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Magrelli Poems

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Da Ora serrata retinae, 1980

Dieci poesie scritte in un mese


non è molto anche se questa
sarebbe l’undicesima.
Neanche i temi poi sono diversi
anzi c’è un solo tema
ed ha per tema il tema, come adesso.
Questo per dire quanto
resta al di qua della pagina
e non può entrare,
e non deve. La scrittura
non è specchio, piuttosto
il vetro zigrinato delle docce,
dove il corpo si sgretola
e solo la sua ombra traspare
incerta ma reale.
E non si riconosce chi si lava
ma soltanto il suo gesto.
Perciò che importa
vedere dietro la filigrana,
se io sono il falsario
e solo la filigrana è il mio lavoro.
**
Scivola la penna
verso l’inguine della pagina,
ed in silenzio si raccoglie la scrittura.
Questo foglio ha i confini geometrici
di uno stato africano
in cui disegno
i filari paralleli delle dune.
Ormai sto disegnando
mentre racconto ciò
che raccontando si profila.
È come se una nube
arrivasse ad avere
forma di nube.
Da Nature e venature, 1987

E se questi giri di serratura


non finissero più?
E se dovessi restare tutta la vita
qui fuori, a girare la chiave?
Faccio la copia delle mie chiavi
faccio la copia delle mie copie
quello che spendo per moltiplicarle
serve a togliere a ognuna il suo valore
il mio Valerio. Nel profilo dei versi
io riproduco la sagoma
dentellata delle chiavi.
**
Rosebud
Non pretendo di dire la parola
che scoccata dal cuore traversi
le dodici scuri forate
fino a forare il cuore del pretendente.
Io traccio il mio bersaglio
intorno all’oggetto colpito,
io non colgo nel segno
ma segno ciò che colgo, baro,
scelgo il mio centro dopo il tiro
e come con un’arma difettosa
di cui conosco ormai
lo scarto, adesso
miro alla mira.
**
Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo.
Da Esercizi di tiptologia, 1992
Che la materia provochi il contagio
se toccata nelle sue fibre ultime
recisa come il vitello dalla madre
come il maiale dal proprio cuore
stridendo nel vedere le sue membra strappate;
Che tale schianto generi
la stessa energia che divampa
quando la società si lacera, sacro velo del tempio
e la testa del re cade spiccata dal corpo dello stato
affinché il taumaturgo diventi la ferita;
Che l’abbraccio del focolare sia radiazione
rogo della natura che si disgrega
inerme davanti al sorriso degli astanti
per offrire un lievissimo aumento
della temperatura ambientale;
Che la forma di ogni produzione
implichi effrazione, scissione, un addio
e la storia sia l’atto del combùrere
e la Terra una tenera catasta di legname
messa a asciugare al sole,
è incredibile, no?
**
L’abbraccio
Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.
**
L’imballatore

Cos’è la traduzione? Su un vassoio


la testa pallida e fiammante d’un poeta
1. Nabokov
L’imballatore chino
che mi svuota la stanza
fa il mio stesso lavoro.
Anch’io faccio cambiare casa
alle parole, alle parole
che non sono mie,
e metto mano a ciò
che non conosco senza capire
cosa sto spostando.
Sto spostando me stesso
traducendo il passato in un presente
che viaggia sigillato
racchiuso dentro pagine
o dentro casse con la scritta
“Fragile” di cui ignoro l’interno.
È questo il futuro, la spola, il traslato,
il tempo manovale e citeriore,
trasferimento e tropo,
la ditta di trasloco.
Da Didascalie per la lettura di un giornale, 1999

Codice a barre
Onoriamo l’altissimo vessillo
che sventola sul regno della cosa
l’anima crittografica del prezzo
rosa del nome e nome della rosa
mazzo di steli, fascio
di tendini e di vene
— polso
per auscultare
il battito del soldo.
Annunci immobiliari

Affittasi villino sopra la ferrovia


con tavernetta adiacente
il capolinea dei bus
e salotto limitrofo al metrò.
Povere case abitate dal rumore
dove famiglie piccole e isolate
si stringono — uccelletti sopra i cavi
dell’alta tensione. L’alta
tensione del censo
e delle classi, l’alta
tensione del denaro,
quella scossa invisibile
che divide le vacche
nei campi, e voi da noi.
Non toccare la corrente che ti scivola accanto,
lasciala sospirare mentre romba
via sui tralicci
nel suo cupreo fiume
intrecciato.
**
L’angolo del bambino: Associazione Sostegno Malati d’Asma

