Acque d'autunno
Di Zhuangzi
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Anteprima del libro
Acque d'autunno - Zhuangzi
INDICE
Mario Novaro
Opere
Bibliografia
Zhuāngzǐ
ACQUE D’AUTUNNO
INTRODUZIONE
NOTA
L’uccello Peng e la Quaglia.
Grandi parole del matto di Ciù.
Visita ai quattro Perfetti.
L’albero inutile.
La zampogna del Cielo.
Viluppi nel buio.
Il perno del Tao.
Al mattino tre.
Ai confini dell’inconoscibile.
Sulle nuvole.
Vita e sogno.
Appello all’infinito.
La penombra e l’ombra.
Sogno di farfalla.
Il principe alla scuola del cuoco.
La morte di Laozè.
Solo chi ha vinto sè stesso può convertire ossia il digiuno del cuore.
L’ambasciatore.
Educazione del principe.
L’albero sacro.
La canzone del matto di Ciù.
Confucio e il mutilato.
Il ministro e lo storpiato.
Confucio punito dal Cielo.
Il sigillo della perfetta virtù.
Il pane del cielo.
Il grande Padre e Maestro.
Tirocinio.
Il nulla la testa la vita il tronco la coda la morte.
Chi può salire in cielo.
La morte l’uscita di casa all’aurora.
Il marchio dell’amore.
Avviamento – Preghiera.
Progressi.
Il mistero del male e della sorte.
Il retto governo secondo il matto di Ciù.
Il retto governo secondo l’Innominato.
Il retto governo secondo Laozè.
La morte del Caos.
Le gambe dell’anitra, la morale e il Tao.
La guardia agli interessi dei gran ladri.
Nascono i savi sorgono i gran ladri.
Vie che non servono.
Il cuore dell’uomo.
Per la Porta dell’eternità nei campi dell’infinito.
Il ritorno alla radice.
Solitaria grandezza.
Cielo e Terra.
Nobiltà di cuore.
La perla magica smarrita e ritrovata.
La virtù dei santi.
Ascensione al paese di Dio.
Mistero.
La Gru e il Tao.
L’originario mistero.
Quando il Tao regnava sulla Terra.
Accecamento.
I moralisti come delinquenti ammanettati.
Confucio visita Laozè.
Scicèng Cì visita Laozè.
Parole o feci degli antichi savi?
Il Tao non può avere surrogato.
La musica dell’Imperatore della Terra Gialla.
Confucio condannato all’insuccesso.
Confucio cerca ma la porta del cielo non si apre.
Sempre questa morale.
La vista del gran mare.
Piccolezza e grandezza.
Ammaestramento.
Nella luce del Tao.
La perla dello sputo.
Confucio circondato canta.
La rana della fonte.
Ciuangzè e la tartaruga.
La Civetta e la fenice.
La contentezza dei pesci.
La felicità.
Quando morì la moglie di Ciuangzè.
Maestro Deforme e maestro Unipede.
Ciuangzè e il teschio imbianchito.
Se lo può il vino quanto più il Cielo.
Il barcaiolo.
Gara di tiro.
Il sacerdote e i porci.
Lo spirito delle paludi.
Ammaestramento del gallo lottatore.
Il vecchio della cascata.
Come la natura.
Non darsi pensiero.
Il povero Sun Ziu e Maestro Pienzè.
L’albero buono a nulla e l’oca che non sa schiamazzare.
Il viaggio al regno della virtù.
Confucio muta vita.
La relazione con gli uomini superiori.
Ciuangzè e il re di Vei.
Confucio canta l’ode di Piao Sci.
Ciuangzè dimentica il vero sè stesso.
La bella e la brutta.
Il maestro che non parla.
Parole e silenzio.
Mortale immortale
L’estasi di Laozè.
I dotti e l’uniforme.
L’abilità dell’arciere e la perfezione.
Più davano agli altri più possedevano.
