Ipazia di Alessandria e l'enigma di Santa Caterina
Di Nicola Bizzi
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Sia gli esecutori che i mandanti di questo efferato delitto restarono impuniti, perché ormai già da tempo, sia in Egitto che nelle altre province dell’Impero, il vento era cambiato ed era stata imposta una nuova religione costruita ad arte per soddisfare un preciso disegno di dominio e di controllo sociale.
Comprendendo la drammatica deriva sociale alla quale stava assistendo, Ipazia operava incessantemente, con i suoi insegnamenti, per la liberazione dell’umanità dalle proprie catene e rappresentava un fascio di luce capace di squarciare le tenebre dell’oscurantismo, del dogmatismo e dell’ignoranza. Per questo faceva tanta paura e andava a tutti i costi fatta tacere per sempre. Ma alla Chiesa questo non bastò. Troppo vasta era la sua fama per far sì che la memoria di questa donna straordinaria venisse cancellata. Dovette così ricorrere ad una mistificazione, inventando una figura che ne rivestisse, seppur invertite nei contenuti, le principali caratteristiche. Stiamo parlando di Santa Caterina di Alessandria, un personaggio mai esistito, costruito a tavolino per sostituire la figura della grande Filosofa ed Iniziata nell’immaginario collettivo delle future generazioni.
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Ipazia di Alessandria e l'enigma di Santa Caterina - Nicola Bizzi
Τεληστήριον
NICOLA BIZZI
IPAZIA DI ALESSANDRIA
E L’ENIGMA DI SANTA CATERINA
Edizioni Aurora Boreale
Titolo: Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina
Autore: Nicola Bizzi
Collana: Telestèrion
Con prefazione di Boris Yousef
Editing e illustrazioni a cura di: Nicola Bizzi
ISBN versione e-book: 978-88-98635-53-5
In copertina: Affresco di Masolino da Panicale raffigurante Santa Caterina mentre discute con i Filosofi di Alessandria, 1425-1431 (Roma, Chiesa di S. Clemente)
Edizioni Aurora Boreale
© 2018 Edizioni Aurora Boreale
Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato
edizioniauroraboreale@gmail.com
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PREFAZIONE
IPAZIA DI ALESSANDRIA: MARTIRE DELLA TRADIZIONE E DEL LIBERO PENSIERO
di Boris Yousef
In una giornata di Marzo di milleseicentotre anni or sono, ad Alessandria d’Egitto, un’orda di monaci cristiani fanatici istigati dal Patriarca Cirillo, violentava, uccideva e faceva letteralmente a pezzi una donna, passata alla storia come Ipazia di Alessandria: una stimata filosofa e scienziata, ma soprattutto una grande Iniziata.
Sia gli esecutori che i mandanti di questo efferato delitto restarono di fatto impuniti, perché ormai già da tempo, sia in Egitto che nelle altre province dell’Impero Romano, il vento era cambiato ed era stata imposta quale unico culto legittimo e riconosciuto una nuova religione proveniente dall’Oriente nella sua forma embrionale, ma nei fatti costruita ad arte per soddisfare un preciso disegno di dominio e di controllo sociale.
Come evidenzia Nicola Bizzi in questo suo nuovo saggio, Roma, fin dai propri albori, pur avendo sviluppato un proprio peculiare sistema religioso in buona misura derivato dalla civiltà etrusca, fondato sull’equilibrio fra la Pietas (sentimento religioso) e la Religio («tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolte ad esseri superiori la cui natura definiamo divina», per dirla con Cicerone) per il raggiungimento e il mantenimento della Pax Deorum, aveva sempre mostrato il massimo rispetto nei confronti degli Dei e delle tradizioni religiose dei popoli che man mano aveva assoggettato e inglobato nella sua progressiva espansione territoriale. Uno dei punti di forza della Repubblica, e poi dell’Impero, era stato non solo il non interferire con le istituzioni religiose dei popoli vinti, ma addirittura il tutelarne e difenderne, anche a livello istituzionale, la libertà di culto.
