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Storia Del Teatro

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6/2/2018 Storia del teatro - Wikipedia

Storia del teatro


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La storia del teatro, nella sua definizione più moderna di disciplina autonoma, interpreta e ricostruisce l'evento
teatrale basandosi su due elementi principali: l'attore e lo spettatore e più precisamente sulla relazione che li lega, la
relazione teatrale. Entrambi hanno una funzione primaria necessaria all'esistenza del fatto teatrale: mentre l'attore
rappresenta un corpo in movimento (non necessariamente fisico o accompagnato dalla parola) in uno spazio, con
precise finalità espressive e narrative, lo spettatore è il fruitore attivo e partecipe dell'avvenimento, che ne condiziona
l'andamento e decodifica l'espressività dell'evento artistico.

Indice
Descrizione
Teatro nei popoli primitivi
Storia del teatro occidentale
Teatro classico
Antica Grecia
Teatro latino
Teatro medievale
Teatro moderno
Teatro nel Rinascimento
Il teatro del XVII secolo
Teatro del XVIII secolo
Teorici del Settecento
Teatro dell'Ottocento
Teatro contemporaneo
Primo Novecento
Teatro italiano nel regime fascista
Secondo dopoguerra

Teatro orientale
Teatro nel subcontinente indiano
Teatro in Estremo Oriente
Teatro nel sud-est asiatico
Teatro in Africa
Teatro nell'antico Egitto
Teatro tradizionale
Teatro coloniale
Teatro postcoloniale e contemporaneo
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

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6/2/2018 Storia del teatro - Wikipedia

Descrizione
La storia del teatro è una scienza giovane, che solo recentemente (in Francia e Germania alla fine degli anni cinquanta,
in Italia all'alba degli anni sessanta) si è affrancata da una interpretazione riduttiva che la limitava alla storia della
letteratura drammatica. In particolare la moderna storia del teatro analizza il fatto teatrale prendendo in
considerazione il suo più ampio contesto storico, sociale, culturale ed esistenziale, ed ha come protagonisti non solo
drammaturghi e attori, ma tutti gli artisti che hanno collaborato alla nascita e all'evoluzione del fenomeno teatrale:
musicisti, scenografi, architetti, registi e impresari, per citarne alcuni.

Questa disciplina, nata e sviluppatasi in Europa, tende in genere a restringere il campo di indagine alle forme di teatro
occidentali, e a fondarne le origini nel teatro classico dell'Atene del V secolo a.C., allargando la visuale ad un'ottica
mondiale solo a partire dal teatro contemporaneo. Tuttavia, specialmente in opere più recenti, grande attenzione è
rivolta alla tradizione teatrale precolombiana, africana e asiatica. In particolare, per quanto riguarda quest'ultima,
l'interesse da parte degli artisti e studiosi europei e statunitensi risale alla seconda metà del novecento, e contribuì non
poco alla evoluzione delle forme teatrali occidentali e alla nascita di una antropologia teatrale.

Occorre specificare che la nascita dell'arte teatrale nei vari continenti è profondamente legata ai culti religiosi dai quali
derivano momenti di accomunamento tra gli individui e i rituali di celebrazione: l'evoluzione del teatro occidentale
permise il discostamento della letteratura drammatica dall'argomento religioso, mantenendone tuttavia gli elementi
caratterizzanti. Solo la nascita delle moderne discipline teatrali e gli studi in materia hanno permesso l'individuazione
del rito nelle pratiche teatrali, permettendo l'accomunamento e la comparazione delle diverse tradizioni mondiali
all'interno dell'antropologia teatrale.

Teatro nei popoli primitivi


Sebbene lo studio delle manifestazioni teatrali nei popoli primitivi sia di difficile ricostruzione, sappiamo per certo che
alcuni rituali che sfociavano in vere e proprie rappresentazioni erano presenti nel quotidiano di molte culture.

Riti propiziatori con carattere di spettacolarità erano infatti allestiti secondo il ciclo stagionale allo scopo di venerare,
pregare o ringraziare gli dei per la stagione futura. Gli eschimesi, ad esempio, erano soliti rappresentare un dramma
per celebrare la fine della notte polare: la drammatizzazione dell'evento avveniva tramite un narratore che
accompagnava gli attori ed il coro, composto da sole donne.

Sempre a carattere propiziatorio e segnati dal trascorrere del tempo, ma slegati dai ricorsi della natura erano i riti
sociali, che sottolineavano un avvenimento quotidiano. Il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, le nascite e le morti
erano celebrate, in maniera differente, con caratteri drammatici e pubblici che ne giustificano la teatralità. Soprattutto
le cerimonie iniziatiche comprendevano rituali e celebrazioni di forte caratterizzazione drammatica. Anche la caccia, la
pesca o l'agricoltura offrivano spunti per rappresentazioni teatrali.

Una componente importante per il teatro dei primitivi era l'azione mimica, che poteva essere sia stilizzata che
naturalistica, accompagnata da danze e musica; non meno importanti erano, inoltre, quelli che oggi definiremmo
trucco e costume: molteplici culture sottolineavano l'estraneità dell'avvenimento al mondo reale (e quindi la finzione o
il ribaltamento della realtà) tramite il mascheramento e l'ornamento. L'uso della maschera, tuttavia, non era pratica
comune a tutte le popolazioni: i pigmei ed i boscimani non ne facevano uso. La maschera era infatti simbolo di potere,
di solito prerogativa di personalità importanti della comunità, come gli sciamani. I Kono, popolazione primitiva
dell'attuale Papua Nuova Guinea, utilizzavano le maschere per impersonare gli dei, attribuendo al mascheramento da
parte dell'attore anche il conferimento, a quest'ultimo, dei poteri del dio rappresentato[1].

