La psicobiografia di Hitler. Per andare oltre il mito ed il pregiudizio
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Recensioni su La psicobiografia di Hitler. Per andare oltre il mito ed il pregiudizio
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Anteprima del libro
La psicobiografia di Hitler. Per andare oltre il mito ed il pregiudizio - Franca Colonna Crupi
edizioni
© Tra le righe libri 2019
© Andrea Giannasi editore
Lucca marzo 2020
ISBN 9788832281224
www.tralerighelibri.it
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare al Dr Marco Vignolo Gargini per i suoi preziosi consigli e cooperazione; al Dr Roberto Cutajar, senza il loro contributo non avrei potuto scrivere la psico-biografia di Hitler.
Dedica
Bisognerebbe chiedersi del perché e per come si dibatta ancora tanto su Hitler e il nazismo, mentre altri dittatori e sistemi totalitari hanno provocato tragedie immani simili.
Un dittatore è, qualunque sia la sua veste politica, un essere umano che ostacola la libertà degli altri e questo è un crimine contro l’Umanità.
PREFAZIONE
Sangue è stato sparso prima d’ora, nei tempi antichi, prima che leggi umane avessero purificato e ingentilito la sorte; sì, e anche dopo, sono stati commessi delitti troppo terribili da udi-re.
William Shakespeare, La Tragedia di Macbeth, Atto III, sc. IV.
Adolf Hitler è stato possibile. Il Nazismo è stato possibile. Convergenze strutturali e sovrastrutturali hanno determinato l’avvento e l’ascesa nel XX° secolo di un’ideologia e del susseguente movimento politico populista, razzista e totalitario rappresentato da un leader. Storicamente, la Iª Guerra Mondiale produsse la caduta dell’impero austro-ungarico e il ridimensio-namento dello stato tedesco, determinando un vacuum all’in-terno del vecchio continente, non risolto dagli accordi inter-nazionali. La crisi economica mondiale, generata dal crollo di Wall Street del 1929, accentuò questa situazione di estrema precarietà. In epoche di recessione di solito si accrescono le fobie e i rancori già esistenti. La Germania, sconfitta ed umiliata dal Trattato di Versailles, era un paese allo sbando, con un regime democratico fragile. Temi ricorrenti nella cultu-ra tedesca, in primis l’antisemitismo, erano lì pronti a partorire un regime che si sarebbe fatto carico dell’astio e delle paure di un intero popolo. Mancava il leader, la persona capace di rappresentare questa sete di riscossa. Questa persona si incarnò in una figura tutto sommato banale, mediocre, insignificante quale fu quella di Adolf Hitler. Eppure questa figura, con-tornata da complici altrettanto disturbati
, fu in grado di imporsi, stravolgere il proprio paese e il mondo recando rovina ovunque.
La ricostruzione della vita e della carriera di Adolf Hitler è la psicobiografia che Franca Colonna Crupi ha realizzato, descri-vendo passo dopo passo la vicenda umana di un narcisista di-vorato dall’ipertrofia del proprio ego.
In questo libro possiamo seguire il farsi di un’esistenza legata indissolubilmente a un periodo storico particolare. Un paral-lelismo che oggi ci viene chiarito dall’analisi di una psiche individuale e collettiva in corsa sugli stessi binari.
La sorte di Adolf Hitler è indubbiamente segnata dalla perso-nalità dei genitori, dal milieu, dal corso che prenderà la storia agli albori del Novecento. Tutti questi elementi convergono in un’unica persona, un novello Macbeth, figlio del suo tempo, che spinse se stesso oltre ogni limite, infrangendo logica, razio-nalità e ragionevolezza.
Da una parte abbiamo Hitler, la cui infanzia e adolescenza vengono segnate da un padre violento, vessatorio, frustrante e da una madre iperprotettiva e accomodante, dall’altra un’epoca che lanciava segnali contraddittori, tra soluzioni liberali, egalitarie, rivoluzionarie in contrasto con derive autoritarie, dispotiche, oppressive. Quel mondo oscillante in un equilibrio vertiginosamente precario deflagrò andando in mille pezzi, sotto la spinta di regimi dittatoriali in urto con le nuove democrazie e la neonata Unione Sovietica. La stessa Germania fece il tentativo di aderire a un modello democratico, senza successo, per poi imboccare la via già percorsa dall’Italia di un blocco delle libertà individuali e politiche, dopo aver visto l’ingresso e l’ascesa di un movimento democraticamente eletto.
L’ambiguità dei modelli personali di Hitler, in fondo, rispec-chiava l’altra ambiguità geopolitica: sia Hitler che il mondo vivevano agli inizi del XX° secolo il disordine dato dall’as-senza di una conformazione stabile. I genitori di quel mondo somigliavano a quelli di Hitler, entrambi possedevano padri e madri deboli, incapaci di formare ed educare una famiglia
, un contesto bilanciato. Erano sostanzialmente anaffettivi.
La psicobiografia di Adolf Hitler va oltre lo studio puntuale del soggetto in questione, è un valido strumento per individuare in qualsiasi momento, anche l’attuale, gli elementi di crisi che gravano continuamente e decidono la nascita di un mostro
, una persona, un movimento che possono incarnare il caos e inquadrarlo a seconda delle esigenze contingenti.
Adolf Hitler è stato possibile. Il Nazismo è stato possibile. Possono essere possibili ancora, tenuto conto delle differenze storiche e culturali. Per questo ogni contributo che ci induce a riflettere ed esaminare la psiche di un personaggio storico così influente come Hitler va salutato con favore.
