanto vile denaro. I guasti sono irrimediabili, a meno che, profittando della benevola concessione dell’UNESCO, non si voglia approntare un Piano di feroce abbattimento dell’inutile superfluo, selettivo più di quanto non sarà il previsto terremoto che raderà al suolo, ancora una volta, il Val di Noto.
La mia esortazione all’autore a ristampare il libretto, con una minima revisione, deriva da un piccolo episodio, se pure di colossale risonanza simbolica.
Il mega fast food di Mc Donald’s, aperto a Modica, è stato chiuso perché incapace di contrastare il dominio delle infinite varietà delle locali “scacciteddi”, assolutamente prive di chicken e ketchup. In questo leggiamo il segno di speranza per il futuro di questa cittadina, et in hoc signo vinces!
Qualunque devianza abbia colto e possa cogliere i suoi governanti, il popolo modicano, con il potere irresistibile delle sue tradizioni, è ancora capace di riscattarsi da qualunque omologazione, et haec non praevalebunt!
Quando diciamo omologazione, intendiamo evidentemente parlare di quell’adeguamento del pensiero a modelli dominanti che rende tutto omogeneo, privo di originalità e di autenticità.
Giocando ignobilmente con Manzoni, Piero ed Alessandro, si può dire che l’uno si ribellava vendendo la sua “merda di artista” e l’altro coi versi: “Dalle Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno / del medesimo hamburger / nessun può fare a meno”. Ma, ogni bel gioco dura poco, e chi non lo capisce fa giochi sporchi, soprattutto perché non comprende il valore del gioco, che è sempre mettersi in gioco.
Costui, di norma, è lo stupido, il quale insorge solo contro chi si ribella all’apatia della sua razza che ha ormai conquistato la terra. Lo stupido, compiendo l’osceno misfatto di favoreggiamento della prosternazione all’insensatezza continuata, consente al furbo eletto di macchiarsi dell’orrendo reato di spaccio di opinioni stupefacenti.
A questo mi sembra si opponga Carmelo Modica (nomen omen!), avvertendo che la costante luce dell’intelligenza vale assai più del lampo improvviso di furbizia nell’occhio di beoti, che, dopo aver ordinato una Variante all’odiato Piano Regolatore vigente, la aspettano per trent’anni, concionandovi contro (per provocarne l’aborto ed operare nel frattempo in un clima di abusivismo selvaggio e di regole ad personam). Ma, anche ai beoti, non può sfuggire la necessità urgente che, con o senza UNESCO, Modica abbia un vero P.R.G. e non una cassata Variante.
Saro Jacopo Cascino
Prefazione di Saro Jacopo Cascino
Ho ripreso con grande passione questo piccolo, ma denso testo di Carmelo Modica perché, pur essendo passati quasi vent’anni da quando fu scritto (anche se stampato nel gennaio del 1995), e diciotto da quando ne furono enunciati i principi nell’Aula consiliare del Comune di Modica, purtroppo, se ne deve constatare ancora l’attualità ed il valore profetico.
Il Colonnello Modica, come mi piace affettuosamente chiamarlo, stabilisce un principio d’ordine nella necessità di possedere una Weltanschauung, una visione (anschauung) del mondo (Welt), che è valore di per sé, qualunque essa sia.
La concezione della vita, il modo in cui i singoli individui o i gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo al suo interno, è la base sulla quale deve fondarsi qualsiasi discorso e, a maggior ragione, quello relativo alla scienza urbanistica ed alla redazione di un Piano Regolatore.
Molta acqua è passata sotto ai ponti da quando s’intraprese l’iter di una disagevole Variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Modica.
Gli scempi del territorio modicano sono sotto gli occhi di tutti coloro che non sono stati accecati dallo sfavillare di tanto vile denaro. I guasti sono irrimediabili, a meno che, profittando della benevola concessione dell’UNESCO, non si voglia approntare un Piano di feroce abbattimento dell’inutile superfluo, selettivo più di quanto non sarà il previsto terremoto che raderà al suolo, ancora una volta, il Val di Noto.
La mia esortazione all’autore a ristampare il libretto, con una minima revisione, deriva da un piccolo episodio, se pure di colossale risonanza simbolica.
Il mega fast food di Mc Donald’s, aperto a Modica, è stato chiuso perché incapace di contrastare il dominio delle infinite varietà delle locali “scacciteddi”, assolutamente prive di chicken e ketchup. In questo leggiamo il segno di speranza per il futuro di questa cittadina, et in hoc signo vinces!
Qualunque devianza abbia colto e possa cogliere i suoi governanti, il popolo modicano, con il potere irresistibile delle sue tradizioni, è ancora capace di riscattarsi da qualunque omologazione, et haec non praevalebunt!
Quando diciamo omologazione, intendiamo evidentemente parlare di quell’adeguamento del pensiero a modelli dominanti che rende tutto omogeneo, privo di originalità e di autenticità.
Giocando ignobilmente con Manzoni, Piero ed Alessandro, si può dire che l’uno si ribellava vendendo la sua “merda di artista” e l’altro coi versi: “Dalle Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno / del medesimo hamburger / nessun può fare a meno”. Ma, ogni bel gioco dura poco, e chi non lo capisce fa giochi sporchi, soprattutto perché non comprende il valore del gioco, che è sempre mettersi in gioco.
Costui, di norma, è lo stupido, il quale insorge solo contro chi si ribella all’apatia della sua razza che ha ormai conquistato la terra. Lo stupido, compiendo l’osceno misfatto di favoreggiamento della prosternazione all’insensatezza continuata, consente al furbo eletto di macchiarsi dell’orrendo reato di spaccio di opinioni stupefacenti.
A questo mi sembra si opponga Carmelo Modica (nomen omen!), avvertendo che la costante luce dell’intelligenza vale assai più del lampo improvviso di furbizia nell’occhio di beoti, che, dopo aver ordinato una Variante all’odiato Piano Regolatore vigente, la aspettano per trent’anni, concionandovi contro (per provocarne l’aborto ed operare nel frattempo in un clima di abusivismo selvaggio e di regole ad personam). Ma, anche ai beoti, non può sfuggire la necessità urgente che, con o senza UNESCO, Modica abbia un vero P.R.G. e non una cassata Variante.
Saro Jacopo Cascino
Storia nascosta di Modica
Indagine sulla qualità della classe politica nei primi 60 anni della ‘Modica repubblicana’ (1947 - 2013)
Prefazione di Uccio Di Maggio
Posto che l’ Autore stesso definisce il presente volume “un libello”, ho ritenuto fornire in apertura la definizione, le origini, i tòpoi tematici e lo stile correlati alla voce di cui sopra.
Un pamphlet (termine francese traducibile con libello) è un breve saggio. L'autore sostiene, con esso, un argomento di attualità (sociale o politica) con intento polemico o satirico; ha lo scopo di risvegliare la coscienza popolare su un tema che divide. Nato nel XVIII secolo in Francia, è diventato un genere letterario. Ogni singolo pamphlet presenta delle caratteristiche ricorrenti, derivanti dalla specifica codificazione di questo genere letterario. L'enunciazione è sempre in prima persona, e assume toni generalmente critici e irriverenti. Dal punto di vista esteriore, il pamphlet è spesso un testo breve, anche se non necessariamente. Sin dal XIV secolo in Inghilterra il termine ebbe il significato di "opuscolo", "libretto", significato che conserva ancora oggi; nel XVII secolo assunse il significato di "libello", "scritto polemico". Tendenzialmente, l'autore del pamphlet presenta il proprio testo come uno sfogo estemporaneo, come una reazione viscerale di fronte a una situazione non più sostenibile. A essere corrotti, a seconda dei casi, possono essere, di volta in volta: la civiltà nella sua interezza, una specifica società, oppure i costumi diffusi all'epoca dell'autore. Un altro tratto tipico è l'equiparazione della presa di parola a un atto di coraggio: l'autore è, nella generale acquiescenza e omologazione delle idee, l'unico individuo in grado di cogliere gli eventi nella piena luce della verità. Chi scrive risponde a un imperativo ineludibile che proviene dal proprio io interiore e presenta le proprie convinzioni come frutto dell'evidenza del suo sguardo sulla realtà.
Ma…
“ Veniamo al dunque”.
In realtà quando si gioca a “carte scoperte” quello che viene a mancare ai giocatori è il magico rito del tenere le proprie carte nascoste agli altri, tutto ciò che è insito nell’azzardo, nella intuizione, nella giusta scelta della decisione da prendere in funzione delle carte scoperte ma anche, e soprattutto, di quelle ancora coperte. Elementi quest’ultimi che entrano in gioco, a mio parere, anche nell’ambito della stesura di una presentazione di un libro. Azzardare, relativamente a quanto sopra detto, significa estremizzare i codici di lettura, osannando o, al contrario, dissacrando il testo. Buona norma è sempre la prima fra le due. Presentare quindi un “libello”, quando l’Autore stesso nella lunga premessa, titolata appunto “a carte scoperte”, indica l’origine dell’idea di scrivere questo libro, dichiara la sua identità, la sua formazione, le “letture” che ne hanno condizionato i metodi, diventa impresa ardua in quanto tutto o quasi è stato già detto, svelato, scoperto. Con una preoccupazione premurosa e sincera l’Autore fornisce financo le “note per la buona lettura” ai lettori del “libello” ......
Uccio di Maggio
Introduzione di Carmelo Modica
Prefazione di Giuseppe Chiaula
La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica
Quarta di copertina
[...] In ogni guerra i contendenti incrociano sia le armi che le menzogne. Con le armi si cerca di uccidere il nemico nel fisico e con le seconde nell'onorabilità. Con le prime si usa violenza, con le seconde si nobilita la propria azione: stiamo parlando della propaganda di guerra.
