Psicoanalisi e Buddhismo
Psicoanalisi e Buddhismo
Psicoanalisi e Buddhismo
ANTHONY MOLINO
Jung comprese che il buddhismo tendeva ad adattarsi alle culture
che incontrava. Il buddhismo non rappresenta una tradizione
orientale in particolare: esso fu in grado di spostarsi, per esempio,
dallIndia alla Cina, dal Giappone al Sud-Est asiatico, e di modifi-
carsi attraverso un processo di adattamento culturale. Perci Jung
cominci a pensare che il buddhismo potesse entrare a far parte
della psicologia del profondo [].
1
Polly Young-Eisendrath
Introduzione
Nel corso degli anni, alcuni psicoanalisti hanno mostrato sem-
pre pi interesse verso il buddhismo Zen, intraprendendo un la-
Il presente saggio tratto da The Couch and the Tree: Dialogues in Psycho-
analysis and Buddhism, Open Gate Press, London, 2001 (a cura di Anthony Mo-
lino). Lautore ringrazia Jeffrey Rubin per la sua attenzione critica alla prima
versione di questo saggio e la dott. Mara Matta per la sua traduzione in italiano.
1
A. Molino (a cura di), Elaborate Selves: Reflections and Reveries of Christopher
Bollas, Polly Young-Eisendrath, Michael Eigen, Samuel and Evelyn Laeuchli, and
Marie Coleman Nelson, Harworth Press, Binghamton, NY, 1997, p. 214.
Anthony Molino
64
voro comparativo mirato soprattutto a integrare alcuni aspetti del-
lo Zen con la loro teoria e pratica psicoanalitica. Tuttavia, quello
che sembra mancare a queste ricerche il tentativo di mettere a
confronto i fondamenti teoretici specifici dello Zen e della psico-
terapia occidentale che riflettono e forniscono spiegazioni diver-
se della condizione umana. A mio avviso, un confronto approfon-
dito tra i due sistemi potrebbe essere effettuato nel migliore dei
modi analizzando i principi metafisici e meta-psicologici sui quali
essi rispettivamente si fondano. Nel fare ci, tuttavia, bisogna te-
nere presente, da un lato il fatto che lattuale psicoanalisi
tuttaltro che omogenea, dallaltro che la tradizione Zen sfugge a
qualsiasi tentativo di analisi intellettuale e concettuale. A tale
scopo, vorrei concentrare la mia attenzione su due singolari figu-
re che, per quanto non rappresentative della visione convenzio-
nale dello Zen o della psicoanalisi, rendono possibile quel tipo di
fertile confronto al quale mi riferisco.
Nel campo della psicoanalisi, alcuni autori contemporanei
hanno sottolineato, anche se solo en passant, una certa somi-
glianza perlomeno di stile tra Jacques Lacan e il carattere allu-
sivo e beffardo del Maestro Zen.
2
Tuttavia, oltre a notare qualche
divertente e facile analogia come quella tra la seduta breve di La-
can e il colpo del Maestro Zen sulla testa dellignaro discepolo,
quasi nessun lavoro interdisciplinare di natura teorica stato fatto
per esplorare i legami tra il pensiero di Lacan e lo Zen.
Al contrario, uneccezione degna di nota alla proverbiale av-
versione del buddhismo Zen nei confronti di ogni genere di teo-
rizzazione sistematica rappresentata dallopera, pionieristica ma
spesso trascurata, di Richard De Martino. Studente, collega, tra-
duttore e interprete di luminari quali D.T. Suzuki e Shinchi Hi-
samatsu, De Martino una figura fondamentale per comprende-
re il modo in cui lo Zen si trapiantato nel suolo americano du-
2
Si veda in particolare S. Schneiderman, Jacques Lacan: The Death of an Intel-
lectual Hero. Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1983, p. 81. Echi simili
si trovano in M. Borch-Jacobsen, Lacan. The Absolute Master, Stanford University
Press, Stanford, California, 1991; si veda anche il saggio di Stephen Kurtz, "La
pratica della non-conoscenza", nel volume, a mia cura,Psicoanalisi e buddismo
Cortina, Milano, 2001.
Lo Zen, Lacan e lio alieno
65
rante il dopoguerra. Se, come hanno sostenuto Polly Young-
Eisendrath e altri, uno dei punti di forza del buddhismo la sua
capacit di adattamento culturale, allora il tentativo di De Martino
di teorizzare una visione Zen della condizione umana pu essere
considerato come uno dei momenti essenziali della lenta assimi-
lazione, da parte dellOccidente, di questa filosofia esperienziale,
un tempo considerata estranea ed esotica. Inoltre, nella storia del
dialogo tra Oriente e Occidente, De Martino fu pi che un sem-
plice promotore strumentale, e i suoi sforzi contribuirono a far
incontrare maestri Zen e teologi, filosofi e psicoanalisti. Se da un
lato i suoi scritti riflettono una comprensione peculiare, idiosin-
cratica dello Zen, dallaltro essi contribuiscono a gettare luce su
un clima intellettuale postbellico in cui la psicoanalisi e
lesistenzialismo divennero i veicoli occidentali privilegiati per
entrare in contatto con la filosofia buddista, fino ad allora intesa
come altra dalla cultura occidentale. E questo laspetto
dellopera di De Martino che vorrei evidenziare. Mi sembra infat-
ti che il suo modo di concepire lalienazione come unespressione
trans-storica della natura umana sia fruttuosamente ripreso da La-
can nei suoi scritti un esempio, quello di De Martino e Lacan,
di una sincronicit transculturale.
I
In breve, designiamo nellio quel nucleo dato alla coscienza ma opaco
alla riflessione, segnato da tutte le ambiguit che dalla compiacenza
alla malafede strutturano nel soggetto umano il vissuto passionale;
quellio che, confessando la sua fatticit alla critica esistenziale, oppo-
ne la sua irriducibile inerzia di pretese e di misconoscimento alla
problematica concreta della realizzazione del soggetto.
3
Jacques Lacan
La posizione corretta del buddhismo Zen che la causa fondamen-
tale di tutti i problemi o di tutte le paure delluomo comune sta
nel fatto che egli non radicato stabilmente nel proprio essere,
quale autentico io-soggetto. Secondo questo punto di vista, quindi,
se luomo comune potesse veramente conoscere o essere se
3
Laggressivit in psicoanalisi, in J. Lacan, Scritti. 2 voll., Einaudi, Torino,
1974, vol. 1, p.103.
Anthony Molino
66
stesso, la radice di tutti i suoi problemi e ansie verrebbe immedia-
tamente estirpata.
4
Richard De Martino
Come si evince dalle due citazioni, la questione dellalienazione
ontologica-esistenziale o della inautenticit centrale sia per La-
can sia per lo Zen. Per entrambi, lindividuo scisso, o intrappolato
nella morsa del dualismo tra soggetto e oggetto che struttura ogni
cosa (Zen) o diviso per via di processi di maturazione diversi per
ogni specie gi alla radice della propria soggettivit. In ogni caso
viene postulata la rottura primordiale di uno stato naturale indif-
ferenziato. Quello che colpisce, tuttavia, trovare nellopera di un
pensatore come De Martino un riferimento a una fase normativa di
maturazione durante la quale vengono istituite sia la realt ontolo-
gica-esistenziale dellio sia il suo conseguente dualismo:
la norma della coscienza dellio di solito appare per la prima
volta tra i due e i cinque anni di et. Trascurando, per questa
volta, ogni considerazione fenomenologica degli esordi e dello
sviluppo di tale coscienza.
5
A mio avviso Lacan ci fornisce questo stesso resoconto. Attra-
verso la sua concettualizzazione dello stadio dello specchio, infat-
ti, possiamo individuare una solida base di confronto per due tra
le pi convincenti critiche esistenti alla roccaforte occidentale
dellio entrambe le quali, inoltre, sono influenzate da unessen-
ziale, se non fondamentale, lettura delle tesi di Hegel sul rappor-
to Servo-Padrone e la genesi della soggettivit.
II
Definito da ci che Richard De Martino chiama la funzione
strutturata della coscienza riflessiva, ovvero da quella capacit
4
De Martino, da una comunicazione del 1983 durante il corso Zen e psico-
terapia occidentale, alla Temple University di Philadelphia.
5
R. De Martino, La condizione umana e il buddhismo zen, in E. Fromm,
D.T. Suzuki, R. De Martino, Zen Buddhism and Psychoanalysis, New York, 1960,
p. 151 (tr. it. Psicoanalisi e buddhismo zen. Astrolabio, Roma 1968).
Lo Zen, Lacan e lio alieno
67
della persona umana di essere consapevole o conscia della sua
stessa consapevolezza o coscienza,
6
lio viene a costituirsi come
un soggetto-conoscitore. Nel diventare cosciente del suo essere
cosciente, lio simultaneamente si pone quale oggetto del suo co-
noscere. Cos costituito, lio non pu mai arrivare a riconoscersi
come soggetto. Nelle parole di De Martino:
Lio come soggetto legato per sempre a se stesso e al suo mondo
come oggetto. [] Capace di avere un oggetto soltanto perch
un soggetto, non pu mai essere un soggetto fino a che continua a
essere o ad avere un oggetto. [] Diviso e dissociato nel suo stesso
centro, al di l del raggiungimento di se stesso, ostruito, rimosso
e alienato da s. Proprio nel possedere se stesso non possiede se
stesso.
