Good evening europe
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Good evening europe - Emanuele Lombardini
THANKSGIVINGS
La grande festa della musica senza barriere
Un evento di popolo, una grande festa ad invito dove ognuno porta la sua musica e la condivide con gli altri. Ecco, se dovessimo usare una perifrasi per descrivere cosa sia l’Eurovision Song Contest, questa potrebbe andare bene. Convenzionalmente è definita la Champions League della musica, per usare un paragone calcistico ed immediato ed in fondo è vero, ma sempre calcisticamente, potremmo dire ancora meglio che l’Eurovision Song Contest (questa la sua denominazione ufficiale: noi italiani l’abbiamo a lungo chiamato Eurofestival, i francesi sciovinisti lo chiamano Concours Eurovision de la Chanson) è il campionato d’Europa della musica. Oggi più che mai una rassegna globale, che vede protagonisti i paesi aderenti all’ente organizzatore, la Ebu (European Broadcasting Union), cioè il consorzio che riunisce le televisioni pubbliche d’Europa, ma anche alcune del bacino del Mediterraneo fuori dal nostro Continente. E le porte si stanno aprendo anche fuori: dal 2015 è in concorso anche l’Australia.
Dal 2011 siamo tornati anche noi. L’esilio volontario è finito e la RAI è tornata a pieno titolo nel gruppo e quella rassegna caduta per tanti anni nell’oblio, sta lentamente tornando ad appassionare il Paese. E del resto fu proprio un italiano, l’allora direttore generale della Rai Sergio Pugliese che nel 1956 ne suggerì l’idea al direttore generale dell’EBU Marcel Bezençon (cfr. edizione 1956). L’idea era chiara: creare un concorso di musica con lo scopo nobile di promuovere la collaborazione e l'amicizia tra i popoli europei, la ricostituzione di un continente dilaniato dalla guerra attraverso lo spettacolo e la tv. E oltre a questo, molto più prosaicamente, anche sperimentare una diretta in simultanea in più paesi e promuovere il mezzo televisivo nel vecchio continente. Da allora, nel corso degli anni, la manifestazione è cresciuta in maniera costante, passando da evento da teatri e auditorium per un ristretto numero di spettatori a festa popolare. Dalla metà degli anni 90, quando la manifestazione comincia ad approdare nei palasport, negli stadi e nelle arene, l’Eurovision Song Contest è diventato un vero e proprio kolossal paneuropeo. Uno spettacolo moderno, nei tempi, nell’organizzazione, dove la musica è al centro di tutto, senza inutili fronzoli e senza troppe parole a spezzare il ritmo scandito dalle canzoni. Più che di una sfida fra artisti e canzoni, si dovrebbe in realtà parlare di un confronto fra televisioni, perché sono queste che si mettono in gara, selezionando il proprio rappresentante come preferiscono: attraverso un concorso nazionale apposito (l’Italia ha spesso usato il Festival di Sanremo, altri paesi come la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, il Portogallo, Malta hanno creato manifestazioni in funzione di questa scelta) oppure semplicemente su una decisione autonoma dell’emittente o anche mescolando le due modalità. E oggi dovunque- meno che in Italia - l’Eurovision Song Contest è l’evento dell’anno, capace di catalizzare davanti al televisore milioni di persone: il record di spettatori certificato è dell’edizione di Mosca del 2009, con 125milioni di persone che hanno seguito l’evento in diretta in tutto il Continente (cui vanno sommati gli oltre 600mila che hanno seguito l’evento in streaming sul sito ufficiale e quelli dei paesi extraeuropei che l’hanno seguito in differita nei giorni seguenti), ma negli ultimi anni i riscontri di audience non sono mai scesi sotto i 103 milioni (con il picco di 190 milioni di contatti, cioè di spettatori sintonizzati per almeno un minuto, nell’edizione 2015): dati che fanno dello Eurovision Song Contest il programma televisivo non sportivo più seguito al mondo, battendo recentemente anche il Superbowl, la finale del campionato statunitense di Football. Quanto alle presenze live
, i 30mila del piccolo stadio di Copenaghen nel 2000 (tutto esaurito), o i 37mila della Fortuna Dusseldorf Arena del 2011, parlano da soli.
L’Italia, si diceva. Oggi che è tornata in concorso se ne può parlare con un sollievo, ma fino al rientro del 2011, l’assenza tricolore pesava. Non solo perché la musica italiana è famosa nel mondo, ma anche perché la RAI come detto fu tra i fondatori dell’evento, allora dichiaratamente ispirata al Festival di Sanremo nato appena cinque anni prima. La nostra tv, nonostante questo, si è sepesso confrontata svogliatamente con l’Europa, ritenendosi troppo superiore a livello musicale per competere in una manifestazione dove per giunta, non usciva quasi mai vincitrice. Una spocchia
che nel corso degli anni invece di attenuarsi si è consolidata, così come le leggende metropolitane che hanno accompagnato il graduale disimpegno della RAI, autoesclusasi dal 1998 al 2010. Le motivazioni addotte nel corso degli anni sono state le più varie. Nessuna, alla prova dei fatti è sembrata convincente, alcune di queste erano addirittura pretestuose. Così mentre la manifestazione cresceva anno dopo anno anche come numero di paesi partecipanti, diventando uno spettacolo televisivo di altissimo livello e altissima tecnologia, trasformandosi in vero e proprio evento moderno e al passo coi tempi ed allontanandosi progressivamente dal modello degli show lenti e un po’ ingessati degli anni ’90, per 14 anni l’Italia si è dimenticata dell’esistenza dello spettacolo e coloro che lo hanno evocato lo hanno fatto quasi sempre in termini negativi, proiettando ai giorni nostri le ultime immagini della rassegna rimaste impresse cristallizzate nella mente, quelle del 1997. Di acqua sotto i ponti ne è passata, da allora, ma l’Italia per lungo tempo non se n’è accorta, isolandosi nel proprio guscio.
L’Italia invitata di lusso a questa festa della musica che peraltro era nata anche come un omaggio alla sua festa principe, che rifiuta sdegnosa l’invito facendo la figura della snob, troppo superiore per potersi confrontare con gli altri invitati, "perché la festa non ci piace, è troppo brutta per noi che siamo molto avanti. E le feste belle ce le facciamo a casa nostra". Tutta l’Europa che si ritrova insieme a cantare, messa in ideale collegamento dalla diretta via satellite e il nostro paese che invece in contemporanea guarda talent show ormai arrivati alla corda dove si litiga invece di cantare o bambini che fanno finta di fare i cantanti. E anche quando, nel 2011, la rinnovata dirigenza della RAI ha deciso di riportare il paese in concorso, non è stato facile vincere le resistenze dei tanti ancora ancorati a quelle immagini d’annata e di una discografia poco incline a rischiare la promozione di brani di uno spettacolo maldigerito dalla stessa televisione che lo manda in onda. Non a caso, l’Italia è stato l’unico paese d’Europa dove la compilation della manifestazione non era disponibile sul mercato fisico, se non attraverso canali minori. E l’unico nel quale le radio non hanno quasi mai passato i brani della rassegna: soltanto adesso le cose stanno lentamente cambiando (cfr. sezione a parte). Gli unici a non capirlo sono ancora alcuni commentatori sulla breccia da decenni, che continuano a raccontare dell’evento fermandosi ai quei tempi, rifiutandosi di guardare fuori dalla finestra, addirittura disinformando, persino sui riscontri internazionali di coloro che la rassegna l’hanno vinta. I dati di ascolto degli ultimi anni (ne parliamo a parte) dimostrano però che all’Italia l’Eurovision piace e non è più un evento di nicchia. Non c’è più solo il fan club che nei periodi di assenza italiana ha continuato a seguire e a interessarsi delle vicende europee. Quello stesso gruppo di appassionati, si è mosso per primo in questi anni, negli anni della tecnologia, per far conoscere alle nuove generazioni italiane una manifestazione che era rimasta nota solo agli addetti ai lavori (e nemmeno a tutti, come detto). Adesso però quel gruppetto è solo una parte del mondo eurovisivo italiano, che sta raccogliendo sempre più appassionati delle giovani generazioni, attive come e più di altri per animare la platea che oggi dovrebbe essere maggiormente il punto di rifermento, ovvero il pubblico che compra i dischi. Che non è certo il target di riferimento della tv italiana. Ora che l’Italia è tornata in concorso, con la speranza di restarci a lungo, questo volume nasce per spiegare l’Eurofestival (a noi che abbiamo passato i 35 piace ancora chiamarlo così) a chi non lo conosce. Spiegare come è cambiata la manifestazione in questi anni, diventando pienamente inserita nei tempi moderni, a livello televisivo ed a livello musicale. E creare una nuova passione per un evento che in tutta Europa è l’appuntamento dell’anno. Non nasce per far cambiare idea a chi la manifestazione l’ha vista, la conosce e non la apprezza, perché non sarebbe neanche giusto, poiché non c’è nulla di più soggettivo del gusto musicale. Nasce però con la volontà di informare su un evento che oggi in molti bollano
senza conoscerlo, soltanto per sentito dire o solo perchè sono rimasti a quelle immagini sbiadite in testa o peggio ancora, perchè credono a quello che negli anni hanno raccontato alcuni padroni del vapore eccessivamente aziendalisti travestiti da opinionmakers nazionalpopolari. Nasce perchè nell’era dei talent show, la musica italiana, fa fatica ad uscire dai confini nazionali, mentre il resto dell’Europa esporta con regolarità, pure (ma non solo) dagli stessi talent show, anche gli artisti più giovani. Lo stesso Eurofestival ne è un esempio.
