Il linguaggio dell'incertezza: attraverso la traduzione del film Benjamin
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Come possiamo dunque percepire l’insicurezza altrui, se parliamo lingue diverse? La chiave è l’analisi del linguaggio. Sappiamo infatti che è sempre possibile riportare un pensiero da una lingua all’altra, ma la convinzione che l’atto del tradurre sia semplice ci porta spesso a sottovalutare la sua prima e più importante regola: tener fede al dovere di osservare, capire e sperimentare il linguaggio, di donargli un nome, riconoscergli un’identità.
L’incertezza e la paura sono sentimenti comuni a ogni individuo, presenti in ogni cultura e Paese, che generano in chi li prova una grande ansia da autogestione e prestazione. Benjamin, il protagonista del film preso in analisi, ha tutte le carte in regola per sopraffare queste problematiche, ma non ci riesce, e finisce sempre per autosabotarsi. Questo suo senso di inettitudine non sfoga mai in azioni o reazioni spropositate, ma nel linguaggio, che definiremo, in questo contesto, linguaggio dell’incertezza.
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Anteprima del libro
Il linguaggio dell'incertezza - Irene La Preziosa
Irene La Preziosa
Il linguaggio
dell’incertezza
analizzato attraverso
la traduzione del film Benjamin
"Il linguaggio dell’incertezza
analizzato attraverso la traduzione del film ‘Benjamin’ "
Irene La Preziosa
immagine 1© 2021 Aporema Edizioni
Società cooperativa
www.aporema.com
Sir,
I am about to weep; but thinking that
We are a queen (or long have dream’d so), certain
The daughter of a king, my drops of tears
I’ll turn to sparks of fire.
Regina Caterina,
tratto da ENRICO VIII
di William Shakespeare
Introduzione
Aspettative, insicurezza, depressione, fallimento, inettitudine, abuso, e apatia: Benjamin è un film autobiografico e questo è il suo punto di forza, poiché dialoghi, eventi e personaggi risultano estremamente naturali, comuni e rintracciabili nelle nostre vite di tutti i giorni.
Quando ho visto per la prima volta questo film, sono rimasta affascinata dalla singolarità dei personaggi e dal loro linguaggio. Si tratta di una pellicola contemporanea che riflette vari problemi, alcuni dei quali considerati veri e propri tabù dalla società, che i giovani d’oggi, a prescindere dalla loro cultura d’appartenenza, si trovano a dover gestire spesso in condizioni di totale abbandono ed estrema solitudine.
Nel mondo cinematografico e televisivo, la difficoltà di accettare l’amore e abbandonarsi a esso è sempre raccontata attraverso atmosfere pericolosamente romantiche, idealizzate, e falsate. Benjamin è diverso: è satira, comicità, e realtà. Siamo noi, noi giovani che accettiamo i nostri problemi, celebriamo la complessità delle relazioni, dominiamo la paura del cambiamento e, nel crescere, ci spingiamo oltre i nostri limiti.
Come afferma il The Irish Times, Under the satire, there’s an authentic sense of emotional uncertainty
[1]. Ed è proprio l’incertezza che presentano i personaggi ad avermi tanto affascinata. Percepire, comprendere, e infine assimilare quel senso di insicurezza tipico del protagonista è straniante ma entusiasmante allo stesso tempo, perché ci fa comprendere che il processo d’immedesimazione è spesso involontario, spontaneo e automatico: insomma, qualcosa che subiamo passivamente, che non possiamo controllare. Affinché ciò avvenga però, affinché il film entri in contatto con il nostro self, è necessario che il linguaggio adottato dai personaggi richiami e rispecchi ciò che c’è di più quotidiano nella vita di ogni spettatore: i sentimenti e le emozioni. Le sensazioni che sperimentano i personaggi, quindi, devono essere facilmente rintracciabili nelle storie e vite di noi tutti.
I personaggi di Benjamin sono accomunati da un carattere costante, da una sfumatura di personalità che non dà loro tregua: l’incertezza.
L’incertezza fa parte di tutti noi, ed è un fenomeno così presente e diffuso che non lo si nota neanche più.
Fermiamoci un attimo a pensare: quante volte, per paura di esprimerci, titubiamo? Prendiamo tempo, bisbigliamo interiezioni o parliamo al plurale per paura di esprimere un’opinione, personale, che potrebbe risultare sbagliata o non condivisibile agli occhi altrui?
L’incertezza è l’elemento chiave dell’intero script: pervade l’esistenza e le azioni di ogni personaggio, ne influenza le decisioni, gli umori e i rapporti interpersonali, ed è l’aspetto che rende la storyline di Benjamin estremamente vera, nuda e cruda.
Ho visto Benjamin più volte, non limitandomi a osservarne la splendida fotografia o a godere della storia nella sua leggerezza, ma concentrandomi sul linguaggio attraverso cui i personaggi si manifestano. Ognuno di loro infatti vuole comunicare cosa prova, cosa teme, da cosa fugge, senza però esplicitarlo o ammetterlo, senza aprirsi, senza mostrare le proprie fragilità e debolezze.
