Lucrezia Borgia
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Fin dagli undici anni fu soggetta alla politica matrimoniale collegata alle ambizioni politiche prima del padre e poi del fratello Cesare Borgia. Quando il padre ascese al soglio pontificio la dette inizialmente in sposa a Giovanni Sforza, ma pochi anni dopo, in seguito all'annullamento del matrimonio, Lucrezia sposò Alfonso d'Aragona, figlio illegittimo di Alfonso II di Napoli. Un ulteriore cambiamento delle alleanze, che avvicinò i Borgia al partito filofrancese, portò all'assassinio di Alfonso, su ordine di Cesare.
Dopo un breve periodo di lutto trascorso a Nepi con il figlio avuto da Alfonso, Lucrezia partecipò attivamente alle trattative per le sue terze nozze, quelle con Alfonso I d'Este, primogenito del duca Ercole I di Ferrara, il quale dovette, pur riluttante, accettarla in sposa.
Alla corte estense Lucrezia fece dimenticare la sua origine di figlia illegittima del papa, i suoi due falliti matrimoni e tutto il suo passato burrascoso; infatti, grazie alla sua bellezza e alla sua intelligenza, si fece ben volere sia dalla nuova famiglia sia dalla popolazione ferrarese.
Perfetta castellana rinascimentale, acquistò la fama di abile politica e accorta diplomatica, tanto che il marito arrivò ad affidarle la conduzione politica e amministrativa del ducato quando doveva assentarsi da Ferrara. Fu anche un'attiva mecenate, accogliendo a corte poeti e umanisti come Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Gian Giorgio Trissino e Ercole Strozzi.
Dal 1512, per le sventure che colpirono lei e la casa ferrarese, Lucrezia iniziò a indossare il cilicio, s'iscrisse al Terz'ordine francescano, si legò ai seguaci di San Bernardino da Siena e di Santa Caterina e fondò il Monte di Pietà di Ferrara per soccorrere i poveri.
Morì nel 1519, a trentanove anni, per complicazioni dovute ad un parto.
La figura di Lucrezia ha assunto diverse sfumature nel corso dei periodi storici. Per una certa storiografia, soprattutto ottocentesca, i Borgia hanno finito per incarnare il simbolo della spietata politica machiavellica e la corruzione sessuale attribuita ai papi rinascimentali. La stessa reputazione di Lucrezia si offuscò in seguito all'accusa di incesto, rivolta da Giovanni Sforza alla famiglia della moglie, a cui si aggiunse in seguito la fama di avvelenatrice, dovuta in particolare alla tragedia omonima di Victor Hugo, musicata in seguito da Gaetano Donizetti: in questo modo la figura di Lucrezia venne associata a quella di femme fatale partecipe dei crimini commessi dalla propria famiglia.
Ferdinand Gregorovius (Neidenburg, 19 gennaio 1821 – Monaco di Baviera, 1º maggio 1891) è stato uno storico e medievista tedesco famoso per i suoi studi sulla Roma medievale. È anche molto noto per i suoi Wanderjahre in Italien ("Pellegrinaggi in Italia"), i resoconti dei suoi viaggi in Italia tra il 1856–1877, in cinque volumi in cui descrive località, curiosità e personaggi d'Italia.
Traduzione a cura di Raffaele Mariano.
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Anteprima del libro
Lucrezia Borgia - Ferdinand Gregorovius
2020
DEDICA
A DON MICHELANGELO GAETANI DUCA DI SERMONETA
Onorevole Signor Duca ,
A dedicarle questo scritto mi mossero non solo eventi storici trattati in esso, ma altresì personali relazioni. Ed a Lei è piaciuto accogliere gentilmente ambo i motivi.
In questo libro Ella vedrà comparire antenati dell'antica e celebre casa sua, ma non in prospera luce. I Borgia sono stati nemici capitali dei Gaetani. E gran mercè per costoro, se schivarono quella rovina, che Alessandro VI e il suo formidabile figliuolo avevan loro giurata. Sermoneta con tutti i vistosi beni, appartenuti da tempo antichissimo alla casa Gaetani, furon dai Borgia rapiti. E per mano degli stessi gli avi suoi ebbero morte o dovettero prendere la via dell'esilio. Signora di Sermoneta divenne Donna Lucrezia. E poscia il figliuolo di lei, Rodrigo d'Aragona, fu, come Duca, investito delle possessioni dei Gaetani.
Da quel tempo sono oramai trascorsi secoli; ond'Ella può perdonare le prepotenti manomissioni de' diritti della Casa sua ad una donna bella e sventurata. Già la Bolla di Giulio II, ch'Ella, anche per riguardo alla perfezione calligrafica, serba qual gioiello nell'Archivio della famiglia, valse a ricostituir ben presto la casa dei Gaetani. E da quel tempo questa conservò sempre il retaggio de' padri gloriosi. E si deve poi a Lei, se gli aviti possedimenti, grazie ad un governo esemplare, siano oggidì tornati di nuovo in fiore.
Il persistere delle tradizioni storiche rispetto alle cose e agli uomini esercita in Roma indicibile attrattiva su tutti i cultori della storia. Su me ha in particolar modo avuto influenza potentissima l'osservare come perdurino caratteri proprii di un passato storico in famiglie romane antichissime, ma che tuttora sussistono, che ancora oggi sono vegete e floride; e l'aver potuto entrare con queste in personali relazioni. I Colonna, gli Orsini e i Gaetani si mostraron meco sempre benevoli. E sempre queste tre celeberrime famiglie mi furono larghe di ogni desiderabile agevolezza. Ed Ella, signor Duca, fu primo in Roma ad aprirmi senza riserva gli archivii della Casa sua. Poi per lunghi anni Don Vincenzo Colonna, del quale serberò eterna memoria, mi concesse pari favore, sino a che l'onorando vegliardo non morì nel Castello di Marino.
I Gaetani, gli Orsini e i Colonna s'erano ritirati da un pezzo dal teatro della storia di Roma. I primi anzi se ne allontanarono molto più presto degli altri. Venne però giorno, in cui Ella, illustre Duca, doveva far rientrare la sua antica stirpe nella storia della città. Fu il giorno, per quella il più onorevole, che, caduto il secolare dominio del Papato, Ella, a capo del Governo cittadino, depose nelle mani di Re Vittorio Emanuele, a Firenze, l'atto di dedizione del popolo romano. Momento memorando, che chiuse per sempre un lungo periodo della vita della città, iniziandone uno novello! Esso vivrà eterno nella storia de' Gaetani accoppiato al nome suo, e renderà quest'ultimo indelebile dalla memoria de' Romani.
