Da Lucrezio A Lucano
Da Lucrezio A Lucano
Da Lucrezio A Lucano
LUCREZIO
È il più grande poeta per l’età di Cesare insieme a Catullo, in un periodo in cui dominava
la prosa. Ha in comune con lui la tendenza a ignorare gli sconvolgimenti politici dell’epoca
e a rifugiarsi nella contemplazione intellettuale e nella poesia.
• Per la cronologia della sua vita abbiamo le testimonianze un po’ contraddittorie di san
Girolamo (Chronicon) e di Elio Donato (Vita Vergili): nasce negli anni ’90 del I secolo a.C.
(probabilmente 98 a.C.) e muore verso la metà degli anni ’50 (forse 55 a.C.).
• Anche sulla sua origine non abbiamo notizie sicure: alcuni ipotizzano fosse campano
perché a Napoli c’era un’importante scuola epicurea e perché il suo inno a Venere si
avvicina al culto di quella venerata a Pompei; altri ipotizzano fosse romano per i
riferimenti a luoghi precisi della città all’interno del poema.
- Immediatamente amato da Virgilio, Ovidio, Manilio, Seneca. Cicerone non ne parla più di
tanto in maniera pubblica (solo in modo privato in una lettera al fratello), si pensa che volesse
ignorarlo di proposito per non dar credito alle teorie filosofiche che divulgava, pur
stimandone l’eccellenza poetica;
- Prima viene criticato per la sua lingua arcaica (da Quintiliano, contro la perfezione di Virgilio)
e poi viene amato per lo stesso motivo (dagli arcaisti come Frontone).
EPICUREISMO
Nasce ad Atene con il filosofo Epicuro, di cui abbiamo perso l’opera principale (Perì physeos),
che insegnava in contesti informali (képos, giardino) ad una cerchia ristretta di membri legati da
philìa, concetto alla base della scuola filosofica.
Tutta la ricerca filosofica di Epicuro è atta alla RICERCA DELLA FELICITÀ, che si può
raggiungere mediante i 4 principi del tetrafarmaco:
In quest’ottica Epicuro riconosce nel PIACERE (hedonè | voluptas) il SOMMO BENE: l’uomo può
aspirare a questo tenendo ben presente cos’è davvero necessario e cosa è superfluo. I piaceri
infatti si dividono in:
- Naturali e necessari;
Altro concetto chiave è quello gnoseologico: la conoscenza si basa sulla veridicità delle
sensazioni, che sono sempre vere: l’errore si verifica solo quando l’uomo cerca di costruirci delle
opinioni al riguardo.
Quelle materiali, e soprattutto quelle visive, si basano sulla teoria degli èidola | simulacra: le
membrane atomiche del nostro corpo conservano la struttura del corpo da cui si distaccano e
consentono una visione chiara dell’oggetto.
Il modo in cui questi atomi si muovono nello spazio è regolato dalla teoria del CLINAMEN:
movimento spontaneo degli atomi che, in punti imprevedibili della loro traiettoria, deviano e si
uniscono a dei nuovi.
Tutto questo spiega la sostanziale libertà del volere umano: riscatto delle vicende della storia
umana dal determinismo rigido.
Quando l’epicureismo arriva a Roma insieme alle altre scuole di filosofia greche, viene
immediatamente scartato e rifiutato dal processo di integrazione operato dal ceto
dirigente, perché considerato SOCIALMENTE PERICOLOSO:
- La negazione dell’intervento degli dei nelle cose umane corrodeva la religione ufficiale,
che invece veniva usata come strumento di potere da parte dei ceti dirigenti nei
confronti della popolazione.
In ogni caso sappiamo che dopo un primo totale rifiuto della corrente, confluiscono a
Roma molti epicurei: fondano scuole (come a Napoli e a Ercolano) che vengono
frequentate da personaggi importanti (Virgilio, Orazio, Attico) e arrivano fino alle classi
inferiori (uno degli obiettivi di Epicuro era l’universalismo del suo messaggio, che doveva
essere trasmesso in modalità chiare e comprensibili).
DE RERUM NATURA
Il titolo dell’opera di Lucrezio traduce fedelmente quello del capolavoro di Epicuro:
Girolamo dice che, dopo la morte del poeta, l’opera fu trovata da Cicerone, che ne
curò la revisione e la pubblicazione. Sappiamo da una lettera a Quinto che già nel 54
aveva letto il poema, ma non abbiamo certezze riguardo questa informazione specifica.
LIBRO I
Apertura del poema con l’Inno a Venere, considerata forza generatrice della natura.
tensione patetica.
Il motivo per cui l’uomo cerca la religione è il conforto che questa fornisce in relazione alla
paura di morire. La religione è in grado di opprimere l’uomo, ma se l’uomo, attraverso la
conoscenza sicura delle leggi che regolano l’universo, riesce a comprendere la natura
materiale del mondo, dell’uomo e dell’anima stessa, non sente più il bisogno di affidarsi
alla religione.
“colui che osò levare gli occhi contro la religione che incombeva minacciosa dal cielo”.
Esposizione dei principi della fisica epicurea: teoria materialista degli atomi che si
muovono in modi diversi e danno origine a tutte le realtà esistenti.
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LIBRO II
Esposizione della teoria del clinamen, da cui deriva la constatazione secondo cui i mondi
possibili sono molti, e sono tutti soggetti al ciclo nascita-morte.
2) L’ANIMA È MORTALE, cioè soggetta al ciclo di nascita e di morte, come tutti corpi.
Presentazione di 29 prove per avvalorare la sua tesi: massima forza persuasiva.
LIBRO IV
Spiegazione della TEORIA DELLA CONOSCENZA. Lucrezio spiega che cosa sono i
simulacra e da qui fa partire una riflessione sulla dimensione onirica: nei sogni
continuiamo a vedere immagini degli oggetti dei nostri desideri.
Digressione sulla passione d’amore a partire dai sogni erotici. L’attrazione fisica è la
causa unica di questa passione.
Non esistono i centauri perché due esseri di diversa natura non si possono accoppiare.
Possibile l’esistenza di esseri mancanti di parti del corpo, creati per sbaglio dalla natura.
PROGRESSO UMANO: I primi uomini sulla terra conducevano una vita agreste, lontani
gli uni dagli altri e non legati da alcun vincolo sociale. Distinzione
Da una situazione in cui si risponde solo ai piaceri naturali e necessari, l’uomo trova sia i
piaceri naturali e non necessari (+) sia quelli non naturali e quindi non necessari (-).
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Non si tratta di una visione pessimistica e sconsolata perché Lucrezio al fenomeno della
decadenza dei costumi e della morale trova una soluzione: riscoperta, attraverso
l’epicureismo, delle poche cose che sono davvero necessarie per l’uomo:
Invito ad abbandonare ogni forma di ricchezza e ad allontanarsi dalle tensioni della vita,
per dedicarsi alla coltivazione dello studio della natura con gli amici più fidati.
Il saggio epicureo è definito, attraverso una metafora (II), come colui che sta sulla
terraferma e osserva distaccato gli altri, in pericolo nel mare in tempesta.
LIBRO VI
Spiegazione scientifica dei fenomeni naturali, che non devono essere attribuiti alle
divinità, ma compresi in quanto leggi meccaniche, che ordinano la natura.
Quando Lucrezio parla degli eventi catastrofici, arriva alla narrazione della devastante
PESTE DI ATENE del 430 a.C. (Tuc.), con cui si chiude anche l’opera.
Mancata conclusione e revisione del poema, che potrebbe spiegare le ripetizioni dei
versi e alcune incongruenze.
Nel libro V l’autore aveva preannunciato una sezione dove avrebbe descritto le sedi
beate degli dei, ma non mantiene poi fede alla promessa: forse l’opera doveva
finire così, con una nota serena per concludere in linea con il gioioso inizio dell’inno
a Venere.
Le ripetizioni dei versi potrebbero essere utili alla pratica mnemonica, come era in
uso nei poemi di ampio respiro che avevano anche scopi didascalici (a partire da
quelli omerici).
con un finale cupo (“trionfo della vita” | “trionfo della morte”), per dimostrare che
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POEMA EPICO-DIDASCALICO
Probabilmente Lucrezio voleva arrivare agli strati superiori della società: vuole comunicare un
messaggio importante attraverso una forma molto curata (che per il gusto del tempo era
essenziale).
L’autore si giustifica in due passi (I, 136-145 | IV 1-25): metafora del bicchiere di
assenzio dato ai bambini come medicinale (= filosofia epicurea) cosparso di miele per
renderlo più gradevole (= forma poetica e raffinatezza stilistica): quasi musaeo dulci
contingere melle.
In ogni caso, Lucrezio contraddice Epicuro anche nell’ammirazione che nutre nei confronti
della poesia, in particolare nei confronti di Omero e di Empedocle.
PRECEDENTI:
La letteratura greca aveva conosciuto i modelli di Esiodo, Parmenide, Empedocle (poeta del
V secolo a.C. e autore di un Perì Physeos: di lui Lucrezio respinge il misticismo ma è attratto
dall’atteggiamento profetico di rivelatore di verità); poi ripresi dalla cultura ellenistica nelle
opere di Arato di Soli e di Nicandro, tradotte spesso a Roma.
La letteratura latina al contrario non aveva dei modelli autorevoli, tranne per qualche
tentativo di Ennio (Epicharmus) e Accio (Pragmatica). In entrambi i casi si tratta di
composizioni dal tema molto tecnico, sprovviste di implicazioni filosofiche.
Quello che differenzia Lucrezio da questi poeti è l’unicità del tema che sceglie di trattare:
ambisce a spiegare ogni aspetto importante della vita del mondo e dell’uomo, cercando
di convincere il lettore della validità della dottrina epicurea con le sue argomentazioni.
Dopo aver preso consapevolezza riguardo l’importanza della materia, l’autore può
instaurare un rapporto molto speciale con il lettore, che diventa quasi un suo discepolo:
questo legame costituisce una cornice al discorso filosofico, aumentandone la tensione.
Mentre nei precedenti ellenistici uno dei fini era quello encomiastico e l’intento in certe
parti era quello di meravigliare il lettore; in Lucrezio nunc est mirandum e nec mirum:
gli argomenti esposti sono oggettivi e non c’è nulla di cui meravigliarsi:
Le grandi narrazioni, lo stile alto e sublime sono ciò che spronano il lettore verso il
bisogno morale, promuovendolo alla grandezza d’animo:
mente del lettore = specchio della sublimità universale ritratta nel poema.
In un certo senso il lettore è chiamato a essere eroe: non deve stupirsi di fronte alla realtà
e deve accettare le verità che gli si presentano, siano queste spiacevoli o paurose. Deve
preparare il suo animo ad un’esperienza sconvolgente e adeguarsi alle forze sublimi.
LETTERATURA DIATRIBICA
Non è da escludere il fatto che Lucrezio abbia tratto da questa corrente molti spunti per il
suo stile argomentativo: la diàtriba era nata in Grecia in età ellenistica e aveva conosciuto il
suo maggior esponente nella figura di Bione di Boristene. Le sue opere prevedevano una
presentazione semidrammatica del contenuto, con frequenti spunti satirici vivaci (Luc. IV) e
la partecipazione di personaggi fittizi (Luc III).
Allusione erronea alla follia di Lucrezio, alimentata sia dai contemporanei che dai cristiani, e
tornata in auge nel 1800, quando la critica ha visto in lui un depresso patologico.
Le tinte cupe dell’opera sono estremamente funzionali alla narrazione: bisogna trasmettere i
precetti di una dottrina di liberazione, e per descrivere il male in cui l’uomo è immerso
bisogna ricorrere ad una lingua e ad uno stile drammatici.
Nonostante ciò, è anche vero che a volte il razionalismo mostra i suoi limiti: si passa
dalla volontà di accettazione naturale della morte all’angoscia razionale della fine del libro.
Qualcuno ha visto in questo atteggiamento un Lucrezio dissidente nei confronti di un sistema
filosofico troppo lineare e impotente di fronte alle angosce primordiali, ma è un’esagerazione.
Per quanto riguarda l’ipotesi della follia d’amore di Lucrezio, bisogna ricordare le motivazioni
contestuali:
Frequenti inviti all’attenzione del lettore: l’inserimento di termini tecnici della fisica
epicurea sempre fissi e la ripetizione dei nessi logici consentono al lettore di orientarsi
meglio nella narrazione e di prendere familiarità con il linguaggio.
“Patrii sermoni egestas”: il vocabolario della lingua latina è molto povero, manca di
lemmi che possono rendere bene concetti astratti o filosofici. In funzione di questa
mancanza:
- Sono introdotte nuove perifrasi, nuove coniazioni, calchi diretti dal greco.
- Viene sfruttata la lingua poetica arcaica sul modello di Ennio (sostantivi, aggettivi e
avverbi composti).
Di tradizione enniana sono anche gli effetti fonici propri del gusto espressionistico e
patetico dell’arcaicità: frequenti allitterazioni, assonanze, costrutti particolari. Il tutto
contribuisce ad un’elevazione del tono del discorso.
Chiara è la ripresa dello stile e dei riferimenti della letteratura greca: profonda
conoscenza di Omero, di Platone, di Eschilo (rif. al sacrificio di Ifigenia), di Euripide (rif.
al Crisippo). Allusioni a Tucidide per la peste di Atene, a Callimaco per la ricerca degli
aitia.
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LA POESIA NEOTERICA
Nel I secolo a.C. inizia ad affermarsi una nuova generazione di poeti, in forte rottura con la
tradizione nazionale: imposizione di un rinnovamento del gusto letterario e della tradizione
nazionale. Questa tendenza è da considerarsi il riflesso spontaneo alle grandi conquiste
del II secolo e al processo di ellenizzazione delle classi aristocratiche romane.
Il fenomeno che dà vita alla poesia neoterica è graduale: si inizia a percepire l’esigenza di
una poesia di tono leggero e di dimensioni ridotte, destinata al consumo privato.
Principali esponenti di questa corrente sono Lutazio Catulo e il suo gruppo di letterati,
Questi poeti vengono chiamati da Cicerone POETAE NOVI (o neòteroi), per sottolinearne
in modo sprezzante le tendenze innovatrici. Sono da lui definiti anche cantores
Euphorionis, dal nome del poeta Euforione di Calcide, emblema della poetica
alessandrina per la densità e l’erudizione dei suoi versi.
