Voce, Erotismo E Identita' Sessuale Dall'Opera Al Pop: Just A Sweet Transvestite From Transexual Transylvania
Voce, Erotismo E Identita' Sessuale Dall'Opera Al Pop: Just A Sweet Transvestite From Transexual Transylvania
Voce, Erotismo E Identita' Sessuale Dall'Opera Al Pop: Just A Sweet Transvestite From Transexual Transylvania
1
I'm just a Sweet Transvestite from Transexual Transylvania è stata registrata anche da Mina, una delle icone gay del
panorama canoro nazionale, nell'album Italiana (1982); vedi Piero Scaruffi, Storia del rock, Padova, Arcana, 1990-
1997, 6 voll.
1
dichiarazione simile; Lou Reed, Peter Gabriel, il gruppo dei New York Dolls cantavano
mascherati, imparruccati, truccati: tuttavia solo negli ultimi decenni la focalizzazione sulla
manipolazione del corpo del cantante in chiave di ambiguità di genere è divenuta una forma
spettacolare sempre più invasiva e accattivante. Anche Madonna, una delle figure più
significative dello star-system dei questi anni, abilissima nell’interpretare gli umori del nostro
tempo, ha usato il travestimento in tutte le sue forme, cambiando molteplici look identitari e
arrivando a fondere temi religiosi ed erotici, a partire dalla scelta provocatoria del suo nome
d’arte. La plasticità corporea, ottenuta anche a costo di pesanti interventi chirurgici - si pensi allo
sbiancamento della pelle e alle numerose operazioni al volto a cui si è sottoposto Michael Jackson
per costruire il suo personale feticcio efebico – sembra costituire uno degli strumenti di maggiore
attrattiva per il pubblico, affascinato dall'artificio meraviglioso ed inquietante che il cantante
mette in scena nelle sue performances. In uno dei suoi video più riusciti (Express Yourself, del
1989) Madonna passa da un'immagine setosa da maliarda platinata anni '30 all'imitazione in vesti
maschili di Michael Jackson, si muove e danza secondo il suo stile, esibendo al contempo un
corpetto di pizzo nero sotto il doppio petto maschile. Durante la danza la cantante posa più volte
allusivamente la mano sul cavallo dei pantaloni, gesto tipico di Jackson e, nota Marjorie Garber,2
di ogni bambino piccolo che si rassicura sulla sua virilità. Boy George, uno dei clamorosi casi di
travestitismo dei primi anni 80, dall'aspetto androgino segnato da un vistoso make-up, usava
invece un cross-dressing di carattere religioso, comparendo in palcoscenico travestito da ebreo
chassidico osservante. In Italia Renato Zero è stato l’ antesignano dell’ambiguità sessuale
utilizzata come veicolo di comunicazione mediatica: piume e lustrini, presenza scenica,
caratteristici del glam rock anglosassone, hanno contribuito a costruire il personaggio trasgressivo,
ironico e sentimentale che nel nostro paese dagli anni ’70 ha riscosso duraturo successo. In quel
periodo ebbe fortuna anche Amanda Lear, che ha sfruttato abilmente la sua presunta transessualità,
esibendo una voce testosteronica ed un fisico da modella.
Se gli Who negli anni Sessanta si limitavano a sfasciare gli strumenti durante le loro esibizioni, un
decennio più tardi Alice Cooper si attorcigliava un pitone intorno al collo, gruppi come i Kiss o i
Siouxie Sioux hanno assunto forme di travestimento sempre più orrifiche e violente. Il culmine di
questa escalation è giunto ai make-up grotteschi e alle provocazioni sataniste di Brian Warner, in
2
Marjorie Garber, Interessi truccati. Giochi di travestimento e angoscia culturale, Milano, Raffaello Cortina editore,
1994, p.230. Per il tema delle trasformazioni operate sul corpo attraverso interventi di artificio plastico si veda il
volume Plastiche della rivista «Genesis», n1 (X) del 2011. Per il concetto di “genere”: J. Butler, Scambi di genere.
Identità sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004; Id, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”. Milano,
Feltrinelli,1996; B. Ortner Sherry, H. Whitehead, Sesso e genere. L'identità maschile e femminile, Palermo, Sellerio,
2000; G. Pomata Il mondo contemporaneo, vol. X Gli strumenti della ricerca – Questioni di metodo, Firenze, La Nuova
Italia,1983, pp.1434-1469; E J. Scott, Il genere, un’utile categoria di analisi storica, in «Rivista di Storia
contemporanea», n°4, 1987, pp. 560-586.
2
arte Marilyn Manson, il cui rock truculento vanta il primato del cattivo gusto degli anni Novanta.
Quello che avviene nei circuiti mediatici, al di là dell'ipocrisia del music – business, sembra
sostanzialmente un’ ipertrofica teatralizzazione della «categoria della crisi», così come la intende
Marjorie Garber, secondo la quale il fallimento complessivo delle distinzioni chiare e nette, delle
ideologie consolatorie e dicotomizzanti ha condotto ad una linea di confine fluttuante che permette
osmosi e passaggi sempre più vorticosi da una categoria all’altra, da un genere all’altro. Se dunque
vogliamo tornare alle origini, superando (e inglobando) le mistificazioni commerciali, il teatro è
costitutivamente il setting prilegiato del travestimento, che ne costituisce anzi l’ incipit sacrale:
l’attore con la maschera del capro che si agita invasato inneggiando a Dioniso. Il mascheramento
che occulta, rivela e libera non è mai stato, fin dall'inizio, mera contingenza storica; è accaduto nel
teatro elisabettiano, dove giovani boy actors recitavano in vesti femminili, o nell’opera barocca,
dove cantanti castrati cantavano con voce di donna. Il “il fare finta di” è la metafora teatrale per
eccellenza, che provoca ed incoraggia nello spettatore ammaliato l’invidia del feticcio. L’ in-canto,
come suggerisce l’etimologia del nome, nasce soprattutto dalla vibrazione del flusso del suono,
dalla voce del cantante-attore, prodotto di mucose e cartilagini, «emissione corporea di materia
calda, emulsione vivente»3. Come medium comunicativo, essa è universalmente riconosciuta come
un elemento contenente una valenza sessuale più o meno esplicita, non solo perché la complessa
fisiologia della fonazione è connessa con delicati equilibri ormonali che ne determinano il genere, la
qualità e il timbro, ma anche perché, come mette bene in luce Barthes, il suono vocale si configura
come un prodotto corporeo vero e proprio, «materialità del corpo che sgorga dalla gola, là dove si
forgia il metallo fonico»4. Esso viene percepito - e facciamo riferimento qui anche alle antiche
conoscenze mistiche e sapienziali - come emissione materica, energia che « proviene dal ribollio
del sangue, nel quale risiede il movimento vitale del corpo» 5 . La voce cantata è un atto
3
D. Fernandez, Porporino, ovvero i misteri di Napoli, Napoli, Colonnese, 2002, p. 104. Sulla costituzione di
un'antropologia del gesto e delle tecniche corporee si vedano le opere di Marcel Mauss, uno dei i padri dell'antropologia
francese, ed in particolare: Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia ed altri saggi, Torino, Einaudi, 2000
(ed orig. 1936), pp. 385-409.
4
R. Barthes, , L’ovvio e l’ottuso, in Il corpo della musica, Einaudi, 1985, p.287. Per uno studio alle radici archetipiche
dell'emissione vocale: C. Bologna, Flatus vocis. Metafisica ed antropologia della voce, Il Mulino, Bologna, 1992;
M.L. Aucher, Le chant de l'énergie. La mouvance énergétique du chanteur, Paris, Hommes et Groupes, 1991. Per una
stimolante analisi etnomusicologica che collega l’emissione vocale folklorica con i comportamenti legati ai temi
dell’onore, della gelosia e della sessualità si vedano: Alan Lomax, Nuova ipotesi sul canto folkloristico italiano, in
«Nuovi Argomenti», n°17-18, novembre 1955-febbraio 1956, pp.108-135; ripreso da: Roberto Leydi, La musica dei
primitivi. Manuale di etnologia musicale, Milano, Il Saggiatore, 1961. Per un'angolatura psicologica: L. Pigozzi, A nuda
voce: vocalità,inconscio, sessualità, Torino, Antigone, 2008.
