Luciano Catalioto, Nefanda Impietas Sarracenorum. La Propaganda Antimusulmana Nella Sicilia Normanna
Luciano Catalioto, Nefanda Impietas Sarracenorum. La Propaganda Antimusulmana Nella Sicilia Normanna
Luciano Catalioto, Nefanda Impietas Sarracenorum. La Propaganda Antimusulmana Nella Sicilia Normanna
LUCIANO CATALIOTO
Un ampio dibattito sul tema della propaganda come elemento della comunicazio-
ne dei fatti politici (e quindi oggetto della ricerca storica), è stato proficuamente inco-
raggiato in occasione delle giornate tudertine del 2001,1 le quali, riallacciandosi al
convegno di Trieste del 1993,2 hanno offerto spunto, innanzi tutto, per una rilettura più
attenta ai contesti politici e sociali di tutte le forme attraverso le quali si realizza il fe-
nomeno, «dalle raffigurazioni ai rituali, dalla parola fissata su carta a quella procla-
mata, dalla damnatio memoriae alla modalità stessa in cui determinati attori politici si
propongono in quanto soggetti viventi di propaganda».3 Proprio quest’ultima accezio-
ne consente di entrare nel merito del tema qui affrontato, quello della propaganda an-
timusulmana che accompagnò le prime fasi della conquista normanna dell’isola, con-
dotta appunto da un attore politico, Ruggero I d’Altavilla, che fu attento a sostenere la
ricristianizzazione del Valdemone attraverso chiari messaggi ideologici.4
Come sostiene Paolo Delogu, «la committenza degli Altavilla nelle sue espres-
sioni più originali mirò essenzialmente a celebrare le imprese e la memoria delle
grandi figure della famiglia, in modo da qualificarne la fisionomia ideale e creare
una tradizione politica».5 I discendenti di Tancredi cercarono di far dimenticare l’ori-
gine illegittima del loro potere, soprattutto mediante il patrocinio della costruzione o
ricostruzione di chiese e cenobi, e non è privo di significato il fatto che Ruggero I,
nell’arco di circa un ventennio, erigesse nel Valdemone quattro abbazie benedettine
(Lipari, Catania, Patti e Santa Maria de Scalis) e rifondasse ben diciassette edifici
greci.6 Opera architettonica di sicuro impatto visivo fu il «propugnaculum immensae
1. La propaganda politica nel basso Medioevo, Atti del XXXVIII Convegno storico internaziona-
le (Todi, 14-17 ottobre 2001), Spoleto 2002.
2. Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, Relazioni tenute al Convegno interna-
zionale di Trieste, 2-5 marzo 1993, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994.
3. A. Ricci, La propaganda politica nel basso Medioevo, Cronaca del XXXVIII Convegno storico
internazionale (Todi, 14-17 ottobre 2001), in «Nuova rivista storica», LXXXVI (2002), p. 228.
4. Sulle fasi dell’offensiva normanna nell’Italia meridionale e in Sicilia, si veda S. Tramontana, La
monarchia normanna e sveva, Messina 1986, pp. 107 ss. Circa il rapporto diretto e privilegiato degli Al-
tavilla con il papato e sulla consacrazione pontificia della legittimità dell’impresa si veda, soprattutto, il
recente saggio di E. Cuozzo, La monarchia bipolare. Il regno normanno di Sicilia, Pratola Serra 2000,
pp. 19 ss. e passim. Le direttive della ricristianizzazione e latinizzazione del Valdemone sono tracciate
in L. Catalioto, Il Vescovato di Lipari-Patti in età normanna (1088-1194). Politica, economia, società in
una sede monastico-episcopale della Sicilia, Messina 2007, pp. 29 ss.
5. La committenza degli Altavilla: produzione monumentale e propaganda politica, in I Norman-
ni popolo d’Europa, 1030-1200, a cura di M. D’Onofrio, Padova 1994, pp. 188 ss.
6. Si vedano L.T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna (1938), a cura di A. Cher-
si, Catania 1984, e M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale, Roma 1982 (1a ed.
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1947). Un quadro della vita religiosa in Sicilia in età normanna, e delle complesse implicazioni politiche
e culturali ad essa riconducibili, è delineato da J.M. Martin, La vita quotidiana nell’Italia meridionale al
tempo dei Normanni, Milano 1997, pp. 263-315 e passim. Si vedano, inoltre, H. Houben, Mezzogiorno
normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli 1996; F. Giunta, Medioevo normanno,
Palermo 1982; Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Atti delle prime Giornate normanno-sveve (Bari,
28-29 maggio 1973), Roma 1975; N. Kamp, Der unteritalienische Episkopat im Spannungsfeld zwi-
schen monarchischer Kontrolle und römischer “libertas” von der Reichsgründung Rogers II. bis zum
Konkordat von Benevent, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II, Atti delle terze Giornate nor-
manno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 99-132.
7. Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi
ducis fratris eius, a cura di E. Pontieri, in Rerum Italicarum Scriptores, Bologna 1927, libro III, § 77; Pe-
trus de Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus der
Burgerbibliothek Bern, hrsg. von T. Kölzer und M. Stähli, Sigmaringen 1994, tav. XXVI.