Di quell'avvenimento in Roma io non fui testimone. Pure, parlandone, mi torna in mente tutto quel moto e quella progressiva attività pubblica e privata, alla quale mi fu dato assistere per lunga serie d'anni. Devo a Lei e alla liberale Casa sua l'esser rimasto per sì gran tempo nel più vivo contatto con la storia di Roma. E di tutte le relazioni, che ebbi l'onore di stabilire con insigni famiglie d'Italia, quelle che alla sua mi legano, sono, senza dubbio, le più antiche e le più personali.
Vidi già venir su i suoi nobili figliuoli; e veggo ora con gioia la schiera de' piccoli nipoti, che intorno a Lei, nuovo fondatore della famiglia, comincia a crescere rigogliosa. Possano prosperare, e perpetuare ancora per lunga e felice età la sua antichissima schiatta, e nel più lontano avvenire arricchirla ancora di geste e nomi d'uomini e donne nobili e famosi.
Con tali voti Le offro questo scritto ornato del nome suo. So che Ella lo accoglierà con bontà, che non sarà da meno dell'animo semplice e senza pretensione, col quale io glielo presento. In verità io intendo dare per esso un segno da me desiderato alla casa Gaetani; segno di riconoscente ricordanza, di profonda venerazione per Lei, di devozione grande che mai sempre mi legherà all'illustre famiglia sua.
Roma, 9 marzo 1874.
Gregorovius.
INTRODUZIONE
Lucrezia Borgia è la figura della più sciagurata delle donne nella storia moderna. È forse tale, perchè fu insieme la più colpevole? Ovvero le tocca soltanto portare il peso dell'esecrazione, che il mondo per errore le ha inflitto? Perchè il mondo, in verità, si diletta dello spettacolo di virtù e di colpe in persone tipiche, appartengano esse al mito o alla storia.
Quelle domande aspettano ancora una risposta.
I Borgia stimoleranno per lungo tempo lo storico e lo psicologo alla ricerca. Un amico di molto ingegno mi domandava un giorno, come accadesse che tutto quanto si riferisce ad Alessandro VI e a Cesare e a Lucrezia Borgia, e ogni fatto della vita loro e ogni lettera nuovamente scoperta dell'uno o dell'altro di essi, ecciti la curiosità nostra più vivamente che non facciano simili cose rispetto ad altri individui, storicamente anche più importanti. Io non conosco spiegazione migliore di questa: la Chiesa di Cristo è pe' Borgia il loro fondo stabile; su questo sorgono e crescono; su questo si mantengono; e l'acuta opposizione della natura loro col concetto del santo gl'impronta di un carattere demoniaco. I Borgia sono la satira di una forma o di un concetto grande del mondo ecclesiastico, che essi abbattono o negano. Le basi, sulle quali s'elevano le loro figure, spiccano in alto, e i visi loro sono pur sempre tocchi dalla luce dell'ideale cristiano. Mediante questa noi li vediamo e riconosciamo. L'impressione morale delle azioni loro a noi non giunge che attraverso quel mezzo, tutto penetrato di concetti religiosi. Senza ciò, i Borgia, posti in loco profano, scenderebbero al livello di molti altri uomini della stessa tempra, e presto finirebbero per essere non più che singoli nomi di una grande classe.
Di Alessandro VI e di Cesare v'è una storia: di Lucrezia Borgia invece abbiamo appena qualcosa più di una leggenda. E, stando a questa, essa non è che una Menade, l'ampollina del veleno in una mano, nell'altra il pugnale: una Furia, con insieme i lineamenti belli e dolcissimi di una Grazia.
Vittor Hugo l'ha rappresentata qual mostro morale. E, come tale, fa ancora oggidì il giro de' teatri d'Europa. E così pure la concepisce tuttora l'immaginazione degli uomini in generale. Chi ami la vera poesia condannerà, come un grottesco traviamento dell'arte poetica, la Lucrezia Borgia, il dramma mostruoso del romantico poeta. Quanto poi al conoscitore della storia, questi, di certo, potrà sorriderne, non senza, per altro, scusare al tempo stesso lo spiritoso poeta della ignoranza e della credulità di lui ad una tradizione ammessa dal Guicciardini in poi.
Il Roscoe aveva già posto in dubbio siffatta tradizione e tentato confutarla. L'apologia scritta da lui venne dagl'italiani, per amor di patria, accolta con grato animo. E fra loro stessi s'è andato propagando negl'ultimi tempi un moto di reazione contro quella comune maniera di rappresentarsi la Lucrezia.
La miglior critica della leggenda non poteva esser fatta che ne' luoghi, ove sussiste il più gran numero di memorie e documenti relativi alla vita di lei: Roma e Ferrara; poi Modena e Mantova, ove trovasi nell'una l'Archivio degli Este, nell'altra quello dei Gonzaga. Alcuni scritti d'occasione mostrarono, che la questione sollevata continuava ad essere dibattuta ed esigeva una soluzione.
Ai tempi nostri scriveva primieramente di nuovo la storia de' Borgia Domenico Cerri nel suo: Borgia, ossia Alessandro VI papa, e i suoi contemporanei, Torino, 1858. Un anno dopo, Bernardo Gatti pubblicava in Milano le lettere di Lucrezia al Bembo. Nel 1866 il marchese G. Campori di Modena diè nel fascicolo di settembre della Nuova Antologia un breve scritto: Una vittima della storia - Lucrezia Borgia. E nel 1867 venne alla luce quello di monsignor Antonelli ferrarese: Lucrezia Borgia in Ferrara, sposa a Don Alfonso d'Este - Memorie storiche. Ed un altro opuscolo: Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara, Milano, 1869, fu quindi pubblicato da Giovanni Zucchetti di Mantova. Intendimento di tutti questi autori fu di schiarire storicamente la leggenda di Lucrezia, e di fare un'apologia della sventurata donna.