7
Attenendosi a un modello di dialettica hegeliana, secondo il
quale la soggettivit - o quell io che connota lautocoscienza
generata dallincontro tra due io, la lettura dello Zen che ope-
ra De Martino considera il mondo del Desiderio, tipicamente uma-
no e in cui si svolge il gioco interdipendente di soggetto-
(oggetto)-soggetto, come costitutivo dellio del bambino. Una
tale lettura, come ho sottolineato altrove, degna di nota per la
sua tendenza a situare il peccato originale dellalienazione, se
cos si pu dire, in una fase normativa della psicologia dello svilup-
po. Questa visione dellingresso del bambino nella matrice
dellessere (e del non-essere) sostanzialmente condivisa da La-
can: anche le sue idee sullalienazione del soggetto scisso o de-
centrato si basano molto sulle fondamenta filosofiche gettate da
Hegel e Kojeve. In realt, per Lacan, una simile scissione rimane
inerente alla formazione e alla funzione dellio, poich egli parla
usando un linguaggio simile a quello di De Martino della di-
scordia primordiale da cui emergiamo e della deiscenza vitale
costitutiva delluomo.
8
6
De Martino, da una comunicazione del 1983 durante il corso Zen e psico-
terapia occidentale, alla Temple University di Philadelphia.
7
De Martino, op. cit., p. 153.
8
Si veda J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione
dellio, in Lacan, op. cit., p. 90 e Laggressivit in psicoanalisi, in Lacan, op.
Anthony Molino
68
III
Nel 1936, basandosi sulle prove fornite dalla biologia animale,
laddove limmagine riflessa di un piccione femmina o di una locu-
sta migratoria produceva, sullo sviluppo di un soggetto, gli stessi
effetti prodotti da un incontro visivo dal vivo con un membro del-
la propria specie, Lacan svilupp la sua idea dello stadio dello
specchio.
9
Verificandosi a un certo momento, tra i sei e i ven-
tuno mesi di et, (sebbene in realt il fatidico evento possa non
verificarsi mai: da qui la qualit mitica della nozione), lo stadio
dello specchio presuppone che il soggetto riconosca la propria
immagine corporea, percepita come ununit totale, negli occhi
della madre. Come spiegher in maggiore dettaglio pi avanti,
questidentificazione primaria del proprio io, oltre a fungere da
calco per tutte le identificazioni successive, anticipa il processo di
maturazione corporea nellapprendimento di una Gestalt esterio-
re.
10
Questa anticipazione, a sua volta, da parte di un essere in
Discordia, concretizza lio nella sua forma primordiale sulla
falsariga di ci che Michael Guy Thompson, nel suo libro The De-
ath of Desire, chiama una identit errata. Infatti la percezione di
unimmagine del s intera, in violento contrasto con una sup-
posta esperienza reale di frammentazione interna, conduce il
bambino alla formazione ambivalente di unidentit del s dove i
confini tra realt esteriore e interiore, corporea e percettiva sono
totalmente sfumati. Come Thompson spiega in un capitolo intito-
lato Idolatria dellio (corsivi miei):
cit., p. 110. La somiglianza di linguaggio notevole: dove Lacan parla di dei-
scenza, De Martino nei suoi scritti usa la parola spaccatura.
9
Lo scritto di Lacan sullo stadio dello specchio, bench pubblicato nel
1949, venne prefigurato nel 1936, in un intervento al XIV Congresso
dellAssociazione psicoanalitica internazionale a Marienbad. Mentre il france-
se stade, o stadio, enfatizza la nozione di spettacolo, come pure di arena (ri-
prendendo il termine hegeliano della lotta per la morte tra Padrone e Ser-
vo), la traduzione inglese, con la sua allusione teatrale, mostra a sua volta
lalienazione e gli inganni che il palco (stage) favorisce.
10
Lacan cita linsufficienza organica (prematurazione specifica, o fetaliz-
zazione parziale) del bambino in questo stadio di sviluppo. Si veda Lo stadio
dello specchio come formatore della funzione dellio, in Lacan, op. cit., vol. 1,
p. 91.
Lo Zen, Lacan e lio alieno
69
Deliziato dallamorevole scoperta della sua propria immagine
(allo specchio), il bambino vive anche il desiderio di distruggere
quel s (formatosi in cattiva fede) poich esso indica il suo caos
interiore. Il paradosso di questo incontro con la propria imma-
gine che il bambino finisce per essere iniziato allincessante ri-
cerca del riconoscimento del proprio desiderio attraverso un
meccanismo per cui tale riconoscimento non deriva, in prima istanza,
da parte di un altro soggetto.
11
Come si pu evincere, ci che si teorizza unalienazione,
una scissione o estraniazione dellio dal suo soggetto, la cui asso-
luta qualit dellessere permea per sempre il Reale elusivo
dellinconscio lacaniano. Ancora una volta questa scissione avvie-
ne in virt dellinteriorizzazione, da parte del bambino, dellim-
magine unificata riflessa dallo specchio, che si presuppone in
conflitto con lesperienza reale della frammentazione (interiore)
del bambino. Quindi, secondo Lacan, veniamo cos iniziati al re-
gno tirannico dellImmaginario, fatto di immagini congelate del
s, immagini costituite e strutturate dal desiderio di un Altro alie-
no ed estraneo. , questa, la scena di un disperato e illusorio
tentativo di essere e restare ci che si , raccogliendo di conti-
nuo un numero infinito di rappresentazioni di un s sempre
uguale e somigliante a s stesso.
12
Una simile tirannia, gi prefi-
gurata dallHegel di Kojeve nella resa del desiderio del Servo al
Padrone, anche sorprendentemente echeggiata da De Martino
quando scrive:
Lio, tuttavia, costretto dalla sua contraddizione interna a cercare
la propria completezza, tratto in questo inganno proprio da
quella stessa contraddizione. Disponibile a se stesso perfino
quando contempla la sua stessa soggettivit solo in termini di un
oggetto che calco di se stesso, lio giunge naturalmente a con-
fondere lessere realizzato con lessere qualcosa.
O, per continuare:
11
M. G. Thompson, The Death of Desire, New York University Press, New
York, 1985, p. 21.
12
M. Bowie, Lacan. Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1991, p. 92.
Anthony Molino
70
Mentre dipende dalla proiezione della sua stessa immagine-
oggetto per stabilire se stesso , lio sarebbe portato a considera-
re quella sola impressione, limitata e finita, come la totalit del
proprio s: la sua base, la sua fonte, e il suo significato ultimo, dal
quale deve essere sostenuto (e) realizzato. Identificandosi vir-
tualmente con i [suoi] contenuti, lio si concentra esclusivamente
su di essi e sul concetto di s che essi costituiscono.
13
Ci che lascia perplessi il fatto che De Martino, che non era
n uno psicoanalista n uno psicologo dello sviluppo, abbia tra-
scurato una descrizione fenomenologica dellorigine e dello svi-
luppo della auto-coscienza dellio. Forse ci spiegabile in parte
con il fatto che il suo pubblico, durante la famosa conferenza di
Cuernavaca del 1957 sul buddhismo Zen e la psicoanalisi (da cui
deriva il volume dallo stesso titolo, scritto da De Martino insieme
a Erich Fromm e D.T. Suzuki), fosse costituito principalmente da
psichiatri e psicoanalisti. Inoltre, poich quelli erano gli anni
doro della psicologia dellio, perlomeno negli Stati Uniti, plau-
sibile pensare che una simile descrizione specialmente se pre-
sentata da uno che non era uno specialista del settore avrebbe
irritato pi di una persona allinterno di un ambiente come quello
della psicoanalisi, noto per il suo conservatorismo. Inoltre, tenuto
conto della allora limitata familiarit di De Martino con la psicoa-
nalisi, non sicuro che egli conoscesse lopera di Lacan la quale
era ancora ben lontana dallessere stata pubblicata in inglese. Ma
sia che De Martino pensasse che il suo pubblico avesse una visio-
ne monolitica del sorgere dellauto-coscienza dellio (la quale co-
sa corrisponde pressappoco alla sua stessa visione) o sia che la
questione non fosse davvero centrale per il suo argomento, resta
il fatto che una lettura dello stadio dello specchio di Lacan colma
il vuoto presente nella teorizzazione Zen delle cause che sono
alla base dellinganne-vole ricerca dellessere da parte delluomo.
E tuttavia, nonostante le inconfutabili somiglianze che legano
Lacan a un sostenitore dello Zen quale De Martino, nellopera di
Lacan presente una pi profonda, radicale revisione della loro
comune eredit hegeliana sulla quale la teoria dello psicoanalista
13
De Martino, op. cit., pp. 155-156.
Lo Zen, Lacan e lio alieno
71
francese si basa o ristagna. Ed proprio questa revisione, racchiu-
sa nella lettura che Lacan d dello stadio dello specchio, che allo
stesso tempo sfida in modo radicale la visione Zen della forma-
zione dellio e, di conseguenza, della nostra condizione umana.
IV
Per gli scopi immediati di questo studio, la visione Zen della
separazione tra soggetto e oggetto, inerente al sorgere della co-
scienza riflessiva, ha un singolare corollario di diretta ed eccezio-
nale importanza:
Nel distinguere in modo dualista se stesso da ci che non se stes-
so, luomo comune individua se stesso e diventa, di conseguenza,
un individuo. Egli unicamente e individualmente se stesso, e
nella sua autocoscienza discriminante non mai ci che non sia
se stesso.
14
Qui viene illustrata quella che De Martino chiama violenta
spaccatura primaria (primary diremption), la quale alla base del
modo alienato di essere-al-mondo dellio, e la cui ricostituzione
nel raggiungimento del satori (illuminazione) costituisce il nu-
cleo dellidealismo filosofico dello Zen. Dal punto di vista dello
Zen, il sorgere della coscienza riflessiva d forma, in s e per s,
sia al s sia allaltro. Come se entrambi, persino nella loro inter-
dipendenza, si materializzassero simultaneamente come separati
e distinti. In un certo senso ci corrisponde alla dialettica hege-
liana, dove parlare dellorigine dellautocoscienza necessaria-
mente parlare dellautonomia e della dipendenza dellautoco-
scienza.