Pur essendo accomunati da gusti letterari e da un nuovo stile di vita, non compongono un
circolo: essendo tutti provenienti dalla Gallia Cisalpina sicuramente si incontrano per
discutere di poesia e per la loro attività critico-filologica, ma non si riuniscono sotto una
scuola.
Si verifica un lento ma progressivo indebolimento dei valori e delle forme della tradizione
a favore di nuove esigenze, dettate dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Legame
strettissimo con la poesia alessandrina, soprattutto di Callimaco, da cui vengono ripresi:
L’input è lo stesso che interessa l’epicureismo, ma c’è una differenza fondamentale tra le
tendenze, riguardo la concezione del PIACERE: mentre gli epicurei aspirano all’atarassìa
e condannano la passione carnale, i neoterici considerano l’AMORE come sentimento
centrale della vita (è anche il tema privilegiato della loro poesia.
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Tra i poeti neoterici ricordiamo:
- Valerio Catone, che riporta a Roma la tradizione dei critici-filologi alessandrini e compone
delle opere poetiche di carattere erotico.
- Publio Terenzio Varrone Atacino, che scrive la Leucadia, dal nome della donna amata,
componimento erotico latino tra i meglio riusciti e le Argonautae, libera traduzione in
esametri dell’opera di Apollonio Rodio.
- Elvio Cinna, amico di Catullo e partecipe della spedizione in Bitinia del 57 a.C. Scrive la
Zmyrna: storia dell’amore incestuoso di Mirra per il padre, epigramma apprezzato molto
da Catullo, che doveva contenere una quantità incredibile di riferimenti dotti perché serviva
un commento per la comprensione.
- Licinio Calvo, oratore e poeta romano. Scrive un epicedio per la morte della moglie
Quintilia e un esilio sulla storia dell’eroina Io, amata da Giove e perseguitata da Giunone,
che la trasforma in giovenca. Grande virtuosismo ricordato da Virgilio.
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CATULLO
Nome che si associa immediatamente alla poesia neoterica: prova di un diverso stile di
vita, apprezzamento dell’otium come piccolo universo privato in cui dedicarsi alla cultura,
alla poesia, alle amicizie e all’amore.
Sulla sua biografia ci informano i suoi stessi carmi, e qualche fonte sporadica esterna:
• Catullo nasce a Verona, in Gallia Cisalpina, da una famiglia agiata. Sulla data sono
dibattuti gli anni dall’87 a.C. all’84 a.C., mentre la morte si dovrebbe collocare, secondo
Girolamo, 30 anni dopo: 55-54 a.C.
Era sicuramente di famiglia agiata perché Svetonio, nella Vita di Cesare, dice che questo
• Non sappiamo quando, ma arriva a Roma: è in contatto con i leader politici e i poeti più
importanti del tempo: Ortensio Ortalo, Cinna, Calvo, Cornelio Nepote, Gaio Memmio.
• Ha una relazione con Lesbia, pseudonimo per Clodia (cfr. Apuleio), sorella del tribuno
Clodio, moglie di Quinto Cecilio Metello e probabilmente amante di Marco Celio Rufo
(cfr. Pro Caelio di Cicerone).
• Nel 57 a.C. si reca in Bitinia per un anno insieme al governatore Gaio Memmio, e visita
la tomba del fratello, morto e sepolto nella Troade (da cui il carme 101).
LA FORTUNA DI CATULLO
ROMANITÀ:
- Successo vasto e immediato soprattutto sui poeti augustei elegiaci, che riconoscevano il suo
ruolo di pioniere nella poesia d’amore in lingua latina. Ripreso da Virgilio (Enea e Didone), da
Ovidio (Arianna nelle Heroides).
- Dal II secolo non abbiamo più prove della circolazione del testo nella sua interezza.
UMANESIMO: ritrovamento del testo nel XIII secolo, amato da Petrarca e dai primi poeti
umanisti.
1500-1600: selezione molto ristretta dei testi di Catullo. Alcuni hanno moltissimo successo e
vengono studiati o imitati, mentre gli altri rimangono pressoché sconosciuti. Fama
1700-1800: nuovi estimatori di Catullo che riescono a scardinarsi dalla selezione delle opere
riprende il carme 101 con il sonetto In morte del fratello Giovanni). Pascoli omaggia
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LIBER
L’opera è dedicata a Cornelio Nepote: il suo contesto è quello dell’ambiente mondano di
Roma, dove l’autore si era legato a una cerchia di amici neoterici con cui condivideva gli
ideali di lepos, venustas e urbanitas. Si tratta comunque di un prodotto letterario di
veste stilistica e fattura formale di alto livello, adeguato a dialogare con personaggi
importanti.
Si tratta di una raccolta generale dei carmi di Catullo: in tutto sono 116, ma formalmente
quelli attribuibili all’autore sono 133 (vanno sottratti 3 carmi priapei spuri, inseriti nel
manoscritto da Mureto -umanista del 1500 francese-, ed esclusi da Lachmann del 1800).
NUGAE (1-60)
Carme 2: idillio pastorale per Lesbia, il cui contenuto trasmette un senso di immediatezza,
Carme 5: il più celebre dei “carmi dei baci” ha una struttura che contiene un abile gioco di
Carme 8: anche in questo caso l’infelicità di Catullo per la situazione in cui si trova è
Anche se la biografia dell’autore è molto influente nel caso della poesia neoterica bisogna
sottrarsi al rischio di ricercare, nella struttura di questa sezione, una linea guida per
ricostruire la storia d’amore tra i due.
METRO molto vario (polimetro): endecasillabi faleci, trimetri giambici, scazonti, strofe
saffiche.
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L’amore, per Catullo, dà un senso all’esistenza ed è il centro della vita, il valore primario
capace di risarcire la fugacità della vita umana e di darle un senso. L’autore incanala qui
tutto il suo impegno, sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del civis romano.
L’esperienza amorosa nasce come adulterio, come rapporto libero e basato sulla
passione, ed è poi scandito da continue gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni,
rimpianti, speranze e disinganni.
- mancanza di pietas (virtù di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri,
soprattutto se consanguinei, e della divinità.
L’unico conforto per l’amante è la consapevolezza di non aver mai mancato al foedus
d’amore nei confronti dell’amata (vedi Carme 76): la certezza della propria innocenza è
l’unica soddisfazione che Catullo trae dal rapporto con la donna.
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Come Callimaco si era schierato contro la poesia omerica delle lunghissime narrazioni
epiche, così Catullo e i neoterici si scagliano contro la poesia enniana. I principi che
contrappongono sono ancora quelli di BREVITÀ, ELEGANZA e DOTTRINA.
Catullo espone questi concetti, insieme ai temi principali della sua poesia
(amicizia | amore | attività poetica a Roma | dolore per il lutto del fratello)
Coglie l’occasione, quando ricorda i primi amori con Lesbia, di immedesimarsi nel mito di
Protesilao e Laodamìa, che si erano uniti prima del matrimonio e vengono puniti con la
morte di lui appena sbarcato a Troia: unione imperfetta e precaria simbolo del suo amore
con Lesbia.
È ritenuto fondamentale per l’influsso che avrà nella storia della letteratura latina:
Celebrazione del lavoro di Conone, astronomo alla corte di Tolomeo III Evèrgete, re
d’Egitto: aveva scoperto una nuova costellazione identificandola con il ricciolo offerto
come ex voto per il ritorno del marito dalla guerra da parte della regina Berenice, che
successivamente era scomparso.
Catullo coglie l’occasione per introdurre ancora una volta i temi centrali della sua
ideologia: insistenza sui principi della fides, della pietas, della condanna dell’adulterio in
favore dei valori tradizionali e delle virtù eroiche.
Catullo allega alla traduzione anche delle note: Carme 65 in distici, dedicato
all’amico Ortensio Ortalo, con il quale si scusa per non aver scritto un carme
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Carme 64
Catullo sperimenta il genere dell’epillio raccontando le NOZZE DI PELEO E TETI.
Mediante una ekphrasis, l’autore riesce poi ad incastonare un’altra storia, descrivendo i
disegni ricamati sulla coperta nuziale degli sposi: mito di TESEO E ARIANNA.
Teseo che abbandona Arianna sull’isola di Nasso, a cui segue il lamento di lei, fornisce a
Catullo l’occasione per una digressione sul tema della fides: nel racconto principale,
ambientato nell’età antica degli eroi, la fides era ancora una virtù cardinale del mondo
etico, mentre la seconda vicenda prova come l’età contemporanea sia corrotta e ogni
sorta di valore sia violato.
canto profetico delle Parche, che saluta le nozze degli innamorati esaltandone la
reciproca fedeltà.
Il mito riesce a farsi proiezione e simbolo delle ambizioni del poeta: sente il bisogno
perennemente inappagato di legare il suo amore ad un foedus duraturo.
Carme 63
Catullo si ispira alla vicenda del giovane frigio ATTIS, che nel delirio religioso si taglia il
cazzo per farsi sacerdote di Cibele (lol???), madre degli dei. Una volta libero
dall’invasamento lamenta il gesto folle.
Catullo riprende la tradizione e la amplia, sia per quanto riguarda i contenuti, che vengono
romanizzati con l’inserimento di tradizioni tipicamente italiche, sia per il rito nuziale vero e
proprio e per il significato che questo aveva sul piano etico-sociale.
Carme 61
Composto in occasione delle nozze di due giovani romani. Si immagina cantato durante
la deductio: processione che accompagnava la sposa. Dopo l’inno al dio del matrimonio,
Imeneo, lo sposo invita la donna a lasciare la casa paterna per trasferirsi nella sua.
Carme 62
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Non è composto per un matrimonio vero e proprio: si tratta di strofe in esametri che
vengono cantati alternativamente da giovani e fanciulle sul tema dell’amore e della
verginità. Maggiore adesione formale al modello greco.
EPIGRAMMI (69-116)
In generale la sezione dei Carmina Docta filtra di più il linguaggio popolare, ma non lo
abbandona mai del tutto in favore di quello aulico.
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VIRGILIO
Nessuna presentazione necessaria: Virgilio lascia alla cultura europea un’eredità
incommensurabile, rivoluzionando i generi poetici e fissandoli nelle loro forme classiche.
- Poesia attribuita alla produzione giovanile del poeta, raccolta nell’Appendix Vergiliana (quinta
del Catalepton);
- Vitae tardoantiche e medievali tra cui quella di Elio Donato (le cui fonti possono provenire da
Svetonio);
- Un commentario di Servio sull’Eneide, che contiene però anche informazioni storiche (dubbie).
• Publio Virgilio Marone nasce a Mantova il 15 ottobre del 70 a.C., da una famiglia di
piccoli proprietari terrieri. Nel periodo della sua educazione frequenta sicuramente gli
ambienti di Roma e Napoli, dove potrebbe esser entrato nella scuola epicurea di Sirone.
• La prima opera che compone sono sicuramente le Bucoliche, che si ricollegano a una
notizia biografica incerta: riferimenti alle confische di territori del Mantovano del 41 a.C.,
per ricompensare i veterani della battaglia di Filippi. Si verificano gravi disordini di cui
forse anche la famiglia di Virgilio è vittima. Sappiamo che il poeta riesce a riacquisire i
territori perduti, ma non sappiamo ad opera di chi.
Forse interviene già Ottaviano, forse Asinio Pollione (che in questo periodo
• Dopo la pubblicazione delle Bucoliche Virgilio entra a far parte del circolo di Mecenate,
insieme ad Orazio. In anni di forte incertezza politica, fino al 31 a.C., si dedica alla
composizione delle Georgiche, stabilendosi nella campagna campana. Ottaviano si fa
leggere il poema quando torna vincitore dall’Oriente (29 a.C.).
lo salva e lo affida alla revisione di Vario Rufo, amico e collaboratore del poeta.
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LA FORTUNA DI VIRGILIO
ROMANITÀ:
- Già in vita è un personaggio popolare, ritenuto “il più dotato poeta romano ;)”.
- Dopo la pubblicazione dell’Eneide, postuma, si verifica l’attività dei suoi detrattori a scrivere
delle “fruste” di Virgilio: ricostruzione dei furta del poeta: frasi e concetti ripresi da poeti sia
greci che latini. Tutto ciò da una part consacra la fama di Virgilio, dall’altra fornisce un
prezioso contributo allo sviluppo della filologia latina.
- Virgilio diventa subito il “classico” di Roma: fama senza precedenti. I suoi testi diventano
scolastici, grammatici come Giulio Igino ne ricostruiscono dettagli antiquari, poeti come
Petronio imbastiscono delle variazioni (da questa pratica comune nasce l’Appendix).
- Viene ammirato e idolatrato da poeti come Stazio e da Silio Italico (che addirittura compra il
terreno dove era stato sepolto).
- Il gusto arcaizzante del II secolo non cambia la fama dell’autore: continua ad essere letto e
studiato. Valerio Probo getta i fondamenti dell’esegesi virgiliana (nascono veri e propri
commentari sulla sua opera). Macrobio scrive su di lui delle dissertazioni, comprese nei
Saturnalia.
UMANESIMO: canone di poesia indiscusso da Dante a Tasso: ovunque si faccia poesia epica
1500-1600: quando viene riscoperto Omero il confronto è inevitabile e si svolge tutto in favore
dell’autore latino.
ROMANTICISMO: inversione della tendenza a favore della cultura greca. Virgilio non perde
1900: nel contesto dei regimi nazionalisti europei Virgilio ha anche connotazioni negative:
riferimento per il culto dello stato e per le idee imperialistiche che mettevano a confronto
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BUCOLICA CARMINA
Si tratta di dieci brevi componimenti in esametri, composti tra il 42 e il 39 a.C.
Il titolo fa riferimento al greco e si traduce con “Canti dei bovari”: poesia che evoca uno
sfondo rustico in cui i personaggi sono messi in scena come attori e poeti. L’opera viene
conosciuta anche con il nome di ECLOGAE (“poemetti scelti”).
lontano, mentre il primo può restare e vivere una vita tranquilla, anche
ECLOGA IV = Canto profetico per la nascita di un fanciullo che vedrà l’età dell’oro.