A proposito: se vi dicono che all’Italia l’Eurovision Song Contest non serve perché siamo il secondo paese esportatore di musica in Europa, fate loro presente che non è vero. I dati della Ifpi, l’Istituto Internazionale Fonografico dicono chiaramente che dopo la Gran Bretagna, il secondo paese esportatore di musica del nostro continente è la Svezia. Non a caso i giganti della musica made in Usa hanno quasi tutti un secondo produttore scandinavo. Se all’estero, quando si parla di musica italiana, grandi big a parte, il pensiero corre sempre alle nostre canzoni storiche oppure agli anni ’60, un motivo ci sarà pure. Come anche ci sarà un motivo se l’Italia è quasi sempre l’ultimo paese d’Europa fra quelli di peso
dove arrivano i successi della musica internazionale. Ah, un’altra cosa ancora. Nella top 100 europea di Billboard del 2010, l’ultima pubblicata prima che la sezione londinese della rivista che la curava chiudesse, c’erano sei brani dell’Eurovision Contest. Compreso quello dell’Azerbaigian. Quel paese del quale – secondo alcuni recenti commentatori della rassegna in Italia – "i dischi dei loro artisti non se li compra nessuno". E come si potrà leggere nella sezione charts in coda ad ogni edizione raccontata, i brani eurovisivi continuano a sbancare l’Europa.
IL REGOLAMENTO FINO AL 2015 E I SUCCESSIVI CAMBIAMENTI
Nel corso degli anni, il regolamento è cambiato più volte. In quello attuale, i cantanti si esibiscono dal vivo su base musicale (una volta c’era l’orchestra, ma in Europa ottimizzano: costa troppo. Inoltre nelle basi non è consentita alcuna linea vocale: se servono coristi, bisogna che cantino sul palco con l’artista) e vengono votati da due giurie, una popolare (si, attraverso il televoto, perché tutto il mondo è paese) ed una composta di esperti rigorosamente professionisti del settore musicale
, ciascuna con il peso del 50 percento situata nelle rispettive sedi tv. Ciascun paese ha un proprio televoto ed una propria giuria e nessuna delle due può votare il cantante che rappresenta la propria tv (esempio: in Francia non funzionerà il televoto per l’artista francese, né la giuria potrà votare l’artista di quel paese). Ogni paese somma i voti delle proprie giurie e stila una graduatoria. Che assegna 12 punti al primo, 10 al secondo, 8 al terzo e a scendere fino al decimo. I primi 10 cantanti di ogni semifinale accedono alla finale insieme ai 6 dei paesi qualificati di diritto (che sono: il paese che organizza e le cosiddette big five
, cioè le 5 tv dei paesi maggiori contribuenti della Ebu: Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Italia). I sei paesi ammessi di diritto in finale hanno comunque l’obbligo di trasmettere almeno una delle due semifinali, quella nella quale il paese è sorteggiato per votare. Stesso sistema per la finale, con l’assegnazione della vittoria. Il paese (e dunque la tv) che vince, organizza l’anno dopo. La votazione della serata finale si svolge con una serie di brevi collegamenti in diretta da ciascuno dei paesi in gara (votano tutti, anche quelli eliminati in semifinale), nel quale vengono mostrati i voti fino al 7 e poi annunciati quelli dall’ 8 al 12, che sono la media fra le votazioni di televoto e giurie. In caso di parità, esclusivamente per determinare il primo posto, viene dichiarato vincitore il paese che è stato votato dal più alto numero di paesi e in caso di ulteriore pareggio, quello che ha ricevuto più 12 punti e così via a scendere. Le altre parità vengono considerate tali, a meno che non servano per determinare qualificazioni, nel qual caso si applica il medesimo sistema. Dal 2012 si è tornati a televotare esclusivamente al termine di tutte le esibizioni previste nella sera, mentre le giurie nazionali votano dopo la prova generale del lunedì, mercoledì e venerdì.
I cambiamenti nel calcolo del punteggio. Dall’edizione 2016, l’EBU ha deciso di mettere in atto un cambiamento nel sistema di calcolo dei voti: non più la media con peso di 50% a testa di televoto e giurie, ma in ciascun paese le giurie di professionisti e il televoti di ciascun paese assegneranno un separato set di punti, dall’1 all’8, quindi 10 e 12. Questo significa che 10 i paesi meglio piazzati al televoto in ogni paese guadagneranno punti, e così i 10 paesi più votati da ogni giuria. Resta ovviamente l’impossibilità per giurie e pubblico da casa di votare per il proprio paese. I brevi collegamenti da ciascuna nazione serviranno solo ad annunciare i voti delle giurie (e solo il 12, mentre gli altri saranno mostrati a video) mentre i punti del televoto di tutti i paesi saranno sommati, dando come risultati il punteggio finale di ogni nazione. I punteggi del televoto saranno annunciati dal presentatore dello show, cominciando dal paese che ha ricevuto il minor punteggio dal pubblico e terminando con il paese che ha ricevuto il più alto numero di punti (ad esempio: "dal televoto 180 punti alla Francia" che saranno la somma di tutti i punti ricavati dai 42 paesi che possono televotarla). Essendo necessario per ogni paese avere un televoto e una giuria, per quei paesi come San Marino dove il televoto non c’è (o laddove ci fossero dei guasti) i punti televoto assegnati dal paese vengono calcolati in via simulata, prendendo come base di riferimento il voto degli spettatori di un gruppo di paesi selezionato in precedenza. Questi gruppi e la loro composizione saranno stati definiti e approvati in precedenza dalla EBU e dal Reference Group. Lo stesso accadrebbe, prendendo però i voti delle giurie, laddove dovesse essere invalidato qualche voto dei giurati. Un sistema di annuncio dei voti mututo dal Melodifestivalen, il concorso nazionale svedese, che tiene col fiato sospeso fino alla fine ed evita che il vincitore si conosca molte votazioni prima e che nelle intenzioni dell’EBU serve a ridurre situazioni come quelle successe nel 2015 (cfr.) in cui alcuni artisti sono stati penalizzati dalle giurie o dal televoto, pagandone quindi nel punteggio e nel posizionamento. Con questa formula si garantisce infatti che la canzone più popolare presso il pubblico di ogni paese riceva dodici punti indipendentemente da come la giuria ha votato. Un ulteriore assestamento inserito nel 2018, riduce il potere dei singoli giurati- per evitare che il voto di qualcuno penalizzi troppo un singolo artista – a favore del voto di gruppo: le preferenze di ciascun giurato, vengono trasformati in punti da 12 e 0, secondo un modello matematico. La prima prende 12 punti, la seconda e la terza non riceveranno automaticamente 10 e 8 punti, ma un punteggio leggermente maggiore, e così via fino al ventiseiesimo posto. Il risultato combinato di televoto e giuria in ciascun paese (ovvero secondo il regolamento in vigore sino al 2015) viene calcolato esclusivamente per risolvere i casi di pareggio.