L'apporto della danza e della musica è un punto non molto chiaro, poiché non sempre queste avevano le caratteristiche
di teatralità: sebbene il confine tra le manifestazioni artistiche sia nel contesto labile, alcune di esse rientrano
propriamente nella storia dei generi suddetti.

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In ultima analisi è importante sottolineare l'estrema diversità della relazione teatrale esistente tra il teatro come
comunemente lo si intende nel mondo occidentale ed il teatro dei primitivi. Accadeva infatti che l'attore, incline a
spostare la sua soggettività al personaggio rappresentato, potesse essere preda di trance o possessioni: non di rado ciò
accadeva anche al pubblico, come la moderna avanguardia teatrale ha dimostrato. L'estremizzazione del processo è
distante dalle comuni pratiche teatrali odierne, nelle quali l'attore non perde mai la propria soggettività e non vi è
rischio di spersonalizzazione. Già dal XX secolo, tuttavia, registi e teorici del teatro hanno dimostrato un forte
interesse verso una più massiccia partecipazione del pubblico alla rappresentazione se non all'azione scenica stessa,
modificando il ruolo da fruitore passivo a partecipatore attivo dell'evento, ristabilendo così un legame con il teatro del
passato.

Storia del teatro occidentale


La divisione temporale del fenomeno teatrale occidentale che generalmente viene utilizzata si può così schematizzare:

il teatro classico, che comprende la rappresentazione teatrale antica greca e romana;


il teatro medievale, riferita al periodo del medioevo europeo, con la nascita della sacra rappresentazione;
il teatro moderno, dal rinascimento fino al romanticismo;
il teatro contemporaneo, che comprende le esperienze teatrali del novecento fino ai giorni nostri.

Teatro classico

Antica Grecia
L'origine del teatro occidentale come lo conosciamo è senza alcun dubbio riferibile alle forme drammatiche sorte
nell'antica Grecia, così come sono di derivazione greca le parole teatro, scena, dramma, tragedia, coro, dialogo.

La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso la metà del VI secolo a.C.
La tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere
teatrali.

Molto importanti per l'evoluzione del genere comico furono i Phlyakes (Fliaci), attori già professionisti, girovaghi. I
Fliaci provenivano dalla Sicilia e, dato il loro carattere nomade, erano soliti muoversi su carri che fungevano anche da
spazio scenico. Gli attori portavano maschere molto espressive, una stretta camicia e rigonfiamenti posticci; per gli
uomini il costume prevedeva anche un grande fallo, esibito o coperto dalla calzamaglia.

Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi "festival" in cui i maggiori autori teatrali
dell'epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. La forma d'arte di ispirazione più elevata era
considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Da sottolineare il fatto che la
tragedia aveva, come anche la commedia, scopo educativo.Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le
tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo.

I principali tragediografi greci furono Eschilo, Sofocle ed Euripide; i commediografi più importanti furono Aristofane e
Menandro.

Teatro latino
Nella Roma antica il teatro, che raggiunge il suo apice con Livio Andronico, Plauto e Terenzio per la commedia e
Seneca per la tragedia, è una delle massime espressioni della cultura latina.

I generi teatrali che ci sono rimasti e meglio documentati sono di importazione greca: la palliata (commedia) e la
cothurnata (tragedia). Si sviluppano altresì una commedia e una tragedia di ambientazione romana, dette
rispettivamente togata (o trabeata) e praetexta. La togata viene distinta da generi comici più popolari, quali l'atellana

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e il mimo. La tragedia di argomento romano (praetexta) si rinnova negli


avvenimenti, considerando fatti storici. La tabernaria era invece un'opera
comica di ambientazione romana. Il genere popolare dell'atellana è stato
accostato alla commedia dell'arte.

Teatro medievale
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente sembrò che il teatro fosse
destinato a non esistere più. La Chiesa cattolica, ormai diffusa in tutta
Europa, non apprezzava il Teatro ed addirittura scomunicava gli attori. A Scena teatrale. Affresco romano.
questa situazione, però, sopravvissero i giullari, eredi del mimo e della Palermo, museo archeologico.
farsa atellana che intrattenevano la gente nelle città o nelle campagne con
canti ed acrobazie. Su di loro pendeva lo stesso la condanna della Chiesa, la
quale, dal canto suo, diede origine ad un'altra forma di teatro: il dramma religioso o sacra rappresentazione, per mezzo
del quale i fedeli, spesso analfabeti, apprendevano gli episodi cruciali delle Sacre scritture.

Rilevante in ambito tedesco fu l'opera della monaca Roswitha di Gandersheim che nel X secolo fece rinascere il
dramma in Germania, utilizzandolo come mezzo per attrarre i fedeli e colpirne la fantasia.

Teatro moderno

Teatro nel Rinascimento


Il Rinascimento fu l'età dell'oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e
Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale.

Autori di commedie furono, in Italia, Niccolò Machiavelli, il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, gli eruditi Donato
Giannotti, Annibal Caro, Anton Francesco Grazzini, il nobile senese Alessandro Piccolomini, gli intellettuali cortigiani
Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante; Gian Giorgio Trissino, Torquato Tasso e Giovan Battista Guarini
composero tragedie di carattere epico.

La riscoperta e la valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permisero lo studio delle opere
concernenti il teatro non solo dal punto di vista teorico drammaturgico ma anche da quello architettonico e
scenografico, cosa che incentivò la costruzione e l'allestimento di nuovi teatri.

