Cavorra
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Attraverso l'accurato studio di documenti dell'epoca reperiti in archivi storici di mezza Italia, Cavorra di Antonio Ciano ci fornisce il vero ritratto dell'uomo che contribuì a trasformare l'unità d'Italia in un pasticcio storico.
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Anteprima del libro
Cavorra - Antonio Ciano
Cavorra
di Antonio Ciano
Illustrazione di copertina, basata su stampa di epoca risorgimentale, opera di Martina Gianello.
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
Progetto grafico e impaginazione: Sara Calmosi
ISBN 978-88-33464-85-5
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, 2019©
Saggistica – Briganti
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietata la riproduzione, anche parziale del testo, effettuata con qualsiasi mezzo, senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Antonio Ciano
CAVORRA
Edizioni
Sommario
Le persecuzioni
… E le aggressioni continuano
Don Giovanni Bosco perseguitato da Cavour
Carcerazione del cardinale Corsi
Il conte Avogadro malmenato dalla polizia di Cavour
Farini contro i toscani
Continuano le persecuzioni alla Chiesa, spunta un Roncalli
Sacrileghi latrocini in Umbria
Religiosi carcerati o perseguitati da Cavour
Carolina
… E nel Regno delle due Sicilie
Nenti sacciu, nenti vidi
Gaeta e Cavour
17 marzo e 2 giugno: due date storiche
Pinelli e le stragi nell’ascolano, nel teramano e nei territori oggi appartenenti al Lazio
La Revisione Storica
L’industria metallurgica
Costantino Nigra a Napoli
In risposta a Costantino Nigra
Il Sud prima dell’Unità: le società finanziarie
Conclusioni
Le persecuzioni
Tutti sanno che l’Ordine dei Gesuiti, da sempre, è stato innalzato, a volte, agli onori della Chiesa, e a volte è stato vituperato dai governi del mondo cristiano. Apprendiamo dall’opera di W.V. Angere, Storia della Compagnia di Gesù¹, che dalla Spagna i gesuiti vennero cacciati da Carlo III, per il quale i religiosi rappresentavano un ostacolo nella realizzazione dell’assolutismo monarchico: essi infatti avevano sempre preso posizione contro la filosofia regalista e avevano un forte legame con l’aristocrazia ostile alla politica del sovrano. Inoltre, il ministro Campomanes accusò falsamente i gesuiti di essere gli istigatori di una rivolta, inducendo Carlo III a credere che stessero complottando contro di lui. Tutti questi elementi concorsero a spingere il re ad emettere il decreto di espulsione il 27 febbraio 1767. Gli altri Stati borbonici imitarono presto l’esempio spagnolo: Ferdinando IV, spinto da Tanucci, espulse i gesuiti da Napoli e Sicilia nel novembre 1767 e il duca di Parma Ferdinando, consigliato da Du Tillot, li cacciò dai suoi stati nel febbraio 1768.
I Borbone, dobbiamo dirlo, soppressero la Compagnia di Gesù per motivi seri. Ferdinando IV di Borbone, con l’Editto Reale del 3 novembre del 1767, a seguito di una denuncia della Giunta degli Abusi, con la determinante approvazione del primo ministro del Regno, Bernardo Tanucci, fece confiscare gli immensi beni dei Gesuiti, il reddito e la vendita dei quali, tutti comprati dallo Stato, servirono a istituire le prime scuole pubbliche nell’intera penisola italiana, ospedali e caserme per l’esercito. Le scuole, prima, erano appannaggio dei religiosi, che formavano le giovani generazioni.
Secondo Bernardo Tanucci, la scuola doveva essere statale e laica. Fu steso anche un regolamento composto di sei articoli².
La confisca non fu violenta; anzi, ai monaci fu assegnata una pensione mensile di sei ducati, pari a 72 ducati annui. La cifra non era disprezzabile. Basti pensare che cento anni dopo, nel 1859, ai carabinieri e ai cacciatori del 13° battaglione spettava uno stipendio di 51 ducati e 83 grana annui³.
I preti non furono maltrattati, né vi furono violenze. I religiosi erano circa 800 e molti, non essendo regnicoli, furono sbarcati nei territori degli stati pontifici e accolti nei conventi romani. Non fu così in Piemonte e negli stati annessi, dove furono requisiti e saccheggiati quasi tutti i conventi, non solo gesuiti, ma di tutti gli ordini religiosi.
