Il mio testamento
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Prefazione di papa Francesco.
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Anteprima del libro
Il mio testamento - Paolo Dall'Oglio
IL CARISMA
Nota redazionale
Il testo finale delle conferenze qui raccolte, pronunciate in arabo e poi messe per iscritto e tradotte, è stato rivisto dalla Comunità di Deir Mar Musa. In alcuni casi il testo risente della forma orale, ma si è preferito non intervenire eccessivamente. In corpo minore sono riportati alcuni passaggi dei primi due capitoli della Regola della Comunità, che vengono riportati integralmente in Appendice. Per la traslitterazione dei termini arabi si è scelta una forma semplificata; nel caso di nomi propri e toponimi, si è seguito il criterio dell’uso comune in italiano e quindi, per esempio, usiamo Islam e non Islām.
1. L’iniziativa di Dio
Il testo fondativo
Nel nome di Dio.
Questo è il testo della Regola della Comunità, che abbiamo scritto tra il 1997 e il 1998, come modello per la nostra vita monastica. Avevo scritto una bozza, poi la Comunità ha reagito e così abbiamo apportato molte correzioni. Questa è la seconda redazione.
In precedenza, nel 1993, su richiesta del cardinale Achille Silvestrini, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e in vista del Sinodo sulla vita religiosa tenutosi nel 1994,¹ avevo scritto un primo testo in italiano, ovvero una descrizione della nostra vita. Erano trascorsi due anni dall’inizio della nostra esperienza monastica. Oggi considero quel primo testo introduttivo, mentre questo secondo è fondativo. E mantiene la sua importanza, anche dopo la formulazione del testo canonico
, codificato e formulato tra il 2002 e il 2006 d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per le Chiese orientali, sul modello del Codice dei Canoni delle Chiese orientali e strutturato secondo gli argomenti previsti dal Diritto canonico.
La classificazione utilizzata nel testo giuridico non è la nostra classificazione e non si accorda con le nostre priorità, ma è in linea con le priorità della formulazione giuridica. Quando abbiamo scritto il testo canonico (2006), il testo del 1997-98, che ci apprestiamo a commentare, è stato preso in considerazione. Poi si è aperto un tempo di confronto e su alcuni punti c’è stato disaccordo: il testo del canone finale è stato così emendato attraverso il dialogo con la Chiesa.
L’esempio più importante a questo proposito riguarda la composizione ecumenica della Comunità: abbiamo scritto che è possibile per una persona ortodossa entrare a far parte della Comunità ed essere un membro della Chiesa cattolica pur rimanendo parte della sua Chiesa di origine. Ci hanno obiettato: allora non siete una comunità monastica cattolica.
Quando abbiamo presentato il primo testo in Vaticano nel 2004 volevamo – e non abbiamo smesso di volere fino ad ora – essere una Comunità ecumenica, composta da monaci e monache che avrebbero mantenuto il loro battesimo, protestante o ortodosso. Il Vaticano ci ha risposto che questo non è possibile dal punto di vista canonico. Poi hanno accolto la nostra controproposta, che riassumo così: chi accetta di appartenere alla Chiesa cattolica non lascia la sua appartenenza originaria, ma piuttosto la approfondisce in qualche modo. Una cosa è l’adempimento canonico, altra cosa è l’atteggiamento spirituale.
Il nostro atteggiamento spirituale non è affatto cambiato, ma è stato riformulato in un vero dialogo con la Chiesa.
Nel testo del 1997-98 non ci eravamo ancora messi in relazione alla figura di Abramo, al-Khalīl.² Abbiamo avuto una sorta di esitazione su questo punto, a causa della resistenza di alcuni. Tuttavia, questa idea è maturata più tardi nella Comunità attraverso l’esempio di persone devote che hanno scelto il nome Ibrahim o Khalil per i loro figli, e alcuni hanno notato la sorprendente somiglianza nelle nostre icone orientali tra san Giuseppe, il padre adottivo di Gesù, e Abramo al-Khalīl: hanno esattamente lo stesso aspetto.
Dono dello Spirito
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Dio uno e vero.
Questo monachesimo è un dono dello Spirito Santo di Dio, lui ascoltiamo e a lui obbediamo nella Chiesa e sotto la sua guida. La Comunità monastica del monastero è costituita da discepoli e discepole di Gesù Nazareno, il Cristo di Dio e sua parola, suo perdono, il Figlio unigenito: per lui, con lui e per suo appello offriamo noi stessi come Qurbân (sacrificio) a Dio padre. Ci consacriamo al suo amore e all’amore del prossimo affinché Dio sia tutto in tutti. Lo Spirito Santo ci renda intercessori e sostituti (abdāl³) con Abramo e Maria mediante l’umiltà di suo figlio in vista della redenzione dell’Islam e dei musulmani e della loro partecipazione alla costruzione del Regno.
