La Banalità del Male
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Info su questo ebook
L'obiettivo di questo libro non è mostrare soltanto l'Auschwitz storico, ma piuttosto l'Auschwitz che si è radicato nell'essere umano: la non capacità di distinguere il bene dal male; l'offuscamento per riaffermare la propria identità come la sola umana e l'impossibilità di pensare l'alterità, in modo tale che tutto questo ancora oggi persiste come eredità, della quale il nostro mondo è tanto esecutore testamentario quanto erede. Auschwitz è quindi il punto di partenza ma non il punto di arrivo.
È uno studio in cui si mostra il modello di anti-uomo che nasce dall'antropologia nazista contraria al modello di uomo che rivela l'antropologia cristiana.
Pubblicazione parziale della sua tesi di dottorato.
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Anteprima del libro
La Banalità del Male - Ana Rubio-Serrano
PUBBLICAZIONE PARZIALE DELLA TESI DI DOTTORATO
Presentata per l’ottenimento del titolo di Dottore in Teologia
Relatore della tesi: Dott. José Sols Lucia
Correlatori e membri della Commissione: Dott. J. Ignacio González Faus e Dott. Xavier Morlans Molina
Il Segretario della Facoltà di Teologia della Catalogna CERTIFICA:
Che Ana Rubio-Serrano ha sostenuto e superato con una valutazione eccellente l’esame per discutere la tesi «La banalità del male. La controimmagine di Dio nella logica nazista», presso la Facoltà di Teologia della Catalogna, di fronte alla Commissione formata dal relatore della tesi, Dott. José Sols Lucia, e dai correlatori, Dott. J. Ignacio González Faus e Dott. Xavier Morlans Molina, in data 29 settembre 2005.
Firmato: Sig. Vicenç Bosch, Segretario della FTC.
––––––––
Sito web dell’autrice:
https://anarubioserrano.com
––––––––
Blog sul nazismo (SPA/ING):
https://nazismandholocaust.blogspot.com
INDICE
Abbreviazioni
Auschwitz: il regno dell’uomo anti-creazione
L’ANTROPOLOGIA DEL TOTALITARISMO NAZISTA CRITICATA DA UNA FILOSOFIA PERSONALISTA
La depersonalizzazione contraria al «volto»
La sofferenza dell’altro come qualcosa di (in)utile
› Il «musulmano», esponente della violenza estrema e (in)utile
› L’ «io» di fronte alla sofferenza (in)utile
La negazione della vita, la negazione della morte
CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA NEOPAGANA NAZISTA ALLA LUCE DELL’ANTROPOLOGIA TEOLOGICA CRISTIANA
Male, peccato, riconciliazione delle vittime-carnefici
Sull’origine del male: teologia cristiana delle vittime contro il dualismo ontologico nazista
Peccato personale e peccato strutturale nel sistema nazista
Solidarietà compassionevole e riconciliazione vittime-carnefici
L’uomo facitore
, un produttore
cosmo-logico
Il nascondimento di Dio, libertà dell’uomo-libertà divina
Bibliografia
Germania e Adolf Hitler (1889-1945). Date significative
Note
ABBREVIAZIONI
––––––––
Documenti dei Processi di Norimberga[1]
IMT
Tribunale Militare Internazionale. Processo ai Principali Criminali di Guerra davanti al Tribunale Militare Internazionale.[2]
NMT
Processi ai Criminali di Guerra davanti ai Tribunali Militari di Norimberga.[3]
NCA
Cospirazione Nazista e Aggressione.[4]
NO
Documenti dell’Organizzazione di Norimberga (NO- serie).[5]
Altri documenti
ÄfB
Ärzteblatt für Berlin.
AVA
Allgemeines Verwaltungsarchiv, Wien.
BAK
Bundesarchiv Koblenz.
BDC
Berlin Dokument Center.
IfZ
Institut für Zeitgeschichte, München.
JAMA
Journal of the American Medical Association.
LA Berlin
Landesarchiv Berlin.
StA
Staatsarchiv.
StAH
Staatsantwaltschaft bei dem Landgericht Hamburg.
ZStL
Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen zur Aufklärung national-sozialistische Verbrechen in Ludwigsburg.
