Dopoguerra e Fascismo
Dopoguerra e Fascismo
Dopoguerra e Fascismo
Ci
sono
problemi
demografici,
la
guerra
aveva
causato
8
milioni
di
morti,
e
l’’influenza
della
spagnola
tra
il
1918
e
il
1924
stroncò
altri
22
milioni
di
persone
nel
mondo.
La
crisi
economica
travolge
l’Europa,
la
produzione
industriale
doveva
essere
riconvertita,
ma
ciò
comportava
alti
costi:
le
imprese
in
crisi
abbassarono
i
salari
e
licenziarono
gli
operai.
La
guerra
aveva
segnato
l’ingresso
delle
masse
nella
storia.
Si
comprese
l’importanza
di
riunirsi
in
organizzazioni:
partiti
e
sindacati
conobbero
un
grande
sviluppo,
interpretando
le
rivendicazioni
di
operai
e
contadini.
Tra
il
1919
e
il
1920
vi
furono
in
Europa
lotte
e
manifestazioni.
I
borghesi
moderati,
temendo
una
rivoluzione
comunista,
si
spostarono
verso
l’estrema
destra:
giudicavano
le
istituzioni
parlamentari
troppo
deboli
per
mantenere
l’ordine
sociale
esistente.
L’esperienza
russa
aveva
dimostrato
che
la
rivoluzione
era
possibile
e
Lenin
intendeva
diffonderla
in
tutto
il
mondo,
attraverso
scioperi
e
agitazioni
gli
operai
ottennero
aumenti
di
salario
e
la
giornata
lavorativa
di
otto
ore.
I
vari
tentativi
di
rivoluzione
in
Italia,
Francia
e
Germania
furono
stroncati
con
la
forza.
Dopo
la
prima
guerra
mondiale,
secondo
il
Patto
di
Londra,
l’Italia
avrebbe
dovuto
ottenere
la
Dalmazia,
lasciando
la
città
di
Fiume
agli
Austro-‐ungarici.
Il
governo
italiano
pretese
con
forza
il
rispetto
del
Patto,
ma
cercò
di
ottenere
anche
l’annessione
di
Fiume.
Gli
Alleati
respinsero
questa
richiesta
e
in
Italia
si
diffuse
il
malcontento
per
quella
che
D’Annunzio
definì
una
vittoria
mutilata
Il
governo
del
neopresidente
Nitti
fu
accusato
di
incapacità
nel
tutelare
gli
interessi
nazionali
e
D’Annunzio
fu
artefice
di
una
clamorosa
impresa:
l’occupazione
della
città
di
Fiume
nel
1919.
Nel
1920
tornò
al
governo
Giolitti
che
per
risolvere
la
questione
juogoslava
(ovvero
riguardante
l’assegnazione
di
territori
sloveni,
ma
di
lingua
italiana,
al
confine
tra
Italia
e
Jugoslavia)
firmò
il
trattato
di
Rapallo:
la
Iugoslavia
ottenne
la
Dalmazia,
all’Italia
fu
assegnata
l’Istria,
Fiume
divenne
uno
stato
libero.
Le
conseguenze
sociali
ed
economiche
della
guerra
furono
particolarmente
pesanti
per
le
centinaia
di
migliaia
di
morti,
per
l’aumento
del
debito
pubblico
per
la
svalutazione
della
lira.
Grazie
alle
commesse
di
guerra
l’apparato
industriale
italiano
migliorò
e
incrementò
la
produzione.
Ma
la
necessità
di
riconvertire
la
produzione
da
bellica
a
civile
determinò
una
crescente
disoccupazione.
In
questo
contesto
le
lotte
sociali
si
fecero
sempre
più
aspre.
Crebbe
in
modo
massiccio
l’adesione
degli
operai
ai
sindacati.
Le
lotte
ottennero
risultati
sia
per
gli
operai
che
per
i
contadini,
aumenti
salariali,
giornata
di
lavoro
di
otto
ore,
parziale
redistribuzione
delle
terre
incolte
occupate.
Nel
1919
venne
fondato
da
don
Luigi
Sturzo
il
Partito
Popolare
Italiano
che
segnò
il
coinvolgimento
diretto
dei
cattolici
nella
vita
politica
italiana.
