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34 Comportamento Problema

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Lintervento educativo sui comportamenti problema

Ianes

Capitolo primo

LINTERVENTO EDUCATIVO SUI COMPORTAMENTI PROBLEMA NEL RITARDO MENTALE GRAVE E NELLAUTISMO
Dario Ianes Centro Erickson e Universit di Trento

Molto spesso la relazione con le persone con ritardo mentale grave o autismo resa particolarmente difficile e stressante dalla presenza di comportamenti-problema: in alcuni casi la gravit tale che sembra quasi impossibile stabilire con loro un rapporto produttivo sul piano affettivo, sociale e didattico. In queste situazioni, gli insegnanti, gli educatori ed i familiari riescono con estrema difficolt a trovare modi efficaci per controllare i comportamenti-problema, e spesso sono in grado solamente di limitare il pi possibile i danni, imparando faticosamente a convivere con la problematicit del soggetto. Gestire e risolvere questi comportamentiproblema difficile anche perch non sono sufficientemente conosciute e diffuse delle metodologie educative efficaci: gli psicologi ed i neuropsichiatri infantili, che anche in queste situazioni particolarmente delicate dovrebbero fornire strumenti di intervento educativo, normalmente non conoscono tecniche valide di intervento. Nella maggior parte dei casi, essi si rendono conto che la psicoterapia rivolta alla persona con ritardo mentale/autismo o lintervento farmacologico non ottengono nessun effetto ed allora si appellano al buon senso educativo degli insegnanti e dei familiari. In questo modo si andata via via consolidando lopinione, purtroppo molto comune e diffusa, che la persona con ritardo mentale grave o autismo debba
1992, Ianes (a cura di), Autolesionismo stereotipie aggressivit, Trento, Erickson

necessariamente presentare dei comportamenti-problema, e che questi siano una caratteristica intrinseca di queste condizioni, per gran parte immodificabile e dipendente dalla patologia stessa. Autolesionismo, stereotipie, aggressivit ed altri gravi comportamenti-problema che discuteremo pi avanti sono considerati non risolvibili attraverso un semplice intervento educativo e sono vissuti come un limite a cui ci si deve adattare passivamente. E cos, quotidianamente, gli insegnanti e i genitori spendono quantit immense di energie nel compito frustrante di gestire senza risolvere molti gravi comportamenti-problema, che in alcuni casi diventano la loro preoccupazione maggiore. In molte famiglie essi sono la fonte principale di stress, di esaurimento delle risorse psicologiche dei familiari ed il motivo pi pressante di richieste di istituzionalizzazione. In molte scuole i comportamenti-problema pi gravi limitano notevolmente lintegrazione sociale con gli altri alunni e lapprendimento di nuove abilit. Ne deriva dunque limportanza di sperimentare e diffondere quanto pi possibile procedure valide di intervento educativo in questo campo. In questa raccolta di ricerche sono presentate le principali tecniche del metodo comportamentale, che si fondano da un lato sulle conoscenze della psicologia dellapprendimento e dallaltro sulla convinzione positiva che anche la persona con il pi grave ritardo mentale o lautismo pi difficile e chiuso possa apprendere comportamenti pi maturi ed equilibrati, se stimolata e guidata nel modo giusto. Leggendo le varie ricerche riportate, vedremo che questa convinzione non solamente un semplice auspicio o desiderio, ma una realt ben documentata da molti dati sperimentali, anche se ancora di difficile realizzazione e per molti aspetti fragile e controversa. Proprio per la novit di questi metodi e per aiutare il lettore a valutarli pi compiutamente, in questo primo capitolo ho voluto presentare in sintesi gli aspetti tecnici pi importanti delle metodologie comportamentali.

I comportamenti-problema Non si pu affrontare largomento del come trattare i comportamenti-problema dando per scontato e condiviso tra tutti il significato preciso di comportamento-problema, anche se, intuitivamente, perfino chi stato in relazione con persone con ritardo mentale solo per poche ore pu ritenere di conoscere a fondo questi aspetti del loro comportamento.

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I comportamenti-problema possono assumere le forme pi disparate e strane, anche se ne esistono di tipiche e ricorrenti. Alla base della definizione di comportamento-problema c un vissuto di disagio, preoccupazione, difficolt, fastidio o paura da parte delleducatore o del genitore, dovuto a qualcosa che fa il soggetto con handicap. Questultimo emette dei comportamenti strani, diversi da quelli che ci aspettiamo, comportamenti che viviamo, appunto, con disagio o peggio. Possono essere comportamenti-problema estremi, come gli atti autolesionistici, che provocano danni e lesioni al soggetto stesso: mordersi le mani, le braccia, picchiarsi, battere contro i mobili, strapparsi i capelli, oppure forme pi strane, come ad esempio liperventilazione o crisi di apnea, ecc. Un tipo particolare di autolesionismo la pica, ovvero labitudine di mettere in bocca e ingerire sostanze e oggetti non commestibili, con gravissimi rischi per la salute del soggetto. In questi casi egli esercita una chiara violenza su se stesso, provocando non poca preoccupazione e sconcerto, mentre con atti aggressivi egli attacca, fisicamente o verbalmente, altre persone, oppure distrugge oggetti o altro. Anche in questo caso abbiamo la possibilit di verificare oggettivamente un danno ad altre persone o cose. Un altro tipo di comportamento-problema, meno grave ma ben pi diffuso, la stereotipia, e cio lemettere ripetitivamente, per lunghi periodi di tempo, dei comportamenti irrilevanti, come agitare le mani, dondolarsi ritmicamente, ciondolare il capo, girare su se stessi, manipolare oggetti e pezzetti di carta o plastica, e tanti altri comportamenti simili. In questi casi, il comportamento in s non crea danni o lesioni accertabili al soggetto stesso o ad altre persone o cose, ma in genere lo si ritiene ugualmente problematico. Si ritiene generalmente che le stereotipie siano un comportamentoproblema per il fatto che esse producono al soggetto un ostacolo, anche grave, allo sviluppo, allapprendimento e alla socializzazione. Le persone rischiano di essere assorbite allinterno di una serie di giochi autostimolatori, piacevoli e nellimmediato molto gratificanti, che le distolgono dallo sforzarsi di ricevere stimoli dallambiente e dalleseguire altri tipi di risposte. La considerazione di questo ruolo ostacolante e di interferenza nei confronti dello sviluppo non per sempre ben chiara e soprattutto non condivisa da tutti, operatori e familiari, che in qualche caso possono interpretare le stereotipie come un gioco innocente oppure come una consolazione innocua. Vari altri comportamenti si possono considerare ostacoli per lo

sviluppo del soggetto; pensiamo ad esempio allopposizione sistematica e al rifiuto delle richieste delladulto, alla rigidit di certe abitudini e rituali ed al fatto di non accettare nessun cambiamento nei programmi stabiliti. In questa categoria potrebbero essere inserite anche le reazioni emozionali eccessive di paura, ansia (ad esempio le fobie per lacqua, per alcuni animali) e di collera e rabbia anche a lievi frustrazioni, che possono dare origine a lunghissimi episodi di pianto, chiusura in s e rifiuto delle attivit. Come risulta evidente, la categoria dei comportamenti strani che diventano un problema perch costituiscono oggettivamente un ostacolo al soggetto stesso amplissima. Per quanto riguarda i comportamenti verbali, si pensi allecolalia nellautismo, alle verbalizzazioni bizzarre, agli insulti, parolacce e bestemmie. Il rapporto interpersonale un altro ambito ricco di possibilit che si verifichino comportamenti-problema: i comportamenti sociali appiccicosi e invadenti, il prendere le cose altrui, e tanti altri, anche nella sfera sessuale. Questultimo ambito, nel caso del ritardo mentale grave e autismo, purtroppo ricco di implicazioni problematiche: da comportamenti eccessivi di masturbazione ad aggressioni sessuali pi o meno consapevoli oppure a deviazioni in senso aggressivo e distruttivo di energie sessuali frustrate nel loro corso naturale. Esistono per dei comportamenti strani che percepiamo come problematici, eppure non producono al soggetto n danno n ostacoli rilevanti al suo sviluppo o socializzazione. Sono particolari bizzarrie, come ad esempio il dover assolutamente chiudere sempre tutte le porte di casa, oppure camminare per la citt parlando con maghi e folletti immaginari e facendo magie e incantesimi, oppure toccare molto frequentemente il naso della madre, e cos via. In questi casi si potrebbe pensare che non richiesto n giustificabile un intervento educativo volto alla riduzione o eliminazione di questi comportamenti: essi non producono danni, pericolo ed ostacoli, dunque possiamo considerarli una espressione particolare della personalit di quel soggetto, e come tale dobbiamo rispettarli, anche se ci possono imbarazzare o creare disagio. Proprio su questultima considerazione si basano le opinioni di chi vede invece questi comportamenti come ulteriori cause di stigma sociale e pretesti di emarginazione e di peggioramento dellimmagine sociale della persona con handicap, gi sufficientemente svalorizzata. Chi sostiene questa posizione afferma infatti che anche in questi casi si dovrebbe

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intervenire in senso educativo, per liberare il soggetto da questi comportamenti che lo portano ad essere sempre pi stigmatizzato e considerato pi patologico di quello che in realt. Come evidente, entrambe queste posizioni hanno dei pregi e dei difetti e vanno accuratamente considerate sulla base di una approfondita valutazione della singola situazione soprattutto in rapporto ai vissuti familiari e sociali pi allargati.