AUSCHWITZ:
IL REGNO DELL’UOMO ANTI-CREAZIONE
Questo libro non aspira a mostrare l’Auschwitz storico, ma piuttosto l’Auschwitz[6] che ha trasformato l’essere umano in un uomo la cui unica identità risiede nell’essere un «uomo massa», in un uomo senza alterità, che nega ogni alterità «mettendoci la faccia».[7]
Indubbiamente, tutti conosciamo gli orrori provocati dal nazismo, dunque, tutta quella barbarie si è poggiata su una pseudofilosofia e su una contro-teologia a cui ci contrapporremo qui di seguito; in primo luogo, con una visione etica personalista e umanista, e, in secondo luogo, con la visione della persona che emerge dalla rivelazione cristiana e che, in ultima analisi, il nazismo volle soffocare, annullare, annichilire e sradicare.
Auschwitz è il Regno[8] di quell’uomo anti-creazione che lavorò a favore del Führer nei campi di sterminio. E a partire da quell’uomo anti-creazione, a partire da quella condizione disumana, si deve ripensare l’essere umano. È indiscutibile che Auschwitz raggiunse un livello di malvagità che nessun altro genocidio aveva mai raggiunto prima, a causa dell’entità della sua opera di distruzione; tale primato non fu dovuto al numero di vittime, ma piuttosto all’annichilimento sistematico, legale e giustificato dal punto di vista religioso, portato a termine contro la vita umana da parte dello Stato stesso. Questo diede il via libera allo sradicamento di intere popolazioni, la cui impronta doveva essere cancellata dalla sua visione del cosmo. Alle vittime vennero negati la morte e il ricordo: erano soltanto «blocchi di legno» pronti per essere inceneriti. Si costruirono fabbriche della morte dove si strappò ai prigionieri la loro umanità fino al punto di trasformarne molti in «musulmani», vale a dire, in «cadaveri viventi», lo stadio prefinale della disumanizzazione. L’uomo anti-creazione di Auschwitz detesta l’essere umano perché questi è diversità (creatività, debolezza, differente nell’identità: natalità),[9] e vede nell’alterità il nemico che impedisce l’avvento del suo Regno, ossia, la pratica della riduzione dell’altro al Medesimo, ovvero, portare a termine la sovranità dell’«io» trasportata nell’ambito politico-esistenziale, dove le vittime dovevano trasformarsi, e si trasformarono, in massa torturata e pronta per essere eliminata, e i carnefici in massa torturatrice e prescindibile. Una volta segregati entrambi nella più assoluta «solitudine», cioè nella rinuncia all’Esistenza e all’ «Essere-se-medesimo», sarebbero stati, e di fatto furono, incapaci di vedere l’alterità sia dell’«altro» umano, che dell’«Altro» trascendente, invisibile, divino. Questo è il riconoscimento dell’altro, esterno a se stessi, come un essere individualmente diverso ed eccezionale, senza che un’alterità venga limitata all’altra. Diverso perché ogni persona è unica; ed eccezionale perché ogni persona è una meta e un’origine, ossia, una logica di relazioni e non di sovranità o schiavitù.