ECLOGA V = Lamento per la morte di Dafni, eroe che viene assunto tra gli dei dopo che
Il vecchio Sileno viene catturato da due giovani e canta l’origine del mondo
ECLOGA VII = Melibeo racconta la gara di canto di due pastori-poeti (Tirsi e Coidone).
ECLOGA VIII = Gara di canto dedicata ad Asinio Pollione, in cui si cantano di due storie
innamorata).
ECLOGA IX = Dialogo tra due pastori-poeti e richiami alla realtà delle espropriazioni nella
ECLOGA X = Virgilio cerca di confortare l’amico Cornelio Gallo (poeta elegiaco), che
Virgilio rilegge Teocrito in un modo che va aldilà della prassi dell’emulatio: entra dentro
la stessa mentalità, trattando per la prima volta il testo greco come un classico da
reinterpretare.
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Da un certo punto di vista, Virgilio trova lo spazio per distaccarsi dal modello e scegliere
orizzonti diversi dai suoi. Caratteristica della poesia teocritea era infatti la poikilìa
(varietas) di temi, ambienti e situazioni. Virgilio sfrutta tali aperture ma si concentra molto
di più sull’analisi del mondo pastorale (remoto e ideale) e riduce i confini del genere
idillico.
Alcuni critici hanno voluto identificare l’autore nel personaggio di Titiro, alludendo
Virgilio fa riferimento a dei temi contemporanei (I, IX) senza usare allegorie.
L’esempio più eclatante è quello dell’ecloga IV: riferimento ad un puer che sta
arrivando per salvare la situazione. C’è da considerare l’influsso che potevano aver
avuto le poesie in onore di nascite e matrimoni di questo periodo, oltre alle dottrine
Altri casi in cui gli orizzonti del genere si ampliano sono con le ecloghe: VI (il canto del
Sileno spazia dalla mitologia alla cosmologia, omaggiando Cornelio Gallo) e X (Gallo
torna come emblema della poesia elegiaca latina, e Virgilio propone una precisazione
delle differenze tra elegia e poesia bucolica).
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GEORGICA CARMINA
Virgilio inizia a comporre le Georgiche dopo esser entrato nel circolo di Mecenate (38
a.C.): di qui in poi l’influenza del protettore e di Ottaviano è evidente e decisiva.
Ha un tempo di gestazione lunghissimo, di oltre dieci anni, necessario per il lavoro molto
meticoloso dell’autore, che prevedeva una fase di studio (Omero, greci, poesia
alessandrina | Lucrezio, Catullo | fonti tecniche in prosa | trattatista filosofica) e poi una
fase di elaborazione formale molto precisa.
Questo lungo lasso di tempo è denunciato anche dai riferimenti alle situazioni politiche
contemporanee: all’inizio Ottaviano è solo una speranza nel caos delle guerre civili, alla fine
Ottaviano è la salvezza.
Ci sono forti dubbi sulla data di circolazione -e poi di pubblicazione- dell’opera definitiva.
- È probabile che l’opera fosse pronta per il 29 a.C.: Ottaviano, vincitore in Oriente si
sarebbe fermato presso la residenza di Virgilio per una declamazione privata del testo
finito.
In realtà, vista l’estensione (200 vv.), la coerenza delle vicende di Aristeo con il
resto dell’opera, e la sua indispensabilità per la coesione della chiusa del IV libro, è
POEMA DIDASCALICO
POESIA DIDASCALICA ELLENISTICA LUCREZIO
Virgilio condivide principalmente:
Lucrezio è per Virgilio il precedente più
• il gusto per le cose tenui, la capacità di vicino, sia nel tempo sia per il contenuto
fare oggetto di poesia ciò che delle loro opere. I loro messaggi di
normalmente non lo è = TENUI LABOR salvazione e saggezza non creano un
(pònos leptòn)
contrasto diretto, ma si misurano tra di
• il labor limae.
loro:
Il contenuto dei libri segue una climax discendente rispetto alla fatica umana: la natura
diventa sempre più protagonista. Alla fatica dell’aratore viene contrapposta quella delle
api, che però è anche l’operosità animale che si avvicina di più a quella dell’uomo.
LIBRO I LIBRO II
PROEMIO
Lungo e difficile: lode di Ottaviano Breve e introduttivo
TEMA
Coltivazione dei campi Arboricultura
DIGRESSIONE
Guerre civili Lode della vita agreste
PROEMIO
Lungo e difficile: esposizione del Breve e introduttivo
progetto di Eneide
TEMA
Allevamento del bestiame Apicoltura
DIGRESSIONE
Peste degli animali nel Nòrico Aristeo e le api
La fatica dell’uomo è inviata dalla provvidenza divina per una sorta di necessità cosmica
MA l’ideale del contadino si richiama all’età dell’oro, quando la Natura provvedeva a tutto
e l’uomo non aveva bisogno di lavorare.
La fatica del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma, MA Roma è anche la
città dove si svolgono degenerazioni e conflitti, all’opposto dell’ideale georgico.
Questi contrasti sono esemplificati nell’ultima digressione: Aristeo riesce a salvare il suo
sciame, ma è responsabile della morte di Euridice e dell’infelicità di Orfeo.
23
La digressione finale del IV libro è un àition alla maniera alessandrina, è la spiegazione di
un fatto straordinario, la bugonia, pretesto per lasciare un grande insegnamento morale e
di comportamento.
ARISTEO E LE API
Aristeo è un apicoltore che, improvvisamente, perde tutte le sue api.
Per scoprire il motivo dell’accaduto si reca da Proteo, dio marino dai poteri profetici: la
sua disgrazia è diretta conseguenza di ciò che è successo ad
ORFEO ED EURIDICE
Aristeo si era invaghito della ninfa, l’aveva ricorsa nei boschi e questa, per
scappare, era stata morsa da un serpente. Venuto a sapere della sua morte
Orfeo, il suo promesso sposo, si era recato fin nell’Ade per stipulare un patto
con Plutone e riportarla in vita.
A questo punto Aristeo, padrone del suo destino, sceglie di seguire i consigli divini e
porre rimedio ai suoi sbagli: sacrifica dei buoi e da questi prenderanno vita delle nuove
api (fenomeno della bugonia).
Virgilio ricollega due miti abbastanza diversi tra di loro, ripensandoli entrambi e
collocandoli in una struttura a cornice. In questo è fondamentale l’esperienza della poesia
alessandrina e neoterica, in cui i racconti sono a incastro ma si richiamano attraverso dei
sottili parallelismi narrativi:
- Aristeo e Orfeo affrontano entrambi una serie di peripezie (il primo si cala dentro ad un
fiume, il secondo scende fino all’Ade);
- Entrambi i protagonisti lottano con la morte (Aristeo delle sue api, Orfeo della sua
amata).
Tantissima forza comunicativa, ma sterile Simbolo del poeta vate Virgilio: lode della
e infruttuosa dal punto di vista del vita semplice e contadina.
La figura di Ottaviano è molto evidente: si profila come l’unico salvatore possibile del
mondo dalla disgrazia delle guerre civili, l’unico capace di portare la pace.
Italia come simbolo di fecondità, salubrità climatica, massima ospitalità per la vita:
I dedicatari sono formalmente Augusto e Mecenate, che però entrano nell’opera come
figure divinizzate, sviluppo della tradizione ellenistica. Non sono interlocutori o destinatari
dell’opera, ma ispiratori dell’insegnamento.
Virgilio consiglia al destinatario di comportarsi come Aristeo: eroe che impara e ubbidisce,
prototipo di vita che vorrebbe insegnare ai contemporanei.
25
AENÈIS
HOMERUM IMITARI ET AUGUSTUM LAUDARE A PARENTIBUS
Epos storico-celebrativo che svolge la leggenda di Enea dall’ultimo giorno di Troia alla
vittoria nel Lazio, e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo. È nel metro
caratteristico della poesia epica: esametro.
Probabile che già fosse forte l’aspettativa di un nuovo epos storico-celebrativo. Virgilio si
inserisce nella tradizione di Ennio, non nell’ottica di continuare il suo lavoro ma di
sostituirlo: offre al pubblico qualcosa di completamente inaspettato. A quel punto il
confronto è inevitabile con Omero.
I dodici libri in cui è divisa l’Eneide sono la risposta ai quarantotto libri dei poemi omerici.
È evidente la grande e molto precisa ripartizione strutturale, nulla è lasciato al caso.
Nell’opera possono esser riscontrate due sezioni di sei libri ciascuna, che riprendono il
contenuto dei poemi omerici ma ne rovesciano le fabulae e i contenuti.
Già Apollonio Rodio aveva contaminato le Argonautiche di sezioni narrative prese sia
METÀ ODISSIACA
VIAGGI DI ENEA DALLA TROADE VERSO L’IGNOTO
LIBRO I
Giunone nutre ancora odio per quello che rimane dei Troiani: dopo esser scappato via
nave dalla città in fiamme, Enea viene sorpreso da una tempesta mandata dalla dea, che
lo costringe ad approdare in Africa, a Cartagine.
Accoglienza presso Didone, regina vedova della città fenicia, che gli chiede di narrare le
sue imprese nella guerra di Troia.
LIBRO II
Racconto di Enea: distruzione della città e fuga insieme al vecchio padre Anchise, al figlio
Ascanio e ai Penati (simbolo della continuità della stirpe). La moglie Creùsa non ce la fa.
LIBRO III
Racconto di Enea: partenza dalla Troade. Capiscono che li aspetta una nuova patria in
Occidente.
LIBRO IV
Storia dell’amore di Didone: viene fatta innamorare da Venere e Giunone attraverso un
inganno. Quando Giove lo sa, manda Mercurio a ricordare i suoi obblighi ad Enea.
LIBRO V
Tappa in Sicilia. Giochi funebri per Anchise.
26
LIBRO VI
Tappa a Cuma, in Campania. Enea viene spinto a consultare la Sibilla, per guadagnare
l’accesso al mondo dei morti. Incontro con una serie di personaggi del suo passato:
Deìfobo (eroe troiano), Didone (morta per mano sua), Palinuro.
Quando incontra il padre Anchise, lui gli mostra anche il futuro: Enea vede gli eroi
discendenti dalla sua stirpe, tra cui tutti i condottieri che faranno la storia di Roma.
METÀ ILIADICA
GUERRA DI ENEA NEL LAZIO
(non è di distruzione com’era Troia nell’Iliade, ma finalizzata alla costruzione di una città)
LIBRO VII
Sbarco alla foce del Tevere: riconoscimento della terra promessa. Patto con il re Latino.
Intervento divino: Giunone lancia contro di loro il dio della discordia, Aletto. Amata
(moglie di Latino) e Turno (promesso sposo della figlia Lavinia) fomentano la guerra.
Rottura del patto con Enea, va in fumo il matrimonio tra questo e Lavinia (nuova Elena,
centro della discordia.
LIBRO VIII
Enea risale il Tevere e nel luogo dove sorgerà la città di Roma trova Evandro: re di una
piccola nazione di Arcadi che gli fornisce il suo supporto nella guerra. Insieme a Pallante
(figlio di Evandro) Enea trova una potente coalizione etrusca che si era ribellata a
Mezenzio, tiranno di Cere e alleato di Turno.
Enea ottiene, attraverso l’aiuto divino, un’armatura vulcanica. Il suo scudo è istoriato con
il futuro glorioso della storia di Roma.
LIBRO IX
Enea è assente e i Troiani stanno perdendo. I giovano Eurìalo e Niso si sacrificano ma non
serve a niente.
LIBRO X
Enea torna in campo e ribalta la situazione. Turno però uccide Pallante, e lo spoglia del
balteo, indossandolo a sua volta in segno della sua superba vittoria. Enea in cambio
uccide Mezenzio.
LIBRO XI
Dopo la prima vittoria Enea piange Pallante. Propone la pace ma Turno non accetta.
Quando si torna a combattere muore la vergine guerriera Camilla, di parte latina.
LIBRO XII
Turno deve accettare un duello decisivo con Enea. Giunone manda a monte anche
questo tentativo, attraverso la ninfa Giuturna.
La battaglia riprende e la vittoria dei Troiani è sicura: Giunone si riconcilia con Giove e
ottiene che nel nome del nuovo popolo non ci sia più traccia del contributo troiano.
Enea sconfigge Turno a duello: è indeciso se ucciderlo o meno, ma quando gli vede
addosso le armi dell’amico Pallante lo trafigge.
27
Il precedente omerico può essere inteso in diverse direzioni:
Virgilio come RIPETIZIONE di Omero: guerra nel Lazio come ripetizione di quella di
Troia (uccisione di Turno da parte di Enea come ripetizione di quella di Ettore da parte
di Achille), viaggio dalla Troade al Tevere come ripetizione dei viaggi di Odisseo.
sono ribaltate.
Virgilio come SUPERAMENTO di Omero: la guerra non porta alla distruzione ma alla
costruzione di una nuova unità. Virgilio architetta una solida cornice esterna, rifacendosi
al modello omerico, ma corrodendolo con la sua estrema modernità: nuova visione del
mondo, drammatizzazione del discorso epico (modelli della letteratura greca e latina).
28
La LEGGENDA DI ENEA traeva le sue origini da un repertorio abbastanza vasto di
leggende di fondazione, collegate alla guerra di Troia, che comprendevano personaggi sia
di parte greca che di parte troiana.
Enea in Omero era un personaggio importante, ma non centrale: la sua casata doveva
regnare dopo l’estinzione di quella di Priamo. La sua figura si sviluppa dopo, a livello delle
arti figurative e dei miti secondari: iconica fuga da Troia con il padre Anchise sulle spalle.
Acquisisce credito tra il II e il I secolo a.C., quando i Romani traggono sostegno dalla
mitica discendenza troiana: fondazione della città da parte del più nobile eroe di Troia,
scampato alla catastrofe e collegato per via genealogica con Romolo.
INTENTO CELEBRATIVO
Attraverso la figura di Ascanio, fondatore
MOTIVO POLITICO
della gens Iulia, Virgilio collega le vicende
Roma legittima la sua egemonia sul di Enea alla contemporaneità: connessione
Mediterraneo attraverso uno sfondo dinastica con Giulio Cesare e ovviamente
storico molto profondo e lontanissimo
con Ottaviano Augusto.
dalla contemporaneità:
attraverso Didone.
