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Acque letali
Acque letali
Acque letali
E-book314 pagine4 ore

Acque letali

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Info su questo ebook

Un terremoto distrugge una grande quantità di scorie radioattive occultate illegalmente in un terreno del Sud Italia. Le conseguenze potrebbero essere devastanti poiché l’acquedotto di una vicina cittadina verrà a breve contaminato. Nessuno ne è al corrente tranne un giornalista ed un’epidemiologa i quali, nel tentativo di far luce sull’evento, diventano il target di una spietata organizzazione dedita al traffico di scorie, pronta a tutto pur di mantenere la vicenda segreta. Soli contro tutti e braccati dai trafficanti, i due protagonisti sono costretti ad indagare autonomamente, arrischiandosi in una corsa contro il tempo dall’esito della quale dipenderà la loro vita e quella di decine di migliaia di persone. “Acque Letali” è un avvincente thriller che si ispira a fatti veri, emersi in inchieste giudiziarie e parlamentari su decenni di smaltimenti illeciti di scorie radioattive. A causa di pressioni, depistaggi e oscure minacce, sfociate nella morte della giornalista Ilaria alpi e del capitano della Guardia Costiera Natale De Grazia, nessuna di tali inchieste è mai giunta a conclusione. E la letale mole di scorie seppellite nei mari e nelle terre di tutta Italia, giace ancora lì sotto. = Gli autori hanno inteso rinunciare al loro compenso per destinarlo interamente all'associazione "Vida a Pititinga Onlus". =
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2012
ISBN9788866600237
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    Anteprima del libro

    Acque letali - Carlo Carere

    CARLO CARERE

    GIAN GIUSEPPE RUZZU

    Acque

    letali

    ISBN versione eBook

    978-88-6660-023-7

    L`intero ricavato dei diritti d`autore verrà devoluto all`Associazione VIDA A PITITINGA ONLUS

    www.pititinga.it

    Collana BLACK & YELLOW

    Copyright © 2012 CIESSE Edizioni

    Design di copertina © 2012 CIESSE Edizioni

    Editor: Irina Turcanu e Sonia Dal Cason

    Grafica by Max Rambaldi

    www.maxrambaldi.com

    Acque letali

    di Carlo Carere e Gian Giuseppe Ruzzu

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a:

    CIESSE Edizioni Servizi editoriali

    Via Conselvana 151/E

    35020 Maserà di Padova (PD)

    Telefono 049 8862219 | Fax 049 2108830

    E-Mail info@ciessedizioni.it

    P.E.C. ciessedizioni@pec.it

    ISBN versione eBook

    978-88-6660-023-7

    www.ciessedizioni.it

    http://blog.ciessedizioni.it

    NOTE DELL’EDITORE

    Romanzo liberamente ispirato a fatti veri. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.

    A mio padre Giuseppe e mia madre Concetta, per avermi reso quel che sono.

    Carlo Carere

    A mia moglie Antonella linfa della mia vita e a tutti i carabinieri che in silenzio continuano a fare il loro dovere.

    Gian Giuseppe Ruzzu

    BIOGRAFIA DEGLI AUTORI

    Carlo Carere, 36 anni, napoletano, è laureato in Giurisprudenza e in Scienze della Sicurezza. È stato per dodici anni ufficiale dell’Arma dei Carabinieri. Ha prestato servizio in varie zone d’Italia e ha partecipato alle missioni di peacekeeping in Bosnia e in Kosovo, negli anni immediatamente successivi alle guerre. Congedatosi nel grado di Capitano, ha collaborato come attore in diverse fiction televisive, tra cui Don Matteo 6. Attualmente lavora a Hollywood, dove ha scritto le sceneggiature cinematografiche di due film thriller di imminente realizzazione.