Massima trasparenza. Non solo i risultati delle semifinali sono pubblici subito dopo la serata finale (per non influenzare il voto della finale: vengono invece proclamati subito i 10 qualificati), ma dall’edizione 2014, a fine rassegna sono immediatamente pubblici i voti dei singoli giurati di ciascun paese (i cui nomi sempre dal 2014 sono resi noti una settimana prima del via) e del televoto nelle due serate in cui ha votato. Dal 2016, con i cambiamenti attuati, a manifestazione finita sul sito ufficiale viene già reso disponibile il televoto di ciascun paese, che scorre in diretta durante ogni singolo collegamento.
La suddivisione delle semifinali e la finale. Fino al 2012, la divisione dei paesi nelle semifinali e nella finale era completamente a sorteggio. Dal 2013, per rendere lo show più ancora più appetibile televisivamente parlando, il sorteggio è parziale. Nel mese di gennaio, viene sorteggiata quale semifinale competerà a ciascun paese (e in quale invece dovranno votare i 6 ammessi direttamente in finale) e se questo dovrà cantare prima o dopo la pubblicità di metà serata. Il sorteggio avviene dopo una preventiva divisione dei paesi in concorso in diverse urne sulla base dei risultati ottenuti nelle semifinali degli anni precedenti e per evitare quanto più possibile che stati di cultura e lingua simili siano insieme e dunque provare a neutralizzare il cosiddetto voto di prossimità
fra paesi affini. A metà marzo o inizio aprile, quando tutti i paesi in concorso hanno reso noto l’artista e la canzone cui si affideranno, la tv organizzatrice insieme all’EBU, sulla base del sorteggio di gennaio, posiziona i paesi secondo criteri televisivi e di spettacolo
. Per quanto riguarda la finale, sono gli stessi cantanti qualificati, durante la conferenza stampa di fine serata al termine di ciascuna semifinale (e per i big 6 dopo l’ultima prova) a pescare la propria metà serata
di competenza. Sulla base di questo sorteggio, la tv posiziona poi i vari brani sempre con criteri televisivi nella notte fra il venerdì e il sabato della finale. Il criterio, come detto, è puramente artistico, per evitare sequenze di brani dello stesso genere e tenere sempre desta l’attenzione dello spettatore. Situazione che ha provocato non poche polemiche tra i fan, privati di uno dei momenti più spettacolari, appunto il sorteggio dell’ordine di uscita, trasmesso in genere in diretta tv e streaming. Ma la scelta dell’EBU si è rivelata su questo fronte, azzeccata.
Come detto, sono le televisioni ad essere in gara e dunque tocca a loro selezionare il cantante e l’artista che dovrà rappresentarli. Possono farlo attraverso un concorso di selezione oppure internamente, con o senza bando pubblico. Non esiste alcun vincolo sulla lingua in cui deve essere eseguita la canzone, né sulla nazionalità del cantante che debba interpretarla o sugli autori del motivo in concorso, anche se ciascun paese è libero di inserire delle restrizioni per preservare, se lo vuole, la propria tradizione musicale. Gli unici vincoli sono relativi al capodelegazione di ciascuna tv ed ai cinque giurati, che devono possedere la nazionalità del paese che rappresentano e relativamente ai testi, che non possono parlare di politica o religione, oltreché ovviamente non devono essere offensivi o discriminatori verso nessuno in alcun modo. Riferimenti che si applicano anche a costumi e scenografia. L’età minima dei partecipanti è fissata dal 1990 in 16 anni. Esattamente come accade a Sanremo, non sempre il parterre
dei partecipanti ai festival è lo specchio fedele
della musica che si ascolta da quelle parti, ma rispetto a Sanremo, la manifestazione è uno spettacolo musicale a tutto tondo
, con una grande varietà di generi musicali che riflettono popoli e culture. Ciascuna esibizione può vedere presenti sul palco al massimo sei persone, indipendentemente dal ruolo che esse ricoprano: è capitato spesso che gruppi vocali o musicali composti da più persone, siano stati costretti a presentarsi in gara in formazione ridotta. La stessa band che accompagnava Raphael Gualazzi nel 2011, aveva cinque componenti contro i sei presenti normalmente ai concerti. Non possono inoltre essere portati in scena animali veri. Per evidenti limiti di tempo (lo spettacolo può durare al massimo due ore per le semifinali, poco più di tre per la finale compresa la fase di votazione), le canzoni non possono superare i tre minuti.
A differenza del Festival di Sanremo, i brani non sono inediti: esiste tuttavia un limite massimo entro il quale possono essere stati diffusi la prima volta (attualmente è il primo settembre dell’anno precedente la rassegna: dunque i brani del 2018, potevano essere stati diffusi dal 1. settembre 2017 in poi). Due mesi prima della rassegna sono disponibili in formato audio per la vendita su I Tunes e nei normali circuiti e con i video ufficiali sul sito della manifestazione (www.eurovision.tv), sul portale youtube della stessa, senza alcuna limitazione alla diffusione. Lo scopo è quello di arrivare al giorno della manifestazione con i brani ben noti e conosciuti dal pubblico che dovrà votarli. I cantanti possono, qualora lo vogliano, in accordo con le rispettive tv e case discografiche, effettuare dei tour in giro per l’Europa per promuovere la loro canzone. Successivamente, nei giorni precedenti alla rassegna, esce anche la compilation ufficiale della stessa, in vendita sui normali circuiti e on line.
LO SPETTACOLO TELEVISIVO E L’EVENTO MEDIATICO
Il programma va in onda in diretta ed in contemporanea su tutte le televisioni pubbliche dei paesi in gara. Da quando sono state introdotte le semifinali, ognuna ha l’obbligo di trasmettere oltre alla finalissima, anche la semifinale nella quale è impegnato il proprio
cantante (oppure, nel caso dei sei di diritto in finale quella nella quale il pubblico è chiamato a votare). L’orario di messa in onda sono in ogni caso le 21 dell’Europa centrale (cioè italiane) ed il paese che organizza è costretto ad adeguarsi. A Baku, sede dell’edizione 2012, per esempio, al momento del via ufficiale, era mezzanotte mentre in Australia, dove lo show va in diretta nel 2015 dopo che per oltre 30 anni è stato trasmesso in differita con ascolti spesso superiori alla diretta di qualche paese, al via della rassegna sono le 5 del mattino. E nonostante questo gli ascolti sono stati quasi da prime time. Tantissimi altri paesi non in concorso, negli ultimi anni, hanno trasmesso lo show in differita, in registrata o lo hanno seguito in streaming sul sito ufficiale.