Attuando questo spostamento, Virgilio
riesce a guardare il mondo di Augusto da
lontano e a profetizzare la storia romana
attraverso delle tecniche tipiche dell’epos
greco.
Virgilio, per celebrare l’Italia augustea e legittimare il passato delle imprese romane, ha
bisogno di rielaborare in modo originale i dati tradizionali:
• Nella narrazione della Guerra Latina c’è poco di storico: Virgilio prende le notizie della
guerra con i popoli italici, con gli etruschi e con i greci per includere tutte le grandi forze
da cui nasce la sua Italia contemporanea. Nessun popolo viene escluso dalla genesi di
Roma.
29
Virgilio chiede al suo lettore di apprezzare la necessità fatale della vittoria, ma anche di
ricordare le ragioni degli sconfitti e di guardare il mondo da una prospettiva superiore.
Alla comprensione del ciclo provvidenziale della storia si associa una lettura della
OGGETTIVITÀ EPICA
Alla partecipazione delle sofferenze degli individui si associa una lettura della
SOGGETTIVITÀ TRAGICA
Porta il lettore in una dimensione di apertura problematica (come nella tragedia greca),
in un conflitto di ragioni individuali e di verità relativa. Sotto la linea oggettiva voluta
dal fato si muovono dei personaggi in contrasto tra di loro.
DIDONE TURNO
ESAMETRO VIRGILIANO
Deve diventare lo strumento di una narrazione lunga, continua e articolata (non può
sottostare alla rigidezza di quello neoterico). Virgilio si impone un numero ristretto di
cesure principali, che combinate con quelle accessorie conferisce una notevole varietà
alle sequenze.
Il periodare può essere sia ampio che breve, e può coincidere o meno con le unità
ritmiche. Si adatta ad una varietà di situazioni espressive, regolandosi attraverso il
ricorso a dattili e spondei.
LESSICO
Secondo la tradizione del linguaggio epico ci sono poetismi e arcaismi (vicini a Ennio o
alla tragedia arcaica, ma comunque canonizzati dal linguaggio letterario) in quantità
maggiore.
Pur sapendosi mantenere semplice e diretto, il lessico risulta rinnovato nei suoi effetti: le
parole subiscono straniamento.
LINGUAGGIO FORMULARE
Virgilio riprende alcuni punti cardinali del linguaggio epico, tra cui i procedimenti
formulari. La narrazione è graduale, senza vuoti intermedi: alle azioni vere e proprie si
succedono delle parti descrittive, delle azioni ricorrenti e ripetute, che si prestano a delle
ripetizioni verbali.
Largo uso di epiteti stabili che accompagnano i personaggi e gli oggetti, “quasi
a fissarne il posto nel mondo”: il numero dei guerrieri e delle navi rimane
invariato, così come il nome e gli etnici dei personaggi, l’origine degli oggetti…
Anche in questo caso la vera novità di Virgilio sta nel saper cogliere una nuova
sensibilità:
al lettore viene chiesto di collaborare anche in questo senso, per esplicitare gli accenni e
integrare gli spazi vuoti, in quanto la narrazione suggerisce più di quello che dice
esplicitamente.
Tutto è tenuto insieme attraverso la funzione oggettivante propria del poeta: con il suo
intervento lascia emergere i singoli punti di vista soggettivi, ma si incarica sempre di
inserirli in un progetto unitario.
31
ORAZIO
È il più grande poeta lirico di età augustea, per i suoi stretti rapporti con Augusto diventa
il “cantore ufficiale della romanità”. È un poeta di grande versatilità, scrive opere molto
diverse tra di loro e anche un trattato sul fatto poetico.
• Nasce nel 65 a.C. a Venosa, colonia militare romana tra Apulia e Lucana. La sua
famiglia è modesta: suo padre è un liberto, piccolo proprietario terriero che, una volta
trasferitosi a Roma inizia a fare l’esattore nelle vendite all’asta.
• Atene era diventata la base di operazione dei cesaricidi: Orazio si allea a loro
abbandonando gli studi, facendosi portavoce della libertas. Assume il ruolo di tribuno
militare per una delle legioni dell’armata repubblicana di Bruto. La carriera militare si
interrompe con la rotta di Filippi (42 a.C.)
Tutto cambia quando Virgilio e Vario lo presentano a Mecenate (38 a.C.) che lo lascerà
entrare nel suo circolo e sarà il suo protettore fino alla morte, donandogli una residenza
nella campagna sabina che gli assicura tranquillità economica e rifugio dagli affanni.
Passa una vita tranquilla, in rapporto stretto con Augusto, ma sempre senza servilismi
(rifiuta anche l’incarico di segretario personale). Muore nell’8 a.C., qualche mese dopo
Mecenate.
LA FORTUNA DI ORAZIO
ROMANITÀ: da subito assunto tra i grandi della letteratura romana. I suoi testi entrano subito
MEDIOEVO: ben conosciuto dall’età carolingia ma ruolo minore rispetto a Virgilio. Collocato da
UMANESIMO: l’Orazio lirico è importante per Petrarca, modello incontrastato della letteratura
1700: vero e proprio secolo oraziano. Il suo classicismo diventa il manifesto della poesia
1800: battuta di arresto in quanto poeta latino (si preferiscono i greci). Il Romanticismo lo
32
EPODI
Il titolo della raccolta allude alla forma metrica: l’epodo è il verso più corto che segue a un
verso più lungo per formare un distico. Orazio li chiama anche IAMBI, alludendo alla
poesia giambica greca, da cui prende il tono aggressivo e le invettive, tipiche del genere.
Appartengono alla fase giovanile dell’attività poetica del poeta, caratterizzata da difficili
condizioni di vita subito dopo l’esperienza di Filippi (gestazione dal 41 al 30 a.C.).
Gli Epodi non sono traduzioni dal greco: sono rielaborazioni originali della poesia
giambica riportate in ambito romano, scritte attingendo ad una realtà diversa e personale.
Per questo motivo i toni prendono molta distanza dal modello.
Orazio dichiara di aver mutuato da Archiloco i NUMERI (metri) e gli ANIMI (ispirazione
aggressiva), ma non i contenuti: RES
IPPONATTE
ARCHILOCO
Massimo esempio dell’aggressività giambica.
Considerato l’iniziatore del genere, è autore Maschera del poeta pitocco (seconda metà
della prima poesia giambica aggressiva, che del VI secolo): vittima di difficoltà
si teneva nei simposi (i nemici che venivano economiche e frequentatori di posti poco
attaccati erano nemici di tutti i componenti raccomandabili.
riuniti a banchetto).
Bisogna tener presente che Orazio opera nell’ambito di una Roma dominata dai triumviri
e che sarebbe presto entrato nell’entourage di Ottaviano: non poteva permettersi degli
attacchi diretti a personalità eminenti, quindi i suoi giambi sono indirizzati a personaggi
anonimi o fittizi. Il suo umorismo a volte appare anche artificioso o giocoso.
33
1 rivolto a mecenate, in cui Orazio si dichiara pronto a
INVETTIVA
rivolgimenti sociali connessi alla “rivoluzione romana”.
EROTICI
riproducono anche il linguaggio e l’intonazione
patetica.
SATIRE
Orazio sperimenta il genere satirico a partire dagli anni ’40, parallelamente alla stesura
delle Odi e anche successivamente.
Lucilio è importante per la creazione del genere per la fissazione del metro canonico
(esametro) e per lo stile, caratterizzato da aggressioni personali e critica mordace, in cui
assume una notevole importanza anche l’elemento autobiografico.
Orazio prende comunque notevoli distanze dal modello: la sua satira non si
amichevole.
ARGOMENTO LETTERARIO-PROGRAMMATICO
Satira 1, 4: Orazio parla del proprio stile satirico.
ARGOMENTO MORALE
Satira 1, 1: sull’incontentabilità umana e sull’avarizia.
TONO PERSONALE
Satira 1, 6: riflessione sulla propria condizione sociale e sui rapporti con Mecenate.
Descrizione del padre liberto, che malgrado le sue condizioni di liberto non gli
Satira 2, 6: nuova riflessione sul rapporto con Mecenate (legame marcato con 1, 6 per la
35
Satira 1, 8: una statua di Priapo racconta una notte di incantesimi con Canidia.
Satira 2, 3: paradosso stoico di Damasippo contro i quattro vizi capitali: “tutti gli uomini
sono pazzi”.
Satira 2, 7: paradosso stoico di Davo e Crispino: “tutti gli uomini sono schiavi”.
ARGOMENTO GASTRONOMICO
Satira 2, 2: argomentazioni di un contadino di Venosa contro il lusso della mensa.
Satira 2, 8: Fundanio racconta di una cena in casa del ricco Nasidieno, che ha pretese di
LA MORALE ORAZIANA
Orazio, cerca sempre di collegare stabilmente le critiche costruttive che propone con il
meccanismo della diàtriba: letteratura filosofica popolare in cui l’argomento morale è
illustrato da dialoghi e aneddoti. In questo modo, l’attacco personale è sempre collegato
con un’intenzione di ricerca morale.
Così facendo, non ha bisogno di scegliere bersagli di elevato livello, e come negli Epodi
gli oggetti delle sue critiche fanno parte di un piccolo mondo:
Insuevit pater optimus hoc me, ut fugerem exemplis vitiorum quaeque notando
36
tradizionale, per questo una figura importante è quella del padre, che rivendica con
orgoglio.
AUTÀRKEIA | METRIÒTES
Entrambe sono molto importanti nelle riflessioni morali delle filosofie ellenistiche,
soprattutto in quella stoica (che per Orazio è troppo astratta) e cinica, ma anche nella
scuola peripatetica. Il concetto della giusta misura, inoltre, è uno dei cardini dell’antica
saggezza greca (medèn àgan).
La corrente filosofica che si avvicina di più alla morale di Orazio è quella dell’epicureismo,
con cui condivide l’importanza e la problematicità dell’amicizia, della comunanza di vita,
dell’affinità intellettuale, dell’indulgenza e della dedizione, della compattezza di un gruppo
in relazione al mondo.
Ci sono delle differenze fondamentali nell’approccio che dimostra Orazio, tra il primo e il
secondo libro di Satire:
Non c’è più coincidenza tra la voce del poeta e la voce satirica: Orazio non interviene
nel confronto dialogico per indicare la via della verità, ma lascia che tutti i personaggi
espongano la propria.
Tutti i personaggi diventano depositari della propria verità relativa e questo crea un senso
di straniamento: il poeta non ritiene più che la satira possa essere il luogo della ricerca
morale, capace di identificare empiricamente un concetto filosofico giusto e universale.
La lingua che viene utilizzata è semplice e disciplinata: gli effetti vigorosi vengono resi
con un grande risparmio di mezzi espressivi (Callimaco). Lo standard espressivo non è
alla portata di tutti, pretende concentrazione e duttilità.
Mediante l’uso dei dialoghi, coinvolge gli interlocutori e anticipa le obiezioni, introduce
scene drammatiche, esempi dal mito, parodie, aneddoti e giochi di parole.
37
ODI
PRIMA RACCOLTA (30-27 a.C.): 3 libri di 38, 20, 30 carmi;
CARMEN SAECULARE (17 a.C.): unico componimento scritto su incarico di augusto che
doveva cantare un coro in occasione delle Ludi Saeculares per assicurare prosperità a
Roma e al regime augusteo [metro saffico];
Nella stesura delle Odi Orazio rispetta sempre il criterio della VARIATIO sia a livello dei
toni e dei contenuti, sia dal punto di vista metrico-formale:
Le odi hanno spesso un’impostazione dialogica e l’autore si riferisce ad un tu, che può
essere un personaggio reale o immaginario, un dio, una Musa, una collettività o un
oggetto inanimato.
Orazio con le Odi si inserisce direttamente nella tradizione della poesia lirica greca.
Orazio stesso rivendica però l’originalità del proprio contenuto al modello (primus ego):
temi, occasioni e situazioni possono essere tradizionali ma non manca mai
l’ambientazione e la sensibilità romana. Anche il linguaggio è decisamente caratteristico.
ANACREONTE per l’eleganza e per il tema della malinconia per la giovinezza perduta.
PINDARO poesia di argomento civile e temi come la coscienza dell’alta funzione della
Importante è anche l’apporto degli alessandrini e dei neoterici (anche se Orazio si vuole
distinguere da loro), dei trattati ellenistici, della panegiristica, dei trattati di retorica.
38
VARIETÀ DEI CONTENUTI
La disposizione dei componimenti all’interno dei quattro libri non è casuale: Orazio
rispetta i criteri artistici della poesia alessandrina:
- Alcuni carmi sono giustapposti e hanno contenuto simile (c’è anche un ciclo dedicato
ai temi dell’ideologia nazionale: Odi romane).
La varietà dei temi che riscontriamo in Orazio dipende strettamente dalle categorie in cui
si articolava l’antica lirica greca, a seconda delle occasioni a cui era destinata (che in
seguito diventeranno veri e propri generi):
CARMI CONVIVIALI
Rimandano ai sympotikà (=carmi da simposio) di ALCEO, per quanto riguarda la
descrizione del paesaggio e l’invito a bere per contrastare la malinconia dell’esistenza.
Distanze dal modello: Orazio non scrive per un vero pubblico, la sua poesia deve
essere letta, quindi può permettersi una maggiore raffinatezza stilistica. La poesia
del lirico greco è molto più semplice e immediata nella struttura e nella scelta delle
parole.
Questi carmi rimandano direttamente anche all’epigramma ellenistico negli inviti e nelle
descrizioni dei preparativi, con il tradizionale apparato del simposio romano.
CARMI EROTICI
Circa un quarto delle Odi possono essere definite poesie d’amore. Orazio si distanzia
ampiamente dalle linee neoteriche, un po’ perché aderisce ai principi epicurei, un po’
perché mantiene uno sguardo disilluso e distaccato nei confronti della passione.
La descrizione dei rituali a cui si sottopone l’amante sono piuttosto scontati: ci sono
serenate, incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante, conviti. Orazio guarda con un
sorriso gli amanti, non giudicandoli ma con un’ottica già matura.
Nonostante ciò, l’ironia che dimostra non gli permette di ignorare la crudeltà della
passione, che ricorda con malinconia.