    Gian Giuseppe Ruzzu, nato a Sassari il 09.09.1967, è un Maggiore dell’Arma dei Carabinieri. Presta attualmente servizio presso il Comando Legione carabinieri Sardegna di Cagliari. Nel corso della sua ultraventennale carriera nell'Arma, ha ricoperto incarichi investigativi in diverse località della penisola, gestendo indagini molto delicate. È laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche.

    BIBLIOGRAFIA

    Carlo Carere

    2004 – Al di là del Vento, edito da Montedit. Menzione di merito al premio letterario Jaques Prevert 2004.

    Gian Giuseppe Ruzzu

    2008 – Bandidu – Casa editrice La Riflessione

    P R E F A Z I O N I

    A cura di:

    Dott. DONATO CEGLIE

    Magistrato di Cassazione con funzioni di

    sostituto Procuratore Generale di Napoli.

    e

    Dott.ssa CLAUDIA SALVESTRINI

    Direttore Consorzio PolieCo.

    Dott. DONATO CEGLIE

    ‘Acque letali, romanzo liberamente ispirato a fatti veri’. Questo si legge alla prima pagina dello scritto di Carlo Carere e Gian Giuseppe Ruzzu. Un romanzo che ipnotizza il lettore, lo tiene inchiodato sul testo, anzi sulle scene che gli autori mirabilmente descrivono, un romanzo che al contempo suscita innumerevoli funesti pensieri, che in breve tempo si addensano nella mente. La trama è avvincente, la prosa incalzante, i protagonisti, Charlie ed Enrica, appartenenti a mondi e sensibilità profondamente distanti, incrociano i loro destini per quella che si delinea come la guerra del bene contro il male. E, nella battaglia di Davide contro Golia, prevale l’indistruttibile forza che promana dai buoni sentimenti e dai migliori valori dell’essere umano: l’altruismo, la generosità, la solidarietà, l’amore verso il prossimo, il coraggio. In tale quadro si inseriscono le belle figure del capitano Armentano e del maresciallo De Cicco, i quali, dopo un’iniziale titubanza, abbracciano la causa dei due protagonisti contribuendo a disvelare l’orrendo mondo contro il quale si sono battuti Charlie ed Enrica: i trafficanti di morte, i trafficanti di rifiuti. Questi ultimi sono descritti per quello che le tante cronache giudiziarie ci hanno insegnato a conoscere: cinici, perversi, ben consapevoli che il trafficare in rifiuti, l’interrare o l’ammarare tonnellate e tonnellate di veleni produce (e non può che produrre) morte. Ma agli eco-criminali le conseguenze del proprio agire non interessano; pur di fare business e perseguire ingentissimi profitti, gestiscono qualsiasi traffico illegale: armi, droga, esseri umani, organi e soprattutto rifiuti, e tra questi, quelli più pericolosi, la gestione illegale della quale produce i maggiori profitti, i rifiuti tossico nocivi e quelli radioattivi. I cavalieri della morte, i terroristi del male disprezzano la vita, agiscono con potentissimi mezzi e sanguinarie organizzazioni. Comprano e corrompono tutto e tutti, non incontrano ostacoli nel loro perverso agire criminale, ammazzano chiunque sia un ostacolo sul loro percorso criminale fino a quando non si imbattono nei nostri due protagonisti, per tanti versi molto distanti tra loro, ma che con lo sviluppo della trama diventano, loro malgrado, gli eroi e si legano in un forte e reciproco sentimento di stima e affetto. Insieme si mettono alla ricerca del Seiroi, la cavità naturale nella quale i criminali avevano interrato il combustibile nucleare contenente Plutonio 239, che, a causa della contaminazione dell’acquedotto, sta per causare una strage tra gli abitanti di un paese vicino.

    Romanzo liberamente ispirato a fatti veri.  Ma a quali fatti si sono ispirati i nostri autori?  Quanti esseri umani del tutto sovrapponibili ai personaggi del romanzo hanno avuto modo di incrociare o dei quali hanno appreso puntuali informazioni nel corso della loro professione di Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri? Quanto c’è di drammaticamente vero nel romanzo Acque Letali?