Come si acquista il Tao.
La radice e origine delle cose.
È nel vero il suo pensiero.
Proprietà.
Il gran conseguimento.
Dov’è il Tao.
L’indicibile.
Lucedistella e Nonessere.
Si può sapere come era prima che ci fosse la Terra e il Cielo?
Boschi e prati mi fan lieto e felice.
Alla scuola di Laozè.
Massima cortesia.
Gli uomini in gabbia.
Quando uno non ricambia i doni dell’amico.
Una savia parola al principe.
Tutta la vita nella ruota delle cose e mai in sè.
Alla tomba dell’amico.
Nella vita senza grado. Nella morte senza titolo.
Il figlio fortunato e il pianto del padre.
Via dal mondo col mondo in armonia.
Fino alla liberazione.
Il savio il Tao e la solitudine.
Grazia ama e non sa di amare.
Il vecchio natio paese.
Sulle corna della chiocciola.
I campi e lo spirito.
Delinquenti.
È così! È così!
Tao una metafora.
Apologo del grongo.
Confucio e Laozè.
Necessità dell’inutile.
Adattarsi senza perdersi.
Le grandi foreste e i monti.
In primavera.
Le nasse sono per pigliar pesci.
Parole come acqua.
Povero ma non in miseria.
Il guadagno di Confucio.
È questa la casa di Ièn Ho?
Il brigante Cì.
Il vecchio pescatore.
Gli uomini cercano la pace.
Conoscere e non parlare.
Guerra con sè stesso.
Ohimè per quello che voi fate.
Minore il merito maggiore il compenso.
La coscienza della virtù.
Ciuangzè e il vitello-ostia.
Gli occhi e lo spirito.
La morte di Ciuangzè.
L’IINIANG
Note
Zhuāngzǐ
ACQUE D’AUTUNNO
Comunione di nobili spiriti,
Il vero da gran tempo fu trovato,
L’antico vero abbraccia tu.
Goethe
traduzione e introduzione
a cura di
MARIO NOVARO
Quarta edizione
accresciuta e corretta
1949
Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.
L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale
specifico,
dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina
ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi),
è soggetto a copyright.
Immagine di copertina: https://pixabay.com/illustrations/ornaments-girl-lantern-umbrella-4157491
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Mario Novaro
Mario Novaro (Diano Marina, 25 settembre 1868 – Ponti di Nava, 9 agosto 1944) è stato un poeta e filosofo italiano.
***
Fratello dello scrittore Angiolo Silvio Novaro, nacque da famiglia economicamente agiata e dopo aver condotto brillantemente gli studi liceali si iscrisse all’Università di Berlino dove nel 1893 si laureò in filosofia ottenendo l’anno seguente la laurea anche all’Università di Torino. Si stabilì a Oneglia dove fu assessore comunale per il neonato partito socialista. Dopo avere per breve tempo insegnato nel locale liceo, con i fratelli si occupò dell’industria olearia intestata alla madre Paolina Sasso.
Pur dedito all’attività imprenditoriale fece parte attiva della vita letteraria dei primo anni del Novecento e fondò nel 1899 la rivista La Riviera Ligure, da lui diretta fino al 1919, anno della sua cessazione. Ospitò nel suo giornale i poeti e gli scrittori emergenti della poesia italiana del secolo, come Pascoli, Roccatagliata, Jahier, Boine e Sbarbaro.
Scrisse in età giovanile alcuni saggi di carattere filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema principale l’aspro paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed echi che vide le stampe nel 1912. Fu anche il curatore dell’edizione delle opere di Boine che sentiva affine negli interessi soprattutto di carattere etico.
Opere
Die philosophie des Nicolaus Malebranche, Berlin, Mayer & Müller, 1893.
Il concetto di infinito e il problema cosmologico, Roma, Balbi, 1895.
Pensieri metafisici di Malebranche, Lanciano, Carraba, 1911.