Con l’integrazione e l’assorbimento della cultura ellenica da parte dei Romani, questo punto di forza
fondato sul rispetto e la tolleranza toccò notoriamente uno dei propri apici, determinando un notevole accrescimento morale, filosofico e spirituale della società. Grandi Imperatori come Lucio Domizio Enobarbo, conosciuto comunemente come Nerone, e, successivamente, gli Antonini, in primis Marco Aurelio e Publio Elio Adriano, furono fautori e artefici di uno splendido e vincente connubio fra la spiritualità e religiosità tradizionale latina e quella ellenica, cimentandosi in prima persona nello studio della Filosofia e nella conoscenza - anche iniziatica - della Weltanschauung ellenica ed orientale.
A Roma e in tutte le città dell’Impero, dalla Gallia alle coste africane, dalla Pannonia alla Bitinia, dall’Illirico al Ponto Eusino, convivevano in armonia, a fianco dei Templi dedicati alla Triade Capitolina, Templi di Iside, Mitrei, Serapei, Santuari di Artemide e di Astarte, di Cibele e di Asclepio, di Demetra e Kore Persefone. Persino nell’ambito del più importante collegio sacerdotale di Roma, quello dei Fratres Arvales, del quale l’Imperatore Ottaviano Augusto fu Pontefice Massimo, si celebravano i Riti ed i Misteri della Dea Dia, un’esoterica personificazione latina della Dea Demetra.
Quando i Cristiani presero a Roma il potere politico, arrivando ad acquisire saldamente nelle loro mani le redini dell’Impero, è tristemente noto che da perseguitati si trasformarono in persecutori e intrapresero una serie di crescenti azioni discriminatorie nei confronti di tutte le altre dottrine, tradizioni e religioni che fino a quel momento erano state pienamente tutelate dalle autorità e dalle istituzioni dello Stato e avevano pacificamente convissuto per secoli all’insegna della tolleranza, del reciproco rispetto e del Mos Maiorum, che rappresentava uno dei cardini dell’Impero stesso e dell’universalità romana.
A partire dal IV° secolo d.C., e soprattutto dopo la promulgazione, nel 380 d.C., da parte di Teodosio e di Graziano del famigerato editto di Tessalonica che imponeva il Cristianesimo quale unica religione, vietando di fatto a tutte le altre di continuare ad esistere, buona parte del mondo allora conosciuto si apprestava così a cadere in un’assolutamente inedita morsa di pensiero unico, esclusivo ed ottenebrante, e a scivolare sotto una pesante cappa di intolleranza e di persecuzioni. Da Teodosio in poi, tutto ciò che era riconducibile alla religiosità ed alla spiritualità tradizionali, dalle opere d’arte all’architettura sacra, dalla Filosofia alla letteratura, fino alle semplici espressioni della antica religiosità popolare, venne spregiativamente bollato come pagano
e di fatto vietato, distrutto, sottoposto a censure e a damnatio memoriae.
Ipazia di Alessandria, alle cui vicende questo libro è dedicato, ebbe il destino di vivere proprio in questa terribile ed infausta congiuntura storica. Da grande Iniziata quale era, certamente era in grado di comprendere la drammatica deriva sociale alla quale stava assistendo ed operava incessantemente, con le sue azioni ed i suoi insegnamenti, per la liberazione dell’umanità dalla caverna
. Ella rappresentava un fascio di luce capace di squarciare le tenebre dell’oscuratismo, del dogmatismo e dell’ignoranza e insegnava ai suoi allievi la Consapevolezza. Per quello faceva tanta paura ai burattinai del sistema
e andava a tutti i costi eliminata, fatta tacere per sempre. Ma alla Chiesa cristiana non bastò di averla fisicamente eliminata. Troppo vaste erano infatti la sua fama e notorietà in tutti gli ambienti colti dell’Impero per far sì che la memoria di questa donna straordinaria venisse cancellata da un giorno all’altro, con un semplice tratto di penna. Non era quindi possibile per i Vescovi cristiani, per disfarsi della sua ingombrante memoria, applicare nei confronti del nome di Ipazia una semplice damnatio memoriae, secondo una consuetudine più volte in precedenza già sperimentata a livello politico anche nei confronti di personaggi di grande fama caduti in disgrazia e addirittura di numerosi Imperatori. Una damnatio memoriae, ad esempio, come quella che aveva colpito non molti anni prima il grande Imperatore Flavio Claudio Giuliano, ultimo autentico difensore della Tradizione, ucciso a tradimento nel fiore degli anni sul campo di battaglia da un soldato cristiano, e in seguito bollato spregiativamente come apostata
.