Subito dopo il "cessate il fuoco" la guerra continua con l'ultima sua fase quella del "consolidamento del successo" che si realizza con le clausole dell'armistizio e/o del trattato di pace e con la prosecuzione della propaganda di guerra in tempo di pace.
La verità viene chiusa negli archivi e le menzogne vengono ripetute in tutti i modi perchè la demonizzazione dei vinti si consolidi e divenga cultura e giudizio di valore definitivo. Il processo deve avere una durata sufficiente a che il "ritorno della storia" non provochi reversibilità nei giudizi. Ovviamente non sempre il progetto riesce e con l'avvento di Internet i pericoli di scoprire le menzogne aumentano.[...] (Dall'introduzione di Carmelo Modica)
, Associazione culturale “Dialogo” Modica 2017
Dalla descrizione degli effetti della mediocrità politica modicana di “Storia nascosta di Modica” alla riflessione sulla possibile azione culturale per la sua rigenerazione
INTRODUZIONE
1.Come nasce “Addizioni” - 2.Postulato: la mediocrità politica è la causa del “Disastro Modica” - 3.Il ruolo della classe culturale modicana - 4.Lineamenti per una possibile risposta
1.Come nasce “Addizioni”. Già quando la tipografia vi consegna la prima copia del vostro libro appena stampato, in qualsiasi parte di esso lo apriate troverete immancabile, il primo refuso, il primo periodo che vi appare poco comprensibile, il concetto che andava spiegato in maniera più organica. E’ così che inevitabilmente, sul vostro computer, organizzate subito una cartella per raccogliere errori, desideri di annotazioni, chiarimenti ed integrazioni e pensate alla possibilità di una ristampa.
E’ quello che è accaduto anche a noi, solo che quando abbiamo cominciato a raccogliere, del nostro “Storia nascosta di Modica” le recensioni pubblicate sui periodici, le osservazioni, le critiche, le stroncature, le censure di amici, parenti ed avversari politici e quanto è stato detto, dai relatori, in occasione della “Presentazione” ed annotando tale materiale, abbiamo rilevato che stava venendo fuori un secondo libro più che una ristampa corretta ed annotata del primo.
A questi spunti, diciamo “fisiologici”, dobbiamo aggiungere il fatto che il nostro “Storia nascosta di Modica” ha prodotto reazioni, nella classe politico-culturale modicana, da noi severamente aggettivata, che pur non essendosi materializzate in maniera vistosa solo perché, se attuate, avrebbero fatto da cassa di risonanza alla diffusione del libello, circolano e continuano ad alimentare discussioni negli ambienti culturali modicani costringendoci ad ulteriori considerazioni e precisazioni.
Infatti, la riflessione sugli atteggiamenti mentali di questi “Fanciullacci del XXI secolo” (*) ci hanno indotto ad integrare il concetto di “Politica culturale”, descritto nel secondo capitolo del nostro libello, cercando di meglio definire il ruolo che “la classe culturale modicana” ha avuto nella qualità dell’attività di governo della città e, quindi, dei disastrosi risultati ottenuti.
2.Postulato: la mediocrità politica è la causa del “Disastro Modica”. Per anni, almeno quindici, dalle colonne del mensile “Dialogo”, con un’azione costante e spesso solitaria, abbiamo cercato di analizzare la politica modicana comparando i criteri di governo e di formazione delle decisioni politiche ed amministrative semplicemente con i principi di correttezza ma principalmente con quelli del buon padre di famiglia. Questo accostamento “teorico”, nel tempo si è arricchito di un sostanzioso ed inequivocabile apparato probatorio dato dagli inconfutabili disastrosi risultati di governo realizzati. Nel volume “Storia nascosta di Modica” abbiamo reso organica l’azione pubblicistica precedente, individuando lo stretto rapporto di causa ed effetto tra una evidente mediocrità politica e gli altrettanto evidenti risultati disastrosi.
L’analisi dei risultati di (mal)governo, la “qualità” della fedina penale della politica, i profili “culturali” dei personaggi politici e, quelli organizzativi ed operativi delle naturali aggregazioni, da molti di loro realizzate in Confraternite buone a sostituire gli organi democratici per perseguire scopi di puro potere privato o di clan, come nella ricostruzione di un identikit, ha anche dato un volto alla mediocrità politica.
La insistenza con la quale in “Storia nascosta” abbiamo utilizzato la locuzione “mediocrità politica”, merita che si precisi la portata in essa del termine “mediocrità” ed in particolare se tale mediocrità è la naturale e fisiologica espressione della “Politica” e/o di una qualità umana dei suoi cultori e dirigenti oppure è altro.
Da una rapida analisi del suo modo di manifestarsi, decidere ed agire non si può non rilevare che “la mediocrità politica” appare indiscutibile se rapportata alla incapacità di perseguire i fini istituzionali della politica stessa, mentre appare geniale se riferita ai risultati effettivamente conseguiti dal “politicare”. E’ in sostanza lo stesso risultato del delinquente in cui l’azione di violare la legge è tanto mediocre se riferita al bene, quanto è intelligente se riferita ai fini delinquenziali.
Il che fa pensare che non è una mediocrità di fondo ma una mediocrità strumentale e finalizzata ai veri obiettivi non istituzionali da conseguire.
Infatti, a noi appare strumentale far percepire la “mediocrità politica” come fisiologica e normale espressione del sistema e dell’agire della politica. In “Storia nascosta di Modica” riportiamo molti esempi di “mediocrità politica” definibile “dolosa”, sia perché certe inadeguatezze nell’azione di governo sfiorano una impossibile stupidità umana e di gruppo, sia perché quand’anche esse si volessero attribuire ad una mediocrità propria del sistema è pur vero che comunque il personaggio politico, ma anche il Movimento politico, che si fa inquinare la morale, l’intelligenza ed il buon senso dal sistema, è mediocre e senza dignità.
3.Il ruolo della classe culturale modicana. Questo atteggiamento mentale, seguendo tendenze nazionali ed occidentali, a Modica si è consolidato nel tempo attraverso un processo culturale che viene da lontano ed alla stabilizzazione del quale ha fortemente contribuito una classe intellettuale modicana che ha posto la sua opera e i suoi comportamenti, come l'espressione diretta di una specifica classe sociale e dei suoi interessi.
Il disastroso governo della città in questo secondo dopoguerra ha avuto termine con il compimento della sindacatura di Antonello Buscema (2013) che è il punto in cui la “discesa” si è esaurita, non perché fosse intervenuta una forza di contrasto ma semplicemente perché il sistema, fisiologicamente, non consentiva più un ulteriore degrado. La mediocrità politica si è stabilizzata a tal punto che non viene più riconosciuta come tale, dando forma e sostanza ad un clima culturale il cui livello di degrado è misurato da come la normalità viene percepita come genialità.
Quanto tempo debba trascorrere perché si avvii un processo di rigenerazione politica non è dato immaginarlo; adesso viviamo un periodo di questa fase ultima in cui, assente un’adeguata classe politica capace di indicare nuove strade, è la necessità a gestire, sociologicamente, la crisi con provvedimenti adottati solo per la gestione che le necessità vitali costringono ad adottare.
E’ in questo clima che deve maturare un’azione di rinascita politica che potrà avviarsi, però, solo con un forte contributo della classe culturale modicana solo e quando essa sarà capace di riconoscere gli errori compiuti, unico atteggiamento mentale capace di dare autorevolezza a quella necessaria mobilitazione che la classe culturale ha il dovere etico di assumere, sia nei confronti della Comunità modicana, sia come espressione naturale di una sobria dignità della condizione di intellettuale fin’ora più esibita che esercitata.
Questo è il senso di un “Appello agli intellettuali modicani” perché costoro andando oltre ogni steccato si approprino della loro ragion d’essere e con totale indipendenza di giudizio interpretino la realtà con lo scopo di sollecitare (non surrogare o sostituire) la individuazione di linee d’azione politica.
Per favorire tale processo appare necessario riacquistare anche una forma di autonomia e ribellione rispetto alla percezione che questi tempi appaiono risolvibili solo con provvedimenti e politiche di carattere nazionale, europei e globali, trascurando totalmente quanto comunque è possibile realizzare nel livello municipale.
E’ superando tale percezione, che agisce come mito incapacitante e come alibi, che è possibile avviare soluzioni più realistiche e coinvolgenti.
4.Lineamenti per una possibile risposta. E’ in questa fase che si presenta utile e necessario, per avviare un qualsiasi progetto di ripresa, far seguire alla presa d’atto di ....
***
Presentazione di Carlo Catacchio
Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’.
Prendo in prestito questo inizio che indica la fine di un anno e l’avvio di tempi nuovi. Come oggi. Sono passati un po’ di anni da quando si caricavano studenti, magari e meglio milanesi, mentre le facce modicane che riconoscevi, li facevi filare via. Nonostante l’uniforme il tuo sangue modicano rimane contadino, distingue grano e gramigna. Allora su quei campi d’asfalto, nel pieno dei tuoi anni, tramontava un mondo millenario, più vicino agli antichi romani che ai suoi figli, alla beat generation che lo contestava, a cui bene o male, anche solo per anagrafe, appartieni. Un universo abbattuto a televisione e consumi, conformismi e valori molli, più che a colpi di bastone e canzoni. Il mondo dei tuoi padri e dei nostri nonni sparisce cantato e difeso solo da Pasolini. L’unico fuori dal coro che aveva coraggio di sostenere quei contadini in uniforme che si facevano largo a fendenti nei campi di Valle Giulia. In quella stagione le strade si bagnavano di sangue per avere poi raccolti di piombo: sono caduti giudici, poliziotti, politici, sindacalisti e la meglio gioventù si è avvelenata con droghe, novantesimi minuti, rischiatutti e piccoli mutui.