Non avere paura del respiro,


perché dà e toglie come la marea:
lascialo andare senza trattenerlo,
non chiuderlo nel pozzo dell’apnea.
Devi essere indulgente col respiro,
come se fosse uno yo-yo invisibile:
se frusciando scompare e ti abbandona,
sempre frusciando tornerà infallibile.
Da Disturbi del sistema binario, 2006

Su un’aria del “Turco in Italia”


Cara Italia, alfin ti miro.
Vi saluto, amiche sponde.
A. Rossini
Riposa tutta quanta la Penisola
avvolta da una trepida collana
di affogati. Ognuno di loro è una briciola
fatta cadere per ritrovar la strada.
Ma i pesci le hanno mangiate e i clandestini,
persi nel mare senza più ritorno,
vagano come tanti Pollicini
seminati nell’acqua torno torno.
**
Misery non deve morire
Il professor Terribile fruga dentro la bara di Petrarca.
Terribile è quest’opera di necrologia,
recensione di polvere,
critica del sudario.
Ma il professor Terribile fruga anche dentro il cranio
di Petrarca,
casomai vi restasse una quartina
avanzata,
una quartina di tenebra.
Terribile è l’amore di chi legge
e non vorrebbe smettere di leggere
nemmeno fra le ossa di chi scrisse.
Nota. Nella mattinata di martedì 18 novembre 2003, all’interno dell’arca sepolcrale di Francesco
Petrarca presso Arquà Petrarca, Vito Terribile Wiel Marin, professore onorario di anatomia
patologica nell’Università di Padova, ha avviato una ricognizione scientifica sui resti mortali del
poeta, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. In tempi di Tomb
Raider, ha rilevato Marco Giovenale, l’evento rappresenta “una specie di pac: Poetografia
Assiale Computerizzata”.
**
Infanzia del lavoro
Guarda questa bambina
che sta imparando a leggere:
tende le labbra, si concentra,
tira su una parola dopo l’altra,
pesca, e la voce fa da canna,
fila, si flette, strappa
guizzanti queste lettere
ora alte nell’aria
luccicanti
al sole della pronuncia.
**
Difesa e illustrazione del licantropo
Siamo giovani, barcolliamo ancora per strade irregolari, la nostra età non ci dà la calma di
pensare e agire. Non conosciamo ancora la formula dello scongiuro. Soltanto il tempo potrà
placare le figure meravigliosamente diseguali che frugano nel nostro intimo e lo
sconvolgono.
A. von Kleist
Mio figlio copia lettere di fuoco,
maiuscole che guizzano miniate.
Scruta per ore un libro di graffiti
riproducendo sul suo quadernetto
talismani illeggibili:
li aiuta a ardere meglio disegnando,
in un futuro criptato,
l’oroscopo della sua generazione.
E cancella, e dipinge, e corregge
affinché i fiammeggianti arabeschi
si contorcano nella vampa del colore
come le vittime di un rogo sacrificale
chiamate a ammonire i passanti
e insieme mostrare l’ustione
immedicata dell’adolescenza.
**
La famiglia del poeta
Ci amiamo tanto
ma ogni cozzo è un lampo,
qui dentro, stretti stretti,
vicini ogni momento
in un sacchetto annodato dalla sorte:
si sente forte come
per gli urti ticchettiamo!
Da noi non fa mai notte,
c’è sempre uno sprazzo che scocca
illuminandoci appena ci tocchiamo.
Noi ci vogliamo bene,
ma di un bene che abbaglia
e certe volte scotta.
Noi siamo la famiglia
delle pietre focaie.
Da Il sangue amaro, 2014

Cave cavie!