Fondamentale
per
la
riuscita
del
progetto
fu
che
il
consenso
non
fu
chiesto
sulla
base
di
personali
convinzioni
di
fede,
ma
a
partire
dalla
condivisione
di
un
preciso
programma
politico
di
riforme
sociali
da
applicarsi
pacificamente.
Sempre
nel
1919
nacque
il
movimento
dei
Fasci
di
combattimento,
fondato
da
Benito
Mussolini.
Inizialmente,
si
collocò
politicamente
a
sinistra,
battendosi
per
radicali
riforme
sociali.
Ben
presto,
però,
il
movimento
si
caratterizzò
per
l’aggressività
verbale
e
la
violenza.
Le
elezioni
del
1919,
le
prime
col
sistema
proporzionale,
segnarono
la
sconfitta
dei
vecchi
gruppi
liberal-‐
democratici
che
passarono
da
300
a
200
seggi.
Il
partito
più
votato
fu
quello
socialista,
che
continuò
a
rifiutare
ogni
collaborazione
con
i
governi
borghesi.
Nel
1920
il
sindacato
dei
metalmeccanici
(FIOM)
chiese
il
rinnovo
del
contratto
per
ottenere
aumenti
salariali,
ma
gli
industriali
respinsero
ogni
richiesta.
Scattò
così
l’occupazione
delle
fabbriche.
Giolitti
realizzò
un’intelligente
opera
di
mediazione:
fece
ottenere
agli
operai
aumenti
salariali
in
cambio
dello
sgombero
delle
fabbriche.
In
questo
conteso
i
contrasti
interni
al
PSI
fra
massimalisti
e
riformisti
si
fecero
sempre
più
duri.
Nel
1921
la
corrente
guidata
da
Gramsci
formò
il
Partito
Comunista
d’Italia.
FASCISMO
La
marcia
su
Roma
Tra
la
fine
del
1919
e
l’inizio
del
1921
vennero
formate
le
squadre
d’azione
fasciste,
che
organizzavano
spedizioni
punitive
contro
socialisti
e
organizzazioni
contadine.
Esse
partivano
dalle
città
e
si
spostavano
verso
le
campagne,
per
andare
a
devastare
ed
incendiare
le
sedi
delle
leghe,
le
camere
del
lavoro,
le
case
del
popolo,
i
municipi.
Lo
squadrismo
ottenne
immediatamente
l’appoggio
finanziario
della
borghesia
terriera
desiderosa
di
una
rivalsa,
ma
raccolse
militanti
soprattutto:
-‐ Tra
gli
ex
combattenti
che
faticavano
a
reinserirsi
nella
vita
civile
-‐ Tra
i
giovani
che
volevano
impegnarsi
contro
i
nuovi
presunti
nemici
della
patria
-‐ Nelle
file
della
piccola
borghesia
che
cercava
spazi
per
affermare
l’orgoglio
della
propria
diversità
nei
confronti
delle
masse
socialiste.
Nello
squadrismo
ebbero
un
ruolo
importante
la
neutralità
della
classe
dirigente
e
l’atteggiamento
indifferente
delle
forze
dell’ordine.
Probabilmente
i
politici
liberali
speravano
di
potersi
servire
dei
fascisti
per
arginare
il
partito
socialista
e
i
comunisti.
Giolitti
decise
d’indire
nuove
elezione
per
il
maggio
1921.
I
fascisti
che
entrarono
in
liste
comuni
con
liberali
e
gruppi
di
centro,
continuarono
a
ricorrere
alla
violenza
in
modo
sistematico
durante
la
campagna
elettorale.
Le
elezioni
furono
un
insuccesso
per
i
liberali
e
così
Giolitti
rinunciò
a
guidare
il
governo.
Nel
novembre
1921
Mussolini
decise
di
trasformare
il
suo
movimento
in
Partito
Nazionale
fascista,
modificandone
significativamente
il
programma:
Dopo
aver
reso
più
credibile
il
PNF
come
forza
di
governo,
Mussolini
il
24
ottobre
1922
riunì
a
Napoli
migliaia
di
camicie
nere
e
ordinò
di
marciare
su
Roma
per
prendere
il
potere
con
la
forza.