Mi ricompongo e prendo le debite distanze passando al Lei o al più gradito nostalgico Voi. Un’intelligenza come la sua è difficile stia composta in divisa. Una cosa che ha imparato stando sull’attenti in piazza più dell’obbedienza è l’arte della provocazione. Quella che leggiamo nelle sue indagini di campagna, nelle inchieste modicane, degne del miglior verismo di Verga, perché svolte nei corridoi comunali, nei centri di comando dove si vende cremolata e latte, tra i tavolini in piazza e le sedie di plastica, tra le scrivanie di uomini assenti e cementate con carte inutili. Ricerche paradossali, tra facce goffe alla Fellini, destini disperati alla Kafka legati da trame assurde alla Ionesco, condotte tra bidelli petrolieri, coppole da circo, ombre antiche presenti. Racconti degni di Pirandello, perché ancora in cerca di autore, con un volto da ricercare, di uno, nessuno e centomila, dove tutti sono coinvolti e nessuno è colpevole, dove la trama splende alla luce del sole, ma non è poi così semplice come la si vede, eppure così è se vi pare, dove tutto è semplicemente complicato, e dove lei ragiona e vaga nel labirinto mediterraneo con il piacere dell’onestà. Inutile scomodare il suo collega commissario, Montalbano, che pure lui ha preso casa qui in queste cave, divertendosi a seguirla nelle sue indagini per corridoi, corsi, monumenti e antichi convitti. Il paradiso e le ispirazioni migliori lui le troverebbe a tavola con un bel piatto della sua Maria. Per fortuna la sana provocazione del colonnello sveglia e smuove il fantomatico Terzocchio, il nobile modicano spiantato e il suo gruppo. Torniamo al nostro Autore, quando nelle buie furerie di noia e naia ha fatto di vizio virtù: ha speso con intelligenza il suo tempo, nella migliore tradizione siculo pupara e ha dato anima e voce al suo pupazzo di legno. Come ogni cuntatore si rispetti, saltando a piè pari la saga di Carlomanno, il nostro ha letto tutto, ma proprio tutto, dell’epoca d’oro dei manganelli, l’era di quando erano il potere e in un ventennio hanno fatto rigare dritto il Paese fino allo scatafascio, nella migliore tradizione moderna italiana. Il finale è un dettaglio, meglio trascurarlo, perché se si legge la storia dalla fine, ogni racconto non ha più senso e poi la nostra è ancora tutta da scrivere e così pure, si spera, il finale. Dimentichiamoci che per ogni paladino c’è una Roncisvalle. E’ proprio vero: la vera leggenda è l’inizio; è al principio che brilla sempre il sole di Libia, le faccette nere ammiccano, i dieci treni sono in orario, il grano cresce pure in piazza Duomo. E’ negli albori il mito, le dichiarazioni d’intenti sono le sfide degli eroi, il resto però forgia, è il cammino per quaranta anni nel deserto che prova l’uomo vero, la sua fede, la sua resistenza, il suo vero amore. So che si sente tra pari, dove i pari sono la sua gente, e credo la sua gente lo sappia e ricambi il di lei rispetto. E poi tra la gente semplice che è sempre stata zitta e si è presa il carico, i muli veri eroi che hanno fatto la storia dei carrettieri, c’è l’eroe della sua vita, tuo papà. Non l’abbandonerà mai e lui non ti abbandonerà mai. Era quel mondo che lei ed io ora abbiamo visto all’orizzonte verso ponente, il mondo dove si nasceva e si ubbidiva alla tradizione di sempre, senza discutere. La cultura era nelle vene, correva nelle stradine che salgono a san Giovanni, si trascinava nei solchi dei campi e i libri li potevano sfogliare solo parrini e signurini. Sassi, zolle, sudore sono le sue radici che non ha mai smesso di sognare nemmeno nella nebbia in val padana. Finalmente il ritorno a casa, dove fare ordine e disciplina è più complicato che in città, in più senza uniforme e senza più gli esempi di quei grandi padri che insieme al suo, mattone dopo mattone, solco dopo solco, le hanno lasciato bella la vostra Modica e il suo agro. Eppure il sole splende ancora e nonostante tutto qualcosa di bello resta. Ed è sempre grande quello che rimane in questa terra felicemente sfortunata. C’è sempre un sapore antico in voi siciliani, nella vostra lotta, nella vostra vita, costretta a partire e tornare, che sa di epico e di solare, di miceneo e di Odisseo, anche nella vita più semplice. Bisogna riconoscere alla Sicilia questo suo essere luogo metafisico già nel suo esistere, il primo posto dove viene già il mal d’Africa, un suo pezzetto, europeo per caso e deriva. La Sicilia è un desiderio, una nostalgia ancestrale di tutti, il luogo mitico da dove tutti veniamo e dove tutti vorremmo andare, continentali con le sdraio e africani con barconi, di fronte al sole e al mare, dove greci, fenici, arabi, normanni sono approdati e dove tutto è iniziato. Ancora oggi. I filosofi davanti al mare hanno scoperto il corpo galleggiare, col sole hanno dato fuoco ai nemici, hanno scoperto che da una sponda all’altra viaggia la vita e oscilla il pensiero dell’uomo, facendo pure le corna, tra amore e morte, luce ed ombra, tra estremi opposti. Ancora oggi è così. Il crucco Goethe diceva che la Sicilia è l’icona dell’Italia dove tutto, il buono e il cattivo, è superlativo, dove il sole esalta ogni contraddizione e contrasto. Tutto ciò che avviene in Sicilia, ergo a Modica, succede o succederà anche nel continente. La Sicilia precede, partecipa, insegue: è il suo destino, la sua missione. Impegnarsi come voi, in una lotta, mitica per la sua fatica, ma possibile, interessa, perché è una battaglia che coinvolge tutti, uno e centomila, è la stessa che spiega le aule di palazzo e le banche, oltre che alla latteria e ai movimenti laidi del corso. A me che vivo a venti minuti di tram dal duomo, tocca presentare finalmente l’incontro tra l’onorevole, senz’offesa, nel senso di onore, Carmelo Modica e il suo amico Terzocchio, di cui mi pregio di non conoscere, oltre alla banda omonima. Tocca a me presentare questa pecora nera di Modica e la di lui cricca e lo faccio volentieri, con molto affetto, proprio perché vengo da lontano. Verbalizzi colonnello, posso testimoniare il Vostro amore, suo, di lui e vostro, l’amore autentico per queste terre, per la sua gente, che è cosa buona e giusta, e così è se vi pare, vi par poco. Confesso, ho sempre sognato anch’io questa terra, per desiderio di caldo e di luce: l’ho vista ad occhi chiusi attraverso le atmosfere di Battiato o gli abbagli di Fattori o l’ho sentita nelle immagini solari di Pirandello e Camilleri, adesso sì che questi si possono leggere, questa volta senza parrini e signurini. Già la desideravo perché so cosa è il freddo di fiume, l’umidità che penetra a camino acceso. Per me vista da lontano, Modica era fatta di cioccolata, esotica, fantastica attraverso gli occhi migliori delle sue eccellenze; una terra fatta di fioretti e spade che si sono fatti strada sino al podio del mondo. .......... Carlo Catacchio
Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860. La dittatura “garibaldina” dei De Leva: alla ricerca dell’origine della mediocrità della classe di governo modicana, La biblioteca di Babele Modica 2012
recensione di Giuseppe Di bella in
http://www.siciliainformazioni.com/?s=cuoppuli+e+cappedda
Libriamo
Storia che non si rassegna: Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860
19 maggio 2012 - 17:34 - Cultura & Arte
(gdb) Nonostante siano trascorsi 150 anni dall’impresa dei Mille che ha determinato la caduta del regno delle due Sicilie e la proclamazione del regno d’Italia, la storiografia è ben lontana dal porre l’ultimo sigillo sulla verità degli avvenimenti.
Non sorprende quindi il flusso continuo di lavori sul Risorgimento italiano e sugli accadimenti siciliani del 1860, volti a diradare le nebbie create da una storia scritta in modo parziale e spesso ispirata dalla “ragion di Stato”.
Freschissimo di stampa e di idee, esce per i tipi de La biblioteca di Babele edizioni, “Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860” di Carmelo Modica.
Un altro tassello si aggiunge alla storia dell’invasione garibaldina della Sicilia ed a quella dei suoi effetti che ancora oggi sono percepibili nell’attualità politica dell’Isola.
Un testo che rende udibili echi lontani che ancora rimbombano nella società siciliana frastornadola: vortici di parole di grida e di sangue che imprigionano il nostro futuro.
Carmelo Modica è tra quelli che non si sono rassegnati ad una “versione dei fatti” che non contempli l’indagine sulle cause di essi, non si è accontentato di una verità senza ragione e dopo un lungo e minuzioso lavoro di ricostruzione, consegna alla storia uno studio meticoloso sui fatti di sangue occorsi a Modica nel 1860, condotto con sguardo indagatore e profondo, volto alla ricerca non di un colpevole che già si conosce, ma di un movente che da 150 anni continua a sfuggire tra omissioni e documenti scomparsi, tra reticenze e comportamenti misteriosi.
Ma non esistono avvenimenti senza spiegazione né delitti senza movente, sia pure esso solamente presunto. E appare chiaro che i fatti di Modica si inseriscono nel solco di quel travagliato trapasso dei poteri, dai Borbone alla Dittatura, che si svolse in un clima di confusione politica e sociale, con la campagna militare in pieno svolgimento ed in una ambientazione drammaticamente ambigua, causata dalla discrasia tra i provvedimenti emanati da Garibaldi e le idee politiche di coloro i quali erano chiamati ad attuarli.