A Isabelle Stengers
O forse sono cavie, queste poesie che scrivo,
per qualche esperimento concepite,
che tuttavia non so.
Non so perché si formano,
eppure mi affeziono e le chiamo per nome,
topolini vivissimi, allarmati
da che?
**
La curva
Nella curva, la stessa, in montagna,
scendendo dalla macchina,
mia figlia, piccolina,
vomitava, per strada, tutti gli anni.
Ormai la conoscevo:
come al nostro santuario, ci fermavamo
per consolarne i pianti, pulirla e passeggiare
lungo il tornante dell’alba.
Altre vacanze, noi vecchi, lei cresciuta,
ma quella sosta mi rimane in mente,
cruna della nostra famiglia
nella fuga in Egitto.
Ogni famiglia è in fuga,
solo l’Egitto cambia.
**
“Giovani senza lavoro”
I
Giovani senza lavoro
con strani portafogli
in cui infilare denaro
che non è guadagnato.
Padri nascosti allevano
quella sostanza magica
leggera e avvelenata
per le vostre birrette.
Condannati a accettare
un regalo fatato
sprofondate nel sonno
mortale dell’età,
la vostra giovinezza,
la Bella Addormentata,
langue nel sortilegio
di una vita a metà.
II
Giovani senza lavoro
chiacchierano nei bar
in un eterno presente
che non li lascia andar.
Sono convalescenti
curano questo gran male
che li fa stare svegli
senza mai lavorare.
Di notte sono normali,
dormono come tutti gli altri
anche se i sogni sono vuoti
anche se i sogni sono falsi.
Falsa è la loro vita,
finta, una pantomima
fatta da controfigure,
interrotta da prima.
**
Invettiva sotto una tomba etrusca
Latino mortale…
A. Apollinaire
Adesso parleranno tutti uguale,
tutti la stessa lingua che ci ha tolto la nostra.
Hanno cacciato l’alfabeto tra i campi
braccandolo come un fuggiasco, come un ladro,
l’alfabeto dei padri.
Nessuno ci capirà, e nemmeno tra noi
impiegheremo più le vecchie parole,
corrose, diroccate mura delle nostre fortezze.
Ci hanno lasciato soltanto
le tombe, l’estremo ridosso.
Perciò parlo da qui,
voce reclusa nel buio
tra forme colorate, ma immobili per sempre
come l’ultimo alito
della nostra pronuncia.
Da Guida allo smarrimento dei perplessi, 2016
[...] nous devrions pourtant [...]
1. Baudelaire
Questa è la mia preghiera del mattino:
controllo il mio cc ma come password
ogni volta ritrovo la tua data
di nascita.
Passo l’intero giorno senza pensarti mai,
eppure non c’è alba in cui dolente
tu non mi vieni incontro,
mentre effettuo un bonifico,
come un Lazzaro uscito dalla tomba.
Ti levi dal sepolcro del computer
e mi saluti per rimproverarmi
con l’amarezza, con quell’astio dei morti
di cui portavi in te il seme profondo
già viva. Che vogliono i morti?
Che vogliamo dai morti, per chiamarli,
con un turpe cinismo mnemotecnico?
Io sfrutto il tuo ricordo per sistemare i conti,
mentre tu torni a me,
la tua figura dura,
per fare i conti con la mia tortura.
**

I brutti gabinetti
di certi ristoranti di paese,
che hanno di speciale?
Confinano col niente.
I cani dietro abbaiano
e io mi fermo, ascolto.
Confinano col niente.
Anonimi sacrari, mite cesso
dove arrivo al confine di me stesso.
Da Sei poesie inedite (Le cavie)

Ai giovani soli per strada


gli sono cresciute le cuffie.
L'anziano cammina svagato
o corrucciato, pensa per conto suo,
ma ai giovani soli per strada
gli sono cresciute le cuffie.
Io, quando vado a spasso,
non vedo l'ora d'arrivare
e penso per conto mio;
loro, al contrario, ascoltano,
ascoltano, ascoltano, ascoltano.
Loro non fanno altro che ascoltare.
È un popolo in ascolto, che non vuole
perdere tempo, e sfrutta ogni momento
per aspirare musica. Guardali
come sfrecciano in moto o in bicicletta
e sempre avvinti al dio delle cuffiette.
Sono nutriti dalle loro flebo di note
- dipendono dai fili che pendono
e che gli somministrano catene
di liquide molecole sonore.
Un po’ pazienti, un po’ tossici,
belli, però, quando vagano assorti,
tutti votati alla pozione magica.

[i] È l’intervista apparsa su Micromega, F. Deodato, La poesia al tempo delle "larghe offese".
Intervista a Valerio Magrelli, leggibile qui

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-poesia-al-tempo-delle-larghe-offese-intervista-a-valerio-magrelli/

[ii] A. Afribo, Poesia contemporanea dal 1980 a oggi, Carocci, Roma 2007, p. 35
[iii] G. Simonetti, La letteratura circostante, Il Mulino, Bologna 2018, p. 189
Missing
Io sono ciò che manca,
dal mondo in cui vivo,
colui che tra tutti
non incontrerò mai.
Ruotando su me stesso ora coincido
con ciò che mi è sottratto.
Io sono la mia eclissi
la contumacia e la malinconia
l’oggetto geometrico
di cui per sempre dovrò fare a meno.
[Valerio Magrelli, Aequator Lentis in Ora Serrata Retinae Einaudi, 1992.]