Il teatro del XVII secolo


Il Seicento fu un secolo molto importante per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico basato sul
rispetto delle tre unità aristoteliche. La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille (1606-1684) già delineò un
gusto teatrale francese e aprì le porte al siècle d'or, ben rappresentato dalla commedia di Molière (1622-1673), di
costume ma soprattutto di carattere, frutto di un'acuta osservazione e rappresentazione della natura umana e
dell'esistenza, e dalla tragedia alta, umana e tormentata di Jean Racine (1639-1699).
Non meno significativa fu l'impronta lasciata dal teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente produzione del maestro
Lope de Vega (1562-1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina (1579-1648) con il suo L'ingannatore
di Siviglia e il convitato di pietra, e in Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) con le sue vette poetiche immerse nella
realtà, nel sogno e nella finzione, i migliori discepoli.

In Italia il teatro dei professionisti, i comici della Commedia dell'arte, soppiantò il teatro erudito rinascimentale. Per
circa due secoli la commedia italiana rappresentò il "Teatro" tout court, per il resto d'Europa. La sua influenza si fece
sentire dalla Spagna alla Russia e molti personaggi teatrali furono direttamente influenzati dalle maschere della

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commedia dell'arte: Punch la versione inglese di Pulcinella, Pierrot la versione francese di Pedrolino e Petruška la
versione russa di Arlecchino. Sempre in Italia c'erano già delle prove di tragediografi come Federico Della Valle e Carlo
de' Dottori e anche commediografi ancora legati alle corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei Medici.

In Inghilterra operò uno degli autori forse più noti a livello mondiale, William Shakespeare (1564 - 1616) quale
principale esponente del teatro elisabettiano la cui opera poetica e drammaturgica costituisce una parte fondamentale
della letteratura occidentale ed è continuamente studiata e rappresentata in ogni parte del globo. Altri esponenti del
teatro elisabettiano furono Christopher Marlowe (1564-1593) e Thomas Kyd (1558-1594). Il vero rivale di Shakespeare
fu tuttavia Ben Jonson (1572-1637), le cui commedie furono anch'esse influenzate dalla commedia dell'arte; fu
attraverso di lui che certi personaggi scespiriani sembrano tratti da una commedia italiana, come ad esempio Stefano e
Trinculo de La tempesta.

Teatro del XVIII secolo


Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per la
produzione britannica ad esclusione delle legitimate comedy, delle commedie giovanili di Henry Fielding (1707-1754)
e delle innovazioni tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista nei drammi tedeschi di Lessing (1729-1781) e
un'età ricca di riforme ed innovazioni in Francia.[2][3][4][5]

La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia dell'Arte dedicò l'inizio di questo secolo all'analisi delle
forme teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro
all'improvviso. Per la commedia il confronto con il teatro dell'arte è subito conflittuale. Poiché in tutta Europa la
commedia delle maschere è considerata la "commedia italiana" con i suoi pregi ma anche i difetti di una
drammaturgia quasi assente e la poca cura dei testi rappresentati, spesso quasi mai pubblicati, il confronto con la
commedia del resto d'Europa penalizza molto il teatro italiano.

All'inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s'avvale della produzione della scuola toscana della commedia detta
pregoldoniana del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli e dei senesi Girolamo Gigli e Iacopo Angelo Nelli.

L'esempio di Molière e il lento distacco del francese dalla commedia italiana per costituire una forma intermedia di
dramma a metà tra quella dell'arte e la commedia erudita, (pur mantenendo fisse le presenze di ruoli classici della
commedia dell'arte), fa sì che per la prima volta si scoprano i volti degli attori e che le maschere cedano il posto a
nuove figure come quella del Borghese gentiluomo, del Tartufo, del Malato immaginario ecc.

Su questo modello i pregoldoniani costruiscono e stendono le trame delle loro commedie, alle volte anche sin troppo
simili a Molière; in particolare il personaggio di Don Pilone di Girolamo Gigli è costruito su quello del Tartufo in modo
da rischiare il plagio. Altri come Fagiuoli partono invece dalle maschere per ripulire gli eccessi degli zanni; infatti uno
dei ruoli fissi delle sue commedie è quello di Ciapo, contadino toscano, che richiama lo zanni ma anche i servi scaltri
della commedia rinascimentale.

Se per la commedia la situazione italiana è oscurata dalla ormai centenaria tradizione della commedia dell'arte, per la
tragedia, la situazione in Italia è peggiore. In Italia non era mai esistita una tradizione tragica alla quale ricondursi,
anche il '500 aveva espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un Tasso decisamente minore rispetto a quello della
Gerusalemme liberata. In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico all'interno del melodramma ma che non
rispondeva certo alle esigenze di coloro che ammiravano il secolo d'oro francese di Corneille e Racine.

L'erudito e teorico del teatro tragico Gian Vincenzo Gravina, già maestro di Metastasio, tentò una via italiana alla
tragedia che rispettasse le unità aristoteliche ma le sue tragedie sono fredde, preparate a tavolino e poco adatte alla
rappresentazione. Nacque comunque sulla spinta di Gravina uno dei migliori tragediografi italiani del '700 prima di
Alfieri: Antonio Conti che insieme a Scipione Maffei che scrisse la Merope, la tragedia italiana più rappresentativa di
questo inizio secolo e aprì le porte alla tragedia di Alfieri.

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Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all'interno del panorama europeo, nel melodramma con Metastasio
(1698-1782) e nella commedia con Goldoni (1707-1793). Metastasio ridiede spessore al libretto, anche a scapito della
musica e del canto, purificando il linguaggio poetico e migliorando la caratterizzazione dei personaggi, al punto da
divenire non solo il librettista più ricercato fra i musicisti europei, ma persino un autore teatrale rappresentato anche
in assenza della musica. Goldoni fu un riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla commedia di carattere a
quella di ambiente, dalla drammaturgia borghese a quella popolare, dalla commedia dialettale esaustiva alla
rappresentazione della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni sociali, politiche e economiche.[6]

Per la tragedia, tra gli altri, va ricordato Pier Iacopo Martello (1665-1727), che si rifà al teatro francese del Seicento.