15
Una tale posizione presuppone la necessit dellaltro,
persino nellantagonismo del suo desiderio autonomo. Secondo
lo Zen, la dualit, se cos si pu chiamare, propria della co-
scienza umana; per quel che riguarda tutte le intenzioni e gli
scopi, non c alcuna realt umana che non sia una realt sociale,
14
R. De Martino, The Zen understanding of the fundamental problem of
the ordinary man. Articolo inedito tratto dal secondo capitolo della disserta-
zione di dottorato, The Zen Understanding of Man, Temple University, Philadel-
phia, 1969, p. 142.
15
A. Kojeve Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, Milano, 1996.
Anthony Molino
72
non esiste alcuno stadio preliminare di sviluppo precedente al
sorgere della coscienza riflessiva che distingua lessere umano
come umano. Su questo punto De Martino piuttosto categorico:
Luomo non nasce semplicemente in unesistenza umana. Il ne-
onato non ancora umano [].
16
Possiamo quindi considerare ci che Lacan introduce con lo
stadio dello specchio come uno stadio intermedio di sviluppo (tra
gli stadi di indifferenziazione e coscienza riflessiva) che ci consen-
te di intuire qualcosa della preistoria dellio, fissandone laliena-
zione sub specie aeternitatis. Collocato fin dal principio in una dire-
zione fittizia, lio inautentico di Lacan , come suggerito, il pro-
dotto del primordiale incontro del bambino con uningannevole
immagine di s allo specchio. Questo incontro costituisce dunque
il prototipo di una successiva serie di identificazioni illusorie (m-
connaissances) con altri membri della comunit umana, laddove un
insieme alieno e alienante di immagini esterne viene interiorizza-
to per formare un senso del s falso e distorto. Essendo quindi
sempre intenti ad afferrare e fonderci con lim-magine aliena, con
lAltro riflesso e le sue molteplici rappresentazioni come oggetti, ci
imbarchiamo in uninterminabile ricerca di unit e unicit, pedine
nel gioco di un Desiderio insaziabile.
Di conseguenza, sebbene lo stadio dello specchio di Lacan dia
inizialmente limpressione di fissare la visione Zen del sorgere
dellio, cos come la nostra inerente rottura, in una fase distinta
di psicologia dello sviluppo, in realt il quadro non cos sempli-
ce. Forse sarebbe pi accurato dire che lidea dello stadio dello
specchio completa e arricchisce la visione Zen. E tuttavia De Mar-
tino, come anticipando o riferendosi indirettamente alla posizio-
ne di Lacan, si pronuncia esplicitamente contro il ruolo dello
specchio nella formazione dellio quando scrive: Ci che ne-
cessario per lemergere iniziale dellio il contatto con un altro
vero s, e non semplicemente uno specchio.
17
Quello che ne conse-
16
De Martino, La condizione umana e il buddhismo zen, cit., p. 151.
17
Corsivi miei. Si veda la nota 55 a De Martino R., The Zen understanding
of the initial nature of man. Articolo inedito tratto dal primo capitolo della
dissertazione di dottorato, The Zen Understanding of Man, Temple University,
Philadelphia, 1969.
Lo Zen, Lacan e lio alieno
73
gue, come vorrei dimostrare, anche il fatto che lo Zen e Lacan
divergono sulla questione della propensione umana allaggres-
sivit che deriva dalla nostra divisione interiore. Per Lacan, come
abbiamo visto, la formazione dellio nella fase dello specchio
che rende un bambino consapevole di se stesso e della discordia
che devasta il suo essere. Laggressivit, quindi, per Lacan, ori-
ginariamente auto-generata e auto-diretta;
18
non , come soster-
rebbero lo Zen o Hegel, il risultato dellincontro alienato e og-
gettivante tra due io che si presuppone siano separati e distinti.
Fondamentalmente, laddove lo Zen richiede la presenza di un
Altro che esiste di fatto, Lacan vede le origini dellAltro nei primi
germi del narcisismo.
In sintesi, dalliniziale misconoscimento della propria immagi-
ne nello specchio di Lacan, seguono una serie di identificazioni
secondarie che chiaramente mettono in discussione lidea di De
Martino sullunicit e lauto-identit dellio. Quando Lacan esplici-
tamente dichiara che In fin dei conti, tutte le varie formule (di
auto-identit/ identificazione) vanno comprese tenendo presente la
verit dell Io come un altro,
19
non c spazio per quellunit fra
s e soggetto che lo Zen teorizza e di fatto propone. In effetti,
dunque, la verit di Lacan la posizione Zen del tutto capovolta.
V
Ho visto con i miei occhi e ho ben conosciuto un bambino
piccolo in preda alla gelosia. Non parlava ancora, e gi contempla-
va, pallido e con sguardo torvo, il fratello di latte.
20
Citando
SantAgostino, Lacan suggerisce che laggressivit che denota lo
sguardo avvelenato del bambino nella fase preverbale di fatto
un ulteriore sviluppo di quella discordia interiore a cui abbiamo
fatto riferimento prima. Lacan, nel suo saggio Laggressivit in
psicoanalisi, studia a fondo il lavoro di Melanie Klein e discute il
fenomeno della transitivit nel modo in cui riferibile alla con-
crezione dellio nella vita del bambino. Questultimo viene osser-
vato mentre impegnato in una serie di identificazioni (soprat-
18
Si veda il saggio Laggressivit in psicoanalisi in Lacan, op. cit.
19
Lacan, cit. in Thompson, op. cit., p. 27.
20
L'aggressivit in psicoanalisi, in Lacan, op. cit., pp.108-9.
Anthony Molino
74
tutto con i suoi coetanei), le quali sono tutte considerate come
derivanti dallidentificazione primaria con limmagine allo spec-
chio. Questa fase connotata da comportamenti che vedono, per
esempio, il bambino colpire un altro bambino e dire che stato
lui a essere stato colpito; o scoppiare a piangere nel vedere un al-
tro bambino che si fa male (come se lui stesso si fosse ferito). In
uno dei suoi caratteristici e fantasiosi giri di parole, Lacan descri-
ve il fenomeno nel modo seguente:
in una identificazione allaltro che il bambino vive tutta la gamma
delle reazioni di prestanza e di parata, di cui le sue condotte rivela-
no in modo evidente lambivalenza strutturale, schiavo identificato
al despota, attore allo spettatore, sedotto al seduttore.
21
Tali identificazioni compongono e fortificano il senso del s
del bambino, portandolo a osservare e trovare sostegno alla sua
identit nellambiente circostante. Ma, come sostiene Thom-
pson, questo intricato puzzle di immagini che comprendono lio
non riesce in alcun modo a dissipare laggressivit e la competiti-
vit dirette dal bambino verso se stesso: Man mano che si sforza
di diventare lIo che pensa di essere, e che trova supporto nella
conferma collusiva di altre importanti figure che ne fissano la per-
sonalit, il bambino vive allombra di un minaccioso e perpetuo
fallimento di essere autenticamente se stesso.
22
Questi due
momenti del dirigere laggressivit contro se stessi e del fissa-
re la personalit vengono quindi considerati come causa fon-
damentale del senso di colpa e del masochismo postulati dalla
Klein; tuttavia, essi vengono in aggiunta utilizzati da Lacan come
21
Lacan, op. cit., p. 107.
22
Thompson, op. cit., p. 23. I dati psicoanalitici confermano i due momenti
dellag-gressivit autodiretta e della fissazione della personalit descritti da La-
can negli articoli citati. Egli si riferisce in primo luogo ai fantasmi del corps morce-
l, in cui il corpo del sognatore appare frammentato o smembrato (immagini
codificate, per cos dire, dai dipinti di H. Bosch) e i sogni che presentano uno
stadio o unarena come scenario (simbolizzando sia la recinzione o fortificazione
dellIo che il terreno di battaglia in cui il conflitto corporeo con limmagine de-
vasta il bambino).
Lo Zen, Lacan e lio alieno
75
base per la sua quarta tesi sullaggressivit, esposta nel suddetto
saggio e cos articolata:
Laggressivit la tendenza correlativa a un modo di identifica-
zione che chiamiamo narcisistico e che determina la struttura
formale dellio delluomo e del registro di entit caratteristico
del suo mondo.
23
Questa tesi, a sua volta, fa luce su una delle maggiori distinzio-
ni tra lo Zen e le riformulazioni lacaniane della dialettica hege-
liana. Laddove De Martino parla dellincontro intersoggettivo
come caratterizzato da un obbligo esistenziale costitutivo
dellessere umano di essere, letteralmente, umano
24
(dove il
non esserlo significa degradare o violare lintegrit della sogget-
tivit di per s ovvero, quella di tutti gli esseri umani), Lacan
controbatte prendendo una posizione che molto meno radicata
nella tradizione che in Occidente potremmo definire delluma-
nesimo classico. Per Lacan, laggressivit inerente nel rapporto
fondamentale dellio con le altre persone indicativa della ten-
sione intrapsichica che intuiamo nellavvertimento dellasceta:
vale a dire, colpire il tuo nemico colpire te stesso. Ciononostan-
te, entrambe le posizioni rivelano lo stesso problema di fondo:
quello dellio, scisso alla propria radice, costretto a realizzare se
stesso in ci che Lacan chiama lAltro, o in ci che lo Zen pro-
clama come lessenza dellilluminazione nella non-dualit dei
due, la dualit non-dualistica di ci che, nel concetto della natu-
ra iniziale delluomo di De Martino, strutturato come una rela-
zione, alienata e alienante, tra soggetto e oggetto. Come esclama
De Martino nel suo pionieristico saggio La condizione umana e
il buddhismo Zen: Il punto finale ed essenziale non che lIo
ha un problema, ma che lIo il problema.