8. Cfr. Ibn Giubayr, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, Torino-Roma 1880, I, pp. 144 sgg.
9. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, III, 78.
10. G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1979, pp. 56 ss.; I diplomi della
Cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico pubblicati da un codice della Biblioteca Comunale di
Palermo ed illustrati, a cura di R. Starrabba, Palermo 1888, p. 256; E. Pispisa, La cattedrale di S. Maria
e la città di Messina nel Medioevo, in Id., Medioevo Fridericiano e altri scritti, Messina 1999, p. 267.
11. Cfr. M. D’Onofrio, Comparaisons entre quelques édifices de style normand de l’Italie méridio-
nale et du royame de France au XIe et XIIe siècle, in Les Normands en Méditerranée, Colloque de Cerisy-
la-Salle, 24-27 septembre 1992, éd. par P. Bouet et F. Neveux, Caen 1994, pp. 179-201; V. Pace, Le com-
ponenti inglesi nell’architettura e nella miniatura siciliana fra XII e XIII secolo, in Ruggero il Gran Con-
te e l’inizio dello Stato normanno, Atti delle seconde Giornate normanno-sveve (Bari, 19-21 maggio
1975), Bari 1977, pp. 179-190; G. Coppola, L’architettura religiosa normanna nell’Italia meridionale, in
Tresors romans d’Italie du Sud et de Sicile, textes réunis et présentés par G. Coppola, Palermo 1995, pp.
75-96; G. Agnello, Estensione e limiti delle influenze regionali sull’architettura normanna nel Mezzogior-
no d’Italia, in I Normanni e la loro espansione in Europa nell’Alto Medioevo, XVI Settimana di studio
del Centro italiano di Studi sull’alto Medioevo (Spoleto, 18-24 aprile 1968), Spoleto 1969, pp. 729-752.
12. E. D’Angelo, Ritmica ed ecdotica nel testo di Goffredo Malaterra, in Poesia dell’Alto Medioevo
europeo: manoscritti, lingua e musica dei ritmi latini, a cura di F. Stella, Firenze 2000, pp. 383-394; Id.,
Committenza artistica del conte Ruggero I, in http://www.mondes-normands.caen.fr/italie/cultures.htm
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sulmana e alla successiva opera di “rilatinizzazione” dei territori sottratti dagli Altavil-
la all’impero bizantino. La pittura è forse uno dei media meno sfruttati dal Granconte
per veicolare la propria propaganda politica e resta difficile, pertanto, una ricostruzio-
ne precisa della committenza dell’Altavilla in questo campo. Vi è, però, un’eccezione
importante: Ruggero I esalta la sua azione politica facendo dipingere sulle pareti della
chiesa di Santa Maria di Ravanusa la “memoranda impresa” contro i musulmani. Il ci-
clo, che comprendeva l’assedio di Ruggero della fortezza musulmana sul Monte Sara-
ceno, è andato perduto, ma potrebbe essere considerato nella sua testimonianza indiret-
ta una sorta di corrispettivo mediterraneo dell’Arazzo di Bayeux e una significativa
rappresentazione, sul versante figurativo, dell’epos narrato in cronaca dal benedettino
di Saint-Evroul Goffredo Malaterra. Ma prima di rilevare i contenuti propagandistici
del De rebus gestis, sono opportune alcune precisazioni in merito ad altri canali di co-
municazione attraverso i quali venne tramandata l’impresa normanna in Sicilia.
L’accordo di Melfi del 1059, con cui Niccolò II aveva investito gli Altavilla del
Mezzogiorno, non contiene messaggi propriamente antiislamici, perché teso piutto-
sto a stabilire i termini dell’investitura in senso più ampio.13 Il riconoscimento della
signoria sul Mezzogiorno sancito a Salerno e confermato con l’accordo di Troina del
1098, da parte sua, è piuttosto attento a definire la concessione della legazia aposto-
lica.14 Tuttavia, nel diploma con cui Urbano II, nel giugno 1091, confermava la nomi-
na di Ambrogio ad abate di Lipari, si coglie innanzitutto l’atteggiamento di aperta
condanna da parte della curia romana di fronte all’oppressione subita dai cristiani del
Valdemone negli anni dell’emirato,15 sebbene l’accento sia posto soprattutto sulla di-
vinae misericordiae potentia, che avrebbe guidato dall’alto l’impresa di Ruggero.16
13. Le complesse motivazioni che indussero Nicolò II a sancire il noto legame al sinodo del 23
agosto 1059 sono illustrate, tra gli altri, da Scaduto, Il monachesimo basiliano, pp. XXXVI e 3-8.