5
L’affermazione è di Giovanni d’Apamea, asceta siriaco del VI secolo d.C (Lettera III), citato in J. Hauscher Un grand
auteur spiritual retrouvé: Jean d’Apamée, in “Orientalia Christiana Periodica”, XIVI, 1948, p.25. Con essa l’autore
intende riprendere il concetto dell’unione tra voce e parola, parallela a quella tra anima e corpo. Sull'aspetto iniziatico
3
sconveniente, comunque lo si voglia intendere: l’acuto emesso a gola aperta, che mostra l’ugola
vibrante, ci rammenta con vivezza che la gola è un organo sessuale secondario; dal punto di vista
della fisiologia laringea, del resto, gli orli delle corde vocali ricordano con sorprendente evidenza
l’anatomia degli organi genitali femminili. Il piacere stesso che la voce procura all’ascoltatore è di
natura sensuale, da qui la proibizione ecclesiastica del canto femminile in chiesa da San Paolo in
poi ( Mulieres in Ecclesiis taceant [ Corinzi,14,34]) e la minuziosa casistica tridentina per regolare
l’uso del canto, corale e solistico, nelle funzioni liturgiche6. Si può immaginare il flusso canoro
come una potente emissione di suono che vibrando nell’aria accarezza l’orecchio, seduce
l’ascoltatore suscitando emozioni, percezioni, assonanze, fantasie, un vero e proprio petting sonoro,
un indistinto flusso di vitalità “vomitato” dalla bocca del cantore 7, in cui si può esperimentare
l’ambivalenza originaria. Questo fascino, questa inquietudine turbata accomunano la scena
operistica e quella mediatica del rock. Il cantante, posseduto dal suono come nella mania
coribantica, richiama l'immagine dell'androgino capace di rivelarci l’elusività della sessualità
umana8. Le urla, gli isterismi, il fanatismo che oggi vengono suscitati dalle esibizioni dei divi rock,
nei secoli scorsi erano provocati dai virtuosismi dei cantanti operistici; i riti oceanici che avvengono
nelle immense platee dei concerti si svolgevano precedentemente nella gazzarra dei teatri, luoghi di
comunicazione e di divertimento che dal Seicento, per almeno due secoli e mezzo, hanno
conquistato il pubblico di tutto il mondo.
Effettivamente niente, al di là delle dovute e notevoli differenze storiche ed antropologiche,
della voce: S. Connor, La voce come medium. La storia culturale del ventriloquio, Sossella ed. 2007; G. Rouget, Musica
e trance, Torino, Einaudi, 1986, pp.330-342. Per uno sguardo generale sulla fenomenologia della voce si veda: Corrado
Bologna, Voce, in Enciclopedia, vol. XIV, Torino, Einaudi, 1981, pp.1257-1292.
6
G. Stefani, Musica e religione nell’Italia barocca, Palermo, 1975
7
Per l’erotismo legato alla voce: D. Daolmi, E.Senici, L’omosessualità è un modo di cantare.. Il contributo queer
all’indagine sull’opera in musica, in « Saggiatore musicale»,VII, 2000, n°1, pp.137-178 e di M. Beghelli, Erotismo
canoro, in «Saggiatore musicale”, VII, 2000, n°1, pp. 122-136; R. Barthes, Miti d'oggi, Torino, Einaudi, 1974; Susan
Mcclary, Feminine Endings. Music, Gender and Sexuality, Minneapolis, University of Minnesota Press, 199. Sul
rapporto tra genere e sessualità nella voce operistica si vedano: C. Abbate, Opera; or, the Envoicing of Women, in
Musicology and Difference: Gender and Sexuality in Music Scholarship, a cura di Ruth A.Solie, Berkeley, University
of California Press, Berkeley- London, 1993, pp.225-58; M. Emanuele, Voci, corpi, desideri. La costruzione
dell’identità nel melodramma, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006. Per un’opposizione tra maschile semantico e
femminile vocalico e per il primato del canto sulla parola nel melodramma si veda: Adriana Cavarero, Voci del
melodramma in A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003.
8
Sull'archetipo dell'androgino si veda E. Zolla, L'androgino: l'umana nostalgia dell'interezza, Como, Red, 1989;
G. .Schiavone, L'androgino tra realtà e mito, Foggia, Bastogi, 1997; M. Delcourt, Hermaphrodite: mythes et rites de la
bisexualité dans l'antiquité classique, Paris, Presses Universitaires de France, 1958; sulla continuità storica del mito: F.
Franchi, Le metamorfosi di Zambinella. L’immaginario androgino fra Ottocento e Novecento, Lubrina Editore,
Bergamo, 1991; Fabio Vasarri, Scritture romantiche dell’androgino: Latouche, Balzac, Gautiert, Sand, tesi di dottorato
in francesistica, Università degli studi di Milano, 1994. Per l'ermafroditismo in campo artistico vedi la tesi di laurea di
Sara Arfanotti, Hermaphrodito. Il corpo neutro e il corpo doppio, tesi di diploma di II livello, Accademia Belle Arti
Firenze .a.a 2010-20
4
somiglia di più ad un concerto rock che un’opera barocca con le sue trovate sceniche mirabolanti, i
suoi costumi ed i cantanti evirati eccentrici, idolatrati da sovrani, gentiluomini e borghesi. In
entrambi i casi il melos rappresenta di per sé una rottura della mimesis aristotelica, è la meraviglia e
non la verosimiglianza, l’irruzione del fantastico e dell’assurdo. L’accettazione, da parte del
pubblico, che l’interprete sulla scena canti, e non parli, costituisce il patto primigenio che fonda la
convenzione del melodramma, nato, guarda caso, per riproporre l’uccisione rituale del tragos e la
nascita della tragedia, così come l'aveva pensata Nietzsche. «Il canto operistico è il linguaggio della
passione» afferma Adorno, non è difficile riconoscere in esso, infatti, l’ultima forma di trance della
società occidentale9.
Inebriamenti e deliri molto letterari, questi, legati anche alla concezione del mondo musicale ita-
liano, sentito come attraente e repulsivo da parte degli intellettuali stranieri, che attribuivano al ca-
9
G. Rouget, Musica e trance, Torino, Einaudi, 1986, pp.330-342.
10
D. Fernandez, Porporino, p.104
11
Honoré de Balzac, Serrasine (1830), tr. It di Maria Ortiz, Milano, Mondadori, 1993, pp.55-57.