Parlano

C’è intorno una tale quiete che quasi si


può udire il tintinnare di un cucchiaino
che cade in Finlandia
[I. Brodskij]
Ma perché sempre dietro la mia parete?
Sempre dietro, le voci, sempre
quando scende la notte iniziano
a parlare, latrano o addirittura credono
che sussurrare sia meglio. (Mentre mi sento
questo filo d’aria fredda delle loro parole
che mi gela, che mi lega
e mi tormenta nel sonno).
Ai confini del circolo polare
una coppia piangeva nella sua stanza
oltre un muro trasparente, piangeva, luminoso
tenero come fosse la membrana di un timpano.
(Mentre io vibravo, cassa
armonica della loro storia). Fino a che a casa mia
hanno rifatto il tetto, le tubature,
la facciata, tutto, e battevano
ovunque, sopra, sotto, e battevano sempre
chiacchierando tra loro solo quando dormivo,
solo perché dormivo,
soltanto perché fossi cassa armonica
delle loro storie.
[Valerio Magrelli, Viaggio d’inverno in Esercizi di Tiptologia, Einaudi, 1992.]
Restaurazione

A mattino inoltrato,
nel pieno procedere del giorno
ancora qualcuno si attarda nel letto,
segnato dall’ipnosi,
intento al restauro del sonno.
Come se si potesse riparare
la notte,
il vaso infranto,
la lesione del cielo.
[Valerio Magrelli, Nature e Venature, 1987.]

Piccole luci senza titolo

Se io venissi a mancare a me stesso


è questo il mio turbamento.
Tempo d’evaporare poco a poco,
di perdermi nelle fessure del giorno
dimenticando così il mio pensiero.
A volte mi scopro nel silenzio
delle cose che ho intorno,
oggetto tra gli oggetti,
popolato di oggetti.
Dunque il dolore è metamorfosi
e le sue cause si susseguono
non viste mostrandosi
per quello che non sono.
Questo è anzi il primo dolore.
Gli occhiali allora andrebbero portati
tra l’occhio e il cervello,
perché è là, tra boscaglie
e piantagioni di nervi
l’errore dello sguardo.
Qui si smarrisce la vista
e nel suo andare alla mente
si corrompe e tramonta.
Come se traversando
pagasse ad ogni passo
il pedaggio del corpo.
[Valerio Magrelli, Ora Serrata Retinae, 1980.]
Un padre

I. Cronache dal Pleistocene


La linea di mio padre:
gli ossuti, gli afflitti, i consunti,
ecco metà del mio sangue,
il fantasma di cui sono il lenzuolo.
Magri Magrelli,
astucci pelle e ossa
tessuti su un telaio portentoso
di nervi, un traliccio di scossa,
ira, ira,
e tutto un zig-zag di tragedia
sul Nulla – Ciociaria,
terra cava da cui sorsero Loro,
splenetici profeti dell’angoscia
venuti dal deserto in vestaglie di lana
con erbe amare,
anatemi, scongiuri.
II.
“Un padre, un essere sacro, un re” (S. Bellow)
“Un padre […] un male necessario (J. Joyce)
È immagine di poesia, la figura
paterna che si nutre di me,
la tenia che divora da dentro la mia vita?
Immagine di poesia è la figura
di mio figlio, che beve proteso
verso il rubinetto alzandosi
su un piede, mentre l’altra gamba,
prodigio della statica,
distesa oscilla in aria, contrappeso
magico per bilanciare la sete.
Avessi anch’io la sua grazia
nell’equilibrare la fame
di chi dentro di me
si sporge e mi dilania!
III.
A Giacinto, mio padre
“Vibra il cielo, il giacinto effuso cade” (M. Luzi)
“Ogni volta si tratta del contrasto […] tra il meccanismo cieco e la libertà, tra la fissità e la
storia” (R. Caillois)
Vecchiaia – inizia il grande Mimetismo,
divento sempre più uguale a mio padre.
Giacinto, ti raggiungo!
disco che mi colpisce per farmi uguale a te.
Volto, gesti, inflessioni, andatura:
torno all’originale,
semplice applicazione di un programma.
O forse mi travesto per salvarmi,
barricato nel suo recinto genetico.
Da quale predatore sto fuggendo,
per abdicare al mio aspetto?
(Il modo in cui dico: <<Davvero?>>,
sentendomi doppiato,
parlato da una voce che è la sua).
Vecchiaia – l’invasione si avvicina.
Non so se potrò ancora firmare col mio nome.
IV.
Gran Caffè l’Obitorio
Dietro il bar, sulla destra,
la cappella mortuaria.
Lascio mio figlio a prendere un cornetto,
gli dico d’aspettarmi, entro
e mi trovo davanti tre cadaveri.
Il biscotto del morto, ho pensato,
corpo mimetizzato in alimento.
Quel peso freddo, come su un vassoio,
che mi aspetta, raffermo,
raffreddato sul bianco del lenzuolo,
da incartare,
o sul piatto metallico d’una bilancia,
per calcolare il prezzo
mentre il cliente in piedi aspetta.
Anzi, la pasta pronta per il forno
del mattino. È il non-cotto,
il mai-cotto che aspetta
perdutamente
al fuoco del futuro.
USCITA DI SICUREZZA
Infanzia del lavoro
Guarda questa bambina
che sta imparando a leggere:
tende le sue labbra, si concentra,
tira su una parola dopo l’altra,
pesca, e la voce fa da canna,
fila, si flette, strappa
guizzanti queste lettere
ora alte nell’aria
luccicanti
al sole della pronuncia.
(da “La volontà buona”, seconda parte di “Disturbi del sistema binario”, di Valerio Magrelli).
*