14. Si veda il testo del privilegio papale di Salerno in Goffredo Malaterra, De rebus gestis, III, 108.
Tale impegno verbale, rileva Ernesto Pontieri, giustificherebbe il fatto che il Granconte assumesse tito-
lo e mansioni di legato prima che la bolla fosse promulgata. Sul privilegio della Regia Monarchia si ve-
da, soprattutto, S. Fodale, «Comes et legatus Siciliae». Sul privilegio di Urbano II e la pretesa Aposto-
lica Legazia dei normanni in Sicilia, Palermo 1970; Id., L’Apostolica Legazia e altri studi su Stato e
Chiesa, Messina 1991; G. Catalano, Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia, Reggio Calabria 1973. Sui
rapporti tra monarchia e Chiesa in età normanna, inoltre, cfr. S. Fodale, Il Gran Conte e la Sede aposto-
lica, in Ruggero il Gran Conte, pp. 25-42; Id., Fondazioni e rifondazioni episcopali da Ruggero I a Gu-
glielmo II, in Chiesa e società in Sicilia, I, L’età normanna, Atti del I Convegno internazionale organiz-
zato dall’Arcidiocesi di Catania (25-27 novembre 1992), Torino 1995, pp. 74 ss.; Id., Stato e Chiesa dal
privilegio di Urbano II a Giovan Luca Barberi, in Storia della Sicilia, Napoli 1980, III, pp. 575-600.
15. Nel privilegio, infatti, il pontefice sottolinea che, come tramandato da Gregorio Magno, nell’i-
sola aveva avuto un tempo sede un vescovato, il quale avrebbe poi subito la repressione sarracenorum.
16. Originale mancante; copie del 1368 nell’Archivio Capitolare di Patti (d’ora innanzi: ACP), F I,
f. 1 e del 1369 in F I, f. 2 e CPZ, f. 4; edito in R. Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustra-
ta, Palermo 1733 (ed. anast. con introduzione di F. Giunta, Sala Bolognese 1987), II, p. 952 e F. Ughel-
li, Italia Sacra sive de episcopis Italiae et Insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, 2a ed.
a cura di N. Coleti, Venetiis 1717-1722 (ed. anast. Bologna 1974), VI, p. 775. Secondo White (Il mona-
chesimo latino, pp. 127 ss.), questo segno cospicuo del favore papale avrebbe suscitato nella nobiltà nor-
manna un senso di devozione tale da motivare la generosità delle loro donazioni. Un giudizio che pare
tuttavia non esente da una certa retorica e circoscritto a una visione che non tiene conto dei forti interes-
si politici alla base di un preciso programma degli Altavilla.
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Tra i cronisti che hanno dedicato spazio all’impresa normanna, Amato di Mon-
tecassino tratta piuttosto le vicende del Mezzogiorno peninsulare e a proposito della
conquista dell’isola riferisce come Roberto fosse in procinto di muovere guerra ai
«Sarrazin, liquel occioient li Chrestien molt fortement» quando, come un segno dal
cielo, si presentò al suo cospetto un «amiral, un qui se clamoit Vultumine» (Ibn-at-
Thumna) a chiedere aiuto contro l’emiro palermitano.17 Il monaco cassinese aggiun-
ge qualche particolare sulla conquista di Messina ad opera del Guiscardo, sostenuto
da Guglielmo Bracciodiferro e «de ses chevaliers», i quali «ont combatu à la cité et
ont vainchut lo chastel de li Sarrazin». Ma la sua narrazione non mostra di voler esal-
tare l’impresa dei conquistatori, e lascia evincere piuttosto come il controllo della cit-
tà dello Stretto da parte dei musulmani fosse blando, anche alla luce del fatto che «la
cité estoit vacante des homes liquel i habitoient avant».18 La tesi del desolante stato di
abbandono e immobilismo socioeconomico, che avrebbe denotato Messina già negli
ultimi decenni dell’emirato, ha suscitato qualche perplessità in studiosi che, eviden-
temente, non hanno tenuto pienamente conto della tendenza celebrativa insita nelle
cronache del monaco cassinese, della propensione all’esagerazione di Goffredo Ma-
laterra e della conclamata inattendibilità della Breve istoria della liberazione di Mes-
sina, chiaramente falsa, protesa alla celebrazione del sentito patriottismo dei tre no-
bili cittadini (Ansaldo de Pactis, Niccolò Mamulio e Giacomo Saccano) per tradizio-
ne eroici fautori della congiura antimusulmana.19 Peraltro, la rapidità della conquista
normanna del Valdemone, attribuita con intenti celebrativi esclusivamente al parteci-
pe sostegno che gli Altavilla trovarono da parte della popolazione cristiana, non
escluderebbe l’ipotesi di una situazione demica analoga a quella descritta per Messi-
na da Amato di Montecassino.20
Nella cronaca di Alessandro di Telese non vi è alcun riferimento alla “crociata
antimusulmana”, o per meglio dire, la presenza stessa degli “infedeli” nell’isola e gli
oltre due secoli di emirato sono ignorati, una vera e propria censura che idealmente
creava un collegamento diretto tra il dominio territoriale di Ruggero II a un vago re-
gnum con sede «Panhormus Sicilie metropolis».21 Sembrerebbe troppo casuale que-
sta sorta di damnatio silentii per non suggerire un suo inquadramento come propa-
17. Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese – Ystoire de li
Normant, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma 1935, V, cap. XIX, p. 239.