25
23
Laggressivit in psicoanalisi, in Lacan, op. cit., p. 104.
24
De Martino op. cit., p. 48.
25
Per evidenziare la lettura idiosincratica dello Zen compiuta da De Marti-
no (come pure lutilizzo che qui ne faccio come base per un confronto con La-
can), Jeffrey Rubin ha affermato in una comunicazione personale: Lassunto
che qui viene fatto non dimostrato che la dualit sia sempre conflittuale.
Viene privilegiato segretamente il paradigma dellunit, che per ha il suo
Anthony Molino
76
Ma le posizioni si differenziano nuovamente sulla possibilit di
un tale raggiungimento dellilluminazione, o della realizzazione
dellunit. Per lo Zen questa possibilit fuori di ogni dubbio. Per
Lacan, discepolo ed esegeta del primo Freud, del Freud di Al di l
del principio di piacere, sebbene siamo spinti a cercare una tale rea-
lizzazione, essa resta comunque qualcosa che non otterremo mai.
Mai. Intrappolati nellesilarante, tragica e infinita danza del desi-
derio e del godimento (jouissance), daremo per sempre la caccia ai
nostri petit objets, ai piccoli-oggetti-altri di Lacan che ci sedurranno
lungo tutto il discontinuo paesaggio umano che termina, inevita-
bilmente, nella morte. Perennemente in fuga, questi oggetti so-
no di per s attraenti, ingannevoli incarnazioni (e come tali de-
stinati essi stessi a una fine mortale che tocca a tutta la carne)
di uninclinazione universale degli oggetti del desiderio verso il
decadimento, anche laddove costituiscono e definiscono la nostra
jouissance. O, come mi scrisse una volta Ellie Ragland-Sullivan
commentando la filosofia di Lacan:
[] non c nessuna unit, ma soltanto la sua ricerca. E questa ri-
cerca destinata a fallire, perfino quando sembra che sia sulla via
del successo. Se la nostra sola unit , come sosteneva lultimo La-
can, nella nostra jouissance che ci fa male per via della sua sin-
tomatica fissit e rigidit allora non potremmo mai essere unifi-
cati, n dallinterno n dallesterno.
26
VI
Senza considerare le pi specifiche articolazioni dell ansia da
separazione nella teoria psicoanalitica generale e la mancanza
di oggetto in Klein e Lacan, la psicoanalisi a cominciare da
Freud ci fornisce tutta una serie di spiegazioni materialistiche
punto cieco. Ritenere che la dualit sia sempre conflittuale una visione im-
plicitamente alienata e alienante della vita umana. Si veda il contributo di
Rubin I vestiti nuovi dell'imperatore nel volume, a mia cura,Psicoanalisi e
buddismo, dove l'autore approfondisce questa sua intuizione. Si veda anche J.
Kramer, D. Alstad, The Guru Papers: Masks of Authoritarian Power, North Atlan-
ticBooks/Frog Ltd., Berkeley, CA, 1993.
26
Lettera privata, in data 1 settembre 1991. Ellie Ragland-Sullivan una
delle pi note studiose americane di Lacan.
Lo Zen, Lacan e lio alieno
77
della condizione umana, basate sullopposizione binaria di pre-
senza e assenza.
27
Questa opposizione, tuttavia, estesa e conte-
stualizzata allinterno di un discorso sul Desiderio, ci offre una
versione alternativa della rottura originaria postulata dallo Zen e
del risultante dualismo autenticit/alienazione del s. Per Lacan,
il motore primario dei nostri ostinati tentativi di ricostituire
quellunit proprio il Desiderio, quello che trasforma lEssere
in un oggetto rivelato a un soggetto da parte di un soggetto
diverso dalloggetto e opposto a esso.
28
Ne consegue, come gi
intuisce la dialettica hegeliana, che lincessante desiderio del
soggetto di essere riconosciuto dal desiderio di un altro soggetto
ci che genera la realt umana dellauto-coscienza (o della co-
scienza di s). Ma nella cornice lacaniana, dove il soggetto (asso-
luto) una contraddizione in termini, unentit a/soggettiva
o, nelle parole di Thompson, assolutamente nessuna cosa, a me-
no che non venga compreso come una serie di mutazioni e scon-
volgimenti dialettici che puntellano il desiderio in una continua,
intenzionale struttura di trascendenza e temporalit
29
la ricerca
dellunit , in fin dei conti, nientaltro che la ricerca di unim-
magine: dellillusoria e alienata immagine dellIo riflesso nelloc-
chio dellAltro. A differenza dello Zen, in Lacan non c nessun
vero s che debba essere riguadagnato, nessuna relazione pri-
meva tra il s e il mondo che ci possa riportare allEden e alla rea-
lizzazione del Desiderio. O come un altro francese, Albert Camus,
sapeva bene, non ci pu essere nessuna risoluzione finale al pro-
fondo, misterioso [e] ancestrale bisogno [di unit] che da solo
abolisce le fin troppo reali dualit e antinomie con cui dobbiamo
misurarci.
30
27
Per una discussione dettagliata relativa allansia da separazione negli al-
lievi e nei maestri Zen, si veda V. Krynicki, The double orientation of the ego
in the practice of Zen, in Am. J. Psychoanal., 40, 3, 1980. Per unanalisi della
mancanza doggetto di Lacan, sviluppata a partire dalla sua lettura del Fort-Da
freudiano di Al di l del principio di piacere, si veda A. Wilden, The Language of the
Self. Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1968, pp. 188-192.
28
Kojeve, op. cit.
29
Thompson, op. cit., p. 27.
30
Questa osservazione tratta dallintroduzione di Paul Viallaneix a A. Ca-
mus. Youthful Writings, Vintage Books, New York, 1977 (Tr. ingl.).
Anthony Molino
78
Infine, tutti possiamo intuire quello che Anthony Wilden in-
tendeva dire quando, nel suo commento al Discorso di Roma di
Lacan, scrisse: Il pi profondo desiderio del soggetto quello di
essere di nuovo Uno.
31
Freud comprese qualcosa di simile
quando si trov a dibattere sulleffimero sentimento oceanico di
Romain Rolland, citato allinizio de Il disagio della civilt. In ogni
caso, linsoddisfazio-ne umana tale che il nostro io alienato
sia che ci troviamo distesi sul lettino dellanalista a Parigi o a New
York, sia che ci troviamo prostrati ai piedi di un maestro in un
tempio di Kyoto. Ma nonostante tutte le similarit, le due visioni
del mondo della psicoanalisi e del buddhismo Zen rimangono
fondamentalmente in disaccordo. Da un lato, come espresso da
Lacan, la psicoanalisi tenderebbe a considerare lo Zen come
unelaborazione ingioiellata e meravigliosa dello stesso discorso
del Desiderio fatta eccezione per il fatto che esso, in ultima
analisi, contrassegnato dal marchio dellillusione. Dallaltro lato,
osservato dal punto di vista del buddhismo zen, Lacan probabil-
mente espone una delle critiche pi convincenti a quella che ap-
pare come una nozione da loro condivisa di realt, che in se
stessa illusoria anche se la posizione di Lacan finisce
anchessa per restare invariabilmente impantanata nel samsara.
In ultima analisi, Oriente e Occidente divergono, lasciando
poco o nessuno spazio al compromesso. (Qualcosa che Jung aveva
gi intuito nella sua prefazione a Introduzione al buddhismo zen di
Suzuki). Per Lacan, nonostante lassenza di oggetto si profili co-
me la condizione e il risultato ultimo del desiderio, due soggetti
(che in quanto tali non possono non costituirsi reciprocamente
come oggetti) sono destinati a intraprendere una ricerca patolo-
gica di unidentit tristemente illusoria.
32
Per lo Zen, lungi
31
Wilden op. cit., p.191.
32
Su questo punto, sono interessanti le riflessioni delleminente psicoanali-
sta Christopher Bollas. Non credo che possiamo essere impegnati da altri
umani in un rapporto in cui questi ultimi cessino di essere per noi degli ogget-
ti. Nella nostra psiche oggettifichiamo sempre l'altro, consciamente o incon-
sciamente. Ma l'altro, e in particolare laltro umano, ha un effetto soggettivo
profondo su di noi, nel senso che la nostra soggettivit risulta ristrutturata dalla
Lo Zen, Lacan e lio alieno
79
dallessere alla radice di nevrosi e psicosi, scoprire e realizzare
lIo trascendente un imperativo morale; difatti siamo tutti, in
un certo senso, obbligati a penetrare la nostra vera o autentica
natura, che rimane inaccessibile finch, come ego, continuiamo a
dimorare nella logica della dualit in cui la coscienza riflessiva si
articola e si rivela. Perch soggetto/oggetto, mente/corpo, s/altro, es-
sere/non-essere, tempo/spazio e la dualit ultima e onnicomprensiva,
vita/morte, riflettono tutte, nelle parole di De Martino, la spacca-
tura che dentro e fuori di noi, in cui lio ordinario incapace di
produrre una genuina riconciliazione dei molteplici elementi
contrastanti che vanno a costituire la sua esperienza.
33
Non lo scopo di questo articolo schierarsi da una parte o
dallaltra in un dibattito filosofico di dimensioni che eccedono di
gran lunga la competenza dellautore. Tuttavia, nel delineare al-
cuni dei principi cardine dello Zen e della teoria di Lacan, si spe-
ra che questa breve riflessione possa contribuire al dialogo e al
proficuo scambio di idee iniziato da Jung, Fromm e D. T. Suzuki,
e ripreso in anni recenti da figure come Jeffrey Rubin, Polly
Young-Eisendrath, John Suler e numerosi altri.