Anche altri non Italiani, sopra tutto Francesi e Inglesi, cooperarono all'intento medesimo. Armando Baschet, al quale dobbiamo alcune meritevoli pubblicazioni diplomatiche, annunziava nel suo Aldo Manuzio, Lettres et Documents, 1475 - 1515, Venezia, 1867, che da anni preparava un'opera sulla vita di madonna Lucrezia Borgia, e che all'uopo aveva raccolto grande copia di documenti. Sciaguratamente il lavoro di codesto esimio conoscitore di parecchi Archivii d'Italia non è sin qui apparso; cosa che per mia parte deploro, senza però rinunziare alla speranza che il Baschet sciolga un giorno la sua promessa.
Frattanto vedeva la luce a Londra nel 1869 un libro, il primo abbastanza esteso, sull'argomento: Lucrezia Borgia Duchess of Ferrara, a Biography illustrated by rare and unpublished documents, di Guglielmo Gilbert. Disgraziatamente il manco di scienza e di metodo diminuisce il valore di questo libro, utile, del resto, che, come discendente inglese del libro del Roscoe, richiamò su di sè una certa attenzione.
Il torrente delle apologie, fatto oramai fiumana, produsse in Francia una delle più architettate manipolazioni che siano mai sbocciate nel campo della letteratura storica. L'Ollivier, un Domenicano, pubblicò nel 1870 la prima parte di un libro: Le pape Alexandre VI et les Borgia. È l'estremo opposto fantastico del dramma di Vittor Hugo. L'Hugo maltrattò la storia a fin di ottenere un mostruoso morale per l'effetto scenico; non la falsò meno l'Ollivier con l'intenzione contraria affatto. Se non che i tempi, in che i frati Domenicani imponevano al mondo i loro favolosi libri storici, ormai non è più possibile ripristinare. Il ridicolo romanzo dell'Ollivier fu senza tregua confutato sin da' più rigidi rappresentanti della Chiesa: primieramente dal Malagne nella Revue des questions historiques (Parigi, aprile 1871 e gennaio 1872); poi dalla Civiltà Cattolica, giornale della Compagnia di Gesù. Questa pubblicò il 15 marzo 1873 un articolo, nel quale l'autore abbandona la difesa del carattere morale di Alessandro VI, come quello che non è più dato poter salvare in presenza di documenti indubitabili.
L'articolo si fondava sul Saggio di Albero genealogico e di Memorie su la famiglia Borgia, specialmente in relazione a Ferrara, quivi pubblicato nel 1872 da L. N. Cittadella, Bibliotecario della Comunale di quella città. Il Saggio segnò notevole progresso ne' modi di schiarire la storia della famiglia Borgia, abbenchè non potesse essere scevro d'errori.
Sullo scorcio del 1872 mi posi anch'io nella serie degli scrittori enumerati. Dopochè nel 1870 fu apparso il volume della mia Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, che comprende i tempi di Alessandro VI, volli io pure portare il mio contributo romano alla storia dei Borgia. Nelle ricerche da me fatte negli Archivii d'Italia ero già venuto in possesso di molti documenti relativi ai Borgia. Ma non tutto potei mettere a profitto nella Storia della città di Roma. Epperò mi proposi impiegare il prezioso materiale in una monografia, che poteva avere per soggetto principale Cesare o la sorella.
Mi decisi per Madonna Lucrezia per motivi varii, il primo de' quali estrinseco, e fu questo. Nella primavera del 1872 nell'Archivio de' Notai al Campidoglio mi capitò in mano il Protocollo di Camillo de Beneimbene, per moltissimi anni notaio di fiducia di Alessandro VI. In quel voluminoso manoscritto scoprii un tesoro insperato. Avevo innanzi un'intera e lunga serie di documenti autentici, sino allora sconosciuti. Vi trovai tutte le tavole nuziali di Donna Lucrezia e molti altri pubblici contratti, che si riferiscono alle più intime faccende dei Borgia. Nel novembre 1872 lessi, a proposito di questo Protocollo, una memoria nella Sezione storica della Reale Accademia di scienze di Monaco, che fu pubblicata nel Bollettino delle tornate. Il contenuto de' documenti da quello estratti gettava nuova luce sulla storia della famiglia Borgia, intorno alla quale appunto allora il Cittadella aveva pubblicato la genealogia innanzi citata.
A tali fatti s'aggiunsero anche altre ragioni per determinarmi a scrivere di Donna Lucrezia. La storia politica di Alessandro VI e di Cesare era già stata da me largamente trattata e nuovamente esposta; ma di Lucrezia non m'ero occupato che solo alla lontana. E la figura di costei m'attraeva, come qualcosa di misterioso, che portava nel seno suo una contraddizione non spiegata e che voleva essere sciolta.
Io mi posi all'opera senza intenzione preconcetta. Non intendevo scrivere un'apologia, ma in rapidi tratti una storia di Lucrezia. E a me era per di più concesso fermarmi soprattutto sul periodo della vita di quella in Roma, ch'è pure il periodo veramente importante rispetto all'enimma non ancora risoluto. Volevo vedere quale specie di figura s'andrebbe formando tra le mie mani, ove facessi di Lucrezia Borgia il soggetto di una trattazione storica nel modo più rigoroso e sicuro che mai si potesse, appoggiandomi cioè a' documenti.
Raccolsi gli altri materiali necessarii. Feci ricerche ne' luoghi, ove quella donna aveva vissuto. Andai ripetute volte a Modena e a Mantova. Gli Archivii colà esistenti sono tesori inesausti, massime per la storia della Rinascenza, e anche di lì trassi materiali copiosissimi. Come sempre, vi trovai persone amiche, pronte a prestarsi per me; e così in Mantova il signor Zucchetti, sino a poco tempo fa direttore dell'Archivio dei Gonzaga, e il signor Stefano Davari, cancelliere del medesimo.
Ma la più ricca mèsse cavai dall'Archivio di Stato degli Este in Modena. Il signor Cesare Foucard n'è direttore. L'egregio uomo s'adoperò per l'intento mio con una liberalità veramente degna di un successore del Muratori in quell'ufficio. Egli mi agevolò il lavoro in ogni maniera possibile. Da un giovane impiegato dell'Archivio, il signor Ognibene, egli fece prima ordinare il gran numero di lettere e dispacci che potevano servirmi, e me ne consegnò quindi il catalogo, e mi provvide anche di molte copie. E per questo motivo se lo scritto presente ha qualche merito, una parte non piccola ne va dovuta alla bontà del Foucard.