18. La forte contrazione demografica di Messina è registrata anche dal geografo arabo Yaqut, nei
cui scritti la definizione assegnata a Messina, riferita verosimilmente a un periodo di lunga durata, oscil-
la tra la dignitosa madinah (“città”) e quella più riduttiva di bulayad (“villaggio”). Si veda M. Amari,
Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, Catania 1938, II, p. 496.
19. Ibidem, III, pp. 58-63.
20. La vicenda di Messina negli anni della conquista normanna è delineata in L. Catalioto, La cit-
tà medievale, in Messina. Storia, cultura, economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli 2007, ad in-
dicem.
21. Il conte Enrico e i più intimi familiares «addebant, quod regni ipsius principium et caput, Pan-
hormus Sicilie metropolis fieri deceret; que olim sub priscis temporibus super hanc ipsam provinciam Re-
ges nonnullos habuisse traditur, qui postea, pluribus evolutis annis occulto Dei disponente iudicio nunc
usque sine regibus mansit»: Alexandri Telesini abbatis Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apu-
lie, a cura di L. De Nava (commento storico a cura di D. Clementi), Roma 1991, libro II, § 1, pp. 23 e 108.
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ganda, come espressa intenzione di demolire la memoria stessa dei musulmani sici-
liani con l’arma del silenzio.
Ruggero I, intorno al 1098, non a caso scelse come suo cronista ufficiale un be-
nedettino proveniente dal cenobio normanno di Saint-Evroul-sur-Ouche, vivaio di
monaci espertissimi negli affari di questo mondo, come Orderico Vitale e l’abate Ro-
berto di Grantmesnil, il quale, in perfetta sintonia con gli ideali riformistici e gli sche-
mi cluniacensi, era stato fondatore e anima della sede di Sant’Eufemia, vivaio a sua
volta della successiva immigrazione monastica nell’isola, e fu l’esecutore della com-
mittenza artistico-monumentale del Granconte condotta in chiave antimusulmana.22
L’Altavilla, quindi, incaricò Malaterra di narrare «plano sermone et facili ad intelli-
gendum» le vicende della sua crociata, perché i posteri sapessero «quam laboriose et
cum quanta angustia a profunda paupertate ad summum culmen divitiarum, vel ho-
noris attigerit».23 Il cronista, nella lettera con la quale dedica all’abate e vescovo di
Catania Ansgerius la sua opera,24 ne espone gli intenti, tra cui risalta quello di glori-
ficare le gesta dell’Altavilla sino al momento in cui, il 5 luglio 1098, Urbano II «non
intese il lui premiare, con la concessione dell’Apostolica legazia in Sicilia, gli sforzi
tenacemente compiuti nel debellare gli infedeli dell’isola».25 Il risalto dato da Mala-
terra a quest’atto, come ha osservato Erich Caspar, risiede nel fatto che esso, oltre a
stendere un velo opportuno su parecchi arbitrii di Ruggero in tema di giurisdizione
ecclesiastica, riconosce in maniera ufficiale i meriti della crociata antimusulmana del
Granconte a beneficio della fede di Cristo e della sua Chiesa.26 Una “santa impresa”,
quindi, richiamata in più occasioni dal cronista, spesso alla stregua di un cliché, al-
l’interno di uno schema provvidenziale dai marcati tratti epico-cavallereschi.
Solo il De rebus gestis di Malaterra, in definitiva, offre un quadro dettagliato del-
la conquista e del consolidamento normanno in Sicilia, chiariti attraverso un’esposi-
zione in chiave “eroica” delle vicende di Ruggero d’Altavilla, intorno al quale si con-
nette la trama della narrazione, che si snoda durante un cinquantennio ed è suddivisa
in quattro libri. Alcuni passi molto pregnanti del secondo libro descrivono con notevo-
le efficacia espressiva la cacciata dei musulmani dalla punta settentrionale del Valde-
22. A proposito della fondazione di Sant’Eufemia, promossa dal Guiscardo nel 1062, si veda E.
Pontieri, L’abbazia benedettina di Sant’Eufemia in Calabria e l’abate Roberto di Grantmesnil, in «Ar-
chivio Storico per la Sicilia Orientale», XII (1926), pp. 92 ss. Altre fondazioni monastiche volute in Ca-
labria da Ruggero I costituirono vivai fecondi di propaganda filonormanna nell’isola, come la sede ago-
stiniana di Santa Maria di Bagnara (1084), che avrebbe colonizzato con elementi transalpini la prioria di
Santa Lucia di Noto e la cattedrale di Cefalù; la fondazione certosina di San Bruno di Colonia (1091 ss.)
e quella cistercense di San Nicola di Filocastro, fondata nel 1140 da cluniacensi provenienti da Clair-
vaux (cfr. White, Il monachesimo latino, pp. 79-86 e 124; G. Occhiato, La SS. Trinità di Mileto e l’archi-
tettura normanna meridionale, Catanzaro 1977).
23. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, I, 25.