Vogliono essere compresi e accettati in quanto esseri umani, per cui si aspettano che i loro simili possano - e desiderino - comprenderli senza bisogno di richieste d’aiuto esplicite. Grazie al loro linguaggio, infatti, capiamo più di quanto venga detto: bisogni, disagi, malesseri, e necessità di contatto.
Il linguaggio, verbale e non, è come l’universo: infinito, pieno di diverse dimensioni e sfumature. Sta a noi scegliere se andare in profondità o rimanere in superficie, se approfondirlo attraverso un’analisi, o accontentarci semplicemente di comprendere qualche battuta.
L’incertezza e la paura sono sentimenti comuni a ogni individuo, presenti in ogni cultura e Paese, che generano in chi li prova una grande ansia da autogestione e prestazione. Benjamin, il protagonista, ha tutte le carte in tavola per sopraffare queste problematiche, con le quali convive da sempre e che quindi conosce molto bene; ma non ci riesce, e finisce sempre per auto-sabotarsi.
Questo suo senso di insoddisfazione, frustrazione, fallimento e inettitudine non sfoga mai nelle azioni, in evidenti turning point o in reazioni spropositate, ma nel linguaggio, che definiremo, in questo contesto, linguaggio dell’incertezza.
Noi siamo ciò che diciamo e come lo diciamo: la nostra personalità, il benessere o malessere che viviamo si svela attraverso il linguaggio che adottiamo, attraverso il modo in cui ci esprimiamo.
Questa è la scintilla che ha acceso la mia voglia di trattare come l’analisi del linguaggio sia una componente necessaria per la comprensione della personalità, tanto di un persona, quanto di un personaggio, poiché veicola messaggi e riflette problematiche comuni a noi tutti, suggerendo e giustificando relative e possibili reazioni, approcci e attitudini, a prescindere da lingua e cultura d’appartenenza. È infatti sempre possibile riportare un pensiero da una lingua all’altra, specialmente se questo esprime un’emozione o sensazione universale: attraverso la traduzione possiamo conoscerci, comprenderci, e condividere la nostra visione del mondo, superando quelle diversità, quei limiti e quelle barriere che si rivelano essere vere e proprie risorse da sfruttare per arricchirci l’un l’altro.
Nella speranza che chi stia affrontando una situazione simile a quella di Benjamin possa trovare la forza di reagire nella rinascita di questo splendido personaggio, ho deciso di prendere in esame lo script di questo film, di operare un tentativo di traduzione, rendendo così comprensibile e accessibile anche agli italiani un film per me particolarmente meritevole; di analizzare le problematiche dei personaggi attraverso una personale valutazione del linguaggio; di esplorare, sempre mediante il linguaggio, la loro attitudine e il loro background socio-culturale.
Partiremo quindi con il delineare il mio lavoro attraverso un primo capitolo, più teorico, in cui darò una breve definizione dei termini traduzione, traduzione audiovisiva, ed elemento culturospecifico, ripercorrendo una strada già battuta da grandissimi professori, linguisti e traduttori, italiani e non, e avvalendomi delle loro ricerche e constatazioni.
Passeremo poi a un secondo capitolo più pratico, dove racconterò in breve la trama del film, ricostruirò le dinamiche sociali e, per quanto possibile, quelle psicologiche di alcuni personaggi, focalizzandomi sul linguaggio da loro adottato, che chiameremo linguaggio dell’incertezza.
L’ultimo capitolo, infine, sarà pratico ed esplicativo, in quanto presenterà la mia proposta di traduzione in italiano dello script del film, per poi fornire la dimostrazione e spiegazione delle tecniche e strategie da me adottate nel processo di traduzione, con riferimenti allo slang presente nella lista dialoghi.
1. LA TRADUZIONE
Una definizione
Sono molteplici le definizioni che negli anni sono state date al termine traduzione: è stato definito un processo di trasposizione da un testo di partenza a un testo di arrivo, un oggetto materiale in quanto testo, una categoria, accostata a settori editoriali, scientifici, diplomatici, e artistici; ma anche un mezzo di diffusione del linguaggio, di valutazione della sua evoluzione. Ciò che è certo è che, nel corso della storia, la traduzione non è sempre stata ciò che è per noi oggi: questo termine ha acquisito con il tempo un significato molto ampio, utilizzato poi per trattare tutto ciò che può essere esteriorizzato e tradotto in parole, come lingue, idee, concetti, sensazioni ed emozioni.
In epoca Romana non c’era un termine specifico per riferirsi all’atto di traduzione: si utilizzava il verbo latino traducere
, ovvero trans – ducere, con cui si intendeva, soprattutto in campo militare, l’atto del portare qualcosa da un lato all’altro
. Cicerone, parlando della traduzione dei testi greci in latino, utilizzava verbi differenti, come vertere, transferre, convertere, e reddere.[2]. C’era ampia scelta fra i termini da utilizzare in riferimento all’atto del tradurre e questo riflette l’imprecisione che ha accompagnato la definizione del concetto nei secoli.
Oggi possiamo affermare che la traduzione è la trasposizione di un testo scritto da una lingua di partenza (original language) a una lingua d’arrivo (target language).
Materia prima di ogni traduzione è il testo, che può presentare un linguaggio specifico, composto da tecnicismi, o un linguaggio comune, il cui significato è reso evidente dal contesto di lettura. Il traduttore,