34
Le implicazioni
di un tale dialogo sono di vasta portata, anche se siamo ancora
ben lontani dallaver esaurito i punti di confronto tra lo Zen e
Lacan. In questo studio, per esempio, mi sono limitato a delinea-
re dei paralleli tra le rispettive concettualizzazioni del Desiderio
operate da De Martino e Lacan, specialmente laddove si riferi-
scono alla genesi della soggettivit. In modo analogo, i rispettivi
contesti culturali di questi due autori e il loro rapporto particolare
con lEsistenzialismo (De Martino conosceva bene Tillich; Lacan
conosceva Sartre e quasi tutto lambiente francese) potrebbero
fungere da base per un resoconto pi dettagliato delle comuni
influenze storiche e filosofiche. Ulteriori ricerche potrebbero es-
sere condotte anche su ci che entrambi, Lacan e De Martino,
identificavano come gli aspetti strutturali della divisione del sog-
sua azione trasformativa. Si veda A. Molino, Liberamente associati, Astrolabio,
Roma, 1999, p. 49.
33
De Martino, op. cit., p. 35.
34
Si veda in particolare il recente volume a cura di A. Molino e R. Carneva-
li, Tra sogni del Buddha e risvegli di Freud, Arpanet, Milano, 2010.
Anthony Molino
80
getto. Anche le presunte analogie tra le brevi sedute di Lacan e i
koan Zen meritano una maggiore attenzione, specialmente nella
misura in cui riflettono esperienze codificate e definizioni di re-
alt. Lo stesso canone lacaniano punteggiato di riferimenti al
buddhismo che meritano uno studio pi attento.
Il passo che segue, tratto dal discorso di Lacan Funzione e
campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, non che un
esempio di ci:
Ma questo mistero [del transfert] si chiarisce inquadrandolo nella
fenomenologia del soggetto, in quanto il soggetto si costituisce
nella ricerca della verit. Non c che da ricorrere ai dati tradi-
zionali che i buddhisti, anche se non sono i soli, possono fornirci, per ri-
conoscere in questa forma di transfert lerrore proprio
dellesistenza, e sotto tre capi che esse enumerano in questo mo-
do: lamore, lodio e lignoranza.
35
Infine, le implicazioni della formazione dellio, in entrambi i
casi - attraverso uno studio parallelo delle faglie postulate da La-
can e ci che De Martino definisce labisso e la disperazione
(che abitano) le fauci dello iato interiore
36
possono aiutarci a
far luce sulle diagnosi dellinferno sociale delluomo contempo-
raneo operate da Lacan e dai suoi successori. Ma almeno per ora
tali ricerche dovranno attendere. Si spera che esse possano trova-
re spazio in un progetto comparativo di pi ampio respiro, per cui
questo articolo funge da esercizio preliminare.
35
Lacan, op. cit., p. 302 (corsivi miei). A lato, consideriamo anche il riferi-
mento di Lacan nel paragrafo conclusivo del suo saggio sullo stadio dello
specchio a unaltra tradizione orientale, quella del Vednta, quando scrive
del limite estatico del Tu sei questo.
36
De Martino, op. cit., p. 150.
La pratica della meditazione
e gli albori della psicoanalisi italiana
GRAZIANO GRAZIANI
Un lavoro di archeologia psicologica, quale quello proposto,
pu svelare inaspettate novit.
La prima sorpresa riguarda il fatto che tra il ristretto gruppo di
analisti che si sono occupati di meditazione non vengono mai ci-
tati nomi italiani. Dovrebbero essere menzionate, viceversa, al-
meno due persone che hanno segnato linizio della psicoanalisi
in Italia, anche se poi passarono solo marginalmente il testimone
del proprio interesse per la meditazione.
Unaltra sorpresa riguarda la prima tra le persone di cui vorrei
parlarvi che, direi, quasi nessuno associa alla psicoanalisi mentre,
in realt, fu quello che la fece conoscere in Italia.
Si tratta di Roberto Assagioli, creatore di quella psicoterapia che
egli denominer Psicosintesi. Abitava a Firenze in una villetta
lungo la strada che porta a Fiesole e che oggi sede dellIstituto di
Psicosintesi. L faceva, talora, delle conferenze aperte al pubblico e
non mi sarebbe stato difficile ascoltarlo, ma non lho mai fatto.
Graziano Graziani
82
Quando da giovane frequentavo la Clinica Psichiatrica avevo letto
senza grande interesse alcuni suoi scritti, sollecitato in ci da due
compagni che erano diventati suoi allievi. Dai racconti che mi fa-
cevano risultava indubbiamente una brava persona, ma vi erano
aspetti mistici e rituali che mi lasciavano perplesso. Mi colp molto il
resoconto della sua morte quando volle spirare al cospetto di tutti i
suoi allievi pi cari, tra i quali, appunto, i miei due amici. Si era alla
met degli anni 70 e io mi ero appena laureato.
Assagioli si era laureato in medicina tanti anni prima, nel 1910,
con una tesi dal titolo La psicoanalisi che costitu una vera novi-
t nel panorama psichiatrico italiano. Era stato allievo, presso il
famoso Burghoelzli di Zurigo, di Eugen Bleuler, colui che coni il
termine schizofrenia e che fu il primo, tra i grandi psichiatri, ad
accogliere le idee di Freud. Al Burghoelzli strinse amicizia con
Jung il quale lo proporr subito a Freud come la persona che
avrebbe potuto portare la psicoanalisi in Italia.
Insieme a Bleuler, Jung, Binswanger e altri svizzeri fu membro
della Societ Freud di Zurigo. Entrer, unico italiano, nella costi-
tuenda Associazione Psicoanalitica Internazionale (IPA), ci due
anni prima dellingresso di un analista triestino, allora austro-
ungarico, Edoardo Weiss, che di fatto sar poi il padre della psico-
analisi italiana. Assagioli fu anche il nostro solo connazionale ad
aver avuto lonore di scrivere articoli sulle prime riviste di psicoa-
nalisi fondate da Freud: lo Jahrbuch fr Psychoanalytische und
Psychopathologische Forschungen e lo Zentralblatt fr Psychoanalyse.
In Italia, se il primo saggio sulla psicoanalisi fu pubblicato nel
1908 da Baroncini, il secondo fu di Assagioli nel 1910 sulla rivista di
Papini e Prezzolini La Voce, della quale egli era redattore. Sulla
stessa rivista Assagioli riusc a far dedicare un intero numero, quello
di marzo aprile 1912, alla psicoanalisi. Quindi, fondata una pro-
pria rivista, Psiche, vi pubblic, con lapprovazione dellautore, il
primo scritto in italiano di Freud, tradotto da Assagioli stesso. Con
Freud ebbe una corrispondenza epistolare che durer anche dopo
la sua uscita dal movimento psicoanalitico. Alberto Alberti, uno di
quei due miei amici di giovent, mi mostr la minuta di una lettera
dei primi anni 30 di Assagioli a Freud in cui gli chiedeva informa-
zioni per le cure del proprio figlio gravemente ammalato.
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
83
Se, come abbiamo visto, linteresse di Assagioli per la psicoana-
lisi fu precoce, quello per il pensiero orientale lo fu ancor di pi e
risaliva, probabilmente, allinfanzia e agli insegnamenti della ma-
dre che era stata membra della Societ Teosofica.
A soli 19 anni, nel 1907, quando frequentava le avanguardie
letterarie che si ritrovavano al caff Le Giubbe Rosse, Assagioli
pubblic sulla rivista del suo amico Giovanni Papini, Il Leonardo,
un articolo dal titolo Per un nuovo umanesimo ariano in cui
scriveva: tra non molti anni i progressi della psicologia interiore
in Europa renderanno necessari ladozione di molti termini tec-
nici orientali per designare stati di coscienza per i quali tutte le
lingue europee mancano di equivalenti e si parler di pratyahara,
di dharanam, di dhyanam, di samadhi ecc..
1
Linteresse per le filosofie orientali e per la dimensione spiri-
tuale mistica si accentuer dopo luscita, in contemporanea con
Jung, dal movimento psicoanalitico, nel 1914. Scriver (1930)
lintroduzione italiana del commentario di Alice Bailey agli
Yogastra di Patajali mentre sviluppa il proprio metodo di cura: la
psicosintesi. Termine questo che avrebbe avuto per Assagioli la
funzione di rimandare da un lato, sul piano culturale, alla sintesi
tra Oriente e Occidente, dallaltro, sul piano psicologico, al Cen-
tro sintetico e organizzatore della personalit.
Se la psicoanalisi si interessa ai piani bassi, alle fondamenta
delledificio umano cos come Freud aveva scritto a Binswanger,
onde differenziarla dalla sua Daseinanalyse, la psicosintesi, al pari
(anzi con maggior enfasi) della Daseinanalyse, intender dedicar-
si ai piani alti dellesistenza umana fino scrive Assagioli alla
terrazza ove il sole ci inonda e dove possiamo osservare il cielo e
le stelle.
Per salire ai piani alti luomo, secondo Assagioli, pu scegliere
varie vie, una di queste la via meditativa. E cos la meditazione
entra a far parte dellarmamentario della psicosintesi assieme
allascolto della musica, al disegno, al diario psicologico personale,
alle visualizzazioni, ecc.
1
R. Assagioli, Per un nuovo Umanesimo ariano, Leonardo, III, V, n. 2, 1907,
p. 178.