Il miracolo del sonno torna a compiersi,


l’accorto depositarsi delle gambe,
la cura della stanchezza che sparpaglia
le membra a terra, in gesti sigillati.
È il teatro metafisico del letto
che nasconde assortiti bassorilievi:
un uomo corre e una donna alza la mano
per salutare il passante d’un sogno.
Nelle regioni della notte si snoda
la complessa meccanica dell’abbandono.
È una danza rituale che unisce
i termini del sonno, è il sonno stesso
in cui la carne diventa idea.
Ora la solitudine del braccio
si fa parola, nella linea
tracciata lungo il letto come un sentiero.
Così, secondo un ritmo vegetale
si alterna la respirazione della vita
e nel silenzio della mente
le sue radici di ossa cantano,
e nell’oscurità dell’occhio
la mano diventa pupilla.
(dalla sezione “Rima palpebralis” di “Ora serrata retinae”, di Valerio Magrelli).
*
Esistono libri che servono
a svelare altri libri,
ma scrivere in genere è nascondere,
sottrarre alla realtà qualcosa
di cui sentirà la mancanza.
Questa maieutica del segno
indicando le cose con il loro dolore
insegna a riconoscerle.
(dalla sezione “Aequator lentis” di “Ora serrata retinae”, di Valerio Magrelli).
*
Uno vicino all’altro dopo il pasto
stanno i bicchieri degli sposi, congiunti
in una adiacenza nuziale.
Ovunque, contagiando
vestiti e suppellettili
la coppia tradisce il suo passaggio
e lascia dietro di sé
cose abbinate, parti, toccantisi
tra loro, testimoni,
paia del mondo.
(dalla sezione “Amori” di “Nature e venature”, di Valerio Magrelli).
*
Quando spengo la lampada,
dalla finestra aperta l’oscurità
d’un tratto si fa chiara
come in un negativo.
Questo mi prova almeno
che qui dentro
vivo in un bagno di acidi,
di sostanze corrosive e lente
da cui mi sento sviluppato,
trascolorante e cangiato alla luce
quanto le immagini di questa notte,
non so se più luminosa
o virata o di tenebra.
(dalla sezione “Nel buio” di “Nature e venature”, di Valerio Magrelli).
Il partoriente
Presenza e assenza.
Mutazione geologica.
Io che cedo sotto il suo peso.
Subsidenza,
e il mio lento sprofondare.
Ma in verità non cedo
sotto un peso, poiché gli sono sopra,
scendo, sto sopra e scendo, Toboga,
e il suo peso è un tirare
dal basso, un prendere forma attirandomi
giù, sabbia da sabbia,
perch’io riappaia capovolto come
filiale di me stesso
al capo opposto
di questa clessidra genetica.
(dalla sezione “Diteggiature” di “Esercizi di tiptologia”, di Valerio Magrelli).

L’abbraccio

Tu dormi accanto a me così io mi inchino


e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.
(dalla sezione “Viaggio d’inverno” di “Esercizi di tiptologia”, di Valerio Magrelli).

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