Quando
venne
proclamato
l’evento
l’allora
capo
del
governo
Facta
chiese
al
re
Vittorio
Emanuele
di
proclamare
lo
stato
d’assedio,
permettendo
così
l’intervento
dell’esercito.
Nei
giorni
successivi,
il
re,
nonostante
le
sollecitazioni
del
governo,
decise
di
non
fare
intervenire
l’esercito
e
il
30
ottobre
1922
ricevuto
Mussolini
a
Milano
gli
diede
l’incarico
di
formare
un
nuovo
governo.
Tra
il
1922
e
l
1924
si
svolse
la
cosiddetta
fase
legalitaria
del
fascismo.
Mussolini
guidò
un
governo
di
coalizione
costituito
anche
da
liberali
e
popolari.
Tra
i
provvedimenti
assunti
in
questo
periodo
merita
ricordare:
Il
10
giugno
1924
Giacomo
Matteotti
segretario
del
Partito
socialista
unitario,
a
seguito
di
un
discorso
alla
Camera
tenuto
il
30
maggio
in
cui
denunciava
violenze
e
brogli
dei
fascisti
durante
le
elezioni
del
1924,
fu
rapito
e
ucciso
da
un
gruppo
di
squadristi.
Vi
fu
un
crollo
della
popolarità
di
Mussolini.
L’opposizione
si
dichiarò
disponibile
a
rientrare
in
Parlamento
solo
dopo
il
ripristino
della
legalità
e
l’abolizione
della
Milizia.
Si
formò
così
la
cosiddetta
secessione
dell’Aventino:
di
fatto
l’opposizione
sperava
che
il
re
intervenisse
ritirando
la
fiducia
a
Mussolini,
ma
il
sovrano
non
assunse
nessuna
iniziativa.
Nel
1925,
in
un
discorso
alla
Camera,
Mussolini
si
assunse
tutte
le
responsabilità
di
ciò
che
era
avvenuto.
Era
l’annuncio
dell’inizio
della
dittatura
fascista.
L’Italia
fascista
La
trasformazione
del
fascismo
in
dittatura
avvenne
nel
1925
con
i
seguenti
provvedimenti
chiamati
leggi
fascistissime
-‐ unico
partito
riconosciuto
fu
il
PNF;
tutti
i
partiti
dell’opposizione
vennero
sciolti
-‐ il
capo
del
governo
fu
dichiarato
responsabile
solo
di
fronte
al
re;
gli
si
riconobbe
anche
il
potere
legislativo
-‐ vennero
abolite
le
autonomie
locali;
il
posto
del
sindaco
fu
occupato
da
un
funzionario
del
governo:
il
podestà
-‐ la
stampa
fu
sottoposta
a
censura
-‐ vennero
dati
ampi
poteri
all’OVRA
(opera
di
Vigilanza
per
la
Repressione
Antifascista),
incaricata
di
individuare
e
arrestare
gli
oppositori.
-‐ Istituzione
di
un
Tribunale
per
la
difesa
dello
stato
che
condannò
a
morte
decine
di
uomini.
Il
Partito
fascista
si
riorganizzò
in
una
struttura
burocratica
sottoposta
localmente
a
prefetti.
Il
vertice
del
Partito
era
il
Gran
consiglio
del
fascismo,
affidato
alla
presidenza
di
Mussolini.
Nel
1928
la
trasformazione
dello
Stato
liberale
in
Stato
totalitario
fu
completata
con
una
nuova
legge
elettorale
che
affidò
al
Gran
Consiglio
il
compito
di
preparare
la
lista
unica
dei
candidati.
Le
elezioni,
dunque,
si
trasformarono
in
plebisciti
in
favore
del
governo.
Ci
fu
un
grande
impegno
per
organizzare
il
consenso
nella
società
italiana,
cercando
di
influire
sui
costumi,
sulla
mentalità
e
sulla
vita
quotidiana
delle
masse.
Inoltre,
sia
il
cinema
che
la
radio
furono
ampiamente
usati
a
scopi
propagandistici.
