1945: Stabia, lo scudetto che manca
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Quello dello Stabia di Menti, Ciccone e Giraud del 1945.
Mentre in Campania era in corso di svolgimento il campionato regionale misto, nell'Italia settentrionale i Vigili del Fuoco di “La Spezia”
conquistarono il titolo per l'Alta Italia avendo superato nel girone finale a tre il Venezia ed il Grande Torino di Mazzola, che era la squadra favorita
d'obbligo. La Lazio batteva Roma e Tirrenia nel torneo romano, il Montecatini vinceva in Toscana e il Conversano in Puglia. In Campania lo Stabia si aggiudicava il titolo di Campione Campano Misto.
La revisione storica è un percorso lungo. Nella vita di tutti i giorni come nel calcio. Ma le prove del torto, dell’ingiustizia sportiva che Castellammare hanno un fondamento come abbiamo provato a
raccontare in queste pagine.
Chiamatelo pure uno scudetto ”d’onore”, ma pur sempre un titolo italiano.
Un titolo dal valore morale, ma di alto valore simbolico, Castellammare sul campo si è meritato, come La Spezia, il tricolore del campionato 1945.
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Anteprima del libro
1945 - Gianfranco Piccirillo
Prefazione
La rivolta dei tifosi dei club più blasonati d’Europa, pronti a costruire una Superlega, la loro relativa marcia indietro, nonché il clamore suscitato dalla sola notizia, ci han fatto capire, se ancora ce ne fosse bisogno, che il calcio è una cosa seria.
È uno sport che si pratica nei grandi stadi, nei campi in terra battuta, nelle strade dissestate, che va ben oltre il riconcorrere una palla e provare a tirarla in una rete o tra due sassi che nell’immaginario collettivo rappresentano una porta.
Il calcio non è solo un gioco. È tanta altra roba.
Il calcio è passione, gioia, amore, odio, riscatto, tristezza, è prese in giro talvolta a favore, talvolta a e sfavore. Il calcio unisce, il calcio divide. Tutti parlano un po’ di calcio, anche chi non è per niente tifoso.
Il calcio è uno dei pochi sport dove chi lo pratica e chi lo guarda, pur vivendo in parallelo la stessa partita, s’incontrano. Giocatore e tifoso vivono le stesse emozioni, le stesse sensazioni forti, urlano, saltano, esultano e tornano a casa, entrambi, stanchi e senza voce. Questo lo dico da ex calciatore, uomo di sport e da tifoso perché nella vita ho avuto la fortuna di rivestire più ruoli sempre con la stessa passione.
Nella vita poche sono le certezze si cambia compagno/a, moglie, marito, partito politico, difficilmente si cambia la squadre del cuore. Per me poi, come per tanti stabiesi, come per gli autori di questo bel libro, la certezza è doppia, il mio cuore si divide tra il Napoli e la Juve Stabia, ma si sa in amore tutto è possibile. Infatti, per amore, si può rinunciare pure a giocare in serie A con il Cagliari e finanche dire no alla proposta dell'Aek di disputare la Champion League per realizzare il sogno di indossare la maglia del Napoli, seppure in serie C, come ho fatto io.
Il tifoso è quello che quando gioca la propria squadra gioca deve assolutamente sapere quale sia il risultato. È quello che se la squadra del cuore perde, sta male come se avesse perso lui quella partita. Mentre se vince è al settimo cielo. È quello che compie trasferte di migliaia di chilometri pur di sostenere la sua squadra. È quello che vive la settimana in funzione del weekend calcistico.
Il calcio, la magia che c’è dietro una palla, è uno sport con una forza unica al punto da fermare le guerre, come ci raccontano Tonino e Gianfranco nelle prime pagine di questo interessante libro che prova a ristabilire una certa obiettività che parte dal calcio, ma riguarda un fatto di giustizia.
Nel 1944/45, mentre i vigili del fuoco di La Spezia vincevano lo scudetto del Nord occupato ancora dai fascisti, lo Stabia divenne campione dell’Italia Liberata, in un campionato giocato da dieci formazioni, dopo aver distanziato di 2 punti la Salernitana e di ben 7 il Napoli, quell’anno superato anche nella finalissima della Coppa d’Argento, il 31 maggio 1945 alle ore 12, in virtù di un sorteggio al termine dei non risolutivi supplementari.
Lo Stabia, dunque, vinse il campionato dell’Italia Liberata, mentre i vigili del fuoco di La Spezia quello dello dell’Italia ancora occupata da nazisti e fascisti.
Franco Carraro, appena insidiato al vertice della Figc riconobbe ai Vigili del fuoco lo scudetto ad honorem
del 1944, il cosiddetto scudetto della guerra. E allo Stabia? Perché non riconoscere un titolo seppur onorifico alla squadra della mia città e alle altre squadre che in situazioni analoghe si sono trovate nelle stesse condizioni?
Il lavoro di Gianfranco e Tonino è una prova inconfutabile di quello che accadde sul terreno da gioco dal 28 gennaio al 23 giugno de 1945. Una ricerca storica che prova a far conoscere alla città, ai tifosi, un pezzo della nostra storia che non è solo cronaca calcistica.
