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Con baby pensioni o pensioni baby sono indicate quelle pensioni erogate dallo Stato italiano a lavoratori del settore pubblico che hanno versato i contributi previdenziali per pochi anni, o che hanno avuto la possibilità di ritirarsi dal lavoro con età inferiore ai 40-50 anni[1].

Le baby pensioni furono introdotte in Italia già nel 1973 dal governo Rumor[2] con l'art. 42[3] del DPR 1092 recante "Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato", che consentiva le baby pensioni nell'impiego pubblico: 14 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi per le donne sposate con figli; 20 anni per gli statali; 25 per i dipendenti degli enti locali. Il provvedimento - con cui il Governo esercitava la delega conferitagli dal Parlamento con l'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, numero 775 - fu firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri per l'organizzazione della pubblica amministrazione, per il tesoro e per il bilancio, e ricevette il parere della commissione parlamentare di cui all'art. 21 della suddetta legge: un parere votato dalla maggioranza e dalla opposizione.[4]

Il 29 aprile 1976 il Parlamento approvò la legge n. 177 che consentiva ai dipendenti pubblici che avessero cessato il lavoro entro il 31 dicembre 1975 senza maturare la pensione di riscattare i contributi versati all'Inadel oppure girarli all'Inps per ottenere un vitalizio equivalente alla pensione sociale.[5]

Le prime erogazioni avvennero già nel 1981.

L'accesso alle baby pensioni continuò per qualche tempo ancora, anche dopo il Decreto legislativo 503 del 30 dicembre 1992 ("Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421") che contemplava gli ultimi requisiti che avrebbero permesso di conseguirla ancora per diversi anni.

Dai tentativi falliti di abolizione alla Riforma Dini

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Nonostante parte della stampa e dell'opinione pubblica associno erroneamente l'istituzione delle baby-pensioni ai due esecutivi guidati da Bettino Craxi tra il 1983 e il 1987 (quindi ben 10 anni dopo l'istituzione delle stesse da parte del già citato Governo Rumor, e 2 anni dopo le prime erogazioni), in realtà i governi guidati dal leader del Partito Socialista Italiano tentarono invano di abolirle in due distinte occasioni, per mezzo di una riforma presentata dall'allora Ministro del Lavoro Gianni De Michelis nel 1984[6] e dallo stesso ripresentata con alcune modifiche nel 1986[7]. La riforma in oggetto, che prevedeva l'innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini, e la creazione della pensione "di anzianità" (a fronte di un minimo contributivo di 35 anni per tutti), avrebbe esplicitamente posto fine alle baby pensioni, conservando solo quelle già in essere; tuttavia non riuscì a passare al vaglio delle Camere anche a causa dello scioglimento anticipato della legislatura. Dopo un ulteriore tentativo andato a vuoto a opera del Governo Amato I nel 1992, sarà soltanto la riforma Dini del 1995 a eliminare le baby pensioni, introducendo contestualmente la già a lungo ipotizzata pensione di anzianità.

Motivazioni politiche

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Le baby pensioni sono forse il caso più eclatante di privilegio pensionistico. Proprio nel 1973 nel periodo in cui ancora ci si cullava nell'illusione di una crescita senza fine, una classe politica miope e non immune da tentazioni clientelari arrivò al punto di concedere alle dipendenti pubbliche con figli di andare in pensione dopo 14 anni, sei mesi e un giorno e ai dipendenti pubblici uomini di uscire dopo 19 anni sei mesi e un giorno. Con il risultato di consentire a persone con poco più di 30 anni di accedere alla pensione.[8]

Costi per lo Stato italiano

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L'anticipo di corresponsione della pensione a una giovane età, determina che il periodo di pensionamento può arrivare a superare i 40 anni. Nel 2011 il numero complessivo di pensionati andati in pensione a meno di 50 anni era oltre mezzo milione e di questi 425 000 erano pensionati INPDAP ossia del pubblico impiego. Il costo complessivo annuo era di oltre 9 miliardi di euro. Circa 17 000 persone erano andate in pensione con 35 anni di età, lavoratori che percepiranno la pensione mediamente per poco più di 40 anni.[9]

Grazie a questo provvedimento, si registrarono anche casi eclatanti di pensionamenti all'età di 29 anni o di pensionamenti in seguito a 11 mesi di contributi versati[10]. Secondo uno studio di Confartigianato, i costi complessivi per lo Stato assommano a 150 miliardi di euro.[11] In effetti dall'analisi della spesa pensionistica in Italia, dalla valutazione dell'aumento del debito pubblico e del debito pubblico implicito in Italia si nota la coincidenza degli effetti della nuova normativa pensionistica sul bilancio dello Stato.