Propaganda e consenso.
Il
partito
si
impegnò
per
ottenere
il
consenso
nella
società
italiana.
Divenne
obbligatorio
possedere
la
tessera
del
partito
per
ottenere
un
posto
nell’amministrazione
pubblica
o
per
conquistare
promozioni
e
privilegi.
Furono
create
delle
organizzazioni
per
coinvolgere
italiani
di
tutte
le
età.
Ad
esempio
l’Organizzazione
Nazionale
del
Dopolavoro
si
occupava
del
tempo
libero
dei
lavoratori
proponendo
gite,
gare
sportive
e
altre
forme
di
animazione,
mentre
il
Comitato
Olimpico
Nazionale,
CONI,
stimolava
e
allo
stesso
controllava
le
attività
sportive,
fino
ad
allora
affidate
a
società
private.
Ma
le
organizzazioni
più
importanti
furono
i
Fasci
Giovanili,
i
Gruppi
Universitari
Fascisti,
GUF,
e
soprattutto
l’Opera
Nazionale
Balilla.
A
quest’ultima
associazione
appartenevano
i
ragazzi
tra
gli
8
e
15
anni,
detti
balilla,
e
quelli
fra
i
16
e
18
anni
detti
avanguardisti.
I
ragazzi
venivano
educati
alla
dottrina
fascista
e
al
culto
di
Mussolini
con
esercitazioni,
parate,
marce
militari.
Nel
1937
fu
infine
istituito
il
Ministero
della
cultura
popolare
(MINCULPOP)
con
l’obiettivo
di
controllare
e
orientare
tutti
gli
aspetti
della
vita
culturale
italiana.
Il
progetto
di
rifondare
la
società
in
senso
fascista
si
scontrò
però
con
la
radicata
presenza
della
Chiesa
cattolica.
In
tante
zone
del
paese
le
parrocchie
era
ancora
l’unico
centro
di
aggregazione
e
la
quasi
totalità
della
popolazione
si
dichiarava
di
fede
cattolica.
Sarebbe
stato
difficile
per
Mussolini
governare
contro
la
Chiesa
ed
egli
optò
per
una
reciproca
legittimazione.
I patti lateranensi
Nel
1929
il
governo
(Mussolini)
e
la
santa
Sede
(Pio
XI)
sottoscrissero
i
Patti
lateranensi
che
comprendevano:
-‐ il
trattato
internazionale
con
il
quale
la
Chiesa
riconosceva
lo
Stato
italiano
e
la
sua
capitale,
ottenendo
la
sovranità
sulla
città
del
Vaticano
-‐ una
convenzione
finanziaria
che
impegnava
l’Italia
a
versare
una
indennità
al
Vaticano
per
la
perdita
dello
Stato
Pontificio
-‐ un
concordato
che
stabilì
che
quella
cattolica
era
la
religione
di
Stato,
regolamentò
l’insegnamento
della
religione
nella
scuola,
garantì
libertà
alla
Chiesa
nell’amministrazione
dei
beni
ecclesiastici
e
nella
scelta
dei
vescovi,
che
dovevano
però
giurare
fedeltà
allo
Stato.
Vennero
riconosciute
altre
associazioni
come
l’Azione
Cattolica,
a
patto
che
agissero
al
di
fuori
di
qualsiasi
partito
politico.
La
prima
fase
della
politica
economica
fascista
fu
di
stampo
liberista.
Ma
nel
1929
Mussolini
adottò
alcune
misure
protezionistiche.
Uno
dei
primi
importanti
provvedimenti
fu
l’aumento
del
dazio
sui
cereali
la
cosiddetta
battaglia
del
grano,
da
compiere
aumentando
le
superfici
da
coltivare,
anche
grazie
alle
bonifiche
di
territori
paludosi,
e
migliorando
le
tecniche
di
coltivazione.
Grazie
a
queste
bonifiche
soprattutto
nelle
zone
dell’Agro
Pontino,
dove
venne
costruita
la
città
di
Latina.
Fu
questo
il
primo
passo
della
politica
dell’autarchia:
l’Italia
avrebbe,
cioè,
dovuto
essere
in
grado
di
produrre
autonomamente
ciò
di
cui
aveva
bisogno.