5
lore meridionale gli eccessi temperamentali degli abitanti e la loro indole individualista e sensuale:
«Lust chose the torrid zone of Italy | Where blood ferments in rapes and sodomy» (il vizio predilige
le torride regioni d’Italia dove il sangue eccita alla violenza e alla sodomia), scriveva Daniel Defoe
nel 1700. Il castrato era un prodotto “italiano”12, un monstrum apportatore di delizie e di corruzione,
un freak che metteva in discussione i confini tradizionali tra uomo e donna, tra sessuato ed asessua-
to, e rappresentava di fatto la più inquietante delle devianze, quella dell’identità sessuale; la sua vo-
ce artificiale divenne la voce ideale del virtuosismo e del patetismo barocco, la voce - modello per
la pirotecnia e la meraviglia dei trilli e delle volatine, delle scale e degli arpeggi, dei fiati intermi-
nabili e delle mirabolanti variazioni, esito paradossale per quella che era considerata la vocazione
“naturale” degli italiani alla musica13. Ai castrati, detti anche “musici”, venivano attribuiti i ruoli più
nobili e più eroici, che richiedevano la voce più bella e potente: sulla scena, truccati da donna o
vestiti sontuosamente con strascico, maniche a sbuffo e pennacchio catturavano l’attenzione del
pubblico, mentre si svolgeva la fantasmagoria delle scenografie favolose, degli “effetti speciali”e
delle macchine per volare. I castrati potevano interpretare indifferentemente ruoli maschili e fem-
minili, di eroe o di “prima amorosa”, di contralto o di soprano, in una distribuzione delle parti che
non rispettava alcun criterio di verosimiglianza ma rispondeva ad una convenzionale adesione a co-
dici, a segni musicali e drammatici tipici dell’opera del tempo. Le voci maschili di tenore e basso
erano considerate rozze e troppo pesanti per le volute leggiadre delle partiture barocche ed interpre-
tavano quindi parti secondarie, i tenori en travesti nelle opere buffe giocavano spesso il ruolo grot-
tesco della vecchia nutrice vogliosa ed impenitente. Poteva capitare, come ad esempio nel Pompeo
di Alessandro Scarlatti, eseguito a Napoli nel 1684, che su undici personaggi quattro fossero castra-
ti, impegnati in ruoli sia maschili e che femminili, che le cantanti donne fossero quattro, di cui tre
12
La tecnica dell’evirazione, di origine orientale, venne utilizzata dalla Chiesa per l’utilizzo polifonico delle voci
bianche della cappella Sistina. Ufficialmente i castrati furono ammessi alla cappella pontificia nel 1599 e divenne poi
naturale che cantanti evirati partecipassero alle opere liriche, tanto più che il nuovo genere del melodramma richiedeva
una tecnica vocale professionale, una estensione di almeno due ottave e una notevole perizia; qualità che i castrati
possedevano, spesso in maggior grado delle cantanti donne, grazie al loro lungo apprendistato musicale. La castrazione,
proibita dalla legge, era praticata nella penisola con varie scuse e dal 1630 circolavano nei cori ecclesiastici e nei teatri
di tutta Europa diverse centinaia di cantanti evirati, tutti italiani, che divennero i divi incontrastati della scena operistica
internazionale per oltre due secoli. L’orchiectomia subita in periodo pre-puberale impediva la comparsa dei caratteri
sessuali secondari, rallentando l’ingrossamento della laringe, che normalmente al momento della “muta della voce”, si
amplia di un terzo provocando negli uomini un abbassamento di tono di circa un’ ottava. Tuttavia si suppone che, a
detta dei testimoni del tempo, la voce del castrato non rimanesse infantile, né divenisse “femminile” tout court, perché
il registro di petto rimaneva assai potente e sviluppato verso gli acuti. Possiamo arguire che essa possedesse, se bene
allenata, straordinarie qualità di flessibilità e forza, di estensione e di dominio dei fiati, in grado di ricoprire tessiture
maschili e femminili, con un’estensione che comprendeva, a secondo dei casi il range del contralto e del soprano e
talvolta anche quella del baritenore. Qualità che attrassero l’interesse di musicisti e compositori verso le potenzialità e
la bellezza di questa “macchina per cantare”
13
«Chi non ha ascoltato il bel canto italiano non sa che cosa sia la musica», afferma la poetessa Corinna, in M.me De
Staël, Corinna ovvero l’Italia, Torino, UTET,1961, p.240
6
interpretavano personaggi maschili. Al di là delle prescrizioni ecclesiastiche, che impedivano alle
artiste di calcare le scene, il gusto per l’equivoco e il travestimento era connaturato all’opera fin dai
suoi inizi e andava ben oltre la presenza dei castrati14. Basti pensare che fu un giovanetto ad imper-
sonare Dafne nell’omonima opera di Rinuccini nel 1600 e che L’incoronazione di Poppea di Mon-
teverdi (1643) prevedeva due soprani per i ruoli maschili di Nerone e di Ottone e due contralti
(femmine) per Poppea e Ottavia, mentre la nutrice Arnalta era impersonata da un tenore en travesti.
In seguito al contralto femmina vennero affidate parti da uomo mentre invece i ruoli femminili ve-
nivano cantati da un soprano (castrato). In tutta le musica antica, del resto, le espressioni soprano ,
tenor alto indicavano un territorio musicale, una tessitura e non ruoli sessualmente determinati. La
moda del travestitismo operistico giunse all’assurdo in occasione dell’ esecuzione di Achille in
Sciro del Metastasio con la musica di Bertati al San Carlo di Napoli nel 1737. La storia narrava il
noto episodio in cui Achille, travestitosi da donna per amore, getta alla fine i panni femminili per
rivelare il suo vero sesso ed imbracciare le armi. Il caso volle che in quel caso l ’eroe greco fosse
impersonato dalla famosa cantante Vittoria Tesi, per cui l’agnizione finale della reale identità virile
del protagonista acquistò un aspetto paradossale.
Ma il gusto del mascheramento e della “finzione nella finzione” evidentemente andava incontro alle
aspettative dello spettatore, che era affascinato dalla fanciulla guerriera che nascondeva le forme
femminili sotto mentite spoglie e dagli scambi continui d'identità e di genere che costellavano
l'opera barocca; la presenza del castrato rinfocolava con la sua presenza perturbante le attrattive
dell’ambiguità. Giacomo Casanova, ricordando l’esibizione nei teatri romani del giovane favorito
del cardinale Borghese, ci offre una descrizione assai precisa del fascino erotico suscitato
dell’ambivalenza di genere:
Ma sulla scena, vestito da donna, infiammava tutti [...]Stretto in un busto molto ben fatto aveva una vita da ninfa e
poche donne avevano un seno più sodo e più attraente del suo.
14
Sui vari tipi di travestimento in epoca barocca si veda qui un parziale elenco: Orazio Persiani, Le nozze di Teti e Peleo,
1639; Aurelio Aureli, Erismena, 1655; Giovanni Andrea Moniglia, Semirami, 1667; Camillo Badoer, Sesto Tarquinio,
1679; Giulio Cesare Corradi, La Gierusalemme liberata, 1687 – Aureli, Eliogabalo, 1668; Matteo Noris, Galieno, 1676;
Vincenzo Nolfi, Bellerofonte, 1642 (con un fraintendimento lesbico); Giovanni Faustini, La Calisto, 1651; Francesco
Maria Piccioli, Messalina, 1679; Sigismondo Capece, Tetide in Sciro, 1712 – Faustini, La virtù de’ strali d’Amore, 1642;
Aureli, Massimo Puppieno, 1684;Scipione Errico, Deidamia, 1644; Faustini, L’Euripo, 1649; Faustini, Doriclea, 1650;
Giacinto Andrea Cicognini, Orontea, 1656; Piccioli, Messalina, 1679; Capece, Tetide in Sciro, 1712 – Faustini,
L’Euripo, 1649; Noris, Domiziano, 1673; Corradi, L’inganno regnante, 1688, Gian Francesco Busenello,
L’incoronazione di Poppea, 1643; Gio. Filippo Apolloni, La Dori, 1663; Giacomo Francesco Bussani, Massenzio, 1673;
Bussani, Giulio Cesare in Egitto, 1677; Aureli, Massimo Puppieno, 1684 – Capece, Tetide in Sciro, 1712; Faustini,
L’Eupatra, 1655; Nicolò Minato, L’Antioco, 1658; Minato, Elena, 1659; Apolloni, La Dori, 1657 – Faustini, L’Eritrea,
1652; Minato, Artemisia, 1656; Aureli, La costanza di Rosmonda, 1659; Beregani, Annibale in Capua, 1661. Si veda in
Daolmi, Senici, L'omosessualità, nota 56. Si veda anche la tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo di Elena Peruzzo,
Il travestitismo di genere nel teatro italiano del Seicento, Università degli Studi di Firenze, 2010. Più in generale: A.A,
V.V, Travestimenti e metamorfosi. Percorsi dell’identità di genere tra epoche e culture, a cura di Laura Guidi e
Annamaria Lamarra, Napoli, Filema, 2003. Sul travestitismo femminile: S. Rutherford, Women Dressing Men, in The
New Woman and her Sisters. Feminism and Theatre. 1850-1914, a cura di V. Gardner., New York-London, 1992.
