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Guerra, Amore e Sangue - 1
Guerra, Amore e Sangue - 1
Guerra, Amore e Sangue - 1
E-book199 pagine2 ore

Guerra, Amore e Sangue - 1

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Info su questo ebook

Livermore Falls, piccola città del Maine di circa 1700 abitanti. Kristen Adams, adolescente di 19 anni morirà presto per mano di Faith Ryan, una giovane donna bella dai tratti insolenti e dall'aspetto carismatico che cattura la sua attenzione dal primo sguardo. Quello che Kristen ignora: Faith è nata nell'anno 936 nella contea di Northumbria ed Inghilterra. Ciò che diventerà: Non lo sa ancora, ma è stata scelta ed il suo ultimo respiro reso nel Maine la conduità a New York dove avrebbe scoperto chi è, o piuttosto, chi è sempre stata. Il primo romanzo fantasy bit-lit scritto da Kyrian e Jamie tra Dublin, Boston, Livermore Falls e Parigi. Un libro che rivisita il mito dei vampiri dalle sue origine fino ai giorni nostri.

LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2021
ISBN9781071587225
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    Anteprima del libro

    Guerra, Amore e Sangue - 1 - Kyrian Malone

    Guerra, Amore

    e Sangue

    Volume 1

    C:\Users\Emma\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.Word\kyrianmalone.jpg

    E Jamie Leigh

    Copyright © 2019 STEDITIONS

    Accesso ai capitoli

    PROLOGO

    Chapitre 1 : Le feu

    Chapitre 2 : Le sang

    Chapitre 3 : Le monde des morts

    Chapitre 4 : L’instinct

    Chapitre 5 : Les règles

    Chapitre 6 : Repas de famille

    Chapitre 7 : Le lien

    Chapitre 8 : Le Sacre

    Chapitre 9 : Alice

    Chapitre 10 : La genèse

    Chapitre 11 : Cara

    Chapitre 12 : Réveil

    Chapitre 13 : Sarah

    Chapitre 14 : De vie ou de mort

    Questo libro è una finzione. I personaggi e i dialoghi sono il prodotto dell’immaginazione degli autori. Ogni somiglianza con persone esistenti o precedentemente esistite è unicamente fortuita.

    Tutti i diritti riservati. Ogni riproduzione, diffusione o utilizzo parziale e severamente proibito senza l’accordo preventivo degli autori e di ST Éditions.

    Tutte le informazioni su:

    https://steditions.com

    L’età non vi protegge dai pericoli dell’amore.

    Ma l’amore, in un certo senso, vi protegge

    dai pericoli dell’età.

    Jeanne Moreau

    PROLOGO

    Stavo morendo.

    In mezzo le tre o quattro cento persone che andavano e venivano attorno a me, sarei stata quella che sarebbe morta tra qualche minuto. Perché, come, non ne sapevo assolutamente nulla e non sapevo neanche perché lei mi aveva scelta. Avevo sempre avuto dei dubbi sulla mia sessualità, la mia attrazione verso le ragazze, e avevo sperimentato solo i ragazzi. Tuttavia, questo brivido che mi aveva percosso vedendola non era comparabile a nessun altro e aveva svegliato quel piccolo qualcosa in me che non riuscivo a spiegarmi.

    C’era stato prima il momento dove mi ero fermata per guardarla come per assicurarmi che era veramente lì, poi quel momento dove i nostri sguardi si erano immersi l’uno dentro l’altro, quello dove avevo sentito il mio cuore andare di matto nel mio petto. Una reazione fisica che non trovava spiegazione da nessuna parte, ma della quale mi sarei ricordata fino alla fine dei miei giorni, che non sarebbe tardata.

    Ci siamo osservate a buona distanza, io, troppo timida, sistemandomi per seguirla con gli occhi, lei, carismatica, aspettando forse un segno da parte mia. Almeno, volevo crederlo...

    Aveva forse cinque o sei anni più di me, e dall’altro dei miei diciannove anni, non ero abituata alle emozioni troppo esaltanti che si sovvertirono. Aveva già un potere insospettabile: quello di catturare tutta la mia attenzione, di dissociarsi con facilità e grazia dalla folla nella quale ci stavamo addentrando.