Teorici del Settecento


Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell'arte teatrale per la società.
Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot, filosofo illuminista ma anche autore di tre testi teatrali che
s'inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese, che con il suo trattato Paradosso sull'attore (1773) gettò le basi di
una nuova visione della recitazione che precorse la teoria brechtiana dello straniamento in opposizione alla teoria
dell'immedesimazione. Già sin dal 1728 l'attore italiano Luigi Riccoboni con il trattato Dell'arte rappresentativa e
L'Histoire du Théâtre Italien (1731) aveva cercato di fare il punto sulla recitazione partendo dalla sua esperienza di
attore della Commedia dell'Arte.

Questo trattato aprì una discussione alla quale parteciparono il figlio di Luigi Antoine François Riccoboni con L'Art du
thèâtre (1750) e la moglie di lui Marie Jeanne de la Boras detta Madame Riccoboni grande amica di Goldoni, vi
parteciparono anche Antonio Fabio Sticotti, colui che introdusse il personaggio di Pierrot sulle scene francesi, con
Garrick ou les acteurs anglais (1769) e lo stesso David Garrick il più grande interprete di William Shakespeare del
'700.

Nel frattempo in Francia l'arte drammatica si era evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude Nivelle de La
Chaussée e il dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais l'inventore del personaggio di Figaro
ripreso da Mozart e Rossini.

Il medico Giovanni Bianchi (Rimini 1693-1775), rifondatore nel 1745 dell'Accademia dei Lincei, compose nel 1752 una
Difesa dell'Arte comica, messa dalla Chiesa di Roma all'Indice dei libri proibiti. Nella vicenda rimase coinvolta l'attrice
romana Antonia Cavallucci. Raccontiamo quanto accadde. È l'ultimo venerdì di Carnovale del 1752. Prima di leggere il
suo discorso sull'Arte comica all'Accademia dei Lincei riminesi, Giovanni Bianchi fa esibire una giovane e bella
cantante romana, Antonia Cavallucci. Il concerto della Cavallucci provoca scandalo in città. Bianchi allontana la
ragazza, spedendola a Bologna e Ravenna con lettere di raccomandazione che, praticamente, a nulla servono. Contro
la Cavallucci il vescovo di Rimini, Alessandro Guiccioli, inoltra a Roma «illustrissime e reverendissime insolenze»,
come riferisce a Bianchi un suo corrispondente, Giuseppe Giovanardi Bufferli. Attraverso la Cavallucci si vuole colpire
il suo protettore. Bianchi è stato sempre insofferente verso l'ortodossia filosofico-scientifica della Chiesa, ed è in stretta
concorrenza rispetto al monopolio pedagogico e culturale dei religiosi, sia con il proprio Liceo privato sia con i
rinnovati Lincei. Le manovre ecclesiastiche riminesi producono l'effetto desiderato. Contro il discorso dell'Arte comica
si celebra presso il Sant'Uffizio un processo, affrettato ed irrituale, che porta alla condanna del testo. L'accusa è
formalmente di aver esaltato la Chiesa anglicana, più tollerante di quella romana, nella considerazione degli attori. In
sostanza, non piace la difesa dei classici che Bianchi ha tentato.

Antonia Cavallucci nelle lettere a Bianchi racconta la sua vita disperata. Ha dovuto sposare, per imposizione della
madre, un uomo violento ed avaro, da cui vorrebbe separarsi con la pronuncia di un tribunale ecclesiastico: e proprio a
Bianchi lei chiede una memoria da recitare in quella sede. A Bologna ed a Ravenna, deve contrastare gli assalti galanti
di chi avrebbe dovuto aiutarla. Invoca così l'aiuto economico di Bianchi. Lo chiama «mio padre» ed anche «nonno»,
mentre sul medico ricade il sarcasmo degli amici che lo accusano di essersi innamorato di una ragazza allegra.

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Il teatino padre Paolo Paciaudi chiama Antonia «infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata», d'accordo con il
padre Concina, grande avversario di Bianchi, che definisce «putidulæ meretriculae», leziose puttanelle, quante come
lei sono artiste teatrali. Antonia cerca un ruolo di cantatrice: soltanto «per non fare la puttana mi è convenuto fare la
comica», confida a Bianchi da Ravenna, respingendo le accuse che volevano la sua casa frequentata da troppi «abatini
e zerbinotti».

Antonia si difende incolpando un nemico di Bianchi. Usano insomma lei, per colpire lui. Talora i rapporti epistolari tra
l'attrice ed il medico sono burrascosi. Quando Bianchi, accusato da Antonia di essere la causa delle sue sfortune
presenti, assume un tono distaccato, lei lo accusa: «Mostrate tutte finzioni». Ma Bianchi ha altri pensieri per la testa,
appunto il processo all'Indice. Non ha tempo per ciò che forse considera non un dramma umano, ma le stravaganze di
una donna. Di una ragazza. Di un'attrice, per giunta.