Anche in altri luoghi, in Nepi, Pesaro e Ferrara, ebbi schiarimenti e trovai le più amichevoli cooperazioni. Devo al signor Cesare Guasti dell'Archivio di Stato di Firenze le lunghe e faticose copie delle importanti lettere di Lorenzo Pucci, da lui fatte fare per me.
Il materiale, del quale disponevo, non poteva, come è naturale, dirsi intero e compiuto; era pur sempre abbondevole e nuovo. Una piccola parte soltanto n'ho aggiunta al libro, come Appendice di documenti. E di questi non pubblico se non quelli che erano sin qui inediti. Per mezzo di essi il lettore ha in mano le prove di ciò che dico. Essi serviranno fors'anco di preservativo contro gli assalti di tali, che, a quanto preveggo, cercheranno anticipatamente in questo scritto una intenzione odiosa. Ad interpetrazioni cosiffatte non risguarderò più che tanto, avvegnachè il libro stesso mostri a sufficienza l'intenzione mia. Questa non fu altra che quella dello storico in generale. Io ho sostituito la storia ad un romanzo.
Ho dato nello scritto al periodo della vita di Lucrezia in Roma maggior peso che non a quello in Ferrara. Ciò è perchè quest'ultimo, se anche in modo insufficiente, pure è già stato trattato; mentre invece il primo è rimasto essenzialmente leggendario. Avendo composto il mio libro, fondandomi rigorosamente e sempre sopra documenti, mi fu dato, per quel ch'io penso, tentare un metodo di trattazione, mercè il quale venisse di per sè fuori un carattere proprio del tempo con la impronta della più concreta personalità.
LIBRO PRIMO
LUCREZIA BORGIA IN ROMA
I.
La stirpe spagnuola dei Borja - o Borgia, come usano pronunziare gl'Italiani - fu ricca d'individui singolari. La natura le fu larga di qualità sontuose: bellezza di forme, forza, intelligenza e quella energia di volontà, che costringe la fortuna, e grazie alla quale Cortez e Pizarro e altri avventurieri spagnuoli divennero grandi.
Pari agli Aragona, anche i Borgia furono in Italia conquistatori. Quivi ottennero onori e potenza; ebbero efficacia profonda sui destini di tutto il paese; contribuirono a spagnoleggiarlo; e vi si propagarono copiosamente. Pretendevano discendere dagli antichi re d'Aragona. Pure delle origini dei Borgia si sa tanto poco, che la storia loro comincia appena col vero fondatore della casa, Alfonso, il cui padre talvolta è chiamato Juan, tal'altra Domenico, e della cui madre Francesca è ignoto il nome di famiglia.
Era nato nel 1378 a Xativa presso Valenza. Qual secretario intimo fu al servizio di re Alfonso d'Aragona, e divenne vescovo di Valenza. Con colui andò a Napoli, ove quel principe geniale, si assise sul trono. Fu fatto cardinale nel 1444.
La Spagna, uscita appena dalle sue guerre di religione, cominciava a venir su in grandezza di nazione e ad acquistare significazione europea. Andava ora in cerca di quel che innanzi aveva negletto: porsi anch'essa come attrice in Italia, cuore del mondo latino e pur sempre centro di gravità della politica e della civiltà d'Europa. La Spagna s'impossessò del Papato e dell'Impero. Di là vennero prima i Borgia sulla Santa Sede; di là venne più tardi Carlo V ad assidersi sul trono imperiale. Dalla Spagna venne pure Ignazio Loyola, il fondatore della più potente di tutte le sètte di natura politico - ecclesiastica, che la storia abbia mai vista.
Alfonso Borgia, uno de' più fervidi avversarii del Concilio di Basilea e degli sforzi di riforma della Germania, divenne papa nel 1455 col nome di Callisto III. Numeroso il parentado suo; e già in parte venuto a Roma sin da quando egli stesso come cardinale vi s'era stabilito. Componevasi originariamente delle tre famiglie di Valenza, tra loro congiunte, i Borgia, i Mila - o Mella - e i Lanzol. Delle sorelle di Callisto, Caterina Borgia era moglie di Giovanni Mila, barone di Mazalanes, e madre del giovane Gianluigi; e Isabella aveva sposato Jofrè Lanzol, ricco gentiluomo di Xativa, ed era madre di Pierluigi e Rodrigo e di parecchie figliole. A questi due nipoti lo zio diede per adozione il proprio nome di famiglia. E di Lanzol divennero Borgia.
Callisto III sollevò due di casa Mila alla dignità cardinalizia; il vescovo Giovanni di Zamora, morto poscia il 1467 in Roma, ove, in Santa Maria del Monserrato, se ne vede tuttora il mausoleo; e quel più giovane Gianluigi. Nell'anno stesso 1456 anche Rodrigo Borgia ricevette la porpora. Altri membri di casa Mila si stabilirono in Roma, come Don Pedro, la cui figliola Adriana Mila incontreremo nelle più intime relazioni con la famiglia dello zio suo, Rodrigo.
Delle sorelle dello stesso Rodrigo, Beatrice s'era sposata con Don Ximenes Perez de Arenos; Tecla con Don Vidal de Villanova; e Giovanna con Don Pedro Guillen Lanzol. [1] Tutte rimasero in Spagna. Di Beatrice abbiamo una lettera da Valenza al fratello, appena creato papa. [2]
Rodrigo Borgia aveva 25 anni, quando ricevette la dignità di cardinale. Alla quale un anno dopo accoppiò anche l'alto ufficio di Vicecancelliere della Chiesa Romana. Il fratello Don Pierluigi non lo superava in età che di un anno. Callisto elevò questo giovane valenzano ai massimi onori di nepote. Dopo d'allora comincia a mostrarsi il fenomeno di codesta creazione del Vaticano: un principe nepote, nel quale il Papa mira a concentrare ogni potere civile. Questo diviene il suo condottiero, il suo luogotenente, il custode del suo trono, e da ultimo l'erede de' beni suoi. A lui è permesso di farsi con la forza padrone di territorii nell'ambito dello Stato della Chiesa e di aggirarsi quale angelo sterminatore fra tiranni e repubbliche, per fondare una dinastia, nella quale il fugace momento del non ereditario Papato s'eterni.