La brevità della Dittatura, l’opposizione passiva all’azione del Governo dittatoriale e l’affrettata unione, costituiranno alcune tra le tante premesse della consegna ai Savoia di un Regno sostanzialmente “non rivoluzionato”, come desiderato dalla nobiltà e dal notabilato, disposti solo a mutare la forma monarchica assoluta in costituzionale.
Ma ancor prima dell’invasione dell’Isola, i contenuti dell’azione “rivoluzionaria” di Garibaldi erano già chiaramente espressi nel programma “Italia e Vittorio Emanuele” che non delineava niente altro che l’unione sotto lo scettro costituzionale dei Savoia. Ma il Governo dittatoriale tentò comunque di andare oltre l’ordinaria amministrazione, e di dare una precisa connotazione riformista alla propria azione, scontrandosi con le idee politiche della classe dirigente siciliana e provocando notevole preoccupazione nel Governo sardo.
Le disposizioni dittatoriali costituiscono certamente una legislazione rivoluzionaria e d’emergenza, dispiegata in via d’urgenza ed applicata in un breve periodo, e questo ne spiega i limiti politici e di realizzabilità concreta, aggravati dalla “resistenza sociale” incontrata.
Il Decreto dittatoriale di Alcamo del 17 maggio, chiamava a reggere i destini della Sicilia elementi di sicura fede liberale, ma anche tanti conservatori travestiti da rivoluzionari. I casi di rifiuto attivo o passivo di applicare i Decreti dittatoriali furono molteplici: la vicenda di Bronte ne è la summa storica.
La “rivoluzione” siciliana per buona parte dei baroni e dei notabili, molti dei quali chiamati a reggere l’amministrazione pubblica, dovrà limitarsi, a prescindere da ciò che ne pensa Garibaldi, solo alla consegna dell’Isola ad una diversa Dinastia e ad un diverso Stato, senza scalfire i “diritti” della nobiltà e del notabilato né il latifondo, vero nucleo del loro potere economico e politico. Bronte e i Comuni “ribelli” rappresentano la più chiara icona della Sicilia Garibaldina, dove liberali e massoni, nobili e notabili conservatori, appoggiano formalmente una rivoluzione allo scopo di controllarla e di neutralizzarla nella sostanza.
Il comune denominatore delle “rivolte” e dei fatti di sangue avvenuti nell’Isola durante la Dittatura garibaldina, pur estremamente diversi per origine e svolgimento, fu la feroce e sanguinaria repressione. Sia che si trattasse di crimini “comuni” che di delitti commessi dal popolo veramente esasperato per la mancata divisione delle terre Demaniali.
L’obiettivo primario dei Tribunali speciali fu quello di riportare “l’ordine” ad ogni costo e nella maggior parte dei casi, le condanne avevano questo intento a prescindere dai fatti, dalla verità processuale e dalle effettive responsabilità.
I timori della Dittatura sono ben chiari e dimostrati: a fronte dell’incedere degli avvenimenti politici, Garibaldi temeva che il diffondersi dei disordini nelle zone “liberate”, comunque connotati, innescasse una controrivoluzione indipendentista o lealista dei baroni, e ancor più l’intervento di potenze straniere interessate, come l’Austria, la Russia e la stessa Francia. Non ultimo il rischio che il Governo Sardo, a fronte di tali disordini, affrettasse l’annessione dell’Isola, facendo leva sulla massiccia presenza di truppe regolari piemontesi che continuavano ad affluire in Sicilia.
Le rivolte scoppiate in molti Comuni dell’Isola, ma anche semplici fatti di criminalità comune che si prestavano, in quel frangente, ad una esasperata lettura politica, rischiavano quindi di cambiare il destino dell’Isola appena “liberata” e soprattutto di sconvolgere i programmi politici del Dittatore e di quelli che, liberali o conservatori, si erano (re)impadroniti del potere.
Ma a Modica avvenne qualcosa di diverso e di più clamoroso perché i nove condannati non avevano le mani sporche di sangue. La crudeltà della condanna a morte è il sintomo evidente dei timori che angosciavano la “nuova” classe dirigente modicana: l’ordine andava mantenuto ad ogni costo per preservare il potere politico senza interferenze esterne.
A Modica le condanne a morte somigliano ad una prova di forza del potere costituito, che vuole dimostrare di avere in pugno la situazione politica e dell’ordine pubblico per non essere commissariato, per poter continuare a gestire ed operare in una linea di continuità sostanziale con uomini parzialmente diversi, ma con idee politiche per nulla mutate.
Carmelo Modica pone una questione fondamentale per la Sicilia e per il suo futuro: la classe politica che todo modo si è formata ed imposta nel 1860 ha esaurito la sua parabola storica?
Sussiste ancora in Sicilia un immobile il sub strato ideologico e sociale capace persino di metabolizzare rivoluzioni e che impedisce una vera crescita civile e sociale?
La domanda risale dal particolare della storia di Modica a tutta la complessa realtà siciliana e se l’Autore vuole suggerirci che i gattopardi modicani e siciliani sono ancora tra noi, non possiamo che dargli ragione. E ci chiediamo … sono veramente trascorsi 150 anni nella mente della classe dirigente siciliana?
Gli anelli di questa travagliata storia, diventano dunque le catene della società siciliana quei ceppi dai quali non riusciamo a liberarci.
Il Regno millenario posto al centro del Mediterraneo e della vicenda della civiltà occidentale, sembra destinato ad essere governato da vacue ombre nel vento, egoiste e sfuggenti ma sempre uguali e la sua storia diventa incomprensibile se non viene letta alla luce delle debolezze umane che in questa meravigliosa Isola attraversano indenni il tempo.
La storia dell’eccidio di Modica e gli avvenimenti del 1860 nei comuni siciliani “ribelli”, disgelano efficacemente gli intrighi politici sottesi alla costruzione della “nuova “ Italia e preconizzano il ruolo conservatore della Sicilia e della sua arcaica e decadente classe dirigente nobiliare e borghese, nel nuovo Stato che su queste nebbie si andava ad edificare.
Il libro di Carmelo Modica non è solo interessante: è di quelli scomodi, perché prende più spazio nella mente che nella libreria.
Giuseppe Di Bella
Stralcia dal testo
Il libro non può essere
regalato
ma solo donato
Noi della Biblioteca di Babele siamo della ferma convinzione che il libro che fa mostra di sé in uno scaffale non ha vita tranquilla. E quando qualcuno lo prende in mano e ne sfoglia le pagine si pone in uno stato di ansia. Comincia a spiare chi vorrebbe acquistarlo, percepisce il calore delle mani che lo toccano, e quando sente dita spigolose e svogliate, spera di essere subito rimesso al suo posto.
Quando quelle mani lo portano verso la cassa, anche se si sente morire, spera di servire come regalo, e quindi di trovare un luogo degno del suo rango. E' per questo motivo che chiediamo ai nostri gentili frequentatori della libreria di essere delicati nel prendere e sollevare il libro dal suo consueto luogo dove riposa. Si, perché da noi i libri riposano, si scambiano opinioni fra di loro e sopportano di essere disturbati solo da coloro che li trattano con garbo; la maggior parte si trova nella posizione….
Nota dell'Autore
Francesco Irminio è lo pseudonimo di un Ufficiale del Corpo delle Guardia di P.S.., L'aver ricorso a uno pseudonimo richiede ovviamente una precisazione, ben sapendo che la g.r., se mai interverrà a valutare questo scritto, si soffermerà più sulla «vigliaccheria di non presentarsi in prima persona» che sul contenuto stesso del libro, ma anche questo è un metodo ormai collaudato di chi conduce la g.r. quando non ricorre al silenzio.
Dobbiamo, quindi, una spiegazione. Forse ne abbiamo due:
non sappiamo se banali e fondate oppure no. La prima è che temiamo l'arroganza del potere molto più efficiente ed efficace nel perseguire all'interno di quanto sia capace nell'espletamento dei compiti di Istituto e il caso Fichera ne è una prova, purtroppo solo la più nota ma non l'unica.
La seconda in verità è solo la conseguenza della prima perché, infatti, lo pseudonimo consentirà di spersonalizzare il testo che vuole presentarsi per quello che è e non per chi l'ha scritto, avente come destinatari i politici e i poliziotti, in egual misura: i primi perché siano più concreti i secondi perché si rendano conto di essere al servizio della Nazione che tutto comprende senza acredine o passioni di parte pur nella diversità delle idee; con serietà, con convinzione, forza e determinazione che non è, però, violenza nonostante l'arroganza del potere.
Quarta di copertina
La peculiarità di questo volume, scritto da un ufficiale del Corpo delle Guardie di Pubblica sicurezza, è quella di fare teoria partendo da un problema dell’ “ora presente”: la riforma della Polizia.
L’autore afferma che la smilitarizzazione e la sindacalizzazione della Polizia non hanno lo scopo di renderla efficiente, tutelando i diritti civili dei suoi appartenenti, bensì il fine di asservire l’Istituto alla fazione. Per dimostrare ciò impiega lo schema della guerra rivoluzionaria e lascia intendere che utilizzando gli stessi criteri di analisi nello studio degli altri settori vitali della nazione (informazione, forze armate, istruzione, ecc.) potrebbe apparire, come in una radiografia, chiara la identità del nemico, le varie diramazioni della sua azione e la incisività della sua lotta per distruggere la democrazia italiana,
Prefazione di Saro Jacopo Cascino
Ho ripreso con grande passione questo piccolo, ma denso testo di Carmelo Modica perché, pur essendo passati quasi vent’anni da quando fu scritto (anche se stampato nel gennaio del 1995), e diciotto da quando ne furono enunciati i principi nell’Aula consiliare del Comune di Modica, purtroppo, se ne deve constatare ancora l’attualità ed il valore profetico.
Il Colonnello Modica, come mi piace affettuosamente chiamarlo, stabilisce un principio d’ordine nella necessità di possedere una Weltanschauung, una visione (anschauung) del mondo (Welt), che è valore di per sé, qualunque essa sia.