La descrizione operazionale dei comportamenti-problema e la decisione di problematicit Abbiamo visto che la tipologia dei comportamenti-problema molto varia e sono diversi i motivi per cui si ritiene che un comportamento sia problematico. Nellintervento educativo comportamentale le prime due operazioni che si dovrebbero eseguire riguardano appunto la chiarificazione oggettiva della situazione comportamentale del soggetto e la valutazione della reale problematicit dei suoi comportamenti che riteniamo inizialmente strani. Tutte le persone che, a vario titolo, interagiscono con una certa regolarit con il soggetto (insegnanti, educatori, familiari, terapisti, ecc.) dovrebbero collaborare nella stesura della descrizione operazionale dei comportamenti-problema, che consiste nel dettagliare in modo preciso tutte le forme specifiche di comportamento che, per i motivi pi vari, creano disagio e preoccupazione e che si vorrebbero conseguentemente ridurre attraverso un intervento educativo. Tra queste persone vi pu essere un accordo generico sulla necessit di porre sotto controllo laggressivit di un soggetto oppure la sua tendenza allautostimolazione, ma necessario che ognuno specifichi, per iscritto e riferendosi solo ad una descrizione di comportamenti osservabili (senza tentare per il momento nessuna interpretazione, anche se pu essere evidente la dinamica causale che spiega quel comportamento), cosa si intenda in quel caso per aggressivit e autostimolazione. In genere ne nasce un confronto interessante, dal momento che alcune persone possono ritenere alcuni comportamenti aggressivi e altre essere invece di opinione del tutto opposta. Alla fine di questa fase collettiva di chiarificazione della effettiva ed attuale realt comportamentale del soggetto dovrebbe essere disponibile un elenco di comportamenti ritenuti problematici dalle varie persone, espressi e descritti

chiaramente, in modo condiviso ed inequivocabile. Allaggressivit, si saranno allora sostituite espressioni come ad esempio dare calci, lanciare sedie, urlare contro o sputare in faccia. Questi sono i precisi comportamenti ritenuti problematici per quel soggetto: su queste descrizioni si raggiunto un accordo pieno, nel senso che ognuno riconosce che quel soggetto, con maggiore o minore frequenza, emette qualcuno di quei comportamenti. Questo livello di precisione importante per vari motivi, anche se pu sembrare pedante ed ossessivo. Innanzitutto un primo momento di ricerca comune di un punto di accordo da parte del gruppo di persone che poi dovranno allearsi nel progetto di intervento educativo. In questo caso laccordo viene trovato con sufficiente facilit: descrivere obiettivamente ci che succede qualcosa di relativamente neutro, non si mette ancora in discussione il perch avvengono quei comportamenti. Come ovvio, le divergenze ed i conflitti tra le persone saranno assai pi probabili quando si cercher di capire perch quel soggetto manifesti cos frequentemente quei comportamenti-problema. Questa prima fase importante anche perch fornisce una base chiara e oggettiva da cui partire per prendere le decisioni su quali saranno gli obiettivi prioritari dellintervento (si veda la decisione di problematicit descritta in seguito) e perch serve a costruire un sistema di osservazione sistematica e di registrazione dei comportamenti realmente adeguato e definito su misura per le peculiarit di quella situazione. Dal punto di vista generale della metodologia dellintervento educativo, fondamentale orientarsi dapprima alla descrizione non interpretativa del fenomeno, per rimanere ancorati saldamente ai dati oggettivi, senza lasciarsi trascinare da ipotesi interpretative prima ancora di aver ben chiaro quale sar (e se sar) loggetto della nostra indagine. Come noto, la prima fase del processo di problem-solving ci impone di rispondere alla domanda: Qual esattamente il problema? e solo successivamente potremo immaginarci varie ipotesi di azione e soluzione del problema stesso. A questo punto il gruppo di persone che condivide la responsabilit educativa su quel soggetto dovr passare alla seconda fase di questa analisi preliminare, che potremo definire decisione di reale problematicit. Alcune persone riterranno qualche comportamento-problema poco significativo, oppure lo considereranno normale se non addirittura da incoraggiare. Altri invece proveranno molto disagio e preoccupazione per lo stesso comportamento e si sentiranno spinti e legittimati ad intervenire

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in senso educativo al massimo delle loro capacit. Quasi sempre in queste valutazioni vengono mescolati in modo inestricabile fattori soggettivi con fattori oggettivi, questi ultimi riferiti al benessere ed allo sviluppo della persona portatrice del problema. Chi deve decidere se un comportamento strano realmente un comportamento-problema compie infatti questa valutazione attraverso parametri di giudizio che sono costituiti, per la parte soggettiva, delle sue idee e convinzioni su ci che normale, utile e positivo e su ci che invece non lo . Ognuno di noi ha idee del tutto proprie su questo, e purtroppo tali idee tendono a variare anche per motivi abbastanza futili, quali lo stato di umore, il livello di soddisfazione lavorativa e, in alcuni casi, anche... le condizioni meteorologiche. Al di l dello scherzo, fattori ben pi importanti, quali i principi e le convinzioni morali e pedagogiche, possono determinare in un senso o nellaltro la decisione di problematicit. Pensiamo infatti ai dubbi ed alle difficolt che vivono gli educatori ed i genitori nel decidere se e come affrontare la masturbazione o i tentativi di approccio omosessuale di un giovane con ritardo mentale. Nel prendere la decisione di problematicit di un comportamento strano dovremmo essere ben consapevoli di questo: se decidiamo infatti che quel comportamento un problema vero, allora dovremo trarne tutte le logiche conclusioni e cio sentirci impegnati con tutte le nostre forze, per deontologia professionale o senso etico, ad intervenire in tutti i modi possibili e leciti. Questo non un impegno da poco, anche perch in molti casi ci dovremo opporre alla volont del soggetto, dovremo combattere con lui, contrastare (pacificamente fin che si vuole) i suoi comportamentiproblema e cercare di eliminarli dal suo repertorio di abilit e modi di espressione. Questa decisione coinvolge profondamente il rispetto dellidentit e della libert di espressione del soggetto, che ha il diritto intoccabile di non essere modificato nei suoi comportamenti solo perch essi creano disagio o fastidio allinsegnante o al genitore. Questo valore di libert e di primato dellidentit e unicit (anche se bizzarra) della persona, si deve per mettere in relazione con il dovere che hanno loperatore e il genitore di garantire il massimo sviluppo possibile della persona in difficolt, liberandola dai vincoli che essa stessa si pu procurare con i suoi problemi di comportamento. Questultima considerazione stata definita, dal punto di vista della persona handicappata, come il diritto ad usufruire del trattamento pi efficace attualmente disponibile. Le persone che

hanno la responsabilit educativa nei confronti del soggetto si troveranno dunque a dover decidere se un certo comportamento strano un problema o no, e dovranno farlo tenendo ben presente e chiaro il vantaggio e il benessere psicologico e sociale della parte pi debole del sistema, in questo caso il soggetto con ritardo mentale o autismo. Inizialmente, si possono esaminare i vari comportamenti segnalati come problematici nella prima analisi, chiedendosi se essi producono un danno al soggetto stesso oppure ad altre persone o cose. Se la risposta che possibile dare, e sulla quale si dovrebbe raggiungere un accordo significativamente solido, affermativa, allora non dovrebbero esserci dubbi: il comportamento realmente problematico. Questo tipicamente il caso dellautolesionismo, della pica, del vomito ripetuto, delle aggressioni ad altre persone, della distruzione di materiali e simili. Spesso per si incontrano dei comportamenti che non danneggiano, in senso fisico, il soggetto o altri: si pensi in primo luogo alle stereotipie, ma anche ad esempio allo spogliarsi in pubblico, allecolalia, alle abitudini rigide e ai rituali, ecc. In questi casi si pu considerare quel comportamento realmente problematico, ed essere cos legittimati e costretti ad un intervento educativo, se esso costituisce un ostacolo, reale e documentabile in modo oggettivo, allo sviluppo intellettivo, affettivo, interpersonale o fisico del soggetto. facilmente dimostrabile che se un soggetto passa pi di met del suo tempo di veglia dondolandosi sul corpo, roteando la testa, con versi gutturali, e in questi lunghi periodi quasi inaccessibile alle proposte di stimolo che noi gli forniamo, questi suoi comportamenti gli sono di notevole ostacolo a varie dimensioni del suo sviluppo e come tali andrebbero rimossi. Naturalmente, dimostrare che un comportamento un ostacolo per il soggetto, e concordare su questo dato, pu non essere una cosa semplice. A questo punto, infatti, si pu verificare un fraintendimento abbastanza chiaro, ma da eliminare subito. Alcuni pensano infatti che il soggetto sia in un certo senso giustificato per i motivi pi vari nella sua emissione di comportamenti-problema: manca di modalit espressive e comunicative normali, lambiente relazionale negativo, punitivo e insensibile oppure le attivit proposte non gli interessano, ecc. Queste considerazioni sono preziose perch possono aiutare a comprendere perch il nostro soggetto si comporta in quel modo, ma non devono portarci a considerare il suo comportamento come tollerabile o addirittura positivo. Anche se quel comportamento-problema fosse il frutto