Per
quanto
riguarda
i
rapporti
tra
le
classi
sociali,
Mussolini
propugnò
il
corporativismo:
i
datori
di
lavoro
e
i
lavoratori
dovevano
collaborare
e
difendere
insieme
gli
interessi
della
nazione.
In
realtà
questo
ordinamento
si
risolse
solo
a
vantaggio
degli
imprenditori
che
riuscirono
a
tenere
basso
il
costo
del
lavoro.
L’intervento
dello
Stato
in
economia
divenne
sempre
più
imponente
negli
anni
Trenta.
Furono
costituiti
l’Istituto
Mobiliare
Italiano
(IMI)
capace
di
sostituirsi
alle
banche
nel
sostegno
alle
industrie
in
difficoltà
e
l’Istituto
per
la
Ricostruzione
Industriale
(IRI)
che
sanò
decine
di
imprese
grazie
a
finanziamenti
pubblici.
Le
truppe
italiane
invasero
l’Etiopia
il
3
ottobre
1935,
senza
nemmeno
una
dichiarazione
di
guerra.
Addis
Abeba
venne
subito
conquistato
e
il
re
etiope
costretto
alla
fuga.
Nonostante
ciò
tra
le
fazioni
opposti
iniziò
una
lunga
ed
estenuante
guerriglia
Dopo
la
conquista,
la
Società
delle
Nazioni
condannò
l’Italia
in
quanto
aggressore
e
decretò
delle
sanzioni
economiche,
vietando
la
vendita
all’Italia
di
beni
di
interesse
militare.
In
realtà
le
sanzioni
non
furono
mai
rispettate
e
servirono
solo
a
far
guadagnare
consenso
a
Mussolini.
Infatti
egli
lamentò
che
la
Società
delle
Nazioni
tentasse
di
fermare
l’ascesa
dell’Italia,
fu
un
momento
di
grande
esaltazione
da
parte
della
popolazione
italiana
che
si
dichiarò
disposta
a
tutto
per
sostenere
la
guerra
e
il
governo.
Il
9
maggio
1936
Mussolini
annunciò
la
fondazione
dell’Impero
dell’Africa
Orientale
Italiana
e
offrì
a
Vittorio
Emanuele
III
la
corona
di
Imperatore
di
Etiopia.
Da
un
punto
di
vista
economico,
non
fu
una
grande
conquista
territoriale,
perché
l’Etiopia
non
era
adatta
alla
coltivazione
e
l’Europa
decise
di
soprassedere
senza
pretendere
il
pagamento
delle
sanzioni.
La
conseguenza
più
grave
della
guerra
d’Etiopia
fu
l’avvicinamento
di
Mussolini
a
Hitler
che
aveva
appoggiato
la
conquista
coloniale
italiana
garantendo
rifornimento
di
armi
e
di
materie
prime.
Nel
1936
fu
firmato
un
patto
tra
Italia
e
Germania
(Asse
Roma
-‐
Berlino).
Non
si
trattava
di
un’alleanza
militare
vera
e
propria
.
,
anche
perché
Mussolini
voleva
utilizzare
questo
accordo
per
fare
pressione
sule
altre
potenze
e
ottenere
maggiori
vantaggi
in
campo
coloniale.
Mussolini
voleva
utilizzare
Hitler,
ma
in
realtà
fu
lui
a
subire
l’influenza
del
fuhrer.
Nel
1938
il
regime
fascista
si
adeguò
al
nazismo
anche
nella
promulgazione
di
leggi
razziali
contro
gli
Ebrei,
a
imitazione
di
quelle
già
adottate
in
Germania.
Queste
leggi
vietavano
matrimoni
misti
tra
Ebrei
e
non
Ebrei.
Impedivano
agli
Ebrei
di
frequentare
la
scuola
pubblica,
di
fare
il
servizio
militare,
di
svolgere
determinate
professioni.
Ma
in
Italia
queste
discriminazioni
suscitarono
molte
perplessità
perché
non
c’era
una
precedente
tradizione
antisemita,
e
la
condanna
della
Chiesa.