Graziano Graziani
84
La psicologia buddhista pare aver ispirato Assagioli allorquando,
nella sua dispensa del 1931 (Esercizio di disidentificazione e au-
toidentificazione), sosterr che luomo dovrebbe prima prendere
consapevolezza della molteplicit dei vari aspetti del s, quindi di-
sidentificarsi da essi onde ritrovare la propria unit, il proprio ver-
tice trascendentale, ovvero ci che egli denomina Io o Centro di
Autocoscienza. Mentre i vari aspetti del s possono essere tra loro
in conflitto, il Centro di Autocoscienza compatibile con ognuno
di loro e pu comprenderli in modo oggettivo e superiore. Inoltre
se luomo si allontana dal proprio Centro, rischia di identificarsi e
di essere fagocitato da pensieri ed emozioni che non corrispon-
dono alla sua vera essenza.
Ne Latto di volont, lunico libro di Assagioli che ho visto citato
in letteratura psicoanalitica (nella fattispecie da unanalista bud-
dhista, Nina Coltart), Assagioli suggerisce di praticare tutte le
mattine secondo la seguente scaletta: io ho un corpo, ma non
sono il mio corpo.... io ho delle emozioni, ma non sono le mie
emozioni io ho una mente, ma non sono la mia mente..... allo-
ra cosa sono io? . io riconosco e affermo me stesso quale Centro
di pura autocoscienza.
2
Unappen-dice a Latto di volont sar de-
dicata alla meditazione; ugualmente unappendice dal titolo
Tecniche meditative e psicoterapia era apparsa nel suo libro
precedente: Principi e metodi della psicosintesi terapeutica.
3
Questul-
tima appendice, che rimanda ampiamente al training autogeno di
Schultz e al sogno guidato di Desoillt non scritta da Assagioli,
ma da uno degli psichiatri pi noti dellepoca, Wolfgang Kre-
tschner. Credo che la scelta di Kretschner da parte di Assagioli ri-
spondesse alla necessit di dare un volto autorevole alla medita-
zione, ma anche allintenzione di definire una pratica meditativa
che, pur riprendendo la tradizione orientale, si differenziasse e
seguisse i canoni della psicologia occidentale. E infatti la pratica
che proporr Assagioli in appendice a Latto di volont contiene
molti elementi personali e di derivazione psicodi-namica.
2
R. Assagioli, Latto di volont, Astrolabio, Roma, 1973.
3
R. Assagioli, Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma,
1965.
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
85
Il processo meditativo per Assagioli si articola in tre fasi tra loro
successive.
La prima fase, denominata meditazione riflessiva, quella del
raccoglimento, della concentrazione dalla periferia al centro, del-
la perseveranza e della tenacia, della disidentificazione dai pen-
sieri e emozioni che attraversano la mente e dal concentrarsi su
determinati argomenti onde meglio chiarirli: gli argomenti pos-
sono essere qualit spirituali come il coraggio, la fede, la serenit,
ecc. oppure simboli specifici, oppure determinate frasi che egli
chiama pensieri-seme.
La seconda fase la meditazione recettiva. Mentre nella me-
ditazione riflessiva locchio della mente diretto orizzontalmen-
te e osserva gli aspetti della personalit, nella meditazione recet-
tiva locchio diretto verso lalto onde scoprire cosa si cela al di l
della coscienza ordinaria. Perch ci si verifichi bisogna giungere,
attraverso la visualizzazione di immagini simboliche, allo stadio
del silenzio mentale. Sar nello stadio del silenzio che giunge-
ranno messaggi di consapevolezza attraverso visioni o illumina-
zioni. A questo stadio segue sempre quello della registrazione,
anche scritta, di ci che stato sperimentato.
Lultima fase la meditazione creativa, ovvero il vivificare cre-
ativamente e in modo personale il contenuto che lesperienza
me-ditativa ha trasmesso.
Forse la proposta di Assagioli si differenzia dalla meditazione
tradizionale, ma credo che ad Assagioli vada riconosciuto il merito
di aver tentato una sistematizzazione del processo meditativo
stesso e, soprattutto, di averlo introdotto, fin dagli anni 20, in
psicoterapia.
Diverso il discorso per quanto riguarda la seconda persona di
cui vi parler che nella sua pratica mai si discost da quanto ap-
preso in Oriente e il quale, a differenza di Assagioli, rester sem-
pre in ambito analitico ortodosso. Come forse qualcuno ha capito,
si tratta di Emilio Servadio.
A me personalmente Emilio Servadio era simpatico. Lo conob-
bi quando ero ragazzo e andavo da un barbiere, padre di un mio
compagno di classe. Ora, dal barbiere trovavo le carte da gioco
profumate con figure di donnine mezze nude e trovavo anche
Graziano Graziani
86
quelle riviste per soli uomini che in casa non potevo portare. In
una di queste, mi sembra Playman, cera una rubrica curata da Ser-
vadio: fu uno dei miei primi incontri con la psicoanalisi e, non
importa che lo dica, fu molto divertente. Un altro sentimento di
simpatia me lo suscit quando gi ero analista e lessi sulla Rivista
di Psicoanalisi un suo commento a un articolo altamente, ma dav-
vero altamente, speculativo, apparso nel numero precedente. Il
commento di Servadio seguiva la falsariga dellarticolo, era total-
mente incomprensibile e citava anche parole in sanscrito. Ovvia-
mente era una presa in giro molto ironica. Gli scrissi una lettera
di complimenti e lui mi rispose che ne aveva gi ricevute quattro,
ma nessuno aveva capito che la sua era stata una presa in giro, mi
disse pure che le parole in sanscrito (lingua che ben conosceva)
se le era inventate di sana pianta.
Invero, Servadio fu senza dubbio un collega un po discusso
non solo perch scriveva su Playman, o per i suoi interessi per il pa-
ranormale, o per gli esperimenti con lLSD (parentesi secretata
dellIstituto Romano), o per lappartenenza massonica (negli anni
40 transit nella P2, poi in altre logge fino a raggiungere il nume-
ro 33 massonico), ma perch, sebbene sia stato uno dei fondatori
della SPI, fu coinvolto nella sua scissione denunciando il suo stesso
Istituto allIPA. Poi, ambiguamente mantenne fino alla morte una
doppia presidenza onoraria, quella della SPI e quella dellAssocia-
zione Italiana di Psicoanalisi (il gruppetto dei secessionisti). Non si
pu, dunque, dire che sia stato molto amato e alla sua morte ne fe-
ce prova il necrologio al vetriolo scritto da Armando Novelletto
sulla Rivista di Psicoanalisi che la rivista ufficiale della SPI.
Comunque sia, Servadio fu realmente un anticipatore seppure,
direi totalmente, sconosciuto nella sua produzione teorica circa i
rapporti tra meditazione e psicoanalisi. Che fosse un praticante
era invece cosa nota.
Due sono, probabilmente, i motivi per cui le sue riflessioni so-
no state cos ignorate. Il primo motivo dato dal fatto che Serva-
dio non ha scritto alcuna monografia esaustiva sullargomento. Il
suo pensiero, viceversa, sparso allinterno di una decina di brevi
articoli che vanno dal 1938 al 1986: articoli tra laltro difficilmen-
te reperibili.
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
87
La seconda ragione dovuta al fatto che gli scritti di Servadio
non sono generalmente rivolti agli psicoanalisti, ma al pi vasto
pubblico.
Se queste possono essere le circostanze che hanno portato al-
la sua non considerazione, vi daltro canto, pi di una ragione
per cui Servadio andrebbe ricordato. La prima di ordine storico
in quanto egli fu tra i primi a interessarsi dellargomento, gi nel
1938. Servadio, poi, fu pi di un cultore della materia, fu un prati-
cante di meditazione e lo sar per tutta la vita. Sebbene egli non
possa non appartenere al filone classico della psicoanalisi, i ri-
mandi della sua lunga pratica personale pongono il confronto tra
analisi e meditazione su un piano decisamente pi esperenziale
che metapsicologico. Loriginalit principe di Servadio riposta
proprio nella comparazione tra pratiche ed sotto questa luce
che le sue osservazioni sono quanto mai attuali e meritevoli di
conoscenza.
Prima di visionare lopera di Servadio si impone, per, una bre-
ve parentesi biografica onde meglio comprendere da quali eventi
derivato il suo pensiero.
Linteresse per le filosofie orientali nasce, in Servadio, ben
prima del suo diventare psicoanalista. Egli si volger a Oriente gi
negli anni 1920, allorch scrive sulla rivista Ur diretta dal Julius
Evola, il futuro referente della mistica fascista. nella veste di
collaboratore dellEnciclopedia Italiana che Servadio entra in
contatto con Edoardo Weiss, allepoca lunico analista italiano.
Viene analizzato da Weiss e con lui e pochi altri, nel 1932, Serva-
dio sar tra i fondatori della Societ Psicoanalitica Italiana. Nello
stesso anno egli instaura una profonda e duratura amicizia con
Anna Freud. Conosce Sigmund Freud e, con proprie relazioni,
partecipa ai Congressi Psicoanalitici Internazionali di Wiesbaden
(1932), Lucerna (1934), Parigi (1938). Seguir poi, la lunga (ot-
to anni) parentesi indiana. Nel 1938, infatti, il regime fascista
emana le leggi razziali, nella Societ Psicoanalitica Italiana sono
presenti diversi ebrei e Servadio il primo a emigrare. Su sugge-
rimento di Jones egli decide di trasferirsi in India dove la psicoa-
nalisi ai primordi, anche se una minuscola Societ Psicoanalitica
Indiana gi operante a Calcutta. Jones lo indirizz a Bombay
Graziano Graziani
88
ove non era presente alcun analista. Poco dopo il suo arrivo viene
nominato analista didatta della Societ Psicoanalitica Indiana, cos
che oggi tra gli analisti indiani alcuni sono oriundi italiani. In
India Servadio insegna al Madras College e, a sua volta, allievo
di yogin famosi quali Shri Kuvala Vananda. L ha inizio la sua pra-
tica di meditazione, il suo, come lui stesso lo chiama, tornare a
casa. Rientrato in Italia al termine del secondo conflitto mondia-
le, ricostituisce con altri la Societ Psicoanalitica Italiana, fonda
lIstituto Romano di Psicoanalisi, sar Presidente e poi Presidente
Onorario della Societ Psicoanalitica Italiana (e come si detto
anche dellAssociazione Italiana di Psicoanalisi) fino alla sua mor-
te, nel 1995.