Vantaggi per il baby pensionato

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Secondo uno studio, i lavoratori pubblici che sono andati in pensione tra i 35 e i 39 anni, visto che hanno una aspettativa di vita di 85 anni, percepiranno la pensione per almeno il triplo degli anni di contribuzione. Per tale motivo, i baby pensionati incassano almeno il triplo di quanto hanno versato.[12]

Un esempio di calcolo di baby pensione

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Si ipotizza un lavoratore che abbia versato dei contributi previdenziali con una aliquota contributiva pensionistica di finanziamento pari al 33% del reddito per 20 anni. Con il metodo di calcolo retributivo, la pensione di vecchiaia sarà pari al 20 anni × 2% = 40% della media dei redditi degli ultimi anni secondo le regole vigenti. Un pensionato di 40 anni ha una aspettativa di vita di circa 42 anni, quindi, a fronte di una aliquota contributiva pensionistica di finanziamento del 33% × 20 anni, ossia al massimo il 660% di un reddito annuale medio, percepirà 40% × 42 anni = 1.680% del reddito, pari a una aliquota contributiva pensionistica di computo dell'84% (1.680%/20), ossia più del doppio contributi versati nell'ipotesi di reddito costante.

La differenza tra montante contributivo individuale maturato e la riserva matematica che sarà erogata negli anni si trasforma da debito pubblico implicito in debito pubblico esplicito, determinando a carico di chi ha avuto altre promesse pensionistiche una pari penalizzazione, che potrà consistere o in un aumento dell'aliquota contributiva pensionistica di finanziamento o in un aumento dell'età per il pensionamento di vecchiaia.

  1. ^ Il Sole 24 Ore 27/12/2013.
  2. ^ Il Corriere della Sera 21/8/2011, nel 1973 (governo Rumor, con Dc, Psi, Psdi e Pri).
  3. ^ D.P.R.1092/1973, Art. 42: «Nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e in ogni altro caso di cessazione dal servizio, il dipendente civile ha diritto alla pensione normale se ha compiuto venti anni di servizio effettivo. Alla dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico spetta, ai fini del compimento dell'anzianità stabilita nel secondo comma, un aumento del servizio effettivo sino al massimo di cinque anni».
  4. ^ Lettera43 01/09/2014, A quanto pare la misura fu ispirata dai sindacati, ma rientrava - dopo il golpe cileno - in una stagione che mise le basi al compromesso storico. Senza dimenticare che di lì a poco ci sarebbe stata una tornata amministrativa che la Dc di Rumor vinse a mani basse. Non a caso la norma fu votata da tutti, maggioranza e opposizione.
  5. ^ Corrado Zunino. E il leader del pallone ha la pensione sociale Archiviato il 18 marzo 2014 in Internet Archive. in «la Repubblica», 4 settembre 2002, p. 42.
  6. ^ DE MICHELIS DIFENDE LA RIFORMA DELLE PENSIONI 'NESSUNO CI RIMETTERA' ' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 27 dicembre 2020.
  7. ^ PENSIONI, DE MICHELIS INSISTE I PROFESSIONISTI LO ATTACCANO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 27 dicembre 2020.
  8. ^ Pasquale Tridigo e Enrico Marro, Il lavoro di oggi la pensione di domani. Perché il futuro del Paese passa dall'Inps, 2023.
  9. ^ Tuttolavoro24/8/2013, Un onere di quasi 6 630 euro per ciascun attuale lavoratore. E sempre per farsi un'idea sull'entità del fenomeno (con una media di 41 anni di pensione goduta), confrontando i dati INPS e INPDAP al 2011, sono circa 531 000 le pensioni corrisposte a chi si è ritirato con meno di 50 anni, per una spesa totale di 9 miliardi e mezzo l’anno; di esse, 425 000 sono erogate dall'INPDAP, di cui quasi 17 000 riguardano persone che sono andate in pensione a 35 anni d’età.
  10. ^ Baby pensioni. Il primato di Francesca, su archiviostorico.corriere.it, Corriere della Sera, 5-7-1997 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2016).
  11. ^ Lettera43 01/09/2014, Confartigianato ha calcolato che lo Stato ha bruciato circa 150 miliardi di euro per pagare questi assegni.
  12. ^ Il Sole 24 Ore 27/12/2013, I calcoli li ha fatti tempo fa la Confartigianato: in 17mila hanno smesso di lavorare a 35 anni di età mentre altri 78mila sono andati in pensione tra i 35 e 39 anni. E visto che la loro aspettativa di vita stimata è di circa 85 anni, i baby pensionati incassano durante la loro vita almeno il triplo di quanto hanno versato durante la loro attività lavorativa.

Bibliografia

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Articoli di stampa e di opinione

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Voci correlate

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