Teatro dell'Ottocento
Il teatro europeo all'inizio dell'Ottocento fu dominato dal dramma romantico. Gli ideali romantici vennero esaltati in
modo particolare in Germania. Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller, che
videro nell'arte la via migliore per ridare dignità all'uomo. Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte
tragedie di soggetto storico o mitologico. Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli autori italiani come
Alessandro Manzoni con tragedie come l'Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a Silvio Pellico con la tragedia
Francesca da Rimini , ambientazioni analoghe tornarono anche nel melodramma. Molto importante fu anche il teatro
romantico inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe Shelley, John Keats e Lord Byron. Ma è anche il
secolo degli anticonformisti sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben rappresentati dal society drama portato
in scena da Oscar Wilde e degli innovatori come Georg Büchner che precorsero il dramma novecentesco. In
Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della
realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese,
caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli espedienti drammatici. Il maggiore
esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo e del teatro verista Giovanni Verga, nell'America Latina Florencio
Sánchez seguì la loro scuola e si mise in evidenza.

Teatro contemporaneo

Primo Novecento
Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell'attore. Il teatro della parola si trasforma in
teatro dell'azione fisica, del gesto, dell'emozione interpretativa dell'attore con il lavoro teorico di Kostantin Sergeevič
Stanislavskij e dei suoi allievi, Vsevolod Emil'evic Mejerchol'd su tutti. Il Novecento aprì anche una nuova fase che
portò al centro dell'attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di
autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l'austriaco Max Reinhardt e il francese Jacques
Copeau e l'italiano Anton Giulio Bragaglia.

Con l'affermarsi delle avanguardie storiche, come il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo, nacquero nuove forme di
teatro come il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud, la drammaturgia epica di Bertolt Brecht e, nella seconda metà
del secolo, il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett e Eugene Ionesco modificarono radicalmente l'approccio alla messa
in scena e determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del
calibro di Jean Cocteau, Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal, gli scandinavi August Strindberg e Henrik Ibsen; ma
coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind con la sua Lulù e Alfred Jarry
l'inventore del personaggio di Ubu Roi.

Contemporaneamente però il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello,
dove l'interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma
psicologico. Mentre per Gabriele D'Annunzio il teatro fu una delle tante forme espressive del suo decadentismo e il
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linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille
Campanile il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell'assurdo.

La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al già citato Brecht
molti artisti furono conquistati dall'ideale comunista e seguirono l'influenza del teatro bolscevico, quello dell'agit-prop
di Vladimir Majakovskij, fra questi Erwin Piscator direttore del Teatro Proletario di Berlino e Ernst Toller il principale
esponente teatrale dell'espressionismo tedesco.

Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che nel 1933 fece
rappresentare la tragedia Bodas de sangre (Nozze di sangue) ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue
dalla milizia franchista che lo fucilò vicino a Granada.

Intanto, si approfondisce la lezione di Stanislavskij sul lavoro dell'attore anche grazie agli allievi del maestro russo. La
visione del teatro di Stanislavskij porta alla nascita del Group Theatre nel 1931 - fondato da Harold Clurman, Cheryl
Crawford e Lee Strasberg - attivo per 10 anni. La ricerca proseguirà anche dopo lo scioglimento del gruppo con attori,
registi e insegnanti come Stella Adler, Lee Strasberg (che dirigerà poi l'Actor's Studio, dal 1951 al 1982) e Sanford
Meisner, considerato da molti il miglior pedagogo della sua generazione.

L'Actor's Studio viene fondato alcuni anni dopo lo scioglimento del Group Theatre, nel 1947, da Elia Kazan, Cheryl
Crawford, Robert Lewis e Anna Sokolow. Qui vi studiarono, tra gli altri, Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro).

Teatro italiano nel regime fascista

« Occorre che gli autori italiani in qualsiasi forma d’arte o di pensiero si manifestino veramente e
profondamente interpreti del nostro tempo, che è quello della Rivoluzione fascista »

(Mussolini)
Necessarie premesse nell'esaminare il rapporto tra il regime dittatoriale e il teatro sono quelle che riguardano
l'ideologia culturale fascista, la sua organizzazione e le condizioni dell'arte dello spettacolo nell'Italia dell'epoca.

La critica[7] concorda quasi all'unanimità nel ritenere che non vi sia stato un "teatro fascista" interamente
rappresentativo della ideologia e dei valori fascisti.

Questo non significa che il fascismo si disinteressò di quanto veniva rappresentato anzi «intuì subito l'importanza (o la
pericolosità) del palcoscenico».[8] come uno degli elementi per l'organizzazione del consenso da parte dell'opinione
pubblica borghese, di quel ceto medio che allora preferiva assistere alle rappresentazioni della commedia di costume,
quella che fu poi chiamata «delle rose scarlatte», o del teatro dei «telefoni bianchi» di Aldo De Benedetti dove la
presenza di un telefono bianco in scena stava ad indicare l'adesione alla modernità della classe media rappresentata in
commedie stereotipate incentrate prevalentemente su trame basate sul classico triangolo amoroso il cui fine era
primariamente quello di svagare e divertire il pubblico e non di indottrinarlo politicamente.

Da questo punto di vista il regime prese atto che il teatro italiano non aveva colto le novità ideologiche portate dal
fascismo.

Il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri parlando alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939 dichiarava
che nella produzione teatrale italiana «...al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo,
specialmente per quanto riguarda l'auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed i valori
dello spirito fascista».[9]

Ossequenti all'invito del Duce, durante tutto il periodo fascista, una congerie di compagnie filodrammatiche, espresse
da quella stessa classe media che aveva sostenuto il fascismo, si esercitò nella produzione di testi teatrali inneggianti al
regime e spesso direttamente dedicati a Mussolini «per gratitudine verso colui che l'Italia tutta guida e anima,

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ammaestra e comanda». Lo stesso Mussolini si avventurò nella scrittura di tre canovacci teatrali che il noto
drammaturgo e regista Giovacchino Forzano completò e mise in scena naturalmente con grande successo.