    Fino a circa quindici anni fa a parlare in Italia di traffici illeciti di rifiuti tossico-nocivi o radioattivi, di interramenti o ammaramenti di scorie tossiche si veniva presi per pazzi. Ricordo io stesso che, invitato a un importante congresso di medicina oncologica nel 1998, nel parlare di traffici illeciti di rifiuti e malattie tumorali, facendo riferimento alle prove già acquisite dalle prime indagini sull’argomento, venni accolto se non proprio con i fischi, certamente con grande scetticismo e ironia dai luminari e dai medici presenti. Sono dovuti passare tanti anni, e all’esito di puntuali indagini della Protezione civile e dell’istituto superiore della sanità, con l’avallo e la supervisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi scientificamente sappiamo che i traffici illeciti di rifiuti hanno prodotto e producono morte, malformazioni, malattie e disastri ambientali. Gli interessi criminali che ruotano intorno ai traffici di rifiuti tossici e radioattivi sono immensi: l’Italia è il paese della comunità internazionale nel quale più operano (o hanno operato) soggetti e organizzazioni criminali che hanno invaso in particolare il Sud (e ancora più in particolare le provincie di Napoli e Caserta), di imponenti quantitativi di rifiuti tossici.  Le conseguenze per la salute della popolazione, per l’ambiente e per la stessa economia dei territori sono state devastanti. Impennate di malattie tumorali in alcuni comuni con punte di aumenti anomali fino al 400%. Si sono riscontrati aumenti di malformazioni congenite nelle specie viventi (animali da pascolo, cani randagi, ma anche essere umani) tutte spie di un deterioramento sistemico e in qualche caso irrecuperabile del territorio. Avvelenamento di corsi e fonti d’acqua, avvelenamento della terra da diossina: insomma un quadro infernale!

    E tutto ciò perché una parte significativa di produttori di rifiuti ha deciso di risparmiare sui costi derivanti da una corretta e legale gestione del ciclo dei rifiuti, costi che vengono clamorosamente abbattuti nel momento in cui gli imprenditori stessi adottano la scelta criminale di affidare a operatori senza scrupoli la soluzione del problema principale delle proprie aziende: ovvero lo smaltimento a costi stracciati dei rifiuti tossico-nocivi. Le cronache giudiziarie, i tanti processi celebrati, l’imponente mole probatoria e le puntuali ricostruzioni fornite da innumerevoli collaboratori di giustizia hanno fornito un quadro che si può delineare come segue: in estrema sintesi, mafia, ‘ndrangheta e camorra si sono ripartite i tre immensi e strutturali business dell’economia criminale nazionale e transnazionale. Alla mafia gli appalti (porti, raddoppi ferroviari e autostradali, grandi opere come il ponte sullo stretto o gli interventi come bonifiche e irrigazioni, opere di ricostruzioni post terremoti), alla ‘ndrangheta la piazza globale dello spaccio di stupefacenti (con ramificazioni e interessi criminali-economici in paesi come la Germania, la Spagna, la Colombia e la Bolivia), alla camorra le agro-mafie e soprattutto le ecomafie, con particolare competenza criminale nel ciclo illecito del cemento e nel ciclo illecito dei rifiuti. Tutti i collaboratori hanno più volte sottolineato che i capi camorra considerano il traffico illecito dei rifiuti uno dei settori più redditizi dell’universo criminale.  In più processi si sono ascoltate frasi del tipo:‘la munnezza è oro, e vale più del petrolio’. Le cifre sono allarmanti e inquietanti. Si è calcolato che una cava abusiva (che già produce circa 50 milioni di euro) se riempita di rifiuti, ne produce altri 50. Ma quanto sta emergendo dalle ultime indagini è ancora più allarmante. Accertato che con le loro condotte criminali, con gli interramenti illegali di milioni di tonnellate di rifiuti non c’è più spazio per nascondere nemmeno una lattina di Coca-Cola, gli ecomafiosi hanno deciso di esportare i rifiuti all’estero: numerosissimi sono i containers che le forze dell’ordine e l’Agenzia delle Dogane del Ministero delle Finanze hanno sequestrato nei porti del Sud Italia, container contenenti rifiuti tossico- nocivi pronti per essere trasportati in porti lontanissimi, in particolare dell’estremo oriente. Ancora più raccapricciante l’uso che di tali rifiuti emerge dalle prime investigazioni: i rifiuti tossico-nocivi, illegalmente esportati dall’Italia e da altre nazioni ritornano sotto forma  di prodotti per l’igiene e la parafarmaceutica. In particolare, biberon e pannolini per bambini, creme e prodotti per curare dermatiti e malattie respiratorie. Questo è il nuovo scenario criminale che si delinea all’orizzonte, questi gli interessi eco-criminali che bisogna contrastare con gli strumenti della legge e della cooperazione internazionale. Ma molto devono fare anche i cittadini, senza pensare che si possa delegare tutto a forze dell’ordine e a qualche magistrato. A tal fine, serve anche un bel lavoro come quello nel quale si sono cimentati Carlo Carere e Gian Giuseppe Ruzzu, verso i quali va la nostra sincera ammirazione.