7
[...] Era evidente che voleva piacere a quelli che erano attratti da lui in quanto uomo, ma anche da lui in quanto
apparentemente donna[...]Roma, la santa, che obbliga tutto il genere umano a diventare pederasta!» 15
Montesquieu, in visita a Roma nel febbraio 1729, confermava questa osservazione:
Alla mia epoca a Roma c’erano due piccoli castrati: Mariotti e Chiostra, vestiti da donna, che erano le più belle creature
che abbia visto in tutta la mia vita e che avrebbero ispirato il gusto di Gomorra anche a chi non avesse la minima
propensione verso questa depravazione. Un giovane inglese, credendo che uno di questi fosse una donna, se ne
innamorò follemente, e rimase con questa passione per più di un mese. 16
Ma i castrati erano amati anche dal pubblico femminile, sia sulla scena che nelle alcove, Charles
De Brosses, ne lascia, infatti, questo malizioso ritratto:
Alcuni sono molto graziosi; si fanno ricercare e corteggiare dalle donne, le quali, secondo quanto sostengono le
cronache della maldicenza, se li disputano per i loro talenti, che sono innumerevoli 17
Ma se è vero che non tutti i pueri cantores evirati diventavano grandi cantati, spesso la mutilazione
genitale provocava difformità fisiche, obesità e un abnorme sviluppo del torace:
Diventano tutti grandi e grassi come capponi, con i fianchi, il sedere, le braccia, il petto, i colli tondi e paffutelli come
le donne. Quando si incontrano in un gruppo di persone si rimane sbalorditi, quando parlano, a sentire uscire da questi
colossi, una vocetta da bambini18.
Il giudizio dei contemporanei era contraddittorio, se Goethe nel suo soggiorno romano del 1789
mostrava di apprezzare le loro doti musicali: «i castrati che rappresentano parti di donna sono molto
bravi e piacciono sempre di più»19, il marchese De Sade lanciava strali velenosi sullo loro ugole
super-pagate:
Fa un bruttissimo effetto sentir uscire da un grosso corpo d’uomo, a un tempo massiccio ed informe, una vocetta chiara
e molto più alta di quella delle donne. A mio modo di vedere un innamorato cosiffatto non risulta persuasivo. La lunga
15
G. Casanova, Storia della mia vita, a cura di P. Chiara e Federico Roncoroni, Milano, Mondadori, 1984, Vol IV, p.336
16
Hubert Ortkemper, Angeli controvoglia. I castrati e la musica, a cura di A.Ghilardotti, Milano, Paravia, 2001, p. 71.
Si vedano anche R. Freitas, The Eroticism of Emasculation: Confronting the Baroque Body of the Castrato, in «The
Journal of Musicology», n°2, 2003, pp. 196-249; Id. Portrait of a castrato : politics, patronage, and music in the life of
Atto Melani, Cambridge University Press, 2009; K. Bergeron, The Castrato as History, in «Cambridge Opera Journal»,
VIII/2, 1996, pp. 167-184; M. Feldman, Denaturing the Castrato in «The Opera Quarterly», XXIV (2008), n°3-4, pp.
178-199; W. Heller, Varieties of Masculinity in Seventeenth-Century Opera, in «British Journal for Eighteenth-Centyry
Studies», n°28, 2005, pp. 307-321; A. N. André, Voicing Gender: Castrati, Travesti, and Second Woman in Early–
Nineteenth-Century Italian Opera, Bloomington, Indiana University Press, 2006; F. Bocchi, “Celesti sirene”. L'eunuco
cantore nella cultura del primo Barocco, tesi di laurea (rel.G. Guccini, corr. M. Beghelli), Università di Bologna, a.a.
2008-09; vedi anche la voce evirato curata da Fedele d’Amico in Enciclopedia dello spettacolo, vol. IV, Roma, Sadea,
1975 pp. 1719-1723. Niente di nuovo, quindi, nel dramma Mr. Butterfly di David Henry Hwang, storia di un
diplomatico francese innamorato di una cantante dell’Opera di Pechino, travestito e spia, da cui David Cronemberg ha
tratto un film nel 1993.
17
Charles de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Bari-Roma, Laterza, 1992, p. 585. Charles De Brosses,
(1709 – 1777), erudito archeologo, geografo, linguista, presidente del Parlamento di Borgogna, magistrato e scrittore
appassionato d’arte e di letteratura, ma anche di geografia e archeologia, compì un viaggio in Italia nel 1739-40.
18
ibidem
19
J.W. Goethe,Viaggio in Italia, III, Firenze, 1948, pag. 31.
8
tenuta e l’incredibile estensione della loro voce hanno, se volete, qualcosa di sorprendente, ma il piccolo piacere causato
da questa sorpresa è disturbato dai gesti ridicoli, dall’aria goffa, dai movimenti circolari del capo, dall’andatura grave e
malcerta del personaggio, e soprattutto dalle orribili smorfie che gli si vede fare per gonfiarsi lo stomaco di vento, che
lascia poi uscire dalla strozza, spesso con lo stesso rumore degli accessi di vomito, e che producono sibili di gola duri e
sgradevoli.20
Le corti di Vienna, Londra, Dresda, Parigi, Madrid se li contendevano e anche Gluck ed Händel
scrivevano per loro; Metastasio adorava Carlo Broschi, detto Farinelli, il più ammirato per la
purezza e dolcezza di timbro; lo stesso lord Burney confermava che durante la tournée a Londra
le sue esibizioni nell'Artaserse di Metastasio, con la musica di Hasse, provocarono nel pubblico uno
dei primi casi di fanatismo divistico: « un’estasi, un rapimento, un incanto»21. Hogarth ridicolizzò
nelle sue stampe questa nuova moda, ritraendo Farinelli tra i doni dei suoi ammiratori, oggetto di
culto quasi religioso. Come si conviene ai divi di tutte le epoche i castrati erano oggetti di
pettegolezzi mondani e storie scandalistiche, erano criticati per gli atteggiamenti capricciosi ed
arroganti e per gli aspetti fatui e ridicoli del loro essere “prime donne”. Al contempo alcuni di loro
venivano apprezzati per doti di carattere e squisita musicalità: il grande Gasparo Pacchierotti
(1740-1821), che contese con Farinelli la palma dell’eccellenza canora, destò l’ammirazione di
Stendhal, che andò a visitarlo nel 1815 e confessò « Imparai più musica in sei conversazioni con
questo grande artista, che da qualsiasi libro, era l’anima che parlava all’anima»22.
Il progressivo declino del fenomeno degli evirati cominciò a manifestarsi dalla metà del Settecento;
le critiche che sempre più insistentemente colpivano la loro “mostruosità”, la loro inaccettabile
mutilazione e il loro strapotere nel mondo musicale non si limitavano ad evidenziare la componente
omosessuale che sembra coinvolgerli, insieme ai loro estimatori. Da un certo momento in poi
castrato ( e cicisbeo23) cominciarono a costituire uno dei simboli della vergogna patria, l’immagine
dell’italiano guitto che si guadagna il pane (e qualcosa di più) nelle corti altrui, ma rimane
comunque e sempre un servo, l'emblema della “mancanza di carattere” degli italiani e della loro
“effeminatezza”, l'immagine neghittosa e antipolitica della “serva Italia”, che doveva risorgere e
20
Donatien-Alphonse-François Marchese di Sade, Viaggio in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, p. 35-36.