Di un teatro fascista si può quindi parlare riferendolo a quegli autori che, in modo dilettantesco e per ottenere i favori
del regime, scrissero una serie di copioni dai contenuti ideologici fascisti celebranti la nascita del fascismo e le sue
conquiste militari e sociali; lavori questi che non ebbero però mai risonanza presso il grande pubblico.

Dell'assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati ebbe modo di lamentarsi lo stesso Mussolini in un
discorso tenuto[10] il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE (Società
Italiana Autori ed Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c'è, ma è un errore credere che sia
connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale.
L'aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che
possa contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano
contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la
necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del
cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l'opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le
chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare
sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle ricerche degli uomini. Basta con il famigerato
“triangolo”, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito... Fate che le
passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del
teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema.»

Nei teatri italiani non mancava invece il grande pubblico, quello affezionato al teatro di varietà che con le sue ricche
scene, le musiche, la bellezza delle ballerine ma soprattutto le irriverenti battute degli attori comici, il cui copione si
adattava in modo estemporaneo all'attualità immediata degli avvenimenti politici, rendendolo quasi impossibile
controllarlo dalla censura, rappresentava veramente quel teatro di massa che avrebbe voluto il fascismo che in fondo
però accettava di buon grado questa forma di spettacolo atta ad allontanare la sensibilità pubblica dai gravi
avvenimenti che segnavano la politica del regime. Così nonostante l'opposizione alle lingue dialettali trionfava il teatro
dialettale, le farse alla De Filippo, che in assenza, per le sanzioni alla Francia, del vaudeville e della pochade, offriva al
pubblico italiano un valido sostituto.

Le ingerenze però soprattutto della censura fascista impedirono un originale sviluppo del teatro che sino alla caduta
della dittatura rimase fermo alle innovazioni teatrali dell'inizio del 900, al teatro Dannunziano e Pirandelliano,
ambedue del resto legittimati dal fascismo. Agli inizi del 900, prima dell'avvento del fascismo il teatro italiano era
caratterizzato da uno spirito anarchico, individualistico e pessimistico[11] ma ora questi temi non potevano essere
affrontati con un regime dichiaratamente ottimista sulle sorti della società italiana dalla produzione teatrale che in
realtà si paralizzò e si isterilì.

Secondo dopoguerra
La ricerca degli anni '60 e '70 tenta di liberare l'attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per
mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. In
questo percorso, il teatro entra in contatto con le discipline del teatro orientale, con lo yoga, le arti marziali, le
discipline spirituali di Gurdjeff e le diverse forme di meditazione. L'obiettivo di perfezionamento dell'arte dell'attore
diventa insieme momento di crescita personale. La priorità dello spettacolo teatrale, l'esibizione di fronte ad un
pubblico, diventa in alcuni casi solo una componente del teatro e non il teatro stesso: il lavoro dell'attore comincia
molto prima. L'influenza di questo approccio sul movimento teatrale del Nuovo Teatro è stato immenso, basti pensare
all'Odin Teatret di Eugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro fisico del Living Theatre di Julian
Beck e Judith Malina.

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Anche in Italia si assiste ad uno "svecchiamento" del repertorio tradizionale, grazie al lavoro di drammaturghi come
Eduardo De Filippo e Dario Fo, allo sperimentalismo di Carmelo Bene e Leo De Berardinis, al lavoro di grandi registi
come Giorgio Strehler e Luchino Visconti. In Germania fu fondamentale l'apporto di Botho Strauss e Rainer Werner
Fassbinder, in Francia, fra gli altri, Louis Jouvet che i testi estremi di Jean Genet, degno figlio della drammaturgia di
Artaud.

Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del '900 all'evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich
Dürrenmatt (1921-1990) e Max Frisch (1911-1991). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una
messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915-1990) pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro
del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro.

Teatro orientale

Teatro nel subcontinente indiano


La storia del teatro dell'asia meridionale, nonostante siano presenti tradizioni spettacolari in Pakistan, Bangladesh,
Nepal, Sri Lanka, ha il suo centro originario in India.

Il Natya Sastra, (scritto in sanscrito tra il 200 a.C. e il 200 d.C.), ne racconta la genesi mitologica da parte di Brahma,
che ne fissò anche gli scopi: istruzione e divertimento.

La recitazione nel teatro indiano tradizionale conserva elementi rituali, ad esempio nella preparazione del corpo, e si
caratterizza per la convenzionalità dei gesti e dei personaggi.

Il drammaturgo più prolifico fu Bhasa (IV secolo), di cui ci restano tredici drammi, tra cui Il sogno di Vasavadatta
(Svapnaasavadatta).

Il più celebre drammaturgo fu Kālidāsa (V secolo), autore de Il riconoscimento di Sakuntala (Abhijñānaśākuntalā).

Teatro in Estremo Oriente


Cina e Giappone hanno tradizioni teatrali differenti, ma caratterizzate entrambe dalla stilizzazione dei gesti e dei
costumi teatrali e dalla integrazione di danza, musica, canto e recitazione.

Nel XIII secolo, in Cina, fiorì lo zaju (teatro vario); nel XVI secolo Wei Liangfu diede origine al Kunqu, un genere
teatrale regionale della zona della odierna Shanghai. In seguito si svilupparono diversi stili regionali, dei quali il più
importante (e il maggiormente praticato anche oggi fra gli stili tradizionali) fu l'Opera di Pechino (Jīngjù, 京劇).

