Nel 1933, a Milano, un intrepido gruppo di giovani donne auto-denominatosi “Gruppo Femminile Calc... more Nel 1933, a Milano, un intrepido gruppo di giovani donne auto-denominatosi “Gruppo Femminile Calcistico” (GFC) tentò di organizzare la prima società di calcio femminile in Italia.
L’intervento, oltre a fornire elementi utili per una ricostruzione storiografica complessiva della vicenda, vuole concentrarsi soprattutto sulla retorica e quindi sull’ideologia delle calciatrici milanesi, tramite lo spoglio completo degli articoli che la rivista sportiva Il Calcio Illustrato dedicò all’avventura del GFC in quel 1933. Al centro della ricerca ci saranno quindi le parole: non soltanto le parole (maschili) dei giornalisti della rivista, ma soprattutto le parole delle dirette interessate, nella forma sia di manifesti e lettere inviate al giornale, sia di quelle interviste che servirono poi ad un inviato del Il Calcio Illustrato per assemblare un (preziosissimo, col senno di poi) reportage sul campo. Oltre all’aspetto verbale, grande spazio verrà dato anche a quello iconografico, tramite l’analisi delle irriverenti vignette del giornale dedicate alla GFC, nonché alle fotografie dello stesso proposte ai propri lettori. Dato il momento storico, le calciatrici si rendevano ben conto dell’assoluta fragilità del loro tentativo. Pur avendo trovato insperati appoggi in una società milanese evidentemente ancora - nonostante tutto - abbastanza open-minded per sostenere le proprie figlie e sorelle che volevano semplicemente giocare quello che nel Belpaese era il gioco maschile per eccellenza, le giovani sportive erano coscienti del loro status di rivoluzionarie. Tramite la loro semplice compagine sportiva stavano minando alle fondamenta l’immagine della donna dell’Italia fascista, la rigida settorializzazione sessuale della sua ideologia, la limitazione dell’attività sportiva femminile ad alcune “convenienti” discipline.
Proprio per questo motivo, nei vari interventi delle calciatrici è possibile individuare un’implicita quanto precisa strategia retorica: vedendosi già condannate alla sconfitta (che effettivamente arriverà nel giro di qualche mese), decisero di giocare all’attacco, presentando la loro attività non solo come innocua per il regime fascista, ma addirittura come fascistissima. In uno strabiliante black-out ideologico che passava prima di tutto attraverso la ri-semantizzazione di alcune parole chiave dell’ideologia sportiva fascista, le calciatrici, da una parte educate sin dalla giovane età all’attività sportiva (per quanto non ancora agonistica) nelle scuole del Regno, e dell’altra appassionate tifose di quel calcio maschile sul quale il regime stava puntando sempre di più le proprie fiches come strumento di propaganda popolare, chiedevano semplicemente di tirare le fila di quella educazione sportiva che lo stesso Fascismo aveva proposto loro. Se avevano giocato a tutto, perché non potevano ora dedicarsi allo sport nazionale? Perché doveva rimanere una prerogativa dei maschi, quando anche loro, data qualche precauzione legata soprattutto al contatto fisico, potevano viverlo da vere donne sportive fasciste?
Il tentativo rivoluzionario delle calciatrici milanesi verrà represso delle autorità sportive del regime nel giro di qualche mese. Ciò nonostante, il loro straordinario (e per nulla ingenuo) esperimento merita di essere studiato a fondo: provarono a cambiare dall’interno, sfruttando le stesse parole e idee della dittatura che le reprimeva, la società in cui era toccato loro di vivere.
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Sull'argomento sono ora disponibili due argomenti, ossia:
Per aprire nuove prospettive e arricchire gli studi storici sullo sport, Felice Fabrizio, uno dei... more Per aprire nuove prospettive e arricchire gli studi storici sullo sport, Felice Fabrizio, uno dei pionieri della storia dello sport in Italia, indica in questa intervista alcuni filoni di ricerca meritevoli di maggiore attenzione: lo sport femminile, l’economia dello sport e la ricostruzione delle vicende di sport che rivestono un’importanza peculiare nella storia nazionale, primi tra tutti la scherma, il tiro a segno e il pugilato; ricostruzione da affrontare adottando il modello di analisi proprio della storia sociale dello sport.