    Mi chiesi se mi facessi un’idea sbagliata, ma la realità mi aveva colpita: tra le tre o quattro centro persone intorno a noi, lei mi aveva guardata, a me, non Tommy o gli altri, ma solo a me... Non avevo niente di più di tutte quelle ragazze splendide che andavano e venivano in questo bar alla moda di Portland, quel genere di ragazze che tutti i ragazzi bramano per finire la serata in una camera d’hotel. Niente vestiti appariscenti, ne acconciatura sofisticata, ne tacco a spillo, ne trucco intempestivo. Ero quella che tutti chiamavano «una ragazza della contea», una campagnola di Livermore Falls, piccola città sconosciuta del Maine a venti minuti da Lewiston e a due ore da Portland.

    Se ero in questo bar stasera, non era né per passare una bella serata né per bere fino a più non posso in questa mega bevuta tipica dei giovani della mia età. Avevo semplicemente accompagnato Tommy e avevo trovato attraverso questo sconosciuta la più affascinante delle distrazioni.

    Era seduta in fondo al bar, in disparte dalla folla in un angolo più scuro, ma abbastanza illuminato perché io possa contemplarla. Vestita con un jeans, un dolcevita nero modellava il suo petto. La sua pelle pallida faceva risaltare le sue sopracciglia fine e nere ed i suoi occhi marroni.

    Lei si alzò, s’infilò la sua giacca e si allontanò dal bancone. Fu dunque più forte di me, non potei impedirmi di seguirla. Lo sguardo che mi aveva lanciato passando vicino a me mi era arrivato come un invito silenzioso. Senza dire una parola a Tommy che pensavo di rivedere dopo, mi allontanai spianandomi un cammino tra i clienti fino all’uscita del bar dove lei scomparve.

    Fuori, il vento glaciale mi schiaffeggiò la faccia. Rialzai il cappuccio sulla mia testa ed infilai le mie mani nelle tasche della mia giacca tremante di freddo. In piedi davanti all’entrata del bar, frugai con lo sguardo i minimi recessi dei dintorni senza avvistarla. Dei clienti che entravano ed uscivano mi urtavano passando, affrettati di mettersi al caldo o di tornare ai loro veicoli. Chiunque si sarebbe rassegnato, tanto faceva freddo, ma non io. Dovevo trovarla, parlarle, sapere chi fosse, qual era il suo nome, anche a costo di essere ridicola.

    Decisi quindi di aggirare la facciata del bar fino al parcheggio. Come un fantasma, era scomparsa, o ero arrivata troppo tardi. Irritata, mi ritrovai sola in mezzo a delle macchine parcheggiate. La mia audacia non era stata ricompensata e mai avevo provato un tale sentimento di frustrazione.

    All’improvviso, un rumore dietro di me mi fece sussultare. Il tempo di girarmi, si ergeva una sagoma divina a meno di un metro da me. Era lei, la mia bella sconosciuta. Il suo viso sembrava più pallido sotto la luce bianca dei lampioni. Eravamo anche sorprese l’una dall’altra di ritrovarci faccia a faccia, e senza dubbio ci posavamo la stessa domanda: cosa ci facessimo lì, ma dentro di me, sapevo che conoscevamo la risposta.

    Lei avvicinò la sua mano alla mia guancia, e sul momento non seppi come reagire, avevo il respiro corto. Dovevo indietreggiare, parlarle? La freschezza della sua pelle sulla mia mi diede la risposta. Lasciai il suo palmo della mano accarezzarmi il viso. I suoi occhi castani si addensavano nella penombra della notte. Mi fissarono, ipnotici e penetranti. Ero come paralizzata, nessun suono usciva dalla mia bocca. Il mio cuore in preda al panico batteva all’impazzata e mi provocava delle leggere vertigini insolite. Il tempo sembrava sospeso ad un filo che il minimo movimento da parte mia poteva rompere e spezzare. Immobile, con i piedi incollati all’asfalto, guardava la sua altra mano che cercava di allontanare qualche ciocca dal mio viso. Il silenzio tra di noi si diffondeva nei dintorni. Non sentivo più nessun rumore, nonostante la prossimità di una strada. Anche il freddo che ci avvolgeva non aveva più effetto su di me. Non aveva ancora detto una parola e mi fissava senza battere ciglio. Colmò il poco di spazio che rimaneva tra di noi e ruppe infine il silenzio.