La concezione della vita, il modo in cui i singoli individui o i gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo al suo interno, è la base sulla quale deve fondarsi qualsiasi discorso e, a maggior ragione, quello relativo alla scienza urbanistica ed alla redazione di un Piano Regolatore.
Molta acqua è passata sotto ai ponti da quando s’intraprese l’iter di una disagevole Variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Modica.
Gli scempi del territorio modicano sono sotto gli occhi di tutti coloro che non sono stati accecati dallo sfavillare di tanto vile denaro. I guasti sono irrimediabili, a meno che, profittando della benevola concessione dell’UNESCO, non si voglia approntare un Piano di feroce abbattimento dell’inutile superfluo, selettivo più di quanto non sarà il previsto terremoto che raderà al suolo, ancora una volta, il Val di Noto.
La mia esortazione all’autore a ristampare il libretto, con una minima revisione, deriva da un piccolo episodio, se pure di colossale risonanza simbolica.
Il mega fast food di Mc Donald’s, aperto a Modica, è stato chiuso perché incapace di contrastare il dominio delle infinite varietà delle locali “scacciteddi”, assolutamente prive di chicken e ketchup. In questo leggiamo il segno di speranza per il futuro di questa cittadina, et in hoc signo vinces!
Qualunque devianza abbia colto e possa cogliere i suoi governanti, il popolo modicano, con il potere irresistibile delle sue tradizioni, è ancora capace di riscattarsi da qualunque omologazione, et haec non praevalebunt!
Quando diciamo omologazione, intendiamo evidentemente parlare di quell’adeguamento del pensiero a modelli dominanti che rende tutto omogeneo, privo di originalità e di autenticità.
Giocando ignobilmente con Manzoni, Piero ed Alessandro, si può dire che l’uno si ribellava vendendo la sua “merda di artista” e l’altro coi versi: “Dalle Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno / del medesimo hamburger / nessun può fare a meno”. Ma, ogni bel gioco dura poco, e chi non lo capisce fa giochi sporchi, soprattutto perché non comprende il valore del gioco, che è sempre mettersi in gioco.
Costui, di norma, è lo stupido, il quale insorge solo contro chi si ribella all’apatia della sua razza che ha ormai conquistato la terra. Lo stupido, compiendo l’osceno misfatto di favoreggiamento della prosternazione all’insensatezza continuata, consente al furbo eletto di macchiarsi dell’orrendo reato di spaccio di opinioni stupefacenti.
A questo mi sembra si opponga Carmelo Modica (nomen omen!), avvertendo che la costante luce dell’intelligenza vale assai più del lampo improvviso di furbizia nell’occhio di beoti, che, dopo aver ordinato una Variante all’odiato Piano Regolatore vigente, la aspettano per trent’anni, concionandovi contro (per provocarne l’aborto ed operare nel frattempo in un clima di abusivismo selvaggio e di regole ad personam). Ma, anche ai beoti, non può sfuggire la necessità urgente che, con o senza UNESCO, Modica abbia un vero P.R.G. e non una cassata Variante.
Saro Jacopo Cascino
Prefazione di Saro Jacopo Cascino
Ho ripreso con grande passione questo piccolo, ma denso testo di Carmelo Modica perché, pur essendo passati quasi vent’anni da quando fu scritto (anche se stampato nel gennaio del 1995), e diciotto da quando ne furono enunciati i principi nell’Aula consiliare del Comune di Modica, purtroppo, se ne deve constatare ancora l’attualità ed il valore profetico.
Il Colonnello Modica, come mi piace affettuosamente chiamarlo, stabilisce un principio d’ordine nella necessità di possedere una Weltanschauung, una visione (anschauung) del mondo (Welt), che è valore di per sé, qualunque essa sia.
La concezione della vita, il modo in cui i singoli individui o i gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo al suo interno, è la base sulla quale deve fondarsi qualsiasi discorso e, a maggior ragione, quello relativo alla scienza urbanistica ed alla redazione di un Piano Regolatore.
Molta acqua è passata sotto ai ponti da quando s’intraprese l’iter di una disagevole Variante al Piano Regolatore Generale del Comune di Modica.
Gli scempi del territorio modicano sono sotto gli occhi di tutti coloro che non sono stati accecati dallo sfavillare di tanto vile denaro. I guasti sono irrimediabili, a meno che, profittando della benevola concessione dell’UNESCO, non si voglia approntare un Piano di feroce abbattimento dell’inutile superfluo, selettivo più di quanto non sarà il previsto terremoto che raderà al suolo, ancora una volta, il Val di Noto.
La mia esortazione all’autore a ristampare il libretto, con una minima revisione, deriva da un piccolo episodio, se pure di colossale risonanza simbolica.
Il mega fast food di Mc Donald’s, aperto a Modica, è stato chiuso perché incapace di contrastare il dominio delle infinite varietà delle locali “scacciteddi”, assolutamente prive di chicken e ketchup. In questo leggiamo il segno di speranza per il futuro di questa cittadina, et in hoc signo vinces!
Qualunque devianza abbia colto e possa cogliere i suoi governanti, il popolo modicano, con il potere irresistibile delle sue tradizioni, è ancora capace di riscattarsi da qualunque omologazione, et haec non praevalebunt!
Quando diciamo omologazione, intendiamo evidentemente parlare di quell’adeguamento del pensiero a modelli dominanti che rende tutto omogeneo, privo di originalità e di autenticità.
Giocando ignobilmente con Manzoni, Piero ed Alessandro, si può dire che l’uno si ribellava vendendo la sua “merda di artista” e l’altro coi versi: “Dalle Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno / del medesimo hamburger / nessun può fare a meno”. Ma, ogni bel gioco dura poco, e chi non lo capisce fa giochi sporchi, soprattutto perché non comprende il valore del gioco, che è sempre mettersi in gioco.
Costui, di norma, è lo stupido, il quale insorge solo contro chi si ribella all’apatia della sua razza che ha ormai conquistato la terra. Lo stupido, compiendo l’osceno misfatto di favoreggiamento della prosternazione all’insensatezza continuata, consente al furbo eletto di macchiarsi dell’orrendo reato di spaccio di opinioni stupefacenti.
A questo mi sembra si opponga Carmelo Modica (nomen omen!), avvertendo che la costante luce dell’intelligenza vale assai più del lampo improvviso di furbizia nell’occhio di beoti, che, dopo aver ordinato una Variante all’odiato Piano Regolatore vigente, la aspettano per trent’anni, concionandovi contro (per provocarne l’aborto ed operare nel frattempo in un clima di abusivismo selvaggio e di regole ad personam). Ma, anche ai beoti, non può sfuggire la necessità urgente che, con o senza UNESCO, Modica abbia un vero P.R.G. e non una cassata Variante.
Saro Jacopo Cascino
Storia nascosta di Modica
Indagine sulla qualità della classe politica nei primi 60 anni della ‘Modica repubblicana’ (1947 - 2013)
Prefazione di Uccio Di Maggio
Posto che l’ Autore stesso definisce il presente volume “un libello”, ho ritenuto fornire in apertura la definizione, le origini, i tòpoi tematici e lo stile correlati alla voce di cui sopra.
Un pamphlet (termine francese traducibile con libello) è un breve saggio. L'autore sostiene, con esso, un argomento di attualità (sociale o politica) con intento polemico o satirico; ha lo scopo di risvegliare la coscienza popolare su un tema che divide. Nato nel XVIII secolo in Francia, è diventato un genere letterario. Ogni singolo pamphlet presenta delle caratteristiche ricorrenti, derivanti dalla specifica codificazione di questo genere letterario. L'enunciazione è sempre in prima persona, e assume toni generalmente critici e irriverenti. Dal punto di vista esteriore, il pamphlet è spesso un testo breve, anche se non necessariamente. Sin dal XIV secolo in Inghilterra il termine ebbe il significato di "opuscolo", "libretto", significato che conserva ancora oggi; nel XVII secolo assunse il significato di "libello", "scritto polemico". Tendenzialmente, l'autore del pamphlet presenta il proprio testo come uno sfogo estemporaneo, come una reazione viscerale di fronte a una situazione non più sostenibile. A essere corrotti, a seconda dei casi, possono essere, di volta in volta: la civiltà nella sua interezza, una specifica società, oppure i costumi diffusi all'epoca dell'autore. Un altro tratto tipico è l'equiparazione della presa di parola a un atto di coraggio: l'autore è, nella generale acquiescenza e omologazione delle idee, l'unico individuo in grado di cogliere gli eventi nella piena luce della verità. Chi scrive risponde a un imperativo ineludibile che proviene dal proprio io interiore e presenta le proprie convinzioni come frutto dell'evidenza del suo sguardo sulla realtà.
Ma…
“ Veniamo al dunque”.
In realtà quando si gioca a “carte scoperte” quello che viene a mancare ai giocatori è il magico rito del tenere le proprie carte nascoste agli altri, tutto ciò che è insito nell’azzardo, nella intuizione, nella giusta scelta della decisione da prendere in funzione delle carte scoperte ma anche, e soprattutto, di quelle ancora coperte. Elementi quest’ultimi che entrano in gioco, a mio parere, anche nell’ambito della stesura di una presentazione di un libro. Azzardare, relativamente a quanto sopra detto, significa estremizzare i codici di lettura, osannando o, al contrario, dissacrando il testo. Buona norma è sempre la prima fra le due. Presentare quindi un “libello”, quando l’Autore stesso nella lunga premessa, titolata appunto “a carte scoperte”, indica l’origine dell’idea di scrivere questo libro, dichiara la sua identità, la sua formazione, le “letture” che ne hanno condizionato i metodi, diventa impresa ardua in quanto tutto o quasi è stato già detto, svelato, scoperto. Con una preoccupazione premurosa e sincera l’Autore fornisce financo le “note per la buona lettura” ai lettori del “libello” ......