Murmuri ed echi, Napoli, Ricciardi, 1912. Ristampato più volte, edizioni recenti:
- edizione definitiva a cura di Giuseppe Cassinelli, premessa di Pino Boero e Maria Novaro, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1994. ISBN 88-444-1267-5.
- edizione critica a cura di Veronica Pesce, prefazione di Giorgio Ficara, Genova, Fondazione Giorgio e Lilli Devoto, 2011.
Bibliografia
«NOVARO, Mario» in Enciclopedia Italiana - III Appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1961.
Eleonora Cardinale, «NOVARO, Mario» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 78, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2013.
Zhuāngzǐ
Zhuāngzǐ (in italiano talvolta anche conosciuto come Chuang-tzu, Ciuangzè o Zhuang zi o Zhuangzi; 369 a.C. circa – 286 a.C. circa) è stato un filosofo e mistico cinese, considerato tra i fondatori del Daoismo (Taoismo). Per metonimia si indica con il suo nome anche il testo filosofico a lui attribuito: il testo daoista Zhuāngzǐ composto da trentatré capitoli. I primi sette capitoli sono detti capitoli interni
, i successivi quindici capitoli sono detti capitoli esterni
mentre gli undici ultimi capitoli sono denominati capitoli misti
. La provenienza di questi capitoli non sembra discendere da un unico autore e la loro allocazione in un unico testo è generalmente attribuita a una delle guide del movimento neodaoista Guō Xiàng (?-312 d.C.).
Per trasmettere i suoi concetti, Zhuāngzǐ, utilizzava spesso degli aneddoti simili a storielle, affinché il messaggio fosse recepito meglio dall’ascoltatore. Zhuāngzǐ pensava infatti che se avesse parlato direttamente delle sue intenzioni, gli studenti non le avrebbero mai accettate, perché generalmente nessuno vuole sentirsi dare dei consigli su come vivere la propria vita.
ALLA MEMORIA
DI
CELLINO
Zhuāngzǐ
ACQUE D’AUTUNNO
Comunione di nobili spiriti,
Il vero da gran tempo fu trovato,
L’antico vero abbraccia tu.
Goethe
traduzione e introduzione
a cura di
MARIO NOVARO
Quarta edizione
accresciuta e corretta
1949
INTRODUZIONE
«Parole come acqua ch’ogni dì empie il bicchiere, temperata e intonata con la Luce del Cielo, sono quelle che sgorgano naturalmente e servono per tutta la vita». Così dice Ciuangzè (ossia Maestro Ciuàng, e secondo il suo primo nome Ciung Ciou, come egli ama anche chiamarsi) così dice delle parole sue proprie. Spontaneità, grazia semplice, profondità fluida, limpidezza in cui l’occhio penetra senza giungere in fondo.
Però delle parole come tali volentieri farebbe a meno: «trovassi un uomo che dimentica le parole per parlare con lui!». A chi si avvicina a Ciuangzè con i pregiudizi dei sistemi e delle tradizioni, e la presunzione del sapere, facilmente può capitare come al filosofo Cungsunlùng (ne «La rana della fonte»), quando disse al principe Mau, amico di Ciuangzè: «le parole di Ciuangzè mi hanno sconcertato e sorpreso enormemente. Non so se egli non è capace di esprimere correttamente il suo pensiero, o se la mia intelligenza non può seguirlo».
«Ciuangzè» risponde il principe, «ora pianta i piedi sulle Fonti Gialle (nell’Averno), e ora si leva alle più alte cime del cielo. Non conosce nè sud nè nord; si lancia liberamente in ogni direzione, e si perde in profondità inscandagliabili. Parte dall’abisso più oscuro e ritorna alla più chiara intelligibilità».