La lingua di conduzione ufficiale dei presentatori è sempre l’inglese (con qualche inserto in francese), ma ciascun paese può inserire un proprio commentatore fuoricampo, che può inserirsi fra una canzone ed un’altra, ma non sovrapporsi ai brani, che devono essere trasmessi per intero. Inoltre la presentazione è solitamente scarna: poche frasi di circostanza, tanto spazio alle canzoni. Soltanto alla RAI, in occasione del ritorno nel 2011 (sulla base di un esperimento simile fatto qualche anno prima con la tv olandese) è stato concesso un formato diverso, con ospiti in studio, ma si è trattato di una deroga speciale, che non è stata più ripetuta. Trattandosi essenzialmente di uno spettacolo musicale inizialmente pensato per la radio, viene irradiato (ma non dappertutto) in contemporanea anche nelle radio nazionali aderenti all’EBU. Sono previsti tre spazi nei quali ciascuna televisione nazionale può inserire la pubblicità. In alternativa, se si sceglie – come ad esempio fa la Spagna – di irradiare senza interruzioni il programma, in quegli spazi vanno in onda inserti autogestiti dal paese organizzatore, solitamente promozionali della città ospitante o mini documentari su come il paese vive l’evento. La pubblicità può essere trasmessa, volendo, anche al momento della messa in onda dell’interval act, il numero di spettacolo che fa da intermezzo fra l’ultima esibizione e l’inizio delle votazioni. Le canzoni sono introdotte da dei brevi volta pagina
che il paese organizzatore gestisce come vuole: la Germania e la Finlandia, per esempio hanno sfruttato l’occasione per promuovere le bellezze naturali e le località migliori del proprio paese. L’Azerbaigian ha promosso la propria cultura e le proprie tradizioni. Negli ultimi tre anni invece, sono stati gli stessi cantanti, come già negli anni 70 ed 80, i protagonisti delle cartoline. L’organizzazione, sia quella della diretta televisiva che quella delle relazioni con la stampa ed i media è curata nei minimi dettagli. Ogni minimo particolare è importante. Per esempio, ogni paese ospitante deve essere in grado di mettere a disposizione dei circa 3000 giornalisti che arrivano da tutto il mondo, ogni tipo di facilitazione per il loro lavoro. In particolare, vengono allestite 400 postazioni per computer fissi più altre 800 per i portatili. In ogni postazione c’è un cavo di rete e la navigazione, in adsl o meno, è sempre gratuita. Come il guardaroba.
Ogni cantante ha diritto a due sessioni di prove libere ad orari fissati in anticipo. Prima della prova sul palco, gli artisti devono essere nel backstage del palco per ricevere le istruzioni dal regista dello spettacolo e dai suoi assistenti. A seguire, è previsto un tempo di 30-40 minuti di prova in palcoscenico, per verificare la resa delle luci, mettere a punto i livelli del sonoro, provare le inquadrature e la coreografia, oltre a cronometrare i tempi necessari per l'allestimento del palco. Ogni delegazione viene poi ricevuta in cabina di regia per visionare il filmato dell'esibizione e mettere a punto luci, inquadrature e dettagli dello spettacolo televisivo. Ogni variazione, richiesta o reclamo è inoltrato per iscritto dal capodelegazione, e i cambiamenti sono concordati sempre per iscritto. Al termine della sessione di prove, che è aperta alla stampa e ai fans accreditati, che possono fare filmini e scattare fotografie e trasmessa a circuito chiuso, ogni concorrente è tenuto a presentarsi in sala stampa e a incontrare i corrispondenti accreditati. L’ordine stabilito dal sorteggio parziale non si può più cambiare, salvo rarissime e motivate eccezioni. Eventuali richieste (come per esempio quella del 2011 di Israele di esibirsi nella semifinale non coincidente con un giorno di festa religiosa ebraica), vanno presentate in anticipo. Quando si accetta la partecipazione all'Eurofestival si accettano tutte queste regole, non una di meno, compresa la cessione dei diritti d'immagine del cantante. L'Eurofestival diventa anche un dvd e l’organizzazione mette a disposizione sito una serie di fotografie royalty-free. Il motivo è semplice: più persone parlano di questo evento meglio è per l'evento stesso. Il sito ufficiale dell'Eurofestival (www.eurovision.tv) ospita tutte le informazioni e anche una pagina di video girati dietro le quinte e messi sulla pagina youtube ufficiale. Non esiste invece una piattaforma ufficiale. La motivazione dell’EBU è chiara: c'è YouTube, perchè spendere risorse che possono andare da qualche altra parte?
All’Eurovision sono evitate le perdite di tempo perché c’è un palco con due entrate e mentre un artista canta, dall’altra parte, si prepara il palco per l’altro che viene dopo. Lo spettacolo viene provato tre volte, per filo e per segno, costumi di scena compresi e viene registrata la prova generale, comprensiva di pubblico. Quando va in onda la diretta, contemporaneamente scorre il segnale della registrata in contemporanea e se ci fossero problemi, il segnale switcha dalla diretta alla registrata e il pubblico da casa, nel caso, non si accorge di niente.
Nessuna improvvisazione. Tutto è studiato, tutto è provato, tutto è professionale, preciso, moderno. Uno show tv lontano anni luce da quelli vecchi, ingessati e spesso a tirare via di certa tv italiana. Autori, produttori, registi, social media manager presenti nell’arena che ospita lo show organizzano sempre un incontro con i delegati e i commentatori di tutti i paesi, nel quale spiegano tutti i segmenti della puntata finale, rilasciando una scaletta
che in realtà è un vero e proprio copione con tempi, pause, parole per tutte le serate. Non solo. Per i commentatori delle varie tv che sono sul posto è anche disponibile una guida con curiosità e note da utilizzare per commentare tutte le serate dello show. Viene suggerito anche quando parlare e quando no, perché ci sono momenti sul palco che vanno preservati per tutti gli spettatori, altri invece che possono essere sporcati
con un commento. Idee per coprire anche gli spazi morti: siparietti, curiosità, clip promozionali. Quasi mai materiale d’archivio, comunque mai roba vista e rivista.
NON SOLO GARA: EUROCLUB, EUROVILLAGE E CONFERENZE STAMPA CANORE
Avete presente la tensione che si taglia con il coltello, la poca voglia di parlare con la gente e cronisti, il desiderio di cantare subito e poi andare a mangiare che c’è al Festival di Sanremo? Bene, scordatevela. L’Eurovision Song Contest è tutta un’altra cosa. Una festa della musica a tutto tondo, dove la gara si vive con meno tensione ma soprattutto, dove c’è un interscambio musicale continuo. Fra artista ed artista, fra l’artista e il pubblico. Persino fra artisti e cronisti.
In ogni località che ospita l’Eurofestival, oltre alla location dove si svolge il concorso, alla sala stampa ed ai luoghi canonici
ufficiali, viene anche allestito l’Euroclub. E’una apposita location nella quale artisti, giornalisti, i fan e le delegazioni invitati
si ritrovano dopo ogni sera per un happening molto libero, nel quale si canta, si balla, si sta insieme condividendo emozioni. Capita che gli artisti dei vari paesi si esibiscano in improvvisati duetti oppure in riesecuzioni particolari dei loro brani. O ancora che si esibiscano in veri e propri showcase
promozionali. Tutto rigorosamente live. Strumenti compresi, stavolta. Ciascuna delegazione organizza degli eventi ad invito prima e dopo la rassegna, per promuovere l’artista o nel caso in cui avvengano dopo, per festeggiare la partecipazione, qualunque sia stato l’esito. Paolo Meneguzzi, in gara per la Svizzera nel 2008, per esempio, benché eliminato in semifinale, indisse un party di ringraziamento e a questo parteciparono anche alcuni italiani da lui invitati (che però figurarono come svizzeri
sul badge di accredito). I singoli paesi, prima del festival, hanno la possibilità se vogliono di organizzare nel loro paese o direttamente sul posto, dei party
sempre a scopo promozionale, anche questi ad invito. Il tutto è molto informale, ha appunto un aria festosa, lontano dai clichè ufficiali.
La domenica prima dell'inizio del concorso, terminate le prove aperte, si tiene il party di benvenuto offerto dalla città ospitante. Nelle sere precedenti agli show, le delegazioni organizzano dei party per promuovere le loro canzoni e quelle degli artisti invitati. Dopo ogni serata l'organizzazione mette in piedi un After Show party: può capitare di fare le 5 a ballare con una delle cantanti e con le sue amiche e di trovarlo finanche divertente. Altri luoghi di ritrovo sono l’Eurovillage e l’EuroCafè. Il primo è una sorta di villaggio eurovisivo che permette a chi giunge nella città ospitante dell’evento per la rassegna di vivere il clima eurovisivo anche al di fuori degli show: concerti, bazar, negozi di souvenir e gadget, bancarelle con tutto quello che fa Eurovision. E in più la cosiddetta Eurovision Fan Mile: una via della città interamente dedicata all’Eurovision. Il secondo, solitamente allestito all’interno di grandi luoghi al coperto, è un vero e proprio bar dove i fan possono vivere la decompressione
dagli show restando però in clima eurovisivo, con musica a tema e grandi successi della musica internazionale in genere. Non solo. Gli artisti eurovisivi, salvo rare eccezioni (e quasi sempre russofone…), si spostano normalmente tutti insieme, con un pullmann che li accompagna nei luoghi degli eventi ufficiali comuni. E in un evento come l’Eurovision Song Contest anche le conferenze stampa, rigorosamente in inglese, non sono un evento normale, ma diventano ancora un elemento di condivisione. Non è raro che gli artisti si presentino strumenti in mano e qualche volta saltano fuori esibizioni a sorpresa durante le conferenze stampa: nel 2011 gli islandesi Sjonni’s Friends insieme a Thorunn Clausen, coautrice del motivo che portavano in concorso regalarono ai giornalisti intervenuti dieci minuti di jam session sui motivi dell’Eurovision Song Contest (compresa anche una singolare versione in lingua islandese di Gente di Mare
di Umberto Tozzi e Raf incisa a suo tempo da uno dei componenti, il cantante Gunnar Olafsson).