Callisto fece Pierluigi capitan generale della Chiesa, prefetto della Città, duca di Spoleto e vicario di Terracina e Benevento. In questo primo nepote spagnuolo è anticipatamente abbozzata la carriera, che descriverà poi Cesare Borgia.
Gli Spagnoli, sinchè Callisto visse, furono in Roma onnipotenti. Soprattutto dal regno di Valenza ne venivan giù a torme a far fortuna alla Corte del Papa, come monsignori e scrittori, capitani e intendenti, o in altro modo pur che fosse. Ma Callisto III morì il 6 agosto 1458; e già la vigilia Don Pierluigi con pena e stento erasi fuggito da Roma, ove la nobiltà sin allora oppressa, i Colonna e gli Orsini s'eran levati contro gli odiati stranieri. Poco dopo, nel dicembre di quell'anno, il giovane avventuriero fu colto da improvvisa morte a Civitavecchia. Niuno può dire, se Pierluigi Borgia fosse ammogliato o lasciasse discendenti. [3]
Il cardinal Rodrigo pianse la perdita del fratello, forse unico ed a lui molto caro. Ma ne raccolse l'eredità; e d'altra parte l'alto stato suo nella Curia, pel mutare del Papa, non fu scosso punto. Come Vicecancelliere abitava nel quartiere Ponte una casa, che fu già la Zecca. E ne fece uno de' più ragguardevoli palazzi di Roma. L'edifìzio con due corti, i cui portici primitivi al pianterreno sono ancora riconoscibili, era costrutto a forma di castello, come il palazzo di Venezia, a un dipresso dello stesso tempo. Ma nè per bellezza di disegno nè per spaziosità il palazzo Borgia reggeva al paragone con quello di Paolo II. Nel corso del tempo subì alquante modificazioni. Oggi, e già da gran pezza, appartiene agli Sforza Cesarini.
La vita privata di Rodrigo durante il Pontificato di quattro papi, successori di Callisto, Pio II, Paolo II, Sisto IV e Innocenzo VIII, è piena d'oscurità. Memorie del tempo non ve ne sono, o ne abbiamo qualche frammento appena.
Codesto Borgia, uomo di bellezza e forza singolari, sin nella più tarda età sua fu dominato da inesauribile sensualità. Fu questo il demone della sua vita, dal quale non potè affrancarsi mai. Una volta coi suoi eccessi suscitò la collera di Pio II. Un monitorio di costui scritto da' bagni di Petriolo agl'11 giugno 1460 è il primo barlume sulla vita privata di Rodrigo. Il Borgia aveva allora 29 anni. Trovavasi nella vezzosa e seducente Siena, ove anche il Piccolomini aveva trascorso la giovanezza, certo, non da santo. Colà un giorno dispose un baccanale, di cui la lettera del Papa ci porge appunto una descrizione.
Amato figliolo. Quando, or sono quattro giorni, convennero negli orti di Giovanni de Bichis parecchie donne di Siena, dedite alla vanità mondana, la dignità tua, come abbiamo appreso, poco memore dell'ufficio che copri, s'intrattenne con esse loro dalle 7 sino alle 22 ore. Dei tuoi colleghi avesti a compagno tale, cui se non l'onore della Santa Sede, certo l'età avrebbe dovuto ricordare il dover suo. A quanto abbiam sentito, costì si ballò dissolutamente; costì non una delle attrattive d'amore fu risparmiata, e il contegno tuo non fu diverso da quello che se fossi stato della schiera dei giovani mondani. Ciò che costì occorse il pudore impone tacere; imperocchè è indegno del tuo grado non solo il fatto, ma insino il nome suo. I mariti, i genitori, i fratelli, i parenti delle giovani donne e delle donzelle intervenute non furono ammessi, perchè il piacer vostro potess'essere tanto più sfrenato. Voi soltanto, con pochi domestici, v'incaricaste di dirigere e animare quei cori. Dicesi, che oggi in Siena d'altro non si parli che della frivolezza tua, diventata la favola di tutti. Certo è che qui, in questi bagni, ove il concorso di ecclesiastici e secolari è grande, tu sei il discorso del giorno. Il nostro dispiacere è indicibile; poichè questo torna a disdoro dello stato e dell'ufficio sacerdotale. Di noi si dirà che ci si arricchisce e aggrandisce, non perchè meniamo vita illibata, ma perchè ci procuriamo i mezzi a sodisfare il piacer nostro. Di qui il disprezzo per noi dei Principi e delle Potenze, e il sarcasmo quotidiano dei laici. Di qui pure il rimprovero per la nostra propria maniera di vivere, allorchè ci facciamo a riprovare quella degli altri. Anche il Vicario di Cristo è involto nel disprezzo medesimo, avvegnachè sembri ch'ei si contenti di tale stato di cose. Tu, amato figliolo, presiedi il Vescovado di Valenza, il primo della Spagna; tu sei anche Cancelliere della Chiesa; e, ciò che rende la condotta tua tanto più meritevole di biasimo, sei col Papa tra i cardinali, uno dei consiglieri della Santa Sede. Ce ne rimettiamo al tuo proprio giudicio, se sia conveniente per la dignità tua lusingar fanciulle, mandar frutta e vino a quella che tu ami, e l'intero giorno non ad altro pensare che ad ogni forma di voluttà. Per cagion tua noi riceviam censura; si vitupera la felice memoria di tuo zio Callisto, che, nel giudicio di molti, ebbe torto di coprirti di tanti onori. Se cerchi scusa nell'età, non sei più tanto giovane da non comprendere quali doveri la dignità tua t'imponga. Un cardinale deve essere irreprensibile, un modello di condotta morale agli occhi di tutti. E qual giusto motivo abbiamo poi d'irritarci, se i Principi della terra ci fregiano di titoli poco onorevoli, se ci contrastano il possesso dei nostri beni e ci costringono a sottometterci ai comandamenti loro? In verità codeste ferite ce le portiamo noi stessi, e da noi stessi ci apparecchiamo siffatti mali, scemando ogni giorno più con le azioni nostre l'autorità della Chiesa. Il nostro castigo in questo mondo è la vergogna; e nell'altro il patimento condegno. Possa adunque la prudenza tua porre argine a siffatte vanità, e tener in vista la dignità tua, e non volere che tra mogli e fanciulle ti si apponga il nome di galante. Imperocchè, ove fatti simili avessero a ripetersi, dovremmo costretti significare, che sono occorsi senza voler nostro e con nostro dolore; e la censura nostra non sarebbe senza tua ignominia. Noi ti abbiamo amato sempre; e ti tenemmo degno della protezione nostra, come uomo che rivelava natura seria e modesta. Opera dunque in guisa che ci sia dato mantenere cosiffatta opinione: e nulla può meglio a ciò contribuire che l'usare un genere di vita ordinata. L'età tua, che promette ancora miglioramenti, ci consente di ammonirti paternamente. Petriolo, 11 giugno 1460.