Il teatro giapponese fu originato dalla kagura, una danza antichissima precedente all'introduzione dell'idioma cinese.
Da esso derivarono il dengaku e il sarugaku, nel quale con il passare del tempo la parola sovrastò il gesto creando un
dramma vero e proprio, ossia il Nō.[12]

In Giappone emersero complessivamente, quindi, due forme principali, il Nō (能) e il Kabuki (歌舞伎), che raggiunsero
la loro forma compiuta rispettivamente nel tardo XIV secolo e nel XVII secolo.

Teatro nel sud-est asiatico


La maggior parte delle tradizioni di spettacolo presenti nella zona occupata dagli attuali stati del sud-est asiatico ha
origini indiane o, in alcuni casi come il Vietnam, cinesi.[13]

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Nella attuale Birmania le tradizioni teatrali risalgono al IX secolo, e conobbero un momento di grande diffusione
durante la dinastia Pagan (1044 - 1287), poi distrutte dalla invasione dei mongoli. Nel 1767, dopo la conquista da parte
dei birmani della città thailandese di Ayutthaya, gran parte della cultura, della danza e dei testi teatrali thailandesi
(come il Ramakien, adattamento thailandese del Ramayana) furono importati e riadattati.

In Cambogia le forme più antiche di rappresentazione consistono negli spettacoli musicali di Funan, di cui si ha traccia
a partire dal 243. Le spettacolari danze Khmer, eseguite a corte da molte centinaia di danzatori, ebbero origine dalle
danze giavanesi (bedaya) e si svilupparono ad Angkor a partire dall'802, con la fondazione del regno Khmer da parte
di Jayavarman II. La tradizione teatrale subì come in altri casi con l'influenza indiana, con l'acquisizione del corpus
drammaturgico del Ramayana, tradotto e adattato nel Ramker.

In Indonesia gli spettacoli teatrali svilupparono forme originali e vivaci, spaziando dalla danza al teatro di marionette
al teatro delle ombre (Wayang Kulit). Il centro dell'attività teatrale era situato a Bali. Oltre al Ramayana e al
Mahabharata, la drammaturgia si basò su storie locali, i Panji. Del teatro indonesiano antico non ci sono fonti certe,
anche se è possibile fissarne l'origine intorno al X secolo.

Nella tradizione thailandese i lakhon sono drammi danzati elaborati e a volte giocosi, e hanno origine dalle danze
classiche indiane, di cui vennero elaborati in modo originale i gesti e il movimento, in particolare nell'uso delle mani e
delle dita. L'origine delle diverse forme di teatro thailandese risalgono al XV secolo, periodo nel quale si integrarono
con le forme di danza Khmer, in concomitanza con la conquista di Angkor da parte dei thailandesi.

Teatro in Africa
Il teatro africano è ancora poco noto in occidente, nonostante si occupi di tematiche sociali, politiche, psicologiche e
storiche di notevole importanza, mescolate all'interno di un crogiolo con le tradizioni mitologiche ancestrali orali, le
rappresentazioni sacre e le narrazioni drammatiche.

Data la vastità geografica del territorio, le diversità storico-culturali e etniche prese in esame, risulta ardua una
classificazione netta e precisa delle correnti teatrali africane. È comunque possibile suddividere il teatro africano in
alcune fasi storiche: antico (Egitto), tradizionale, coloniale, postcoloniale e contemporaneo.[14]

Teatro nell'antico Egitto


Da iscrizioni risalenti al 2600 a.C. circa è documentata l'esistenza in Egitto di cerimonie pubbliche in cui erano
previste rappresentazioni sotto forma di processioni e feste, nelle quali venivano utilizzate varie arti performative,
come la danza, la musica, unitamente alla narrazione di racconti mitologici. Diversi documenti testimoniano il
carattere teatrale delle feste egizie. Sui papiri rinvenuti nel Ramesseo di Luxor sono descritti i preparativi per la festa
per il trentesimo anno di regno del faraone Sesostris, e vengono precisati i dialoghi, le azioni, le posizioni degli attori in
scena, oltre a dettagli riguardo alle scenografie, alla musica e alla presenza di danzatori e comparse. Nelle iscrizioni
autobiografiche sulla stele di Ikhernofret (1820 a.C. circa), il tesoriere e organizzatore di feste del faraone Sesostris III
racconta di aver lui stesso impersonato «l'amato figlio di Osiride» in una scena di combattimento tra divinità.

Teatro tradizionale
L'Africa è stata caratterizzata da un'ampia gamma di tradizioni teatrali, accostabili grazie ad alcune tendenze comuni,
come la scarsa incidenza dei testi, del copione e delle strutture tradizionali classiche, e invece la rilevanza dell'oralità,
dei riti, dei miti, delle danze, e della musicalità; tipiche sono state le rappresentazioni in costume e in maschera e i
tentativi di annullare la separazione tra spettatori e scena.[14][15]
Durante il XVI secolo si svilupparono i primi spettacoli organizzati da compagnie di praticanti professionisti come
quella degli Alarinjo, nel regno Yoruba (ora Nigeria), in massima parte a sfondo religioso e mitologico.

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Teatro coloniale
Nel periodo coloniale l'influenza dei missionari mutò alcuni aspetti del teatro, rendendo le rappresentazioni sempre
più vicine al messaggio cristiano e alle sacre scritture, grazie a riadattamenti di drammi biblici, e questo spesso a
scapito di elementi originari africani, come la danza; in questo periodo storico sono state realizzate opere "impegnate",
i cui contenuti trattarono tematiche quali l'ingiustizia sociale, come nel caso della compagnia itinerante nigeriana di
Hubert Ogunde.[14] Non mancarono le recite a sfondo politico-satirico, che criticarono la nuova aristocrazia africana
rinnegante la tradizione a favore degli usi e costumi europei, come nel caso dell'opera del ghanese Kobina Sekyi del
1915.