Uccio di Maggio
Introduzione di Carmelo Modica
Prefazione di Giuseppe Chiaula
La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica
Quarta di copertina
[...] In ogni guerra i contendenti incrociano sia le armi che le menzogne. Con le armi si cerca di uccidere il nemico nel fisico e con le seconde nell'onorabilità. Con le prime si usa violenza, con le seconde si nobilita la propria azione: stiamo parlando della propaganda di guerra.
Subito dopo il "cessate il fuoco" la guerra continua con l'ultima sua fase quella del "consolidamento del successo" che si realizza con le clausole dell'armistizio e/o del trattato di pace e con la prosecuzione della propaganda di guerra in tempo di pace.
La verità viene chiusa negli archivi e le menzogne vengono ripetute in tutti i modi perchè la demonizzazione dei vinti si consolidi e divenga cultura e giudizio di valore definitivo. Il processo deve avere una durata sufficiente a che il "ritorno della storia" non provochi reversibilità nei giudizi. Ovviamente non sempre il progetto riesce e con l'avvento di Internet i pericoli di scoprire le menzogne aumentano.[...] (Dall'introduzione di Carmelo Modica)
, Associazione culturale “Dialogo” Modica 2017
Dalla descrizione degli effetti della mediocrità politica modicana di “Storia nascosta di Modica” alla riflessione sulla possibile azione culturale per la sua rigenerazione
INTRODUZIONE
1.Come nasce “Addizioni” - 2.Postulato: la mediocrità politica è la causa del “Disastro Modica” - 3.Il ruolo della classe culturale modicana - 4.Lineamenti per una possibile risposta
1.Come nasce “Addizioni”. Già quando la tipografia vi consegna la prima copia del vostro libro appena stampato, in qualsiasi parte di esso lo apriate troverete immancabile, il primo refuso, il primo periodo che vi appare poco comprensibile, il concetto che andava spiegato in maniera più organica. E’ così che inevitabilmente, sul vostro computer, organizzate subito una cartella per raccogliere errori, desideri di annotazioni, chiarimenti ed integrazioni e pensate alla possibilità di una ristampa.
E’ quello che è accaduto anche a noi, solo che quando abbiamo cominciato a raccogliere, del nostro “Storia nascosta di Modica” le recensioni pubblicate sui periodici, le osservazioni, le critiche, le stroncature, le censure di amici, parenti ed avversari politici e quanto è stato detto, dai relatori, in occasione della “Presentazione” ed annotando tale materiale, abbiamo rilevato che stava venendo fuori un secondo libro più che una ristampa corretta ed annotata del primo.
A questi spunti, diciamo “fisiologici”, dobbiamo aggiungere il fatto che il nostro “Storia nascosta di Modica” ha prodotto reazioni, nella classe politico-culturale modicana, da noi severamente aggettivata, che pur non essendosi materializzate in maniera vistosa solo perché, se attuate, avrebbero fatto da cassa di risonanza alla diffusione del libello, circolano e continuano ad alimentare discussioni negli ambienti culturali modicani costringendoci ad ulteriori considerazioni e precisazioni.
Infatti, la riflessione sugli atteggiamenti mentali di questi “Fanciullacci del XXI secolo” (*) ci hanno indotto ad integrare il concetto di “Politica culturale”, descritto nel secondo capitolo del nostro libello, cercando di meglio definire il ruolo che “la classe culturale modicana” ha avuto nella qualità dell’attività di governo della città e, quindi, dei disastrosi risultati ottenuti.
2.Postulato: la mediocrità politica è la causa del “Disastro Modica”. Per anni, almeno quindici, dalle colonne del mensile “Dialogo”, con un’azione costante e spesso solitaria, abbiamo cercato di analizzare la politica modicana comparando i criteri di governo e di formazione delle decisioni politiche ed amministrative semplicemente con i principi di correttezza ma principalmente con quelli del buon padre di famiglia. Questo accostamento “teorico”, nel tempo si è arricchito di un sostanzioso ed inequivocabile apparato probatorio dato dagli inconfutabili disastrosi risultati di governo realizzati. Nel volume “Storia nascosta di Modica” abbiamo reso organica l’azione pubblicistica precedente, individuando lo stretto rapporto di causa ed effetto tra una evidente mediocrità politica e gli altrettanto evidenti risultati disastrosi.
L’analisi dei risultati di (mal)governo, la “qualità” della fedina penale della politica, i profili “culturali” dei personaggi politici e, quelli organizzativi ed operativi delle naturali aggregazioni, da molti di loro realizzate in Confraternite buone a sostituire gli organi democratici per perseguire scopi di puro potere privato o di clan, come nella ricostruzione di un identikit, ha anche dato un volto alla mediocrità politica.
La insistenza con la quale in “Storia nascosta” abbiamo utilizzato la locuzione “mediocrità politica”, merita che si precisi la portata in essa del termine “mediocrità” ed in particolare se tale mediocrità è la naturale e fisiologica espressione della “Politica” e/o di una qualità umana dei suoi cultori e dirigenti oppure è altro.
Da una rapida analisi del suo modo di manifestarsi, decidere ed agire non si può non rilevare che “la mediocrità politica” appare indiscutibile se rapportata alla incapacità di perseguire i fini istituzionali della politica stessa, mentre appare geniale se riferita ai risultati effettivamente conseguiti dal “politicare”. E’ in sostanza lo stesso risultato del delinquente in cui l’azione di violare la legge è tanto mediocre se riferita al bene, quanto è intelligente se riferita ai fini delinquenziali.
Il che fa pensare che non è una mediocrità di fondo ma una mediocrità strumentale e finalizzata ai veri obiettivi non istituzionali da conseguire.
Infatti, a noi appare strumentale far percepire la “mediocrità politica” come fisiologica e normale espressione del sistema e dell’agire della politica. In “Storia nascosta di Modica” riportiamo molti esempi di “mediocrità politica” definibile “dolosa”, sia perché certe inadeguatezze nell’azione di governo sfiorano una impossibile stupidità umana e di gruppo, sia perché quand’anche esse si volessero attribuire ad una mediocrità propria del sistema è pur vero che comunque il personaggio politico, ma anche il Movimento politico, che si fa inquinare la morale, l’intelligenza ed il buon senso dal sistema, è mediocre e senza dignità.
3.Il ruolo della classe culturale modicana. Questo atteggiamento mentale, seguendo tendenze nazionali ed occidentali, a Modica si è consolidato nel tempo attraverso un processo culturale che viene da lontano ed alla stabilizzazione del quale ha fortemente contribuito una classe intellettuale modicana che ha posto la sua opera e i suoi comportamenti, come l'espressione diretta di una specifica classe sociale e dei suoi interessi.
Il disastroso governo della città in questo secondo dopoguerra ha avuto termine con il compimento della sindacatura di Antonello Buscema (2013) che è il punto in cui la “discesa” si è esaurita, non perché fosse intervenuta una forza di contrasto ma semplicemente perché il sistema, fisiologicamente, non consentiva più un ulteriore degrado. La mediocrità politica si è stabilizzata a tal punto che non viene più riconosciuta come tale, dando forma e sostanza ad un clima culturale il cui livello di degrado è misurato da come la normalità viene percepita come genialità.
Quanto tempo debba trascorrere perché si avvii un processo di rigenerazione politica non è dato immaginarlo; adesso viviamo un periodo di questa fase ultima in cui, assente un’adeguata classe politica capace di indicare nuove strade, è la necessità a gestire, sociologicamente, la crisi con provvedimenti adottati solo per la gestione che le necessità vitali costringono ad adottare.
E’ in questo clima che deve maturare un’azione di rinascita politica che potrà avviarsi, però, solo con un forte contributo della classe culturale modicana solo e quando essa sarà capace di riconoscere gli errori compiuti, unico atteggiamento mentale capace di dare autorevolezza a quella necessaria mobilitazione che la classe culturale ha il dovere etico di assumere, sia nei confronti della Comunità modicana, sia come espressione naturale di una sobria dignità della condizione di intellettuale fin’ora più esibita che esercitata.
Questo è il senso di un “Appello agli intellettuali modicani” perché costoro andando oltre ogni steccato si approprino della loro ragion d’essere e con totale indipendenza di giudizio interpretino la realtà con lo scopo di sollecitare (non surrogare o sostituire) la individuazione di linee d’azione politica.
Per favorire tale processo appare necessario riacquistare anche una forma di autonomia e ribellione rispetto alla percezione che questi tempi appaiono risolvibili solo con provvedimenti e politiche di carattere nazionale, europei e globali, trascurando totalmente quanto comunque è possibile realizzare nel livello municipale.
E’ superando tale percezione, che agisce come mito incapacitante e come alibi, che è possibile avviare soluzioni più realistiche e coinvolgenti.
4.Lineamenti per una possibile risposta. E’ in questa fase che si presenta utile e necessario, per avviare un qualsiasi progetto di ripresa, far seguire alla presa d’atto di ....
***
Presentazione di Carlo Catacchio
Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’.
Prendo in prestito questo inizio che indica la fine di un anno e l’avvio di tempi nuovi. Come oggi. Sono passati un po’ di anni da quando si caricavano studenti, magari e meglio milanesi, mentre le facce modicane che riconoscevi, li facevi filare via. Nonostante l’uniforme il tuo sangue modicano rimane contadino, distingue grano e gramigna. Allora su quei campi d’asfalto, nel pieno dei tuoi anni, tramontava un mondo millenario, più vicino agli antichi romani che ai suoi figli, alla beat generation che lo contestava, a cui bene o male, anche solo per anagrafe, appartieni. Un universo abbattuto a televisione e consumi, conformismi e valori molli, più che a colpi di bastone e canzoni. Il mondo dei tuoi padri e dei nostri nonni sparisce cantato e difeso solo da Pasolini. L’unico fuori dal coro che aveva coraggio di sostenere quei contadini in uniforme che si facevano largo a fendenti nei campi di Valle Giulia. In quella stagione le strade si bagnavano di sangue per avere poi raccolti di piombo: sono caduti giudici, poliziotti, politici, sindacalisti e la meglio gioventù si è avvelenata con droghe, novantesimi minuti, rischiatutti e piccoli mutui.