Nel 1933, a Milano, un intrepido gruppo di giovani donne auto-denominatosi “Gruppo Femminile Calc... more Nel 1933, a Milano, un intrepido gruppo di giovani donne auto-denominatosi “Gruppo Femminile Calcistico” (GFC) tentò di organizzare la prima società di calcio femminile in Italia.
L’intervento, oltre a fornire elementi utili per una ricostruzione storiografica complessiva della vicenda, vuole concentrarsi soprattutto sulla retorica e quindi sull’ideologia delle calciatrici milanesi, tramite lo spoglio completo degli articoli che la rivista sportiva Il Calcio Illustrato dedicò all’avventura del GFC in quel 1933. Al centro della ricerca ci saranno quindi le parole: non soltanto le parole (maschili) dei giornalisti della rivista, ma soprattutto le parole delle dirette interessate, nella forma sia di manifesti e lettere inviate al giornale, sia di quelle interviste che servirono poi ad un inviato del Il Calcio Illustrato per assemblare un (preziosissimo, col senno di poi) reportage sul campo. Oltre all’aspetto verbale, grande spazio verrà dato anche a quello iconografico, tramite l’analisi delle irriverenti vignette del giornale dedicate alla GFC, nonché alle fotografie dello stesso proposte ai propri lettori. Dato il momento storico, le calciatrici si rendevano ben conto dell’assoluta fragilità del loro tentativo. Pur avendo trovato insperati appoggi in una società milanese evidentemente ancora - nonostante tutto - abbastanza open-minded per sostenere le proprie figlie e sorelle che volevano semplicemente giocare quello che nel Belpaese era il gioco maschile per eccellenza, le giovani sportive erano coscienti del loro status di rivoluzionarie. Tramite la loro semplice compagine sportiva stavano minando alle fondamenta l’immagine della donna dell’Italia fascista, la rigida settorializzazione sessuale della sua ideologia, la limitazione dell’attività sportiva femminile ad alcune “convenienti” discipline.
Proprio per questo motivo, nei vari interventi delle calciatrici è possibile individuare un’implicita quanto precisa strategia retorica: vedendosi già condannate alla sconfitta (che effettivamente arriverà nel giro di qualche mese), decisero di giocare all’attacco, presentando la loro attività non solo come innocua per il regime fascista, ma addirittura come fascistissima. In uno strabiliante black-out ideologico che passava prima di tutto attraverso la ri-semantizzazione di alcune parole chiave dell’ideologia sportiva fascista, le calciatrici, da una parte educate sin dalla giovane età all’attività sportiva (per quanto non ancora agonistica) nelle scuole del Regno, e dell’altra appassionate tifose di quel calcio maschile sul quale il regime stava puntando sempre di più le proprie fiches come strumento di propaganda popolare, chiedevano semplicemente di tirare le fila di quella educazione sportiva che lo stesso Fascismo aveva proposto loro. Se avevano giocato a tutto, perché non potevano ora dedicarsi allo sport nazionale? Perché doveva rimanere una prerogativa dei maschi, quando anche loro, data qualche precauzione legata soprattutto al contatto fisico, potevano viverlo da vere donne sportive fasciste?
Il tentativo rivoluzionario delle calciatrici milanesi verrà represso delle autorità sportive del regime nel giro di qualche mese. Ciò nonostante, il loro straordinario (e per nulla ingenuo) esperimento merita di essere studiato a fondo: provarono a cambiare dall’interno, sfruttando le stesse parole e idee della dittatura che le reprimeva, la società in cui era toccato loro di vivere.
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Sull'argomento sono ora disponibili due argomenti, ossia:
Per aprire nuove prospettive e arricchire gli studi storici sullo sport, Felice Fabrizio, uno dei... more Per aprire nuove prospettive e arricchire gli studi storici sullo sport, Felice Fabrizio, uno dei pionieri della storia dello sport in Italia, indica in questa intervista alcuni filoni di ricerca meritevoli di maggiore attenzione: lo sport femminile, l’economia dello sport e la ricostruzione delle vicende di sport che rivestono un’importanza peculiare nella storia nazionale, primi tra tutti la scherma, il tiro a segno e il pugilato; ricostruzione da affrontare adottando il modello di analisi proprio della storia sociale dello sport.