La psicobiografia di Adolf Hitler ci è utile, mai come adesso, per conoscere ed evitare che un passato tragico e brutale torni ad infestare la nostra terra con delle versioni aggiornate delle solite paure, dei soliti risentimenti.
Marco Vignolo Gargini
INTRODUZIONE
Nella sua monumentale biografia, Joakim Fest¹ definisce Hitler l’artefice di un pessimismo totale in relazione all’uomo ed al mondo
.
Hitler resta contemporaneo perché assume su di sè tutta l’energia di morte che non solo è il frutto decadente di una cultura e società ben definita storicamente, socialmente e poli-ticamente, ma anche l’espressione di movimenti psicodinamici inconsci collettivi e trasversali a tutte le culture.
Hitler resta immanente alla nostra cultura perché nei suoi riguardi si nutre una decisa resistenza insieme alla difficoltà ad ammettere che certi fenomeni sono inerenti alla natura umana.
Di qui il bisogno riparatorio di apostrofare come mostri
o folli
tutti coloro che deviano dal buonismo opportunista ed accomodante che ci vuole buoni, solidali, generosi
, tipico della nostra epoca e il risultato di un travisato bisogno di salvare l’immagine della creatura umana intesa come positiva e costruttrice.
Hitler è andato oltre la Storia, intesa come insieme di eventi che possono essere spiegati da un punto di vista razionale. La sua esistenza è diventata il paradigma di forze oscure che si preferirebbe ignorare e cacciare lontano dalla nostra consape-volezza, ma queste energie non appartengono né al divino, nè al paranormale, bensì alla natura dell’essere umano.
Il talento di Hitler probabilmente è consistito nell’essere la persona giusta
in un momento storico politico e sociale con-vulso, tragico e violento, in un contesto culturale che si alimen-tava di archetipi megalomani e si confrontava con profonde angosce e fobie collettive.
Sarebbe riduttivo sintetizzare così la parabola di Hitler e del Nazismo, l’uno complementare e funzionale all’altro, in una simbiosi perfetta.
Molti, certamente troppi. si sono identificati in lui, lo hanno seguito con fanatico bisogno di trovare risposte e soluzioni in un complicato gioco di seduzione reciproca.
Gli appellativi di mostro
e folle
riferiti ad Hitler ed as-sociati andrebbero aboliti: troppo spesso nel comune lessico si tende ad affibbiare queste etichette a tutti coloro le cui condotte inqualificabili ed indegne deviano decisamente da ciò che per convenzione consideriamo la normalità.
Ci dimentichiamo che la cosiddetta normalità
è soprattutto un dato culturale, cioè l’insieme dei principi e valori condivisi da una collettività identificata.
Spesso la normalità ha ben poco a vedere con l’etica, che è transculturale.
I mostri abitano l’inconscio individuale e collettivo, vivono nelle favole e nei miti, ma non esistono nella realtà. La parola mostro
è un simbolo in cui si condensano tutti gli aspetti che razionalmente non accettiamo della nostra umanità.
La follia è una distorsione dalla realtà oggettiva, ma non si può attribuire questo termine ai nazisti che agirono razional-mente, lucidamente e freddamente, consapevoli delle loro azio-ni.
Intorno a Hitler e associati è stato creato un mito, che ha condotto ad un’idealizzazione che finisce poi nell’enfatizza-zione, falsificando la reale natura e statura del personaggio.
Per i suoi detrattori intorno al personaggio di Hitler si è imbastita un’aurea oscura, funebre e tragica, dando origine ad un mito demoniaco paragonato all’Anticristo, al Messia Nero di una religione pagana. Così il fatto che Hitler sia soprav-vissuto dapprima alla Grande Guerra poi, asceso al potere, a circa quindici attentati, e che sia morto la notte di Valpurga²... insomma l’insieme di queste circostanze ha creato questo angelo nero, questo messia oscuro.
Per i suoi fautori Hitler era una figura ideale: la propaganda gli cucì addosso l’abito del ripristinatore dell’onore germanico, del puro eroe pronto ad immolarsi alla causa, al punto di rinunciare ad una sua vita personale. Tra le sue virtù, oltre al volontario celibato, si annoveravano: l’essere astemio, non fu-matore, vegetariano, amico fedele che chiedeva lealtà e dedi-zione assoluta.
Hitler non era né un demone, né un messia, né un salvatore, era un essere umano.
Studiando la sua esistenza trova conferma la visione di Erich Fromm, secondo cui, in sintesi, l’essere umano è l’unico essere vivente che trae gioia nell’infliggere dolore e sofferenza al suo simile:
«Il condizionamento opera facendo appello all'investimento egocentrico come il desiderio di nutrimento, di sicurezza, di lodi, di elusione della sofferenza. Negli animali, l'investimento egocentrico arriva a essere tanto forte che, con rinforzi ripetuti e intervallati in modo ottimale, si rivela più forte di altri istinti come il sesso o l'aggressione. Anche l'uomo, naturalmente, si comporta in armonia con il suo investimento egocentrico, ma non sempre, e non necessariamente. Spesso si lascia trascinare dalle sue passioni, le più abiette e le più nobili, ed è disposto a - e capace di - rischiare il suo interesse, la sua fortuna, la sua libertà e la sua vita nella ricerca dell'amore, della verità, dell'integrità - o per odio, avidità, sadismo, distruttività. È proprio per questa differenza fondamentale che il condizionamento non può essere una spiegazione sufficiente del comportamento umano.»³
Hitler non era isolato, non è stato il solo artefice dell’imma-ne tragedia determinata dal nazismo, la sua vita individuale era interconnessa profondamente al momento storico e politico che visse purtoppo da protagonista.
Non si può capire la sua vicenda se