[4]
Pochi anni più tardi, sotto il reggimento di Paolo II, lo storico Gasparre da Verona schizzava così il ritratto del cardinal Borgia: È bello; ha sguardo grazioso e gaio, ed eloquio ornato e dolce. Ove appena vegga donne belle, le eccita in modo quasi meraviglioso all'amore, e a sè le attira piu che calamita il ferro.
Temperamenti, come quello disegnato da Gasparre, non mancano: sono gli uomini della natura fisica e morale di un Casanova e di un Reggente di Orléans.
La bellezza di Rodrigo, anche essendo già papa, è decantata da molti dei contemporanei suoi. Nel 1493 Jeronimo Porzio diceva: "Alessandro è alto di statura; di colore medio; nero ha l'occhio e le labbra turgidette. La sua salute è rigogliosa; egli sopporta, più che si possa immaginare, fatiche d'ogni specie. È straordinariamente facondo; e ogni modo men che civile gli ripugna. [5]
La potenza di questo felice temperamento consisteva, a quel che pare, nella proporzione di tutte le forze. Derivava da questa la gioconda serenità della natura sua. Nulla è di fatto più falso del modo in che d'ordinario siam soliti rappresentarci questo Borgia, come uomo tenebroso e mostruoso. Anche il celebre Giasone Maino di Milano lodava in lui l'elegante aspetto, la fronte serena, lo sguardo regale, il viso esprimente insieme liberalità e maestà, la geniale ed eroica compostezza di tutta la persona.
II.
Una romana, Vannozza Catanei, verso l'anno 1466 o 67, fu vittima della potenza magnetica del cardinal Rodrigo. Sappiamo che era nata nel luglio 1442; ma nulla delle attenenze di famiglia. Autori del tempo le danno anche i nomi di Rosa e Caterina; ma essa stessa in documenti autentici si chiamò Vannozza Catanei. Abbenchè il Giovio tenga che il suo nome di famiglia fosse Vanotti, ed esistesse in effetto in Roma una famiglia popolana dei Vanotti; pure è asserzione erronea la sua. Vannozza era piuttosto l'abbreviazione in uso di Giovanna. E così ne' documenti di quel tempo s'incontra una Vannozza di Nardis, una Vannozza di Zanobeis, De Pontianis, e altre.
In Roma, come in Ferrara, Genova e altrove, v'era una famiglia Catanei. Questo nome così frequente venne dal titolo di Capitaneus. In un istrumento notarile dell'anno 1502 il nome dell'amante di Alessandro VI è scritto ancora nella sua forma antica: Vanotia de Captaneis.
Il Litta, al quale l'Italia deve la grande opera sulle sue famiglie storiche, - opera, malgrado degli errori e difetti, veramente ammirabile, - espresse l'opinione che Vannozza appartenesse alla casa dei Farnesi, e fosse una figlia di Ranuccio. Anche ciò è intieramente erroneo. Negli scritti del tempo questa donna vien chiamata: Madonna Vannozza de casa Catanei.
Niun contemporaneo ha notato le qualità, mercè le quali fu dato alla Vannozza di legare si fortemente il più lussurioso dei cardinali da divenir madre di parecchi dei figlioli da lui riconosciuti. Liberi noi di raffigurarcela come una di quelle possenti e voluttuose figure di donne, quali ancora se ne vedono a Roma. Nulla in loro delle grazie della donna ideale propria alla pittura umbra. Hanno però qualcosa della grandiosità di Roma. Giunone e Venere sembrano in esse accoppiate insieme. S'accosterebbero agl'ideali di Tiziano e di Paolo Veronese, se la negra chioma e il colorito più bruno da quelli non le allontanassero. Capelli biondi e rubei sono stati sempre rari fra' Romani.
Senza dubbio, Vannozza fu piena di bellezza e di focosa sensualità; senza che non avrebbe cotanto acceso un Rodrigo Borgia. Similmente il suo spirito, comunque privo di coltura, doveva possedere energia non comune; altrimenti, non si comprende nemmeno come sia riuscita a mantenere la relazione sua con colui.
Il tempo indicato segna certamente il cominciare di questo legame, massime se dobbiamo aggiustar fede allo storico spagnuolo Mariana, il quale dice, che Vannozza fu madre di Don Pierluigi, il maggiore dei figli di Rodrigo. Ora in un istrumento notarile del 1482 codesto figliolo del cardinale vien chiamato giovanetto - adolescens, - il che fa supporre un'età di 14, se non forse 15 anni. [6]
Non sappiamo in quali condizioni Vannozza vivesse, quando conobbe il Borgia. Difficilmente poteva aver appartenuto alla classe in Roma numerosa, e tutt'altro che spregiata, delle cortigiane di alto stato, le quali, grazie al favore degli adoratori loro, menavano vita splendida e lussuriosa. In tal caso sarebbe stata al tempo suo famosa; e novellieri ed epigrammisti n'avrebbero detto alcunchè.
Il cronista Infessura, che dovette conoscere personalmente Vannozza, racconta che Alessandro VI, volendo crear cardinale il suo bastardo Cesare, fece affermare da falsi testimoni esser quegli legittimo figliolo di un tal Domenico d'Arignano; ed osserva su tal proposito, che il Papa aveva maritata Vannozza appunto con quest'uomo. La testimonianza di un contemporaneo e romano ha qualche peso. Nulladimeno niun altro scrittore, eccetto il Mariana, che evidentemente si affida all'Infessura, fa menzione di Domenico; e presto vedremo, che per lo meno non si può parlare di un matrimonio legalmente riconosciuto di Vannozza con quest'uomo ignoto. Essa era già stata lungo tempo l'amante del cardinale, prima che questi le désse un marito officiale per coprire la sua propria relazione e agevolarla insieme. Questa difatti continuò, anche dopo che la Vannozza ebbe un marito legittimo.