L’ANTROPOLOGIA DEL TOTALITARISMO NAZISTA CRITICATA DA UNA FILOSOFIA PERSONALISTA
La depersonalizzazione contraria al «volto»
Per il nazismo, con Hitler al comando, l’«altro» (il diverso dal Medesimo —considerando il Medesimo come la colonna vertebrale del suo Regno) è la debolezza, l’incapacità che corrode l’umanità, l’incarnazione della propria crudeltà che limita ogni libertà di azione e progresso nell’uomo, il nemico che bisogna distruggere; per Levinas, invece, l’«altro» è precisamente la chiave dell’umano. Troviamo l’umano nella risposta alla chiamata dell’altro che reclama la nostra preoccupazione per lui, la nostra responsabilità. Non è l’autonomia del soggetto, dunque, che definisce l’uomo come essere umano, capace e libero, ma bensì l’eteronomia. La responsabilità precede, così, la libertà.[10] L’ «io» si trasforma in «ostaggio dell’altro», nell’espressione di Levinas, cioè, l’altro nell’incontro si manifesta come limite del proprio io. Inoltre, «nell’ambito interpersonale l’io e il tu si costituiscono limitandosi reciprocamente, contraddistinguendosi, affermando la loro reciproca alterità».[11]
Nel caso del nazismo l’eteronomia è abolita poiché è considerata un pericolo per la formazione della nuova razza ariana che deve portare a termine l’istituzione di un nuovo Reich millenario, giacché anteporre l’altro all’«io» non permette la creazione di un totalitarismo assoluto, nichilista e concentrazionista. L’eteronomia è apertura, accoglienza, relazione interpersonale, dialogo e, soprattutto, impegno; tuttavia, anche l’autonomia è stata eliminata nel campo della libertà soggettiva. L’«io» ormai non appartiene a ogni individuo, ma al Führer. Il totalitarismo nazista presuppone che l’autorità del Führer, attraverso i suoi collaboratori, i suoi adepti e il Partito, si estenda a tutte le sfere della vita pubblica e privata:
Lui (Hitler) plasma la volontà collettiva del popolo secondo la sua stessa volontà, e gode dell’unità politica e della totalità del popolo in contrapposizione agli interessi individuali. Il Führer riunisce in se stesso tutta l’autorità sovrana del Reich; tutta l’autorità pubblica dello Stato e del movimento deriva dall’autorità del Führer [...] Lo Stato non ostenta un’autorità politica come un’unità impersonale, ma la riceve dal Führer come esecutore della volontà nazionale. L’autorità del Führer è completa e contempla qualsiasi cosa; essa riunisce in se stessa tutti i mezzi di direzione politica; si estende a tutti i campi della vita nazionale; comprende tutto il popolo, che si trova costretto a essere leale e a obbedire al Führer.[12]
In questo modo, l’autonomia che si dispensa nel Terzo Reich è solamente un’ombra che si è mercificata. La nuova autonomia e la mancanza di eteronomia sfociano irrimediabilmente nella depersonalizzazione dell’individuo.
Mentre per Bruno Bettelheim «l’obiettivo del sistema nazista era la depersonalizzazione»,[13] per Tzvetan Todorov la depersonalizzazione è un «mezzo per trasformare gli individui negli ingredienti di un progetto che andava oltre loro stessi».[14] Per noi, di fatto, la depersonalizzazione è uno strumento che ha come fini intermedi, in primo luogo, l’annichilimento dell’essere umano (la persona è declassata alla sua infima espressione fino a ridurla al nulla più totale); e, in secondo luogo, la conquista del mondo (l’avvento del Terzo Reich). Dunque, entrambi i fini intermedi devono condurre a un fine ultimo: la «conquista» dell’uomo, la nuova era in cui l’uomo anti-creazione è l’unico attore protagonista.
È, senza dubbio, la depersonalizzazione degli individui, in particolare nei Läger (campi di concentramento, luoghi in cui si vive il Regno come un esperimento che, una volta dimostrato il suo successo, deve essere trasferito a tutta la società), dove il male totalitario acquista più forza e si fa più evidente. Le vittime erano la prova più lampante. I prigionieri non avevano un volto: «Io li percepivo raramente come individui. Erano sempre un’enorme massa», dice F. Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka.[15] L’essere umano viene ridotto, quindi, a una categoria, per cui perde la sua condizione di rivelarsi, di manifestarsi all’«io», in sintesi, e per dirlo con le parole di Levinas, di «epifania del volto». Per questo motivo, nei campi di concentramento e sterminio si evita il faccia a faccia dei carnefici con le vittime: i prigionieri non potevano guardare in faccia i loro vigilanti. Il volto è eliminato perché mostra ogni uomo come un qualcosa di unico, è la presenza viva dell’altro, è l’impronta dell’altro. Cioè, se il «volto è il segno dell’esistenza dell’uomo, la negazione dell’uomo passa attraverso la negazione del suo volto».[16]
Non c’è dubbio che il nazismo utilizzasse l’uomo per i suoi interessi, e che quest’ultimo dovesse stare completamente al suo servizio. Tuttavia,