24. Gaufredi Malaterrae Epistula ad Cathanensem Episcopum, Ex Guillelmi Gemmeticensis, Orde-
rici Vitalis et Roberti gestis Ducum Normannorum, in Monumenta Germaniae Historica, II s., XXVII,
pp. 14 ss.
25. Ibidem, IV, p. 29.
26. Die Legatengewalt der normannisch-sicilischen Herrscher im XII Jahrhundert, in «Quellen
und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», VIII (1904), p. 128.
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mone sino alla resa delle terre attorno a Troina e Castrogiovanni, fra il 1061 e il 1064,
in seguito alla battaglia di Cerami.27 La strategia di propaganda politica di Ruggero in
campo letterario, pertanto, trova in Malaterra un realizzatore di alto livello che contri-
buisce in maniera decisiva, attraverso la demonizzazione dei musulmani, alla creazio-
ne del “mito” dei normanni e all’identificazione di questi con gli Altavilla. D’altra par-
te, se è necessario analizzare i contenuti della propaganda politica attraverso la strati-
ficazione dei modelli propagandistici, la cronaca di Goffredo Malaterra costituisce in
questo senso un topos per quella tradizione antimusulmana ancora viva nella cultura
diffusa del Valdemone tra medioevo ed età moderna, come si coglie in diverse espres-
sioni iconografiche, ma soprattutto in molte carte ecclesiastiche e nella diffusione, tra
Quattro e Cinquecento, della cronaca malaterriana presso tutti gli ambienti dell’isola.
A qualche decennio dalla sua composizione, il De rebus gestis era definito da
Orderico Vitale un «elegantem libellum» scritto «hortatu Rogerii comitis»28 e dalla
corte normanna l’opera malaterriana si diffuse per i monasteri benedettini, dove il
«libellus» si presentò come l’unica narrazione del lungo travaglio dei liberatori per la
redenzione dell’isola dagli infedeli. Poiché, come sostiene Ernesto Pontieri, «reden-
zione parve la distruzione del dominio musulmano nella Sicilia, avvenuta perdippiù
nel secolo delle Crociate».29 E forse più per evocare il ricordo di quella redenzione
che per renderla meglio accessibile al vulgus, frate Simone da Lentini nel Trecento
tradusse in volgare siciliano i passi dell’opera relativi alla Conquesta de Sicilia, giac-
ché lo scritto del Malaterra gli parve «in gramatica scrabulosa et grossa et mali si po-
ti intendere».30 Sebbene la valenza storiografica di questa sintesi vernacolare sia as-
sai limitata, come anche quella della traduzione in latino che di essa volle fare Fran-
cesco Maurolico nel 1537,31 entrambi i lavori sono chiare spie di come, a distanza di
secoli, i fatti narrati da Malaterra destassero vivo interesse ed evocassero forme e
concetti mai sopiti. Ed è chiaro che il compimento della conquista, romanzata e pro-
pagandata attraverso immagini di sfavillanti vittorie a ogni cozzo d’armi contro i mu-
sulmani, sia apparso «di poema degnissimo e di storia» a chi, come Michele Catala-
no, nella cronaca scorge «un embrione epico-leggendario-religioso, che in altre circo-
stanze storiche avrebbe dato origine a una vera e propria epopea normanno-sicula».32
Lo schema storiografico della cronaca malaterriana, aderente in più occasioni a
quello delle crociate, è attinto grazie a una flessibilità dei modelli in cui temi religiosi
ed ecclesiologici si legano alla politica in un’azione propagandistica che, di fatto, non
trova riscontro nella reale strutturazione della società e dei poteri locali. Il che induce
a ritenere che non sempre la propaganda neghi la contrapposizione del testo all’azione
politica, come dimostrerebbe l’ambiguità dei rapporti nel Valdemone tra musulmani e
cristiani, da una parte collocati in posizione antitetica in una sorta di schema ideale del-
la cultura diffusa, d’altra parte inseriti in un comune meccanismo sociale ed economi-
co che, prevedendo la presenza di funzionari sarraceni de majores nati anche nei gan-
gli amministrativi della contea, annullava radicali dicotomie.33 In effetti, nella lettura
della cronaca malaterriana, sorprende imbattersi a volte in una sorta di contro-propa-
ganda. Ad esempio in un passo, dove è messa in risalto la cupidigia del Guiscardo e
l’ambizione smisurata del Granconte nel corso dell’impresa siciliana, che sarebbe sta-
ta determinata soprattutto da forti interessi materiali e spirituali, dal momento che Rug-
gero «semper dominationis avidus erat».34 Considerazioni, queste, che inducono tal-
volta il cronista a esprimere un giudizio “diverso” sugli scopi della conquista dell’iso-
la, riconducibili pertanto, oltre che alla missione divina di espellere i nemici della fede
cristiana, alla «brama di strappar loro il godimento di una terra tanto ubertosa».35