    — Mi cercavi?

    I miei timpani vibrarono al suono della sua voce rauca, ma così dolce da sentire. Riflettevo a tutte le risposte possibile che potevo darle. Tuttavia, una sola mi sembrava evidente: «Si» la cercavo. Perché sarei uscita su questo parcheggio, sola, a quest’ora tarda se fosse stato altrimenti? Il fatto era che non riuscivo più ad organizzare il corso dei miei pensieri, non misuravo quanto la freddezza della sua pelle era anormale. Il mio sguardo non si sottraeva dal suo come se la sua presenza faceva di lei un miraggio. Osai infine emettere un suono:

    — È vero che può sembrare stupido...

    Mi perdevo nella mia risposta e mi sentivo obbligata di giustificarmi. Eppure, non ero di natura timida in generale, ma questa serata era l’eccezione. Mi ci volle qualche secondo per riprendere la sicurezza prima di continuare la mia spiegazione:

    — Voglio dire, lo è, lo so, ma tu mi guardavi e...

    Decisamente, non ci riuscivo. Lei restava lì, impassibile di fronte ai miei balbettii, e ciò non faceva che confondermi. Balbettavo come un’idiota. Perché diavolo non mi faceva lei un segno, non diceva una parola che avrebbe potuto concludere questo malinteso ridicolo? Al contrario, era piantata davanti a me con uno sguardo insistente e sembrava divertirsi della situazione. Posò una mano sulla mia guancia, e l’altra accarezzò i miei capelli. Restavo paralizzata, le suole delle mie scarpe da ginnastica attaccate all’asfalto. Finalmente si decise a rispondermi, e speravo che mi liberasse dal mio malessere.

    — E cosa?

    Fu tutto il contrario. Questa breve domanda non fece che aumentare la mia confusione. Come potevo uscire da questo stato confusionale nel quale ero sprofondata? E cosa rispondere a quel: E cosa. Per rompere questo silenzio, tentai:

    — Non sono di qui... Abito a Falls.

    Ancora nessuna reazione da parte sua. Eppure, sembrava sospesa alle mie labbra, attenta al minimo delle mie parole e il suo sguardo intimidatorio mi fissava. All’improvviso, senza dire una parola, avvicinò il suo viso a qualche centimetro dal mio. Il mio cuore batteva così forte che risuonava nelle mie tempie. Si avvicinò ancora di più fino a posare le sue labbra sulle mie. Restai congelata su questo dolce contatto che ebbe per effetto di alleggerire del tutto la tensione degli ultimi secondi e caddi in uno stato febbricitante, una sorta di caos che annebbiava la mia mente. Risposi tuttavia al suo bacio, quel delizioso e primo contatto che un'altra ragazza mi offriva e al quale non potei resistere. Questa situazione non aveva alcun senso. Non la conoscevo, ignoravo il suo nome, ma le sue labbra erano come una calamita di baci. Quindi richiusi le mie labbra sulle sue. Il mio respiro era caldo e irregolare, ma era più forte di me, mi lasciava andare, come aspirata in un vortice che non controllavo più. Improvvisamente, lei ruppe il contatto sbattendomi contro la portiera di una macchina, poi si incollò a me, non lasciandomi alcun spazio per riprendere la mia respirazione. Le mie vertigine diventavano incontrollabili. Tommy non mi avrebbe mai creduto, ne ero sicura, ma nel momento che vivevo, Tommy non aveva posto. Contavano solo i profumi ammalianti di questa straniera che si serrava contro di me e mi faceva dimenticare tutto fino al mio nome.

    Con le emozioni che mi invadevano, tremavo con tutta me stessa. Un calore insolito s’impossessava del mio corpo, facendo arrossire le mie guance e facendomi dimenticare il freddo ambientale. Il suo viso era incollato al mio e sentì all’improvviso le sue labbra scivolare lentamente sul mio collo e fermarsi sulla mia pelle. Quello che ignoravo in quest’istante magico, era che questa dolce sensazione sarebbe stata l’inizio di una lenta agonia. Soffocavo di sentire il suo corpo intero pressarsi contro il mio. Forse era solo un sogno, ma rifiutavo di svegliarmi. Le mie dita toccarono la sua nuca e ci si fermarono misurando la morbidezza della sua pelle ghiacciata. Le mormorai con voce timida:

    — Hai freddo?