INNI
La lirica religiosa, a parte nel caso del Carmen Saeculare non si presta ad un’occasione
di esecuzione rituale. Molte differenze con quello greco, che invece veniva composto per
la recitazione: in Orazio vengono conservati il formulario e l’andamento. A questi si
aggiungono riferimenti e sviluppi di puro carattere letterario.
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ALTRI TEMI RICORRENTI
dell’uomo;
Ode 2, 20
ANGULUS
Orazio si immagina trasformarsi in
È lo spazio limitato e racchiuso del piccolo un cigno, animale sacro di apollo,
podere personale, che Orazio definisce “ille e afferma che l’immortalità
terrarum miei pareter omnis angulus ridet”
conferita dalla poesia rende tutti i
pianti vani, in occasione del suo
Si tratta della sua casa, è la figura simbolica funerale.
Il punto centrale della meditazione si svolge sul tema della BREVITÀ DELLA VITA:
forte necessità di appropriarsi delle gioie del momento e della felicità offerta della vita.
Non è un banale invito al godimento perché il saggio sa che il piacere stesso è caduco.
In una situazione di generale precarietà della vita bisogna affrontare e accettare gli eventi
come sono: conta solo il presente, che bisogna cogliere nella sua fugacità:
CARPE DIEM
Ille potens sui laetusque deget, cui licet in diem dixisse: “Vixi”
Nella prospettiva del poeta anche le conquiste del saggio, come l’autàrkeia e la
liberazione dai turbamenti, sono estremamente insicure e vanno costantemente rinnovate:
profonda conoscenza della forza delle passioni, delle debolezze d’animo.
Nulla può eliminare tanto peso negativo: contro le angosce e contro il dolore della vita si
può combattere virilmente per trasformare l’inquietudine in accettazione del destino.
LA POESIA CIVILE
Si tratta dell’altro polo della poesia oraziana: l’impegno civile e nazionale non stride
comunque con la sfera privata, aspirando sempre ad una validità generale, per esprimere
la complessa condizione umana.
Non si tratta di semplice propaganda. Orazio è il poeta della comunità, che sa farsi
interprete di incertezze e di timori, di scoraggiamenti e di gioie:
Anche aldilà delle pressioni politiche Orazio spera sinceramente e con entusiasmo nel
principato, e nutre nei confronti di Augusto una sincera e ansiosa gratitudine.
crisi della Repubblica in risposta alla decadenza dei costumi, dell’abbandono del sistema
di antichi valori etici, politici e religiosi che avevano reso grande Roma.
In questo senso la poesia civile può fondersi anche con quella morale: critica del lusso e
delle stravaganze, ammirazione per l’autosufficienza della virtus, apprezzamento della
razionalità contro le forze del caos.
41
EPISTOLE
Orazio ne scrive due libri e dà loro il titolo di Sermones, che aveva usato anche per
identificare le sue Satire. Le differenze tra le due raccolte sono sottili ma ben definite:
• L’identità delle Epistole sta proprio nella loro forma di lettere in versi (esametri): tutti i
componimenti hanno un destinatario (che è lontano, al contrario di quello delle Satire
che sembra stare davanti a lui) e rispondono ai segnali caratteristici del genere
epistolare (formule di saluto e di commiato);
Ovviamente la stesura delle lettere non ha carattere privato (come poteva esser stato
per Cicerone): sono tutte pensate per la pubblicazione. Nonostante questo, l’autore è
molto vicino al suo interlocutore: si respira un clima maggiormente intimo e anche lo stile
è personale, e si adatta ai diversi temi e ai destinatari.
• Rispetto alle Satire cambia completamente anche lo scenario in cui agisce la persona
assunta dall’autore: non è l’ambiente cittadino e caotico di Roma, si avvicina di più
all’angulus delle Odi.
• Lo stile delle Epistole perde tutta l’aggressività della Satira: la riflessione morale non
procede attraverso un’osservazione critica della società, perché l’autore stesso prende
consapevolezza delle proprie debolezze e contraddizioni:
Totale perdita dei principi cardine di autàrkeia e di metriòtes: l’equilibrio sembra ormai
irrecuperabile.
Orazio non si rifà ad un primus inventor come nel caso di Odi e Satire.
Orazio percepisce una nuova sensibilità per l’inesorabile trascorrere del tempo e una
precoce vecchiaia, che lo portano a ricercare il conforto nella saggezza. Questa però è
inafferrabile, non sembra poter proporre un ideale soddisfacente di vita.
42
Epistola 1, 1 (Mecenate): presentazione/giustificazione del nuovo genere letterario.
Epistola 1, 13 (Vinnio): istruzioni per consegnare ad Augusto i primi 3 libri delle Odi.
Epistola 1, 14 (fattore della villa sabina): sulla vita di campagna a confronto con Roma.
Epistola 1, 19 (Mecenate): polemica contro gli imitatori servili, giustificazione della lirica.
Epistola 1, 20 (al libro): commiato dalle Epistole e previsione sull’accoglienza che sarà
riservata a queste.
Sono solo due lettere, molto lunghe, di argomento letterario. Orazio si inserisce nei
dibattiti di età augustea, interessandosi a problemi di critica letteraria, di poetica e di
politica culturale. Augusto, per rafforzare il Principato, aveva dato il via ad una produzione
letteraria nazionale e popolare.
Epistola 2, 1 (Augusto) Riflessione sul teatro latino: Orazio polemizza contro il favore
indiscriminato del teatro antico rispetto a quello moderno, che lui preferisce perché più
raffinato. Raccomanda di prestare più attenzione alla poesia destinata alla lettura, perché è
l’unica in grado di raggiungere la perfezione formale. Non crede nella rinascita del teatro,
perché il pubblico non apprezza quello colto, ma solo il fasto spettacolare e dozzinale.
Epistola 2, 2 (Giulio Floro) Congedo della poesia: quadro della vita quotidiana del letterato a
Roma e riflessione sulla saggezza filosofica.
È sempre di argomento letterario: la prima sezione parla dell’ars (divisa in trattazione della
poesia e trattazione del poema), la seconda tratta dell’artifex.
Riprende il tema della letteratura drammatica (perché era il genere privilegiato nelle trattazioni
peripatetiche, soprattutto nella Poetica di Aristotele).
Orazio fornisce il suo contributo teorico, raccomandando: raffinatezza (labor limae), pazienza,
riferimenti dotti, attenzione (decorum).
Traccia anche una storia della cultura e della letteratura sia greca che romana.
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LA NASCITA DELL’ELEGIA
Quintiliano ci informa dell’altissimo livello raggiunto dall’elegia latina, capace di confrontarsi
con quella greca. Raggiunge la sua massima fioritura nella seconda metà del I secolo a.C. e
tra i suoi esponenti più importanti, secondo il canone, ricordiamo: Cornelio Gallo, Tibullo,
Properzio e Ovidio.
- Derivazione diretta dall’ELEGIA GRECA (Friedrich Leo), che però non spiega il carattere
fortemente soggettivo all’interno delle opere: non ci sono precedenti simili nei poeti elegiaci
ellenistici (anche se non ne sappiamo abbastanza per affermare ciò con certezza);
Sicuramente oltre a questi precedenti, l’elegia latina viene influenzata anche dalla commedia,
dalla lirica, dalla tragedia, dall’epigramma e dalla poesia bucolica, fino a formare un nuovo
genere letterario dotato di situazioni, occasioni e temi tutti suoi.
CARATTERE AUTOBIOGRAFICO
La concreta esperienza del poeta è un motivo centrale, anche se viene inquadrata in forme
e situazioni tipiche del nuovo genere.
AMORE
Si tratta di un’esperienza unica e assoluta, che riempie l’esistenza e le dà senso: àristos
bìos. La vita del poeta nei confronti dell’amore si configura come un servitium nei confronti
della domina: donna crudele, capricciosa e infedele, che raramente si concede a lui (motivo
della paraklausìthyron (innamorato chiuso fuori di casa che si lamenta.
MITO NEQUITIA
In cui il poeta proietta la sua condizione: Condizione del poeta che ripudia i suoi
serve per nobilitare la causa del poeta e doveri di civis e oppone alle durezze della
proiettare la sua causa nel mondo puro guerra le mollezze dell’amore.
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In tutto ciò la POESIA si configura come un mezzo di corteggiamento per sedurre l’amata
con il miraggio della fama e di una gloria immortale. Attraverso la recusatio il poeta elegiaco
rifiuta la poesia elevata in favore della musa leggera, dai toni e dai contenuti ispirati
immediatamente dalla passione.
Sono i lasciti diretti della POESIA NEOTERICA: eleganza formale e partecipazione affettiva.
Gli elegiaci imparano dai neoterici le lezioni che questi avevano a loro volta imparato dagli
alessandrini (Callimaco in primis): rivoluzione del gusto letterario.
In più fanno loro anche la rivolta morale già proposta dalla corrente neoterica: abbandono
dell’impegno civile, politico e militare per dedicarsi all’otium, all’amore, alla letteratura.
CORNELIO GALLO
Di lui abbiamo poche notizie, ma è il primo autore che Quintiliano nomina nel canone.
Nasce da una famiglia umile in Gallia Narbonense nel 70 a.C. È amico e forse protettore
di Virgilio (lo aiuta con le confische dei beni), si schiera con Ottaviano e combatte dalla
sua parte in Egitto, contro Antonio. Viene nominato praefectus Aegypti ma in seguito
cade in disgrazia, viene esiliato e si uccide (26 a.C.).
Sappiamo che fu un autore di quattro libri di Elegie, gli Amores, in cui cantava la sua
passione per Licòride (pseudonimo grecizzante per la donna amata).
Insieme all’argomento erotico era centrale anche l’erudizione mitologica (forse lascito di
Euforione di Calcide, di cui Gallo era cultore).
Possiamo considerarlo una sorta di mediatore tra la poesia neoterica e l’elegia augustea,
anche a livello cronologico. Probabilmente fu il fondatore del genere, conciliando il tema
mitologico dell’elegia alessandrina con la poesia intima neoterica romana.
Abbiamo solo una decina di versi :( non possiamo dire nulla di più.
TIBULLO
Conosciamo poco della sua vita, le fonti sono:
• Nasce tra il 55 e il 50 a.C., in base alla data di morte che si colloca nel 18, poco dopo
Virgilio. Appartiene ad una famiglia agiata di ceto equestre.
FORTUNA:
Da subito si creano due fazioni, tra chi sostiene il primato di Tibullo (più classico e
conservatore, molto equilibrato) su Properzio (molto moderno ma anche ruvido e improvviso)
e chi il contrario. I contemporanei preferiscono Tibullo, nel Medioevo non lo si conosce,
dall’umanesimo in poi torna a brillare (Goethe, Chateaubriand, Mörike, Carducci).
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Del CODEX TIBULLIANUM, secondo la divisione alessandrina, fanno parte 4 libri. Solo
i primi due sono sicuramente di Tibullo.
Centrale è la figura dell’amata, Delia (il senhal è la traduzione in greco del nome romano
della donna, Plania). Descritta secondo i topoi elegiaci: volubile, capricciosa, amante del
lusso e dei piaceri mondani, infedele.
Si trova qui anche l’elegia per il giovane Màrato (arte di conquistare i pueri), un’elegia per
il compleanno di Messalla e una sull’elogio della vita campestre.
LIBRO II
Nuova figura femminile: Nèmesi (vendetta, colei che gli ha fatto dimenticare Delia),
cortigiana avida e spregiudicata.
Un’altra elegia canta il compleanno dell’amico Cornuto, una descrive una festa agricola,
una celebra l’entrata di Messalina nel collegio sacerdotale.
Nella sua idealizzazione del patrimonio di antichi valori agresti riprende la tradizione: è il
poeta elegiaco più contraddittorio.
Nonostante nella sua poesia manchino il mito e l’erudizione sottile tipici degli alessandrini,
sicuramente possiamo definire Tibullo un poeta doctus:
STILE semplice e luminoso, sciolto e raffinato. I toni sono delicati e tenui, spesso sognanti,
a volte lievemente ironici. L’impressione è di una composizione spontanea, immediata e
veloce, che però nasconde la massima accuratezza.
LIBRO III
Firmato da Lìgdamo: si pensa che fosse Ovidio da giovane.
LIBRO IV
Oltre al Panegirico di Messalla (di uno degli altri poeti del circolo) ci sono elegie anonime e 5
appartenenti a Tibullo, sull’amore amore di Sulpicia per Cerinto.
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PROPERZIO
Abbiamo poche fonti sulla sua vita, derivanti soprattutto dalle sue elegie e da alcuni accenni di
Ovidio. Della figura di Cinzia parla Apuleio (Apologia 10).
• Nasce tra il 49 e il 47 a.C. in Umbria, da una famiglia agiata di rango equestre che perde
prestigio con la guerra di Perugia e le confische successive.
• Si reca a Roma per tentare la strada politica ma entra nei circoli mondano-letterari: in
questo contesto conosce Cinzia, scrive e pubblica il primo libro di elegie (28 a.C.).
• Entra in contatto con Mecenate, che aveva letto la sua opera, e con gli atri poeti del circolo:
è amico con Virgilio e con Ovidio.
FORTUNA:
Conosce una fortuna grande e immediata, viene ripreso dall’Ovidio delle Heroides e dei Fasti.
Nella Tarda Antichità il suo nome si perde e viene letto solo in Francia. Petrarca scopre un
manoscritto e lo riporta in Italia: nuova riscoperta europea.
Viene letto dai poeti della Pléiade, da Ariosto e da Tasso. Amato da Goethe nel XVIII secolo
e da Ezra Pound nel XX.
Di Properzio ci sono stati tramandati 4 libri di ELEGIE, scritti tutti in ordine cronologico e
con pubblicazioni separate.
Ne fanno parte 22 elegie, tutte incentrate sull’amore per Cinzia, donna straordinaria che
compare dal primo verso della prima elegia. È raffinata ed elegante, amante della
letteratura e della musica (il suo senhal ricorda il monte sacro di Apollo). Lei vive da
cortigiana a Roma: questo avrebbe potuto screditare la figura e la reputazione del poeta,
ma lui di ciò si fa vanto.