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di una maligna cospirazione ai suoi danni (e dunque non il frutto della sua cattiveria) noi dovremmo considerarlo problematico e come tale da modificare, proprio per liberare il soggetto da un vincolo al suo sviluppo, di cui egli ovviamente non ha alcuna colpa o responsabilit. La seconda domanda a cui siamo tenuti a rispondere con un accordo educativo sar dunque: Quel comportamento strano, anche se non dannoso, per un ostacolo al suo sviluppo e benessere?. In caso affermativo, dovremo decidere che quel comportamento realmente problematico. Esistono per dei comportamenti, come si gi ricordato, che nella situazione attuale non danneggiano n ostacolano il soggetto in modo chiaro e osservabile. A questo punto il gruppo degli operatori, assieme ai familiari, dovrebbe decidere sulla reale problematicit di alcuni comportamenti, tenendo presenti i meccanismi di stigmatizzazione sociale e conseguente emarginazione della persona disabile. In unottica pedagogica di normalizzazione dovremmo tendere a rendere il comportamento della persona con handicap il pi normale possibile, nellaccezione positiva del termine, e non certo in quella repressiva e di schiacciamento di tutte le bizzarrie, solo perch sono una deviazione dalla norma. Dallaltro lato sappiamo per bene che una sempre maggiore familiarit e tolleranza delle deviazioni a livello sociale si crea lentamente, attraverso il contatto con modi strani e bizzarri di comportarsi, di interagire e di pensare. Modi che non etichettiamo come comportamenti-problema, ma che consideriamo libere variazioni di stile ed espressioni di identit e soggettivit particolari. Per questo giusto essere estremamente cauti nellutilizzo del criterio dello stigma sociale per decidere che alcuni comportamenti sono indesiderabili e di conseguenza da modificare. comunque importante che in questa fase pre-intervento tutti gli educatori e i familiari escano allo scoperto con le loro convinzioni, principi e preoccupazioni, proprio per confrontarle a fondo, nella prospettiva di raggiungere un accordo su una serie di obiettivi e di tecniche di intervento. Se questo accordo verr raggiunto, si saranno gettate delle solide fondamenta allintervento, garantendo coerenza e omogeneit di approccio tra le persone e moltiplicando in questo modo gli effetti degli interventi. La persona con handicap potr sperimentare allora, forse per la prima volta, un fronte unito di persone che condividono decisioni, obiettivi e metodi.

La linea di base Lintervento educativo comportamentale si basa sempre su unanalisi rigorosa e puntuale dei dati oggettivi che vengono raccolti sulle variabili dipendenti, e cio principalmente sulla frequenza, intensit o durata di emissione dei comportamenti-problema. A questo scopo, durante tutto lintervento, vengono compiute osservazioni sistematiche del comportamento-problema e di altre variabili significative (ad esempio, della frequenza di emissione di comportamenti positivi alternativi a quello problema). Subito dopo la decisione di problematicit, ma prima di compiere lanalisi funzionale del comportamento, si devono raccogliere i dati della linea di base (baseline), che ci forniscono i valori iniziali sulla manifestazione di quei comportamenti, come si presentano prima di iniziare ogni tipo di intervento, fissando cos la situazione di partenza naturale. Dalla decisione di problematicit saranno emersi alcuni comportamenti nei confronti dei quali necessario intervenire. Gli operatori costruiscono allora un sistema di osservazione, il pi semplice possibile (si veda pi avanti), per raccogliere i dati di emissione di quei comportamenti nella situazione naturale, non ancora modificata dallintervento. In genere si raccolgono i dati di frequenza (numero di volte in cui si manifesta quel comportamento), oppure di durata (quanto dura il comportamento) o di intensit (grado di forza o violenza di emissione del comportamento). evidente che bisogner scegliere il parametro di osservazione che descrive pi compiutamente la realt di quel comportamento: stereotipie molto massicce e protratte nel tempo (ad esempio, agitare continuamente pezzi di plastica) saranno meglio descritte con osservazioni di durata, mentre il picchiarsi la fronte con il pugno potrebbe essere descritto adeguatamente, oltre che con la frequenza, anche se possibile con una valutazione dellintensit dei colpi autoinferti. I dati raccolti attraverso losservazione diretta dei comportamenti andranno riportati su grafici ad assi cartesiani, non tanto per imitare le scienze esatte, quanto per chiarezza e praticit di analisi dellandamento della situazione. Nella figura 1 riportato il grafico con i dati della linea di base e del successivo intervento su un comportamento aggressivo, espressi in frequenza totale sul giorno, e cio quante volte il soggetto aggrediva altre persone nellarco di tutta la giornata.

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45 40 35 Numero di atti aggressivi 30 25 20 15 10 5 0


2 3 6 7 8 10 13 14 15 16 28 29 30 31 3 4 5 6 7 10 11

Linea di base

Intervento

.................................................................................................

.................................................................................................

Maggio

Giugno

Fig. 1. Dati di frequenza di un comportamento aggressivo (linea di base e intervento).

Possono essere utilizzati anche tanti altri modi, secondo gli obiettivi specifici dellosservazione, come si vedr nel secondo capitolo, ma limportante la semplicit del sistema di osservazione, che dovrebbe essere orientato il pi possibile precocemente sugli obiettivi prioritari dellintervento. Se i comportamenti-problema sono molti e diversi, dobbiamo resistere alla tentazione di costruire un sistema di osservazione che cerchi di registrarli tutti, una scheda cio che preveda la possibilit di annotare, ad esempio, cinque diversi atti autolesionistici, tre diverse stereotipie, sei modi di aggressione verbale, altrettanti di aggressione fisica, il respirare affannosamente con crisi di iperventilazione, lurlare ed il rifiuto di eseguire le istruzioni. evidente che in una situazione reale, operativa, di una classe

o di un centro socio-educativo, questa osservazione non possibile ed il tentativo di compierla produrrebbe solo frustrazione e senso di inutilit delloperazione stessa dellosservare e raccogliere dati oggettivi. Proprio per questo, losservazione dovrebbe essere il pi possibile mirata, e basata su schede semplicissime, con al massimo tre o quattro comportamenti da osservare, senza sistemi elaborati di codificazione del comportamento (che poi si dimenticano). Nella maggior parte dei casi infatti sufficiente segnare delle semplici crocette in corrispondenza di una determinata categoria di comportamenti. In qualche situazione immediatamente chiaro quali sono i comportamenti-problema pi importanti da tenere sotto osservazione, in altre invece si dovr iniziare con unosservazione un po pi allargata, per restringerla poi in fase di analisi funzionale e successivo intervento. Per chi consapevole dellimportanza di impostare lintervento educativo almeno in parte secondo le regole del metodo scientifico, risulteranno essenziali questi dati oggettivi sui comportamenti. Comunque, limportanza di raccogliere dati quantitativi esatti risulta evidente anche per rendere possibile un confronto oggettivo sulla realt comportamentale del soggetto, e su come egli si esprime, magari in modo radicalmente diverso, in vari contesti, attivit educative e relazioni con persone diverse. Per evidenziare queste differenze, estremamente utili per comprendere le funzioni e il significato dei comportamenti-problema, una raccolta di dati semplici, come quella di figura 1, non assolutamente sufficiente, e si dovr ricorrere a sistemi, come quelli descritti nel secondo capitolo, che tengano presente sia lemissione del comportamento-problema sia il quando e il dove esso si manifestato. Sulla base di dati oggettivi e non di impressioni o convinzioni personali, magari pi o meno consciamente distorte, educatori diversi potranno anche valutare pi da vicino la reale presenza e gravit di un comportamento, e magari escluderlo dal piano di intervento. Una funzione fondamentale della linea di base inoltre quella di stabilire il riferimento di partenza, che servir da pietra di paragone per giudicare lefficacia o meno dellintervento. Se si osserva la figura 1, si nota come siano stati sufficienti 10 giorni di osservazione per stabilire una linea di base stabile e significativa. Si vede infatti che il numero di atti aggressivi si presentava con valori tra 9 e 20, in modo oscillante ma regolare, e perci era chiara la tendenza generale di quel comportamento, in assenza di interventi diversi dalla normale gestione allora in atto. Era lecito attendersi valori compresi nella fascia tra le linee orizzontali punteggiate.

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In molti casi non altrettanto semplice decidere quando si pu chiudere una linea di base, perch i dati sono troppo irregolari o perch si nota una chiara tendenza allaumento o alla diminuzione. In ogni caso, non ritengo importante continuare la linea di base pre-intervento oltre le 4 settimane, a meno che non si voglia esaminare il legame di alcuni comportamenti-problema con eventi ciclici pi distanti nel tempo (ad esempio, la sindrome premestruale). La semplice linea di base di figura 1 permette inoltre un immediato confronto con i dati raccolti durante lintervento. Come si vede infatti, ad un immediato e nettissimo peggioramento, seguita una veloce riduzione del comportamento-problema.