21
Charles Burney, Viaggio musicale in Italia, trad.it. Enrico Fubini, Torino, EDT, 1979, p. 188. Lord Charles Burney,
pioniere della critica musicale, iniziò nel 1770 il suo viaggio in Italia e lasciò un diario ricco di interessanti osservazioni
sulla vita artistica nella penisola.
22
A. Heriot, I castrati nel teatro d’opera, Milano, Rizzoli, 1962, p.193. Lord Mount Edgecumbe, che ebbe modo di
incontrare e di apprezzarlo durante i suoi viaggi descrisse così la sua arte: «La voce di Pacchierotti era quella di un
soprano di ampia estensione, piena e dolce al massimo grado; aveva grandi capacità esecutive, ma troppo buon gusto e
buon senso per abusarne quando non era il caso e si limitava ad un’aria di agilità per ogni opera, consapevole che le
delizie principali del canto e la sua suprema eccellenza consistevano nel raggiungere un potere espressivo e caldo e
raffinato», Heriot, I castrati, pagg. 194-195
23
R. Bizzocchi, Cicisbei : morale privata e identità nazionale in Italia, Roma, Laterza, 2008.
9
riscattarsi da un passato segnato dalla viltà e dalla mancanza di senso civico.24
La fortuna dei “musici”, insomma, già incrinata con la riforma del melodramma proposta da Gluck,
volse al tramonto quando si annunciava l’arrivo di un clima sociale e culturale che richiedeva il
risveglio di una partecipazione più attenta alla vita civile. Effeminatezza, in questo senso, non
significava tout court omosessualità, ma piuttosto mollezza, attenzione all’interesse personale e non
collettivo, scarso senso del sacrificio.
Già nei primi decenni del Settecento, per alcuni intellettuali inglesi come Defoe e Swift, Nicolino
Grimaldi, detto Nicolini, il castrato che aveva conquistato con le sue esibizioni mirabolanti il
pubblico inglese, era straniero, sodomita e “innaturale”, portatore di Italian Effeminacy, and Italian
Nonsense 25 , un vero mostro seducente, frutto del mondo cattolico degenerato, che attentava
all'integrità forte e virile del popolo inglese, “naturale” e portatore dei valori nazionali.
Ma anche nella nostra penisola si levavano pesanti critiche al mondo corrotto e frivolo del teatro
musicale, di cui i castrati erano i sovrani incontrastati: Salvator Rosa, Muratori, Algarotti, Alfieri,
Baretti, Parini, Sografi, Foscolo, al di là delle differenze delle singole posizioni, identificavano
nella crisi del contenuto musicale e drammatico dell’opera italiana il sintomo preoccupante del
generale decadimento della vita culturale e civile. Chi auspicava l’avvento di una riforma insieme
artistica e sociale cercava possibili segnali di rinnovamento anche attraverso le potenzialità insite in
campo musicale, mentre il castrato, «privo di ogni tintura di lettere, spoglio di ogni cognizione, e di
ogni coltivazione di spirito ignudo» 26 , portava impressa nel corpo e nell’anima la propria
mutilazione, come ricordava Parini, che lo rendeva incapace di “egregie cose”.
I «canori elefanti»27, come li chiamava Parini, non avrebbero potuto essere in grado di affrontare i
nuovi doveri che l'intellettuale aveva il compito di assumersi.
Grazie alle leggi napoleoniche, già al tempo di Rossini l’epoca dei grandi Caffarelli, Guadagni,
24
Per la querelle sul “carattere” degli italiani si veda soprattutto il I capitolo di S. Patriarca, Italianità. La costruzione del
carattere nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2010; . Cfr: anche Roberto Bizzocchi, Una nuova morale per la donna e la
famiglia, in Storia d’Italia, Il Risorgimento (Annali), vol. XXII, Alberto Maria Banti e Paul Ginsborg (a cura di), Torino,
Einaudi, 2007, pp. 69- 96.
25
«that unnatural Taste for Italian Music among us, which is wholly unsuitable to our Northern Climate, and the
Genius of the People, whereby we are over-run with Italian Effeminacy, and Italian Nonsense», traduzione: «quel gusto
innaturale per la musica italiana, totalmente inadatta al nostro clima settentrionale e al genio del nostro popolo, così che
siamo sopraffatti dall’effeminatezza italiana e dalle sciocchezze italiane» J. Swift, A Vindication of Mr. Gay, and the
“Beggar’s Opera”.Traggo la notizia, la citazione e la traduzione da L’‘altra’ nazione: cantanti (e) castrati italiani
nella Londra del Diciottesimo secolo, relazione di Serena Guarracino presentata al Convegno SIS 28-20 gennaio 2009
a Napoli.
26
G. Pindemonte, Discorso sul teatro italiano, in Componimenti teatrali, Milano, 1804, p.288
27
«Aborro in su la scena/ un canoro elefante/ che si trascina a pena/ su le adipose piante/ e manda per la gran foce/ di
bocca un fil di voce» e «Ahi, pèra lo spietato/ genitor che primiero/ tentò di ferro armato,/l’esecrabile e fiero/ misfatto,
onde si duole / la mutilata prole!», La musica del (1769) in G. Parini, Poesie e prose; con appendice di poeti satirici e
didascalici del Settecento, a cura di L. Caretti, Milano-Napoli, 1951, pag. 202, v. 1-10.
10
Pacchierotti, Marchesi, Farinelli, idolatrati dal pubblico e adorati dai sovrani, era superata. L’ultimo
di loro, G. Battista Velluti, lasciò le scene a 49 anni, rimpianto da Rossini che lo aveva scelto nel
1813 come protagonista di Aureliano in Palmira.
4 - ERMAFRODITE ARMONICHE
« Que tu me plais, ô timbre étrange,
Son double, homme et femme à la fois,
Contralto, bizarre mélange,
Hermaphrodite de la voix!»
Théophile Gautier in Poésies completes, vol III, pp.31-34
Scomparsi dalla scena i castrati, Rossini, nostalgico di quella modalità canora elegante e voluttuosa,
costruì personaggi di protagoniste femminili utilizzando la voce profonda del contralto, con cui
sembrò esaltare e riconfermare l’antica seduzione ermafrodita dell' «evirato cantore». Il musicista
impegnò questo timbro particolare- «monstre charmant» lo chiamava Gautier -, caratterizzato dalle
dense ombrosità del registro di petto, nelle opere buffe in parti piccanti ed energiche di civetta e
amorosa (Rosina nel Barbiere di Siviglia del 1816, o la battagliera Isabella nell'Italiana in Algeri)
oppure, come si è visto, nelle creazioni en travesti di giovinetti dal fascino virilmente efebico
come Arsace, Malcom nella Donna del Lago (1819), o Tancredi nell'opera omonima, dove cantanti
come Giuditta Pasta o Maria Malibran profusero le grazie della loro ambiguità vocale. In questi
decenni di trapasso, fino alla rivoluzione vocale romantica degli anni '30, le due grandi dive
incarnarono il modello di grande interprete belcantistica, capace di spaziare dai ruoli maschili, a
quelli femminili sublimi e tragici, buffi e patetici. La Pasta (1797-1865) e la Malibran (1808-1836)
furono straordinari Tancredi (e Romeo): amavano talmente il ruolo di “musico”, che si cimentarono
entrambe nel sostenere addirittura la parte del protagonista maschile nell' Otello di Rossini. Nate
come contralti, svilupparono anche la corda sopranile, divenendo eccezionali interpreti anche delle
opere belliniane come Norma e Sonnambula. Diverse per temperamento e stile di recitazione, più
scultoreamente neoclassica la Pasta, più eccentrica e naturalisticamente vivace la Malibran,
suscitarono entrambe fanatici consensi popolari e grande apprezzamento da parte degli intellettuali.
In particolare Maria Malibran, nata Maria Felicita Garcia, per la sua vita breve e spericolata e il suo
enorme talento, sembra anticipare da vicino alcuni tratti della star canora contemporanea.
