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2-La BELLEZZA Unità Spirituale

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La BELLEZZA unità spirituale

Michelina Tenace

Il ruolo della luce: esempio del diamante p 47-49

La luce è il primo principio del bello nella natura, in quanto è il principio capace
di liberare la materia dalla sua pesantezza e dalla sua impenetrabilità. È dunque il primo
principio d’unione tra il materiale e il non materiale.

L’osservazione del fenomeno della luce nella materia organica porterà a questa
conclusione: la bellezza è «la materia illuminata» o «la luce incarnata».145 Primo
principio della bellezza nella natura, la luce, unita in modo indissolubile alla materia,
produce la bellezza.

Cosa rende bello il diamante? La sua composizione chimica è la stessa del


carbone. Non è dunque la materia da sola che può rendere conto della sua bellezza. Il
diamante è bello a causa del gioco di rifrazione dei raggi di luce completamente uniti
alla materia, che si presentano alla vista come facce luminose di una bellezza perfetta.
La bellezza non appartiene affatto alla materia sola, né alla sola luce, essa è piuttosto «il
prodotto di ambedue nella loro azione reciproca».146 «In questa fusione, indivisibile e
inconfusa di materia e di luce, l’una e l’altra conservano la propria natura, ma nessuna
delle due è visibile separatamente, mentre invece si vede unicamente la materia
portatrice di luce e la luce incarnata: un carbone illuminato e un arcobaleno
pietrificato».147 Solov’ëv fa qui un ragionamento che è importante seguire: la luce, in
rapporto alla materia, è un principio trans-materiale. Il rapporto tra la materia e la luce si
può esprimere come un rapporto tra un principio materiale e un principio non materiale,
e quando questo rapporto tra materiale e non materiale è dell’ordine dell’unione senza
separazione né confusione in una incarnazione, allora esprime la bellezza, e il diamante
ne è l’esempio per eccellenza. Questo principio non materiale ha per sinonimo, nel
linguaggio di Solov’ëv, «principio ideale», cioè principio contenente una idea.148 Si
possono dunque accostare queste due definizioni della bellezza: «la bellezza è la
trasfigurazione della materia attraverso l’incarnazione in essa di un principio diverso
trans-materiale»,149 «essa è l’incarnazione di una idea».150

Ma la questione che sorge immediatamente è, allora, di quale idea si tratti. La


definizione della bellezza come incarnazione della luce nella materia, come
incarnazione di un principio trans-materiale o ideale, è abbastanza facile da
comprendere. Ma l’idea è una di quelle parole che hanno un contenuto ambiguo, carico
di tradizione e talmente sfruttato, da essere applicabile a qualsiasi cosa. Solov’ëv non
entra affatto nella discussione sulla definizione di idea. Egli ha già detto, criticando la
metafisica astratta, che la bellezza non può essere l’oggettivazione di un’idea qualsiasi,
l’espressione di qualsiasi volontà cosmica. La bellezza non può esprimere un contenuto
qualsiasi, l’idea non può dunque essere che un contenuto «degno di esistere», degno di
essere reso materiale, presente, bello. Questa idea ha per caratteristica essenziale di
essere reale (come è reale la luce in rapporto alla materia), cioè di non essere dipendente
dal punto di vista umano soggettivo: la bellezza nella natura è l’idea «che si è incarnata
nel mondo prima dello spirito umano»,151 e dunque non ne è affatto dipendente: essa
esiste perché «merita di esistere».

Ciò che è degno di esistere è l’Assoluto. Allora l’idea è presente nella bellezza
come un rapporto a ciò che è degno di esistere, un rapporto all’Assoluto. E questa
presenza dell’idea incarnata nella bellezza risponderà alle stesse qualità dell’Assoluto:
«idea [...] degna di essere: essa è la piena libertà delle parti costitutive nella perfetta
unità dell’intero.»152 La libertà che, nelle parti, rinvia l’essere particolare al tutto,
indica l’idea degna d’esistere. «Considerata prevalentemente nella sua assolutezza
interiore, come l’assolutamente desiderabile o voluto, l’idea è il bene; considerata nella
pienezza delle determinazioni particolari che abbraccia, come il contenuto pensato per
l’intelletto, l’idea è la verità; considerata nella perfezione o completezza della sua
incarnazione, come realmente percepibile nell’essere sensibile, l’idea è la bellezza».153
L’idea di cui si parla nella bellezza sarà dunque sempre intesa come unitotale e
«triunica», poiché in essa il bene supremo che noi desideriamo e la verità che noi
pensiamo si congiungono nell’incarnazione che la bellezza loro conferisce e ciò perché
la bellezza è l’espressione o l’incarnazione dell’idea unitotale, del bene e della verità
degni di esistere.