Lanalisi funzionale Come risulta evidente, raccogliere dati di linea di base su un comportamento-problema pu non dirci assolutamente nulla sul perch quel soggetto manifesti il comportamento o, in altri termini, quali funzioni svolga quel comportamento per il soggetto. Lanalisi funzionale, il momento valutativo successivo alla linea di base e necessariamente propedeutico alla definizione dellintervento, dovrebbe rispondere proprio a questi interrogativi fondamentali. Alla base di questo tipo di analisi vi una convinzione, banale se si vuole, ma non sempre riconosciuta come valida, e cio che quasi impossibile intervenire su un comportamento-problema con buone probabilit di successo e con profondo rispetto della persona se non si capito perch quella persona si comporta in quel modo. La ricerca delle cause dei comportamenti (di quelle antiche e sepolte chiss dove) era lobiettivo fondamentale (e forse lunica strategia di cambiamento tentata) degli approcci psicodinamici. Su un fronte opposto si trovavano gli approcci comportamentisti prima maniera, che non prendevano minimamente in considerazione le cause dei comportamentiproblema, preferendo gettarsi a capofitto sulle tecniche di intervento, con larghissimo uso di rinforzi e punizioni. E cos si assisteva da un lato ad un tipo di intervento psicologico che indagava sulle cause e cercava, cercava, spesso senza trovare nulla e senza mai fornire strumenti concreti di azione educativa attuale e dallaltro ad un intervento educativo standardizzato, forte delle sue tecniche, indubbiamente efficaci almeno apparentemente ma irrispettoso delle differenti motivazioni che rendevano ragione dei vari problemi comportamentali.

Per fortuna, la metodologia educativa dellanalisi del comportamento si orientata progressivamente sempre di pi alla ricerca del perch dei comportamenti-problema, avendo compreso che un reale successo del trattamento sarebbe stato molto pi probabile se si fosse scelto il tipo di intervento in funzione dei motivi che spingono il soggetto a comportarsi in modo problematico. In questo volume riportata, al capitolo quinto, una delle ricerche pi importanti che segnano questa svolta metodologica e teorica verso linterpretazione. In essa si verifica lipotesi che in molti casi i comportamentiproblema svolgano una funzione comunicativa per il soggetto. La persona con handicap se ne serve per comunicare qualcosa agli altri, per raggiungere degli obiettivi di controllo sul comportamento altrui e pi in generale sul suo ambiente di vita. Vedremo che non tutti i comportamenti-problema si possono interpretare attraverso questa dinamica, ma intanto si era aperta la strada al concetto che i comportamenti-problema fossero funzionali per il soggetto e che non sarebbe stato possibile eliminarli se non sostituendoli con altri dello stesso valore funzionale. Questa sostituzione non poteva avvenire solo con la repressione del comportamento-problema, si doveva intervenire in modo costruttivo, positivo, insegnando modi diversi e pi efficaci di esprimersi, comunicare e controllare cos il proprio ambiente di vita (Cipani, 1989). Lanalisi funzionale ricerca dunque delle ricorrenze, delle regolarit nelle interazioni soggetto altri significativi del suo ambiente (ma anche soggetto effetti sensoriali dei propri comportamenti-problema). Per quanto riguarda lo schema di base dellanalisi funzionale, la prima domanda che loperatore si pone la seguente: Quali effetti (o conseguenze, risultati, eventi, obiettivi) il soggetto raggiunge sistematicamente e con regolarit attraverso il suo comportamento-problema?. In modo molto schematico, sono state individuate tre categorie di effetti, o conseguenze dei comportamenti-problema, che corrispondono ad altrettante funzioni psicologiche. 1. Effetto arricchimento di stimoli sociali positivi: il soggetto viene rinforzato positivamente (attraverso il suo comportamento-problema) da altre persone che gli si avvicinano, gli parlano, lo toccano, lo bloccano fisicamente, lo consolano, magari lo rimproverano, ecc. Oppure altri soggetti o bambini ridono, lo imitano, urlano. In questi casi il soggetto pu imparare, con il passare del tempo, ad usare i suoi comportamenti-problema per ottenere rinforzi positivi dallambiente relazionale pi immediato.

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Pensiamo a quant difficile non rinforzare con il nostro contatto e attenzione i comportamenti autolesionistici gravi, anche se apparentemente ci sembra di non fare altro che rimproverare il soggetto o tenergli ferme le mani. Pi in generale, lipotesi funzionale del rinforzamento positivo sociale assume che leffetto gratificante consista nellacquisizione, da parte del soggetto, di un qualche grado di controllo, di determinazione su ci che accade nellambiente circostante, soprattutto a livello di relazioni interpersonali. Questa ipotesi del controllo ci porta a discutere una seconda possibile funzione del comportamento-problema. 2. Effetto allontanamento di situazioni avversive: il soggetto viene rinforzato negativamente, attraverso il suo comportamento-problema, in quanto una situazione per lui spiacevole viene a cessare o si riduce. Il comportamento-problema esercita questa funzione quando il soggetto lo usa, pi o meno consapevolmente, per ridurre un vissuto di disagio o di fastidio. Il soggetto pu vivere ansia, paura, noia, frustrazione, fatica, senso di incapacit e stati negativi simili: emettendo il comportamento-problema tali vissuti si riducono o spariscono del tutto, perch chi esercita una pressione sul soggetto cambia orientamento e riduce il suo flusso di stimolazioni che producevano il disagio del soggetto. Si pensi al comportamento autolesionistico che il soggetto emette quando linsegnante gli chiede di impegnarsi a fondo in faticosi esercizi di motricit e che sparisce quando invece queste richieste si ridimensionano o cessano del tutto. In questa funzione, che si potrebbe considerare di difesa, si possono trovare moltissimi comportamenti-problema; anche forme massicce di stereotipie in qualche caso possono servire per costruire una barriera filtro a flussi eccessivi di stimolazioni esterne. Dal punto di vista delloperatore che osserva le interazioni del soggetto per cogliere delle regolarit funzionali, questa seconda funzione di pi difficile comprensione, dal momento che pu non risultare evidente il rapporto tra richieste rivolte al soggetto comportamento-problema cessazione/riduzione delle richieste. In alcuni casi, ad esempio nei soggetti autistici, vi pu essere un vissuto di emozioni negative in situazioni apparentemente tranquille e di conseguenza solo approfondite osservazioni, prolungate nel tempo, possono scoprire queste idiosincrasie molto personali. Per questo fondamentale coinvolgere nelle osservazioni funzionali il pi possibile di persone, ed in primo luogo i familiari, che in genere hanno gi definito la mappa delle cose che creano disagio al loro figlio.

In queste due funzioni del comportamento-problema leffetto prodotto esterno, qualcosa che avviene nellambiente sociale ed interpersonale: ad esempio qualcuno che si avvicina al soggetto, che gli parla o che lo lascia libero di andarsene dove vuole invece di costringerlo a dipingere. Nella terza funzione leffetto invece interno, nel senso che il soggetto che con il proprio corpo si produce la conseguenza rinforzante. 3. Effetto stimolazione sensoriale: il soggetto emette dei comportamenti che automaticamente gli producono sensazioni, presumibilmente piacevoli, di tipo cinestesico (dondolarsi, girare su se stesso), tattile (strofinare le mani su mobili lisci, rotolare tra le dita palline di carta, ecc.), olfattivo (annusare giornali o le mani), uditivo (giocare con la carta, sentire lo scricchiolio della plastica) e gustativo (leccare oggetti). In questo caso i comportamenti rinforzati positivamente possono essere veramente diversissimi tra di loro: dalla masturbazione compulsiva allautolesionismo ripetitivo del battere ritmicamente la fronte sul pavimento. Questa ipotesi funzionale afferma sostanzialmente che al soggetto non interessa nulla dellambiente sociale attorno a lui, e di cosa gli viene detto o fatto dopo il comportamento-problema, dal momento che leffetto parte integrante del comportamento stesso. Che ladulto sia presente o assente non fa differenza alcuna, oppure che abbia un dato atteggiamento o un altro. Ci che pu invece fare una notevole differenza il livello di stimoli e di attivazione sensoriale che il soggetto riceve prima di iniziare questi comportamenti-problema con funzione autostimolatoria. stato dimostrato che se il soggetto si trova in una situazione di inattivit, senza coinvolgimento diretto, con basse frequenze di input sensoriali, aumenta di molto la possibilit che emetta comportamenti-problema autostimolatori, i quali in questo caso avrebbero una funzione omeostatica, e cio di autoregolazione del flusso di stimoli in entrata nel Sistema Nervoso Centrale. Se si assume questa funzione autoregolatoria in positivo (portare pi stimoli) se ne pu ipotizzare anche una difensiva, in negativo, dove il comportamento-problema serva a ridurre un flusso troppo forte di input. Si pensi al caso di soggetti autistici inseriti in gruppi numerosi di persone turbolente, che urlano e parlano ad alta voce, con musica di sottofondo, in cui vi sono alcuni operatori particolarmente estroversi e dove si svolgono attivit di falegnameria. Nelle osservazioni funzionali si dovrebbe propendere per questa terza ipotesi se i comportamenti-problema non sembrano in alcun modo legati