E allo stesso modo sono indicativi alcuni accenni di Malaterra alla pietas dei sa-
raceni, come in occasione della morte del figlio di Ruggero, Giordano, quando molti
di loro «patris dolor [...] ad lacrimas pertrahebat»;36 oppure l’ammirazione per il digni-
toso coraggio mostrato da un giovane musulmano di Messina, che preferì uccidere la
propria sorella piuttosto che lasciarla «preda della selvaggia libidine dei nemici».37 Ma
le descrizioni dei fallimenti bellici dei normanni, in verità, sono sporadici ed esposti
con tono sommesso, mentre non si fa menzione di molti successi musulmani, come ad
esempio la «tremenda battaglia» e la precipitosa fuga di cristiani al di là dello Stretto,
di cui parla il cronista arabo Al-Bayan,38 e molti significativi eventi narrati con diver-
sa prospettiva dall’autore arabo della cronaca siculo-saracena di Cambridge.39 Le fuga-
ci menzioni alle disfatte normanne, quindi, appaiono inserite in modo strumentale al-
l’interno della narrazione per esaltare l’impegnativo compito assunto da Ruggero e la
sua strenuitas, come nel brano che riporta il blocco del Granconte nel territorio del Fa-
ro ad opera di una possente flotta islamica che controllava le acque dello Stretto,40 la
respinta subita ad opera dei musulmani di Centorbi41, la sconfitta inferta dall’arabo
Benarvet presso Catania,42 l’uccisione di Serlone vicino a Castrogiovanni.43
33. Esemplare appare il caso della zona di Giato e del casale di Mirto, dove nella prima metà del
XII secolo si espresse una comunità islamica di livello sociale elevato, rappresentata tra gli altri dal no-
taio Hamut e da molti boni homines qualificati come gaiti: ACP, F I, ff. 42-43, 90, 138-138 e PV, f. 22 in
Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, nn. 17, 34 e 40.
34. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 3 ss.
35. Ibidem, II, 1.
36. Ibidem, IV, 18.
37. Ibidem, II, 21.
38. Cfr. Al-Bayan in Amari, Biblioteca, II, p. 362.
39. G. Cozza Luzi, La cronaca siculo-saracena di Cambridge con doppio testo greco scoperto in
codici contemporanei delle biblioteche vaticana e parigina con accompagnamento del testo arabico per
Bartolomeo Lagumina, Palermo 1890; R. Gregorio, Cronica di Cambridge, in Id., Rerum Arabicarum,
quae ad Historiam Siculam spectant, ampla collectio, Panormi 1790.
40. Ibidem, II, 8.
41. Ibidem, II, 15.
42. Ibidem, III, 10.
43. Ibidem, II, 46.
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44. Anna Comnena (Komnene), The Alexiad, ed. and transl. by E.A. Dawes, London 1928; Amari,
Storia dei Musulmani, II, pp. 3 e 17; III, pp. 12, 30 e 97; Id., Biblioteca, passim.
45. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 38.
46. Tra le varie credenze diffuse allo scorcio dell’età di mezzo e durante i primi decenni di quella
moderna, alcune si riferiscono cronologicamente alle fasi della conquista normanna della città (Mata e
Grifone), allo sbarco del Granconte presso la città del faro (Fata Morgana). Si vedano: G. Pitrè, Studi di
leggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leggende siciliane, Torino 1904, XXII, ad indicem; B.
Croce, Storie e leggende napoletane, Bari 1976; R.M. Ruggieri, La Fata Morgana in Italia: un perso-
naggio e un miraggio, in «Cultura Neolatina», XXXI (1971), pp. 118 ss.; G. Cavarra, La leggenda di Co-
lapesce, Messina 1995.
47. Si veda Pontieri, Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXXIII ss.
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(più di tremila), riferisce l’appello del Granconte al sostegno divino nell’atto di incita-
re l’esiguo drappello dei suoi milites (appena trentasei), si richiama alla figura biblica
di Gedeone e, infine, descrive l’apparizione in campo di San Giorgio che, «splendidus
in armis et equo albo insidens»,48 irrompe tra le schiere nemiche tenendo alto il vessil-
lo dell’Altavilla insieme alla croce di Cristo ed evoca così l’immagine, ricorrente nel-
le cronache della prima Crociata, del santo cavaliere che trafigge il drago.49
L’eco di questa vittoria fu vasta e non è un caso che, in seguito a essa, Alessandro
II concedesse «l’indulgenza plenaria a tutti coloro che avevano lì combattuto o aves-
sero in avvenire preso le armi contro gli infedeli di Sicilia».50 In definitiva, Malater-
ra, con l’entusiastico e partecipe slancio religioso profuso nella sua narrazione, fu un
convinto propagatore delle grandi correnti spirituali dell’epoca, che, oltre al risana-
mento morale della Chiesa, propugnavano una capillare opera di evangelizzazione
delle terre in mano all’Islam con tutti i mezzi possibili.