Addestrata ferocemente dal padre, grande cantante anch'esso, a divenire “famosa”, in pochi anni lo
fu davvero; strabiliava il pubblico per l’effervescenza del suo temperamento che esplodeva in scena
grazie ad un’ agguerrita tecnica vocale, una spiccata sensibilità interpretativa e un’ esuberante
fisicità. Era divenuta in tutta Europa, ed anche in America, fanatico oggetto di culto: canzoni,
fantasie, aneddoti, immagini, monumenti, album, soprammobili erano ispirati alla sua figura di
11
donna e di artista. Il suo fascino vocale consisteva principalmente nell'essere «ermafrodita armonica
/voce che egual non ha» 28 , nel giocare cioè sulla ricchezza di sfumature che la sua vocalità
ambivalente poteva consentirle, facendo leva soprattutto sulle risorse del suo registro grave; la
giovane regina Vittoria, aveva ascoltato la Malibran in concerto a Londra ed era rimasta conquistata
da « quelle commoventi e splendide note basse, che erano veramente emozionanti29»
Al culmine della carriera, trascinata da una enorme vitalità, ma anche da una sotterranea vena di
autodistruzione, che la spingeva compulsivamente ad “offrirsi” al pubblico, Maria morì a ventotto
anni; era incinta e soffriva da mesi dei postumi di una rovinosa caduta da cavallo, ma aveva
continuato la sua forsennata galoppata tra viaggi, opere, concerti, serate, senza un momento di
respiro, senza tener conto dei violenti malesseri che l’assalivano da tempo. Morì praticamente sulla
scena: ritiratasi dietro le quinte dopo un bis, si spense dopo nove giorni di agonia.
Un radicale cambiamento nella prassi vocale avrebbe cambiato di lì a poco il panorama operistico
internazionale; si trattava di una vera e propria “rivoluzione” che stabilizzava, dal 1830 per almeno
un secolo, le attribuzione dei ruoli operistici, connettendoli con l'identità sessuale dei protagonisti. Il
rinnovamento che si svolgeva nel melodramma contribuiva a mutarne il carattere formale,
classicista e ancien régime, ma ne trasformava anche il significato profondo, orientando la finzione
scenica in direzionalità più scopertamente etiche e familistico - borghesi, a cui avrebbe attinto a
piene mani anche l’estetica risorgimentale per le sue esigenze fondative e nazionali.
Il tentativo di riappropriazione della “naturalezza” dei generi comportò anzitutto la revisione dei
ruoli sessuali e una loro rigida classificazione all’interno di categorie drammaturgiche e vocali ben
precise, uscendo così nettamente dalle ambivalenze dell'opera settecentesca. Nell’opera romantica
si giunse a codificare una regola semplice, ma essenziale: abolito il castrato, il soprano, - la
protagonista - era una donna giovane ed innocente, innamorata del tenore - indubitabilmente
maschio - l’eroe della vicenda, che la ricambiava; nella funzione antagonistica dei rivali e/o dei
cattivi si fissarono le voci medie del baritono e del mezzo-soprano. La prescrizione era talmente
28
«…Sento cantar Desdemona /con voce mascolina/sento cantar Desdemona/con voce femminina,/ermafrodita
armonica voce che egual non ha», Anonimo, Canzone a Maria Malibran, Napoli, 1835, riportata in Remo Giazotto,
Maria Malibran (1808-1836). Una vita nei nomi di Rossini e Bellini, Torino, ERI, 1986, Appendice n°5, pag 485.
29
Londra 26 settembre 1836, da The Girlhood of Queen Victoria. A selection from Her Majesty’s Diaries Between 1832
and 1840, a cura del Visconte Esher, London, John Murray, 1912, vol I, p. 168, in R. Giazotto, Maria Malibran,
Appendice n°6, p. 502.
12
normativa da divenire oggetto di una spiritosa quanto nota boutade di G. B. Shaw: «Il melodramma
è la storia di un soprano e di un tenore che hanno voglia di andare a letto insieme e di un baritono
che glielo impedisce» 30 . Il triangolo amoroso, in realtà, in tutte le sue possibili variazioni, era
sempre stato l’oggetto centrale del melodramma dai suoi inizi: quello del periodo romantico però
affrontava la dialettica dei sessi definendola, anche dal punto di vista vocale, in modo dicotomico,
eliminando la figura del castrato e la confusione ingenerata dai travestimenti. L’abitudine ad
utilizzare contralti-donne in ruoli maschili, come Arsace in Semiramide (1823) di Rossini, Romeo
in Capuleti e Montecchi (1830) di Bellini e Maffio Orsini in Lucrezia Borgia (1833) di Donizetti,
sarebbe durata fino alla fine degli anni '30 dell'Ottocento: Bellini pensava ancora ad un Ernani en
travesti, mentre Verdi scrisse il suo nel 1844 utilizzando come protagonista un tenore dalla vocalità
eroica e già squisitamente romantica. La tendenza generale mirava a relegare la voce “anfibia” del
contralto in ruoli femminili nettamente secondari, grotteschi o paurosi: di vecchia, di maga, di
zingara, in quanto evocatrice dei fantasmi inquietanti dell’ambivalenza. La pulsione erotica che era
stata innescata dall’utilizzazione sulla scena dei continui travestimenti e del castrato doveva essere
ora programmaticamente delegittimata, salvo poi ricomparire, non esorcizzabile, attraverso la
dionisiaca polisemia del medium vocale, refrattario ad ogni tipo di repressione, sempre e comunque,
sul palcoscenico.
Il tenore – voce sottoutilizzata in epoca barocca - divenne così il giovane eroe del melodramma,
appassionato, combattivo, generoso. A questo proposito era necessario, però, che la voce dell’uomo
si virilizzasse in modo deciso, caratterizzandosi in modo univoco rispetto al passato, e proprio per
questo la più acuta delle voci maschili registrò i mutamenti tecnici più significativi, che
contribuirono a farne la voce romantica per eccellenza, appassionata e lirica, adatta ad esprimere le
ragioni ideali dei sentimenti e non più il sensualismo sotteso dalle edonistiche fioriture dell’estetica
belcantistica. La scoperta della possibilità di utilizzare il registro tipicamente virile ( chiamato “di
petto”) non solo in basso, ma anche nelle tonalità più estreme della tessitura, attraverso il
meccanismo detto della “copertura”31, rese possibile l’ emissione degli acuti “ di forza” a piena voce
(il famoso “do di petto”), macigni di suono scagliati con forza poderosa, fiammate metalliche e
veementi che divennero da allora l’attributo virile inconfondibile dell’eroe vocale romantico, e della
30
Lo riporta R.Leibowitz, Storia dell'opera, Milano,1966, p. 274.
31
La “copertura” viene ottenuta attraverso l’azione dei muscoli crico-tiroidei che, associata a quella di altri muscoli
depressori della laringe, limita il naturale assottigliarsi delle corde vocali in acuto. I tenori settecenteschi salivano in
acuto “sbiancando la voce, cioè femminilizzandola. Nell’articolo Il do di petto, dissacrazione di un mito edito nel
«Saggiatore Musicale» III, 1996, n°1, pp. 105-149 Marco Beghelli ridimensiona la portata del cambiamento tecnico. Per
avvicinarsi a qualche cognizione di tecnica vocale si vedano: Franco Fussi, Silvia Magnani, L’arte vocale, Torino,
Omega, 1994 e il classico W. Vennard, Singing: The Mechanism and the Technic, New York, Fisher,1967.