E, come tale, primo ad apparire è nel 1480 un milanese, Giorgio de Croce, cui il cardinal Rodrigo aveva ottenuto da Sisto IV la carica di scrittore apostolico. Incerto rimane il tempo, in cui Vannozza s'unì col De Croce. Ammogliatasi, abitava una casa sulla piazza Pizzo di Merlo oggi chiamata Sforza Cesarini; lì vicino era appunto il palazzo del cardinal Borgia.
In quell'anno 1480 Vannozza era già madre di parecchi figlioli riconosciuti dal cardinale; Giovanni, Cesare e Lucrezia. Sulla origine di costoro non cade dubbio di sorta; mentre quella del maggiore, Pierluigi, dalla stessa madre è soltanto molto probabile. La data della nascita di questi bastardi Borgia è stata sin qui ignota, e ne furono assegnate diverse. Io scoprii in documenti incontrastabili quella di Cesare e di Lucrezia; e per tal mezzo molti errori rispetto alla genealogia e anche alla storia di questa casa sono tolti per sempre. Cesare nacque in un giorno del mese d'aprile nell'anno 1476, Lucrezia il 18 aprile 1480. Il padre, essendo papa, indicò l'età di entrambi, parlandone nell'ottobre 1501 con l'ambasciatore di Ferrara; e questi scrisse al duca Ercole: Il Papa mi fece sapere che la nominata duchessa (Lucrezia) ha ventidue anni, i quali compirà nel prossimo aprile; e in quel tempo stesso l'illustrissimo duca di Romagna (Cesare) fornirà ventisei anni.
[7]
Se l'esattezza delle indicazioni del padre sull'età dei propri figlioli lasciasse ancora a dubitare, ogni dubbio sarebbe tolto da altre notizie e documenti. Nei dispacci che l'ambasciatore di Ferrara molto innanzi, nel febbraio e marzo 1493, spediva da Roma allo stesso duca Ercole, dava a Cesare in quel tempo 16 a 17 anni; il che concorda coi dati del padre. [8] Il figliolo di Alessandro VI era più giovane di alcuni anni di quel che sin qui s'era creduto. Questo fatto è importante per la storia della sua breve quanto orribile vita. Onde s'ingannarono il Mariana e gli altri autori, che a lui tennero dietro, affermando Cesare essere il secondogenito di Rodrigo, e quindi maggiore del fratello Don Juan. Invece è questi, che realmente dev'essere stato di due anni maggiore. A Venezia, per informazioni avute da Roma nell'ottobre 1496, si chiama Don Juan un giovane di 22 anni; epperò era nato nel 1474. [9]
Quanto a Lucrezia, essa venne al mondo il 18 aprile 1480. Questa data precisa si ricava da un documento valenzano. [10] Il padre aveva 49 anni, e la madre 38. Dalla costellazione celeste dominante gli astrologhi romani e spagnuoli poterono forse cavar l'oròscopo e rallegrarsi molto col cardinal Rodrigo e felicitarlo dello splendore, cui le stelle avevan destinata la figliola sua.
Erano appena trascorsi i giorni di Pasqua; feste sontuose erano state date in onore dell'elettore Ernesto di Sassonia, venuto a Roma ai 22 di marzo, accompagnato dal duca di Braunschweig e da Guglielmo di Henneberg. Questi signori erano entrati con un seguito di 200 cavalieri. Presero stanza in una casa nel quartiere Parione. Il papa, Sisto IV, gli onorò con profusione grande; ed una splendida caccia loro offerta da Girolamo Riario, l'onnipotente nepote, alla Malliana sul Tevere, levò molto rumore. Lasciarono Roma ai 14 di aprile.
In quel tempo il Papato andava divenendo tirannia politica; e il nepotismo assumeva quel carattere, che più tardi Cesare Borgia doveva svolgere in tutta la sua formidabile essenza. Sisto IV, uomo energico, e di tempra ancora più forte di Alessandro VI, era tuttora in guerra con Firenze, ove aveva ordito la congiura dei Pazzi per far trucidare i Medici ed elevare Girolamo Riario ad un gran principato in Romagna. Queste vie medesime doveva più tardi seguire Alessandro VI pel figlio Cesare.
Il tempo, in cui Lucrezia nacque, era orribile davvero. Il Papato spogliatosi di ogni santità sacerdotale; la religione materializzata del tutto; l'immoralità senza freni nè limiti. La più selvaggia lotta intestina infuriava nella città, massime ne' quartieri Ponte, Parione e Regola, ove quotidianamente stuoli di partigiani, eccitati dagli assassinii, scendevano in armi per le vie. E proprio nell'anno 1480 si levarono in Roma le antiche fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini. Là i Savelli e i Colonna contro il Papa; qui gli Orsini per lui; mentre le famiglie dei Valle, dei Margana e dei Santa Croce, assetate di sangue e di vendetta, legavansi all'uno o all'altro partito.
III.
Lucrezia passò, senza dubbio, i primi anni della fanciullezza presso la madre. La casa di costei, come dicevamo, era sulla piazza Pizzo di Merlo, a pochi passi dal palazzo del cardinale. Il quartiere Ponte, cui apparteneva, era dei più animati di Roma, come quello che menava a Ponte Sant'Angelo e al Vaticano. Vi stavano molti mercatanti e i banchieri di Firenze, Genova e Siena; v'abitavan pure parecchi impiegati papali; e le cortigiane di maggior grido. Invece il numero delle antiche famiglie nobili non v'era grande, forse perchè gli Orsini non ve le lasciavano venire. Da lungo tempo in effetto questi potenti baroni dimoravano nella regione Ponte nel loro gran palazzo a Monte Giordano. Non lungi di lì era il loro antico castello. Torre di Nona, che in origine faceva parte delle mura della città sul Tevere. Allora era invece carcere pei condannati politici ed altri infelici.