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a particolari situazioni, a persone o episodi di scambi interpersonali, ma tutto lascia anzi pensare che la presenza di altre persone, almeno dal punto di vista delle conseguenze sul comportamento, sia del tutto ininfluente. Loperatore pu verificare le sue ipotesi funzionali in diversi modi: in genere lipotesi sulla funzione che svolge un certo comportamento per un dato soggetto nasce dalla conoscenza che gi si possiede, o si pu raccogliere da altre fonti, sul soggetto e sulle sue abitudini. Si possono allora formulare ipotesi sul suo diverso utilizzo del comportamento-problema. Questa ipotesi iniziale si dovr verificare con una serie ripetuta di osservazioni del soggetto mentre emette il comportamento-problema. Queste osservazioni, come gi si ricordava, dovrebbero confermare o meno lipotesi di partenza attraverso la documentazione di regolarit di interazione tra i tre elementi base della situazione: gli eventi antecedenti al comportamento-problema (il contesto di partenza: ad esempio, scarsa stimolazione, richieste di attivit che provocano paura, oppure frustrazione di un desiderio, ecc.), il comportamento-problema e gli eventi conseguenti (ci che accade dopo: ad esempio, tutti accorrono per trattenere e bloccare il soggetto, loperatore smette di proporgli attivit didattiche, egli riesce finalmente a uscire in giardino, ecc.). Se queste osservazioni ripetute nel tempo riescono ad evidenziare un qualche tipo di regolarit, di schema tipico di interazione, ci si potr avvicinare alla comprensione delle cause di quel comportamento. Nella realt psicologica e relazionale delle persone con ritardo mentale grave o autismo, le cose per non sono mai cos semplici, e pu sembrare, in qualche caso, che non vi sia nessuna regolarit significativa. Sembra infatti che il soggetto usi quel comportamento per i pi svariati motivi: qualche volta per avvicinare ladulto, altre volte per allontanarlo, altre ancora per autostimolarsi. In questo caso si pu ricorrere al metodo dellosservazione del soggetto in situazioni analoghe appositamente costruite. Si cerca di mettere il soggetto per alcune volte in una situazione che si ha modo di ritenere collegata al suo comportamento-problema: ad esempio si pu frustrare con delle proibizioni la sua tendenza a prendere vari oggetti, e si osserva se durante queste provocazioni appare con regolarit significativa il suo comportamento-problema. In questo caso si possono forzare un po le situazioni per raccogliere pi in fretta dati osservativi che altrimenti potrebbe essere pi difficile ottenere in tempi contenuti. Alcuni ricercatori hanno sperimentato queste analisi sul comportamento autolesionistico di alcuni soggetti, producendo variazioni nella

frequenza di emissione del comportamento-problema e ottenendo cos dati interpretativi di indubbia utilit (Iwata, Dorsey, Slifer, Bauman e Richman, 1982). In questa ricerca, dopo che i comportamenti autolesionistici del soggetto erano stati osservati in condizione di linea di base, egli veniva inserito in quattro diverse situazioni per verificare se la frequenza del comportamento-problema variava concorrentemente. Le quattro situazioni erano costruite sulla base delle ipotesi funzionali prima discusse. Nella prima, definita sociale, ad ogni comportamento autolesionistico veniva fatta seguire una conseguenza interpersonale probabilmente gratificante: leducatore si avvicinava, gli parlava, gli teneva le mani, cercava di tranquillizzarlo e di rilassarlo. Nella seconda situazione (richieste) gli autori volevano verificare lipotesi del rinforzamento negativo: al soggetto venivano rivolte richieste pressanti di svolgere vari compiti di apprendimento, abbastanza difficili rispetto al suo livello di competenza; non appena egli emetteva un comportamento autolesionistico queste richieste venivano interrotte e il soggetto veniva lasciato libero. Una terza situazione (da solo), prevedeva di lasciare il soggetto da solo in una stanza spoglia, senza attrezzatura e possibilit di impegnarsi in qualcosa di costruttivo; la quarta situazione (gioco), si svolgeva in una stanza piena di materiali colorati e di stimoli, con un educatore che guidava il soggetto in unattivit rinforzante, gratificandolo socialmente molto spesso, per ogni cosa positiva che lui faceva, ignorando allo stesso tempo il comportamento autolesionistico. Nella pagina a fronte vengono riportati i dati pi significativi. Come si pu notare, il soggetto 4 ha mostrato in linea di base una media di 36,1 comportamenti autolesionistici, valore che aumenta di molto (84,3) nella situazione di deprivazione, mentre diminuisce regolarmente nelle altre tre situazioni, dove c un coinvolgimento delladulto. Questo starebbe a indicare un utilizzo autostimolatorio del comportamento-problema. Il soggetto 5 invece mostra delle reazioni molto diverse. Nella situazione di rinforzo sociale sul comportamento-problema, questo si raddoppia, mentre si riduce quando il soggetto lasciato da solo o molto coinvolto nelle attivit. Questi dati farebbero propendere per un utilizzo funzionale interpersonale del comportamento autolesionistico, di tipo rinforzo positivo. Lipotesi del rinforzamento negativo sembra invece dimostrata nel soggetto 3. Come risulta evidente dai dati, quando il soggetto si trovava nella situazione in cui il comportamento-problema gli consentiva di sfuggire alle richieste, la frequenza di questo si triplicava.

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Sociale

Da solo 84,3

Richieste

Gioco

Sociale

Da solo

Richieste 17

Gioco

+
Comportamenti autolesionistici

+
Comportamenti autolesionistici

X
36,1
23,3 22,5

X
5,6
0,4

17,2

Soggetto 4

1 0

Soggetto 3
Sociale 36,7 Da solo Richieste Gioco

+
Questi dati dimostrano da un lato lutilit di condurre osservazioni analoghe per confermare o meno ipotesi funzionali ma dallaltro ci indicano come vi sia molta variabilit nelle funzioni che sottostanno ad uno stesso comportamento-problema, in questo caso lautolesionismo. Dati molto simili sono stati riportati da una ricerca che ha osservato in senso funzionale i comportamenti autolesionistici e le stereotipie di moltissimi soggetti con ritardo mentale grave, cercando di classificarle nelle tre ipotesi prima considerate (Hill e Bruininks, 1984). Come si pu facilmente notare nella tabella alla pagina a fronte le percentuali di casi che usano lautolesionismo nelle tre diverse funzioni si equivalgono, mentre nel caso delle stereotipie ben pochi soggetti le usano, come era prevedibile, per attirare lattenzione delladulto o per respingere compiti sgradevoli, mentre per il 92% dei soggetti sono chiaramente autostimolatorie.
Comportamenti autolesionistici

X
16,7
7

18,5

4,5

Soggetto 5

Lintervento educativo sui comportamenti problema Valore funzionale di autolesionismo e stereotipie (in percentuale di soggetti)

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Rinforzo positivo Autolesionismo Stereotipie 30% 3%

Rinforzo negativo Autostimolazione 38% 4% 32% 92%


(da Hill e Bruininks, 1984)

comportamento problema

= obiettivo di riduzione

Situazione

sostituzione comportamento positivo adeguato = obiettivo di incremento

Lanalisi funzionale dovrebbe dunque fornirci indicazioni sulle dinamiche che attualmente mantengono attivo quel determinato comportamentoproblema e precisamente: 1. Che funzione svolge? (Comunicativa verso altre persone oppure autostimolatoria?) 2. In quali occasioni pi frequente? 3. Quali comportamenti alternativi positivi potrebbero essere usati dal soggetto per svolgere le stesse funzioni? Questo ultimo interrogativo ci porta direttamente ad introdurre la fase della definizione degli obiettivi dellintervento educativo.

La definizione degli obiettivi Viene abbastanza spontaneo pensare agli obiettivi di un intervento educativo su gravi problemi di comportamento come ad obiettivi negativi e cio di riduzione o eliminazione della presenza del comportamentoproblema. Si parla allora di portare la frequenza, intensit o durata di un certo comportamento a livelli pi contenuti, considerati accettabili. In unottica psicopedagogica moderna questo non assolutamente sufficiente. Accanto agli obiettivi negativi dobbiamo definire anche obiettivi positivi, e cio lo sviluppo e luso da parte del soggetto di comportamenti e strategie corrette, accettabili, che sostituiscano i comportamenti-problema e consentano al soggetto di esprimersi e di agire ad un pi alto livello di adattamento e competenza. Schematicamente, rispetto a una tipica situazione, noi dovremmo definire due ordini di obiettivi: comportamenti da ridurre e comportamenti da incrementare, favorendo cos labbandono del comportamento-problema che il soggetto dovrebbe sostituire con unalternativa ugualmente funzionale ed accettabile.