    Dr. Donato Ceglie

    BIOGRAFIA

    Donato Ceglie è magistrato di Cassazione con funzioni di sostituto Procuratore Generale di Napoli. È stato coordinatore della sezione crimini ambientali e salute dei cittadini presso la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che ha competenza per l’intera provincia di Caserta (il luogo individuato dagli autori per la trama del loro romanzo).

    Ha ricoperto l`incarico di consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle eco-mafie, ed è stato coordinatore dell’osservatorio nazionale sui crimini ambientali.

    È il titolare delle prime indagini (e di numerose altre) in tema di eco-mafie. Tra cui la Cassiopea, che ha il merito di aver svelato a un’Italia dormiente il malaffare dei traffici di veleni.

    Dott.ssa CLAUDIA SALVESTRINI

    Acque letali; terre letali… Ma, soprattutto, traffici letali.

    Da molti anni chi, a vario titolo, si occupa di ambiente e, in particolare, della gestione dei rifiuti, sa bene cosa significa per un territorio e per le aziende del settore, la sottrazione di ingenti quantità di rifiuti/materiali e l’occultamento degli stessi a mezzo di smaltimenti illeciti ovvero tramite distruzioni non autorizzate.

    Il Rapporto Ecomafia 2011, pubblicato da Legambiente, lo ha definito un virus con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio su scala globale in grado di avvelenare l’ambiente, inquinare l’economia dei paesi coinvolti e mettere in pericolo la salute delle persone.

    I numeri fanno venire i brividi. I rifiuti speciali e pericolosi sequestrati in solo 12 delle 29 inchieste eseguite dalle forze dell’ordine nel 2010, sono 2 milioni di tonnellate. Una mole sconsiderata di veleni che riempirebbe 82.181 tir. Incolonnandoli, si formerebbe una fila lunga 1.117 chilometri, da Reggio Calabria a Milano. Purtroppo, i rifiuti sottoposti a sequestro rappresentano solo una percentuale di quelli trafficati illegalmente, la maggior parte dei quali non vengono scoperti e finiscono sotto terra, nei mari, nei fiumi e nei laghi.

    Quando a ciò si aggiungono i traffici di rifiuti/scorie radioattivi che per anni hanno imperversato nella nostra penisola e in paesi esteri, lo scenario si fa davvero insostenibile. Parliamo di materiali radioattivi presumibilmente smaltiti nei mari e nelle terre d’Italia e dei paesi in via di sviluppo, come il Corno d’Africa. Non si può non citare le c.s. navi a perdere, fatte affondare nel Mediterraneo negli anni ‘80 e ‘90, con il loro carico di scorie, che riposano ancora sui fondali marini. Esempi sono la Rigel, la Aso, la Michigan e la Jolly Rosso, misteri ancora irrisolti.