13
voce tenorile così come la conosciamo adesso. Il contralto rossiniano, protagonista spigliata e
carnale, come si è detto, scomparve; al suo posto la voce più acuta e brillante del soprano cominciò
ad identificarsi invariabilmente con il ruolo della prima donna, in quanto si attribuivano alla
sublimità dei sentimenti che la animavano, alla sua giovinezza, caratteristiche più luminose ed
angeliche; tra le voci femminili medio-basse (mai protagoniste, però, dell' opera romantica) prese
campo il mezzo- soprano, voce dal timbro naturalmente più scuro e sensuale del soprano, ma con
colore più chiaro e tessitura più acuta del contralto, in accordo con la generale tendenza romantica a
trasportare tutti i registri verso l’alto. A questa voce media (il mezzo-soprano) potenzialmente
portatrice di valori destabilizzanti, in quanto il suo timbro caldo evocava i fantasmi della sessualità,
vennero in genere affidate parti o di antagonista/rivale perversa, oppure - con classico meccanismo
di negazione - di donna più anziana32. Tra quelle maschili, distanziandosi sia dal tenore che dal
basso, emerse la voce centrale del baritono, di solito l’odiato rivale. Le voci maschili basse, infatti,
spesso protagonisti nelle opere settecentesche ( si pensi a Don Giovanni o a Figaro in Mozart, a
Maometto II in Rossini ) furono utilizzati da allora in poi - Verdi è un caso a parte - per i ruoli di
antagonista, oppure di depositari del potere patriarcale contro cui andava ad infrangersi il sogno
d’amore dei giovani. Ridisegnata così la mappa vocale del melodramma, i giovani protagonisti
potevano intrecciare le loro vicende appassionate ed infelici, coronate sempre da una morte
sacrificale. Lo stesso culto per la giovinezza dei martiri e degli eroi caratterizza il canone 33
risorgimentale; Mazzini affermava che chi aveva superato i quaranta’anni non poteva
appartenere alla Giovane Italia poiché le speranze di rinnovamento, il futuro dei popoli risiedevano
nello slancio giovanile: «La gioventù è santa: la gioventù anela al sacrificio puro»34. Il ribelle, il
bandito, il rivoluzionario, il patriota erano animati dalla spericolata vitalità della gioventù, alieni dal
compromesso e animati da un afflato appassionato, i protagonisti dell’epopea risorgimentale
potrebbero essere accostati ai baldanzosi tenori, costretti a morire sulla scena. La vocalità
romantica acquistò così uno spessore etico e normativo, fornì i modelli di riferimento per la
32
R. Talmelli, Contralti e tenori ovvero il doppio registro. L'eredità dei castrati, in La voce del cantante, vol. V, a cura
di Franco Fussi, Atti del Convegno La voce artistica, Ravenna, ottobre 2007), a cura di F. Fussi, Torino, Omega, 2009,
pp. 219-233; N. A. .André , Voicing gender: Castrati, Travesti and Second Woman in Early-Nineteenth-Century Italian
Opera, Bloomington, Indiana University Press, 2006; K. Lawrence, Opera. Two or three things I know about her, in
Siren Songs. Rapresentations of Gender and Sexuality a cura di Mary Ann Smart, Princeton and Oxford, Princeton
University Press, 2000, pp. 186-203.
33
A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità ed onore alle origini dell’Italia Unita, Torino, 1999.
Per gli aspetti musicali e vocali ci sia consentito rimandare al saggio di S. Chiappini : La voce della martire. Dagli
evirati cantori all’eroina romantica, in Storia d’Italia, Il Risorgimento (Annali), vol. XXII, A. M. Banti e P. Ginsborg (a
cura di), Torino, Einaudi, 2007, pp. 289-328
34
G. Mazzini, D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia, in Scritti politici, a cura di F.
della Peruta, I, Torino, 1976, p.115.
14
costruzione della femminilità e della virilità, nella prospettiva, auspicata anche da Mazzini, di
contribuire, tramite il carisma musicale e la capillarità della ricezione operistica, alla diffusione di
una pedagogia patriottica e morale necessaria al rinnovamento civile della nuova nazione. Alla
figura femminile, in particolare, « santa d'avvenire e di purificazione»35, Mazzini affidava il compito
fondamentale di «rigenerare» la «serva Italia», attraverso il dono dell'amore e l'educazione al
martirio. L’eroina ottocentesca si avviava così al suo destino di vestale dei sentimenti: amoroso,
filiale e soprattutto materno, in nome dei quali diveniva la vittima generosa capace di sacrificarsi
per il bene tutti. Riportata alla sua “naturalità (si pensi alla prescrizione rousseauiana
dell’allattamento a seno, contro alla pratica aristocratica dell’affidamento alla balia) la funzione
materna diventava potentemente affettiva, e quindi idealizzata e depurata della ambiguità e dei
conflitti. Alle eroine omicide della tragedia classica come Medea o a quelle incestuose come
Semiramide o Fedra si sostituirono Norma, Lucia, Violetta che si redimevano attraverso il dolore, la
follia, la malattia e la morte.36
15
buffonesco; il mezzo-soprano si maschera due volte, interpretando un ruolo maschile che veste poi
panni femminili, ed esibendo un notevole virtuosismo interpretativo. Ci dimentichiamo che il
bell'Octavian è in realtà una donna e ridiamo ai suoi goffi tentativi di simulare la ritrosia selvatica
della cameriera, alle prese con le smanie senili del barone.
Il cross dressing, divenuto raro nell’Ottocento (o relegato a momento grottesco), ritorna quindi a
frequentare i palcoscenici del Novecento. L’ambiguità riemerge, insieme ad un tormentato erotismo.
Gabriele D'Annunzio aveva voluto Ida Rubinstein, ballerina e mima dalla bellezza androgina, come
interprete del suo Le martyre de saint Sébastien (1910) “mistero”, estenuato melange tra religione e
sensualità, musicato da Debussy, che presentava il santo come un efebo omosessuale, delicato e
ardente d' amore; il tormento e l'estasi del bellissimo Adone assumevano coloriture di morbosità
decadente tali da suscitare le scandalizzate reazioni del vescovo di Parigi, che minacciò di
scomunica gli spettatori desiderosi di ammirare a teatro le nudità trafitte dell' androgina Ida. Non è
un caso che la successiva trasformazione in icona gay di san Sebastiano risenta anche di questa
versione liberty del santo martire.
Nel Novecento l’omosessualità compare sulle scene del melodramma: non solo in Lulu, di Berg
(1937), e più o meno apertamente in composizioni di Britten37, ma anche in varie opere degli ultimi
decenni che si prestano ad una lettura queer. Ma se gettiamo uno sguardo sulla contemporaneità
dobbiamo constatare che il melodramma, da più di mezzo secolo, non gode della diffusione e della
popolarità di un tempo; è divenuto un genere colto e desueto, riservato in genere a cultori
specialistici o ad un pubblico nostalgico. L'attenzione dei mass media, delle case di produzione e
dei pubblici di tutto il mondo è rivolto ad altre forma di intrettenimento, alla musica pop-rock, che
polarizza l'interesse dei giovani, e meno giovani, attraverso modalità comunicative nuove, tra cui un
diverso uso dello strumento vocale: non più voci “impostate” atletiche e metalliche, adatte a farsi
sentire senza amplificazioni negli spazi teatrali, ma piuttosto voci “naturali”, modificate dall'uso dei
microfoni. Con questa strumentazione, e le “magie” della sala d'incisione, anche i difetti di
emissione possono divenire “interessanti” 38 , non solo perché il microfono, sapientemente usato,
valorizza le inflessioni, gli effetti, le particolarità del timbro, amplifica risonanze e volume, ma
anche perché una voce canonicamente “bella” non è più necessaria nell’ambito della musica leggera,
conta piuttosto la capacità di essere inconfondibili, comunicativi, accattivanti, facilmente fruibili. Il
cantante d’opera era costretto ad una disciplina costante per conservare la propria integrità vocale,
37
Come ad esempio Peter Grimes, Albert Herring, The Turn of the Screw, Owen Wingrav, Billy Bud (1951).