Occorreva spiegare questi differenti passaggi per comprendere cosa significhi


per Solov’ëv il fatto che la bellezza è incarnazione, materializzazione di un principio
ideale, senza che venga attribuito al termine «idea» il senso di «risultato delle riflessioni
di un essere pensante».154

Ciò che costituisce il centro del pensiero di Solov’ëv – lo si indovina – non è una
teoria dell’estetica, ma una teoria dell’Assoluto. Il criterio di discernimento della
bellezza non è la forma estetica speciale, ma l’essenza ideale generale che essa contiene.
«Il criterio generale dell’essere degno o ideale è la massima autonomia delle parti nella
massima unità dell’intero [...] è la completezza più o meno realizzata di questa
incarnazione.»155 Essendo questa idea una manifestazione dell’Assoluto, essa ne ha le
caratteristiche, di cui la principale è l’eternità. Ecco perché la bellezza che incarna l’idea
sempre degna di esistere è una partecipazione a quest’eternità, e, la materia che
permette al bene e alla verità di incarnarsi nella bellezza, partecipa a questa eternità. Né
Plotino, né Hegel avevano osato spingersi a tanto.

L’ordine dell’incarnazione dell’idea nella natura attraverso la bellezza esprime


l’ordine cosmogonico, perché l’Assoluto vi si è rivelato.
Ci sono altri esempi dove «l’unitotalità universale e la sua espressione fisica, che
è la luce»,156 si offrono alla nostra contemplazione e dove la bellezza della natura,
considerata dal punto di vista della luce, primo principio che l’esprime, viene messa in
relazione con l’incarnazione dell’idea unitotale.157

P 51

Affinché ci sia bellezza, occorre che materia, forma e senso corrispondano al


massimo di ciò a cui può aspirare il regno al quale appartengono, senza confronto con il
grado inferiore. Ed è questo il motivo per cui il diamante, benché appartenga alla sfera
minerale (che è meno della sfera animale), è più prezioso e più bello che un verme.
Poiché, mentre il diamante incarna perfettamente l’idea (la luce nella materia) e
raggiunge lo scopo del suo essere al mondo come pietra, il verme, come appartenente al
regno animale, non incarna altro che l’idea di nutrizione e di riproduzione, che non è
affatto l’idea della vita, ed è per questo che la sua bruttezza è in qualche modo
proporzionale alla qualità della vita che incarna. Il criterio dell’ideale generale e
dell’estetica speciale non si corrispondono affatto. Per esempio, ogni organismo è più
complesso e, contemporaneamente, più individualizzato di un minerale.

P 54

“L’artista, in ciò che vi è in lui di divino-umano, è dunque colui in cui si incarna


lo scopo dell’esistenza umana. È colui che assume il destino della natura nella sua
propria creazione e nella realizzazione della sua identità di figlio di Dio, identità
profetica del Regno da costruire.

L’esempio del diamante e del carbone resta il simbolo della definizione


seguente: la bellezza è la materia spiritualizzata, «la trasfigurazione della materia
attraverso l’incarnazione in essa di un principio diverso, trans-materiale.»178

La conclusione del testo mette dunque la bellezza nella natura in rapporto con il
senso generale dell’evoluzione cosmica e della storia umana. Questo senso ci può essere
rivelato attraverso la comprensione della bellezza nella natura. Tuttavia, a causa
dell’intervento dell’uomo, l’arte è una parola più significativa di quella pronunciata
dalla natura attraverso la sua bellezza.
P 105

“a un essere umano e non un angelo o uno spirito e anche perché è nella carne
che Dio ci ha amati. Il senso dell’amore è proprio di illuminare e di spiritualizzare
questa carne inseparabile dalla persona, come la luce che illumina e trasforma la materia
è inseparabile nel carbone diventato diamante. «Un angelo o un puro spirito non hanno
bisogno né di illuminazione né di spiritualizzazione; solo la carne viene illuminata e
spiritualizzata e proprio essa è l’oggetto necessario dell’amore».348

Se è vero che «la falsa spiritualità è negazione della carne, la spiritualità


autentica è la sua rigenerazione, la sua salvezza, la sua risurrezione».349

P 112-113

Idealizzazione 

Nella realizzazione di quest’opera, il primo stimolo è l’idealizzazione.

Solov’ëv considera come tipico dell’amore ed indispensabile alla sua opera


l’idealizzazione della persona amata che avviene nei primi tempi dell’innamoramento.
Idealizzazione e illuminazione hanno la loro spiegazione nel fatto che l’amore,
paragonato alla luce nel mondo fisico, opera nella persona quella trasformazione del
carbone in diamante. Ma più ancora, l’amore come luce intellettiva e principio di
conoscenza superiore supera ogni percezione dei sensi e quindi permette di conoscere e
di vedere, di percepire attraverso uno sguardo, ciò che senza l’amore non si vede affatto.
«L’amante vede realmente e visivamente percepisce qualcosa di diverso dagli altri»,383
e questo qualcosa non è un illusione, ma una realtà. «La vera essenza dell’uomo in
genere e di ogni singolo uomo non si esaurisce nella datità delle sue manifestazioni
empiriche [...] ciò che appare non è identico a ciò che è.»384 Inoltre «noi sappiamo che
l’uomo, oltre alla natura materiale e animale, ne possiede anche una ideale che lo unisce
alla verità assoluta, cioè a Dio [...]. Ogni uomo racchiude dentro di sé l’immagine di Dio
[...] ed è poi nell’amore che la riconosciamo in maniera concreta e vitale.»385

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