    L’apertura dei mercati internazionali alle movimentazioni di materiali da riciclo, poi, è un’altra faccia dello stesso problema stante l’attenzione sempre crescente che le organizzazioni criminali pongono al fine di trarre enormi profitti dal turismo illecito di rifiuti.

    Attenzione, però, non è illegale, di per sé, il traffico di rifiuti, purché questo avvenga nel rispetto delle regole che normano i rapporti internazionali e transfrontalieri; il fatto è che quanti si muovono nell’ombra sfruttano i buchi nella rete dei controlli e alimentano dinamiche di compravendita che coinvolgono territori ampissimi. Da parecchio tempo, dirigendo una struttura consortile che si occupa, in Italia, di promuovere e monitorare il flusso dei rifiuti dei beni a base di polietilene finalizzato al riciclo degli stessi, mi sono trovata a fianco degli Organi di controllo e delle strutture pubbliche di Polizia giudiziaria per collaborare alle indagini volte a palesare le devianze di aziende e organizzazioni che, volontariamente, compivano illeciti documentali e amministrativi al fine di coprire e nascondere la reale natura delle loro operazioni di smaltimento.

    Nelle varie occasioni ho potuto constatare come le Forze di Polizia coinvolte e l’Agenzia delle Dogane hanno saputo cogliere l’opportunità di nuovi strumenti normativi che l’Italia e l’Europa hanno messo in campo e, allo stesso tempo, ho colto la maturata sensibilità e attenzione che media e agenzie di informazione hanno sviluppato (senza contare il lavoro dietro le quinte del mondo dell’associazionismo e dei blog), coinvolgendo la base della cittadinanza in un processo di sviluppo della consapevolezza comune circa l’importanza del problema in oggetto.

    Lo stesso mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento hanno sviluppato storie e concetti che, mutuati dalla realtà dei fatti, ne hanno raccontato e diffuso contorni e presupposti. È chiara e manifesta l’attenzione che i vari comparti della società hanno nei confronti delle tematiche ambientali e altrettanto palese è il fatto che qualsiasi iniziativa, anche di fiction, quand’anche costruita con intenti di denuncia e formazione/informazione del pubblico, ha effetti educativi e contribuisce all’arricchimento del senso civico.

    Pertanto, è con grande trasporto d’affetto e anche un pizzico di orgoglio personale per aver contribuito alla raccolta del materiale che mi congratulo con gli Autori per la scelta del tema e per la forma narrativa utilizzata, fresca, intelligente, coinvolgente, adrenalinica, capace di appassionare un vasto pubblico di Lettori, anche giovanissimi.

    Confido che la lettura, come lo è stato per me, possa stimolare il più largo pubblico, invogliandolo, tuttavia, dopo il piacevole volo nella fantasia, a un impegnativo percorso di azione concreta nel lavoro di tutti i giorni, laddove, veramente, ognuno può contribuire con il proprio operato.

    La tutela dell’ambiente non passa solo attraverso la necessaria e spesso eroica attività di repressione e di controllo da parte degli organi preposti, ma anche, e soprattutto, dall’esercizio di sentinella cui ogni cittadino è chiamato.

    Dr.ssa Claudia Salvestrini

    BIOGRAFIA

    La Dottoressa Claudia Salvestrini dirige il Consorzio Polieco dal 2001. In tale veste sta curando gli accordi con le autorità cinesi per le verifiche dei prodotti/rifiuti che dalla Cina arrivano in Italia e viceversa. Compito delicatissimo, in quanto come emerso in molteplici indagini, la Cina è un paese dove i controlli scarseggiano e molte aziende utilizzano i  rifiuti tossici come materiali per fabbricare oggetti di uso quotidiano, come scarpe, barattoli e giocattoli, venduti sul mercato Italiano.    