Per quanto Servadio appartenesse allestablishment psicoanali-
tico e ne condividesse le teorie, allorch si tratta di delineare un
modello di comparazione con la meditazione, egli non esita a
porre in angolo gran parte delle speculazioni metapsicologiche in
materia. Non farebbe onore agli psicoanalisti - scrive testual-
mente Servadio -
4
continuare a rapportarsi con le pratiche medi-
tative usando definizioni quali: regressione alla fase oceanica (il
riferimento a Freud),
5
piaceri erotici infantili (il riferimento
a Lewin),
6
dipendenza del bambino dalle istanze genitoriali
(forse il riferimento a Ferenczi),
7
narcisismo primario (il rife-
rimento a Federn).
8
Il parallelismo che Servadio individua tra psicoanalisi e medita-
zione (vipassan e yoga) si sviluppa a partire da una comune, basi-
ca, visione del funzionamento mentale: la mente procederebbe
in maniera automatica e incontrollata. Pensieri fanno seguito a
pensieri, ragio-namenti a ragionamenti e il soggetto catturato
4
Psicoanalisi e pensiero orientale, Relazione alla IX Giornata dello Yoga, Ro-
ma, 1986, www.emilioservadio.it.
5
S. Freud, Il disagio della civilt (1929), in Opere di Sigmund Freud (OSF), vol.
10, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 557-565.
6
B. D. Lewin, The Psychoanalysis of Elation, Norton, New York, 1950.
7
S. Ferenczi, Fasi evolutive del senso di realt (1913), in Opere, vol. 2, 1913-
1919, Cortina, Milano, 1990.
8
P. Federn, Psicosi e psicologia dellIo, Boringhieri, Torino, 1976 (Ego Psycho-
logy and the Psychoses, ed. by E. Weiss, New York, 1952).
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
89
dalla fascinazione del pensare e dallangoscia del suo interrom-
persi. La tradizione buddhista insegna che ci che viene oscurato
dal continuo scorrere del pensiero sarebbe la capacit di vedere
che i pensieri sono solo pensieri. Servadio arriva a sostenere
che nel suo produrre pensieri in realt luomo non pensa, anzi
pensato da questa istanza al pensiero, della quale non ha consa-
pevolezza (vsan).
9
Un obiettivo comune sia alla pratica analitica che alla medita-
zione sarebbe la piena consapevolezza del continuo vagare della
mente. Per il meditante, scrive Thich Nhat Hanh, lessenziale
non lasciar emergere nessuna sensazione o pensiero senza che la
presenza mentale lo riconosca, come una sentinella che registra
ogni faccia che passa per il corridoio daccesso del palazzo.
10
Da
parte sua, la psicoanalisi si affida al metodo terapeutico ideato da
Freud al cui interno diversi sono gli elementi che per Servadio
trovano corrispondenze nella meditazione.
Il primo elemento il setting. Molte delle sue caratteristiche si
ritroverebbero mutatis verbis (Servadio) nella pratica meditativa.
Lelenco che fa Servadio comprende: costanza, pazienza, assenza
di giudizio, uso di posture corporee, esperienza non abituale, ri-
nuncia alle soddisfazioni immediate, neutralit, accettazione.
11
In secondo luogo Servadio individua nella sospensione della
facolt critica, raccomandata da Freud, una innegabile somiglian-
za con i precetti impartiti a chi medita.
12
A coloro che iniziano
una analisi viene chiesto di comunicare tutti i pensieri che passa-
no a mente al di l di logiche, finalismi, auto-giudizi, convenzioni
morali. questa la regola aurea, o regola fondamentale, altri-
menti conosciuta come uso delle libere associazioni: regola su
cui poggia la possibilit stessa dello svolgimento analitico. Le libe-
re associazioni, oltre a rappresentare la principale fonte di infor-
9
E. Servadio, Psicoanalisi e Yoga, Ulisse, 1961; Psicoanalisi e pensiero orien-
tale, cit.
10
Thich Nhat Hanh, Il miracolo della presenza mentale, Astrolabio, Roma, 1992
(The Miracle of Mindfulness, trans. by Mobi Ho, Beacon Press, Boston, 1975).
11
Servadio, Psicoanalisi e Yoga, cit.
12
Servadio, Psicoanalisi e pensiero orientale, cit.
Graziano Graziani
90
mazioni per lanalista, sono anche una singolare forma di auto-
conoscimento accostabile per Servadio allatteggiamento e allespe-
rienza del meditante.
13
La nuda attenzione al fluire dei pensieri
richiesta a colui che medita , infatti, una attenzione imparziale,
aperta, non-giudicante, interessata e impersonale. La differenza
con la regola aurea di Freud parrebbe dunque porsi sul piano del-
la verbalizzazione del contenuto ideativo e, ovviamente, sulla pre-
senza e sulla relazione con un ascoltatore particolare.
Si sa che nella meditazione il soggetto viene edotto su come il
suo essere catturato da pensieri, che lo allontanano dalla focaliz-
zazione meditativa, non rappresenti un errore, bens il normale
funzionamento della mente. Tuttavia, allorch la nuda attenzio-
ne prende visione di un dato pensiero, si suggerisce di lasciarlo e
di ritornare, in maniera gentile e non giudicante, alla focalizza-
zione (in genere, il respiro). Per raggiungere, infatti, una chiara
visione di s e una equilibrata flessibilit dellIo, la psicologia bud-
dhista insegna che necessario superare lattaccamento: attac-
camento, in questo caso, ai propri contenuti ideativi. Sar nei ri-
guardi dellattaccamento che Servadio opera una interessante tra-
sposizione dalla pratica meditativa alla psicoanalisi.
14
Premettendo
che il principale ostacolo al dispiegamento del transfert dato dal-
le difese narcisistiche, Servadio si chiede cosa siano tali difese.
Ebbene, esse, argomenta Servadio, altro non sarebbero che at-
taccamento: un attaccamento, foriero di sofferenze, al proprio s
cristallizzato da sentimenti di presunzione, orgoglio, certezze.
Per inciso, un analista contemporaneo e praticante, Mark Ep-
stein, ha messo in luce come gli attaccamenti narcisistici siano di
grande ostacolo alla stessa buona pratica meditativa.
15
Superare, in
analisi o con la meditazione, lattaccamento ai propri pensieri,
siano pur essi narcisistici, consentirebbe al soggetto di acquisire
13
Servadio, cit.
14
Servadio, Psicoanalisi e Yoga, cit.; Scoprire linconscio praticando lo
yoga, Il Messaggero Veneto, 2-7-1985, www.emilioservadio.it.
15
M. Epstein, Thoughts Without A Thinker: Psychotherapy from a Buddhist Per-
spective, New York 1995 (trad. it. Pensieri senza un pensatore, Ubaldini, Roma,
1996).
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
91
una consapevolezza metacognitiva (Giommi),
16
per cui i pensie-
ri sono esperiti in quanto pensieri (eventi mentali), piuttosto che
come aspetti di s. Riprendendo il discorso freudiano sul Territo-
rio estero interno (ovvero, su qualche cosa che ci appartiene, ma
sentito esterno, ad esempio: sono stato preso dalla rabbia),
Servadio rapporta questa area estera interna alla consapevolezza
metacognitiva di chi medita o in analisi. Gli sviluppi della chiara
visione sul Territorio estero interno coinciderebbero con lavvio
di una serie di disidentificazioni. Come per Assagioli anche per
Servadio la disidentificazione il momento cardine delle prati-
che di consapevolezza. Con la pratica: a poco a poco, lIo si allon-
tana e si libera da ci che era diventato egosintonico e ne dispo-
ne pi o meno ad libitum, cos come noi disponiamo di un veicolo
sapendo molto bene che noi non siamo il veicolo e che possiamo
farne a meno.
17
Invece di diventare i propri pensieri, il sogget-
to si metterebbe in relazione con essi, quali fossero semplici
eventi che accadono nel campo della consapevolezza: va rilevato
come a tale livello sia analisi che meditazione sembrerebbero mi-
rare non tanto a modificare i contenuti della mente, quanto,
piuttosto, la nostra relazione con essi.
Circa il grande valore assegnato dalla vipassan al momento
presente, uguale quello dato da Freud allhic et nunc della sedu-
ta e il fine comune a entrambe le pratiche sarebbe quello di
staccarci dal passato e dalle false realt che lo trattengono.
18
Una ulteriore equivalenza Servadio lindividua nel similare sta-
to di coscienza che psicoanalista e meditante sono chiamati a
raggiungere.
19
La attenzione fluttuante uniforme, che Freud
suggerisce allanalista (stia ad ascoltare e non si preoccupi di te-
nere a mente alcunch),
20
sarebbe, per Servadio, sovrapponibile
16
F. Giommi, Introduzione: al di l del pensiero, attraverso il pensiero in Segal
Z.V., Williams J.M.G., Teasdale J.D., Mindfulness: al di l del pensiero, attraverso il
pensiero, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
17
E. Servadio, Psicoanalisi e Yoga, cit.
18
ibidem.
19
E. Servadio, Psicoanalisi e pensiero orientale, cit.
20
Consigli al medico nel trattamento analitico (1912), in Opere di Sigmund Freud
(OSF), vol. 6, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 532-541.