Properzio si pone nei suoi confronti in un rapporto di servitium amoris: scelta di uno
stile di vita quasi filosofico che provvede alla sua autàrkeia.
Nonostante lei viva da libertina, la vita che il poeta si immagina per loro è molto diversa,
legata ai valori del foedus amoroso secondo il mos maiorum: fides, castitas, pudor.
Per questo si rifugia nel mondo del mito: sogna una dimensione di passioni esclusive ed
eterne, che durano fin oltre la morte. Ovviamente è tutto vagheggiamento perché lui
soffre e si lacera nella sua condizione: è attratto dal fascino della sua eleganza mondana
ma allo stesso tempo cerca in lei fedeltà, semplicità, assoluta dedizione.
Ne fanno parte 34 elegie. Nell’opera inizia a notarsi il legame con il circolo di Mecenate: la
recusatio nei confronti della poesia epica è ancora valida, ma iniziano a far parte della
narrazione anche altri temi, come l’omaggio poetico al principe.
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LIBRO III (22 a.C.)
Ne fanno parte 25 elegie. La scelta della Musa tenue e il rifiuto dell’epos sono ancora
validi, ma non sono strettamente associati a uno stile di vita, bensì motivati da ragioni
estetico-letterarie.
Cinzia è ancora presente ma le elegie amorose sono sempre meno frequenti. Il tono di
Properzio è meno appassionato e il poeta guarda se stesso con maggiore distacco.
Evidente l’imminente discidium.
Vengono trattati altri motivi legati alle fortune e all’ideologia del regime augusteo:
Properzio fa anche più attenzione alla moralità antica: disponibilità maggiore di fronte a
temi graditi agli ambienti ufficiali: difficile integrazione al regime.
Rimangono solo due elegie dedicate alla donna: in una vediamo Cinzia vittoriosa e
gelosa, nell’altra Cinzia appare in sogno al poeta, con un atteggiamento amaro e
aggressivo.
Le elegie sembrano una concessione alle direttive della cultura ufficiale. Non si tratta di
poesia celebrativa perché Properzio non tradisce i canoni della poesia alessandrina o la
Musa tennis dell’elegia.
L’autore declina i temi della poesia alessandrina in modo diverso: scelta di riprendere gli
Àitia di Callimaco per rendere omaggio ai miti e ai riti della tradizione romana e italica. C’è
spazio per la grazia, per l’ironia, per una leggera e garbata comicità.
L’amore non è assente: viene declinato in funzione dei miti che Properzio sceglie di
trattare. Rivalutazione dell’eros come forza ancora più strettamente legata al mos
maiorum: esaltazione degli affetti famigliari, delle virtù domestiche, della castità e della
tenerezza.
- Esordio ex abrupto,
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OVIDIO
È l’ultimo dei grandi poeti augustei: ormai estraneo alla stagione delle sanguinose guerre
civili. La pace è consolidata e sta crescendo, si aspira a forme di vita più rilassate e a
costumi meno rigidi. Pur non in aperta contrapposizione al regime, Ovidio è sensibile ai
gusti e alle inclinazioni della società romana moderna.
Il suo atteggiamento nei confronti della poesia è diverso dagli autori che lo precedono:
sperimenta una grande quantità di generi letterari senza farsi condizionare da uno in
particolare. La sua scelta di vita è la stessa pratica poetica, sempre nuova e differente.
La poesia per Orazio non solo conserva la memoria degli uomini e della memoria nel
tempo, ma conserva un primato sulla realtà stessa. In più la poesia, essendo creazione
autonoma del poeta, è svincolata dall’obbligo di rispecchiare il reale.
• Nasce nel 43 a.C. a Sulmona (Abruzzo), da un’agiata famiglia equestre che gli permette
di studiare a Roma in vista della carriera politica. Dopo un viaggio in Grecia, sempre
finalizzato alla sua formazione, abbandona la carriera politica.
• Tornato a Roma entra nel circolo letterario di Messalla Corvino, e stringe rapporti con
i maggiori poeti del momento. Inizia a pubblicare le sue opere e riscuote un successo
immediato
• All’apice del suo successo, nell’8 d.C., viene colpito da un provvedimento punitivo di
Augusto, che lo relega a Tomi (mar Nero, attuale Romania).
I motivi non sono chiari: formalmente sembra a causa dell’immoralità della sua
poesia. In realtà potrebbe esser stato per il suo coinvolgimento nello scandalo
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Fanno parte della produzione giovanile di Ovidio. L’opera è divisa in tre libri: la data della
pubblicazione dei primi due è incerta ma si aggira agli anni 20 del I secolo a.C., mentre
l’ultimo libro probabilmente venne pubblicato nell’1 d.C.
Ovidio si colloca nella tradizione elegiaca del momento, prendendo spunto dai temi
tradizionali catalogati da Tibullo e soprattutto Properzio.
I temi spaziano dalle poesie di occasione a quelle di chiaro stampo alessandrino, alle
avventure d’amore fatte di incontri fugaci, serenate notturne, scenate di gelosia, litigi con
l’amante per i suoi capricci e per i suoi tradimenti.
Ovidio è però critico e innovativo rispetto ai suoi modelli: le differenze sono notevoli:
• L’elegia non si presenta come subordinata alla vita, ma come suo riflesso fedele:
centrale è l’esistenza del poeta in sé, che guarda al genere poetico con sguardo
distaccato, esterno rispetto a quello esclusivo dell’amante.
• Nell’opera manca una figura femminile di riferimento attorno a cui si svolgono le varie
esperienze amorose: lo stesso autore rivela di non appagarsi di un unico amore ma di
preferire due donne, o addirittura di innamorarsi di qualunque bella donna.
Il tradizionale servitium amoris nei confronti di una donna diventa servitium nei
amorosa.
Corinna, la donna amata dal poeta, è una figura tenue e dalla presenza intermittente:
molti sospettano addirittura inventata.
ELEGIA 1,8
È in questo caso che Ovidio elabora il motivo fondamentale per la scrittura dei
successivi poemetti erotici: elegia di carattere didascalico.
L’autore riprende il motivo della vecchia LENA: astuta ed esperta mezzana che
impartisce consigli alle giovani su come rimorchiare.
In questa elegia Ovidio è ancora sia amante che poeta, nelle prossime opere
abbandonerà il ruolo di protagonista dell’esperienza amorosa per dedicarsi sono a
quello di giudice.
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LA POESIA EROTICO-DIDASCALICA
Si tratta di un ciclo di tre poemetti, pubblicati tra l’1 a.C. e l’1 d.C.: il progetto sembra
l’esito naturale ed estremo della concezione dell’eros già delineata negli Amores (1,8).
3 consigli alle donne su come sedurre gli uomini (sezione più tarda).
Ovidio, nella forma del poema didascalico (sui modelli di Lucrezio e delle Georgiche),
attraverso un andamento precettistico descrive i luoghi d’incontro, i momenti di svago, le
occasioni della vita cittadina in cui mettere in atto l’arte della seduzione. La narrazione è
intervallata da inserti di carattere storico o mitologico in cui si forniscono exempla
riguardo ai precetti impartiti.
Ovidio non attacca i principi del mos maiorum con un atteggiamento di ribellione, ma
piuttosto trattando la narrazione come un lusus, o come una giocosa attività intellettuale.
Secondo Ovidio non solo è possibile liberarsi dell’amore, quando provoca sofferenze,
ma è anche necessario (Filosofia stoica ed epicurea, Libro IV De rerum natura).
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HEROIDES (distici elegiaci)
1 (15 a.C.) lettere scritte da donne famose ai loro amanti o ai mariti lontani:
Si rifanno tutte ad un modello molto vincolante: le lettere sono tutte testi chiusi, non
prevedono risposta e seguono la stessa situazione modello della donna abbandonata,
delirante (Carme 64 di Catullo).
La situazione è data per nota perché tutte le donne sono eroine del mito, greco o latino, a
eccezione di Saffo, unico personaggio storico, la cui storia era comunque molto nota.
2 (4-8 d.C.) lettere di tre innamorati a cui segue la risposta delle rispettive donne:
- Catullo e Virgilio.
Sono tutti filtrati dal CODICE ELEGIACO che seleziona contenuti e modalità delle
suggestioni. L’ottica è ristretta e convenzionale, e porta le eroine ovidiane a imporre
“tagli” elegiaci al materiale narrativo dell’epos, della tragedia e del mito:
gli eventi vengono narrati in maniera diversa o addirittura opposta rispetto agli originali,
attraverso un punto di vista romano e di recente tradizione:
L’elegia in questo senso torna ad avere la funzione iniziale di “canto lacrimoso” (elegi
quoque flebile carmen) di a cui si riferisce Saffo nella sua lettera.
METAMORPHÒSEON LIBRI
Ovidio si cimenta in un genere completamente nuovo:
- Àitia di Callimaco;
- di grandi dimensioni.
- Nicandro di Colofone: storia delle
metamorfosi;
- Partenio di Nicea.
Le 250 vicende mitico-storiche sono ordinate secondo un filo cronologico che dopo gli
inizi si attenua, fino ad essere quasi impercettibile, in favore di altri criteri di associazione
(per continuità geografica, per analogie o contrasti tematici, per rapporto genealogico fra i
personaggi, per somiglianze tra le metamorfosi).
• Al breve proemio, costruito come quello dell’epos, seguono le vicende della nascita del
mondo dall’informe caos originario alla creazione dell’uomo, nel tempo primordiale:
diluvio universale e rinascita del genere umano, mito di Deucalione e Pirra.
Penteo punito da Bacco | amore di Priamo e Tisbe | Perseo che salva Andromeda |
• Le nozze di Peleo e Teti danno inizio ad una nuova nuova fluidità cronologica: con la
storia di Esaco (fratello di Ettore) si passa ai racconti che coinvolgono i personaggi della
guerra di Troia -> Tempo della storia.
Achille e battaglia tra Lapiti e Centauri | contesa per le armi tra Aiace e Ulisse |
Vicende di Enea e racconto ambientato nel Lazio, poi nella Roma dei re:
Miti delle divinità agresti: Pomona e Vetumno | Numa Pompilio introduce Pitagora
(discorso sulle metamorfosi come legge universale: impianto filosofico del poema,
ma velato di ironia).
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FLUIDITÀ DELLA STRUTTURA:
- Le dimensioni delle storie narrate sono molto varie, si passa da vicende appena
accennate a epilli di 100 versi.
- I modi e i tempi della narrazione non sono omogenei: Ovidio seleziona i momenti
salienti, concentrando il racconto sulle scene e sugli eventi drammatici, ma anche sul
racconto minuzioso delle METAMORFOSI nel loro progressivo realizzarsi.
Sono il tema unificante di tutto il poema, tema che risponde al gusto dell’eziologia
manifestato da Ovidio (e lascito degli Alessandrini): descrive l’origine delle cose e degli
esseri attuali da una loro forma anteriore.
Generalmente sono tutte caratterizzate dai tratti del “meraviglioso” e messe in scena
sotto gli occhi di qualcuno:
l’autore può descriverle cogliendone le fasi intermedie del processo, i confini incerti
tra la vecchia e la nuova forma, il paradosso dello sdoppiamento tra il nuovo aspetto
e l’antica psicologia degli esseri soggetti al mutamento.
RACCONTO A INCASTRO
Per evitare la mera successione elencativa delle vicende, Ovidio ne incastona una o più
all’interno di un’altra, che viene usata come cornice.
Spesso sono gli stessi personaggi a impadronirsi della narrazione: i livelli e le voci narranti
si moltiplicano e il racconto sembra germogliare continuamente da se stesso, e
allontanarsi in una prospettiva infinita, in una dimensione fuori dal tempo.
L’autore può così adattare toni, colore, stile del racconto al personaggio narrante.
VARIETÀ STILISTICA
Ovidio passa dallo stile solennemente epico a quello liricamente tragico, riecheggiando
moduli di poesia drammatica o movenze bucoliche: GALLERIA DEI VARI GENERI
LETTERARI, che coesistono e conferiscono vivacità al racconto, mai monotono.
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Nonostante il tema unificante dell’opera sono le metamorfosi, l’argomento centrale è
l’AMORE:
Viene ambientato nel mondo degli dei e dei semidei, dei grandi eroi. Questi non sono
idealizzati, non esiste per loro un ethos idealizzante.
Anche i personaggi del mito sono assimilati alla dimensione terrena e agiscono sotto la
spinta di sentimenti e passioni assolutamente umani. Le dinamiche sono le stesse:
fanno parte della dimensione amorosa la gelosia, il rancore, la vendetta.
i confini fra realtà e apparenza sono ingannevoli, come lo sono la concretezza delle
cose e l’inconsistenza delle immagini
Traspare anche nella LINGUA stessa: lo stile si presta a mostrare l’ambiguità per via
della sua connaturata doppiezza: il linguaggio è illusorio è pericoloso.
Il poeta è l’unico depositario del punto di vista vero: analizza le prospettive nel loro
moltiplicarsi, segue i personaggi che li allontana progressivamente dalla realtà,
mostrando al lettore l’esito fatale che li attende.
Ovidio spesso rompe anche la finzione narrativa per confrontarsi con il lettore: lo invita a
condividere il suo distacco ironico e il suo sguardo divertito.
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L’opera viene completata solo fino al libro VI (giugno), interrotta perché relegato a Tomi. In
parte poi viene rivista: in questa occasione l’autore cambia la dedica ad Augusto, morto,
con quella a Germanico, suo successore.
MODELLI E FONTI:
- Àitia di Callimaco: interesse per il carattere eziologico, per le cause delle origini della
realtà attuale e del mondo del mito;
La romanità stessa espressa dal calendario, non solo quella del regime
augusteo, viene insidiata e decentrata, a favore dell’ironia o dell’eros.
LE OPERE DELL’ESILIO
L’allontanamento improvviso da Roma provoca forti cambiamenti nella poetica di Ovidio,
che si ritrova ai margini dell’impero, in mezzo a un popolo primitivo che nemmeno parla
latino. Rimane solo, a comporre poesia per se stesso, senza pubblico e senza contatto
con il destinatario: come uno che danza al buio.
Si tratta di 5 libri di elegie dove Ovidio lamenta la sua infelice condizione di poesia
esiliato. Il proposito, facendo appello agli amici e alla moglie, è ottenere un
cambiamento della destinazione, se non una remissione della pena: nel Ponto non ci
sono le condizioni minime perché il poeta resti se stesso.