La logica dellintervento sar allora quella della sostituzione di un comportamento-problema con uno accettabile e non soltanto la riduzione del comportamento negativo. I primi interventi comportamentisti si preoccupavano soltanto di ridurre i comportamenti-problema e non avevano per nulla presente lidea guida della funzionalit dei comportamenti-problema. Ora si compreso invece che essi servono al soggetto, e di conseguenza non sar affatto semplice eliminarli senza qualcosa in cambio che sia altrettanto valido dal suo punto di vista. Ne risulta allora una ricerca di obiettivi che si fa molto pi difficile sul versante positivo; infatti se facile definire un obiettivo di riduzione di un comportamento negativo, arduo pensare a quali potrebbero essere dei comportamenti adeguati, socialmente accettabili e concretamente alla portata delle difficolt cognitive e interpersonali del soggetto, che potrebbero essergli insegnati e che lui potrebbe usare al posto del comportamento-problema. per indispensabile muoversi con la massima chiarezza verso lo sviluppo di comportamenti positivi, sulla base della comprensione fornitaci dallanalisi funzionale, altrimenti imposteremo il nostro intervento solo in risposta ai comportamenti negativi dellaltro, e non potr essere un intervento proattivo, in cui si cerca di fornire attivamente comportamenti adeguati al soggetto. Teniamo presente inoltre che un intervento soltanto reattivo al comportamento-problema lascia liniziativa in mano al soggetto, con loperatore che gioca in difesa, continuamente spiazzato dalle mosse del soggetto, e che rincorre questultimo con risposte sempre pi punitive. In concreto, in un caso esemplificativo, la definizione degli obiettivi dovrebbe prendere la forma che segue: situazione: momenti in cui il soggetto vuole prendere e usare un oggetto/ gioco che stanno usando altri.

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obiettivo di riduzione: ridurre la frequenza dei comportamenti aggressivi (strappare di mano loggetto, spingere con le spalle laltra persona e gridare); ridurre la frequenza del comportamento autolesionistico che talvolta consegue alla resistenza dellaltro: pugni contro il torace. obiettivo di incremento: sviluppare un comportamento di richiesta delloggetto che laltro sta usando, articolato in questa sequenza: avvicinarsi allaltro - fermarsi - indicare loggetto con la mano e poi indicare se stesso (il soggetto privo del linguaggio verbale). Ottenuto loggetto toccare laltro gentilmente sulla spalla per ringraziarlo. Come si pu osservare, lintervento educativo mira a far raggiungere due obiettivi diversi ma complementari: da un lato la riduzione del comportamento-problema e dallaltro la sua sostituzione con una strategia comportamentale che, rispetto alla situazione e agli obiettivi del soggetto, accettabile e corretta, incompatibile dal punto di vista fisico (non possibile strappare di mano un oggetto e insieme indicarlo) ma anche analoga funzionalmente (lindicare gentilmente porta ad ottenere loggetto, proprio come prima lo si otteneva strappandolo e gridando, anche per il fatto che le resistenze erano timide e poco efficaci, visto che venivano punite con crisi di autolesionismo). Se si riesce a comprendere il pi possibile a fondo la dinamica delle funzioni dei comportamenti-problema, si riusciranno a definire obiettivi positivi per un intervento di sostituzione, che potr essere dunque, come vedremo, positivo e gratificante e non repressivo e punitivo.

quelle punitive (Foxx, 1986). Questa gerarchia diventata parte integrante del modello del trattamento meno restrittivo, il quale impone (negli USA anche attraverso la legge 99-457 del 1986) che leducatore usi dapprima le tecniche positive e proceda nella gerarchia verso quelle pi restrittive e punitive solo se i dati che raccoglie nellapplicazione delle procedure positive dimostrano inequivocabilmente la loro inefficacia. In questa valutazione egli dovr essere affiancato dai colleghi e dai familiari del soggetto. Questi vincoli forzano gli educatori a rivolgersi a fondo dapprima ad una programmazione positiva, a cui si potranno aggiungere tecniche negative solo se la situazione realmente lo richiede. Nello schema qui sotto si riportata, in forma abbreviata e semplificata, la sequenza principale delle tecniche comportamentali, organizzata secondo il modello del trattamento meno restrittivo. Cerchiamo di esemplificarla attraverso la sua applicazione nellintervento effettuato sul soggetGerarchia delle tecniche educative secondo il modello del trattamento meno restrittivo Livello 1: tecniche positive Rinforzamento positivo differenziale di comportamenti fisicamente incompatibili e funzionalmente analoghi Livello 2: tecniche positive + frustrazione
Usate contemporaneamente

Le tecniche di intervento secondo il modello del trattamento meno restrittivo A questo punto si sono gi delineate le coordinate generali del nostro intervento educativo, ma abbiamo bisogno di definire le tecniche specifiche da utilizzare per raggiungere gli obiettivi prima citati. Nella letteratura scientifica comportamentale sono state descritte e sperimentate moltissime tecniche educative, alcune gradevoli e positive, altre meno ed altre decisamente spiacevoli e punitive. Proprio per questo e per difendere il soggetto da interventi punitivi non giustificati stata definita una gerarchia di tecniche di intervento che parte dalle procedure positive per arrivare a

Rinforzamento positivo differenziale di comportamenti fisicamente incompatibili e funzionalmente analoghi Estinzione del comportamento-problema Rinforzamento positivo differenziale di comportamenti fisicamente incompatibili e funzionalmente analoghi Estinzione del comportamento-problema Punizione del comportamento-problema (tecniche di time-out, ipercorrezione e blocco fisico)

Livello 3: tecniche positive + frustrazione + punizione


Usate contemporaneamente

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to autolesionistico ed aggressivo di cui si sono riportati precedentemente alcuni degli obiettivi. Livello 1: tecniche positive A questo primo livello di intervento loperatore si rivolge esclusivamente allo sviluppo di abilit e comportamenti incompatibili e funzionalmente analoghi a quello problematico. Queste alternative comportamentali, siano esse forme di comunicazione o attivit esploratorie e di gioco, possono essere gi presenti nellattuale repertorio comportamentale del soggetto, anche se molto probabilmente egli le usa molto di rado. In questo caso lintervento di sviluppo tender ad incrementarne la frequenza duso principalmente attraverso il rinforzamento positivo di ogni emissione di comportamento corretto. Nel caso invece in cui questi comportamenti non siano presenti, loperatore dovr utilizzare anche una tecnica di aiuto diretto (prompting) per insegnare ex novo labilit richiesta. Nel nostro esempio, loperatore sceglier un certo numero di occasioni reali, durante la giornata, in cui egli sa che il comportamento-problema molto probabile; se queste occasioni sono naturalmente troppo rare, in alcuni casi utile crearne di nuove, anche se con cautela e gradualit. Loperatore si trova dunque con il soggetto nella situazione in cui questultimo vuole prendere e usare loggetto che un altro sta usando. Il soggetto vede laltra persona che ha in mano la cosa desiderata e le si avvicina velocemente. A questo punto loperatore sfrutta loccasione per insegnargli il comportamento alternativo: si affianca al soggetto e gli dice: Vuoi la radio che sta ascoltando Mario... andiamo da Mario..., accompagnandolo da vicino. Arrivati quasi a contatto con laltra persona, loperatore dice al soggetto: Fermo... chiedi a Mario la radio, eventualmente guidando fisicamente i movimenti del soggetto. Questa guida diretta deve essere esercitata in modo preciso, fermo e convinto, in modo che possa vincere eventuali (e probabili) resistenze del soggetto e un possibile avvio dei comportamenti problema. Inizialmente il soggetto quasi forzato nellemissione della risposta corretta dalluso massiccio del prompting fisico, ma progressivamente questi aiuti tenderanno a ridursi. Non appena il soggetto ha terminato lazione del chiedere la radio (indicarla e poi indicare se stesso), Mario gli consegna la radio, lo loda calorosamente (rinforzatori naturali). Loperatore lo rinforza ulteriormente, in modo descrittivo, dicendogli Bravo..., gli hai chiesto bene la radio, hai

toccato la radio e poi te stesso. Cos Mario capisce cosa vuoi e ti d subito la radio.... Eventualmente fosse necessario, loperatore rinforza ulteriormente il soggetto con qualche altro stimolo molto forte. A questo punto viene suggerito laltro comportamento positivo, e cio il ringraziare Mario per la sua gentilezza, nel nostro caso con una carezza sulla spalla. Anche qui la stessa procedura: guida fisica (se necessaria) e successivo rinforzo, sia da parte di Mario che delloperatore. Questa dinamica congiunta di prompting-rinforzo positivo viene applicata sistematicamente e pazientemente in tutte le occasioni in cui appropriata ed eventualmente anche in altre create appositamente. Dobbiamo tener conto che in alcuni casi dovremo fornire al soggetto numerose prove di insegnamento durante la giornata, perch non pensabile che una persona con ritardo mentale grave o autismo consolidi una strategia positiva di comportamento dopo poche lezioni e che questo nuovo modo di comportarsi sia diventato talmente forte da sostituire stabilmente quello problematico. Nel nostro caso, nonostante la stretta sorveglianza delloperatore, qualche volta il soggetto strappa ancora di mano le cose agli altri. Loperatore allora insiste nel mantenere e ampliare lintervento, in termini di sempre nuove occasioni di insegnamento, per ridurre la frequenza residua del comportamento problema. Contemporaneamente, egli dovr dosare anche la quantit di guida e di aiuto che fornisce al soggetto per portarlo ad emettere autonomamente il comportamento positivo. Come si pu notare, in questo primo livello di intervento, loperatore rinforza in modo particolarmente forte (rinforzo differenziale) una serie di comportamenti comunicativi accettabili, che sono fisicamente incompatibili con quello problematico (il soggetto non si pu fermare vicino alle altre persone e indicare loggetto desiderato e nel frattempo aggredire strappandolo loro di mano) ma funzionalmente analoghi (anche il comportamento corretto di richiesta ottiene loggetto desiderato). Sono evidenti i vantaggi di questo primo livello di intervento: una programmazione rivolta al positivo, in senso costruttivo e un atteggiamento relazionale volto allaiuto e al sostegno della parte buona del soggetto. Ma purtroppo le cose non sono cos semplici: spesso infatti accade che durante questo tipo di intervento si riduce abbastanza la frequenza dei comportamenti-problema e parallelamente il soggetto impara ad usare le alternative comportamentali che gli stiamo insegnando, ma questi progressi sono molto fragili e incompleti. Ci significa che la probabilit di riemettere il