    Dal 2000 a oggi è stata in prima linea per denunciare le esportazioni di rifiuti che avvengono nell'illegalità tanto da fare 301 segnalazioni alla Guardia di Finanza, 101 al Nucleo Ecologico dei carabinieri e 40 segnalazioni al Corpo Forestale dello Stato nonché 405 istruttorie e fermi nei porti con le Dogane. Grazie alle sue segnalazioni sono partite tantissime operazioni delle forze dell`ordine, tra cui la Grande Muraglia e la Golden Rubbish.

    ACQUE LETALI

    Romanzo liberamente ispirato a fatti veri

    tratto dalla sceneggiatura

    Prima Che Finisca Il Giorno

    vincitrice al 2008 Endas International Screenplay Competition

    PROLOGO

    Abdul e Rashid avevano poco meno di nove anni e corpicini scuri e denutriti. Un bermuda sudicio era tutto ciò che potevano permettersi. Sulle loro spalle, due porta secchi pieni di acqua forse potabile pesavano più di una croce sul lungo calvario di vie sterrate che dal pozzo conduceva al villaggio.

    Quella mattina la mamma era stata categorica: «Dovete essere qui entro le otto. E non fate come l’ultima volta che avete perso tutta l’acqua per strada.»

    Provvedere all’acqua per la famiglia era compito quotidiano dei due gemellini, i cui viaggi si facevano sempre più lunghi man mano che i pozzi vicino al villaggio si prosciugavano. Quel giorno avevano dovuto macinare più di cinque chilometri, ma la cosa non dispiacque loro più di tanto perché il pozzo si trovava vicino a un’altura dalla quale poterono ammirare, in lontananza, la città più grande del circondario. Fantasticarono che si trattasse di Roma, Parigi o quelle altre in cui la mamma avrebbe voluto un giorno portarli, con case fornite di rubinetti, centinaia di fontanelle per strada e parchi giochi. Ritornati alla realtà, parchi giochi e rubinetti sparirono e di fronte a loro rimase Bosaso, poverissima cittadina portuale della Somalia in cui la vita media non supera i quarantasette anni.

    A Bosaso, i giovani come Rashid e Abdul sono duecentomila, metà degli abitanti, che tra povertà, fame, malattie incurabili, guerre tra clan e scontri sociali, sognano invano un avvenire migliore. E chi di loro ha la fortuna di raggiungere la maggiore età, si trova ad affrontare una vita il cui ostacolo peggiore è la stessa sopravvivenza.

    Tale futuro attendeva anche Abdul e Rashid, anzi, avrebbe atteso, se quel pomeriggio, sulla via del ritorno al villaggio, qualcosa non avesse cambiato per sempre il loro destino.

    L’oceano. A due passi. Nemmeno il monito di puntualità della madre poté competere con il richiamo delle sirene che ondeggiavano bianche, increspandosi sulla superficie del mare. Con un bel sorriso sulle facce pulite ed espressive, all’unico grido di divertirsi e dimenticare le fatiche quotidiane, appoggiarono quasi all’unisono i due porta secchi sulla sabbia e di corsa raggiunsero l’incantevole manto cobalto. Le onde si infrangevano violente lasciando una folta schiuma. L’uno di fronte all’altro, urlando di immenso piacere, giocavano a tirarsi l’acqua. Più gli arrivava addosso, maggiore era il sollievo per la frescura. La canicola di quel giorno era stata davvero insopportabile.

    Il gioco durò dieci minuti, dopodiché Abdul si allontanò dal gemello e corse sulla spiaggia. Stremato, un’ulteriore fatica che non poteva sopportare, si lasciò cadere. Rashid lo raggiunse poco dopo e si distese accanto a lui con le braccia e le gambe divaricate.