Mi ricompongo e prendo le debite distanze passando al Lei o al più gradito nostalgico Voi. Un’intelligenza come la sua è difficile stia composta in divisa. Una cosa che ha imparato stando sull’attenti in piazza più dell’obbedienza è l’arte della provocazione. Quella che leggiamo nelle sue indagini di campagna, nelle inchieste modicane, degne del miglior verismo di Verga, perché svolte nei corridoi comunali, nei centri di comando dove si vende cremolata e latte, tra i tavolini in piazza e le sedie di plastica, tra le scrivanie di uomini assenti e cementate con carte inutili. Ricerche paradossali, tra facce goffe alla Fellini, destini disperati alla Kafka legati da trame assurde alla Ionesco, condotte tra bidelli petrolieri, coppole da circo, ombre antiche presenti. Racconti degni di Pirandello, perché ancora in cerca di autore, con un volto da ricercare, di uno, nessuno e centomila, dove tutti sono coinvolti e nessuno è colpevole, dove la trama splende alla luce del sole, ma non è poi così semplice come la si vede, eppure così è se vi pare, dove tutto è semplicemente complicato, e dove lei ragiona e vaga nel labirinto mediterraneo con il piacere dell’onestà. Inutile scomodare il suo collega commissario, Montalbano, che pure lui ha preso casa qui in queste cave, divertendosi a seguirla nelle sue indagini per corridoi, corsi, monumenti e antichi convitti. Il paradiso e le ispirazioni migliori lui le troverebbe a tavola con un bel piatto della sua Maria. Per fortuna la sana provocazione del colonnello sveglia e smuove il fantomatico Terzocchio, il nobile modicano spiantato e il suo gruppo. Torniamo al nostro Autore, quando nelle buie furerie di noia e naia ha fatto di vizio virtù: ha speso con intelligenza il suo tempo, nella migliore tradizione siculo pupara e ha dato anima e voce al suo pupazzo di legno. Come ogni cuntatore si rispetti, saltando a piè pari la saga di Carlomanno, il nostro ha letto tutto, ma proprio tutto, dell’epoca d’oro dei manganelli, l’era di quando erano il potere e in un ventennio hanno fatto rigare dritto il Paese fino allo scatafascio, nella migliore tradizione moderna italiana. Il finale è un dettaglio, meglio trascurarlo, perché se si legge la storia dalla fine, ogni racconto non ha più senso e poi la nostra è ancora tutta da scrivere e così pure, si spera, il finale. Dimentichiamoci che per ogni paladino c’è una Roncisvalle. E’ proprio vero: la vera leggenda è l’inizio; è al principio che brilla sempre il sole di Libia, le faccette nere ammiccano, i dieci treni sono in orario, il grano cresce pure in piazza Duomo. E’ negli albori il mito, le dichiarazioni d’intenti sono le sfide degli eroi, il resto però forgia, è il cammino per quaranta anni nel deserto che prova l’uomo vero, la sua fede, la sua resistenza, il suo vero amore. So che si sente tra pari, dove i pari sono la sua gente, e credo la sua gente lo sappia e ricambi il di lei rispetto. E poi tra la gente semplice che è sempre stata zitta e si è presa il carico, i muli veri eroi che hanno fatto la storia dei carrettieri, c’è l’eroe della sua vita, tuo papà. Non l’abbandonerà mai e lui non ti abbandonerà mai. Era quel mondo che lei ed io ora abbiamo visto all’orizzonte verso ponente, il mondo dove si nasceva e si ubbidiva alla tradizione di sempre, senza discutere. La cultura era nelle vene, correva nelle stradine che salgono a san Giovanni, si trascinava nei solchi dei campi e i libri li potevano sfogliare solo parrini e signurini. Sassi, zolle, sudore sono le sue radici che non ha mai smesso di sognare nemmeno nella nebbia in val padana. Finalmente il ritorno a casa, dove fare ordine e disciplina è più complicato che in città, in più senza uniforme e senza più gli esempi di quei grandi padri che insieme al suo, mattone dopo mattone, solco dopo solco, le hanno lasciato bella la vostra Modica e il suo agro. Eppure il sole splende ancora e nonostante tutto qualcosa di bello resta. Ed è sempre grande quello che rimane in questa terra felicemente sfortunata. C’è sempre un sapore antico in voi siciliani, nella vostra lotta, nella vostra vita, costretta a partire e tornare, che sa di epico e di solare, di miceneo e di Odisseo, anche nella vita più semplice. Bisogna riconoscere alla Sicilia questo suo essere luogo metafisico già nel suo esistere, il primo posto dove viene già il mal d’Africa, un suo pezzetto, europeo per caso e deriva. La Sicilia è un desiderio, una nostalgia ancestrale di tutti, il luogo mitico da dove tutti veniamo e dove tutti vorremmo andare, continentali con le sdraio e africani con barconi, di fronte al sole e al mare, dove greci, fenici, arabi, normanni sono approdati e dove tutto è iniziato. Ancora oggi. I filosofi davanti al mare hanno scoperto il corpo galleggiare, col sole hanno dato fuoco ai nemici, hanno scoperto che da una sponda all’altra viaggia la vita e oscilla il pensiero dell’uomo, facendo pure le corna, tra amore e morte, luce ed ombra, tra estremi opposti. Ancora oggi è così. Il crucco Goethe diceva che la Sicilia è l’icona dell’Italia dove tutto, il buono e il cattivo, è superlativo, dove il sole esalta ogni contraddizione e contrasto. Tutto ciò che avviene in Sicilia, ergo a Modica, succede o succederà anche nel continente. La Sicilia precede, partecipa, insegue: è il suo destino, la sua missione. Impegnarsi come voi, in una lotta, mitica per la sua fatica, ma possibile, interessa, perché è una battaglia che coinvolge tutti, uno e centomila, è la stessa che spiega le aule di palazzo e le banche, oltre che alla latteria e ai movimenti laidi del corso. A me che vivo a venti minuti di tram dal duomo, tocca presentare finalmente l’incontro tra l’onorevole, senz’offesa, nel senso di onore, Carmelo Modica e il suo amico Terzocchio, di cui mi pregio di non conoscere, oltre alla banda omonima. Tocca a me presentare questa pecora nera di Modica e la di lui cricca e lo faccio volentieri, con molto affetto, proprio perché vengo da lontano. Verbalizzi colonnello, posso testimoniare il Vostro amore, suo, di lui e vostro, l’amore autentico per queste terre, per la sua gente, che è cosa buona e giusta, e così è se vi pare, vi par poco. Confesso, ho sempre sognato anch’io questa terra, per desiderio di caldo e di luce: l’ho vista ad occhi chiusi attraverso le atmosfere di Battiato o gli abbagli di Fattori o l’ho sentita nelle immagini solari di Pirandello e Camilleri, adesso sì che questi si possono leggere, questa volta senza parrini e signurini. Già la desideravo perché so cosa è il freddo di fiume, l’umidità che penetra a camino acceso. Per me vista da lontano, Modica era fatta di cioccolata, esotica, fantastica attraverso gli occhi migliori delle sue eccellenze; una terra fatta di fioretti e spade che si sono fatti strada sino al podio del mondo. .......... Carlo Catacchio
Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860. La dittatura “garibaldina” dei De Leva: alla ricerca dell’origine della mediocrità della classe di governo modicana, La biblioteca di Babele Modica 2012
recensione di Giuseppe Di bella in
http://www.siciliainformazioni.com/?s=cuoppuli+e+cappedda
Libriamo
Storia che non si rassegna: Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860
19 maggio 2012 - 17:34 - Cultura & Arte
(gdb) Nonostante siano trascorsi 150 anni dall’impresa dei Mille che ha determinato la caduta del regno delle due Sicilie e la proclamazione del regno d’Italia, la storiografia è ben lontana dal porre l’ultimo sigillo sulla verità degli avvenimenti.
Non sorprende quindi il flusso continuo di lavori sul Risorgimento italiano e sugli accadimenti siciliani del 1860, volti a diradare le nebbie create da una storia scritta in modo parziale e spesso ispirata dalla “ragion di Stato”.
Freschissimo di stampa e di idee, esce per i tipi de La biblioteca di Babele edizioni, “Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860” di Carmelo Modica.
Un altro tassello si aggiunge alla storia dell’invasione garibaldina della Sicilia ed a quella dei suoi effetti che ancora oggi sono percepibili nell’attualità politica dell’Isola.
Un testo che rende udibili echi lontani che ancora rimbombano nella società siciliana frastornadola: vortici di parole di grida e di sangue che imprigionano il nostro futuro.
Carmelo Modica è tra quelli che non si sono rassegnati ad una “versione dei fatti” che non contempli l’indagine sulle cause di essi, non si è accontentato di una verità senza ragione e dopo un lungo e minuzioso lavoro di ricostruzione, consegna alla storia uno studio meticoloso sui fatti di sangue occorsi a Modica nel 1860, condotto con sguardo indagatore e profondo, volto alla ricerca non di un colpevole che già si conosce, ma di un movente che da 150 anni continua a sfuggire tra omissioni e documenti scomparsi, tra reticenze e comportamenti misteriosi.