Il pensiero suo è tutto una ricca fioritura e illustrazione del pensiero di Laozè suo gran maestro. Laozè lo chiuse nel famoso Taotechìng che nonostante la oscurità propria e quella venutagli dai danni del tempo è bene lucido e intelligibile; sono poco più di cinquemila parole (caratteri), da venti a trenta pagine, in parte in versi rimati; in essi nessuna parabola, nessun racconto: sono puro pensiero, profondo come il cielo, pervaso da un contenuto ardore sperimentato e schiarito in una lunga vita oscura: una Via di vita di chi poggia nel mondo della realtà con occhi chiari aperti e la passa sino alle profondità dove l’uomo che vi giunge è felice.
Cardine di questo mondo spirituale è il Tao, che originariamente significa Via (e dice a proposito Ciuangzè che Tao è una metafora), e viene a dire, per intenderci, Logo, il Logo di Eraclito, l’Uno, Dio, l’Uno di Parmenide, l’Uno o Dio di Bruno, il Dio di Goethe; e la dottrina di Dio.
Il Tao che può essere calcato non è il Tao che dura e non muta. Il terreno che non si calca è quello che fa buono il terreno sul quale poggiamo: l’apparentemente inutile è il vero utile e buono. Il Tao è invisibile e immenso, sostegno e ragione di ogni cosa; a penetrare il suo mistero bisogna spogliarsi di ogni desiderio, altrimenti non se ne tocca che l’orlo. Pensiero che è la grande esperienza di Goethe: «chi ama rettamente Dio non deve richiedere che Dio lo riami», nel contatto suo primo con Spinoza, il maggiore avvenimento nella sua vita spirituale. Amare senza attendere ricambio: è principio fondamentale in Laozè. Una superiore moralità, forse quella dei santi o degli angeli, appare qui oltre l’evangelico amore di Dio e degli uomini quando sua mira è un premio oltremondano: una spontanea ultraintima volontà di amore, che non è negata all’uomo.
Tao è il Mistero, e dove il mistero è più profondo è la porta di ciò che è più sottile e meraviglioso. Le forme (idee platoniche) vengono dal Tao; ma chi può dire la natura del Tao? Sfugge ai sensi, sfugge al pensiero; e in esso le forme durano. Com’è ora fu una volta. Le cose per lui, da lui, nel loro brillante ammanto (la goethiana «viva veste di Dio») procedono in eterno. Il Tao veste ogni cosa e non presume di esserne il signore. Può essere indicato nelle più vili cose (come in «Dov’è il Tao» di Ciuangzè che rammenta così vivamente il Bruno dello Spaccio e della Cena), può essere indicato nelle cose più alte. In lui riposo, in lui pace. La musica fa fermare il passante; ma sebbene il Tao sembri insipido e inodoro, il suo uso è inesauribile. Senza guardare fuori della finestra vedi il Tao del Cielo. Più uno va lontano, meno conosce. – Chi mi dice che è così? Questo, cioè questo Tao stesso che è in me (come nelle Upanisad Brama che è nell’Atman). La legge del Tao è essere ciò che è. Nel suo regolare corso e svolgimento non opera con particolare proposito, e non c’è nulla che egli non faccia (nulla fa e fa tutto).
Lo sviluppo avviene attraverso i contrari; l’unità si esplica nell’armonia dei contrari: è il pensiero di Eraclito e di Bruno. Non c’è mira nè amore particolare. E il savio che ne segue la legge non si propone fini personali; è per ciò che pure i fini suoi particolari sono realizzati.
Il Tao vuole semplice vita: la più prossima al Cielo; la vita meccanizzata e della cultura non è la vera vita; la macchina meccanizza il cuore. Nella natura, nell’uomo, nel governo, l’azione del Tao è silenziosa e potente: conoscerla porta a grande capacità e tolleranza: dà un carattere regale, divino: in questa divinità o conformità al Tao è la immortalità.