L’ITALIA: DALLA DISTORSIONE MEDIATICA AL RITORNO IN CONCORSO
Silenzi, notizie distorte, aziendalismo forzato. La storia dei rapporti fra la tv italiana e l’Eurovision Song Contest è intrecciata di situazioni strane, a volte surreali. Più o meno tutte, sono figlie di quell’italocentrismo musicale che da sempre ci caratterizza, sin dagli anni’50 e che oggi si riflette nello scarsissimo, per non dire nullo, appeal, della musica italiana all’estero. è un caso se oggi i prodotti da esportazione del nostro panorama musicale, a parte i grandissimi big nazionali, si riducono ad artisti che mantengono all’estero quella popolarità che da noi avevano negli anni passati ed oggi hanno meno, se non altro a livello discografico. Che l’Italia non abbia mai promosso con vigore l’Eurovision Song Contest è cosa nota e col passare degli anni, la manifestazione è diventata gradualmente un fastidio da eliminare. Operazione riuscita nel 1998, con l’isolamento volontario che è durato sino al 2010. Ma anche prima, quando la Rai è stata regolamente in concorso, non è che le cose fossero tanto migliori.
L’Italia è stata in gara, in maniera svogliata, fino al 1997. Mandando quasi sempre il vincitore o il secondo di Sanremo, tranne a cavallo degli anni’70, quando la rassegna dei Fiori era in declino (e soprattutto il regolamento spostava in avanti la data massima in cui poteva essere stato pubblicato il brano, sino a Marzo) e allora si scelse di mandare il vincitore di Canzonissima o altre rassegne e tranne in alcune occasioni in cui la RAI – legittimamente, s’intende – decise di mandare chi le pareva. A prescindere da concorsi e rassegne. Mai comunque, nonostante tutto, artisti di secondo piano: sempre nomi di spicco per l’anno o il periodo in questione. Nato come un omaggio a Sanremo, in fondo, la RAI ha sempre visto, sino al recente rinnovamento dei vertici, l’Eurofestival in maniera distorta, come un impiccio, un ostacolo che poteva offuscare la stella
del suo Festival e così, dopo gli ultimi fuochi degli anni’80, è cominciato un lento disinteresse. Edizioni sempre più in differita (negli anni’80 soltanto quella del 1988 fu trasmessa in diretta, negli anni 90 avvenne lo stesso solo nel 1991, quando la Rai organizzò l’evento), promozione scarsa o nulla della manifestazione. Anche il fatto che l’Italia avesse vinto solo nel 1964, nonostante numerosi piazzamenti sul podio, non era motivo di orgoglio, ma invece da fungere come grimaldello
per migliorare la qualità della partecipazione italiana, la circostanza fu usata nei primi tempi per mettere al bando una rassegna "nella quale un paese con le tradizioni musicali come l’Italia non può non vincere". Contemporaneamente però, con notevole sforzo di coerenza, anche la vittoria dava fastidio, per quell’onere di dover organizzare poi l’anno dopo. Una situazione al limite del paradosso, che si manifesta sin dai primi anni 60 e che denota la lontananza italica dalla manifestazione.
Col passare degli anni, soprattutto quando arriva in Rai un management deciso a difendere strenuamente un Sanremo in calo di popolarità e alle prese con polemiche per le votazioni, i conduttori inadeguati, i vincitori annunciati e le serate di lunghezza chilometrica infarcite di ospiti inutili e strapagati per tenere alto l’audience e mascherare un cast artistico di non grande appeal, si comincia gradualmente a valutare l’ipotesi di un disimpegno, soprattutto per evitare che la presenza di artisti italiani ad una rassegna diversa dal Festival dei Fiori ne potesse oscurare la popolarità. Il secondo e ultimo successo del 1990, preceduto e seguito da un’altra serie di belle prestazioni, suona in questo senso in casa RAI come un campanello d’allarme. Così ecco arrivare partecipazioni sempre più diradate e delegazioni ridotte al minimo. Nelle due edizioni del 1993 e del 1997, sono anche venuti a galla fenomeni di ostruzione
per evitare che l’Italia vincesse (cfr.), ma già nel 1991, durante l’edizione di Roma, una delle peggio organizzate della storia recente del concorso quella della vittoria temuta
era una situazione tutt’altro che nascosta. Meglio non rischiare allora, meglio starne alla larga. Il concetto è molto semplice, soprattutto oggi che viviamo nell’era di telelandia: Se di una cosa non se ne parla - soprattutto se non ne parla la tv - non esiste
. Così dal 1998 al 2010, sui media italiani (tutti o quasi, con rarissime eccezioni), dell’Eurofestival non si è parlato più. La gente si è lentamente dimenticata della manifestazione e questo ha consentito nel corso degli anni ai padroni del vapore
(intesi come tali coloro che in televisione hanno influenza, davanti o dietro lo schermo), di costruire una immagine falsata della rassegna, che negli italiani è passata come vera perchè priva di contraddittorio. Anzi, molto spesso, l’egocentrismo autarchico televisivo italiano ha costruito una immagine di un pianeta tv che ruota attorno all’Italia. Dato che è impensabile che l’Italia possa non prendere parte a qualcosa di importante, se l’Italia non c’è - questo è il concetto che passa - può voler dire solo due cose: o la manifestazione non si fa più
(e questo è un concetto che passerà negli anni) oppure la manifestazione non è importante
. Cominciò così una lenta politica di messa nell’oblio
della manifestazione da parte della RAI – e dunque anche da parte dei media. Dell’Eurofestival si parlò ancora nel 1998, ma fu il tg del gruppo privato concorrente a darne notizia. Non tanto per la manifestazione in sé, quanto perché a vincere fu la citata Dana International, prima cantante transessuale della storia ad affermarsi in un concorso musicale. Peraltro una transessuale israeliana e dunque non certo di un paese annoverato fra più avanzati in tema di sessualità.
Poi più nulla. Nessuno seppe, per esempio, che Al Bano salì sul palco della rassegna nel 2000, in Svezia, per fare da insolito corista alla cantante svizzera Jane Bogaert, nessuno seppe che il Piero Esteriore che gareggiò sotto bandiera rossocrociata nel 2004 era palermitano e nessuno seppe, per esempio che nel 2006 un’italiana – lanciata da Sanremo – partecipò alle selezioni per la Romania: era Linda Valori, terza alla rassegna tricolore nel 2004 e sesta nel concorso rumeno, cui aveva preso parte per via delle origini della madre, dopo aver vinto l’anno prima il Cerbul de Aur
, un concorso internazionale che si svolge a Brasov. E nessuno seppe mai, per esempio, che un nugolo di italiani sconosciuti ha tentato la qualificazione in vari paesi d’Europa. Col passare del tempo, l’Eurofestival diventa una rassegna nota in Italia soltanto agli addetti ai lavori. Anzi, nemmeno a tutti. Tutto questo mentre in Europa continua a mietere ascolti e ad essere il fenomeno dell’anno. E mentre nel frattempo la EBU, l’ente organizzatore cambia in parte le regole, inserendo tre spazi per la pubblicità e dando la possibilità al paese organizzatore di autopromuovere le proprie bellezze nei siparietti di introduzione alle canzoni, sempre più paesi si iscrivono.