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comportamento-problema ancora molto alta e che di fatto si manifestano ancora vari episodi negativi. Se dopo un periodo sufficientemente lungo di intervento a livello 1, permangono ancora dei comportamenti-problema, loperatore dovr pensare ad utilizzare le tecniche del livello 2. La durata massima dellintervento solo al livello 1 da valutare caso per caso: un giudizio particolarmente difficile ed affrettarsi al livello 2 o attardarsi pi del necessario al livello 1 sono entrambi errori in cui facile cadere. In ogni caso non si dovrebbe avere fretta di giudicare inefficaci gli interventi del livello 1 solo perch non eliminano completamente il comportamento problema: pu darsi che questo avvenga soltanto prolungando con costanza lintervento. Dobbiamo anche prevedere che in alcuni casi la situazione sia tale per cui dovremo accontentarci di progressi limitati, che non aumenteremmo neanche potenziando al massimo lintervento. Dobbiamo anche chiederci, prima di dare la colpa al soggetto della necessit di passare al livello 2 di intervento, se da parte nostra abbiamo portato avanti esattamente le varie metodologie educative. Anche se si tratta di tecniche concettualmente semplici, questa semplicit talvolta solo apparente e perci pu ingannare; in ogni caso necessaria una adeguata formazione e una continua revisione e supervisione degli interventi. Livello 2: tecniche positive + frustrazione In questa modalit di intervento loperatore aggiunge a quelle precedenti, che ovviamente non devono venire interrotte, la procedura detta di estinzione del comportamento-problema, che psicologicamente si pu considerare una frustrazione del comportamento stesso. In termini operativi, si deve fare in modo che il comportamentoproblema non riesca pi a produrre le conseguenze rinforzanti che normalmente lo motivavano e lo mantenevano attivo. Lanalisi funzionale ci dovrebbe aver dato tutte le informazioni necessarie su queste dinamiche di rinforzamento e cos dovremmo esser in grado di applicare correttamente la tecnica di estinzione. Nel caso illustrato nellesempio, il comportamento di strappare le cose di mano era seguito, per gran parte delle volte, da un rinforzo positivo (lottenere le cose richieste, e forse un senso di potere sulle altre persone); anche il comportamento autolesionistico che avveniva quando laltra persona non cedeva immediatamente portava ad effetti positivi molto simili, il soggetto infatti riusciva a forzare laltro. Fare estinzione in questo caso significa non cedere allaggressione del soggetto,

per quelle volte che ancora si manifesta, e non dargli loggetto desiderato. Nella situazione di intervento questo pi facile rispetto che in linea di base, perch laltro preparato a resistere e perch pu contare sullaiuto delloperatore, che divide laggressore e la vittima, allontanando in modo naturale il soggetto che non raggiunge il suo obiettivo. A questo punto la frustrazione pu essere tale da indurlo ad usare laltro comportamentoproblema, e cio lautolesionismo. Anche qui viene applicata la tecnica di estinzione: il soggetto si picchia e nessuno cede, loggetto rimane dunque allaltra persona. Se la gravit del comportamento lo consente, nessuno interviene per bloccarlo, n cerca di avvicinarsi e di convincerlo a smettere. Gli operatori continuano le loro attivit come se non stesse accadendo nulla: in questo modo lestinzione dovrebbe segnalare con chiarezza al soggetto che il suo comportamento autolesionistico non funziona pi come strumento di controllo dellambiente. Se lemissione del comportamento autolesionistico pericolosa, loperatore interviene bloccandola o rallentandola, ma in modo distaccato, neutrale, quasi senza attribuirvi particolare importanza: lo scopo del suo intervento solo quello di proteggere lincolumit del soggetto. Anche nei casi pi gravi, comunque, dovrebbe essere consentito al soggetto di emettere almeno delle forme ridotte di comportamento-problema, perch possa fare direttamente lesperienza della sua inutilit: non consigliabile prevenire del tutto il comportamento, perch in questo modo il soggetto pu conservare lidea che esso sia sempre efficace. La procedura di estinzione pu essere relativamente semplice per quei comportamenti che portano a rinforzi sociali, ma complessa e spesso impossibile nel caso dei comportamenti-problema rinforzati dai loro effetti sensoriali. Su questo tema nel secondo capitolo verranno illustrate le procedure di estinzione sensoriale, studiate da Arnold Rincover per lintervento sulle stereotipie e sui comportamenti autolesionistici su base autostimolatoria (Rincover, 1978). Loperatore dovr inoltre essere attento a possibili effetti collaterali dellestinzione: un atteggiamento frustrante pu diventare, anche inavvertitamente, punitivo e produrre rifiuto della situazione di apprendimento o altri comportamenti aggressivi. Per contrastare questi effetti negativi loperatore ha a disposizione le procedure del livello 1, che dovrebbero convincere il soggetto che non sta perdendo lunico suo modo di esprimersi e di controllare le relazioni, ma che lo si sta aiutando a sostituirlo con altri modi, che sono attualmente gli unici efficaci.

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Con il livello 2 loperatore ha posto in essere le principali motivazioni al cambiamento: la gratificazione del comportamento positivo alternativo e la frustrazione di quello problematico. Accade abbastanza spesso per che ancora permangano degli episodi di comportamento-problema e che la loro gravit sia tale da portare il gruppo di operatori e familiari alla decisione di introdurre anche le tecniche punitive del livello 3. Livello 3: tecniche positive + frustrazione + punizione La decisione di usare tecniche punitive non va presa in modo affrettato: forse la costanza e la tenacia sul livello 2 di intervento possono essere sufficienti. In altri casi per, questa decisione giustificata dalla gravit dei comportamenti e dai danni e ostacoli che ancora essi creano al soggetto. A questo punto, su questa decisione si misura la compattezza e la profondit degli accordi presi inizialmente dal gruppo degli educatori/ familiari nel momento della decisione di problematicit. Se quei comportamenti-problema erano stati giudicati veramente negativi per il soggetto, a questo punto, anche se a malincuore, ci dovremo rassegnare alluso di tecniche punitive. Dal momento che esse sono molto impegnative e costose dal punto di vista psicologico di chi le attua, risulta evidente limportanza del sostegno e dellaccordo degli altri educatori/familiari sul programma. Il primo tipo di intervento punitivo definito time-out e consiste nellinterrompere per pochi minuti immediatamente dopo il comportamento-problema una qualche situazione gratificante che il soggetto sta vivendo. Nel caso del nostro esempio, loperatore, come ulteriore conseguenza dopo laggressione o lautolesionismo, pu allontanare il soggetto dalle attivit dellaula per alcuni minuti motivandogli questo intervento con una frase tipo: Non prendergli la radio! Adesso vai fuori!. Questo allontanamento dovrebbe essere vissuto dal soggetto come una punizione, e cio come un evento avversivo, che dovrebbe in futuro dissuaderlo dallemettere il comportamento-problema. Questo pu accadere se di nuovo il rimanere nelle attivit vissuto come gratificante, cosa che dipender dal grado di rinforzamento che il soggetto sperimenta. Durante il periodo di time-out loperatore dovrebbe controllare il soggetto nel modo descritto precedentemente per lestinzione. Unaltra tecnica punitiva va sotto il nome di ipercorrezione, in cui loperatore costringe il soggetto a compiere una serie di azioni per lui