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L’intervento, oltre a fornire elementi utili per una ricostruzione storiografica complessiva della vicenda, vuole concentrarsi soprattutto sulla retorica e quindi sull’ideologia delle calciatrici milanesi, tramite lo spoglio completo degli articoli che la rivista sportiva Il Calcio Illustrato dedicò all’avventura del GFC in quel 1933. Al centro della ricerca ci saranno quindi le parole: non soltanto le parole (maschili) dei giornalisti della rivista, ma soprattutto le parole delle dirette interessate, nella forma sia di manifesti e lettere inviate al giornale, sia di quelle interviste che servirono poi ad un inviato del Il Calcio Illustrato per assemblare un (preziosissimo, col senno di poi) reportage sul campo. Oltre all’aspetto verbale, grande spazio verrà dato anche a quello iconografico, tramite l’analisi delle irriverenti vignette del giornale dedicate alla GFC, nonché alle fotografie dello stesso proposte ai propri lettori. Dato il momento storico, le calciatrici si rendevano ben conto dell’assoluta fragilità del loro tentativo. Pur avendo trovato insperati appoggi in una società milanese evidentemente ancora - nonostante tutto - abbastanza open-minded per sostenere le proprie figlie e sorelle che volevano semplicemente giocare quello che nel Belpaese era il gioco maschile per eccellenza, le giovani sportive erano coscienti del loro status di rivoluzionarie. Tramite la loro semplice compagine sportiva stavano minando alle fondamenta l’immagine della donna dell’Italia fascista, la rigida settorializzazione sessuale della sua ideologia, la limitazione dell’attività sportiva femminile ad alcune “convenienti” discipline.
Proprio per questo motivo, nei vari interventi delle calciatrici è possibile individuare un’implicita quanto precisa strategia retorica: vedendosi già condannate alla sconfitta (che effettivamente arriverà nel giro di qualche mese), decisero di giocare all’attacco, presentando la loro attività non solo come innocua per il regime fascista, ma addirittura come fascistissima. In uno strabiliante black-out ideologico che passava prima di tutto attraverso la ri-semantizzazione di alcune parole chiave dell’ideologia sportiva fascista, le calciatrici, da una parte educate sin dalla giovane età all’attività sportiva (per quanto non ancora agonistica) nelle scuole del Regno, e dell’altra appassionate tifose di quel calcio maschile sul quale il regime stava puntando sempre di più le proprie fiches come strumento di propaganda popolare, chiedevano semplicemente di tirare le fila di quella educazione sportiva che lo stesso Fascismo aveva proposto loro. Se avevano giocato a tutto, perché non potevano ora dedicarsi allo sport nazionale? Perché doveva rimanere una prerogativa dei maschi, quando anche loro, data qualche precauzione legata soprattutto al contatto fisico, potevano viverlo da vere donne sportive fasciste?
Il tentativo rivoluzionario delle calciatrici milanesi verrà represso delle autorità sportive del regime nel giro di qualche mese. Ciò nonostante, il loro straordinario (e per nulla ingenuo) esperimento merita di essere studiato a fondo: provarono a cambiare dall’interno, sfruttando le stesse parole e idee della dittatura che le reprimeva, la società in cui era toccato loro di vivere.