Nel 2007 fa notizia la partecipazione di un cantante italiano, Roberto Meloni, sotto la bandiera lettone (con il gruppo tenorile Bonaparti.LV) e con una canzone in lingua italiana, raccogliendo anche grandi consensi presso il pubblico europeo (sarà in gara anche nel 2008 con l’ensemble Pirates of the Sea ed un brano in inglese) E per poco, l’anno dopo, non riesce il colpo anche a Gianni Fiorellino, cantante napoletano fresco di Music Farm
, secondo per un pugno di voti alle selezioni bulgare in coppia con Georgi Hristov. Sempre nel 2007, l’italiano Ciro De Luca è parte del gruppo rumeno Todomondo. Saranno tanti, nel corso degli anni, gli italiani più o meno famosi che cercheranno di qualificarsi per la rassegna. Di questi, sino al 2011, anno del nostro ritorno in concorso, l’Italia non saprà nulla, o quasi.
BALLE SPAZIALI: LE TANTE INESATTEZZE SULL’EUROVISION RACCONTATE DA NOI ITALIANI
Nel corso degli anni abbiamo assistito a scene comiche, tavolta surreali, a corredo di quelle che potremmo definire balle spaziali
. Affermazioni false sull’Eurofestival usate per giustificare
l’assenza dell’Italia ad una rassegna che coinvolge tutto il resto d’Europa e la sua mancata messa in onda. Un piccolo campionario può essere utile per capire la dimensione della distorsione mediatica cui si è arrivati nel corso degli anni nel nostro Paese.
L’Italia non conosce lo spettacolo. Sin qui è abbastanza semplice: come si fa a conoscere una cosa di cui non si parla?
L’Eurofestival non ha alcun appeal sul pubblico italiano. "La manifestazione fa un’audience troppo bassa", dissero. E’difficile fare ascolti e pretendere che il pubblico italiano si affezioni ad una manifestazione se nelle ultime due edizioni in cui è andata in onda da noi (1993 e 1997) è stata programmata con inizio alle ore 23.55 (fonte: Sorrisi e Canzoni). E comunque, circa un milione nel 1997 a quell’ora, non sono pochi. L’ultima edizione in diretta prima dello stop, quella del 1991 fece 6 milioni 683mila spettatori (fonte: Auditel), con un picco di 8 milioni 875mila al momento dell’esibizione di Peppino Di Capri. Un buon risultato, anche considerando che solo di recente è stato stabilito che tutto deve essere trasmesso in diretta e che dall’80 in poi (tranne che nell’88 e nel 91), il programma è sempre andato in differita. Un risultato che ancora oggi viene tenuto nascosto e negato, nonostante la certificazione. E fra l’altro è tuttora il record assoluto italiano, che con l’attuale frammentazione delle tv ben difficilmente sarà battuto.
E’obbligatoria la diretta, senza pubblicità. E’vero, come detto, la diretta è obbligatoria, non è più possibile la differita e vanno trasmesse in diretta almeno due serate su tre e i riassunti delle esibizioni che passano prima della votazione, ma come detto, ora lo spazio per la pubblicità c’è. Ci sono tre break preposti a questo scopo. Non è obbligatorio invece trasmettere l’ interval act
cioè il numero di spettacolo che si inserisce fra l’ultima esibizione e le votazioni. Anche in quello spazio è possibile mandare la pubblicità, se si vuole.
Anche con la pubblicità, non si ripagano i costi, perché il prezzo degli spot lo fa l’EBU. Non è vero, l’EBU sulla vicenda pubblicitaria non interviene, semplicemente perché essa diffonde il programma privo di spot. Nel caso, sono le singole emittenti a decidere i costi dei medesimi. E nel periodo dell’Eurovision, la RAI è ancora in periodo di garanzia (quello commercialmente appetibile, che scade il 30 maggio). Dunque bastano pochi spot per ripagarsi i costi. E nel caso, ne bastano anche pochi altri dopo, fuori dalla garanzia, per andare tranquillamente in pari o guadagnarci (fonte: tariffario Sipra): così è sempre successo dal 2011 ad oggi.
L’Eurofestival non promuove la nostra musica all’estero. Mario Maffucci è stato a lungo capostruttura della Rai ed anche capodelegazione delle ultime due edizioni (1993 e 1997) dell’Eurofestival cui ha preso parte l’Italia prima del lungo stop. Ed è stato anche colui che maggiormente si è opposto alla partecipazione italiana alla rassegna dopo il 1997. Quello che succede a fine Sanremo 1998 ce lo racconta Eddy Anselmi nel libro Festival di Sanremo, almanacco illustrato della canzone italiana
(Panini Publishing, 2009). (…) Annalisa Minetti (vincitrice del Festival ndr), vorrebbe partecipare al concorso Eurovisione della Canzone, ma la Rai si oppone. Maffucci fa sapere che l’Eurofestival avrebbe
un formato poco adatto al pubblico italiano. Inoltre, a parte il caso Cinquetti, non ha mai costituito occasione di promozione per i cantanti italiani. La Rai propone alla Minetti di partecipare al Festival cileno di Viña del Mar
un bacino di 600 milioni di consumatori di dischi nel quale la canzone italiana penetra con maggiore facilità. (…)
Il Festival di Viña del Mar, mandò in cambio a Sanremo, alcuni clamorosi carneadi dei quali si è persa traccia e l’unico artista di lingua italiana reso famoso dalla rassegna cilena è stato lo svizzero Paolo Meneguzzi. Che però quando gareggiò in Cile era ben lontano dal prendere parte a Sanremo e dall’essere famoso in Italia.
Di contro, da quando ha vinto l’Eurofestival nel 1990, Toto Cutugno gira il mondo ed è famosissimo in mezza Europa, i sammarinesi Miodio, ultimi nel 2008, hanno partecipato a numerosi concorsi in tutto il continente e lo stesso dicasi per Roberto Meloni, due volte in gara per la Lettonia.Volare
di Domenico Modugno (1958), oltre ad essere la canzone dell’Eurofestival più venduta della storia ed una delle più vendute al mondo, è anche l’unico brano non in lingua inglese ad aver vinto il Grammy. Moltissimi altri brani italiani dell’Eurofestival hanno avuto successo all’estero: li scopriremo in questo libro. Uno su tutti valga ad esempio:Gente di mare
(1987) di Tozzi e Raf. O anche la stessa Fiumi di parole
dei Jalisse (1997), bistrattata in Italia ma amatissima fuori dal nostro paese. Talvolta è anche successo che l’Eurofestival non abbia promosso i nostri cantanti all’estero, ma nemmeno Sanremo è garanzia di successo commerciale. Anzi, ultimamente al Festival arrivano artisti che vendono già di loro
. La partecipazione di Raphael Gualazzi nel 2011 è sufficiente per smentire di rassegna inutile a fimi commerciali. Provate a chiedere alla Sugar, la sua casa discografica, di quanto è cresciuta la popolarità del suo artista dopo la partecipazione alla rassegna, a prescindere dal secondo posto. E quanti soldi ha incassato, ripagando ampiamente i costi di partecipazione, con un singolo al primo posto in 8 paesi e in classifica in 20, un tour internazionale di enorme successo ed un album uscito con ottimi riscontri in mezza Europa e di recente con lo sbarco negli Usa. Talmente tanto da essersi riproposta con altri suoi artisti alla Rai nel 2012 e negli anni a venire, senza successo. Come si vedrà negli anni successivi anche Marco Mengoni e Il Volo riscuoteranno ottimo successo.