fastidiose, come immediata conseguenza del suo comportamento-problema. Questo intervento richiede un contatto attivo da parte delleducatore, che in qualche caso dovr forzare il soggetto; anche in questa tecnica importante fornire al soggetto una spiegazione di cosa non deve fare e del perch deve subire la conseguenza negativa. Nel nostro caso, loperatore potrebbe costringere il soggetto a dare allaltro oggetti di sua propriet oppure a mettergli in ordine il tavolo: si tratta di una correzione in eccesso, nel senso che egli viene costretto a riparare lo scompiglio prodotto molto pi del necessario. In alcuni casi questa tecnica ha degli interessanti agganci con le caratteristiche negative intrinseche al comportamento-problema: se il soggetto raccoglie cartacce da terra e le ingoia, unipercorrezione sensata sar quella di fargli pulire bene il luogo e lavarsi bene, a lungo, la bocca e le mani. In questo caso c un rapporto diretto tra comportamento negativo, i danni che questo provoca al soggetto e riparazione fastidiosa, che dovrebbe avere valore punitivo ed inibitorio. In molti altri casi per questo rapporto non possibile e si dovr ricorrere alla terza tecnica punitiva: il blocco fisico. Nel blocco fisico loperatore, immediatamente dopo lemissione del comportamento-problema, immobilizza il soggetto per alcuni minuti (anche con laiuto di altri colleghi se necessario), facendolo sedere su una poltrona o sdraiare su un materassino. Questo periodo di blocco dovrebbe durare fino a quando il soggetto, passato il primo momento di ribellione, si rilassa ed accetta il blocco. Attenzione per ai possibili effetti rinforzanti del blocco fisico; alcuni soggetti trovano gratificante essere bloccati e costretti, anche se loperatore lo fa in modo assolutamente neutrale, senza dir nulla oltre la spiegazione del perch il soggetto stato bloccato. In questi casi il blocco fisico andr sostituito con un time-out o ipercorrezione. Nella letteratura scientifica comportamentale sono frequentemente riportate sperimentazioni di varie altre tecniche punitive (si veda anche il capitolo 7), ma questi brevi cenni sono sufficienti come introduzione ai capitoli successivi. Il lettore che volesse approfondire le tecniche educative comportamentali per il ritardo mentale grave e lautismo trover esaurienti spiegazioni nel testo fondamentale di Foxx (1986) ed in quelli di Schopler et al. (1991) e di Lovaas (1991). Come si pu immaginare, luso delle tecniche del 3 livello non affatto semplice, dal momento che deve integrare la parte positiva dellintervento (laiuto e la gratificazione) con la parte negativa (la punizione che a volte pu essere anche molto impegnativa). Alloperatore dunque

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richiesto di avere idee chiare e un programma forte, frutto dellaccordo continuamente rinnovato con i colleghi e i familiari del soggetto. importante anche che egli sia flessibile al punto da alternare interventi positivi e negativi nellarco di pochi minuti, senza prendersela personalmente per i comportamenti-problema del soggetto e portargli rancore per le sue disubbidienze. Ovviamente, la punizione non una vendetta, ma un doloroso intervento educativo, ed sempre difficile punire una persona con cui abbiamo stabilito una relazione profonda. Pu essere pi facile cedere ai suoi comportamenti-problema e lasciare che si mantengano nel tempo; in questo modo per si dannegger ancora di pi lo sviluppo futuro del soggetto e ci si render colpevoli di una omissione e trascuratezza ben pi grave. Nei confronti della punizione dovremmo avere un atteggiamento chiaro: cerchiamo di evitarla il pi possibile con gli interventi dei primi due livelli, ma se necessaria accettiamola e cerchiamo di utilizzarla in modo risolutivo. Teniamo comunque ben presente che le tecniche punitive saranno sempre utilizzate su una base ben stabilizzata di rinforzamento positivo differenziale dei comportamenti alternativi.

Conclusioni Lintervento educativo nel ritardo mentale e nellautismo, rivolto al trattamento dei comportamenti-problema, ha prodotto notevoli cambiamenti nelle classiche procedure comportamentali che tanto fecero discutere in ambito psicopedagogico. Le novit pi importanti sono individuabili a tre livelli: nella ricerca delle cause del comportamento-problema, nella definizione di tecniche non punitive di intervento e nel sempre maggior coinvolgimento dei familiari nel trattamento. Per quanto riguarda laffinamento dellinteresse diagnostico, il ruolo pi importante senzaltro giocato dallanalisi funzionale e dal fatto di riconoscere un valore comunicativo a molti comportamenti-problema. La ricerca attuale suggerisce alloperatore di evolvere i suoi sistemi di osservazione, proprio per comprendere i nessi tra comportamento-problema e obiettivi che il soggetto si pone. Uno studio particolarmente importante in questo ambito quello riportato nel secondo capitolo. La metodologia di intervento ha poi messo in luce limportanza di definire il piano di trattamento sulla base dei risultati diagnostici dellanalisi funzionale, in modo da individualizzarlo correttamente. I capitoli 3, 4, 5 e 8 sono

altrettante ricerche rivolte proprio a questo momento critico dellintervento: il quinto capitolo, in particolare, il celebre studio di Carr e Durand, che afferm definitivamente limportanza della comprensione individuale delle cause, individuate come intenti comunicativi. Questa ricerca importante anche perch dimostra lefficacia di un intervento educativo rivolto allo sviluppo di competenze adattive, il cosiddetto training di comunicazione funzionale, in cui vengono insegnati al soggetto comportamenti comunicativi che sono in grado di sostituirsi ai comportamenti-problema, dal momento che servono alla stessa funzione di esprimere bisogni o desideri. Lattenzione alla ricerca di tecniche non punitive di intervento diventata via via pi forte, non solo per merito della riflessione psicopedagogica, ma anche per la spinta critica esercitata dalle associazioni dei familiari e delle persone stesse con handicap, che vigilano contro un facile abuso delle tecniche punitive (Guess et al., 1987). Nel nostro Paese la situazione non cos dialettica, nel senso che non esiste una linea diffusa di intervento particolarmente rigorosa e chiara nei confronti del ritardo mentale grave o dellautismo. Le associazioni dei familiari spesso devono fare pressione perch si faccia un qualche tipo di intervento, dal momento che anche gravi comportamenti-problema, come lautolesionismo, non sono oggetto di interventi specifici, e questo per la scarsit di conoscenze tecniche degli operatori italiani. Nei capitoli 6, 7 e 9 si portano a conoscenza dei lettori esperienze importanti riguardo alle tecniche di intervento non avversive, confrontate con alcune procedure punitive. Da leggere con attenzione anche il capitolo 10, in cui Richard Foxx discute vari problemi clinici, etici e organizzativi legati al successo e al fallimento dei programmi comportamentali di intervento. La terza grande evoluzione dellintervento educativo comportamentale, che si fa sempre pi attuale, riguarda il coinvolgimento della famiglia nel trattamento. In realt, la formazione dei genitori sulle tecniche di modificazione del comportamento una prassi tradizionale nellapproccio psicopedagogico comportamentale, ma in questi ultimi anni si assistito ad un coinvolgimento della famiglia pi diretto e pi legato alla situazione dei problemi specifici del figlio. Inizialmente venivano realizzati programmi standardizzati di formazione in gruppo dei genitori sui concetti base della gestione dei comportamenti-problema: veniva lasciato poi alle capacit dei familiari il compito di applicare concretamente alla situazione da loro direttamente vissuta con il figlio ci che avevano appreso teoricamente nei corsi. (Baker, Heifetz e Murphy, 1980; Heifetz, 1977). Questa era

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naturalmente una difficolt rilevante, che rendeva ragione dei fallimenti di molti programmi. Attualmente la famiglia coinvolta su base individuale, con un intervento di formazione delle capacit educative dei genitori che svolto dagli operatori al domicilio della famiglia, che operano direttamente sul figlio, passando gradualmente la responsabilit degli interventi ai familiari. Questa modalit riesce a superare alcune delle difficolt sopra menzionate, anche se non semplice raggiungere un livello soddisfacente di azione educativa da parte del genitore, che, in alcuni casi, ha un tale livello di coinvolgimento emotivo con il figlio che lo ostacola nelluso sistematico e costante di alcune tecniche educative. Anche per questo motivo, oggi la formazione educativa dei genitori viene assimilata e collocata allinterno di un piano complessivo di interventi di sostegno e potenziamento delle risorse familiari che comprende, oltre alla formazione educativa dei genitori, la loro integrazione in reti di relazioni di supporto sociale, la partecipazione a gruppi di mutuo aiuto tra familiari e altre iniziative di crescita e adattamento psicologico alla situazione prodotta dallhandicap del figlio (Ianes, 1991; 1992). Oggi anche i comportamenti-problema pi gravi e drammatici, come lautolesionismo, le stereotipie continue e pervasive, laggressivit molto forte, non sono pi considerati aspetti intrattabili, parti essenziali delle caratteristiche pi tipiche del ritardo mentale grave o dellautismo. Certamente in persone con queste condizioni personali pi alta la probabilit che si sviluppino questi comportamenti, ma non un fatto assolutamente certo ed inevitabile. E soprattutto essi sono comportamenti attaccabili da un intervento educativo, per il fatto che rispondono a funzioni psicologiche ben identificabili per il soggetto: comunicazione con lesterno, controllo dellambiente o regolazione dei flussi di stimolazione sensoriale. Comprendendone le funzioni si aprono prospettive molto ampie ed ottimistiche per un intervento educativo non punitivo che rispetti il senso profondo del comportamento-problema ma ne modifichi decisamente quelle sue forme talvolta cos misteriose e angoscianti.

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