Ovidio rilegge la sua esperienza attraverso moltissimi esempi letterari, mutuati dai generi
più disparati: rende se stesso e le persone coinvolte nella sua stessa disgrazia personaggi
letterari. Romanticizzazione della propria condizione (l’addio alla moglie ricorda le
Heroides).
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Poemetto scritto per difendersi dagli attacchi dei suoi nemici, costituito da una serie di
invettive nei confronti di un detrattore.
Il soggetto principale è lo stesso Ovidio, che entra a far parte delle sue opere in
quanto costretto.
L’autore proclama l’assoluta autenticità della sua materia poetica: reclama i più
famosi paradigmi mitologici per esemplificare la sua condizione di vittima tragica.
Più che mai la poesia è la dimensione totale della sua esistenza: unica
ragione di conforto e unico veicolo in cui riporre le sue speranze per il futuro.
LA FORTUNA DI OVIDIO
ROMANITÀ: subito immensa, anche se non rientra negli autori studiati dalle scuole di
grammatica, che lo criticano per il gusto del virtuosismo. Ha imitatori già in vita
XII-XIII-XIV secoli: definiti AETAS OVIDIANA per il grande influsso che esercita sui poeti suoi
Ariosto.
MODERNITÀ: ripreso da moltissimi, tra cui D’Annunzio, che lo ammira per la poesia elaborata.
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LIVIO
È sicuramente uno degli storici romani che ha goduto di più fortuna presso la posterità.
- Cronaca di Girolamo;
- Epistulae di Plinio;
• Alterna la vita di città con lunghi soggiorni a Padova, dove muore nel 17 d.C.
LA FORTUNA DI LIVIO
ROMANITÀ: prevalenza del modello storico sallustiano, ma comunque grandissima fortuna.
Attingono dalla sua opera storiografi posteriori sia greci che romani, ma anche
Inizia la pratica delle epitomi: redazioni concise e abbreviate della sua opera
MEDIOEVO: piccolo declino all’inizio. Letto da Dante che lo colloca tra i massimi prosatori, nel
De Vulgari Eloquentia.
UMANESIMO: Petrarca ne trae ispirazione per alcuni episodi dell’Africa e trova diversi libri.
MODERNITÀ: molti traggono ispirazione per tragedie, hanno fortuna soprattutto i personaggi
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Si tratta di una grande STORIA DI ROMA, dalla sua fondazione fino all’epoca
contemporanea, probabilmente fino alla morte di Druso in Germania (9 a.C.) o alla
disfatta di Teutoburgo, dello stesso anno. Non è improbabile che il progetto originale
fosse di arrivare alla morte di Augusto (14 d.C.) e che Livio sia morto prima di completare
quest’ultima sezione.
L’opera consiste in 142 libri di ineguale ampiezza, divisi in decadi: periodi distinti
caratterizzati da avvenimenti specifici della storia.
Non è chiaro a quando risalga questa divisione in decadi: alcuni suppongono sia da
datare al V secolo d.C., altri che appartenga allo stesso autore (Livio aveva pubblicato
Dell’opera di Livio abbiamo una sezione decisamente mutila, probabilmente sempre per il
discorso della trasmissione in sezioni (alcune di quelle che sono state tramandate hanno
avuto fortuna, altre no). Rimangono:
• PRIMA DECADE (I-X): dalla fuga di Enea da Troia alla terza guerra sannitica (293 a.C.).
• TERZA e QUARTA DECADE (XXI-XLV): dalla Seconda Guerra Punica (218 a.C.) alla
+ metà
QUINTA
della DECADE
guerra contro la Macedonia (167 a.C.).
Livio nella scelta delle fonti non sembra procedere a un attento vaglio critico. Sembra
che il criterio fondamentale fosse quello della facilità di accesso e reperibilità:
- Polibio, da cui attinge soprattutto la visione unitaria del mondo mediterraneo e dei
legami fra Roma e i regni ellenistici;
Per questo motivo è stato definito uno EXORNATOR RERUM: storico letterario
preoccupato di amplificare e di adornare la traccia che trovava nelle proprie fonti con
una drammatizzazione piena di varietà e di movimento.
L’accusa che lo vede come storiografo di “seconda mano”, che rielabora il lavoro di
altri, contiene un fondo di verità ma non nega l’originalità del suo lavoro.
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Con Livio la storiografia latina ritorna al METODO ANNALISTICO: la narrazione di ogni
impresa si estende per l’arco di un anno, dopodiché viene sospesa per raccontare altri
avvenimenti contemporanei all’azione militare; per l’anno successivo ricomincia da capo.
La narrazione non ha uguale estensione per tutti gli anni: Livio dilata l’ampiezza dei libri
man mano che si avvicina all’epoca contemporanea.
Il regime augusteo, nei confronti della letteratura storiografica, non opera un tentativo di
egemonia simile a quello esercitato nei confronti dei poeti. Il rapporto di Livio in questo
senso è complesso: non si può dire oppositore diretto al regime, ma nemmeno un
sostenitore entusiasta.
Quintiliano coglie in lui delle tracce di Patavinitas (la sua fonte è Asinio Pollione):
sua nostalgia per gli ideali repubblicani. Sappiamo che Livio copriva di lodi
Pompeo e ostentava rispetto nei confronti dei Cesaricidi.
Non rappresenta una grande minaccia per augusto perché in quel tempo voleva
rappresentarsi più come un restauratore della repubblica che come un erede di Cesare:
tollerava i martiri della repubblica.
Accordo sostanziale tra Livio e il princeps: condanna da parte di entrambi del disordine
politico-sociale degli ultimi decenni della storia politica, dei conflitti tra i partiti,
dell’avidità dei ricchi e delle rivendicazioni dissennate dei poveri.
In sintesi, lo storico può essere definito estraneo a quella parte di ideologia augustea
che insisteva sul valore carismatico del principato, presentandolo come nuova età
dell’oro.
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L’autore più volte ribadisce che la narrazione del passato mitico e glorioso di Roma è per
lui un rifugio dal narrare dei problemi più recenti. Si tratta di una critica implicita alla
storiografia sallustiana, che invece si concentrava sugli eventi contemporanei.
Rappresentando le grandi azioni e i grandi personaggi della storia antica, Livio fornisce
degli esempi esemplati per il presente: il grandioso passato indica la via della salvezza a
chi, nel presente, deve rinnovare il prezioso esempio.
Possiamo identificare l’intento di Livio nella passione moralistica: non è uno studio
politico che spiega gli atteggiamenti e le ideologie del passato, ma una narrazione da
condurre in termini di personalità umane e di singoli individui rappresentativi, che fungono
da exempla, da imitare o da rifuggire.
Livio è così impegnato nella narrazione che la sua può essere definita una
STORIOGRAFIA DRAMMATICA
Largo spazio alla rappresentazione dei drammi nel racconto, pieni di pathos, che
possono essere costituiti dalle descrizioni di battaglie, dal rovesciamento repentino di una
battaglia, inizialmente sfavorevole, che comporta una vittoria del popolo romano, dalle
sommosse popolari, dai resoconti dei dibattiti in senato.
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Fondamentali, per la credibilità e la riuscita di questa storiografia drammatica, sono le
personalità singole. Attraverso la tecnica impressionistica padroneggiata, i personaggi
sono molto caratterizzati. Livio lascia loro lo spazio per descriversi:
Ampio ricorso al discorso diretto per delineare i pensieri dei singoli individui, che
descrivono le loro inclinazioni e anche le scene a cui assistono da spettatori.
Tuttavia, si potrebbe dire che nello stile di Livio c’è più ethos che pathos: quello che
riecheggia è una grande maestosità epica, molto suggestiva, resa ancora più piacevole
dalla grandezza delle raffigurazioni. Non risulta mai pomposo o manierato.
LINGUA E STILE
Piuttosto che al modello conciso e talvolta oscuro di Sallustio, Livio si rivolge alla prosa
ciceroniana come modello: lo stile è ampio, fluido e luminoso, senza artifici e senza
restrizioni. Evita ogni asperitas.
I toni sono molto vari, ma rimangono comunque dolci e lineari. A volte i periodi possono
risultare carichi e affollati, perché prevedono la divulgazione scritta. Al contrario della
prosa lineare di Cicerone, ideata per essere letta e quindi più facile, Livio non rinuncia a
periodi più complessi.
SENECA
È uno dei pochi autori latini che mette in pratica il precetto stoico dei filosofi e degli
intellettuali al potere, almeno in parte della sua vita.
- Annales di Tacito;
- Cassio Dione;
• Si trasferisce a Roma dove riceve una formazione nelle scuole di retorica e di filosofia,
in previsione di una carriera politica. Per iniziare la formazione militare si reca in Egitto al
seguito di uno zio prefetto (24 d.C.).
• Tornato a Roma, nel 31 d.C. inizia la carriera politica: ottiene un successo cospicuo,
tant’è che Caligola ne decreta la condanna a morte perché invidioso delle sue orazioni.
Riesce a scamparla grazie a una delle amanti dell’imperatore (lol?).
• Nel 49 d.C. viene richiamato a Roma da Agrippina, che lo sceglie come precettore per il
Nerone, insieme al prefetto del pretorio Afanio Burro. Seneca accompagna il futuro
imperatore fino all’ascesa al trono (54 d.C.) e per i cinque anni successivi:
• Quando i rapporti con Nerone vanno deteriorandosi e muore Burro, Seneca si ritira a
vita privata dedicandosi ai suoi studi.
• Viene considerato sospetto agli occhi di Nerone e Tigellino (nuovo prefetto del pretorio)
e coinvolto nella CONGIURA PISONIANA (65 d.C.). condannato a morte
dall’imperatore, Seneca si suicida per non arrendersi al potere.
LA FORTUNA DI ORAZIO
ROMANITÀ: immediato successo alimentato soprattutto da Quintiliano. Nella tarda antichità ai
Soprattutto dal XIV secolo: è un modello per il teatro elisabettiano di Shakespeare, per quello
classico francese di Corneille, Racine e per Voltaire, per il Romanticismo tedesco. In Italia viene
apprezzato e ripreso soprattutto da Alfieri.
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OPERE FILOSOFICHE
Occupano il maggior spazio all’interno della produzione di Seneca.
DIALOGI
È una raccolta in 12 libri costituita da trattazioni autonome di aspetti particolari della
filosofia etica stoica e di psicologia. Seneca perde il rigore dottrinale, liberandosi da ogni
chiusura dogmatica.
Il titolo non fa riferimento alla forma dialogica, ma più alla ripresa della maieutica platonica
come metodo di discussione filosofica.
Le singole sezioni sono difficili da datare perché composte nell’arco di tutta la vita:
è difficile vedere anche lo sviluppo del suo pensiero nel corso del tempo.
indirizzata alla figlia di Cremuzio Cordo, per consolarla della morte di un figlio.
alla madre, per tranquillizzarla sulla sua condizione di esule: esaltazione degli aspetti
DE IRA, in tre libri: più speculativo e meno legato a delle circostanze contingenti. Scritto
probabilmente prima dell’esilio, ma publicati sicuramente dopo la morte di Caligola.
Dedicato al fratello Novato.
Affronta il problema della felicità e indaga il ruolo che possono avere le ricchezze
e gli agli nel perseguimento di questa.
Seneca sembra volersi discolpare dalle accuse che gli venivano imputate, riguardo
l’incoerenza che avrebbe promosso tra i principi filosofici e il suo stile di vita lussuoso.
L’essenza della felicità sta nella virtù, non nei piaceri o nella ricchezza. Tuttavia, se
questi possono aiutare alla ricerca della virtù, sono legittimati.
Di conseguenza, chi aspira alla sapientia dovrà sopportare i pesi degli agli e del
benessere che la vita ha concesso senza lasciarsi snaturare:
Tema della partecipazione del saggio alla vita politica: mediazione fra i due
L’obiettivo è trovare una serenità d’animo capace di giovare agli altri, con
l’esempio o con la parola: si può essere utili a una comunità in molti modi.
Scelta forzata del ritiro a vita politica, reso necessario da una situazione politica
DE VITA BEATA: da datare forse agli anni tra il 49 e il 52 d.C., dedicato a Paolino
Affronta il problema del tempo, della sua fugacità. La vita ci sembra breve perché
NATURALIUM QUAESTIONUM LIBRI VII: anni del ritiro a vita privata, unica opera
Seneca tratta dei vari fenomeni naturali e celesti (terremoti, comete, temporali).
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TRATTATI FILOSOFICO-POLITICI
L’interesse per il rapporto tra filosofia e politica è centrale nel pensiero di Seneca, già a
partire dalle opere filosofiche sopra citate. Il pensiero centrale è quello espresso nel De
tranquillitate animi e nel De otio:
il sapiente non dovrà tenersi lontano dagli affari dello stato, ma lavorare per il benessere
della sua comunità, a meno che la sua partecipazione turbi la sua serenità interiore.
ad equità e moderazione.
Il problema non è il tipo di potere, ma avere un buon sovrano al potere: l’unico freno sul
princeps è la sua stessa coscienza, che deve trattenerlo dal governare in modo tirannico.
La CLEMENZA è l’atteggiamento di filantropica benevolenza da avere nei confronti dei
sudditi, in modo da non essere temuto ma sempre rispettato.
Quando la situazione politica degenera, Seneca deve tornare a fare i conti con il
Seneca tratta della natura e delle varie modalità degli atti di beneficenza, del legame che
si istituisce tra benefattore e beneficato, dei doveri di gratitudine e delle conseguenze per
i trasgressori di essi.
Sono un elemento coesivo dei rapporti interni all’organismo sociale: trasferimento sul
piano di una morale individuale il progetto di una società equilibrata e concorde, fondata
su una morale illuminata.
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EPISTULAE AD LUCILIUM
Si tratta di una raccolta di lettere di maggiore o minore estensione, di vario argomento.
Non è chiaro se si tratti di un epistolario reale o fittizio, ma un’ipotesi non esclude l’altra:
le trattazioni più lunghe potrebbero esser state aggiunte al momento della pubblicazione,
quelle più corte esser state effettivamente inviate.