Nei tempi antichi il popolo non sapeva, non si accorgeva, di essere governato. Nell’età successiva conobbe i prìncipi, li amò li lodò; nella successiva li odiò. Nei tempi antichi l’opera dei reggitori di popoli era coronata di successo, e il popolo diceva «siamo noi stessi che ci siamo fatti quali siamo»: credeva averne egli il merito. L’opera dei reggitori non era ostentata; come quella del Tao, era invisibile: agivano senza agire, con semplice spontaneità, senza presumere, senza parere: il savio compie i suoi fini senza adoperarvisi. Quando il Tao, la spontanea semplice vita, cessò di essere seguito, apparvero amore e giustizia (non spontanei, sorgenti dalla grazia, ma riflessi, voluti, sforzati, insinceri, ipocriti). Se sapessimo rinunciare alla nostra scienza e sapienza sarebbe molto meglio. Il Tao si trova nell’intimo di ognuno: basta cercarlo; (ma «tutti mirano a ciò che non conoscono; sanno biasimare ciò che non ha la loro approvazione, e non sanno biasimare ciò che essi approvano» scrive Ciuangzè in «Vie che non servono»). Se sapessimo rinunciare ad amore e giustizia crescerebbe la giustizia e l’amore. Se sapessimo rinunciare alle costrizioni e al guadagno non ci sarebbero ladri nè delinquenti. Le molte leggi fanno il disordine.
L’uomo sia come l’acqua che benefica ogni cosa occupando il posto infimo che gli uomini sfuggono: soffice vince il duro. Che i fiumi e il mare ricevono il tributo di tutte l’acque della valle viene dal loro essere più bassi di questa: è così che sono re di tutte l’acque. Il savio si fa umile e nasconde la sua persona: così trovasi innanzi agli altri, nè se n’accorgono e non ne sentono il peso. Fa il bene e senza rimerito si ritira nella oscurità. Gli uomini preferiscono essere il primo, egli solo elegge di essere l’ultimo; gli uomini amano ricchezze, egli povertà. Non accumula e ha sovrabbondanza, più dà agli altri e più possiede; è solitario e una moltitudine lo segue. Umiltà, non resistenza: (Gesù, Tolstoi) «agire senza lottare» è l’ultimo verso del Taotechìng.
Il savio è senza pretese, senza presunzione; parrebbe uno stupido, un folle; operando senza fine personale è come se non agisse: segue con grazia spontanea il Tao: è un fanciullo, ha tutta l’ingenuità del fanciullo; il suo sguardo è quello del vitellino appena nato, dirà Ciuangzè. Il savio dice: «non farò nulla, e il popolo sarà da sè trasformato». Insegna senza parole. Chi conosce il Tao non ne parla; chi ne parla non lo conosce. Segue il corso naturale delle cose; sa che l’albero che le braccia non riescono ad abbracciare è cresciuto da piccolo seme, che l’alta torre si è alzata dal suolo, che il viaggio di mille miglia comincia con un passo. Impara ciò che gli altri non imparano, e si rivolge a ciò che la moltitudine ha lasciato addietro.
Le mie parole, dice Laozè, sono facili da apprendere, facili da mettere in pratica; ma non c’è nessuno nel mondo capace di apprenderle, capace di metterle in pratica. Parole che sono precisamente vere paiono paradossi. Sono i pochi quelli che mi conoscono. La gente guarda soddisfatta e compiaciuta, come godendo a un gran banchetto, come salita su una torre in primavera. Io solo paio inquieto e muto senza desiderio, come un infante che non à ancora riso. Paio abbattuto e perso, come se non avessi luogo dove riposare. I più mi deridono. Se il Tao non fosse deriso non sarebbe il Tao. È così che il savio porta rozzi panni, e ha nel cuore il simbolo di giada (l’insegna della sua dignità).
Conoscere e credere di non conoscere è la cima; non conoscere e credere di conoscere è il male. Chi pone la sua ragione nel Tao ha vita eterna: si contenta della sua sorte ed è inattaccabile