Pollock & Rothko
Pollock & Rothko
Pollock & Rothko
Il gesto e il respiro
Libro di Gregorio Botta
I due aspetti dell’arte, componenti uno dei grandi binomi presenti in tutto il novecento, sono analizzati in questo libro
estremamente interessante di Gregorio Botta. Da un lato la perfezione del gesto, dall’altro la ricerca di una pittura che
<respiri>: Jackson Pollock e Mark Rothko sono stati gli interpreti massimi di due visioni dell’arte che si fronteggiano da
secoli. Gregorio Botta è convinto che Pollock e Rothko rappresentino uno dei tanti yin e yang che animano lo specifico
ambito artistico.
Rothko, da una parte immaginava che lo scopo della sua pittura fosse proprio quello di coinvolgere il più possibile lo
spettatore, di immergerlo nelle sue opere a tal punto, che queste dovevano essere percepite come dei luoghi.
Nella sua ossessione Rothko decretò che la distanza ideale, tra l’occhio e le sue opere, dovesse essere di 45 cm, per
apprezzare i quadri a pieno è necessario tener conto della luce, che non sia troppo sparata.
Ci vuole tempo, infatti, perché l’occhio regoli la sua messa a fuoco, i quadri si muovano, prendano vita, respirino e chi
guarda senta di farne parte.
Sempre a proposito di Rothko indicativo è l’aneddoto sui Seagram Murales. L’artista impiegò otto mesi per dipingere
le opere commissionategli per un ristorante di alto livello che doveva essere inaugurato all’interno del Seagram
Building a New York. Ci vollero tre sessions prima che si sentisse soddisfatto, anche se poi quelle tele non entreranno
mai nel ristorante che le aveva commissionate.
Per Rothko i suoi dipinti non meritavano di finire ad abbellire un posto dove i più ricchi bastardi di New York sarebbero
andati a nutrirsi e pavoneggiarsi. Ironia della sorte alcune di quelle tele oggi sono appese proprio alla Tate di Londra.
Rothko è come la sua pittura “lenta e ossessiva. Ci vogliono tempo e pazienza per realizzarla, ci vuole tempo per
guardarla” scrive ancora Botta nel suo saggio. L’autore del libro, artista e giornalista, sviscera una delle stagioni
mitiche dell’arte del secolo scorso con una sensibilità unica.
Partendo dalle due vicende biografiche, parallele e divergenti, di Jackson Pollock e Mark Rothko, l’autore ci proietta
nel 1950 per approfondire le due anime della così detta scuola di New York, che cambiarono le sorti dell’arte del
secondo dopo guerra e che mantengono inalterata la loro influenza fino ai nostri giorni.
Botta nel finale condivide una sua vicenda personale riguardante Pollock. Se infatti il giovane diplomato all’Accademia
di Belle arti di Roma, proprio con una tesi sull’artista, si sentiva respinto dal massimo rappresentate dell’action
painting, oggi da artista maturo, a distanza di decenni, ha preso coscienza che un po’ di Pollock abita anche in lui,
rothkiano incallito.
Si potrebbe dedurre che c’è voluta quasi una vita per riconoscere nella sua essenza l’arte e l’artista su cui Peggy
Guggheneim, su consiglio di Mondrian, posò i suoi occhi di amante dell’arte. Proprio grazie a lei, il tormentato e
insicuro ragazzo dall’infanzia nomade, che non si è mai sentito apprezzato dalla sua famiglia, riuscirà a diventare
l’emblema dell’arte made in Usa.
La sua ascesa fu celere ma anche lui, come tanti, sarà digerito dal sistema dell’arte e si sentirà ‘abbandonato’ dai
collezionisti, dai suoi amici e persino dal suo esegeta Greenberg. Gregorio Botta racconta tutte le difficoltà che
incontrerà Pollock per riemergere dal cupo abisso fatto di sbronze, risse e inattività.
A 44 anni morirà, guidando ubriaco, andando a sbattere contro un albero. Perché quella vitalità e quell’energia, per
usare le parole di Morandi di fronte ai dipinti di Pollock, che hanno contraddistinto la sua pittura artistica non lo hanno
salvato dalla discesa all’inferno? Forse tutta quella vivacità e quell’esplosione creativa, che sembrava improvvisata
come fosse improvvisazione jazz, sono state da lui imprigionate nelle sue opere. Quasi che egli avesse voluto usare i
suoi quadri per nascondere quella forza che solo noi spettatori possiamo svelare.