    Lei non rispose e sembrò ignorare la mia domanda.

    —Dimmi almeno... come ti chiami.

    Non ottenni alcuna risposta. Era allora che un forte dolore strappò da questo secondo stato in cui mi ero impiantata. Non sognavo, erano i suoi denti che si piantavano nella mia carne lasciando il mio corpo in uno stato di prostrazione. Lentamente, le emozioni che si erano impadronite di me svanirono. Sentì il suo braccio avvolgermi e queste dolci vertigini di piacere trasformarsi poco a poco in stordimenti. In un sussulto, la mia mano afferrò i suoi capelli, le mie palpebre si fecero pesanti. Mi ero lasciata sfuggire un rantolo. Lei non si muoveva, adesso la sua presa sul mio corpo, le sue labbra sul mio collo. Avevo le gambe in cotone e le mie forze mi abbandonarono con il passare dei secondi. In un sobbalzo di lucidità, mi resi conto che stava bevendo il mio sangue. Quest’idea folle mi folgorò. Era così inverosimile. Tuttavia, vacillavo, trattenuta dalle sue braccia possenti. Poi si raddrizzò. Il suo sguardo chiaro sembrava trafiggere la mia anima. Stavo perdendo il senno od ero in preda ad allucinazioni. Questa giovane donna che si alzava davanti a me sembrava essere una chimera uscita direttamente da una fiaba per bambini. Le sue pupille dilatate lasciavano intravedere delle iridi di un blu azzurro, eppure, avrei potuto giurare che erano di colore nocciola quando l’avevo vista qualche minuto prima, le sue labbra socchiuse erano diventate porpora e rivelavano due canini affilati. Mi aveva morso e la vita mi stava lasciando. La sentivo svanire ad ogni mio respiro, ma stranamente, non ero spaventata. Dopo tutto, cos’avevo da perdere di così caro e così prezioso? Guardavo il mio aguzzino e non smettevo nonostante tutto di vedere in lei una bellezza allo stesso tempo feroce e funeste. Se Dio esisteva, mi sarebbe apparso sotto la sua forma più affascinante e crudele contemporaneamente...

    Con gli occhi semichiusi, il freddo mi coglieva. Lei mi allungò sull’asfalto stringendomi contro di lei. Nonostante lo stato in quale mi trovavo, vidi che si mordeva l’interno del polso. Lo pressò sulle mie labbra e il gusto metallico del suo sangue defluì nella mia gola. Cercavo di girare il viso, invano. Più questo liquido colava, più un dolore impressionante mi contorceva la pancia. Questo dolce sogno diventava un orribile incubo. Stranamente, il mio corpo esausto ritornava alla vita. Degli spasmi contraevano il mio stomaco in violenti dolori, oppressando i miei polmoni. La mia respirazione diventava difficile. Ogni respiro bruciava la mia trachea e mi estenuava ulteriormente. Ero nel panico, e quello che doveva essere una parvenza d’istinto di sopravvivenza si svegliò nella vana speranza di liberarmi dalle mie sofferenze. Lei mi teneva fermamente contro di lei per impedirmi di muovermi, e i miei tremiti si fermarono. A questo preciso secondo, avrei potuto giurarlo: i battiti del mio cuore rallentarono nel mio petto. Il mio corpo troppo debole cessò di reagire e questo dolore intenso si attenuò poco a poco. Le mie palpebre si chiusero lasciandomi come unica immagine lo sguardo penetrante del mio assassino.

    Capitolo 1: Il fuoco

    La morte non mi aveva mai spaventata. Non era che un’immagine astratta per me che rappresentava la fine della vita. Come nei romanzi di genere fantasy mi piaceva immaginarla vestita con il suo lungo abito nero, venendo a mietere le persone troppo anziane, gli sfortunati o gli imprudenti. Nessuno mi aveva avvisata che sarebbe stata vestita con dei jeans ed un maglione a dolcevita nero.

    Ciò che mi colpì quando riaprì gli occhi fu quel rumore di circolazione assordante e regolare che risuonava attorno a me. Mi raddrizzai vivamente, credendo inizialmente nel bel mezzo di una fabbrica abbandonata. Non era

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