Graziano Graziani
92
allo stato di attenzione che impartito al meditante. Tale condi-
zione, familiare per chi medita, consentirebbe allanalista un
ascolto imparziale, uno stato di silenzio che filtra le parole ed
allontana i rumori. Un ascolto fluttuante e scevro da attacca-
menti che rivolto, oltre alle parole del paziente, alla mente
stessa dellanalista e attraverso il quale, sottolinea Servadio sareb-
be possibile sviluppare una comunicazione che tocca i livelli pi
profondi del s.
21
I momenti di empatia e di contro-transfert si svi-
lupperebbero entro questa cornice di coscienza che la meditazio-
ne ha da sempre addestrato ad ampliare. Si tratta, in questi casi, di
un sentire prima di capire caratteristico dei migliori dettami
buddhisti: le parole sono soltanto il dito che indica la luna, il dito
non la luna lesperienza effettiva si trova oltre le parole.
22
Nel progredire della meditazione viene, infatti, insegnato come
appena si inizi a essere consapevoli di qualcosa, subito, prima di
farsene un concetto, c un fugace istante di coscienza pura
delloggetto. Questi momenti in cui si fa esperienza di un ogget-
to prima di oggettivarlo, di una cosa come non cosa, coincidereb-
bero con quei livelli di consapevolezza profonda che lanalista ri-
conosce come empatia e contro-transfert e che la meditazione
allena a prolungare. Quindi, onde meglio operare, sarebbe auspi-
cabile che lanalista avesse una pratica diretta della meditazione.
A tal proposito, Servadio cita e d ragione a Geraldine Coster,
23
quando scrive che: lanalista dellavvenire dovrebbe essere qual-
cuno che conosce sperimentalmente qualche cosa dei processi di
meditazione.
24
Per Servadio un primo passo potrebbe anche es-
sere una maggiore considerazione da parte della tecnica analitica
dello stato corporeo, del rilassamento e del ritmo respiratorio. Sia
training che tecnica potrebbero, dunque, avvantaggiarsi da una
maggior conoscenza e integrazione con le pratiche meditative. A
21
E. Servadio, op. cit.
22
Gunaratana Henepola, La Pratica della Consapevolezza, Astrolabio, Roma,
1995 (Mindfulness in Plain English, Wisdom Publications, Boston, 1991).
23
G. Coster, Yoga and Western Psychology, Oxford University Press, London,
1934.
24
E. Servadio, Psicoanalisi e Yoga, cit.
La pratica della mediazione e gli albori della psicoanalisi italiana
93
dispetto di queste considerazioni, in realt, Servadio, quale diret-
tore dellIstituto di Training (lIstituto da me frequentato), non
avanzer mai alcuna proposta organica in tal senso.
Nulla par essere pi suadente della frase, tratta dalla
vetvatara Upaniad, che Servadio cita quale fine ultimo della
meditazione: come uno specchio fangoso risplende di nuovo
dopo una pulizia appropriata, cos lanima racchiusa nel corpo par-
tecipa della sua finalit vera e si libera dellangoscia dopo aver
scoperto la sua vera natura.
25
Tuttavia, per quanto affascinante e
utile la meditazione possa essere, Servadio sente lobbligo di met-
tere in guardia da forme di ripudio della nostra pratica terapeutica
occidentale a favore di un darana che non il nostro. In que-
sto senso egli d ragione a Jung
26
allorch, molto saggiamente,
sottolinea il rischio di salvifiche illusioni e di adesioni totalizzanti
al pensiero orientale quando, viceversa, la verit appare differen-
temente nei differenti Paesi, nelle differenti et, secondo i ma-
teriali viventi con cui i suoi simboli sono stati foggiati. Al pari di
psicoanalisti odierni (Pensa, Epstein, Amadei),
27
Servadio non
esita, cos, nel sottolineare come le pratiche meditative non de-
vono avere uno scopo terapeutico, anche se alla fine se ne rice-
vono dei benefici. In India scrive Servadio lho appreso dalla
viva voce di r Kuvalayananda il quale mi disse che la maggior
parte degli occidentali che vogliono dedicarsi alla meditazione
sono dei nevrotici nel senso clinico della parola, dei nevrotici, mi
disse, che dovrebbero chiedere aiuto allo psicoanalista invece di
accoccolarsi tutti i giorni per cercare di fare meditazione.
28
Pro-
babilmente il pensiero di Servadio collimerebbe oggi con quanto
espresso da Corrado Pensa: lungo il cammino meditativo il rischio
di autoinganno molto elevato una buona psicoterapia pu
rendere la pratica della consapevolezza pi fondata, viva e perspi-
cace. La meditazione a sua volta, pu approfondire e accelerare
25
ibidem.
26
Psicologia della meditazione orientale (1943), in Opere, vol. 11, Torino, 1992.
27
C. Pensa, La tranquilla passione. Ubaldini, Roma, 1994; Epstein, op. cit.; G.
Amadei, Introduzione a: Siegel J., Mindfulness e Cervello, Cortina, Milano, 2009.
28
E. Servadio, op. cit.
Graziano Graziani
94
notevolmente il processo psicoterapeutico.
29
Come gi rilevato,
la gran parte delle osservazioni contenute negli scritti di Servadio
concernono essenzialmente lesperienza e la pratica. In una sola
occasione egli far unardita interpretazione metapsicologica con-
siderando la kundalini in chiave di sublimazione dei proto-istinti
(libido e destrudo).
30
Ma siamo nel 1938, prima della sua partenza
per lIndia e della sua pratica personale.
Nel chiudere questa finestra su Emilio Servadio e sul suo ruolo
di precursore nel raffronto tra psicoanalisi e meditazione si pu
raccogliere la sintesi del suo pensiero in queste poche parole che
riassumono anche lo spirito di questa giornata: la psicoanalisi,
senza saperlo stata piuttosto orientale nei suoi aspetti tecnici e
occidentale nei suoi aspetti teorici.
31
Per la verit, mentre non v
dubbio che il pensiero di Freud scorra nellalveo occidentale, solo
una parte dei molteplici elementi contenuti nellarmamentario
tecnico freudiano sono inconsapevolmente orientali. Molti fattori
terapeutici caratterizzanti il metodo analitico non sono rintrac-
ciabili nella tradizione orientale: il registro dato allinterazione,
lanalisi del transfert, le interpretazioni, il ruolo assegnato ai sogni,
ecc Tuttavia, gli elementi in comune, ben evidenziati dalla di-
samina di Servadio, possono rappresentare la base per una compa-
razione tra pratiche, per il costituirsi di un confronto e per un ar-
ricchimento della psicoanalisi stessa.
Servadio scomparso novantenne, oramai 15 anni fa. Aveva
espresso in sordina lauspicio di un dialogo per lui realizzatosi in
giovent, la giornata di oggi mi sembra testimoni il fatto che so-
no maturate le condizioni perch ci avvenga.
29
C. Pensa, op. cit.
30
E. Servadio, Considerations psychoanalitiques sur le yoga. Comunicazione al XV
Congresso Internazionale di Psicoanalisi, Parigi, 1938, testo inedito, citato in: E.
Servadio (1947), Psicoanalisi e Yoga (II parte), Luce e Ombra,
www.emilioservadio.it.
31
R. Servadio, Psicoanalisi e pensiero orientale, cit.
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Zolla E., Uscite dal mondo, Adelphi, Milano, 1992
Gli autori
Gherardo AMADEI, medico, psichiatra, psicoanalista ASP, professore as-
sociato di Psicologia dinamica presso la Facolt di Psicologia dellUniver-
sit di Milano-Bicocca. Da pi di ventanni lavora privatamente come
psicoanalista a orientamento relazionale, come supervisore di casi clinici e
ora anche come insegnante di mindfulness secondo il modello MBSR, in
cui si formato presso la University of Massachusetts.
Franco FABBRO, professore ordinario di Neuropsichiatria infantile
presso lUniversit di Udine. Per numerosi anni si occupato di neu-
rolinguistica del bilinguismo e di neuropsicologia degli stati non ordi-
nari di coscienza, religione e personalit. autore di numerosi articoli
scientifici e volumi, tra i quali: Destra e sinistra nella Bibbia (Guaraldi,
Rimini, 1995); Il cervello bilingue (Astrolabio, Roma, 1996); Neuropeda-
gogia delle lingue (Astrolabio, Roma 2004); Neuropsicologia dell'esperienza re-
ligiosa (Astrolabio, Roma, 2010).
Graziano GRAZIANI, medico, psichiatra, neuropsichiatra infantile
presso il Dipartimento di Salute Mentale ASL 4 (Prato), membro or-
dinario della SPI. stato docente di Storia della Psicologia (Universit
di Firenze) e Presidente del Centro Psicoanalitico di Firenze. Membro
dell'Associazione Esperienze di Mindfulness, si formato in questo
campo presso la University of Massachusetts.
Gli autori
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Anthony MOLINO, membro associato della Societ Italiana di Psicote-
rapia Psicoanalitica (S.I.P.P.). Antropologo, traduttore e psicoanalista
di formazione anglo-americana. In Italia ha pubblicato diversi libri
tra i quali Psicoanalisi e buddismo (R. Cortina, 2001) e Tra sogni del Buddha
e risvegli di Freud, curato assieme a Roberto Carnevali (Arpanet 2010).
Vive e lavora a Pescara.
Antonio VITOLO, analista didatta dell'Associazione Italiana e Interna-
zionale di Psicologia Analitica (AIPA), curatore di opere di C.G. Jung,
E. Neumann, M.L. von Franz, con traduzioni, introduzioni, monogra-
fie per i tipi di Astrolabio, Bollati Boringhieri, Bompiani, Il Saggiatore,
Marsilio, Vivarium.
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