    Fanciulli ancora inconsapevoli della cupidigia che inonda di sciagure il nostro pianeta! Sempre in agguato, anche lì a pochi metri da loro, dove tra le piccole dune di sabbia spuntava un bidone di metallo usurato dalle intemperie e dalle acque salmastre. Sul lato, un simbolo che fa paura solo a immaginarlo: tre lame di elica che si irradiano da un punto, a significare le radiazioni emesse da un atomo. Il bidone era solo uno dei tanti che ormai da lungo tempo occhieggiavano sotto la sabbia. Una volta candida, si era lentamente inquinata dopo che strane persone, su strane navi, erano sbarcate diversi anni prima. I colori vivi si erano ottenebrati. L’oasi, trasformata in un sepolcro.

    Che ne potevano sapere Abdul e Rashid? Risvegliatisi, i due ragazzi si sistemarono i porta secchi sulle spalle e ripresero il cammino, nella speranza che la mamma non li rimproverasse troppo per il ritardo. Ignari che non l’avrebbero più rivista.

     Il loro passo rallentò. Dopo un quarto d’ora Rashid cominciò a tossire in modo spasmodico, intenso, ininterrotto, fino a non farcela più. Arrivarono le convulsioni e cadde a terra, con entrambe le mani sulla pancia che sentiva letteralmente scoppiare. L’acqua nei secchi si riversò, inghiottita avidamente dal terreno arido. Abdul, da sempre il più forte dei due, era ancora in piedi, ma la condanna a morte era stata emessa anche per lui. I suoi occhi sanguinavano, così come naso e bocca. Lasciò andare i secchi e si inginocchiò su Rashid. I due si guardarono, entrambi con un volto emorragico, animato dalle ultime energie di una vita che forse non era valsa la pena di essere vissuta. E le usarono per dire: L’acqua. L’acqua.

    Bosaso. Quante volte nella vita vi sarete soffermati a guardarla sulla mappa geografica? A migliaia di chilometri di distanza, in un grande stanzone asettico e pieno di monitor, computer e apparecchi elettronici di ogni tipo, c’era una grande mappa alla parete. E su Bosaso, in coincidenza di quel cimitero sabbioso, era affissa una bandierina gialla. Anzi, bandierine gialle erano affisse dappertutto. A est, ovest, nord e sud. Nei mari, nei laghi e nei fiumi. Una perfino al Polo Nord. Due uomini in pantaloni di tela chiari e polo sedevano comodamente, uno di fianco all’altro, su poltrone ergonomiche. Con una birra in una mano, una sigaretta nell’altra, scherzavano tra loro non curanti che da qualche parte nel mondo, in uno di quei posti contrassegnati dalle bandierine sulla loro mappa, c’era chi, come Abdul e Rashid, ci avrebbe lasciato le penne.

    Quelle bandierine significavano inquinamento e morte. L’Italia ne era tappezzata. Soprattutto il sud, dove una di esse sporgeva nel bel mezzo della Basilicata. In corrispondenza di uno scorcio di campagna dall’amenità tipicamente lucana, dove una terra fertile, solatia, ospitale era stata scelta come destinazione finale dal losco business radioattivo.

    Qui non c’era una spiaggia a fare da sepolcro ai bidoni radioattivi. Il mare distava circa cento chilometri. E non era come in Somalia dove le autorità tacevano in cambio di un generoso baratto con armi o danaro. Qui ci voleva un nascondiglio più lontano da occhi indiscreti. Un posto sicuro e probabilmente originale. L’avevano trovato alle pendici di una collina boscosa dove, molti metri al di sotto della superficie, si ergeva un antro di pietra. Una spelonca sotterranea, grande quanto un duomo, che richiamava una suggestione di antichità, di storia, di chissà quali battaglie. Un tempo lontano aveva forse funto da immenso

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