L’Eurovision non fa alcuna tendenza a livello musicale e anche i vincitori non vendono un disco. Una delle cose che si propone questo volume è sbugiardare questa tesi astrusa e priva di fondamento che ancora circola fra i vecchi soloni di alcuni quotidiani. Come in tutte le rassegne musicali, compresa Sanremo, non tutti i brani eurovisivi hanno successo, ma negli ultimi anni, quasi sempre almeno 15 brani per edizione hanno raggiunto la vetta in patria e anche fuori. Nella sezione charts riporteremo i dati precisi, ma quello che colpisce è che non c’è nemmeno voglia di informarsi. Scrive un cronista su Il Messaggero ancora nel 2014 (cioè quando ormai l’Italia è pienamente reinserita): "A cosa serve l’Eurosong? La risposta potrebbe stare in dieci nomi: Ruslana, Elena Papirozu (si, è scritto proprio così, sbagliato, in realtà è Paparizou…ndr), Lordi, Marija Serifovic, Dima Bilan, Alexander Rybak, Lena, Ell & Nikki, Emmelie De Forest. Chi sono? I vincitori delle ultime dieci edizioni. Quanto basta per spiegare che il Festival europeo dell canzone serve a ben poco (…) sotto il tetto della rappresentanza nazionale nulla a che fare con le cose reali della musica". Qualcun altro ancora, sempre da noi scriveva nel 2012, mentre Loreen era prima in 18 paesi: "Molto più facile che i giovani di Londra, Parigi, Roma e Madrid abbiano nel loro iPod le canzoni di una ragazza di New York come Lady Gaga piuttosto che quelle della svedese Loreen che ha vinto con Euphoria…". Sarebbe bastata Wikipedia, per accorgersi che almeno 6 di questi oggi sono star internazionali del pop e che qualcuno ha anche vinto il premio come miglior artista europeo dell’anno. Ma tant’è.
Vincere vuol dire organizzare l’anno dopo a nostre spese, in perdita. "Senza ritorno economico, la spesa non vale l’impresa", pensarono alla tv di stato allora. E visto che negli ultimi anni l’Italia era andata anche bene (i Jalisse, ultimi a concorrere sotto bandiera italiana prima della lunga pausa, chiusero con un ottimo quarto posto), alla RAI di allora balenò una nuova paura: quella di vincere. Perché il regolamento prevedeva – e prevede ancora – che la tv che vince debba obbligatoriamente, salvo cause di forza maggiore, debba ospitare l’anno dopo organizzando l’edizione in gran parte a proprie spese. Non era ancora il tempo dei reality e dei soldi investiti per quel genere di programmi, ma tutto faceva brodo e così l’Italia scelse di concentrare tutte le sue attenzioni – e gran parte delle risorse – su Sanremo. La paura del diverso spaventa sempre, la voglia di evitare i rischi è più forte di tutto. Citiamo sempre dal volume di Anselmi: (…) Maffucci informa che l’azienda sarebbe disponibile a tornare all’Eurofestival
se passasse una formula più legata ai contenuti che alla pura e semplice adrenalina della gara. Tradotto: Non ci va di andare lì e rischiare di vincere, per poi dover
buttare" soldi per organizzare l’anno dopo. Se andassimo lì a presentare solo il brano senza impegno successivo allora va bene. Il concetto è chiaro. Però forse è meglio sviscerare alcuni punti. Intanto bisogna vincere. E non è che ci facciano vincere soltanto perchè siamo l’Italia. Tutt’altro. Poi come abbiamo visto, solamente con gli investimenti pubblicitari, si va in pareggio. Quanto ai costi di gestione dell’evento, la EBU finanzia circa per circa 6 milioni di euro ogni edizione. Gli esempi passati dimostrano che con una gestione oculata si riesce a realizzare una manifestazione di ottimo livello, con notevole ricaduta a livello della crescita dell’immagine internazionale del paese e di afflusso turistico, con anche notevoli introiti (cfr. Costi e Ricavi). Si fa tanto parlare da noi di questi due concetti e poi non si sfruttano queste occasioni. Il Ministero invece, si fregherebbe le mani. La sola partecipazione ha un costo, è vero, ma sicuramente è una cifra più bassa di tanti altri programmi su cui si è investito e che negli anni hanno fallito, quelli davvero. Inoltre ormai da tempo sono in gran parte le case discografiche a finanziare la partecipazione. Il costo? Fra quota di iscrizione, viaggio, promozione e contorno, non arriva ai 450 mila euro. Una sciocchezza, rispetto a tanti altri programmi di successo assai minore se paragonato all’investimento.
Non è una produzione italiana, abbiamo già Sanremo. Molti film e telefilm non sono prodotti in Italia e funzionano benissimo. Qualcuno dice che "non è una produzione italiana, voglia in realtà dire
non possiamo gestire i soldi e la spesa come vogliamo", ma qui non facciamo dietrologia. Dire che possa dar fastidio a Sanremo, è come dire che la Champions League oscura il campionato italiano. E poi Sanremo va a febbraio, l’Eurofestival a maggio. Inoltre non è per forza detto che si debba mandare un artista legato a Sanremo.
E’troppo trash per la nostra tv e ci sono troppi gay. A parte il fatto che da qualche anno il cosiddetto trash, all’interno dell’Eurofestival è quasi sparito del tutto, tornando a puntare sulla qualità. E poi, guardando in casa nostra, alcuni programmi di successo o le arene dove ci si azzuffa in diretta, non sono forse anche essi pieni di contenuti trash? Quanto all’affermazione sulla presenza di personaggi legati al mondo LGBT a parte il fatto che la nostra tv ne è piena, comunque la si pensi sull’argomento omosessualità, la frase si commenta da sola. L’edizione 2011, con il ritorno di Dana International ma soprattutto la vittoria nel 2014 di Conchita Wurst, divenuta popolarissima anche da noi, dimostrano inoltre quanto da noi il concetto sia legato a personaggi stereotipati, che rappresentano solo una parte di quel microcosmo, ma non la sua interezza.
Anche la musica è trash, con quelle esibizioni. E quel pubblico con le bandiere... L’avvento dei talent show, soprattutto X Factor, ha sdoganato anche da noi un certo modo di fare musica in cui anche la performance, la coreografia ed i costumi hanno un peso importante, al pari dell’esecuzione. Nessuno ha mai associato la parola trash a certe esibizioni che si vedono alla tv italiana uguali, se non peggiori, di quelle eurovisive. Quando si parla di Eurovision invece, basta poco per bollare tutto come trash, anche quando l’esibizione è in realtà solo appena movimentata. Gli stessi che ironizzano su come all’Eurovision 2013 (per esempio) ci fosse a loro dire "feticismo per le farfalline, senza nemmeno sapere che quello è il simbolo dell’edizione sono i medesimi che solo l’anno prima avevano esaltato la farfallina (una sola) di Sanremo. Gli stessi che non perdono occasione per socializzare di quanto sia trash la rassegna eurovisiva sono quelli che hanno commentato con assai meno sdegno Pupo e il Principe, i mesi dei Broken Heart College, Marisa Laurito e il suo babà, i doppi sensi dei Figli di Bubba, Francesco Salvi che porta in scena gli animali parlanti, Tom Hooker che canta sui pattini o Gigi D’Alessio e la Bertè che reclutano cento ballerini per il remix con Fargetta. O magari avevano scritto con dovizia di particolari di Antonella Clerici vestita da salmone, delle Arene dove ci si azzuffa o di concorsi canori dove si insultano gli insegnanti e ci si prende a capelli, donne attempate che ballano come veline o plaudendo alla permanenza nei talent show di cantanti con problemi di balbuzie e visibilmente stonati oppure a bambini che fanno finta di fare i cantanti. Gli stessi che non mancano di definire
imitazioni da poracci" alcune esibizioni eurovisive sono i medesimi che esaltano i prodotti in serie che escono da certi programmi, senza curarsi della differenza di esposizione mediatica o del talento dell’artista. Un vestito glitterato, un bravo cantante che si esibisce sopra un cubo dentro il quale c’è il suo doppio, un’esibizione diversa da quella statica (magari anche emozionale) davanti ad un microfono sono trash comunque. Lo sono due artisti che cantano di cascate guardandosi negli occhi con gesti plateali e sguardi languidi, non lo erano due che allo stesso modo cantavano di colpi di fulmine cinque anni prima. E’tutto una "trashata senza pari", compreso quel pubblico che sventola le bandierine e batte le mani a tempo invece di starsene seduto su una sedia e applaudire a comando. Ciò che viene dall’Italia va bene, anche se è trash. Ciò che viene dall’estero, va sempre male.