38
I modelli estetici sono indubbiamente cambiati; in questo contesto anche le patologie della fonazione possono essere
motivo di attrazione: la presenza di afonie dovute a noduli “particolarizza” la voce, come conferma il caso di Bonnie
Tyler, una cantante rock inglese che ha confessato in un’intervista di dovere il suo successo (It's a hearthace del 1977)
ad una operazione che l’aveva resa disfonica.
16
esattamente come un atleta deve mantenere alte le sue prestazioni, la voce del divo pop-rock, meno
aderente a codici estetici e a convenzioni, si propone come spontanea e derivante direttamente dal
parlato; anzi, una voce arrochita dal fumo e dall’alcool, o resa afona dagli stupefacenti è considerata
“particolare”, perché reca l’orma delle esperienze dell’interprete e ne rispecchia la biografia
tormentata. Da Marlene Dietrich, a Billie Holiday, da Edith Piaf a Nina Simone e Janis Joplin i
cantanti hanno detto molto della loro vita con la voce.
La preminenza della voce nero-americana, in cui prevale, nell’ambito pop, l’uso “incolto” del
registro di petto e una capacità di salire in alto spesso aggressiva ed irruente, è oggi indiscutibile,
costituisce anzi un modello stilistico la cui importanza può essere paragonata a quella che nel Sei-
Settecento era appannaggio della scuola italiana e dei suoi affascinanti castrati. Ma anche voci di
bianchi come quella di Antony (and The Jonhsons), androgina drag queen dell'underground
newyorkese, divenuta dal 2005 una star del neo-romanticismo, sono significative: contralto con
sfumature celestialmente ermafrodite ripropone la malia di una voce al di là dei generi, che per certi
versi ricorda quella di Kathleen Ferrier, contralto di scuola inglese degli anni '50, affascinante
interprete di Gluck, di Bach e di musica da camera. L'esuberanza vocale di Freddy Mercury, la
sensualità graffiante delle sue note basse, accompagnata da un falsetto potente e morbido, le sue
esibizioni corporee elettrizzanti richiamano quella di un cantante barocco, nel suo costume fastoso
all'interno di una messa in scena fantasmagorica. Il feticcio canoro si offre “in pasto al pubblico” in
una oblazione simbolica che trapassa secoli e mode, e accomuna Maria Malibran a Mick Jagger,
Maria Callas a Micheal Jackson.
Il mondo gay ha continuato a mantenere un 'attenzione significativa verso il melodramma.
L'espressione opera queen, che tradotto in modo gaglioffo suona “checca/finocchio melomane”,
vuole riferirsi all'ascoltatore appassionato di lirica, che segue tutte le stagioni operistiche, si sbraccia
in teatro per applaudire la sua cantante preferita, di cui conosce tutte le uscite discografiche e di cui
assume i vizi e i tic istrionici e capricciosi. 39
Perché oggi l'opera (quella romantica, col triangolo tradizionale: lui, lei l'altro) piace proprio ai gay
e perché piacciono soprattutto i personaggi femminili (quelli delle vittime appassionate e perdenti) e
le cantanti-donne che le interpretano?
Si potrebbe forse rispondere che la femminilità grandiosa (anche se sconfitta) rappresentata sul
39
W. Koestenbaum, The Queen’s Throat: Opera, Homosexuality, and the Mystery of Desire, New York, Poseidon, 1993;
Id., Queering the Pitch: The New Gay and Lesbian Musicology (1994) edited by Philip Brett, Elizabeth Wood and Gary
C. Thomas; Musicology and Difference. Gender and Sexuality in Music Scholarship, edited by Ruth A.Solie,
University of California Press, Berkeley- London, 1993;V. L. Bollough, B. Bollough, Cross Dressing, Sex And Gender,
Philadelphia, University Of Pennsylvania Press, 1993; C.E. Blackmer, P. J. Smith, En Travesty. Women, Gender
Subversion, Opera, New York University Press 1995.
17
palcoscenico dall'eroina melodrammatica somiglia all'artificiale esagerazione del drag, così come il
cross-dressing mima la femminilità iperbolica e teatrale della “vera donna”. Simone de Beauvoir
affermava che la “vera” donna è un prodotto artificiale, con tacchi, parrucche e ciglia finte, come
una volta lo erano i castrati. In questo momento storico i limiti e le interconnessione tra i generi e la
loro rappresentazione diventano sottili ed osmotiche: secondo i modelli standardizzati della
pubblicità il corpo maschile è presentato come muscoloso e tornito, abbondante e plastico, quello
femminile, invece, efebico e spigoloso, leggermente spiritato, fornito solo da gadget che sembrano
posticce protesi turgide: labbra gonfie e allusive e seno incongruamente abbondante sul busto
ossuto.40
Se il melodramma barocco esprimeva una variabilità di utilizzazioni vocali in contrasto con la
“naturalità” dei generi sessuali, il canto lirico ottocentesco ha stabilizzato come “naturale” la
famiglia borghese, la polarità edipica padre/madre, figlio/figlia e “altro”, traducendola in termini
drammaturgici e vocali: basso/contralto = genitore; tenore e soprano = figli; baritono e mezzo-
soprano = rivali/antagonisti. La voce del tenore nell'Ottocento è divenuta nettamente virile e
collegata ad un'identità sessuale inequivocabilmente maschile perché delegata a costruire
nell'immaginario un modello sociale e rappresentativo non ambivalente41.
Tuttavia l'opera, nel suo smaccato artificio, consente comunque il trascendimento dei generi,
smascherandone la relatività; la convenzione operistica ha sempre permesso l'intercambiabilità dei
ruoli sessuali non solo attraverso la macchina dei travestimenti, ma soprattutto grazie la centralità
della voce, medium refrattario ad ogni sterilizzazione normativa. «La sensualità imperiale dello
spettacolo d’opera»42 nasce da una varietà di sollecitazioni sensoriali uditive, visive, olfattive,
quali luci, scenografia, costumi, profumi, e, non ultimo, il piacere di vedere e di essere visti.
Il canto operistico, inoltre, è un atto atletico innaturale e di grande dispendio energetico, ma è anche
un atto marcatamente sessuale, esagerato e drammatico, che ha come centro la gola e la bocca, zone
erogene primarie per una fantasia omosessuale. Scagliare montagne di suono diffuse su due ottave
davanti a migliaia di persone, e senza microfono, è un atto che richiede una certa dose di follia: può
essere interpretato come un orgasmo, o come un uscire allo scoperto emotivo, fondamentale per chi,
40
J. Butler, Scambi di Genere. Identità sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004; Id. Corpi che contano. I limiti
discorsivi del “sesso”. Milano, Feltrinelli,1996; Id, La disfatta del genere, a cura di O. Guaraldo, traduzione di P.
Maffezzoli, Roma, Meltemi, 2006.
41
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, Milano, Feltrinelli,1999, p.102.
42
R. Barthes, Il fantasma dell’Opéra, in La grana della voce,Torino, Einaudi, 1986, p. 183
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come il gay, sta nel “closet” e non può “urlare-cantare” la sua pena.43 Inoltre la cantante -femmina
carismatica, che l'opera queen adora, assume, proprio attraverso la passione, il desiderio, il
sacrificio, un ruolo eroico e centrale, assai più del suo spesso incontrollato e stolido innamorato.
Uccisa, abbandonata o straziata, l'eroina gode di una superiorità drammaturgica incontrastata, la sua
voce travolge e commuove, stupisce: corre tra i registri a travestirsi con acuti infantili e voci di
petto inquietanti, come la divina Maria, l'amante perfetta ed irraggiungibile per ogni opera queen.
43
P. Robinson, The opera queen: A voice from the closet, in Cambridge Opera Journal, vol. VI, n° 3, novembre 1994,
pp. 283; M. Morris, Reading as an Opera Queen, in Ruth A. Solie (a cura di), Musicology and Difference. Gender and
Sexuality in Music Scholarship, University of California Press, Berkeley, 1993.
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