Ancora oggi nelle scuole italiane viene insegnato agli alunni che il Piemonte liberale diede la libertà alla penisola e soprattutto la liberò dalla tirannia del Papa e dei Borbone. Niente di più falso. Quella liberazione
fu invasione militare, una maledetta annessione e colonizzazione. Mai l’Italia conobbe barbarie più crudele, mai l’Italia conobbe tirannia aguzzina come quella del periodo post-risorgimentale. Mai la Chiesa di Roma conobbe umiliazioni e martirii come nell’età cavourriana e savoiarda. L’Armonia, giornale cattolico, nel 1860 illustrò e condusse un’interessantissima inchiesta sulla repressione in atto in Piemonte contro il Clero, contro la Chiesa Cattolica, contro i preti e i monaci. La Civiltà Cattolica ne riporta un sunto che noi, grati, prendiamo in visione per far conoscere quale e quanta poca libertà vigeva in quel regno.
Il 2 marzo del 1848 dal Regno di Sardegna furono espulsi i Gesuiti, ritenuti dai governanti il nemico feroce da abbattere per poter poi infrangere le varie forme di nazionalità allora esistenti in Italia. L’avvocato carbonaro Cesare Leopoldo Bixio, genovese, l’8 giugno del ‘48 perorando la causa di un suo progetto di legge alla Camera dei deputati torinese paragonò i Gesuiti alle vespe: «… i villici quando uccidono le vespe ardono e distruggono il vespaio perché non tornino» disse testualmente.
Chi era il nemico che insidiava il Regno di Sardegna nel suo progetto di invadere e colonizzare il resto d’Italia? Chi erano le vespe? Dove nidificavano gli alveari? La Pellicciari in Risorgimento da riscrivere⁴, avvalorando e rafforzando le nostre tesi espresse ne I Savoia e il massacro del Sud, dà la risposta ai quesiti: le vespe, secondo il deputato Bixio, erano da identificare con i Gesuiti e gli alveari da bruciare con le chiese e le case dell’Ordine in varie città. La maggioranza dei parlamentari subalpini, quasi tutti massoni, carbonari e liberali, erano sulla linea di pensiero di Bixio.
Gioberti, per la spietatezza con la quale si annullavano i diritti religiosi e le libertà fondamentali degli individui, se ne vergognò e chiese ai parlamentari piemontesi se era quella la generosità verso i sacri diritti della sventura. Il 10 giugno i liberal-massoni, alla Camera torinese, si scagliarono indecorosamente contro il vescovo di Nizza, reo, secondo i suoi denigratori, di aver negato una sepoltura cristiana ad un tale morto impenitente. Ma era solo un pretesto. L’orgia massonica s’era abbattuta sul parlamento torinese, i truculenti deputati della setta devastatrice si attenevano agli ordini dei Gran Maestri venerabili che eseguivano i dettami segreti della Gran Loggia di Londra. Bixio, Cornero, Valerio, Chenal, Sulis, Bottone, Bastian, Ferraris, Ravina si arrovellavano utilmente alla causa liberal-massonica.
Nel Parlamento torinese, ormai votato alla causa massonica, aleggiava la direttiva funesta di un’Italia da amministrare centralisticamente dai Savoia. Lo Stato più retrivo d’Italia avrebbe dovuto dare luce allo stivale! Al suo servizio la massoneria londinese mise uomini, denaro e mezzi, soprattutto denaro e oro.
Il 18 luglio alla Camera torinese si discusse e si votò la soppressione dell’ordine degli Oblati; il 25 agosto si decretò l’espulsione definitiva dei Gesuiti e delle Dame del Sacro Cuore dallo Stato. Il 15 settembre il ministro Pinelli scrisse una lettera arrogante e insolente all’Arcivescovo di Vercelli. Il 4 di ottobre fu pubblicata la legge sull’istruzione pubblica condannata dai vescovi e dal Papa.
Il 20 novembre, a Genova, ci furono dimostrazioni di piazza contro il clero, manovrate dal Governo che consigliò
agli ecclesiastici di lasciare la città.
L’8 dicembre, con una circolare, il Presidente del Consiglio Universitario proibì ai candidati di sottomettere ai vescovi la revisione delle tesi teologiche. Il 25 dicembre Rattazzi impose ai Vescovi un visto del Governo qualora il clero avesse voluto entrare in questioni politiche.
Il 1848 fu l’anno della guerra del Piemonte contro l’Austria, ma firmata la pace cominciò quella contro la Chiesa: a luglio 22 parroci di Genova protestarono per i ripetuti attacchi della stampa locale contro il clero; il 22 agosto alla Camera dei deputati