Dopo aver affermato il nostro monoteismo nel titolo generale – nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Dio uno e vero – abbiamo voluto che la prima pagina fosse fondata sul movimento d’amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, partendo dallo Spirito. Incontriamo Dio a partire dall’ispirazione dello Spirito.
Se mi stringi la mano, ti incontro dall’iniziativa di stringerti la mano, poi seguo il tuo braccio e raggiungo i tuoi occhi, e dai tuoi occhi mi tuffo nel tuo cuore. Il mio movimento procede dal movimento di Dio verso di me, e io ritorno a Dio sulla base della sua iniziativa.
Speciale consacrazione all’Islam
È chiaro qui che questo monachesimo è consacrazione a Cristo. È la stessa consacrazione del battesimo. Tuttavia, è una consacrazione speciale
perché incentrata sin dalla prima pagina attorno a un concetto chiaro: in vista della redenzione dell’Islam e dei musulmani e della loro partecipazione alla costruzione del Regno. I voti che la Comunità monastica esprime affermano chiaramente la missione della Chiesa al servizio del contesto islamico.
Qualcuno mi dice: «Padre, perseguitano i copti in Egitto, tagliano fuori i cristiani in Iraq, massacrano gli armeni, i siriaci e gli arabi cristiani in Turchia, eccetera». Io dico: non diminuisce il dovere della Chiesa di annunciare ai musulmani l’umiltà e l’amore di Dio per loro in Cristo, con quello che questa predicazione implica dell’apprezzamento di Dio per loro. Questo dovere non è mai annullato da ciò che affrontano i copti, gli assiri, i siriaci o gli arabi cristiani – ed è ciò che affrontano anche altri gruppi, come ad esempio i curdi – in termini di pericolo, persecuzione o espulsione. A questo proposito, non bisogna confondere l’appartenenza cristiana con le diverse appartenenze nazionali.
Charles de Foucauld considerava la Prima guerra mondiale tra Germania e Francia una guerra tra la fede della Francia (e questo non è esatto, perché la Francia era laica) e il paganesimo della Germania! De Foucauld ha interpretato la realtà in chiave etnico-nazionalista, identificando il concetto nazionale con quello ecclesiale. Non possiamo – con tutto il nostro apprezzamento per Charles de Foucauld, e solo Dio sa quanto sia importante per noi – immaginare una Chiesa cristiana che consideri la Francia come credente e la Germania come infedele, pur riconoscendo la complessità che il dibattito sul concetto di nazionalismo assumeva a quel tempo. Ma su questo non voglio dilungarmi ora.
La Chiesa è madre della Germania tanto quanto è madre della Francia. È la madre degli armeni tanto quanto dei curdi, la madre dei siriaci tanto quanto dei turchi, la Chiesa è la madre del popolo indiano tanto quanto lo è dei cinesi, la madre dei russi quanto è madre del popolo polacco, la Chiesa è madre del popolo d’America quanto è madre del popolo iraniano. La Chiesa non accetta mai di non prendersi cura di questo per amore di quello.
Pertanto, qualunque sia la situazione – e tenendo conto del peggio che può accadere –, rimane, per quei cristiani che sono chiamati da Dio, il compito dell’amore per tutti i musulmani. Dico qualunque sia la situazione… come se supponessimo, per esempio, che si sviluppasse in tutto il mondo islamico un movimento ostile, e che i musulmani decidessero di espellere tutti i cristiani, cosa che spingerebbe il mondo occidentale cristiano (che non è cristiano) a rispondere espellendo tutti i musulmani e costruendo un muro tra sé e i musulmani alto cinque volte il muro di Sharon... Oppure che i musulmani decidessero di chiudere ciò che resta del cristianesimo in una terra lasciata agli infedeli, il cui nome sarebbe Dār al-Harb,⁴ in attesa che i mujahidin lo attaccassero e sradicassero l’infedeltà nel mondo, in attesa della venuta di Gesù a Damasco, della venuta del Mahdi,⁵ e si manifestasse la verità e gli infedeli fossero sconfessati, ammesso che ci fosse ancora qualche migliaio di cristiani nascosti sottoterra...
Se tutto questo accadesse, quelli rimasti avrebbero comunque la responsabilità di manifestare l’amore di Dio per i musulmani in Cristo Gesù. Non la responsabilità di cucinare
l’oppressione ogni giorno, né di nutrirsi di odio e avversione mattina e sera. A questi, a ciò che restasse dei cristiani, sarebbe affidato da Dio il compito di amare tutti i musulmani, anche dopo questa catastrofe totale e dopo la vittoria dell’Islam su tutti i popoli. È una visione escatologica negativa che non mi aspetto veramente, ma è per dire che, pur nel peggiore degli scenari, i cristiani rimasti non dovrebbero avere alcun desiderio di vendetta.
Le civiltà crescono e periscono, mentre il mondo avanza. E la civiltà che dona qualcosa di vero all’universo è quella che distribuisce le sue perle a tutti i popoli, e questo può avvenire attraverso la migrazione dei suoi