Ma non esistono avvenimenti senza spiegazione né delitti senza movente, sia pure esso solamente presunto. E appare chiaro che i fatti di Modica si inseriscono nel solco di quel travagliato trapasso dei poteri, dai Borbone alla Dittatura, che si svolse in un clima di confusione politica e sociale, con la campagna militare in pieno svolgimento ed in una ambientazione drammaticamente ambigua, causata dalla discrasia tra i provvedimenti emanati da Garibaldi e le idee politiche di coloro i quali erano chiamati ad attuarli.
La brevità della Dittatura, l’opposizione passiva all’azione del Governo dittatoriale e l’affrettata unione, costituiranno alcune tra le tante premesse della consegna ai Savoia di un Regno sostanzialmente “non rivoluzionato”, come desiderato dalla nobiltà e dal notabilato, disposti solo a mutare la forma monarchica assoluta in costituzionale.
Ma ancor prima dell’invasione dell’Isola, i contenuti dell’azione “rivoluzionaria” di Garibaldi erano già chiaramente espressi nel programma “Italia e Vittorio Emanuele” che non delineava niente altro che l’unione sotto lo scettro costituzionale dei Savoia. Ma il Governo dittatoriale tentò comunque di andare oltre l’ordinaria amministrazione, e di dare una precisa connotazione riformista alla propria azione, scontrandosi con le idee politiche della classe dirigente siciliana e provocando notevole preoccupazione nel Governo sardo.
Le disposizioni dittatoriali costituiscono certamente una legislazione rivoluzionaria e d’emergenza, dispiegata in via d’urgenza ed applicata in un breve periodo, e questo ne spiega i limiti politici e di realizzabilità concreta, aggravati dalla “resistenza sociale” incontrata.
Il Decreto dittatoriale di Alcamo del 17 maggio, chiamava a reggere i destini della Sicilia elementi di sicura fede liberale, ma anche tanti conservatori travestiti da rivoluzionari. I casi di rifiuto attivo o passivo di applicare i Decreti dittatoriali furono molteplici: la vicenda di Bronte ne è la summa storica.
La “rivoluzione” siciliana per buona parte dei baroni e dei notabili, molti dei quali chiamati a reggere l’amministrazione pubblica, dovrà limitarsi, a prescindere da ciò che ne pensa Garibaldi, solo alla consegna dell’Isola ad una diversa Dinastia e ad un diverso Stato, senza scalfire i “diritti” della nobiltà e del notabilato né il latifondo, vero nucleo del loro potere economico e politico. Bronte e i Comuni “ribelli” rappresentano la più chiara icona della Sicilia Garibaldina, dove liberali e massoni, nobili e notabili conservatori, appoggiano formalmente una rivoluzione allo scopo di controllarla e di neutralizzarla nella sostanza.
Il comune denominatore delle “rivolte” e dei fatti di sangue avvenuti nell’Isola durante la Dittatura garibaldina, pur estremamente diversi per origine e svolgimento, fu la feroce e sanguinaria repressione. Sia che si trattasse di crimini “comuni” che di delitti commessi dal popolo veramente esasperato per la mancata divisione delle terre Demaniali.
L’obiettivo primario dei Tribunali speciali fu quello di riportare “l’ordine” ad ogni costo e nella maggior parte dei casi, le condanne avevano questo intento a prescindere dai fatti, dalla verità processuale e dalle effettive responsabilità.
I timori della Dittatura sono ben chiari e dimostrati: a fronte dell’incedere degli avvenimenti politici, Garibaldi temeva che il diffondersi dei disordini nelle zone “liberate”, comunque connotati, innescasse una controrivoluzione indipendentista o lealista dei baroni, e ancor più l’intervento di potenze straniere interessate, come l’Austria, la Russia e la stessa Francia. Non ultimo il rischio che il Governo Sardo, a fronte di tali disordini, affrettasse l’annessione dell’Isola, facendo leva sulla massiccia presenza di truppe regolari piemontesi che continuavano ad affluire in Sicilia.
Le rivolte scoppiate in molti Comuni dell’Isola, ma anche semplici fatti di criminalità comune che si prestavano, in quel frangente, ad una esasperata lettura politica, rischiavano quindi di cambiare il destino dell’Isola appena “liberata” e soprattutto di sconvolgere i programmi politici del Dittatore e di quelli che, liberali o conservatori, si erano (re)impadroniti del potere.
Ma a Modica avvenne qualcosa di diverso e di più clamoroso perché i nove condannati non avevano le mani sporche di sangue. La crudeltà della condanna a morte è il sintomo evidente dei timori che angosciavano la “nuova” classe dirigente modicana: l’ordine andava mantenuto ad ogni costo per preservare il potere politico senza interferenze esterne.
A Modica le condanne a morte somigliano ad una prova di forza del potere costituito, che vuole dimostrare di avere in pugno la situazione politica e dell’ordine pubblico per non essere commissariato, per poter continuare a gestire ed operare in una linea di continuità sostanziale con uomini parzialmente diversi, ma con idee politiche per nulla mutate.
Carmelo Modica pone una questione fondamentale per la Sicilia e per il suo futuro: la classe politica che todo modo si è formata ed imposta nel 1860 ha esaurito la sua parabola storica?
Sussiste ancora in Sicilia un immobile il sub strato ideologico e sociale capace persino di metabolizzare rivoluzioni e che impedisce una vera crescita civile e sociale?
La domanda risale dal particolare della storia di Modica a tutta la complessa realtà siciliana e se l’Autore vuole suggerirci che i gattopardi modicani e siciliani sono ancora tra noi, non possiamo che dargli ragione. E ci chiediamo … sono veramente trascorsi 150 anni nella mente della classe dirigente siciliana?
Gli anelli di questa travagliata storia, diventano dunque le catene della società siciliana quei ceppi dai quali non riusciamo a liberarci.
Il Regno millenario posto al centro del Mediterraneo e della vicenda della civiltà occidentale, sembra destinato ad essere governato da vacue ombre nel vento, egoiste e sfuggenti ma sempre uguali e la sua storia diventa incomprensibile se non viene letta alla luce delle debolezze umane che in questa meravigliosa Isola attraversano indenni il tempo.
La storia dell’eccidio di Modica e gli avvenimenti del 1860 nei comuni siciliani “ribelli”, disgelano efficacemente gli intrighi politici sottesi alla costruzione della “nuova “ Italia e preconizzano il ruolo conservatore della Sicilia e della sua arcaica e decadente classe dirigente nobiliare e borghese, nel nuovo Stato che su queste nebbie si andava ad edificare.
Il libro di Carmelo Modica non è solo interessante: è di quelli scomodi, perché prende più spazio nella mente che nella libreria.
Giuseppe Di Bella
Stralcia dal testo
Il libro non può essere
regalato
ma solo donato
Noi della Biblioteca di Babele siamo della ferma convinzione che il libro che fa mostra di sé in uno scaffale non ha vita tranquilla. E quando qualcuno lo prende in mano e ne sfoglia le pagine si pone in uno stato di ansia. Comincia a spiare chi vorrebbe acquistarlo, percepisce il calore delle mani che lo toccano, e quando sente dita spigolose e svogliate, spera di essere subito rimesso al suo posto.
Quando quelle mani lo portano verso la cassa, anche se si sente morire, spera di servire come regalo, e quindi di trovare un luogo degno del suo rango. E' per questo motivo che chiediamo ai nostri gentili frequentatori della libreria di essere delicati nel prendere e sollevare il libro dal suo consueto luogo dove riposa. Si, perché da noi i libri riposano, si scambiano opinioni fra di loro e sopportano di essere disturbati solo da coloro che li trattano con garbo; la maggior parte si trova nella posizione….
Nota dell'Autore
Francesco Irminio è lo pseudonimo di un Ufficiale del Corpo delle Guardia di P.S.., L'aver ricorso a uno pseudonimo richiede ovviamente una precisazione, ben sapendo che la g.r., se mai interverrà a valutare questo scritto, si soffermerà più sulla «vigliaccheria di non presentarsi in prima persona» che sul contenuto stesso del libro, ma anche questo è un metodo ormai collaudato di chi conduce la g.r. quando non ricorre al silenzio.
Dobbiamo, quindi, una spiegazione. Forse ne abbiamo due:
non sappiamo se banali e fondate oppure no. La prima è che temiamo l'arroganza del potere molto più efficiente ed efficace nel perseguire all'interno di quanto sia capace nell'espletamento dei compiti di Istituto e il caso Fichera ne è una prova, purtroppo solo la più nota ma non l'unica.
La seconda in verità è solo la conseguenza della prima perché, infatti, lo pseudonimo consentirà di spersonalizzare il testo che vuole presentarsi per quello che è e non per chi l'ha scritto, avente come destinatari i politici e i poliziotti, in egual misura: i primi perché siano più concreti i secondi perché si rendano conto di essere al servizio della Nazione che tutto comprende senza acredine o passioni di parte pur nella diversità delle idee; con serietà, con convinzione, forza e determinazione che non è, però, violenza nonostante l'arroganza del potere.
Quarta di copertina
La peculiarità di questo volume, scritto da un ufficiale del Corpo delle Guardie di Pubblica sicurezza, è quella di fare teoria partendo da un problema dell’ “ora presente”: la riforma della Polizia.
L’autore afferma che la smilitarizzazione e la sindacalizzazione della Polizia non hanno lo scopo di renderla efficiente, tutelando i diritti civili dei suoi appartenenti, bensì il fine di asservire l’Istituto alla fazione. Per dimostrare ciò impiega lo schema della guerra rivoluzionaria e lascia intendere che utilizzando gli stessi criteri di analisi nello studio degli altri settori vitali della nazione (informazione, forze armate, istruzione, ecc.) potrebbe apparire, come in una radiografia, chiara la identità del nemico, le varie diramazioni della sua azione e la incisività della sua lotta per distruggere la democrazia italiana,