Lo spettro di Ipazia continuava, ancora a distanza di anni dal suo efferato assassinio, a turbare il sonno di Pontefici, Vescovi e Dottori della Chiesa
e la sua memoria, come abbiamo detto, continuava ad essere decisamente troppo ingombrante per ignorarla e per permettere che continuasse ad alimentarsi, come un eggregora, fra il popolo e, soprattutto, fra le decine, centinaia di migliaia di Eleusini e di adepti e iniziati ad altre religioni misteriche entrati necessariamente in clandestinità per far fronte alle persecuzioni e per preservare e trasmettere il proprio patrimonio sapientale. Per tentare di cancellare la memoria di Ipazia la Chiesa dovette così ricorrere ad una di quelle mistificazioni nelle quali aveva sempre brillato per abilità e fantasia, inventandosi una figura che ne rivestisse, seppur abilmente invertite e ribaltate nei contenuti, le principali caratteristiche. Stiamo parlando della figura di Santa Caterina di Alessandria, un personaggio mai esistito (per stessa ammissione della Chiesa!), costruito a tavolino per sostituire la figura della grande Filosofa ed Iniziata nell’immaginario collettivo delle future generazioni.
Alfred Seifert (1850-1901): Hypatia
(Collezione privata)
In un altro suo saggio, Atlantide e altre pagine di storia proibita, Nicola Bizzi ci ha spiegato che potrebbe facilmente apparire un paradosso il fatto che il primo editto imperiale con il quale il Cristianesimo - dopo anni di persecuzioni motivate soprattutto dall’atteggiamento ambiguo delle comunità cristiane che sfidavano apertamente l’autorità dell’Imperatore e le stesse istituzioni dello Stato - otteneva implicitamente lo status di religio licita, ovvero culto riconosciuto e ammesso dall’Impero, sia stato ispirato dagli Eleusini. Soprattutto se si tiene conto che tale editto, precedente di due anni il più noto editto di Milano promulgato da Costantino, aprì di fatto la strada alla presa del potere da parte di quella che, fino a quel momento era considerata una esecrabile superstitio prava et immodica (come la definì Plinio). Ma non fu in realtà un paradosso, perché gli Eleusini si erano sempre battuti per la tolleranza e la libertà religiosa e, nonostante criticassero i Cristiani per i loro atteggiamenti intransigenti e per i fondamenti della loro dottrina, non vedevano di buon occhio la loro persecuzione. E, addirittura, in più di un’occasione, si allearono con i Cristiani su temi condivisi e ne presero le difese.
L’editto a cui Nicola Bizzi si riferisce è quello di Serdica, emesso il 30 Aprile del 311, appunto a Serdica (l’odierna Sofia), dal Primus Augustus Galerio a nome del collegio tetrarchico che in quegli anni reggeva l’Impero, ma in realtà ispirato e voluto dall’Augusta Valeria, moglie dell’Imperatore e Iniziata di alto rango dell’Eleusinità Madre. Un editto che pose fine alle persecuzioni di Diocleziano nei confronti della setta galilea e decretava la restituzione dei beni precedentemente confiscati ai suoi aderenti. Ma, si badi bene, le concessioni di Galerio ai Cristiani furono tuttavia legate ad una ben precisa conditio sine qua non: essi, in cambio della libertà che veniva loro concessa, avrebbero dovuto rispettare la disciplina, intendendo con essa la Publica Disciplina Romanorum, auspicando che questi cives, che avevano abbandonato il modo di vivere dei loro antenati, potendo praticare alla luce del sole il proprio culto, tornassero ad avere una buona disposizione d’animo (ad bonas mentes). Una mera utopia, come la storia ci ha insegnato.
Quello che non spiegano o che tendono ad omettere gli odierni storici è