A quel torneo dovevano seguire le finali interregionali per il titolo dell'Italia liberata alle quali dovevano partecipare lo Stabia, la Salernitana e il Napoli.
Le finaliste, secondo il regolamento dovevano essere 18: 3 del Lazio, 3 della Campania, 3 della Toscana, 3 della Puglia, 2 dell'Abruzzo, 2 della Sicilia, 2 dalla Calabria.
Le finali dei tornei in corso però, non furono mai tenute, perché gli eventi successivi non lo permisero.
Perché, quindi, non riconoscere a chi ha vinto le altre competizioni regionali e/o interregionali analogo titolo, onorifico, che avuto La Spezia?
Perché non dare alla città, alla mia Castellammare, ai tifosi un riconoscimento onorifico in grado di poter ristabilire un principio di equità non solo calcistica?
Vi consiglio di leggere queste pagine con l’auspicio che il lavoro fatto possa essere utile per intraprendere una giusta battaglia verso gli organi Federali per un giusto riconoscimento perché come ho scritto all’inizio di questa prefazione, il calcio è una cosa seria e non è solo uno sport: è tanta roba!
Gennaro Iezzo
Correva l’anno 1945…
Il 20 gennaio del 1945, Franklin Delano Roosevelt viene proclamato Presidente degli USA. È il suo quarto mandato presidenziale. L’Europa è in guerra, una parte del Paese è stata liberata, in Italia è in atto la lotta partigiana e la Campagna d’Italia delle forze Alleate.
Nell’immaginario collettivo dell’Italia, la memoria della Seconda guerra mondiale combattuta nel Mezzogiorno, si può probabilmente racchiudere in due immagini.
La prima è la fotografia scattata da Robert Capa nel corso dell’avanzata alleata in Sicilia nell’agosto del 1943. Vi sono raffigurati un giovane soldato americano e un vecchio contadino siciliano.
La seconda scena, che si lega al passaggio della Seconda guerra mondiale nell’Italia meridionale, è l’accoglienza festosa riservata alle truppe angloamericane dalla popolazione. Si tratta, come è ovvio che sia, per alcuni aspetti, di una lettura semplificata della realtà: il Sud conosce sollevazioni antitedesche con una significativa partecipazione popolare e, persino, con la capacità militare di mettere in fuga i tedeschi in collegamento con l’avanzata angloamericana.
Le Quattro giornate di Napoli, 27-30 settembre 1943, rappresentano non tanto un esempio di jacquerie, di rivolta urbana o un sommovimento tellurico, come si è sostenuto a lungo in ambito storiografico, quanto di una prima forma di resistenza organizzata dal basso, pronta a impegnare i tedeschi sul terreno del combattimento in risposta alla politica di sfruttamento e annientamento nei confronti dei civili.
Napoli fu la prima città d’Europa che si liberò da sola. Fra l'ottobre '43 ed il maggio '44, il fronte era passato dal Volturno al Garigliano stazionando per circa sei mesi sulla linea di Cassino, linea Gustav, Roma fu liberata il 4 giugno 1944.
Tornando al 1945, gennaio del 1945, le truppe dell’Armata Rossa, comandate dal maresciallo Koniev, abbatterono i cancelli di Auschwitz ed entrarono nel campo di sterminio: nei giorni immediatamente precedenti i tedeschi, consapevoli dell’avvicinamento dei sovietici, avevano iniziato ad abbandonare il campo, portando con sé i prigionieri ancora in grado di spostarsi, non prima di aver fatto un maldestro tentativo di nascondere le prove degli orrori perpetrati, facendo saltare i forni crematori che avevano così intensamente lavorato nei mesi precedenti. Ciò che trovarono coloro che entrarono per primi ad Auschwitz è nelle immagini che tutto il mondo conosce, per le quali qualsiasi aggettivo, qualsiasi termine risuona immediatamente inefficace, povero, riduttivo: circa 7000 internati abbandonati perché allo stremo e malati, deprivati di tutto, in primo luogo della dignità di esseri umani, e gli strumenti e le strutture per una carneficina sistematica.
Il giorno dopo, il 28 gennaio iniziò il Campionato nazionale misto a girone unico. Nel 1945 non si tenne un torneo di calcio a livello nazionale, era praticamente impossibile.
Nemmeno le guerre sono mai riuscite a spegnere la passione per il gioco del calcio. Basti pensare ciò che accadde il 24 e il 25 dicembre del 1914 sul fronte occidentale della prima guerra mondiale. La vigilia di Natale e del giorno stesso di Natale, un gran numero di soldati provenienti da unità tedesche e britanniche, nonché, in misura minore, da unità francesi, lasciarono spontaneamente le trincee per incontrarsi nella terra di nessuno per fraternizzare, scambiarsi cibo e souvenir. Oltre a celebrare comuni cerimonie religiose e di sepoltura dei caduti, i soldati dei due schieramenti intrattennero rapporti