L’immagine dei musulmani è riscattata dall’opera di Michele Amari, che nella
conquista normanna dell’isola legge la fine della sua indipendenza e di un’era stori-
ca realmente “siciliana”, caratterizzata da una concreta rinascita spirituale e materia-
le, e offre spunto per una “contropropaganda” ben documentata e costruita su basi
scientifiche. Alla diffusione di un’immagine negativa di questi mercenari venuti dal
Nord per sopprimere l’indipendenza siciliana, Amari giunge attraverso una sistema-
tica demolizione della narrazione malaterriana, cogliendo pertanto il mero intento
propagandistico trasfuso dal committente al cronista, che nel tono encomiastico del-
le sue parole, nelle spudorate esagerazioni e nei distorti florilegi a beneficio dello
pseudocrociato di Sicilia, sarebbe stato il ligio portavoce degli Altavilla e l’esecutore
della loro espansione ideologica.
Notevoli, in effetti, furono gli argomenti enfatizzati dal benedettino di Saint-
Evroul per sostenere i suoi più densi brani celebrativi. Innanzi tutto, la narrazione di-
venta iperbolica quando si tratta di definire entità e proporzioni numeriche degli op-
posti schieramenti, tanto che Amari ironizza sostenendo che «convien dividere per sei
la cifra dell’esercito nemico e moltiplicare per sei quelle del normanno».51 Ad esem-
pio, a parte i dati relativi alla battaglia di Cerami, dove Serlone da solo avrebbe mes-
so in fuga un intero esercito, nel 1061 Ruggero, con appena sessanta uomini, sbaraglia
i musulmani di Messina; a Castrogiovanni settecento normanni annientano i quindici-
mila uomini dell’emiro Ibn-Hawwas; nel 1081 Catania, presidiata da ventimila mu-
sulmani, venne conquistata da circa centocinquanta cavalieri.52 Tuttavia, il cronista del
Granconte quando esagera non pare lo faccia in malafede, considerato che fonti diver-
se, e la stessa lentezza nella conquista del Valdemone, indicano un’effettiva esiguità di
truppe normanne e tenendo conto del fatto che, come sostiene Pontieri, «dal vivo del-
la voce derivano le informazioni, alle quali egli ricorre per ottemperare ai desideri del
Conte di Sicilia» e «alcuni relatores di Malaterra erano vecchi reduci [...], abituati a
quella cosiddetta millanteria, ch’è propria degli uomini di caserma».53
Ma, a questo punto, è necessaria qualche osservazione a proposito delle fonti utiliz-
zate da Goffredo Malaterra. Una serie di verifiche ha ormai da tempo dimostrato la pie-
na indipendenza dello scritto malaterriano da altre narrazioni coeve, né si hanno dati
certi su una presunta cronaca ritmica che avrebbe costituito il modello di alcuni passi
del De rebus gestis dalla marcata impronta poetica, come appunto le pagine dedicate al-
la battaglia di Cerami con i dodici esametri leonini consacrati alla morte di Evisardo, ni-
pote del Granconte.54 O, ancora, la strofa asclepiadea con cui il cronista celebra la pre-
sa di Taormina.55 Ma, come dice Benedetto Croce, quelli stabiliti tra poesie e prosa so-
no «limiti artificiosi e posticci» e, d’altra parte, la fioritura poetica nel Mezzogiorno
d’Italia interessò all’epoca persino il linguaggio giuridico e i modi della comunicazio-
ne cancelleresca, come sostiene Harry Bresslau, secondo cui «alla stessa maniera dei
notai della Francia, quelli italiani usavano arenghe negli atti da loro compilati».56 Un no-
tevole brano di prosa ritmica è contenuto nel documento con cui Ruggero, tra il settem-
bre 1082 e il marzo successivo, fondava e dotava la sede vescovile di Troina,57 come an-
che nel testamento del vescovo catanese Angerio, amico e saldo referente di Malaterra.58
Non sorprende, pertanto, che l’impegno propagandistico del monaco normanno
si mostri più vivo nelle congiunture più delicate dell’epopea normanna, per la cui
esposizione egli ricorre pertanto a strumenti di comunicazione di più immediato ef-
fetto, come appunto quei versi leonini che lo stesso papa della prima crociata lascia-
va intanto entrare in uso nei documenti della cancelleria pontificia.59 D’altra parte, la
cultura di Malaterra è di esclusiva formazione ecclesiastica, sicché parecchie rappre-
sentazioni cariche di drammaticità ed espressioni ricorrenti (come fortiter agendo,
plures sternit, reliquos fugat, victor efficitur), che egli adopera per esaltare l’immagi-
ne di Ruggero, ripropongono aforismi e passi del Vecchio e del Nuovo Testamento ed
evocano piuttosto le imprese dei paladini di Francia, senza quindi rifarsi, se non in
modo estremamente vago e occasionale, a mitiche figure di condottieri dell’antichi-
tà. In definitiva, Malaterra stende uno dei resoconti più vivi e affascinanti della sto-
riografia mediolatina, mettendo in scena il fascino dell’avventura “precrociata” del
Granconte e «aprendo al tempo stesso la strada, col quarto libro dalla sua cronaca, a
quella storiografia normanna di tipo “statuale”, che troverà la sua realizzazione più
ufficiale nella biografia di Ruggero II dell’abate di Telese» e nel Liber de regno Sici-
lie del cosiddetto Ugo Falcando.60
53. Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXXVII ss.
54. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 23; III, 16.
55. Ibidem, III, 20; Pontieri, Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXIV ss.
56. Handbuch der Urkundenlehre für Deutschland und Italien, Berlin 1968-1969, I, p. 595.
57. A. Amico, I diplomi della Cattedrale di Messina, a cura di R. Starrabba, Palermo 1876-1888,
ad indicem.
58. Si veda C.A. Garufi, Carte e firme in versi nella Diplomatica dell’Italia meridionale nei seco-
li XI e XII, in «Studi Medievali», I (1904-1905), pp. 110 ss.
59. Ibidem, p. 108.
60. D’Angelo, Committenza artistica, p. 7. Cfr., inoltre, M. Oldoni, Mentalità ed evoluzione della
storiografia normanna fra l’XI e il XII secolo in Italia, in Ruggero il Gran Conte, pp. 139-175.
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61. La cultura siciliana dell’età normanna, in Atti del Congresso Internazionale di Studi sulla Si-
cilia Normanna (Palermo, 4-8 dicembre 1972), Palermo 1973, pp. 263-278.
62. Pirri, Sicilia Sacra, II, p. 952; Ughelli, Italia Sacra, I, p. 775; il documento, il cui originale forse
in greco risulta mancante nell’ACP, è edito in Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 1.
63. ACP, F I, f. 19; copia del 1643 in F I, f. 18; edito in White, Il monachesimo latino, p. 383, n. I,
e Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 7.
64. Il diploma, edito in Pirri (Sicilia Sacra, II, p. 770) e in C.A. Garufi (Memoratoria, Chartae et
Instrumenta divisa in Sicilia nei secc. XI a XV, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano», XXXII
[1912], p. 79, n. 1), è giunto a noi in una copia del XIII secolo (Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti,
Appendice A, nn. 4 e 5).
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65. Originale greco mancante dall’ACP; copia con traduzione latina in S. Cusa, I diplomi greci ed
arabi di Sicilia pubblicati nel testo originale, tradotti e illustrati, Palermo 1868 e 1882 (ed. a cura di A.
Noth, Köln-Wien 1982), p. 512, n. 3 e G. Spata, Diplomi greci siciliani inediti, Torino 1871, p. 18, n. 1.
Edizione divergente dalla copia dell’ACP in R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai
tempi normanni sino ai presenti, in Id., Opere scelte, Palermo 1845, p. 118, n. 1 (cfr. Catalioto, Il vesco-
vato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 19).
66. «Anno Domini MXXVII, decimo sexto Kalendas augusti, gaytus Maymonus Hispanus, sarace-
nus, Pactas et terram Syracusanam infra dies septem vastavit, praedavit et incendit, utriusque sexus de
hominibus partem occidit et partem captivavit» (Goffredo Malaterra, De rebus gestis, IV, 23-24); sulla
scorreria del saraceno Maymûn si veda pure M. Amari, Storia dei Musulmani, III, p. 395.
67. Cfr. Tramontana, La monarchia, pp. 189 ss. L’escalation dell’odio xenofobo seguì un percorso
che, partendo dalle vicende del 1160-1161 a Piazza e Butera, quando i “lombardi” scacciarono i musul-
mani dalla Sicilia orientale, passò dalla caccia agli islamici nel 1190, quando la rivolta divampò nelle
terre dell’interno, sino alle continue perturbationes del lungo periodo 1198-1208 e, ancora oltre, alla de-
finitiva azione antimusulmana condotta negli anni Venti del Duecento da Federico II.
68. Era una casa, cioè, «cuius vicinia monachis per multum erat indecens et inhonesta» (Catalio-
to, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 57).
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più densa di significati, infine, appare una donazione a beneficio del vescovo Pietro,
disposta nel 1171 dal barone di Petrano e familiare regio Anfuso de Lucci, la cui
struttura compositiva si rifà al modello delle prime concessioni del Granconte e ne
amplifica l’eco della propaganda ideologica, proprio nel momento in cui il diffuso
clima di intolleranza etnica cresceva.69 Il feudatario, infatti, torna a parlare con ana-
cronismo della «insuperabile forza» del Granconte, del suo «potentissimo braccio
vittorioso», del sangue da lui versato per liberare l’isola a sevissima Sarracenorum
tyrannide, dell’impegno profuso nella ricostruzione delle chiese a nefanda barbarie
dirute. Una visione, questa, trasmessa in modo strumentale e senza aderenza ad attua-
li condizioni di fatto, ma segno evidente che la propaganda antimusulmana costruita
negli anni del Granconte era stata efficace, se a distanza di quasi un secolo i suoi
messaggi, recepiti sia in ambiente monastico che feudale, venivano riproposti fedel-
mente, immutati persino nelle formule linguistiche.
69. Ibidem, n. 58. I precedenti scritti cui il documento si collega erano stati vergati a Mileto il 3
giugno 1091 (ibidem, n. 2), a Messina nei primi mesi del 1094 (ibidem, n. 4) e il 6 marzo 1094 (ibidem,
n. 5).