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Sull'argomento sono ora disponibili due argomenti, ossia:
https://www.academia.edu/35514299/_Amo_moltissimo_il_giuoco_del_calcio_._Storia_e_retorica_del_primo_esperimento_di_calcio_femminile_in_Italia_Milano_1933_I_really_love_football_._History_of_the_first_experimental_female_football_team_in_Italy_Milan_1933_
https://www.academia.edu/35514573/Le_nere_sottanine_e_la_congiura_del_silenzio_Lingua_e_immagini_nelle_polemiche_giornalistiche_sul_Gruppo_Femminile_Calcistico_milanese_1933_Black_skirts_and_the_silence_plot_Language_and_pictures_in_paper_war_about_Gruppo_Femminile_Calcistico_Milan_1933_
Papers by Felice Fabrizio
L’intervento, oltre a fornire elementi utili per una ricostruzione storiografica complessiva della vicenda, vuole concentrarsi soprattutto sulla retorica e quindi sull’ideologia delle calciatrici milanesi, tramite lo spoglio completo degli articoli che la rivista sportiva Il Calcio Illustrato dedicò all’avventura del GFC in quel 1933. Al centro della ricerca ci saranno quindi le parole: non soltanto le parole (maschili) dei giornalisti della rivista, ma soprattutto le parole delle dirette interessate, nella forma sia di manifesti e lettere inviate al giornale, sia di quelle interviste che servirono poi ad un inviato del Il Calcio Illustrato per assemblare un (preziosissimo, col senno di poi) reportage sul campo. Oltre all’aspetto verbale, grande spazio verrà dato anche a quello iconografico, tramite l’analisi delle irriverenti vignette del giornale dedicate alla GFC, nonché alle fotografie dello stesso proposte ai propri lettori. Dato il momento storico, le calciatrici si rendevano ben conto dell’assoluta fragilità del loro tentativo. Pur avendo trovato insperati appoggi in una società milanese evidentemente ancora - nonostante tutto - abbastanza open-minded per sostenere le proprie figlie e sorelle che volevano semplicemente giocare quello che nel Belpaese era il gioco maschile per eccellenza, le giovani sportive erano coscienti del loro status di rivoluzionarie. Tramite la loro semplice compagine sportiva stavano minando alle fondamenta l’immagine della donna dell’Italia fascista, la rigida settorializzazione sessuale della sua ideologia, la limitazione dell’attività sportiva femminile ad alcune “convenienti” discipline.
Proprio per questo motivo, nei vari interventi delle calciatrici è possibile individuare un’implicita quanto precisa strategia retorica: vedendosi già condannate alla sconfitta (che effettivamente arriverà nel giro di qualche mese), decisero di giocare all’attacco, presentando la loro attività non solo come innocua per il regime fascista, ma addirittura come fascistissima. In uno strabiliante black-out ideologico che passava prima di tutto attraverso la ri-semantizzazione di alcune parole chiave dell’ideologia sportiva fascista, le calciatrici, da una parte educate sin dalla giovane età all’attività sportiva (per quanto non ancora agonistica) nelle scuole del Regno, e dell’altra appassionate tifose di quel calcio maschile sul quale il regime stava puntando sempre di più le proprie fiches come strumento di propaganda popolare, chiedevano semplicemente di tirare le fila di quella educazione sportiva che lo stesso Fascismo aveva proposto loro. Se avevano giocato a tutto, perché non potevano ora dedicarsi allo sport nazionale? Perché doveva rimanere una prerogativa dei maschi, quando anche loro, data qualche precauzione legata soprattutto al contatto fisico, potevano viverlo da vere donne sportive fasciste?
Il tentativo rivoluzionario delle calciatrici milanesi verrà represso delle autorità sportive del regime nel giro di qualche mese. Ciò nonostante, il loro straordinario (e per nulla ingenuo) esperimento merita di essere studiato a fondo: provarono a cambiare dall’interno, sfruttando le stesse parole e idee della dittatura che le reprimeva, la società in cui era toccato loro di vivere.
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Sull'argomento sono ora disponibili due argomenti, ossia:
https://www.academia.edu/35514299/_Amo_moltissimo_il_giuoco_del_calcio_._Storia_e_retorica_del_primo_esperimento_di_calcio_femminile_in_Italia_Milano_1933_I_really_love_football_._History_of_the_first_experimental_female_football_team_in_Italy_Milan_1933_
https://www.academia.edu/35514573/Le_nere_sottanine_e_la_congiura_del_silenzio_Lingua_e_immagini_nelle_polemiche_giornalistiche_sul_Gruppo_Femminile_Calcistico_milanese_1933_Black_skirts_and_the_silence_plot_Language_and_pictures_in_paper_war_about_Gruppo_Femminile_Calcistico_Milan_1933_