Noi possiamo chiaramente immaginarci qual fosse l'ordinamento della casa di Vannozza, perchè il carattere della casa romana sugl'inizii della Rinascenza non era gran fatto diverso da quel ch'è tuttora oggi. Nel complesso oggi ancora ha alcunchè di grave e di triste. Una massiccia scala di peperino conduceva alle stanze abitate; una sala con camere accessorie, da' nudi pavimenti di mattoni, dalle soffitte di travi e assi dipinte. Le pareti semplicemente imbiancate; solo nelle più ricche case ricoperte di tappeti oprati, e questo, per altro, nelle sole ricorrenze solenni. L'uso dei grandi quadri paretali nel XV secolo era ancora raro; restringevasi a qualche ritratto di famiglia. E se Vannozza n'aveva nella sala sua, certo, tra essi, deve esservi stato quello del cardinal Rodrigo. Del resto mai non mancavano un reliquario, immagini di Santi e l'effigie della Madonna con lampade innanzi sempre accese.
Mobilia pesante; grandi, larghi letti, parati a sopraccielo; alte sedie di legno scuro, intagliato, con cuscini; massicci tavolini, con superficie di marmo o di legno variopinto, stavano intorno intorno alle pareti. Tra gli immensi forzieri uno veramente colossale sorgeva nella sala: era destinato a serbare la biancheria. In una di queste casse, il forziere della sorella, tenevasi nascosto l'infelice cavaliere Stefano Porcaro, quando il 5 gennaio 1453, fallito il suo tentativo d'insurrezione, cercò salvezza nella fuga. La sorella e un'altra donna, per maggior sicurezza del fuggiasco, s'erano assise su quella cassa; ma gli agenti della forza seppero cavarnelo fuori.
Se Vannozza aveva gusto per le cose antiche, il che non possiamo davvero supporre in lei se non in omaggio alla moda, nella sala sua doveva esservi pure di quelle. Le si raccoglievano allora con passione. Correva il tempo dei primi scavi. Il suolo di Roma ogni giorno metteva alla luce i suoi tesori. E da Ostia, da Tivoli e dalla Villa Adriana, da Porto d'Anzo e Palestrina le antichità affluivano innumerevoli nella città. Ma se Vannozza e il marito non partecipavano con gli altri Romani a codesta passione, non indarno si sarebbe cercato nella casa loro oggetti di valore, prodotti della moderna industria artistica, e coppe, e vasi di marmo e di porfido, e ornamenti d'oro dei gioiellieri. La parte essenziale di una casa romana tenuta con decenza e con cura era primieramente la credenza, grande armadio con vasellami e bicchieri d'oro e d'argento e di belle maioliche. Nei conviti tutti questi utensili facevan mostra e spettacolo.
Si pena molto ad ammettere che l'amica di Rodrigo possedesse anche una biblioteca. Private biblioteche nelle case della borghesia erano allora in Roma una grande rarità. Ma a breve andare fu facile crearne pel buon mercato della stampa, che vi fu importata da tipografi tedeschi.
La casa di Vannozza dovette, senza dubbio, avere aria d'agiatezza, non di lusso. Alcuna volta v'ebbe forse ospite il cardinale, o potette ricevervi gli amici della famiglia, a preferenza, i più intimi confidenti del Borgia, Giovanni Lopez, Caranza e Marades, e, dei Romani, gli Orsini, Porcari, Cesarini e Barberini. Egli, il cardinale, era per sè uomo molto temperato, ma sfarzoso in tutto che si riferisse a rappresentanza della sua dignità. La precipua necessità per un cardinale di quel tempo era un'abitazione principesca, con una corte numerosa e splendida.
Rodrigo Borgia viveva nel suo palazzo come uno de' più ricchi principi della Chiesa, con splendore pari al suo grado. Il contemporaneo Jacopo da Volterra ci ha lasciato di lui nel 1486 questo ritratto: Egli è uomo di uno spirito atto ad ogni cosa e di largo senno. Pronto al discorso, cui, malgrado della sua mediocre cultura letteraria, riesce benissimo a dare uno stile. Per natura accorto e fornito di arte meravigliosa nella trattazione degli affari. Egli è straordinariamente ricco; e la protezione di molti re e principi gli dà fama. Abita un bello e comodo palazzo, che s'è fabbricato tra Ponte Sant'Angelo e Campo di Fiore. Dalle sue cariche ecclesiastiche, da molte abbazie in Italia e Spagna e da tre vescovadi, Valenza, Porto e Cartagine, cava redditi smisurati; mentre il solo ufficio di Vicecancelliere gli rende, a quanto si dice, 8000 fiorini d'oro l'anno. La copia del suo vasellame d'argento, delle sue perle, delle sue coperte tessute d'oro e di seta e dei suoi libri in ogni scienza è grandissima, e tutto ciò accoppiato ad una magnificenza splendida, quale sarebbe degna di un re o di un papa. E mi rimango poi dal dire degli innumerevoli ornamenti de' suoi letti e di quelli de' suoi cavalli e di altre simili decorazioni d'oro, d'argento e di seta, e della sua superba guardaroba, e della grande quantità d'oro coniato ch'ei possiede. Credesi, di fatto, ch'egli in oro e ricchezze d'ogni sorta vinca tutti i cardinali, eccettuato l'Estouteville.
Il cardinal Rodrigo era dunque ricco abbastanza da dare ai figliuoli la più splendida educazione, in quella che venivan su crescendo nella modesta qualità di suoi nipoti. E non potè mostrarli alla chiara luce del giorno che quando fu giunto il tempo della vera grandezza sua.
Nell'anno 1482 egli non abitava la sua casa nella regione Ponte, forse perchè vi faceva fabbricare. Risiedeva invece in quel palazzo nel quartiere Parione, che Stefano Nardini aveva terminato nel 1475. Chiamasi oggi Palazzo del Governo Vecchio. Quivi troviamo Rodrigo nel gennaio 1482. Ce ne informa un istrumento del notar Beneimbene, un contratto nuziale tra Giannandrea Cesarini e Girolama Borgia, una figlia naturale dello stesso cardinal Rodrigo. Colà le tavole nuziali furon rogate in presenza del padre della sposa, de' cardinali Stefano Nardini e Giambattista Savelli e de' nobili romani Virginio Orsini, Giuliano Cesarini e Antonio Porcaro. [11]
Quest'atto è il primo documento autentico intorno alle intime relazioni di famiglia del cardinal Borgia.
Egli vi si dichiarò padre della nobile donzella Jeronyma, la quale vien indicata come sorella del nobile giovanetto Pietro Ludovico de Borgia e dell'infante