L’Italia non fa più parte del consorzio Eurovisione. Nel 2008 si rompe anche il tabù San Marino: la tv del Titano, per metà finanziata dalla Rai, decide di partecipare alla manifestazione: alle selezioni, dirette da Little Tony e da Vince Tempera, ci sono fra gli altri anche L’Aura, Jalisse, Meg (ex 99 Posse), Patrizia Laquidara, gli stessi Jalisse ed in veste di autrice di un brano anche Mariella Nava. E’ la molla che riaccende il furore in Italia. Che diventa fuoco assoluto quando arriva la notizia che uno dei cantanti più amati dal pubblico giovane italiano, Paolo Meneguzzi, avrebbe gareggiato sotto i colori della Svizzera – peraltro suo paese natale – con il brano Era stupendo
, al soldo della tv del Ticino. Solo che in questo clima, di totale assenza di informazione, è molto facile vendere fumo. Pippo Baudo, storico conduttore e direttore artistico del Festival di Sanremo, lo ha fatto spesso e volentieri e proprio la citata occasione della partecipazione di Paolo Meneguzzi all’edizione 2008, è il teatro di una delle più grosse balle spaziali raccontate sull’Italia e l’Eurofestival. Lo scenario è il palco del Teatro Ariston di Sanremo. Baudo sta impastando
il question time post Sanremo con i cantanti ed alcuni cronisti. Tocca al Meneguzzi, giunto sesto in quella edizione con il brano Grande
. E la prima domanda dei cronisti è la seguente: "Tu adesso tradirai la musica italiana perché andrai a cantare a Belgrado all’Eurofestival per la Svizzera. Meneguzzi risponde cortese e diplomatico:
Non tradisco la canzone italiana, perché vado a rappresentare la Svizzera con una canzone in italiano. E soprattutto ci vado per la Svizzera perché voi non partecipate. Eccola lì, la stoccata. Il Pippo Nazionale capisce che la cosa gli sta sfuggendo di mano e prende il toro per le corna:
E’ la vecchia Eurocanzone, che si faceva e poi non s’è fatta più. L’Italia non fa più parte del consorzio che organizza la manifestazione e così lui va per la Svizzera che gli ha dato questa opportunità. Peccato che giusto sino a poche ore prima fosse andato in onda Sanremo, preceduto proprio dalla sigla della Eurovisione
il consorzio che organizza l’Eurocanzone. Di cui ovviamente l’Italia fa sempre parte. E ovviamente, non è vero che
la vecchia (Baudo punta molto l’accento su questo) Eurocanzone
si faceva, poi non s’è fatta più". Dal 1956 va sempre in onda tutti gli anni. Ma evidentemente, il mondo per noi s’è fermato al 1997, l’ultima nostra partecipazione. Come se l’Italia fosse il centro del mondo televisivo. E canzonettistico. Questa bufala è documentata da uno storico e cliccatissimo video su youtube.
L’Eurocanzone? Ormai la fanno solo per i tedeschi. Il tentativo di ostruzione più bello – e surreale – è quello del Febbraio 2010, durante il clamoroso fiasco televisivo de Il più grande italiano
. Ospite Pippo Baudo. Scopo del programma, eleggere il personaggio italiano più grande di sempre. C’è un cronista tedesco di un settimanale. Vota Laura Pausini, poi prende la parola e spiega: "E’la più conosciuta. E attacca il Festival di Sanremo:
Sono 20 anni che cerco di spiegare cos’è, non interessa più a nessuno. Perché impazzite per tre settimane per canzoni mediocri?". Attacco di lesa maestà al Festival, forse anche un po’ gratuito, lo diciamo con onestà, perché in questo libro non ce l’abbiamo con Sanremo. Ma la risposta di Baudo è oltremodo stizzita: "I tedeschi non capiscono Sanremo. Sanremo è stato sempre richiesto dagli stranieri perché si facesse in chiave internazionale… tanto è vero che hanno inventato l’Eurocanzone che non ha nessun successo e viene fatto solo per la Germania. La tv tedesca produce programmi totalmente idioti. Dove stanno le cose non vere è presto detto: Non è vero che i tedeschi hanno inventato l’Eurocanzone, l’ha inventata la Ebu, il consorzio di cui sopra, di cui fa parte anche la Germania. Ovviamente è falso che
Viene fatto soltanto per la Germania. A parte il fatto che la Ebu non fa una coproduzione internazionale a beneficio di un solo paese (che vantaggio ne avrebbe? Anche per questo non sono stati fatti più i Giochi senza Frontiere), i paesi che l’hanno mandato in onda in diretta – come detto - erano 43 nel 2008 e 42 nel 2009, saranno ancora 45 nel 2011 e 2012. Più quelli extraeuropei che l’hanno acquistato in differita. E’falso che
Non ha nessun successo. 125 milioni di telespettatori parlano da soli.
Sanremo è sempre stato richiesto dagli stranieri", è anche questa un’affermazione falsa. La RAI mette a disposizione gratuita, su richiesta dell’EBU, la diretta della propria manifestazione canora. Ma le richieste arrivano solo da Albania, Kosovo e pochi altri Paesi.
Lo trasmettono le solite tv dell’est
. Da quando c’è stata la diaspora dei paesi dell’ex Unione Sovietica e della ex Jugoslavia, quella che l’Eurofestival sia una manifestazione soltanto per l’Est è un’altra leggenda gettonatissima. Un noto programma radiofonico nazionale ha un frequentatissimo blog. Dove si legge nel 2009: "Domani sera andrà in onda in Russia la finale dell’Eurofestival. Lo trasmetteranno le solite televisioni dell’Est che si trovano solo con il satellite oppure potete collegarvi al sito di Repubblica che ha deciso di regalarvi questa chicca. Noi vi facciamo ascoltare qualche pezzo per darvi un’idea di cosa vi aspetta. A parte il solito giudizio negativo preventivo, va sottolineata la chiosa
lo trasmetteranno le solite televisioni dell’est". Tve, Rte, Rtp, Bbc, Ard, France 3, RTBF, solo per citarne alcune, sono le tv di Spagna, Irlanda, Portogallo, Inghilterra, Germania, Francia, Belgio. Noti paesi dell’est europeo.
E’lento e macchinoso. Lo scrive sul suo blog a metà degli anni 2000 un noto cronista di musica di un quotidiano nazionale che da sempre pensa "tutto il male possibile (sono parole sue) della rassegna:
Il festival è talmente noioso e macchinoso che non ha mai richiamato in Italia più di 2 milioni di telespettatori (…)". Se c’è una rassegna che è l’esatto contrario della lentezza e della macchinosità è l’Eurovision Song Contest. Lo era già anche a metà degli anni’90, al quale il cronista si è fermato, figuriamoci adesso, che lo spettacolo non dura più di due ore per le semifinali e tre per la finale e dove ogni operazione è scandita al secondo proprio per non perdere tempo. Certo che poi, detto in un paese che ha un Festival che in quegli stessi anni, durava anche 5 ore per sera…
IL RILANCIO PARTE DA LONTANO
Il 2008 è l’anno che scuote le coscienze pigre italiane. Detto della partecipazione di Paolo Meneguzzi, che potrà piacere o meno ma indubbiamente è uno che vende – fa schizzare il tam tam sulla vicenda. Si torna a parlare della manifestazione e ancora di più quando è la rubrica del TG 2 Costume e Società a menzionarla, in relazione al debutto in concorso della tv di San Marino, consociata RAI. Così si scopre, per esempio, che alle selezioni indette dalla tv di San Marino, dirette dal musicista italiano Vince Tempera e da Little Tony, c’è una vasta fila di artisti italiani, alcuni anche noti. Vincerà una band del Titano, i Miodio, con buona pace dell’Italia, che in fondo se l’era meritato. Nella rubrica del TG2 si parla anche della Svizzera, delle due vittorie dell’Italia, della partecipazione dei Jalisse ma non si fa alcun accenno al perché ora l’Italia manchi.