Sul modello di Epicuro, Seneca utilizza le lettere come strumento di crescita personale,
come diario di conquiste dello spirito nel lungo itinerario verso la sapientia.
La lettera si presta in maniera ottimale allo scopo perché analizza di volta in volta un
argomento e accompagna il discepolo verso l’obiettivo filosofico.
Seneca costruisce con Lucilio un dialogo costruttivo a tappe: all’inizio tratta i temi più
semplici, per arrivare mano a mano a quelli più complessi, permettendogli di meditarci su
attraverso l’uso di sententiae.
Il percorso filosofico non interessa solo Lucilio, ma riguarda anche lo stesso Seneca,
consapevole del fatto che la sapienza non è un risultato raggiungibile fino in fondo:
bisogna sforzarsi per mantenerla e alimentarla sempre.
INTENTO PARENETICO
È estremamente conforme al tipo di filosofia a cui Seneca aderisce: non esiste una reale
sistematicità, ma i diversi aspetti vengono trattati in modo parziale, partendo da singoli
temi (tradizione diatribica). Gli argomenti sono:
- riflessione sulla condizione umana che accomuna tutti gli esseri viventi: condanna del
trattamento riservato agli schiavi (anche se la sua visione resta profondamente
aristocratica, vedi riflessione sul popolo che si intrattiene con i giochi del circo).
- Definizione di otium: distacco dal mondo e vita appartata che non è inerzia ma ricerca
del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare sia a Lucilio
che al futuro lettore per:
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Lo stile di Seneca si può definire rivoluzionario sul piano del gusto: la sua tecnica,
definita “puntillistica”, produce l’effetto di sfaccettature pregnanti e concise.
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TRAGEDIE
Fondamentali per la storia della letteratura latina, perché sono le uniche tragedie
pervenute in forma non frammentaria e testimoniano la ripresa del teatro latino tragico in
età imperiale, dopo il tentativo poco fortunato di Augusto.
Sappiamo molto poco della loro cronologia e ipotetica rappresentazione: in età augustea
si continuavano a mettere in scena delle opere ma era possibile anche leggerle nella sala
di recitazione. Non sappiamo in che modo fossero divulgate quelle di Seneca.
Seneca denota maggiore autonomia dal modello greco: dopo l’esperienza della
drammatico.
Follia di Ercole provocata da Giunone, che lo porta a uccidere moglie e figli. Rinsavito è
determinato a suicidarsi ma poi si convince ad recarsi ad Atene per purificarsi.
Sorte delle donne troiane, prigioniere e impotenti di fronte al sacrificio di Polìssena, figlia
di Priamo, e di Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca.
Principessa della Colchide abbandonata da Giàsone e assassina dei figli avuti da lui.
Amore di Fedra per il figliastro Ippolito, che non la ricambia. Per vendicarsi lei lo denuncia
al marito Teseo, padre del giovane, che lo fa uccidere.
Mito tebano di Edipo, che si acceca dopo aver scoperto di essere l’uccisore del padre
Laio e lo sposo della madre Giocasta.
Assassinio di Agamennone dopo la guerra di Troia, per mano della moglie Clitennestra e
del suo amante Egisto.
Odio mortale di Àtreo verso il fratello Trieste, che gli ha sedotto la sposa. Per vendetta
uccide i figli e glieli fa mangiare in un finto banchetto di riconciliazione.
Gelosia di Deianira, lasciata da Ercole perché innamoratosi di Iole: si reca dal centauro
Nesso che prepara un finto filtro d’amore per la ragazza, che in realtà è fatale. Quando lo
scopre Escole si uccide e viene assunto tra gli dei.
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Le tragedie di Seneca si configurano soprattutto come conflitti di forze contrastanti,
all’interno dell’animo umano:
Nelle tragedie vengono ripresi anche molti dei temi filosofici cari a Seneca: consonanza di
fondo rintracciabile tra i vari settori della produzione senecana. In un certo senso si può
leggere la tragedia come serie di exempla messi in scena a partire da concetti filosofici.
Nonostante questo le differenze sono rilevanti: i personaggi non sono capaci di frenare le
passioni attraverso il logos e arginare il dilagare del male.
La realtà ha toni cupi e atroci: la lotta delle forze maligne non coinvolge solo la psiche
umana ma il mondo intero, conferendo al conflitto una portata universale.
Rilievo particolare alla figura del tiranno, sanguinoso e bramoso i potere, chiuso ala
moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura: nuovo dibattito sul tema del potere
STILE TRAGICO
Il linguaggio poetico delle tragedie trae spunti dalla poesia augustea, di cui riprende le
raffinate forme metriche:
- Senario molto simile a quello della tragedia augustea e al trimetro giambico di Orazio,
più lontano rispetto al senario libero del teatro arcaico latino.
OCTAVIA: prima moglie di Nerone che viene ripudiata e fatta uccidere dopo che l’imperatore
si innamora di Poppea.
Si tratta sicuramente di un’opera spuria, perché Seneca entra come personaggio all’interno
del dramma e perché viene raccontata anche la morte di Nerone, avvenuta due anni dopo
quella dell’autore, e preannunciata dal fantasma di Agrippina.
Sembra collocarsi in un ambiente vicino a quello di Seneca e in anni non troppo posteriori alla
sua morte, è importante perché è l’unica tragedia di argomento romano giunta integralmente.
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APOKOLOKYNTOSIS
L’opera nei manoscritti viene definita come Ludus de morte Claudii o Divi Claudii
apotheosis per saturam. Dobbiamo il titolo più famoso alla testimonianza di Cassio Dione,
che fa riferimento al greco kolòkynta, zucca: è quindi da intendere come “deificazione di
una zucca”, in riferimento alla fama passima di cui godeva l’imperatore.
Si tratta della parodia della divinizzazione di Claudio, decretata dal senato subito dopo
la sua morte (54 d.C.): la satira risale probabilmente allo stesso anno, Seneca la scrive
come sarcastico sfogo nei confronti dell’imperatore che lo aveva esiliato.
Elogio per il futuro successore di Claudio, con il quale spera di tornare ad un nuovo
splendore per il principato.
Descrizione dell’ascesa all’Olimpo nella pretesa di essere assunto tra gli dei, che lo
costringono a discendere, come tutti i mortali, agli Inferi.
Vengono alternate parti di prosa (dai toni piani) e parti liriche di vario metro (dai toni
solenni e con un lessico anche volgare).
Molto spesso troviamo delle citazioni di versi in farsesco controcanto: parodia letteraria
propria del genere letterario. I pastiches letterari si riferiscono soprattutto all’epica e alla
tragedia.
EPIGRAMMI
Sono attribuiti alla produzione senecana alcune decine di epigrammi in distici elegiaci,
anche se la paternità è a dir poco incerta. Non sono particolarmente brillanti, in alcune si
accenna all’esilio e uno ricorda il nipote Lucano da bambino.
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LUCANO
Poeta imperiale molto fortunato ma spesso criticato, sceglie il genere epico
contrapponendosi apertamente al modello virgiliano.
- Annales di Tacito;
- Silvae di Stazio;
- Vita di Persio: lungo encomio del poeta che fornisce un catalogo delle opere;
• Entra a far parte della corte di Nerone e stringe un’intima amicizia con l’imperatore.
Grazie a lui ricopre precocemente la questura e entra nel collegio degli àuguri. In onore
delle feste indette da Nerone per il 60 d.C. recita delle Laudes per il principe. Possibile
la pubblicazione dei primi tre libri del poema.
• Brusca rottura con l’imperatore, per motivi incerti. Possibile che Nerone non approvasse
le idee repubblicane di Lucano, espresse nel poema.
• Caduto in disgrazia aderisce alla CONGIURA PISONIANA (65 d.C.). Sedato il complotto
riceve l’ordine di uccidersi e si toglie la vita lo stesso anno, a nemmeno ventisei anni.
Abbiamo un catalogo abbastanza vasto della produzione di Lucano, ma a parte il poema non è
stato tramandato nulla. Le opere perdute sono:
- Catachtònion: carme sulla discesa agli inferi, secondo qualcuno un epillio su Orfeo;
- De incendio urbis;
- Tragedia Medea;
- Saturnalia;
- Silvae;
LA FORTUNA DI LUCANO
ROMANITÀ: rapida fortuna (presso Marziale), seguita anche da polemiche letterarie (Petronio)
concetti e la sovrabbondanza dello stile, Servio considera la sua opera una storia,
non un poema.
MEDIOEVO: viene letto tantissimo, la sua opera recupera molto fascino (testimoni i molti
ispirazione dalla figura di Catone della Farsalia per il suo personaggio del
Purgatorio.
RINASCIMENTO: Petrarca lo legge e si ispira al suo modello per la scrittura dell’Africa. Tasso
1700-1800: ripreso come modello dalle correnti neoclassiche e romantiche: Goethe (Faust),
PHARSALIA
Il titolo richiama la sconfitta di Pompeo a Farsalo: l’argomento è la brutalità delle guerre
civili (chiamata anche Bellum Civili nelle biografie antiche di Lucano e nei codici).
Rispetto alla produzione precedente del poeta l’opera si distacca nettamente: se prima si
poteva cogliere una generale adesione al programma letterario promulgato
dall’imperatore, qui è evidente l’esaltazione dell’antica gloria repubblicana, se non in
aperto contrasto con le tendenze culturali neroniane.
LIBRO I
Esposizione dell’argomento ed elogio a Nerone. Cause della guerra: passaggio del Rubicone
da parte di Cesare.
LIBRO II
Lamenti dei Romani che ricordano il conflitto Mario-Silla.
Catone convince Bruto, durante un dibattito notturno, del fatto che sia meglio schierarsi dalla
parte di Pompeo, piuttosto che astenersi da un conflitto (che in ogni caso vedrebbe la vittoria
di un dominatore su uno sconfitto).
LIBRO III
Giulia appare in sogno a Pompeo per minacciare terribili sciagure.
LIBRO IV
Azioni di Cesare in Spagna e in Africa. Esaltazione dell’eroismo dei cesariani.
LIBRO V
Il Senato, riunito in Epiro, rinnova i comandi di Pompeo sulle forze repubblicane.
Cesare tenta di raggiungere Antonio passando l’Adriatico in incognito ma c’è una tempesta.
Pompeo mette al sicuro la moglie Cornelia a Lesbo: addio pieno di suggestioni elegiache.
LIBRO VI
Pompeo rinchiuso e assediato a Durazzo. Gli eserciti arrivano in Tessaglia.
Sesto consulta la maga Erìttone che richiama dall’Ade un soldato caduto, il quale dà presagi
di sventura per lui e per tutta la sua family: negromanzia.
LIBRO VII
Pompeo sogna i trionfi del passato. Al consiglio di guerra cerca di convincere l’esercito a non
combattere ma viene spinto dai suoi partigiani (Cicerone).
Vittoria di Cesare in battaglia. Morte eroica di alcuni pompeiani, tra cui Domizio Enobarbo.
Fuga di Pompeo.
LIBRO VIII
Pompeo riprende Cornelia e vuole allearsi prima con i Partii, che però rifiutano la proposta,
poi con il re d’Egitto Tolomeo. Il sovrano egiziano lo tradisce: morte di Pompeo, decapitato e
lasciato sulla spiaggia.
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LIBRO IX
Catone assume il comando dell’esercito dopo la morte di Pompeo, attraversa il deserto libico
con pericoli di ogni sorta, rifiutando di consultare l’oracolo di Ammone perché nessun giudizio
divino può modificare la sua determinazione.
LIBRO X
Cesare visita la tomba di Alessandro Magno ad Alessandria, ponendosi come suo
continuatore. Bamnchetto con Cleopatra e narrazionesulle sorgenti del Nilo con il sacerdote
Acòreo.
Il suo personaggio va
Si fa prendere da tutte le verso il declino politico, Comprensione della
forze irrazionali che quando la sua Fortuna si malvagità del fato e
venivano domate mostra avversa.
impossibile adesione alla
nell’Eneide.
volontà del destino.
Avendo perso la maggior parte delle fonti storiche (Asinio Pollione, alcuni libri di Livio,
Seneca il Vecchio) a cui si rifaceva Lucano non possiamo stabilire quanto si rifacesse a
queste.
Sicuramente sono presenti delle deformazioni: per adattare il racconto alle sue
inclinazioni politiche Lucano presenta alcuni eventi da un punto di vista non fedele,
- ABUSO DI SENTENTIAE.
Dopo la pubblicazione dell’Eneide, Virgilio era diventato il canone assoluto per la poesia
epica: viene insegnato in tutte le scuole come modello sia etico-politico sia stilistico.
Virgilio con la sua opera aveva costruito il canone imprescindibile della poesia epica
latina, al quale i successivi poeti non potevano sottrarsi.
Anziché riplasmare il modello, Lucano si proietta per contrasto sul suo sfondo:
Anziché rivelare le future glorie, la negromanzia rivela la rovina che attende Sesto e la
sua stirpe: anime degli eroi di Roma in lacrime, che deplorano la sorte infelice che li
attende.
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Innegabile è l’evoluzione che segue il poema, coerentemente con il progressivo
pessimismo storico del poeta.
Addirittura, nell’iniziale elogio, Lucano sembra collegare la nuova età dell’oro profetizzata
nell’Eneide con il regno di Nerone, non con il principato di Augusto (sempre in polemica
con Virgilio). Qualcuno, tuttavia, ha visto in questa sezione un’ironia cifrata.
ROMA COME ANTIMITO: la Pharsalia è la storia del tracollo dell’impero, della sua
decadenza inarrestabile che si contrappone all’ascesa della città dalle sue origini umili.
Non è solo artificiosità letteraria: Lucano non può rischiare di tradire con le parole il
messaggio della sua ideologia disperata, quindi deve affidarsi agli schematismi
enfatici del discorso retorico:
- ritmo incalzante dei periodi | urgenza concitata dei pensieri con enjambement |
sintassi che esce dallo schema esametrico | nessuna sinalefe per evitare il senso di
fluidità.
l’IO del poeta ricorre continuamente: è sempre presente per giudicare, per condannare,
attraverso delle apostrofi e dei generali interventi personali. La tensione espressiva
dell’epica si alimenta dell’impegno e della passione con cui l’autore ha vissuto la crisi
della sua cultura.