Teatro postcoloniale e contemporaneo


L'indipendenza ottenuta ha consentito la nascita di una nuova classe dirigente e di una nuova classe media. Questo
fatto ha provocato una nuova svolta nel corso del teatro africano, che si è proiettato verso una commistione fra le
tradizioni locali e le strutture europee, pur mantenendo un'attenzione prioritaria alla tematiche politiche e sociali, sia
nella veste di strumento di propaganda o di appoggio ai governi sia in quella di voce dissidente e denunciante.[14] Tra
gli autori più apprezzati vi è il Nobel nigeriano Wole Soyinka, l'ugandese Robert Serumaga e la ghanese Efua
Sutherland. In questa fase storica rilevanti sono state le collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e neri, sfidanti
l'ancora vigente apartheid, e la nascita di temi e contenuti legati ai problemi sociali e quotidiani. Attualmente
l'atmosfera politica più tollerante rispetto al passato consente una maggiore libertà di espressione e un impulso alla
sperimentazione.

Note
1. ^ Cesare Molinari, Storia del teatro, Laterza, Milano 1996 pag. 12.
2. ^ "Storia del teatro inglese", di Masolino d'Amico, ediz.Newton&Compton, Roma, 1996, pag.55-62
3. ^ "Storia della letteratura francese", di Giacinto Spagnoletti, ediz.Newton&Compton, Roma, 1996, pag.34-41
4. ^ "Storia della letteratura spagnola", di Pier Luigi Crovetto, ediz.Newton&Compton, Roma, 1996, pag.57-63
5. ^ "Storia della letteratura tedesca", di Marino Freschi, ediz.Newton&Compton, Roma, 1996, pag.27-35
6. ^ "Storia del teatro italiano", di Giovanni Antonucci, ediz.Newton&Compton, Roma, 1996, pag.49-56
7. ^ Biondi Marino - Borsotti Alessandro, Cultura e fascismo. Letteratura arti e spettacolo di un ventennio pp. 265-
290. Firenze: Ponte alle Grazie Spa.
8. ^ Biondi, M. e Borsotti, A.op.cit.,p. 265
9. ^ D. Alfieri, Il teatro italiano, in Scenario n.6. giugno 1939, p. 247
10. ^ Biondi, M. e Borsotti, A. op.cit.,pp. 266-267.
11. ^ Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento. Roma-Bari, Laterza, 1988
12. ^ "Le Muse", De Agostini, Novara, 1965, vol.5 pag.246-247
13. ^ Brandon, J.R., Theatre in South East Asia, Cambridge 1974
14. ^ a b c d cite web url=http://encarta.msm.com/encyclopedia_761579902/Teatro africano.html
15. ^ "iniziat.l'altro teatro.doc", a cura di Ferruccio Marotti, Laboratorio dell'Ateneo La Sapienza, 2003

Bibliografia
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Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento. Roma-Bari, Laterza, 1988. ISBN 88-420-3223-9
Giovanni Attolini. Teatro e spettacolo nel Rinascimento. Roma-Bari, Laterza, 1988. ISBN 88-420-3245-X
John Russel Brown, Storia del teatro (The Oxford Illustrated History of the Theatre). il Mulino, 1999. ISBN 88-15-
06355-2
Silvia Carandini. Teatro e spettacolo nel Seicento. Roma-Bari, Laterza, 1990. ISBN 88-420-3549-1
Silvio D'Amico. Storia del Teatro drammatico. IV voll. Garzanti, Milano, 1958.

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Claudio Meldolesi, Ferdinando Taviani. Teatro e spettacolo nel primo Ottocento. Roma-Bari, Laterza, 1991. ISBN
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Pierre Sauzeau: La tradition créatrice du théâtre antique. Textes réunis par Pierre Sauzeau avec la collaboration
de Jean-Claude Turpin Cahiers du GITA nº 12, Montpellier: Publications de l'Université Paul Valéry, 1999,

I. En Grèce ancienne. p. 218


II. De Rome à nos jours. p. 314
Edda Bresciani, Il teatro nell'Egitto antico, in "Dioniso" 45, 1971-1974;
Nicola Savarese, Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente. Roma-Bari, Laterza, 1992. ISBN 88-420-3951-9
Roberto Tessari. Teatro e spettacolo nel Settecento. Roma-Bari, Laterza, 1995. ISBN 88-420-4587-X
Glynne Wickham, Storia del teatro. Bologna, Il Mulino 1988
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Critica fascista, 1. gennaio 1935
D'Amico, S. : Il teatro non deve morire. Roma: Edizioni dell'Era Nuova.1945
De Felice, R. : Mussolini il Duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, vol. II. Torino: Giulio Einaudi editore
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Gentile E. : Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista.Roma-Bari: Gius. Laterza & Figli
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Biondi, M. e Borsotti, A. , Cultura e fascismo. Letteratura arti e spettacolo di un ventennio: 265-290. Firenze:
Ponte alle Grazie Spa.
Scarpellini, E. : Organizzazione teatrale e politica del teatro nell'Italia fascista. Firenze: La Nuova Italia.1989
Susmel, E. e D. : Opera Omnia di Benito Mussolini. Firenze-Roma: La Fenice.(ed.) 1983
Zurlo, L. : Memorie inutili. La censura teatrale nel ventennio. Roma: Edizioni
dell'Ateneo.1952

Voci correlate
Teatro in Italia
Balletto
Peter Brook
Farsa (genere teatrale) - farsa cavaiola
Commedia dell'Arte
Danza
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Opera lirica
Sacra rappresentazione
Scenografia
Teatro (architettura)
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Teatro
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